You are on page 1of 22
ARCHEOLOGIA E RELIGIONE Atti del I Colloquio del “Gruppo di contatto per lo studio delle religioni mediterranee” Roma - CNR 15 dicembre 2003 a cura di Maria Rocchi Paolo Xella STORIA DELLE RELIGIONI I essedue edizioni 2006 ARCHEOLOGIA DEL CULTO: QUESTIONI METODOLOGICHE Ida Oggiano* Con il presente lavoro ci si propone di introdurre quelle che sono le tendenze teoriche nel dibattito relativo al rapporto tra archeologia ¢ religione. La tematica € molto ampia e non si pud certo esaurire in questo lavoro di sintesi nel quale, nello spirito dell’incontro in cui é stato presentato, si é cercato di spaziare tra diversi ambiti disciplinari tra diverse branche della disciplina storica e archeologica, tentando una visione ad ampio raggio del problema. Si é partiti dal presupposto basilare della riflessione per cui cid che caratterizza Lapproccio archeologico alla problematica “religiosa” é il tipo di documento cui lo studioso si affida: il manufatto archeologico. Gia in numerosi studi é stata introdotta una riflessione critica sull’atteggiamento che gli archeologi, cosi come gli storici, hanno al momento in cui devono valutare il potenziale curistico del manufatto archeologico nell’interpretazione del “fenomeno religioso”. In estrema sintesi si pud dire che archeologo, di fronte alla possibilita di leggere i dati di cui dispone come testimonianza di attivita religiose, ha avuto una serie differente di reazioni: da quella naive, che ha voluto vedere in ogni “stranezza documentaria” la traccia della mano divina!, a quella scettico/materialista, che si & voluta tenere lontana dalla possibilita di individuare dietro il semplice esame di oggetti “muti” la spiritualita dei popoli antichi, a quella prudente, che ha tentato, non sempre in modo coerente, una sorta di mediazione tra le due tendenze. Ma analizziamo pit nel dettaglio le diverse posizioni definite ora scettiche o pessimiste ¢ ottimiste 0 acritiche. Lo scetticismo e la prudenza estrema sono dettati dalla convinzione che i resti materiali non sono in grado di esprimere le credenze religiose e, piti in generale, gli aspetti cognitivi dell’esperienza umana. Secondo questa tendenza_interpretativa esisterebbe una sorta di gerarchia nel valore da attribuire al potenziale documentario del dato archeologico (scala di affidabilita di Hawkes del 1954), che andrebbe da un livello di alta affidabilita attribuito ai fenomeni della tecnica di produzione, per scendere ai CNR, Istituto di Studi sulle Civilta Italiche e del Mediterraneo Antico, Roma. 1 RENFREW 1985, p. 15. Si veda anche quanto sostenuto da T.M.S. Evens riguardo a questi aspetti: «We are inclined to classify as the religious statements and practices of other cultures tend to be representative of just what is other about these culture» (EVENS 1982, p. 376). 26 I. Oggiano livelli intermedi di affidabilita dei fenomeni economici e di sussistenza, per passare alle istituzioni politiche e infine a quelle religiose?. Questa posizione, gia in parte non condivisa da Renfrew, viene ritenuta inesatta da Peter Bich! e Francois Bertemes i quali, nell’Introduzione agli Atti del Congresso su Archeologia e Religione editi nel 2001, sottolineano ancora una volta come non ci sia fondamentalmente differenza tra il trarre informazioni dai dati di cultura materiale per ricostruire i sistemi socio-economici 0 da quelli ideologici e religiosi>. L’atteggiamento ottimista invece @ quello che porta a considerare i dati di cultura materiale in modo assai libero. Gid Flannery, criticando I’archeologia tradizionale mesoamericana, sosteneva che «(...) give him the slightest hint of a cerimonial feature and he’s off to the theoretical stratosphere, with cults, missionaries, rituals, converts, sacrifices, anthropophagy and hallucinogenic mushrooms. The reasons for the wide range of responses are (...) Mesoamerican archaeology has absolutely non coherent and consistent theoretical framework by means of which ritual or religious data can be analysed and interpreted ...»4. In definitiva, ai dati relativi alle tematiche religiose ci si poteva avvicinare facendo appello, per usare questa volta un'espressione di Renfrew, al «free exercise of the creative human gift for knowledge for sympathetic imagination»’. Quest'ultima tendenza ha fatto sovente un uso, se non indiscriminato, almeno “leggero” della comparazione archeologica e storica. Al di 1a dell’indubbia validita del metodo comparativo sia nel campo archeologico che storico-religioso, questo atteggiamento ha portato a volte a qualche forzatura interpretativa, come ad esempio I’uso delle fonti scritte di epoche pid recenti per la ricostruzione del culto di epoche preistoriche®. II nucleo del problema é quindi I'uso del manufatto archeologico come fonte documentaria per lo studio della religione. Centrale a questo punto é precisare cosa si intende per religione e infatti tutti gli studi che si sono occupati di queste tematiche cominciano la trattazione dell’argomento proprio introducendo la definizione del termine dedotta da vocabolari, enciclopedie e testi di antropologia (si ricorda per tutti il frequente riferimento ai testi di Rappaport)’. Nel suo studio The Archaeology of Cult Colin Renfrew, ad esempio, fa una distinzione nell’ambito del comportamento religioso dell’uomo tra belief (asserisce Fesistenza di qualche forza o potere trascendente o soprannaturale) e cult (inteso come un “rituale religioso piuttosto che secolare”), faith e practice, sostenendo che gli archeologi “non possono osservare le credenze ma, lavorando sui manufatti essi HAWKES 1954. BIEHL ~ BERTEMES 2001. FLANNERY 1976, p. 33. RENFREW 1985, p. 1 ‘Ad esempio si sono utilizzate le fonti della Grecia di eta storica per la ricostruzione dei culti nell’eta del Bronzo. Sulla questione COLE 1985 ¢ PAKKANEN 2000-2001 RAPPAPORT 1971. Per gli aspetti storico-religiosi della questione si veda il contributo di Paolo Xella nel presente volume (pp. 3-16) aun Archeologia del culto ... 27 studiano “gli esiti delle azioni”. Nei casi migliori, quindi, i resti possono essere interpretati come risultati di azioni che possono in modo plausibile essere derivate da credenze religiose’. Kent Flannery sostiene che, sebbene le credenze religiose siano costruzioni mentali che non possono essere indagate direttamente attraverso lo studio dei manufatti archeologici, tuttavia queste stesse possono indurre a pratiche rituali performed con manufatti che, questi si, possono essere scoperti e studiati?. L'inglese Garth Hugh Gilmour ritiene che T’archeologo possa_ fornire informazioni sul culto ma non sulla teologia!?. Lo studioso distingue due forme di espressione della religione: ideologia e teologia da una parte e culti ¢ rituali dall’altro, che rappresentano rispettivamente gli aspetti teorici e pratici Se la tendenza & quindi generalmente quella di distinguere il culto dalle credenze, il pratico dal cognitivo, non sono pochi quelli che sostengono invece che queste distinzioni non esistevano nellantichita. La religione era un aspetto totalmente inserito nella vita economica, nella struttura sociale e politica della comunita. Impossibile quindi distinguere tra pratica cultuale e concettualizzazione religiosa!!. Poiché, tuttavia, le posizioni riguardo a questa problematica sono diverse ¢ concernono alla fine il ruolo “attivo” e “passivo” da attribuire alla cultura materiale, pare necessario fare una breve carrellata sullo spazio che questa tematica ha avuto nella storia del dibattito teorico sull’archeologia. L’archeologia teorica e le tematiche religiose Il dibattito teorico su queste tematiche!? é avvenuto principalmente in ambito preistorico e protostorico. L’assenza di fonti di informazioni altre dalla cultura materiale ha fatto in generale dell'aspetto teorico un punto di forza delle discipline preistoriche e protostoriche. Questo fatto nasce da un lato dall’assenza di fonti scritte per queste fasi cronologiche, ma anche da vecchie tradizioni di studio che tendevano ad attribuire ai testi una sorta di superiorita che avrebbero reso lo “scritto” una fonte non solo pit esplicita ma anche piti affidabile!3, In certi ambiti disciplinari, si cita come 8 RENFREW 1985, p. I] 9 MARCUS - FLANNERY 1994. 10 GILMOUR 199Sa; 2000. 11 Tra gli altri KEEL ~ UEHLINGER 1992, p. 8: «(...) the dichotomy ... between belief and cult do no come from different arenas of activity, such as the economy, social structure, and politics etc., but belong to the same arena, religion». Non ci soffermeri se non in modo assai sommario sulle diverse tradizioni di studi. Per approfondimenti in lingua italiana si rimanda alla trattazione, sintetica ma completa, in RENFREW ~ BAHN 1995, in particolare il capitolo 12 ¢, piii di recente, a TERRENATO (ed.) 2000 € GIANNICHEDDA 2002, entrambi con bibliografia; per la storia del dibattito in ambito italiano cf. BARBANERA 1998 e CUOZZO 2000. Per Tambito classico un esempio interessante di confronto tra fonti scritte ed emergenze archeologiche si trova in LAFFINEUR 1988, dove @ analizzato il santuario di Apollo a Delfi 12 13 28 1. Oggiano esempio la cosiddetta archeologia biblica, tendenza che @ stata causa di grandi fraintendimenti e di letture spesso strumentali della stessa documentazione archeologica con finalita confessionali e politiche!4. II poter fare riferimento a un nucleo pid o meno consistente di testimonianze scritte ha d'altra parte sovente fatto etichettare il dato archeologico come mero “supporto” di quello testuale. Si ricorda tra l’altro che nell’archeologia classica, in particolare quella britannica che si é confrontata da vicino con le nuove prospettive teoriche provenienti dall’ambito preistorico, @ stato generalmente manifestato un certo scetticismo per le tematiche teoriche. Un'eccezione @ rappresentata da A. Snodgrass e dalla sua “scuola” (in particolare si ricordano i lavori di Morris e Whitley che, per lo studio delle necropoli di Atene e dell’Attica, hanno utilizzato teorie e¢ metodi desunti dall’archeologia preistorica)!5. Si presentera ora un breve excursus relativo al ruolo che la tematica del rapporto tra archeologia e religione ha avuto nel dibattito teorico fornendo alcuni esempi delle diverse scuole di pensiero su questo argomento. Si sono scelti casi noti, Pormai “classico” santuario di Phylakopi studiato da Renfrew, ed altri meno conosciuti che tuttavia fossero rappresentativi di diversi ambiti disciplinari. Non si sono peraltro tralasciate le diverse forme di contesto, da quello funerario a quello cultuale in senso pid ampio (templi ¢ installazioni cultuali diverse). Tra tutti la selezione é stata fata in base al tipo di approcci scelto, privilegiando non quelli pit interessanti dal punto di vista dei risultati della ricerca ma quelli nei quali fosse dedicato un certo spazio all’esplicitazione delle premesse metodologiche del lavoro. Non si sono invece toccate se non marginalmente le complesse questioni relative all’uso della simbologia in ambito iconografico che da solo meriterebbe una estesa trattazione. L’archeologia tradizionale tra il 1900 e il 1960 Nellarcheologia cosiddetta “tradizionale”, lo studio della cultura materiale era indirizzato soprattutto alla ricostruzione delle “culture archeologiche” (definite, secondo Gordon Childe, come un’associazione di manufatti costantemente ricorrenti di cui si dota un particolare gruppo di persone) e della loro diffusione (principio della spiegazione dei fenomeni attraverso la diffusione della cultura). Il metodo da seguire era quello induttivo, che prevede la raccolta dei dati e la verifica dalla frequenza delle attraverso la descrizione che ne fece Pausania ¢ i resti archeologici. La ricostruzione come strumento di creazione di un monumento sulla cui esistenza reale, almeno nelle forme note dal testo biblico, si discute ancora molto, & il tempio di Salomone. Del tempio, accuratamente descritto nel testo biblico (1 Re 5: 16-6; 2 Cron. 4), non é rimasta una pietra e, nonostante cid, esso & diventato nell” immaginario pit reale della realti documentaria tanto da influenzare le culture architettoniche i vari periodi, dal Rinascimento all’800, Per una recente messa a punto della questione del tempio di Salomone in rapporto alle evidenze archeologiche ef. OGGIANO 2005, pp. 215-224. 14 Sulla storia dell’archeologia biblica MOOREY 1991. 15 MorRIs 1987; WHITLEY 1991; CUO0ZZO 1996, pp. 28-30. Archeologia del culto ... 29 attestazioni e quindi la formulazione di un‘ipotesi. Si tratta di un approccio che privilegia l'analisi delle singole categorie di oggetti (metodo descrittivo) e, attraverso V'individuazione di costanti e differenze, la realizzazione di tipologie ¢ classificazioni al fine di una ricostruzione storica. Studi di questo tipo, basati cioé sulle seriazioni crono- tipologiche, tipici degli anni °50 e *60, sono quelli sulle necropoli. Le tematiche legate alla religione venivano affrontate senza una particolare riflessione di tipo metodologico tanto che spesso si classificavano come attivita religiose tutte le azioni del passato di cui non si riusciva a cogliere il significato. Non mancarono perd studi che, usando una metodologia non esplicitamente enunciata, utilizzarono metodi di tipo contestuale: Renfrew cita l’esempio di Nilsson, The Minoan Mycenaean Religion del 1950) e cognitivo (Flannery ricorda gli scritti di Frankfort — Wilson — Jacobsen, The Intellectual Adventure of Ancient Man, Chicago 1946, ristampato nel 1949 col titolo di Before Philosophy, sulla “mente” degli antichi Egizi e degli antichi mesopotamici)!®. Anni °60 e 70 : La New Archaeology e V'archeologia marxista Negli anni ‘60 e °70 una nuova tendenza di studi si affermo negli Stati Uniti ¢ prese il nome di New Archaeology per indicare lo stacco rispetto alla archeologia di tipo tradizionale. In luogo di un’archeologia di tipo descrittivo e storico, venne proposto un modello metodologico che si definiva interpretativo, antropologico € scientifico (l’archeologia era considerata una scienza naturale). Veniva sottolineata Timmportanza Fella valutazione “astorica” dei processi (da cui deriva a questa tradizione di studi il nome di “archeologia processuale”) ritenuti sincronici, in quanto non riferibili a un preciso processo storico e quindi definibili attraverso la ricerca di leggi universali ispirate a principi di “regolarita”. Si richiedeva l'uso esplicito di teoria e modelli soprattutto della generalizzazione. Venne utilizzato il metodo ipotetico deduttivo (partendo da una premessa ritenuta vera si verificano i dati. Se la premessa é vera anche I’argomento derivato dall’analisi dei dati risultera vero) con ampio utilizzo delle tecniche quantitative la cui massima applicazione si ebbe tuttavia soprattutto negli anni °80!7. Ritenendo la cultura un mezzo di adattamento all’ambiente, nelle ricerche venne penalizzato l'aspetto non economico ¢ non razionale e riguardo a quest’ultimo sono note le critiche di Binford alla meccanica attribuzione di alcune categorie di architetture ¢ manufatti scavati ad attivita religiose senza motivazioni serie e scientifiche!®. Da queste attribuzioni sarebbero nate ricostruzioni dei comportamenti umani assolutamente fantasiose e prive di fondamento (la cosiddetta paleopsychology). 16 RENFREW 1985, p. 3; MARCUS - FLANNERY 1994, p. 55. 7 Il metodo “deduttetico-nomotetico” (D-N) si ispirava alle teorie del filosofo della scienza americano Carl Hempel e fu adottato nei pr tudi di Archeologia processuale, mentre I’approccio ipotetico- deduttivo (0 I-D) si ispird a Karl Popper. Sull’utilizzo delle tecniche quantitative cf. MOSCATI 1996. 18 BINFORD 1981, p. 293. Binford sosteneva che sono le azioni ¢ non le idee della gente gli elementi che possiamo recuperare nelle testimonianze materiali, 30 1. Oggiano Le tematiche relative all’ideologia ¢ alle credenze religiose vennero esaminate ma sempre in misura secondaria rispetto all’ambiente (aspetti ecologici dell’adattamento), della sussistenza e dell’economia. Non che non se ne riconoscesse I’esistenza o Vimportanza, ma gli studi furono orientati verso altro tipo di indagini tra le quali prevalente fu l'approccio ecologico-economico. Il sottosistema sociale ¢ religioso (insieme a quello psicologico e¢ linguistico) sono considerati in virtd del contributo che forniscono al funzionamento del sistema generale: «dai resti di pasto si deduce la sussistenza, dai vasi importati il commercio, dagli oggetti cultuali non il culto in quanto tale, ma il suo effetto socialen!®. Un’eccezione ¢ rappresentata dallo studio delle necropoli. Grazie all’utilizzo delle tecniche statistiche e all’attenzione per gli aspetti sociali della scuola processuale, si tentd di formulare leggi di corrispondenza tra costume funerario ¢ complessiti sociale utilizzando parametri come la ricchezza del corredo, l’energy expenditur, etc. In Inghilterra sono not gli studi di O’Shea e Chapman, ma anche in Italia la New e la Processual Archaeology hanno avuto un certo seguito?". Si ricordano i lavori sulle necropoli preistoriche e protostoriche e il dibattito sullo studio dei contesti funerari svolto all’interno della rivista “Dialoghi di archeologia™!. Si precisa tuttavia che, pur partendo da un approccio di stampo processuale, molti studiosi italiani e inglesi si sono oggi avvicinati alle posizioni dei contestuali e dei cogniti Vicina all’archeologia processuale @ Iarcheologia marxista, in particolare per la considerazione degli aspetti ideologici22. In entrambe le tradizioni di studi, infatti, Videologia € considerata condizionata dall’ambiente: per i processualisti quest’ultimo condiziona non solo le scelte economiche, ma anche l’ideologia; per i marxisti la sovrastruttura ideologica (politica, religione, filosofia ¢ arte) @ ritenuta largamente determinata dall’infrastruttura produttiva. Gia negli anni °70, a fronte degli approcci “funzionalisti” di un’archeologia preoccupata troppo degli aspetti puramente utilitari ¢ funzionali del vivere, si era sviluppata, per reazione, un’archeologia definita ora strutturalista, post-strutturalista e infine post-processuale (0, come dice Renfrew polemicamente, “antiprocessuale”, per sottolineare la forte connotazione sterilmente polemica di alcuni studi)?3. Una nuova tendenza alla rivalutazione degli studi pit specificamente dedicati agli aspetti ideologici e cognitivi sembré caratterizzare gia la fine degli anni °70. Cosi ad esempio gli archeologi neo-marxisti, influenzati dal neo-marxismo francese (definito 19 GIANNICHEDDA 2002, p. 77. 20 O'SHEA 1981; 1984; CHAPMAN ~ KINNES ~ RANDSBORG 1981 21 Cf. la III serie di questa rivista del 1985 e gli Atti del Convegno “Prospettive storico-antropologiche in archeologia preistorica”, in Dialoghi di archeologia del 1986. 22 $i ricordano ad esempio gli studi di Igor Diakonoff della fine degli anni °60 sulla nascita della societa statuale in Mesopotamia. 23° RENFREW 1994, p. 3. Archeologia del culto ... 31 anche “marxismo strutturalista”)?4, misero in discussione il punto in cui il marxismo tradizionale sosteneva che la sovrastruttura ideologica, cioé l’intero sistema di conoscenze e credenze della societa, era ritenuto in gran parte determinato dalla natura dell’infrastruttura produttiva, cioé dalla base economica. Secondo i neomarxisti Vinfrastruttura e la sovrastruttura, piuttosto che essere I'una dominante e l’altra subordinata, sono interrelate e si influenzano a vicenda. Vengono citati brani di Marx che sostengono questo punto di vista e si mettono a confronto espressioni come la “teligione & l'oppio dei popoli” (come esempio archeologico di tale affermazione si avrebbero i rituali funerari egualitari in societa divise in classi come tentativo di “mascherare” le ineguaglianze) e la religione @ il “gemito dell’oppresso” (come esempio archeologico si avrebbero le numerose testimonianze della religiosita popolare come la coroplastica votiva)?s, La vera tendenza alla rottura, spesso anche violentemente polemica, si ebbe tuttavia con l’archeologia post-processuale ¢ la rivalutazione degli aspetti non materiali della cultura e dell’importanza che essi ebbero per il mutamento delle societa antiche. Anni °80: i Post-processuali e l’archeologia come testo A partire dagli anni ’80 le critiche alla New Archaeology si vanno definendo nella forma di un nuovo paradigma metodologico. Gli studiosi si autodefiniscono post- processuali (secondo la definizione di Hodder del 1985), per la posizione critica nei confronti dell'archeologia processuale e i suoi paradigmi positivisti ¢ contestuali per lattenzione dedicata al contesto inteso non come semplice luogo fisico di ritrovamento di un oggetto, ma come l’ambito all’interno del quale il manufatto aveva un significato (contesto archeologico e storico). Negli studi venne dedicata nuova attenzione alle azioni, non solo quelle pratiche, ma anche quelle che dovevano aver avuto anche un significato simbolico e comunicativo; tra esse credenze, valori, idee, arte e religione ora ritenute tematiche fondamentali per il funzionamento della societi antica oggetto di studio. L’archeologia é ritenuta non una scienza naturale ma una scienza sociale ¢ la cultura materiale é costituita in modo significante e come tale va quindi letta in relazione al contesto. I post-processuali recuperano nelle loro posizioni, direzioni teoriche gia sviluppate da tempo a livello interpretativo in altri paesi europei, soprattutto in Francia. I precursori di questa tendenza sono riconoscibili fra i pensatori idealisti e significativo 8 il richiamarsi alle opposizioni concettuali proprie dello strutturalismo: ad esempio la distinzione giorno-notte, dentro-fuori, maschio-femmina e cosi via. Queste strutture- base del pensiero umano sono immateriali e non dipendono dall’ambiente fisico 0 culturale come le strutture di tradizione marxista. Protagonista del dibattito di quegli anni é l’inglese lan Hodder, teorizzatore di una archeologia contestuale, idealista/strutturalista (ricostruzione della struttura alla 24 Si ricordano Antonio Gilman, Michael Rowlands, Susan Frankenstein ¢ Jonathan Friedman. 25 MARX 1844 (1965, pp. 125-126). 32 1. Oggiano base del pensiero umano) ¢ dell’importanza dell’approccio diacronico e quindi storico?6, Secondo questo metodo d’indagine la cultura materiale, cosi come le immagini, possono e devono essere analizzate al fine di ricostruire il significato profondo (il contenuto quindi e non solo la funzione), individuando i principi fondamentali sottesi alla creazione degli oggetti ¢ delle immagini. Essenziale & a questo punto la “capaciti diagnostica” dell’interprete, il suo sapersi compenetrare nell’atmosfera culturale in cui si & prodotta: 'oggetto ¢ l’immagine. I metodo utilizzato é il cerchio ermeneutico: nessuna interpretazione é possibile fin quando non ha inizio I’interpretazione. Tale enunciato metodologico costituisce il presupposto su cui si fonda Vequazione material culture as text. Secondo Hodder, la rivisitazione del passato si attua attraverso un “processo di immaginazione storica” i cui criteri di convalida sono costituiti da “coerenza e corrispondenza” con I'informazione fornita dalla documentazione archeologica. Ma come interpretare gli oggetti archeologici, quindi quelli ipoteticamente impiegati nell’attivita di culto? Secondo i post-processuali gli oggetti in generale vanno inquadrati nel loro contesto dapprima di rinvenimento e poi nella “totalita dell ‘ambiente rilevante” per cid che si intende studiare. Non quindi un approccio generalizzante ma una tendenza all’esame specifico delle singole situazioni. Per quanto riguarda gli oggetti di culto questo ¢ molto importante perché alcuni di essi possono avere significati assai diversi a seconda del contesto di rinvenimento. Si pensi ad esempio ai pesi da telaio rinvenuti all’interno di una ambiente attiguo ad un’area templare e¢ lo stesso oggetto rinvenuto all’interno di un’area abitativa (ma lo stesso discorso si pud fare per i bruciaprofumi, per la stessa ceramica comune utilizzata talora in ambito rituale con significato assai diverso che quando viene usata in ambito domestico). In Italia la Post-processual Archaeology non ha avuto lo stesso successo della New e della Processual Archaeology anche se, come é stato notato dalla Cuozzo «(...) questa tendenza anglosassone presenta notevoli similitudini con la prospettiva degli studiosi francesi ed italiani di “Antropologia del mondo antico” attraverso la riaffermazione dell’archeologia come disciplina storica, I’attenzione al contesto, al tema del rapporto tra struttura e ideologia, alla dimensione simbolica e attraverso il rifiuto di automatiche equivalenze ... tra cultura materiale e societa»27. Ancora una volta a rappresentare il banco di prova per la verifica della validita del metodo analizzato é stato lo studio delle necropoli. Se infatti i processuali avevano puntato sulla verifica di costanti e ricorrenze tra tipologie di riti, tombe, corredi e forme di organizzazione sociale, i post-processuali ritengono che la valutazione delle pratiche 26 HODDER 1982; 1986; 1992. Le teorie di Hodder propongono di tornare alla visione storico- idealista di R.G. Collingwood. 27 Cuozz0 1996, p.3 Archeologia del culto ... 33 funerarie deve avvenire non in base al semplice esame delle necropoli, ma attraverso la ricostruzione del pit ampio contesto sociale coevo. Famoso é lo studio del 1982 di Parker-Pearson sul costume funerario della Cambridge moderna’. II risultato della sua indagine ha mostrato che mutamenti socio- economici hanno portato al cambiamento del simbolismo funerario ¢ dell’atteggiamento nei confronti della morte. Cosi nell’epoca vittoriana il rituale funebre costituiva un momento di competizione sociale con esibizione di ricchezza e di status. Nella Cambridge contemporanea, invece, una societa pure molto stratificata usa un costume funerario egualitario, mentre sono gli strati pid bassi della popolazione, gli zingari, a fare i funerali piti costosi ¢ le sepolture pit vistose. Un altro caso che si & voluto presentare per la sua efficacia esplicativa & quello del confronto tra le necropoli di Eretria ¢ quelle delle prime colonic euboiche dove i riti funerari dell’ Eubea furono “esportati”: Pithecussa e Cuma. Bruno D'Agostino sostiene che la necropoli va studiata come un “contesto strutturato” che offre una immagine non speculare ma metaforica del reale??, E vero infatti che rappresenta aspetti della realta socio-culturale della comunita di appartenenza ma riorganizzati secondo un proprio ordine simbolico ¢ mediati attraverso il filtro dell’ideologia. Partendo dall’esame della necropoli di Eretria dell’VIII secolo a.C. e in considerazione del particolare carattere della documentazione euboica nonché del precoce contatto che gli Euboici ebbero con le comuniti della costa tirrenica, D'Agostino studia i processi di «trasmissione di modelli ideologici tra societa dotate di potenziali culturali diversi»39. La stessa differenziazione di rituale usata ad Eretria per descrivere la composizione della comunita (sepolture di adulto a cremazione, le tombe di adolescente a inumazione in fossa e gli enchytrismoi per i bambini) si trova anche in ambito coloniale. Tuttavia le differenze tra i singoli insediamenti non sono poche. Le implicazioni di carattere eroico del rituale della cremazione di Eretria si ritrovano nella polis aristocratica di Cuma mentre a Pithecussa, citta di mercanti ¢ artigiani, esse sono remote ¢ si evince un dislivello sociale piuttosto modesto. Infine I'esempio di Pontecagnano serve a comprendere come il costume funerario “omerico”, trasmesso in Occidente per il tramite degli Eubei e di Cuma, sia «diventato l’elemento di omologazione dell’ élite dominante» (Fig. 1,1-3)!. Un chiaro intento di dimostrazione della validita di un metodo applicato a un contesto non sepolcrale € quello di Nicholas C. Vella nel suo articolo “Defining Phoenician Religious Space”32, Contrariamente a quanto si é detto a proposito dei vecchi studi degli anni °40, dove l’applicazione di un metodo contestuale 0 cognitivo 28° PARKER-PEARSON 1982. 29 D'AGOSTINO 1985; 1990. 30 D'AGOSTINO 1996, p. 460. 31 id, p. 463. 32 VELLA 2000. 34 I. Oggiano era “istintiva” e non esplicitata, lo studio di Vella ha proprio lo scopo di seguire passo il processo logico che é alla base della corretta identificazione di un sito come ioso”. La scelta non a caso é caduta su una delle non molte strutture dell’area levantina meridionale per le quali la natura cultuale é indubbia: il complesso templare di eta ellenistica di Umm el-‘Amed (Fig. 2,2). Il principio adottato da Vella @ quello hodderiano per cui nell’interpretazione bisogna seguire un processo logico all'interno del quale vi ¢ un doppio movimento, dai dati all’interpretazione e da questa di nuovo ai dati. L’argomento ¢ evidentemente cumulativo. L’intento dello studioso @ di rendere rigorosa la forma del ragionamento archeologico cercando di evitare le associazioni meccaniche cui gli archeologi fanno regolarmente ricorso attingendo al proprio personale bagaglio di conoscenze e di “erudizione”. L’identificazione della funzione religiosa del sito é data in questo caso non tanto dai confronti della tipologia architettonica con coevi edifici dell’area fenicia, quanto dalla ripetizione di simboli (dischi solari alati ¢ serpenti urei) scolpiti in posizione eminente sulle architravi dei vari ingressi: la cappella del trono, l’ingresso laterale sopra il podio del tempio e I’ingresso alla corte. Dopo aver ricercato il simbolo del disco solare alato all’interno di diverse categorie di oggetti (dalla glittica, alle coppe, alle stele) lo studioso “dimostra” cid che @ gia da tempo “intuitivamente” acquisito nella letteratura scientifica, cioe che la presenza del disco solare alato suggerisce immediatamente a chi guarda che si é di fronte a una scena di natura religiosa: dal re di Biblo che commemora la costruzione di un portico realizzato per la Baalat Gebal, la Signora di Biblo, seduta di fronte a lui, alla coppa di Preneste (datata alla fine VIII sec. a.C. 0 agli inizi del VII), dove il disco solare sovrasta un altare su cui un principe aveva sacrificato un cervo da lui cacciato. Anni ’90: ’archeologia cognitiva e le nuove tendenze del dibattito teorico Negli anni ’90 alcuni archeologi come Renfrew, Bahn e Zubrow, pur rivendicando la provenienza dalla Processual Archaeology, hanno in parte modificato le loro posizioni facendo propri aspetti della critica post-processuale come Iattenzione per il simbolismo, l’ideologia, il potenziale creativo della cultura materiale e cosi via*. Pur con un atteggiamento pitt conciliante verso le posizioni dei post-processualisti, non sono mancate le critiche nei confronti di certa archeologia strutturalista della quale non si condivideva la ricerca un po’ vaga (opaquely) «di alcune strutture mistiche profonde»34, 33 RENFREW - ZUBROW 1994, 34° RENFREW 1985, p. 17. Archeologia del culto ... E Renfrew e la sua “lecione”: gli indicatori archeologici per il riconoscimento del culto. La figura di Colin Renfrew é stata certo centrale per gli studi sull’archeologia del culto, II suo testo The Archaeology of Cult. The Sanctuary at Phylakopi, edito nel 1985, rappresenta ad oggi il tentativo pit riuscito di mettere a fuoco quelli che sono gli indicatori archeologici dell’attivita cultuale. Viene dapprima data una definizione di religione come «concettualizzazione da parte degli esseri umani di esseri soprannaturali che quindi trovano un posto nella mappa cognitiva comune del mondo», poi di archeologia del culto come il sistema di azioni strutturate in risposta alle credenze religiose. Secondo lo studioso, la difficolta maggiore che si incontra utilizzando la documentazione archeologica ¢ in assenza di testi é che le azioni “religiose” non sono chiaramente separate dalle altre azioni della vita quotidiana: il culto puo essere “incastonato” nelle azioni quotidiane ¢ pud diventare quindi difficile distinguere archeologicamente un’azione dall’altra. Uno dei primi problemi che si pone lo studioso inglese é poi quello di distinguere, all'interno delle testimonianze archeologiche, quelle che parlano dei rituali religiosi, cioé dell’esecuzione di atti che esprimono adorazione verso la divinita 0 l’essere trascendente, da quelle di tipo cerimoniale a carattere secolare, come ad esempio quelle che coinvolgono un capo di stato. A tal fine vengono enucleati almeno quattro componenti del rituale religioso rilevabili attraverso specifici indicatori archeologici: concentrazione dell'attenzione (collocazione topografica dei luoghi di culto, loro caratteristiche architettoniche, impianti fissi, suppellettile mobile e la ridondanza); esistenza di una “Liminal zone zona di confine tra il mondo terreno e I'Aldila (tipologia architettonica del luogo di culto © impianti per la purificazione); presenza della divinité (immagini di culto 0 simboli divini); partecipazione alle offerte (raffigurazioni iconografiche, resti ossei ¢ di sostanze organiche, presenza di oggetti votivi ed evidenze archeologiche di ricchezza) Se queste modalita di identificazione di un luogo di culto in base a degli specifici indicatori archeologici possono essere applicate a templi e santuari, assai maggiore é la difficolta quando si tratti di definire dei criteri di individuazione delle pratiche cultuali svolte in ambienti domestici. L’esistenza di queste forme di attivita ¢ testimoniata, oltre che dalle fonti scritte, anche da numerosi confronti etnografici, tanto che Rappaport sostiene che la presenza di angoli della casa “sacri” o privilegiati ¢ quasi universale. Vengono pertanto da lui distinte le modalita di identificazione delle attivita cultuali che avevano luogo in templi e santuari (Iuoghi in cui venivano praticati rituali pubblici e riservati all’intera comunita) da quelle utilizzate per l’individuazione dei cosiddetti domestic cults che venivano svolti in contesti domestic e privati da piccoli gruppi di persone unite da legami di parentela. Le difficolta di interpretazione di questi ultimi sono molte e distinguere la loro funzione cultuale impossibile in assenza di manufatti significativi. La lezione di Renfrew @ stata ampiamente seguita ed esempi di approccio rigoroso allo studio della documentazione archeologica relativa al culto sono ad oggi rintracciabili in diversi settori dell’archeologia, incluso quello classico. 36 I. Oggiano Si ricordano almeno due esempi di tentativi di normalizzazione dei criteri adottati per identificare un luogo come cultuale. Il primo é lo studio di Gesell sui luoghi di culto della Creta minoica, dove venne suggerita la seguente piccola regola (0 legge!): laddove c°é una stanza senza oggetti di culto la cui architettura ¢ localizzazione all’interno dell’ edificio é simile all’architettura e localizzazione di un altro vano cultuale sicuramente identificato come tale, & “ragionevole” concludere che la stanza aveva funzione cultuale; quando invece sono identificabili come cultuali 0 solo l’architettura o solo gli oggetti, allora non si potra che parlare di una “possibilita”35, Per l’ambito vicino-orientale si ricordano soprattutto gli studi di Alon e Levy del 1989 sul piccolo tempio calcolitico di Gilat nel Negev e quelli di Holladay jr. del 1987 sulla religione in Israele a Giuda nel periodo della monarchia e di Dever del 198756. Quest’ultimo, pur non approfondendo le questioni di tipo metodologico dal punto di vista teorico- si ritiene ispirato proprio dalla pubblicazione di Renfrew ~ suggerisce che dal punto di vista pratico vi siano quattro tipi di azioni basilari nel rituale religioso: 1) offerta di cibo e bevande 2) varie libagioni 3) sacrifici animali 4) possibili offerte di incenso37, Tra le testimonianze archeologiche che possono essere indicative per lo studio della religione egli individua l’architettura (strutture monumentali e templi locali e strutture cultuali in ambienti domestici), l’arte (sia monumentale che le cosiddette arti minori, ceramica e coroplastica, avori, sigilli e tessili), i manufatti (arredi fissi come banchette, altari, favissae, supporti, bacini, bracieri, incensieri, etc., oggetti pitt piccoli trasportabili come votivi di ogni tipo, maschere o aiuti nella divinazione), le sepolture 8, Di scuola inglese @ infine Gilmour il quale, in uno studio sull’archeologia del culto nel Levante meridionale nel Ferro I, ha tentato di affinare il metodo di Renfrew con l’aggiunta di ulteriori parametri di tipo numerico per la designazione del grado di affidabilita della definizione del luogo di culto, da inserire all’interno di una ipotetica linea “grafico-interpretativa”. Secondo lo studioso vi sono casi per i quali é indubbio il carattere cultuale, come ad esempio i templi, dal momento che spesso hanno una localizzazione specifica e significativa, precise caratteristiche architettoniche ¢ particolari manufatti associati. Altri siti invece non hanno chiare associazioni di attributi e¢ si trovano quindi all’estremita opposta di un‘ipotetica linea “grafico- interpretativa”. Espresso numericamente, questo continuum sarebbe rappresentato da un set di valori compreso tra 0 e 10, dove 0 é “non cultuale”, ¢ 10 é “sicuramente cultuale”. 35. GESELL 1985, p. 2. 36 ALON ~ LEVY 1989; HOLLADAY jr. 1987; DEVER 1987. 37 DEVER 1987, pp. 222-226, 229. 38° DEVER 1983, pp. 72-573. Archeologia del culto ... 37 La ricomposizione del conflitto e Varcheologia “olistica” di Flannery e Marcus Nel dibattito teorico le posizioni si mostrano ormai pit sfumate ed @ manifesto il tentativo di integrare gli studi dedicati agli aspetti materiali della vita con quelli indirizzati alla ricostruzione della dimensione spirituale. Si devono ricordare vari casi di ricomposizione del conflitto: se gid da tempo I’attivita di un archeologo come Leroi- Gourhan aveva conciliato l’attivita tecnica con l’analisi di tematiche simboliche (famosi sono i suoi studi sulle pitture delle grotte del Paleolitico in prospettiva strutturalista)>, pit recenti sono gli studi di antichi processuali come Flannery il quale propone di sostituire la denominazione “archeologia cognitiva” con quella di holistic archaeology, volendo in tal modo assegnare alle variabili cognitive un uguale peso rispetto a quelle ecologiche, economiche e sociopolitiche*?. Un esempio di rivisitazione della posizione processuale @ il lavoro di Marcus e Flannery sulla religione Zapotec (Fig. 2,1). In esso vengono affrontate le diverse possibilita di indagine che, non mutuamente esclusive, andrebbero poste in relazione Tuna con 'altra. I tre metodi applicati alla trattazione della religione Zapotec sono: 1) PApproccio Storico Diretto (DHA): é visto come un modo di lavorare all’indietro dal conosciuto allo sconosciuto, usando i dati etnografici e etnostorici per interpretare i resti preistorici. E evidente che questo metodo funziona meglio quando gli archeologi possono mostrare una certa continuita tra il dato archeologico e il presente etnografico, in altre parole quando essi mostrano plausibilmente che lo stesso gruppo etnico- linguistico ha continuamente occupato I’area dalla preistoria fino ai tempi storici; 2) Fanalisi dell’architettura e dello spazio pubblico: studio del modello di cambiamento dell’architettura. pubblica 0 I’uso dello spazio pubblico dato che “molti principi ideologici e religiosi sono espressi nei resti fisici”: 3) Panalisi contestuale dei parafernalia religiosi. XXI secolo: la New Age della scienza ¢ le diffici «ll XXI secolo sara religioso 0 non sara». Con questa famosa frase, attribuita a André Malraux, Jean-Paul Demoule inizia il suo articolo “The Archaeology of Cult and Religion: A Comment, or How to Study Irrationality Rationally” pubblicato nel volume di Biehl e Bertemes, The Archaeology of Cult and Religion del 2001. L’affermazione sarebbe sintomatica, secondo lo studioso, dello stato corrente delle ideologie nella societa occidentale che vede da un lato la crisi delle grandi religioni monoteistiche, non pid capaci di spiegare il mondo, se non in modo marginale, dall’altra l'emergere ¢ lo sviluppo di fenomeni come I'astrologia, l'esoterismo, le sette, le credenze nei fenomeni paranormali e negli UFO ¢ il fiorire di movimenti New Age. Questa nuova visione del mondo ha i suoi riflessi anche negli ambienti scientifici. Una conseguenza positiva di cid & che lo spirito dei tempi e l’attuale contesto ideologico indirizzano la ricerca archeologica (¢ non solo) verso un rinnovato interesse alle tematiche religiose, tanto rospettive della ricerea 39 LEROI-GOURHAN 1968, 40 MARCUS - FLANNERY 1994, p. 55. 38 1. Oggiano che a questi argomenti si dedicano sempre pit incontri e congressi. Pericoloso @ invece il fatto che i dibattiti intono ai temi archeologici ¢ storico-religiosi possano diventare sempre pili generici e superficiali (e non divulgativi, ché la buona divulgazione deve avere sempre alla base il rigore scientifico), volutamente distanti dai contesti scientifici. Ma si potrebbe dire che il pericolo maggiore risiede nel carattere che la discussione rischia di assumere all’interno degli stessi ambienti della ricerca. E certo, infatti, che ’interesse verso le tematiche religiose e verso l’archeologia possono riavvicinare il pubblico pitt vasto dei non addetti ai lavori a queste discipline dall’indubbio fascino (si veda la figura dove é rappresentato con ironia lirritata distrazione del “public family” dal dibattito teorico, Fig. 2,3) e riassegnare alle scienze umane il ruolo che loro spetta all’interno della societa civile. Tuttavia il rischio é che oggi questo interesse diffuso influenzi in modo negativo l’impostazione non solo teorica ma contenutistica della ricerca. Tale rischio é ben sintetizzato nelle parole di Demoule circa la formulazione, oggi, di un’ipotesi scientifica: «To summarize, one can say that in order to obtain wide media coverage (and gain substantial funding for its investors) a research hypothesis must fulfil three criteria. a) it must be easy to understand b) it must employ spectacular, advanced technology and c) above all, it must relate to a great biblical myth»4!, L’amara considerazione di Demoule é di grande attualita e invita a una riflessione finale. Ci si auspica infatti che archeologi e storici delle religioni, pur utilizzando metodi ¢ approcci diversi, valorizzino comunque la diversita dello sviluppo culturale, sociale e religioso delle varie realta esaminate e continuino a svolgere le loro ricerche avendo come obiettivo lo “scambio” delle idee piuttosto che la pericolosa “mercificazione” di queste ultime. 41 DEMOULE 2001, p. 279. Archeologia del culto ... 39 Bil iografia ALON ~ LEVY 1989 D. Alon ~ T.E. Levy, “The Archaeology of Cult and Calcolithic Sanctuary at Gilat”, Journal of Mediterranean Archaeology 2/2, pp. 163-221. BARBANERA 1998 M. Barbanera, L'archeologia degli italiani. Storia metodi e orientamenti dell’ archeologia classica in Italia, Roma. BARRETT 1991 J.C. Barret, “Towards an Archaeology of Ritual”, in P. Garwood et al. (edd.), Sacred and Profane. Proceed. of a Conference on Archaeology, Ritual and Religion, Oxford University Committee for Archaeology. Monograph n. 32, Oxford, pp. 1-9. BIEHL — BERTEMES (edd.) 2001 P.F. Biehl - F. Bertemes (edd.), The Archaeology of Cult and Religion, Budapest. BINFORD 1981 L.R. Binford, Ancient Men and Modern Myths, New York. BOROWSKY 1955 0. Borowsky, “Hezekiah’s Reforms and the Revolt against Assyria”, Biblical Archaeologist 58/3, pp. 148-155. CHAPMAN ~ KINNES — RANDSBORG (edd.) 1981 R.W. Chapman ~ S. Kinnes - K. Randsborg (edd.), The Archaeology of Death, Cambridge. CUOZZO 1996 M.A. Cuozzo, “Prospettive teoriche e metodologiche nell’interpretazione delle necropoli: la Post-Processual Archacology”, Annali dell'Istituto Orientale di Napoli. Sezione di Archeologia e Storia Antica 3, pp. 1-37. Cu0zZO 2000 M.A. Cuozzo, “Orizzonti teorici e interpretativi tra percorsi di matrice francese, archeologia post-processuale ¢ tendenze italiane: considerazioni e indirizzi della ricerca per lo studio delle necropoli” in TERRENATO (ed.) 2000, pp. 323-360. D' AGOSTINO 1985 B. D'Agostino, “Societa dei vivi, comunita dei morti”, Dialoghi di archeologia, III serie, 3/1, pp. 47-58, D' AGOSTINO 1990 B. D'Agostino, “Problemi d’interpretazione delle necropoli”, in R. Francovich - D. Manacorda (edd.), Lo scavo archeologico dalla diagnosi all'edizione, Firenze, pp. 401- 420. D’AGOSTINO 1996 B. D'Agostino, “La necropoli e i rituali della morte” in S. Settis (ed.), J Greci. Storia, Cultura, Arte, Societé, Vol. 2, Torino, pp. 434-470. 40 1. Oggiano DEMOULE 2001 J.P. Demoule, “Archaeology of Cult and Religion: A Comment, or How to Study Irrationality Rationally” in BIEHL ~ BERTEMES (edd.) 2001, pp. 279-284. DEVER 1983 W.G. Dever, “Material Remains and the Cult in Ancient Israel: An Essay in Archaeological Systematics” in C.L. Meyers - M. O°Connor (edd.), The Word of the Lord Shall Go Forth. Essays in Honor of David Noel Freedman in Celebration of His Sixtieth Birthday, Winona Lake, pp. 571-587. DEVER 1987 W.G. Dever, “The Contribution of Archaeology to the Study of Canaanite and Early Israelite Religion”, in MILLER ~ HANSON ~ MCBRIDE 1987, pp. 209-247. EVENS 1982 T.M.S. Evens, “On the Social Anthropology of Religion”, Journal of Religion 62/4, pp. 376-391. FLANNERY 1976 K. Flannery, “Interregional Religious Networks”, in K. Flannery (ed.), The Early Mesoamerican Village, New York, pp. 329-333 FRANKFORT — WILSON — JACOBSEN (edd.) 1949 H. Frankfort ~ J.A. Wilson ~ T. Jacobsen (edd.), Before Philosophy, Chicago. GESELL 1985 G.C. Gesell, “Town, Palace and House Cult in Minoan Crete”, Studies in Mediterranean Archaeology 67, Goteborg. GIANNICHEDDA 2002 E. Giannichedda, Archeologia teorica, Roma. GILMOUR 1995 G.H. Gilmour, The Archaeology of the Cult in the Southern Levant in the Early Iron Age: An Analytical and Comparative Approach, Ph.D. Diss., University of Oxford. GILMOUR 2000 G.H. Gilmour, “The Archaeology of the Cult in the Ancient Near East: Methodology and Practice”, Old Testament Essays 13/3, pp. 283-292. COLE 1985 S.G. Cole, “Archaeology and Religion”, in N.C. Wilkie - W.D.E. Coulson (edd.), Contribution’ to Aegean Archaeology. Studies in Honour of William A. McDonald, Minneapolis, pp. 49-59. HAWKES 1954 C. Hawkes, “Archaeology Theory and Method: Some Suggestion from the Old World”, American Anthropologist 56, pp. 155-168. HODDER 1982 I. Hodder, Symbols in Action, Cambridge. Archeologia del culto ... 4 HODDER 1985 I. Hodder, “Post-Processual Archaeology”, in M.B. Shiffer (ed.), Advances in Archaeological Method and Theory, I-V1, New York. HODDER 1986 I. Hodder, Reading the Past. Current Approaches to the Interpretation in Archaeology, Cambridge (2° edizione 1991). HODDER 1992 I. Hodder, Theory and Practice in Archaeology, London. HOFSTEE 1986 W. Hofstee, “The Interpretation of Religion. Some Remarks on the Work of Clifford Geertz”, in H.G. Hubbeling — H.G. Kippenberg (edd.), On Symbolic Representation of Religion, Berlin-New York, pp. 70-83. HOLLADAY jr. 1987 J,S. Holladay jr., “Religion in Israel and Judah Under the Monarchy: An Explicitely Archaeological Approach”, in MILLER - HANSON ~ MCBRIDE (edd.) 1987, pp. 249- 299, KEEL — UEHLINGER 1998 O. Keel — C. Uehlinger, Goddesses, Gods and Images of God in Ancient Israel, Edinburgh-Minneapolis. LAFFINEUR 1988, R. Laffineur, “Archéologie et religion: problémes et méthodes”, Kernos, 1, pp. 129- 140. LEROI-GOURHAN 1968 A, Leroi-Gourhan, The Art of Prehistoric Man in Western Europe, London. MARCUS — FLANNERY 1994 J. Marcus — K.V. Flannery, “Ancient Zapotec Ritual and Religion: an Application or the Direct Historical Approach”in RENFREW ~ ZUBROW 1994, pp. 55-74. MARX 1965 K. Marx, “Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione (1844)”, in Annali franco-tedeschi, ed. Del Gallo, Milano. MILLER — HANSON ~ MCBRIDE (edd.) 1987 P.D. Miller - P.D. Hanson — $.D. McBride (edd.), Ancient Israelite Religion: Essays in Honor of Frank Moore Cross, Philadelphia. Moscat! 1996 P. Moscati, “Archeologia Quantitativa: nascita, sviluppo e ‘crisi’ ", Archeologia e Calcolatori 7, pp. 579-590. Morris 1987 I. Morris, Burial and Ancient Society. The Rise of the Greek City State, Cambridge. 2 I. Oggiano Moorey 1991 PRS. Moorey, A Century of Biblical Archaeology, Cambridge OGGIANO 2005 I. Oggiano, Dal terreno al divino. Archeologia del culto nella Palestina del I millennio, Roma. O'SHEA 1981 J.M. O’Shea, “Social Configurations and the Archaeological Study of Mortuary Practices”, in CHAPMAN — KINNES — RANDSBORG (edd.) 1981, pp. 39-52. O'SHEA 1984 J.M. O’Shea, Mortuary Variability, New York. PAKKANEN 2000-2001 P. Pakkanen, “The Relationship between Continuity and Change in Dark Age Greek Religion. A Methodological Study, Opuscula Atheniensia 25-26, pp. 71-89. PARKER-PEARSON 1982 M. Parker-Pearson, “Mortuary Practices, Society and Ideology: an Ethno- archaeological Study”, in I. Hodder (ed.), Symbolic and Structural Archaeology, Cambridge, pp. 99-114. PRITCHARD 1965 J.B. Pritchard, “Archaeology and the Future of Biblical Studies: Culture and History”, in J.P. Hyatt (ed.), The Bible in Modern Scholarship, Nashville and New York, pp. 313-324. RAPPAPORT 1971 R.A. Rappaport, “Ritual, Sanctity, and Cybernetics”, American Anthropologist 73, pp. 59-76. RENFREW 1985 C. Renfrew, The Archaeology of Cult. The Sanctuary at Phylakopi, British School of Archaeology at Athens, London. RENFREW 1994 C. Renfrew, The Archaeology of Religion, in RENFREW ~ ZUBROW 1994, pp. 47-54. RENFREW ~ BAHN 1991 C. Renfrew - P. Bahn, Archeologia. Teorie, Metodi, Pratica, Bologna (tr. it. di Archaeology. Theories, Methods and Practice, London). RENFREW ~ ZUBROW 1994, C. Renfrew — E.B.W. Zubrow (edd.), The Ancient Mind. Elements of Cognitive Archaeology, Cambridge SHANKS ~ TILLEY 1992 M. Shanks - C. Tilley, Re-constructing Archaeology. Theory and Practice, London- New York. Archeologia del culto B TERRENATO 1998 N. Terrenato, “Fra tradizione e trend. L’ultimo ventennio (1975-1997)", in BARBANERA 1998, pp. 175-192. TERRENATO (ed.) 2000 N. Terrenato (ed.), Archeologia teorica. Decimo ciclo di lezioni sulla ricerca applicata all’archeologia, Certosa di Pontignano (Siena), 9-14 agosto 1999, Firenze. VELLA 2000 N.C. Vella, “Defining Phoenician Religious Space: Oumm el ‘Amed Reconsidered”, Ancient Near Eastern Religions 37, pp. 27-55. WHITLEY 1991 J. Whitley, Sle and Society in Dark Age Greece, Cambridge. 44 I. Oggiano Fig. 1 1: Pithecussa. Necropoli di San Montano (D’AGOSTINO 1996, fig. 8); 2: edifici dello heron di Eretria (ibid, fig, 7); 3: Pontecagnano. Tomba n. 928 (ibid. fig. 9). Archeologia del culto ... 45 Fig. 2 I: frammento di vaso dalla valle di Oaxaca (MARCUS - FLANNERY 1994, fig. 7.9); 2: ricostruzione del tempio orientale di Umm-el *Amed (rielaborata in VELLA 2000, fig. 4); 3: disegno da M. Johnson, Archaeological Theory. An Introduction, Oxford 1999,

You might also like