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Il testo come versione interlineare del commento

10 gennaio 2014 Pubblicato da Le parole e le cose | di Furio Jesi. A cura di Andrea Cavalletti [Questo saggio uscito sullultimo numero di Lospite ingrato (Quodlibet), dedicato a Walter Benjamin]. La natura triste perch muta. Ma introduce ancora pi a fondo, nellessenza della natura, il rovescio di questa affermazione: la tristezza della natura che la rende muta. Vive, in ogni tristezza, la pi profonda tendenza al silenzio, e questo infinitamente di pi che incapacit o malavoglia di comunicare. Ci che triste si sente interamente conosciuto dallinconoscibile [1]. Procedendo come Benjamin ha insegnato, dunque trattando un testo letterario [quello di Benjamin ora citato] al modo stesso in cui i commentatori medioevali trattavano la Bibbia[2], lecito osservare che la versione interlineare[3] della frase qui riportata si trova nei primi due versi della Lorelei di Heine: Ich wei Da ich so traurig bin. Non so Che io sia cos triste. nicht, was soll es bedeuten

cosa

debba

significare

Le traduzioni correnti per lo pi omettono il corrispettivo letterale di quel sollen (Non so cosa significhi []) o comunque rendono in modo elegante, meno greve, il valore di una forma tedesca cos consueta (Non so cosa mai significhi []). Ma il passo di Benjamin incontra la sua versione interlineare in Heine solo se non ci si lascia sfuggire quel dovere, sollen, che, quando allascolto risulta pi greve del necessario, indica la contrapposizione netta fra lessere triste, traurig, e il significare, bedeuten. Essere triste lopposto di dover significare, nel senso di bedeuten. Vive, in ogni tristezza, la pi profonda tendenza al silenzio, e bedeuten un significare che esclude il silenzio: un silenzio pieno di significato, un silenzio significante o significativo non il vero silenzio di cui parla Benjamin, solo il silenzio di chi potrebbe o vorrebbe parlare, ma non pu o non vuole farlo. Il silenzio di cui parla Benjamin la forma in cavo del lamento e il lamento lespressione pi indifferenziata, impotente della lingua, che contiene quasi solo il fiato sensibile[4]: se questo silenzio divenisse voce, sarebbe lamento e perci cosa ancor pi lontana dal significare di quanto lo sia il puro silenzio. Il vero lamento in cui consiste la Lorelei di Heine privo di significato ed contro il significare; contiene quasi solo il fiato sensibile, e quel di pi che contiene oltre al fiato sensibile la negazione oggettiva, in assoluta cosit, della possibilit che il fiato sensibile, nel lamento, significhi. Solo cos pu essere vero il naufragio che apparentemente conchiude la lirica di Heine, di fatto lo fin dal primo verso. Ci che Benjamin diede di grande e di sovversivo alla critica letteraria proprio questo: lesempio di uninversione dei termini, per cui il saggio diviene non pretesto, ma spazio privilegiato entro il quale il testo per eccellenza, canonico, classico, appartenente al passato, si fa versione interlineare di un testo sacro che il testo del saggio. Cos articolare storicamente il passato non significa conoscerlo come propriamente stato. Significa impadronirsi di un ricordo come esso balena nellistante di un pericolo[5]. per un esempio (e il riconoscimento di un

privilegio) segnato dalla tristezza, quella stessa che Benjamin, contraddittoriamente, indica allorigine del procedimento con cui il materialismo storico ed egli stesso hanno rotto i ponti[6]. Questa contraddizione il vero senso esemplare delle Tesi di filosofia della storia come smentita del continuum e, nel medesimo senso, esemplare, da apologo, il suono quasi solo il fiato sensibile della scrittura del saggista che riesce a fare della propria pagina lo spazio tristemente privilegiato entro il quale il passato diviene, nella sua cosit, versione interlineare del presente: Solo quello storico ha il dono di accendere nel passato la favilla della speranza, che penetrato dallidea che anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere[7]. Quando un uomo muore, per un istante subentra, dinanzi agli occhi dei vivi, al suo corpo vero un corpo falso: poi questo pure scompare e, visibili, restano solo le ceneri. Il pericolo dice Benjamin scegliere solo la tristezza o solo lInno alla gioia: Il pericolo sovrasta tanto il patrimonio della tradizione quanto coloro che lo ricevono[8]. Al concetto di un presente che non passaggio, ma in bilico nel tempo ed immobile, il materialista storico non pu rinunciare [] Lo storicismo postula unimmagine eterna del passato, il materialista storico unesperienza unica con esso. Egli lascia che altri sprechino le proprie forze con la meretrice Cera una volta nel bordello dello storicismo[9]. Il lamento privo di significato di Heine leco di un Mrchen che non esce dalla testa. Solo se il significare viene abbandonato, il Cera una volta, come puro lamento, rende luomo nel naufragio, signore delle sue forze: uomo abbastanza [][10]. Marta Rossi Jesi, Sofia e Stefano Jesi Nota al testo Il testo come versione interlineare del commento stato pubblicato postumo nel volume a cura di Enzo Rutigliano e Giulio Schiavoni, Caleidoscopio benjaminiano (Istituto italiano di studi germanici, Roma, 1987, pp. 217-20). Sulla base del carteggio di Jesi ci sembra possibile datarne la stesura con una certa precisione allinizio del 1980. Cos il 28 gennaio di quellanno Jesi risponde infatti a Tito Perlini, che lo aveva invitato a collaborare a un volume su Benjamin e la sua fortuna italiana: Caro Tito, eccoti una nota un po extravagante su Benjamin, mio unico modo di rispondere al cosa ne pensi?. Lunico mio contributo esplicito (e di un certo numero di pagine) allo studio di W. B. il capitolo del Mito che mi avete segnalato. Per estremo scrupolo bibliografico, allego una schedina in cui ho elencato alcune mie rifl essioni (!) su Benjamin non occasionali. La schedina non conservata tra le carte di Jesi, mentre la nota un po extravagante (lespressione ricorda quella usata una volta da Jesi a proposito del suo Spartakus. Simbologia della rivolta: completamente fuori tema) ci sembra appunto riconoscibile nel testo che segue, di fatto una vera e propria ricapitolazione teorica dellintenso e costante confronto con Benjamin che durava ormai da un decennio. Se al contributo esplicito del capitolo 4.5 di Mito (1973), dedicato alla polemica di Benjamin contro le riabilitazioni reazionarie di Bachofen, possiamo oggi affiancare solo un importante frammento dello stesso periodo (pubblicato col titolo Ermetismo di Benjamin, in Cultura tedesca, numero monografico dedicato a Furio Jesi, a cura di Giorgio Agamben e Andrea Cavalletti, 12, 1999, pp. 145 sgg.), si pu qui ricordare che gi nel 1971 Jesi proponeva alleditore Ubaldini un volume su Benjamin per la serie Che cosa ha veramente detto. Scriver invece

(dopo il Rousseau, 1972) un Pascal (1974) dove il riferimento alle Tesi di filosofia della storia ha un ruolo centrale cos come in altri testi scritti tra il 1973 e il 1976 (per esempio il grande saggio su Bachofen, Bollati Boringhieri, 2006, o quello, non meno importante, Conoscibilit della festa, ripubblicato in Il tempo della festa, Roma, Nottetempo, 2013). ispirandosi al modello benjaminiano del montaggio di citazioni che Jesi costruisce i suoi saggi ed elabora una personale teoria della conoscenza per composizione. A partire dal 1976 (lanno di Esoterismo e linguaggio mitologico, ora Quodlibet, 2002), egli si concentra e rifl ette sul testo del 1921 Per la critica della violenza e soprattuto sui due grandi saggi Sulla lingua e sul Compito del traduttore: il suo ultimo progetto, il libro Traduzione e duplicit dei linguaggi, di cui restano solo alcuni capitoli e materiali preparatori, anche unoriginale ripresa di questi ultimi testi nel segno dellequivalenza pura lingua (reine Sprache) mito. A.C.

[1] W. Benjamin, Sulla lingua in generale e sulla lingua degli uomini, in Angelus Novus. Saggi e frammenti, trad. e introd. di R. Solmi, Torino, Einaudi, 1962, pp. 65-66. Parrebbe una citazione rilkiana, ma per semplice ragione di date non pu esserlo: praticamente da escludere che Benjamin conoscesse a quel tempo le ancora inedite lettere di Rilke a X. Kappus (le cosiddette Lettere a un giovane poeta); e i Sonetti ad Orfeo non erano ancora stati scritti. [2] Losservazione, di Adorno, citata da Solmi nellIntroduzione ad Angelus Novus, p. X. [3] W. Benjamin, Il compito del traduttore, in Angelus Novus cit., p. 50: La versione interlineare del testo sacro larchetipo o lideale di ogni traduzione. [4] W. Benjamin, Sulla lingua in generale cit., p. 127. [5] W. Benjamin, Tesi di filosofia della storia, in Angelus Novus cit., p. 74. [6] Ivi, p. 75. [7] Ivi, pp. 74-75. [8] Ivi, p. 74. [9] Ivi, p. 81. [10] Ibid.

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