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Il principio di Precauzione
IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE
I COSTI DELLA
NON-SCIENZA
21mo SECOLO
5
INDICE
Presentazione VII
Manifesto IX
Roberto De Mattei
Indirizzo di saluto 5
Umberto Veronesi
Un’alleanza per la scienza 21
Franco Battaglia
Il Principio di Precauzione: precauzione o rischio? 27
Carlo Bernardini
Radici filosofiche e utilizzazione sociale del Principio
di Precauzione 65
Tullio Regge
Il Principio di Precauzione: un trucco verbale 71
Umberto Tirelli
Il Principio di Precauzione e la salute 75
Francesco Sala
Piante GM: una grande opportunità per l’agricoltura italiana 81
6 I costi della non-scienza
Ingo Potrykus
Green biotechnology could save millions of lives, but it cannot
because of anti-scientific, extreme-precautionary regulation
Le biotecnologie in agricoltura potrebbero salvare milioni di vite,
ma normative anti-scientifiche ed eccessivamente precauzionali
lo impediscono 89
Paolo Sequi
Il Principio di Precauzione e le problematiche ambientali
relative al suolo 111
Paolo Vecchia
Il Principio di Precauzione per i campi elettromagnetici:
giustificazione ed efficacia 141
Luciano Caglioti
Il paradosso dei rifiuti 155
Cesare Marchetti
Prospettive dell’economia a idrogeno 161
Ernesto Pedrocchi
Il Principio di Precauzione 177
Silvano Fuso
Principio di Precauzione e pseudoscienze 181
Ringraziamenti 189
7
GALILEO 2001
PER LA LIBERTÀ E LA DIGNITÀ DELLA SCIENZA
MANIFESTO
U
n fantasma si aggira da tempo nel Paese, un fantasma che
sparge allarmi ed evoca catastrofi, terrorizza le persone, addi-
ta la scienza e la tecnologia astrattamente intese come nemi-
che dell’uomo e della natura e induce ad atteggiamenti antiscientifici
facendo leva su ingiustificate paure che oscurano le vie della ragione.
Questo fantasma si chiama oscurantismo. Si manifesta in varie for-
me, tra cui le più pericolose per contenuto regressivo ed irrazionale
sono il fondamentalismo ambientalista e l’opposizione al progresso
tecnico-scientifico. Ambedue influenzano l’opinione pubblica e la po-
litica attraverso una comunicazione subdola: l’invocazione ingiustifi-
cata del Principio di Precauzione nell’applicare nuove conoscenze e
tecnologie diviene una copertura per lanciare anatemi contro il pro-
gresso, profetizzare catastrofi, demonizzare la scienza.
Non si tratta, quindi, di una giustificabile preoccupazione per le ri-
percussioni indesiderate di uno sviluppo industriale ed economico
non sempre controllato, ma di un vero e proprio attacco contro il pro-
gresso. L’arroganza e la demagogia che lo caratterizzano non solo umi-
liano la ricerca scientifica – attribuendole significati pericolosi ed im-
ponendole vincoli aprioristici ed arbitrari – ma calpestano il patrimo-
nio di conoscenze che le comunità scientifiche vanno accumulando e
verificando, senza pretese dogmatiche, con la consapevolezza di offri-
re ragionevoli certezze basate su dati statisticamente affidabili e speri-
mentalmente controllabili.
Il fatto che le conoscenze scientifiche, per la natura stessa del me-
todo di indagine e di verifica dei risultati, si accreditino con spazi di
dubbio, sempre riducibili ma mai eliminabili, costituisce l’antidoto
principale – che è proprio dell’attività scientifica – verso ogni forma di
8 I costi della non-scienza
Membri Fondatori:
Franco Battaglia, Università di Roma Tre
Carlo Bernardini, Università di Roma La Sapienza
Tullio Regge, Premio Einstein per la Fisica
Renato Angelo Ricci, Presidente onorario Società Italiana di Fisica; già
Presidente Società Europea di Fisica
10 I costi della non-scienza
Consiglio Direttivo
Consiglieri
Collegio Sindacale
Segretario Generale
INTRODUZIONE
Giorgio Salvini 1
Presidente Onorario Galileo 2001
L’
Associazione Galileo 2001 ha molto appropriatamente scelto il
tema del Principio di Precauzione per presentarsi per la prima
volta all’attenzione del pubblico, degli organi d’informazione e
dei responsabili politici. Il titolo più preciso del volume – che racco-
glie le relazioni presentate al I Convegno Nazionale dell’Associazione,
tenutosi a Roma il 19 febbraio 2004, ospitato nella sede del Consiglio
Nazionale delle Ricerche – che è anche quello del convegno stesso, è
Il Principio di Precauzione: i costi della non-scienza.
Il volume comincia con le prolusioni del presidente, Renato Ange-
lo Ricci e di Umberto Veronesi, che assieme a me ricopre la carica di
presidente onorario dell’associazione. Ricci, che è stato per 17 anni
presidente – ora onorario – della Società Italiana di Fisica. Ricci, che
durante la sua carriera di fisico non ha mai trascurato un ininterrotto
impegno civico di partecipazione alla vita del nostro paese, ci spiega le
motivazioni della nascita dell’Associazione. Un’alleanza per la scienza,
la chiama Umberto Veronesi, una figura ben nota al grande pubblico
e che, per l’impegno profuso nella lotta contro uno dei più terribili
mali che affliggono l’umanità e per la sua carica di umanità è nel cuore
di tutti gli italiani.
Le relazioni vere e proprie sul tema cominciano con quella di Fran-
co Battaglia, cui va il riconoscimento di aver voluto che quello del
Principio di Precauzione fosse il tema della conferenza. Battaglia, dopo
averci reso partecipe degli eventi personali che lo hanno convinto ad
impegnarsi ad affermare le finalità di Galileo 2001, discute con dovi-
zia di particolari i limiti e, soprattutto, i rischi del Principio di Precau-
INDIRIZZO DI SALUTO
Roberto De Mattei
Sub-Commissario CNR
Signore e Signori,
1
Steven Milloy, Science without Sense, Cato Institute, Washington, DC, 1996
2
Franco Battaglia, Elettrosmog, un’emergenza creata ad arte, Leonardo Facco
Editore, 2002, p. 109
3 Franco Battaglia, loc. cit. p. 109
Indirizzo di saluto 19
2273-2276.
20 I costi della non-scienza
E
sattamente un anno fa – il 19 febbraio 2003 – si è costituita la
nostra Associazione. Per questo, il 19 febbraio sarà d’ora in
poi la data del nostro Convegno Nazionale. Ma Galileo 2001
era già un movimento nato due anni prima, il 17 luglio 2001, a seguito
di una serie di iniziative che si proponevano di dare corpo ad una esi-
genza ormai esplicita di buona parte della comunità scientifica nazio-
nale: affermare la necessità del valore primario della scienza, in parti-
colare nelle questioni ambientali.
Oggi l’ufficio o compito di occuparsi delle sorti del pianeta, della
salvaguardia dell’ambiente naturale, dell’habitat umano, della salute,
viene svolto da molti – panel internazionali, agenzie, commissioni, asso-
ciazioni varie, organizzazioni più o meno volontarie – e si rifà non solo
e non tanto a vocazione o idealità, ma ormai – il che potrebbe essere in-
teso come dovere sociale e assenso politico necessario – a impegno so-
cio-economico che dovrebbe avere un solido supporto tecnico-scientifico.
Tuttavia, mentre il dato socio-politico e la sua estrapolazione eco-
nomica e perfino finanziaria (il business ecologico) è più che acquisito,
tanto da esser divenuto – negli ultimi decenni – patrimonio della bu-
rocrazia di potere, oltre che strumento di condizionamento pubblico,
il dato tecnico-scientifico, indispensabile per comprendere e governare
il problema è lungi dall’essere adeguatamente assicurato.
Ne consegue che la consapevolezza sociale e la responsabilità poli-
tica non sempre si trovano nella condizione o nella capacità cognitiva
di seguire, approfondire ed accettare l’evoluzione scientifica e le sue
ricadute tecnologiche, e di appropriarsi di una cultura adeguata e dif-
fusa, necessaria alla definizione di posizioni e decisioni conseguenti e
basate su conoscenze affidabili.
22 I costi della non-scienza
1 Trascurando il fatto che già oggi, per esempio in Europa, si è in largo ecces-
creta delle conseguenze delle nostre azioni in senso sia negativo che
positivo.
Una volta introdotto, il criterio del rapporto rischi/benefici diviene
uno strumento, se concepito in termini integrati (economia, salute,
ambiente, scientificità), più adeguato per gestire i veri problemi e le
possibili emergenze.
Può essere interessante far notare come tale concetto sia collegato
ad una evoluzione socio-politica che, partendo da posizioni concettua-
li esagerate in un senso (minimizzazione dei rischi ed enfatizzazione
dei benefici) abbia via via portato ad una esagerazione opposta (enfa-
tizzazione dei rischi e minimizzazione dei benefici). Il tutto certamen-
te legato a valutazioni spesso troppo qualitative. È la scienza che ha
dato e può dare un inestimabile contributo (perché misurabile e quan-
titativo) al bilanciamento corretto dei due termini-confronto.
In effetti, si consideri come ci si rapporta rispetto ad ogni processo
evolutivo (dinamica della società).2 Un cambiamento può rendere il
mondo o più sicuro o più pericoloso. Bisogna prendere in considerazio-
ne entrambi i casi.
In un mondo perfetto si potrebbe sempre distinguere fra i due casi
in modo schematico (si/no). Nel mondo reale ciò non è possibile, e si
presentano due tipi di errori.
L’errore di primo tipo può enunciarsi così:
Un cambiamento, in realtà pericoloso, viene ritenuto invece tale da
rendere il mondo più sicuro (esempi tipici: l’uso dell’amianto e del ta-
lidomide).
L’errore di secondo tipo è così esprimibile:
Un cambiamento che migliora la sicurezza (sostanzialmente benefi-
co) viene invece considerato pericoloso (esempi: beta bloccanti, DDT,
OGM). È chiaro che il concetto di cambiamento qui va inteso in sen-
so lato relativo all’utilizzazione di strumenti, di tecnologie, di approcci
innovativi, etc.
La sfida intellettuale, ma anche socio-politica, è trovare il giusto
punto di equilibrio, ed è evidente che il parametro di misura è il rap-
porto rischio/beneficio. Da una parte vi è il pericolo di correre troppo
2
Queste considerazioni sono riprese da Statistica e teorie della decisione di
Fred Smith (Competitive Enterprise Institure, Conferenza ALEPS, Parigi, 2000).
Perché Galileo 2001 29
Umberto Veronesi 1
Presidente Onorario dell’Associazione Galileo 2001
R
ingrazio gli organizzatori per questo invito. Sono stato tra i pri-
mi sostenitori di questo Movimento, quindi mi fa piacere vede-
re come stia crescendo e stia avendo anche il successo di pub-
blico che si merita.
Partendo proprio dall’osservazione del distacco che si è creato tra
il mondo della scienza e la società, un distacco non nuovo, accentuato
dal fatto che la scienza di oggi ha assunto un’evoluzione vigorosa, gra-
zie al fatto che sono entrate nel mondo scientifico nuove aree di svi-
luppo, quali: l’informatica, le biotecnologie, le telecomunicazioni, che
non esistevano fino a pochi decenni fa e che hanno dato un’accelera-
zione notevole. Come sempre, quando si va molto velocemente c’è
una reazione che è proporzionale e contraria alla velocità dell’evolu-
zione.
D’altro canto, questa dissociazione non è nuova se pensiamo
all’enunciazione della teoria eliocentrica di Copernico che è del 1543.
Se andiamo a guardare la storia del secolo successivo, il cittadino eu-
ropeo ha incominciato a pensare che forse Copernico aveva ragione
solo verso la fine del ’600, quindi un secolo e mezzo dopo. C’è sempre
un lungo periodo di riflessione – chiamiamolo così – prima di accetta-
re le grandi novità.
D’altra parte la storia della scienza è stata una storia a singhiozzo.
Abbiamo avuto periodi di grandi accelerazioni e di battute d’arresto,
se pensate che nella Mesopotamia di 4000 anni fa nel giro di cento an-
ni è stato scoperto l’aratro, l’irrigazione, l’astronomia, la scuola, buona
parte del linguaggio; per poi avere un lungo periodo di silenzio fino al
vette bere la cicuta per aver affermato di non credere negli dei
dell’Olimpo. E poi il nostro sodalizio si chiama “Galileo” e questo già
ci ricorda come Galileo Galilei abbia rappresentato la grande dimo-
strazione della difficoltà della scienza a svilupparsi all’interno di un
mondo pervaso dalla fede. Ci sono state delle eccezioni certamente:
Gregor Mendel, un monaco all’interno di un convento, ha scoperto le
basi della genetica, e Copernico stesso era un religioso, era un canoni-
co, aveva preso i voti. Infatti, io mi sorprendo sempre come abbia po-
tuto (in quel periodo, la metà del ’500) aver scritto un libro così forte,
così violento nei riguardi anche delle concezioni bibliche del mondo,
il famoso volume De Revolutionibus orbium coelestium e che fu posto
sul suo letto di morte due giorni prima che concludesse la sua esisten-
za. Mi chiedo come abbia potuto avere questo coraggio: un libro che
ha lasciato in eredità un rivolgimento delle idee, che doveva avere in-
fluenze enormi sulla visione del ruolo dell’uomo nell’universo, giacché
da quel momento l’uomo doveva smettere di credersi al centro
dell’universo. Quindi un capovolgimento anche filosofico di grandi
proporzioni. Se ci pensiamo bene, Copernico ha potuto fare questo
perché l’Europa era scossa da una fortissima incertezza a livello teolo-
gico dovuta allo scisma luterano di pochi anni prima.
Se guardiamo in questi giorni la legge sulla fecondazione assistita,
vediamo che è fortemente influenzata da pensieri che non sono razio-
nali, che non sono pensieri di scienza ma sono pensieri di fede e quin-
di dobbiamo renderci conto che ancora oggi siamo in questo dibatti-
to, forse meno violento (non ci porterà certo a guerre di religione), ma
dobbiamo rendercene conto e prenderne atto, e naturalmente agire
con la nostra solita fermezza. Lasciando libero ad ognuno il proprio
pensiero, la propria fede, ma pensando che in un mondo che è sempre
più pluralistico, sempre più policonfessionale, una religione non deve
avere il sopravvento sulle altre o su chi non ha il bisogno della fede.
Il terzo problema che è venuto fuori e da cui voglio prendere spun-
to dopo le bellissime parole del nostro presidente, è quello della rea-
zione popolare da cui è nato proprio il PdP, perché è un principio
ideologico e politico, non certo un principio scientifico. La precauzio-
ne non è quantificabile, è un atteggiamento dell’uomo come la pru-
denza, come il coraggio o come la voglia di conoscere. Sono tutti at-
teggiamenti naturali che si sono sviluppati nei millenni e quindi niente
34 I costi della non-scienza
IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE:
PRECAUZIONE O RISCHIO?
Franco Battaglia
Università di Roma Tre
Sommario
S
osterremo qui l’opportunità, se non la necessità, di sopprimere
il Principio di Precauzione (PdP). Il PdP è, innanzitutto, mal po-
sto: la certezza scientifica è sempre assente. Poi, esso è ambiguo,
visto che può essere invocato sia per intraprendere un’azione che la
sua opposta. Infine, il PdP è, a dispetto del suo nome, rischiosissimo,
come numerosi esempi testimoniano. Con le facili critiche cui l’enun-
ciato si espone, chiamarlo “principio” è quanto meno azzardato.
Quindi, l’enunciato del PdP non ha nulla che gli consente di fregiarsi
dell’appellativo di “principio”, e non ha nulla a che vedere con la
“precauzione”. Termino con un appello alle società scientifiche affin-
ché riflettano sull’opportunità di promuovere, presso i livelli istituzio-
nali, azioni atte alla soppressione del PdP ed, eventualmente, se pro-
prio si sentisse il bisogno di un principio guida, di sostituirlo col Prin-
cipio di Priorità, che viene enunciato.
1 Il Giornale, 27.9.2000.
2 Si veda Il Giornale, alle date: 18.7.2000, 4.9.2000, 15.9.2000, 27.9.2000.
3 G. Perna, «Il catastrofismo è un’arma elettorale», Il Giornale, 22.10.2000.
4 G. Perna, «Il ministro va alla guerra contro il Prof. Battaglia», Il Giornale,
31.10.2000.
5 G. Perna, «L’astrofisico assolve l’ammazza-ecologisti», Il Giornale,
12.11.2000.
6 Inutile specificarlo, Regge – da gentiluomo qual è – non apostrofò così Mat-
7Per il testo della lettera a Ciampi e l’elenco dei firmatari, si consulti il sito
dell’associazione: www.galileo2001.it
8 Comunicazione personale della signora Angela Rosati (ora Segretario Gene-
rale dell’Associazione).
Il principio di precauzione: precauzione o rischio? 41
Il più grave difetto del PdP, però, è che esso è rischiosissimo, il che
suonerebbe alquanto ironico se non fosse tremendamente tragico. An-
cora una volta, alcuni esempi chiariranno i termini della questione.
11 http://europa.eu.int/comm/dgs/health_consumer/library/pub/pub07en.pdf.
44 I costi della non-scienza
12 Qualcuno ha detto che la causa del caso della mucca pazza andava ricercata
nel fatto che erbivori erano stati forzati a diventare carnivori. Come osservato,
l’uso di quelle farine come integratore alimentare è perfettamente legittimo. D’al-
tra parte, alcuni anni fa fu necessario sterminare tutti i visoni di diversi alleva-
menti nel Wisconsin che avevano contratto quel morbo per essere stati nutriti
con farine animali infette: ma i visoni sono carnivori.
Il principio di precauzione: precauzione o rischio? 45
me viene spacciato.
15 Anche se le quantità di rifiuti radioattivi italiani non giustificherebbero,
dosi annue di anche 100 mSv, senza che si siano riscontrate in esse
maggiori incidenze di alcun tipo di malattia correlabile alle radiazioni.
Allora, le centinaia di test nucleari che le ragioni militari hanno pur-
troppo voluto, hanno influito pressoché zero sulla dose media di ra-
dioattività, e così sarebbe anche se tutta la radioattività da tutte le cen-
trali nucleari esistenti, per un’ipotetica serie d’incidenti, andasse a
contaminare l’ambiente. In definitiva, il rischio di contaminazione ra-
dioattiva dall’uso del nucleare è semplicemente inesistente 17.
Rimane il rischio di incidente. Effettivamente, questo esiste (ma
qual è l’attività umana che ne è esente?), come gli incidenti di Three-
Mile Island (1979) e di Chernobyl (1986) dimostrano. Il primo non ha
avuto effetti sanitari di nessuna natura. Il secondo è stato l’incidente
più grave mai occorso in 50 anni di uso civile del nucleare. Esso, però,
lungi dal dimostrare che il nucleare è pericoloso, ne testimonia, piut-
tosto, la sicurezza. L’UNSCEAR (la Commissione Onu sugli effetti
delle radiazioni atomiche) ha prodotto inequivocabili rapporti sugli
effetti, a 15 anni di distanza, dell’incidente di Chernobyl.
Ebbene, il verdetto è il seguente. Il giorno dell’incidente morirono
3 lavoratori della centrale (2 sotto le macerie dell’esplosione e uno
d’infarto). Nel mese successivo furono ricoverati in ospedale 237 – tra
lavoratori alla centrale e soccorritori – per dosi eccessive di radiazio-
ne; di essi 28 morirono nei successivi tre mesi. Dei rimanenti 209, ne
sono morti, a oggi, altri 14 (di cui uno in un incidente automobilisti-
co): gli altri 195, di quei 237 ricoverati per dosi eccessive di radiazio-
ne, sono ancora vivi. L’unico effetto sanitario statisticamente anomalo
e, quindi, attribuibile alla contaminazione radioattiva conseguente
all’incidente, è stato un enorme aumento nell’incidenza dei tumori alla
tiroide in individui che nel 1986 erano bambini: sono stati riportati, si-
no ad oggi, quasi 2000 casi. Di questi, 3 hanno degenerato sino al de-
cesso del malato. In conclusione, all’incidente di Chernobyl, il più
grave incidente dell’uso civile del nucleare, non sono attribuibili, sino
ad oggi, più di 48 morti: 31 (3+28) immediati, gli altri 17 (14+3)
nell’arco di 15 anni. Secondo il rapporto dell’UNSCEAR, nessun altro
disordine sanitario attribuibile alle radiazioni, diverso da quell’abnor-
me aumento di casi di tumore alla tiroide, è stato subito dalle popola-
17 Z. Jaworowski, Radiation risk and ethics, in: Physics Today 52, 24 (1999).
Il principio di precauzione: precauzione o rischio? 49
della scuola elementare Mario Galli di Sesto S. Giovanni: i bambini si sono ritro-
vati a masticare, assieme al riso, anche vermicelli, con quei chicchi mimetizzati.
La ditta fornitrice si difese precisando che la presenza di quei vermi era dovuta al
fatto che il riso impiegato era, appunto, rigorosamente biologico.
Il principio di precauzione: precauzione o rischio? 51
(ove il fattore 2 tiene conto del rischio raddoppiato degli esposti), ri-
solvendo per y e sostituendo, si ottiene (approssimando a valori interi)
400 = 398 + 2: di quei 400 bimbi, 398 hanno contratto la leucemia per
ragioni diverse dai campi elettromagnetici.
E gli altri due? Si può dire che la leucemia di 2 bimbi è statistica-
mente addebitabile ai campi? No! Lo si potrebbe dire solo se i campi
fossero un rischio, cioè se la IARC li avesse inseriti nella classe prima
anziché terza. Ma anche quando si volessero interrare i cavi degli elet-
trodotti ed operare tutte le bonifiche che purtroppo molte regioni ita-
liane (Emilia Romagna in testa) stanno effettuando, si eliminerebbero
questi due ipotetici casi? No, perché a venti metri da un elettrodotto il
campo magnetico è comparabile a quello presente comunque in ogni
casa a causa degli impianti domestici.
Invocare il PdP per eliminare una causa presunta di leucemia evi-
tando così, al più, un caso aggiuntivo, è scientificamente ingiustificato
e, direi, immorale nei confronti di quei 400 bambini che hanno con-
tratto il male per cause certamente diverse dall’esposizione ai campi
elettromagnetici. L’unico effetto della legislazione (voluta in nome del
PdP) contro l’inesistente elettrosmog è quello di arricchire tutte quel-
le aziende, più o meno private, incaricate di misurare i campi elettro-
magnetici in giro nelle città (misurazioni peraltro non necessarie, visto
che le equazioni della fisica ci danno i valori dei campi una volta note
le sorgenti), e tutte quelle incaricate di mettere a norma i vari impian-
ti. Un affare – è stato stimato dall’ANPA in un rapporto che venne te-
nuto nascosto sinché l’Agenzia venne commissariata e Renato Ricci,
nominato commissario, lo fece pubblicare – di 30 miliardi di euro 26.
E questo è l’unico dato che possa fornire giustificazione razionale alla
pervicacia – altrimenti inspiegabile – con la quale l’ex ministro Willer
Bordon (Margherita) e il suo vice, Valerio Calzolaio (Ds), insistevano
per l’approvazione dei loro decreti.
Val la pena citare l’editoriale del New England Journal of Medicine
che nel 1997 pubblicò un resoconto di un’esaustiva ricerca del Natio-
nal Cancer Institute americano sui legami (esclusi da quella ricerca) tra
esposizione ai campi elettromagnetici a frequenza industriale e leuce-
mie puerili: «È triste che centinaia di milioni di dollari siano andati di-
spersi in studi privi della benché minima promessa di evitare la trage-
dia del cancro nei bambini. L’abbondanza di studi inconcludenti e
inattendibili ha generato ingiustificate preoccupazioni e paure. Diciot-
to anni di ricerca 27 hanno prodotto considerevole paranoia, senza ag-
giungere la benché minima conoscenza, e senza alcun guadagno in
prevenzione. È tempo di interrompere la dispersione delle nostre ri-
sorse, che dovrebbero invece essere dirette verso quella ricerca in gra-
do di offrire promesse, scientificamente fondate, della scoperta delle
vere cause biologiche dello sviluppo dei cloni leucemici che tanto mi-
nacciano la vita di alcuni bambini».
Il documento dell’UE
b. Il protocollo di Kyoto 30
Secondo un recente rapporto dell’IPCC (Comitato intergovernati-
vo sui cambiamenti climatici) – un organismo internazionale che com-
30 R. Ehrlich, Should you worry about global warming?, in: Eight preposterous
economico dei paesi ricchi, per cui, in quel caso, come oggi l’Olanda,
anche il Bangladesh saprebbe come affrontare il problema.
In secondo luogo, va precisato che il livello del mare sta aumentan-
do da millenni. Da quando la Terra è uscita dall’ultima glaciazione, il
livello del mare è aumentato di ben 100 metri, per due cause principa-
li: la fusione dei ghiacciai e la dilatazione termica delle acque. La pri-
ma, è un evento in corso a partire dalla fine dell’ultima era glaciale, e
non ha avuto alcuna accelerazione nell’ultimo secolo. Anzi, non è
escluso che un clima più caldo possa interromperla, in conseguenza di
aumentate precipitazioni, che ai poli si depositerebbero come neve.
Ma fu solo una decina d’anni fa – nel 1993 – che gli scienziati rima-
sero, è il caso di dire, di ghiaccio: quando scoprirono, da nuovi caro-
taggi, che la Groenlandia aveva subito aumenti di anche 7 gradi
nell’arco di soli 50 anni; e, a volte, con drastiche oscillazioni anche di
soli 5 anni!
Anche se «questi rapidissimi cambiamenti del passato non hanno
ancora una spiegazione», come dichiara un recente rapporto dell’Ac-
cademia Nazionale delle Scienze americana, la scienza ha accettato
l’idea di un sistema climatico la cui variabilità naturale si può manife-
stare anche nell’arco di pochi decenni. Non c’è nessuna ragione – di là
da quella che ci rassicura psicologicamente – per ritenere che essi non
debbano manifestarsi oggi. Vi sono invece tutte le ragioni per ritenere
che quella secondo cui l’uomo avrebbe influenzato i cambiamenti cli-
matici sia un’idea – come tutte quelle dei Verdi, ad essere franchi –
priva di fondamento; e per ritenere, semmai, che sono i cambiamenti
climatici ad aver influenzato l’uomo e il percorso della civiltà.
Una cosa senz’altro certa è la circostanza secondo cui i vincoli del
protocollo di Kyoto (ridurre del 5%, rispetto a quelle del 1990, le
emissioni di gas serra da parte dei paesi industrializzati) avrebbero ef-
fetto identicamente nullo sul clima: nell’atmosfera vi sono 3000 miliar-
di di tonnellate di CO2, l’uomo ne immette, ogni anno, 6 miliardi di
tonnellate, di cui 3 provengono dai paesi industrializzati, pertanto il
protocollo di Kyoto equivarrebbe a immettere nell’atmosfera 5,85 mi-
liardi di tonnellate di CO2 anziché 6 miliardi. Un primo passo, dicono
gli ambientalisti; ma anche montare su uno sgabello è un primo passo
per raggiungere la Luna! (Né, d’altra parte, veniamo informati di quali
sarebbero gli altri passi) 35. Insomma, la temuta temperatura che l’uma-
nità potrebbe dover sopportare nel 2100, se si applicasse il protocollo
Conclusioni
veness, Atti della conferenza Dall’effetto serra al dirigismo ecologico, Istituto Bru-
no Leoni, Milano 29 novembre 2003.
Il principio di precauzione: precauzione o rischio? 69
Carlo Bernardini
Università di Roma La Sapienza
U
no dei motivi per cui anche persone colte e non particolar-
mente credule fanno i rituali scongiuri suggeriti da molte delle
superstizioni classiche (soprattutto in occasione dell’incontro
di speciali individui detti o presunti “jettatori”) è quello determinato
dalla “prudenza in condizioni di ignoranza”: non è detto che il perico-
lo sia reale ma, dal momento che lo scongiuro è a buon mercato e alla
portata di tutti, meglio praticarlo per prudenza. Pare che un illustre di-
fensore di questo punto di vista fosse addirittura Benedetto Croce (la
frase che gli è attribuita, esattamente, suona così: «Non è vero, ma
prendo le mie precauzioni», a quanto dichiara Massimo Polidoro del
CICAP); e non si può negare che questo semplice ragionamento di
cautela in favore degli scongiuri abbia la sua rilevanza. Sulla scorta di
questo ormai antico esempio, possiamo allora dire che il Principio di
Precauzione ha una sua solida base crociana, compatibile con le filoso-
fie idealiste e dunque, più che mai, con quelle antiscientifiche che an-
cora tanto spazio hanno nel pensiero contemporaneo. Non annovererei
tra i precursori del Principio di Precauzione, invece, l’ex presidente del-
la repubblica Giovanni Leone, grande esperto praticante di scongiuri:
Leone ci credeva e la sua non era precauzione ma convinzione, ovvero
elemento costitutivo di una tradizione culturale. Informazioni più este-
se si possono ottenere sul sito http://www.cicap.org.
Proprio in ragione di questa matrice più colta, devo riconoscere
che i miei colleghi e io stesso commettiamo abitualmente un grave er-
rore, che è quello di perdere le staffe di fronte a princìpi e convinzio-
ni che ai più, invece, appaiono come dotate di un fondamento; ovve-
ro, che ai più appaiono addirittura come proposizioni di senso comu-
ne, elementarmente inconfutabili. Effettivamente, in questo come in
72 I costi della non-scienza
caso, comunque, che i colleghi che hanno fatto fortune mondane con
l’ambientalismo oltranzista siano animati da una vena di moralismo
mistico che ha contagiato particolarmente la sinistra estrema, gli ex
sessantottini e altri eterni tormentati dalla razionalità. Tra gli ambien-
talisti, ci sono due tipi di “caratteristi” che si danno manforte, ciascu-
no dalla propria parte: i guru e gli attivisti. Usando la nomenclatura
dei fisici, i guru sarebbero un po’ l’equivalente dei “teorici”, gli attivi-
sti sarebbero l’equivalente degli “sperimentali”. I guru parlano in un
linguaggio canonico intriso di diffidenza verso categorie classiche co-
me la “scienza ufficiale”, il “progresso”, la stessa “razionalità” o il
“metodo”; sono al confine della New Age, si riferiscono almeno a
George Bateson, amavano Barry Commoner e oggi Jeremy Rifkin, e
così via. Gli attivisti pescano “evidenze” con le metodologie più de-
precabili: certificazioni di medici privati, testimonianze di gente co-
mune (su epidemie infantili o su vitelli a due teste, peraltro mai esibiti
in televisione, con la fame di mostri che c’è). Le dichiarazioni di indi-
vidui isterici resi insonni dalle onde elettromagnetiche sono pregnanti
e spettacolari. Ma soprattutto, a parte la descrizione fenomenologica
di presunti immani danni ambientali imputabili alla spregiudicatezza
della scienza ufficiale accoppiata ad interessi economici mondiali, il
cavallo di Troia del Principio di Precauzione sono gli argomenti inquie-
tanti, atti a produrre disagio. Per esempio: interrogare la pubblica opi-
nione sulla liceità dell’uso di un farmaco che guarisce il raffreddore
ma è letale in un caso su un milione. Se prendete un milione di perso-
ne e chiedete se assumerebbero quel farmaco, scoprirete che ciascuno
pensa di essere il caso eccezionale; a nulla varrà far notare che il ri-
schio di incidenti d’auto o di caduta massi o di folgorazione è ben più
grande. L’accidente è accidente e pertanto accettato, la letalità ecce-
zionale di un farmaco è un attentato deliberato della scienza.
Colleghi, cambiamo metodo di gioco. Nell’affrontare la pubblica
opinione, cominciamo a “non poter escludere” che se si vuole vivere a
rischio zero oggi, domani moriremo di freddo e di fame. Siate raziona-
li con giudizio, armatevi di capacità di comunicazione. Per quanto mi
riguarda, mi limito a proporre con forza una riforma didattica che ci
riguarda da vicino. Le scienze, così come sono insegnate, appaiono
stupidamente deterministiche (cioè “risolutive”). Nessuno di noi,
però, s’azzarderebbe a valutare più che una probabilità che accada ciò
76 I costi della non-scienza
IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE:
UN TRUCCO VERBALE
Tullio Regge
Premio Einstein per la Fisica
L’
abbreviazione PdP è considerata blasfema e vilipendio da noti
oppositori; ho già ricevuto in proposito infuocate lettere di
protesta. La vicenda del PdP è ormai vecchia di anni e temo
che sia l’inizio, l’equivalente del decalogo – se volete – di una nuova
religione basata sulla mistica ambientalista.
Quando ero deputato al Parlamento Europeo, durante una conver-
sazione fuori seduta con alcuni colleghi, fui interrotto da un Verde
con l’annuncio che era stato scoperto un gigantesco deposito di ura-
nio in Canada. Il Verde ha subito aggiunto, con un sorriso e una striz-
zatina d’occhio, che il deposito era situato sotto un lago, chiaro mes-
saggio della natura che non voleva fosse sfruttato. La natura, vista dal
collega, mi apparve come divinità che legiferava e diceva “voglio o
non voglio”: ho visto sul nascere il sorgere di una nuova religione. Ho
risposto al collega che non si poteva parimenti tirare l’acqua su dai
pozzi perché era sotto terra, e questi se ne andò via infuriato.
Lo straordinario sviluppo scientifico e tecnologico del XX secolo
scatena ondate mistiche che prendono di mira di volta in volta il nu-
cleare, gli OGM, interventi – anche a scopo di cura – sul genoma
umano e, infine, il cosiddetto elettrosmog. La caratteristica saliente di
queste proteste a livello popolare è l’uso di tesi aberranti, scarso o nul-
lo ricorso ad una seria analisi dei fatti, sviluppi legislativi onerosi e la
creazione di strutture burocratiche di regola tanto dispendiose quanto
dannose. La prima formulazione della legge sull’elettrosmog, opera
dell’allora ministro Bordon, avrebbe contemplato in Italia investimen-
ti e spese correttive del tutto inutili, dell’ordine di circa 3-4 “Parma-
lat”. La cifra è stata poi ridotta e credo che oggi sia aggiri sul mezzo
“Parmalat”. Si tratta pur sempre di soldi buttati via. Le indagini epi-
78 I costi della non-scienza
Umberto Tirelli
Direttore Dipartimento di Oncologia Medica
Istituto Nazionale Tumori di Aviano
S
econdo la definizione che la Commissione Europea ha dato nel
1998, «il Principio di Precauzione (PdP) è un approccio alla ge-
stione del rischio che si applica in circostanze di incertezza
scientifica e che riflette l’esigenza di intraprendere delle azioni a fron-
te di un rischio potenzialmente serio senza attendere i risultati della ri-
cerca scientifica». Ma, come è stato osservato più volte durante il cor-
so di questa conferenza, la certezza scientifica è sempre assente. La
scienza, a differenza delle parascienze, della cartomanzia e dell’astro-
logia, non offre certezze. Il rischio del PdP è che quello spazio di dub-
bio lasciato dalla scienza venga riempito da affermazioni arbitrarie,
dando voce solo alle emozioni della gente o comunque a persone non
competenti che vogliono sfruttare questi sentimenti, consentendo una
strumentalizzazione in aperto contrasto con gli interessi della colletti-
vità e con l’analisi critica delle acquisizioni scientifiche.
Il PdP è perciò impossibile da applicarsi per la salute, perché fa
appello alla incertezza scientifica, ma l’incertezza è intrinseca alla
scienza. Il PdP non è un criterio scientifico, ma è un atteggiamento so-
cio-politico, che non ha niente a che fare con la scienza. Invece del
PdP, è la prevenzione dai rischi accertati sulla base dei dati scientifici
che dovrebbe essere la guida dei nostri comportamenti. Per esempio,
gli incidenti stradali sono la prima causa di morte nei giovani, ed è co-
me se un aereo cadesse in ogni week-end non soltanto in Italia, ma in
ogni singolo paese occidentale. La prevenzione si basa sulla riduzione
della velocità mentre si guida, sul bandire alcool e qualsiasi droga al
conducente, sull’impiego della cintura di sicurezza, sul non utilizzo
del telefonino alla guida. Mentre questa è prevenzione, il PdP applica-
to all’utilizzo della macchina prescriverebbe che non si andasse in
macchina per non rischiare incidenti stradali o comunque l’inquina-
82 I costi della non-scienza
PIANTE GM:
UNA GRANDE OPPORTUNITÀ PER
L’AGRICOLTURA ITALIANA
Francesco Sala
Università di Milano
«I
o mangio cibi naturali perché sono sicuri»: due errori in una
frase. Primo errore: tutte le piante coltivate dall’uomo per
produrre cibo, mangimi per animali e prodotti di interesse
industriale, non sono “naturali”. Il pomodoro, il frumento, il riso, il
mais sono il risultato di incroci, mutazioni e selezioni operate negli ul-
timi millenni e, soprattutto, nel secolo appena concluso.
Secondo errore: la correlazione “cibo naturale/assenza di rischi” è
scientificamente infondata. La maggior parte delle piante produce ve-
leni, tossine e sostanze cancerogene. Ciò ha un significato biologico ed
evolutivo: la pianta produce questi composti per difendersi dai suoi
parassiti (insetti, funghi, virus, animali che se ne cibano).
L’uomo, ha selezionato piante che, apparentemente, non gli sono
tossiche o ha imparato a renderle commestibili. Oggi la scienza ci aiu-
ta in questa selezione; ad esempio, si è di recente scoperto che le gio-
vani piantine di basilico usate per il “pesto genovese” contengono me-
til-eugenolo, una sostanza che può provocare tumori. Ma la scienza ha
anche chiarito che la concentrazione di questa sostanza scende al di
sotto del livello di guardia nelle foglie di piante adulte: basta prepara-
re il pesto con piante più alte di 10 centimetri. Un altro esempio del
fatto che i rischi accompagnino anche l’alimentazione, sia tradizionale
sia biologica: nel novembre 2003 la Regione Lombardia dovette ordi-
nare la distruzione del 20% del latte ivi prodotto perché contaminato
da aflatossine. Si tratta di molecole che causano diverse gravi patolo-
gie, tra cui anche tumori.1 Il fatto è stato circoscritto alla Lombardia
perché questa è stata l’unica regione che abbia effettuato appropriati
Tabella 1.
Alcuni rischi della agricoltura tradizionale e di quella biologica
Per l’ambiente:
Eppure oggi, nel nostro Paese, e solo nel caso delle piante GM, il
Principio di Precauzione è stato trasformato in Principio di Blocco.
Gruppi di opinione (e di interesse economico ed anche politico) han-
no condotto una ben orchestrata campagna contro le biotecnologie
vegetali, ingigantendone alcuni rischi, quelli comuni alle pratiche agri-
cole in genere, ed inventandone altri. Di conseguenza, alcune Regioni
si sono dichiarate GM-free; e il Governo, delle piante GM, ha bloc-
cato sia l’uso sia la ricerca.
A nulla vale la considerazione che miliardi di persone nel mondo
producono e usano piante GM. E ciò dopo che i loro governi hanno
condotto approfondite analisi dei rischi; la ricerca ha dimostrato che
non vi è stato un solo caso riconosciuto di tossicità per l’uomo, di in-
duzione di allergenicità, di danni ambientali, di flusso genico, di atten-
tato alla biodiversità. Tutte le accuse mosse alle piante GM fanno dun-
que parte del “potrebbe”, del “non è da escludere che”, non dello
“scientificamente dimostrato”.
I controlli preventivi hanno dunque funzionato! Le piante GM
«Sono più sicure di quelle tradizionali perché accuratamente control-
late»; questa è la conclusione cui è giunto Philippe Busquin, il Com-
missario Europeo per la Ricerca Scientifica nella prefazione del libro,
edito dalla Comunità Europea, dal titolo EC-sponsored Research on
Safety of Genetically Modified Organisms. Busquin è pienamente au-
torizzato a fare questa affermazione, in quanto basata su di una ricerca
condotta per 15 anni in 400 istituti di ricerca europei con una spesa di
70 milioni di euro.
Eppure, ancora oggi nel nostro Paese si pretende che le piante GM
siano bloccate sino a che non avremo la sicurezza assoluta dell’assenza
di rischi attuali e futuri. Rischi esisteranno sempre in agricoltura (sia
biologica, sia tradizionale, sia GM) come in tutte le altre attività uma-
ne. Compito della scienza non può essere che quello di verificare, caso
per caso, il livello di rischio ed offrire alla società parametri per le de-
cisioni sulla accettabilità di ogni nuova varietà vegetale proposta per
l’uso agricolo. E ciò nonostante che le leggi oggi vigenti stabiliscano
che una nuova varietà debba essere approfonditamente controllata
per eventuali rischi per la salute umana e per l’ambiente nel caso in
cui questa sia classificata come GM. I controlli devono essere effettua-
ti prima di ricevere la licenza di uso agricolo. Non è così per le piante
Piante GM: una grande opportunità … 91
Ingo Potrykus
Professor emeritus in Plant Sciences, ETH Zürich, Switzerland
I
n developing countries 500,000 per year become blind and up to
6,000 per day die from vitamin A-malnutrition. And this is
despite enormous efforts from public and philanthropic
institutions to reduce this medical problem with the help of
traditional interventions such as supplementation, fortification,
encouragement for diet diversification, etc. This heavy toll poor
people in developing countries are paying to vitamin A-malnutrition
will continue year by year, if we do not find a way to complement
traditional interventions by sustainable and unconventional ones. One
of those could be based on nutritional improvement of basic staple
crops via “bio-fortification” – genetic improvement with regards to
micronutrients and vitamins. Plant breeding and genetic engineering
offer two complementing approaches.
The major micronutrient deficiencies concern iron, zinc, and
vitamin A. Vitamin A-deficiency is wide-spread amongst rice-
depending poor because rice does not contain any pro-vitamin A
(Plants do not produce vitamin A but pro-vitamin A (carotenoids),
which our body converts into vitamin A). Dependence on rice as the
predominant food source, therefore, necessarily leads to vitamin A-
deficiency if poverty prevents a diversified diet, most severely
affecting children and pregnant women. The medical consequences
for the vitamin A-deficient 400 million rice-consuming poor are
severe: impaired vision – in the extreme case irreversible blindness –
impaired epithelial integrity against infections, reduced immune
96 I costi della non-scienza
The novel trait has been transferred into several Indica rice
varieties – especially IR 64, the most popular rice variety of Southeast
Asia – and “regulatory clean” events have been selected to facilitate
the processing through the deregulatory process. [Ye, X., Al-Babili,
S., Klöti, A., Zhang, J., Lucca, P., Beyer, P., Potrykus, I. (2000),
«Engineering provitamin A (β-carotene) biosynthetic pathway into
(carotenoid-free) rice endosperm», Science 287, 303-305. Beyer P, Al-
Babili S, Ye X, Lucca P, Schaub P, Welsch R, Potrykus I (2002),
«Golden Rice, introducing the β-carotene biosynthetic pathway into
rice endosperm by genetic engineering to defeat vitamin-A
deficiency», J. Nutrition 132, 506S-510S. Tran Thi Cuc Hoa, Salim
AlBabili, Patrick Schaub, Ingo Potrykus, and Peter Beyer (2003),
«Golden Indica and Japonica rice lines amenable to deregulation»,
Plant Physiology 133, 161-169].
Green biotechnology could save millions of lives… 97
function. For this purpose the proteins have to be isolated from the
plant, biochemically characterized, and their function confirmed.
Lack of homology to toxins and allergens, rapid degradation in
gastric/intestinal studies, heat lability, acute toxicity in rodent feeding,
screening for further putative allergens and toxins are assumed to
ensure that no unintended toxin or allergen will be consumed with
Golden Rice. This seems reasonable if we ignore that most people
have eaten these genes and gene-products throughout his/her life
from other food sources. To study, as has been proposed, whether
Daffodil toxins have been introduced into Golden Rice (one gene is
from Daffodil and it is not advisable to consume Daffodil )
demonstrates how far an assessment can be from science: what has
been transferred is one defined piece of DNA with no relation
whatsoever to any toxin or allergen!). These studies take at least 2
years of intensive work in a well equipped biochemistry laboratory.
What has been described, so far, was only an introduction; the real
work comes with the “event-dependent” studies: “Molecular
characterization and genetic stability” (single copy effect; marker gene
at same locus; simple integration; Mendelian inheritance over at least
three generations; no potential gene disruption; no unknown open
reading frames; no DNA transfer beyond borders; no antibiotic
resistance gene or origin of replication; insert limited to the minimum
necessary; insert plus flanking regions sequenced; phenotypic
evidence and biochemical evidence for stability over three
generations). “Expression profiling” (Gene expression levels at key
growth stages; evidence for seed-specific expression); “Phenotype
analysis” (Field performance, typical agronomic traits, yield compared
to isogenic lines; pest and disease status same as origin).
“Compositional analysis” (Data from two seasons times six locations
times three replications on proximates, macro- and micro-nutrients,
anti-nutrients, toxins, allergens; data generated on modified and
isogenic background). “Environmental risk assessment”. This requires
4-5 years of an entire research team.
Green biotechnology could save millions of lives… 103
For Golden Rice we have taken this variety IR64 and added two
precisely defined genes into the 50 000 gene-genome of rice, using a
technology which is by orders of magnitude more precise than
traditional breeding, to provide pro-vitamin A in the seed to reduce
vitamin A-malnutrition. This is now an example of a “genetically
engineered” variety – a “GMO” – and such a plant is now falling
under “extreme precautionary” regulations despite the fact, that the
engineering step is, in comparison to the history of IR64 extremely
small, perfectly predictable, most detailed studied and without any
greater risk to the consumer or the environment. The reader is invited
to find the difference between IR64 and Golden IR64 in the picture
above!
Green biotechnology could save millions of lives… 107
LE BIOTECNOLOGIE IN AGRICOLTURA
POTREBBERO SALVARE MILIONI DI VITE, MA
NORMATIVE ANTI-SCIENTIFICHE ED
ECCESSIVAMENTE PRECAUZIONALI LO
IMPEDISCONO1
Ingo Potrykus
Professor emeritus in Plant Sciences, ETH Zuerich, Switzerland
N
ei paesi in via di sviluppo 500.000 persone ogni anno diven-
tano cieche e fino a 6.000 ogni giorno muoiono a causa di ca-
renza di vitamina A. Questo, nonostante gli enormi sforzi
delle istituzioni pubbliche e filantropiche per ridurre questo problema
medico con l’ausilio dei metodi tradizionali quali arricchimento, forti-
ficazione e incoraggiamenti alla diversificazione della dieta, etc. Que-
sto prezzo elevatissimo che i poveri dei paesi in via di sviluppo stanno
pagando alla “carenza di vitamina A” continuerà anno dopo anno se
non troveremo un modo per affiancare gli interventi tradizionali con
altri non convenzionali e sostenibili. Uno di questi potrebbe essere ba-
sato sul miglioramento nutrizionale delle colture di sussistenza attra-
verso il “bio-arricchimento”, il miglioramento genetico del contenuto
di micronutrienti e vitamine. Il miglioramento genetico vegetale e l’in-
gegneria genetica offrono due approcci complementari.
Le principali carenze di micronutrienti riguardano il ferro, lo zin-
co e la vitamina A. La carenza di vitamina A è largamente diffusa tra
quei poveri che hanno come alimento di base il riso, in quanto il riso
non contiene pro-vitamina A (le piante non producono vitamina A,
ma pro-vitamina A (carotenoidi), che il nostro corpo converte in vita-
mina A). La dipendenza dal riso come prevalente fonte di cibo, per-
tanto, porta necessariamente a carenza di vitamina A, se la povertà è
sione Umanitaria Golden Rice agli istituti pubblici di ricerca sul riso.
Questo accordo assicura che il materiale sia stato trattato secondo le
leggi ed i regolamenti stabiliti per gli OGM, e che la popolazione per
cui è stato pensato, agricoltori di sussistenza e poveri, riceva il mate-
riale senza alcun costo aggiuntivo per questo carattere.
zione agli OGM una professione, che abbia potuto costruire un’ipote-
si di rischio agronomico o ambientale per il Golden Rice. Questo non
stupisce poichè l’intera biologia del sistema, piccole quantità addizio-
nali di beta-carotene nell’endosperma di piante che lo contengono in
tutti gli organi tranne che nelle radici, non fornisce nessun vantaggio
selettivo, in nessuna condizione, e quindi non apporta alcun rischio
sostanziale. Nonostante ciò il Golden Rice è ancora in attesa del primo
permesso riguardante il primo rilascio su piccola scala, in cui i rischi
ambientali dovranno essere studiati sperimentalmente! Fin qui i ri-
schi, e i benefici? Il Golden Rice potrebbe evitare la cecità e la morte
di centinaia di migliaia di bambini, ma non lo può fare perchè la valu-
tazione del rischio, come è noto, non tiene conto di un’analisi rischi-
benefici!
tura del gene; nessuna open reading frame sconosciuta; nessun trasferi-
mento di DNA oltre i bordi del T-DNA; nessun gene di resistenza agli
antibiotici o origine di replicazione; inserto limitato al minimo neces-
sario; sequenza dell’inserto più le sequenze fiancheggianti; evidenza
fenotipica e biochimica di stabilità su 3 generazioni). “Profilo di
espressione” (livelli di espressione genica agli stadi chiave dello svilup-
po; evidenza di espressione seme-specifica); “Analisi fenotipica” (pre-
stazioni in campo, tratti agronomici tipici, resa rispetto alle linee iso-
geniche; resistenza ai parassiti e alle malattie comparabile a quelle ini-
ziali); “Analisi composizionale” (dati su 2 stagioni per 6 località ripe-
tute 3 volte, macro e micronutrienti, anti-nutrizionali, tossine, allerge-
ni; con dati generati rispetto alle linee modificate e isogeniche); “Valu-
tazione del rischio ambientale”. Questo da solo richiede 4-5 anni di
un intero gruppo di ricerca (Figura 3).
OGM dovrebbe essere rigettata. Tutti noi sappiamo che i geni sono
collegati da un continuum all’interno dell’evoluzione e sono fortemen-
te correlati tra loro e che la “barriera di fertilità” tra le specie è un
meccanismo per promuovere l’evoluzione all’interno della specie, ma
questa non impedisce l’introduzione di singoli geni. Perché gli OGM
dovrebbero uscire dalla normale procedura di breeding ed essere trat-
tati secondo norme e regole stabilite secondo un rigidissimo Principio
di Precauzione, impedendo così un loro uso sensato a favore dei pove-
ri? Questo, per gli autori, è contro ogni logica e ci riporta al Medioe-
vo, prima dell’Illuminismo. Dato che questo comportamento sta iso-
lando le “biotecnologie verdi” praticamente da tutte le altre moderne
tecnologie, pare evidente che è in atto una campagna organizzata che
nasconde in realtà obiettivi politici.
insicure e quindi più rigorose delle loro controparti nei paesi svilup-
pati. Anche con l’aiuto di uno specifico settore privato l’autorizzazio-
ne di un nuovo prodotto OGM è diventato un compito spaventoso. È
quindi ovvio che, se si continuerà con gli attuali standard normativi, le
potenzialità delle biotecnologie verdi non raggiungeranno i poveri.
Nel XIX secolo un tabù culturale portò alla tragica morte di una
principessa di 18 anni (Figura 7)
IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE E LE
PROBLEMATICHE AMBIENTALI RELATIVE AL
SUOLO
Introduzione
I
l ricorso ad un generico Principio di Precauzione (o principio pre-
cauzionale) è stato previsto, durante gli ultimi anni, da numerosi
trattati internazionali, ma si è imposto all’attenzione dell’opinione
pubblica nel 1992. La formulazione più largamente conosciuta ed ac-
cettata del Principio di Precauzione è quella riportata nel Principio 15
della Dichiarazione Finale della Conferenza delle Nazioni Unite
sull’Ambiente e sullo Sviluppo che si è tenuta a Rio de Janeiro (UN-
CED, 1992), la quale stabilisce che: «Al fine di proteggere l’ambiente,
l’approccio precauzionale sarà ampiamente applicato dagli Stati secon-
do le rispettive capacità. Laddove ci siano minacce di danni seri o irre-
versibili, la mancanza di piene certezze scientifiche non potrà costituire
un motivo per ritardare l’adozione di misure, efficaci in termini di co-
sti, volte a prevenire il degrado ambientale». Da allora, il Principio di
Precauzione è stato introdotto in numerose convenzioni e trattati inter-
nazionali, incluso, tra gli altri, il Trattato di Maastricht sull’Unione Eu-
ropea (EU, 1992), svolgendo un ruolo sempre più importante nello svi-
luppo delle politiche ambientali. Allo stesso tempo, il problema relati-
vo a quando e come utilizzare il Principio di Precauzione ha dato origi-
ne a numerosi dibattiti a causa della percezione che in alcuni casi si sia
fatto ricorso ad un approccio semplificato o arbitrario. Negli ultimi an-
ni l’adozione di decisioni accettate e l’uso di argomentazioni non scien-
tifiche, come conseguenza di interpretazioni spesso fuorvianti, ha por-
tato a lunghe discussioni sul Principio di Precauzione ed ha allarmato la
comunità scientifica. Ciò si è verificato anche per tutte le discipline
scientifiche riconducibili alla scienza del suolo. In particolare, i ricerca-
126 I costi della non-scienza
tori impegnati in tali settori scientifici che per le loro competenze sono
stati coinvolti, a livello sia nazionale che internazionale, in gruppi di la-
voro e commissioni sulle principali problematiche ambientali e sanita-
rie che hanno recentemente spaventato l’opinione pubblica (il riscalda-
mento globale del pianeta, il rilascio di organismi geneticamente modi-
ficati, la TSE/BSE,1 i POP,2 etc.), hanno molto spesso rilevato un uso
improprio del Principio di Precauzione.
La mancanza di dati, l’enorme varietà di suoli e di condizioni pe-
doclimatiche rendono praticamente impossibile il raggiungimento di
una condizione di “piena certezza scientifica” nella determinazione
del rischio associato a queste problematiche, creando il presupposto
per il ricorso ad un vago Principio di Precauzione. La comunità scienti-
fica ha, pertanto, cominciato a chiedere ed a lavorare per definire una
metodologia applicativa del Principio di Precauzione, che di per sé non
viene rifiutato da tutti, ma di cui viene messo in discussione l’uso stru-
mentale per prendere delle decisioni arbitrarie.
L’obiettivo di questo lavoro è di presentare un’analisi critica della
definizione di Principio di Precauzione e delle linee guida per ridurre il
rischio di una sua applicazione arbitraria ai problemi del suolo, come
nodo degli equilibri ambientali. Inoltre, lo scopo del presente studio è
quello di sottolineare il ruolo che i ricercatori che si occupano di que-
sta disciplina potrebbero svolgere nella valutazione del rischio, nella
gestione delle problematiche sanitarie ed ambientali che coinvolgono
il comparto suolo e nell’individuazione degli abusi che si possono
commettere nel ricorso al Principio di Precauzione, trascurando magari
altri problemi che vengono invece sfiorati.
bilito che anche le misure che risultano dal ricorso al Principio di Pre-
cauzione devono conformarsi ai principi generali applicabili alle misu-
re di gestione del rischio. Inoltre, viene sottolineato il carattere provvi-
sorio delle misure basate sul Principio di Precauzione, mentre viene en-
fatizzata la necessità di un’attenta raccolta ed analisi dei dati scientifici
disponibili (Foster et al., 2000). In ogni caso, nonostante gli aspetti
positivi riportati sopra, mancano ancora delle linee guida chiare per
definire il peso delle prove necessarie per far scattare il Principio di
Precauzione e per decidere quali misure dovrebbero essere applicate
in ogni data circostanza. A tale proposito, un lavoro particolarmente
interessante sulla valutazione e la gestione del rischio è quello scritto
da Renn e Klinke (1999). Tale studio fornisce un importante contribu-
to alle problematiche che riguardano la classificazione del rischio e le
strategie per una sua razionale gestione. Nelle pagine seguenti saranno
trattati i principali aspetti della classificazione e gestione del rischio,
ma si consiglia vivamente, per un’esauriente dissertazione sull’argo-
mento, il lavoro menzionato precedentemente e quello di Stirling
(1999).
Si può sottolineare intanto che, come si era osservato, molti prov-
vedimenti legislativi vengono proposti ed emanati nell’interesse di-
chiarato della salute pubblica e della protezione dell’ambiente. Già
solo una tale dichiarazione di intenti giustifica la loro adozione agli
occhi della popolazione e dei decisori politici. Se tuttavia si esaminano
le categorie di rischio (processi di degradazione) che si pongono se-
condo l’OCSE nei confronti dell’ecosistema suolo, che abbiamo defi-
nito il nodo degli equilibri ambientali, possiamo osservare che su
quattordici categorie di rischio 3 la legislazione attuale italiana e comu-
nitaria ha cercato di prenderne in considerazione in maniera organica
soprattutto due, quelle elencate nella tabella 1 ai numeri 10 e 13, e che
solo recentemente essa sta cercando di normare le emissioni di cui al
punto 14. Per di più, preoccupandosi delle sostanze tossiche, essa ha
teso al raggiungimento di un teorico livello zero, contravvenendo a
quanto viene stabilito dal principio di proporzionalità. Occupandosi
che può apparire paradossale, a quasi due secoli dalla nascita di Justus von Lie-
big, e dalla scienza della fertilizzazione: su di essa si ritornerà.
132 I costi della non-scienza
4 Con candore inappellabile la Decisione ci spiega una volta di più, fin dalla
Conclusioni
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148 I costi della non-scienza
Paolo Vecchia
Istituto Superiore di Sanità, Roma
Presidente ICNIRP
P
er pochi agenti, sostanze o tecnologie il Principio di Precauzio-
ne viene invocato tanto frequentemente e con tanta insistenza
quanto per i campi elettromagnetici. Ma l’adozione di questo
principio è realmente giustificata? E le misure che in nome del princi-
pio vengono proposte (o quelle che, in particolare in Italia, sono già
state adottate) sono realmente efficaci?
Alla prima domanda sono in molti, nella comunità scientifica, ad
aver risposto in modo negativo. Particolarmente significativa ed espli-
cita è la posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS),
secondo la quale «una politica cautelativa per i campi elettromagnetici
dovrebbe essere adottata solo con grande attenzione e consapevolez-
za. I requisiti per tale politica […] non sembrano soddisfatti né nel ca-
so dei campi elettromagnetici a frequenza industriale, né in quello dei
campi a radiofrequenza» [1].
Per comprendere le motivazioni di questo giudizio, occorre riflet-
tere su quando, e come, il Principio di Precauzione debba essere appli-
cato. A questo scopo, sono particolarmente utili due documenti ema-
nati dalla Commissione Europea (CE) [2-3], ai quali l’OMS fa esplici-
to riferimento.
Un primo criterio, che la Commissione considera come una vera e
propria condizione pregiudiziale, stabilisce che affinché il Principio di
Precauzione venga invocato, prima ancora che applicato, un rischio
potenzialmente grave sia stato identificato e scientificamente valutato.
Nei casi in cui questa condizione sia verificata, e si decida quindi di
adottare delle misure precauzionali, gli ulteriori criteri stabiliscono
che le misure stesse siano proporzionate ai rischi che si intende preve-
nire, coerenti con altre misure già adottate in casi analoghi, non discri-
154 I costi della non-scienza
del rapporto del 2001, che mirava a rassicurare, ha sortito l’effetto op-
posto. Il gruppo di esperti non sostiene quindi più la necessità di que-
sta nozione di sito sensibile in relazione alle stazioni radio base. Que-
sta conclusione si applica in modo particolare alle scuole, per le quali
la percezione del rischio è stata la più acuta».
Le politiche precauzionali possono quindi facilmente far aumenta-
re la percezione dei rischi, che a sua volta dà luogo ad una richiesta di
maggior precauzione innescando così un circolo vizioso. In ogni caso,
le preoccupazioni e le tensioni sociali che vengono a crearsi o ad esa-
sperarsi costituiscono un danno oggettivo per la salute, intesa nel suo
significato più ampio. La salute viene infatti definita dall’OMS come
«uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non sem-
plicemente l’assenza di malattie o infermità» [17]. Qualunque politica
sanitaria, comprese quelle ispirate alla precauzione, deve prestare
uguale attenzione a tutte e tre queste componenti.
In conclusione, il Principio di Precauzione sembra valere più come
una linea di indirizzo che come uno strumento operativo. Di fronte
agli sviluppi tecnologici e agli interrogativi che questi pongono è
senz’altro opportuno agire, per i campi elettromagnetici come per
qualunque altro agente, all’interno di un quadro di cautela, in cui tutti
gli elementi scientifici e sociali siano tenuti in conto. La precauzione è
però giustificata e doverosa nei limiti in cui contribuisce ad un’effetti-
va riduzione dei rischi e ad un’effettiva tutela della salute. L’esperienza
dimostra che presunte misure precauzionali adottate senza adeguate
basi scientifiche e competenze tecniche accrescono invece le preoccu-
pazioni dei cittadini e possono talvolta addirittura aumentare, anziché
diminuire, le esposizioni.
Riferimenti
[1] OMS (2000). Campi elettromagnetici e salute pubblica – Politiche caute-
lative. Promemoria Marzo 2000. www.who.int/docstore/peh-emf
/publications/facts_press/ifact/cautionary-FS-italian.htm
[2] European Commission – DG XXIV (1998). Guidelines on the applica-
tion of the precautionary principle. HB/hb d (98). 17/10/1998.
[3] Commissione Europea (2000) Comunicazione della Commissione sul
Principio di Precauzione COM(2000) 1 02/02/2000
www.europa.eu.int/comm/dgs/health_consumer/library/pub/pub07_it.pdf
162 I costi della non-scienza
D
evo confessare di avere sempre avuto un atteggiamento otti-
mista nei confronti del nostro paese, che ritengo sia uno dei
paesi più vivaci in assoluto e che certamente ha un pregio
preciso: una persona si sveglia la mattina e sa che prima di sera avrà
imparato qualcosa di particolare, di strano, ma, in genere, intelligente.
Un giorno, ero rientrato in casa alle 20:30 e non mi era ancora
successo nulla di interessante sotto il profilo sopra accennato. Ma, ac-
cendendo il televisore, al telegiornale vidi quello che ritengo il massi-
mo. Il massimo era costituito da una notizia, illustrata da un filmato,
in cui si vedeva un treno che partendo dalla Campania andava in Ger-
mania carico di rifiuti. E fin qui non si era ancora raggiunto il massi-
mo. Che invece si raggiunse nel commento del cronista, che diceva:
«scortato dalle forze dell’ordine». Allora, l’idea che un treno carico di
rifiuti urbani parta dalla Campania per andare in Germania scortato
dalla polizia, a guisa di film di 007 con l’oro di Fort Knox, raggiunge
quasi il massimo tra le cose da imparare che l’Italia quotidianamente
ci propina. Riavutomi dall’ammirato stupore mi sono detto: qui c’è
qualche cosa di fantastico e qui c’è quello che si chiama il “paradosso
dei rifiuti” cioè un sistema così ingarbugliato, così pazzesco, che meri-
ta qualche considerazione.
Io credo che alla base del fenomeno dei rifiuti – che è un fenome-
no di accettazione sociale, di pressioni e di malavita – ci sia una pec-
ca del sistema-Italia. Lessi una volta sul giornale una frase di Nenni
che mi sono ritagliato e che considero bellissima (cito a memoria):
«se io dovessi dire, dopo tanti anni di militanza socialista, quello che
più rimpiango, è l’aver negletto e trascurato delle cose che si poteva-
no fare – di modeste dimensioni ma utili – nell’attesa di qualcosa di
166 I costi della non-scienza
V
erso la metà degli anni Sessanta, meditando sul futuro
dell’energia, venni alla conclusione che per liberarsi dalla
stretta dei combustibili fossili bisognava agganciare il sistema
energetico al nucleare per il 100%. All’epoca si pensava alla produzio-
ne dell’elettricità come tetto per l’utilizzo del nucleare, ma poiché
questa assorbirà al limite il 50% delle risorse primarie, basta un rad-
doppio dei consumi per tornare al punto di partenza. Il consumo di
energia è raddoppiato ogni trenta anni negli ultimi duecento anni e,
con due terzi dell’umanità in rincorsa per il benessere, continuerà a
raddoppiare ancora per un po’. Si parlò, all’epoca, di fare un sistema
tutto elettrico, ma a parte che molte tecnologie sarebbero ancora da
inventare, la sostanziale non accumulabilità dell’energia elettrica co-
stringerebbe a dimensionare tutto il sistema sulla domanda di picco.
Appare dunque molto opportuno un vettore energetico chimico per i
consumi non elettrici. La facile scelta cadde sull’idrogeno, che nasce
dall’acqua e torna all’acqua, non inquina e si trasporta facilmente co-
me il gas metano. L’idrogeno d’altronde, è una vecchia conoscenza
energetica: il gas di città che illuminava e riscaldava le grandi città eu-
ropee fino alla seconda guerra mondiale era anche idrogeno. Inciden-
talmente, anche il primo motore a scoppio di Matteucci-Barsanti an-
dava ad idrogeno.
Feci una ricerca bibliografica per vedere come si stava a tecnologie
d’uso e trovai con sorpresa che ogni genere di uso finale era all’epoca
studiato da qualcuno. C’erano perfino le lampade fluorescenti, in cui
il fosforo veniva direttamente eccitato dalla ossidazione dell’idrogeno
catalizzata dal fosforo stesso. Negli anni Cinquanta un aereo militare
americano aveva volato usando idrogeno, cosa che del resto facevano
172 I costi della non-scienza
sto” dalla centrale cresce anche più rapidamente perché le linee pos-
sono usare tensioni più alte e portare l’energia più lontano. Le splen-
dide statistiche del mercato americano permettono di seguire il pro-
cesso più o meno fin dal tempo di Edison e mostrano, a fianco di un
raddoppio dei consumi ogni sette anni, un raddoppio delle potenze
unitarie dei generatori ogni sei anni. In soli 100 anni questi generatori
sono passati dai 10 kWe del Jumbo Dinamo di Edison al gigawatt dei
generatori di oggi. Un incredibile salto di un fattore 100.000.
Senza effetti così teatrali la capacità degli aerei misurata in passeg-
geri-km/ora è aumentata di 100 volte in 50 anni in stretta concomitan-
za con l’aumento del traffico, cosìcché il numero degli aerei commer-
ciali è rimasto costante fino a pochi anni fa (regola interrotta dalla
mancanza di un aereo da 1.000 posti, ora in costruzione).
La sostanza di tutte queste osservazioni è che se vogliamo sfruttare
una tecnologia destinata al successo dobbiamo far sì che le economie
di scala facciano parte della sua evoluzione. Dal punto di vista della
distribuzione, l’idrogeno, come vettore energetico, pone già solide ba-
si. In effetti, esso possiede un’alta trasportabilità come gas. Con l’aiuto
della SNAM facemmo un po’ di conti ad ISPRA trovando che il tra-
sporto in grandi pipelines costava più o meno come quello del meta-
no. Una centrale di produzione potrebbe così “vedere” un continente.
Se si pensa all’H2 trasportato da cryotankers simili alle metaniere, il
mondo diventa il mercato.
Dal punto di vista della produzione siamo ancora all’anno zero. I
reattori ci sono, però con taglie adattate al mercato elettrico e dunque
nell’ordine del GW. Il mercato mondiale dell’energia appoggiato ai
cryotankers ci porta sull’ordine del terawatt, cioè tre ordini di gran-
dezza di più. Inoltre, anche il processo di decomposizione dell’acqua
deve avere la possibilità della grande taglia e di economie di scala con-
seguenti. Per quanto riguarda i reattori, negli anni Sessanta, quando i
costi erano ancora trasparenti, trovai che per reattori di caratteristiche
simili il costo cresceva con la radice quadrata delle dimensioni, una re-
lazione – questa – paragonabile a quella per gli impianti chimici.
La logica strategica ci porta dunque verso grandissimi reattori nu-
cleari associati ad impianti chimici per la produzione dell’idrogeno. Il
nucleare ha sofferto di una cattiva informazione negli ultimi anni ma,
come dimostrai in un paper di 15 anni fa, Nuclear Energy and Society,
174 I costi della non-scienza
1 L’energia nucleare è la sola soluzione verde. Non abbiamo tempo per fare
S
fogliare con qualche attenzione i libri di testo di Scienze per le
scuole è un esercizio che può risultare deprimente, ma che tut-
tavia è utile per capire molte cose che ci riguardano assai da vi-
cino.
La prima osservazione è che questi manuali sono generalmente
noiosissimi: stile pedante, alla “Dicesi punto di rugiada …”, impiego
disattento di terminologie inutilmente astruse, ed altro ancora 1. Ciò
spiega le diffuse reazioni di rigetto dei ragazzi nei confronti di disci-
pline che sono invece al tempo stesso affascinanti e di grande portata
pratica. Un rigetto che non si manifesta poi soltanto nel basso livello
della cultura scientifica della popolazione, ma arreca anche un contri-
buto decisivo alla caduta dello status della scienza nella visione co-
mune.
La seconda osservazione è che quei libri sono costellati di ingenuità,
di baggianate e di errori di fatto: vi si può addirittura trovare la propo-
sta ai ragazzi, fatta in tutta serietà, di realizzare un moto perpetuo.
La terza osservazione è per noi la più delicata. Si trova infatti che le
questioni riguardanti l’energia e l’ambiente sono generalmente trattate
seguendo gli indirizzi del più vieto ecologismo. Qui si riscontrano di-
storsioni dei fatti, omissioni mirate e accettazione acritica di quanto è
ritenuto dagli autori “politicamente corretto”. Ciò contribuisce a spie-
gare, accanto all’opera dei mass media, la diffusione fra il pubblico di
idee stravaganti. Del resto, se è vero che in Italia si legge poco, è an-
che vero che i libri scolastici penetrano in tutte le famiglie. E se questo
Gli svarioni
una unità di misura dell’energia»). Oppure che «il gas inerte usato
nelle lampadine ha la proprietà di rallentare la carbonizzazione del
tungsteno». Suggerendo poi ai ragazzi osservazioni del tipo: «Se osser-
vi tutto ciò che emette luce, vedrai che si tratta di corpi caldissimi»,
con buona pace delle lampade a scarica, dei LED e anche delle luccio-
le. E dedicando spazi incongrui (ben due pagine) ad argomenti come
la cromoterapia, non mancando qui di stabilire puntualmente che il
viola «è il colore più carico di energia, attenua il senso di appetito, ri-
duce il ristagno dei liquidi ed è utile in caso di caduta dei capelli», con
analoghe disquisizioni per tutti gli altri principali colori. Nulla ho tro-
vato, invece, sulla cristalloterapia, ma a questa grave carenza si può fa-
cilmente rimediare collegandosi al sito ufficiale dell’Enel 2.
Un’attenzione particolare trova l’argomento del moto perpetuo,
dove a volte si propongono improbabili esperimenti, come quello
menzionato prima, altre volte ci si limita a informare che: «Con il no-
me di moto perpetuo si indicano dei meccanismi che, pure essendo
possibili in teoria, non possono mai essere realizzati nella pratica». Ma
anche gli atomi sono ben rappresentati: «L’atomo è costituito da un
nucleo, formato a sua volta da due tipi di particelle, i protoni e i neu-
troni, e da orbitali, spazi in cui è possibile trovare particelle di un altro
tipo, gli elettroni».
Sappiamo bene che delle scienze studiate a scuola nei crani dei ra-
gazzi resta ben poco, certamente assai meno che delle materie umani-
stiche. Che si tratti, per quanto si è detto, di un caso fortunato? O vo-
gliamo consolarci leggendo su Physics Today 3 che anche in Usa la si-
tuazione a questo riguardo è tutt’altro che rosea?
Il terrorismo
2 http://www.enel.it/astroluce/newage/cristalloterapia/cose.asp
3 J. Hubisz, «Middle-School Texts Don’t Make the Grade», Physics Today, 5,
50 (2003).
184 I costi della non-scienza
IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE
Ernesto Pedrocchi
Politecnico di Milano
I
l dibattito ora in corso sul Protocollo di Kyoto, mi stimola a fare
qualche riflessione generale sul Principio di Precauzione (PdP) e
sulla sua applicabilità al caso particolare dei cambiamenti del cli-
ma globale e al Protocollo di Kyoto.
La formulazione del PdP come risulta dall’art. 15 della dichiarazio-
ne di Rio del 1992 è la seguente: «Where there are threats of serious or
irreversible damage, lack of full scientific certainty shall not be used as
a reason for postponing cost-effective measures to prevent enviromen-
tal degradation» la traduzione italiana più fedele potrebbe essere que-
sta. «Ove vi siano minacce di danno grave o irreversibile, l’assenza di
certezze scientifiche non deve servire come pretesto per posporre
l’adozione di misure, efficaci rispetto ai costi, volte a prevenire il degra-
do ambientale». L’interpretazione e la traduzione corretta del testo
crea problemi e non è improbabile che anche chi ha formulato il prin-
cipio non avesse un’idea chiara di quanto veramente volesse esprimere.
F. Battaglia 1 scrive: «Solo a chi non ha un’educazione scientifica può
passare inosservata la vacuità del principio sovra esposto: la certezza
scientifica è sempre assente. Certamente non è passata inosservata alla
Commissione dell’UE che, però, anziché rifiutare il principio, ha tenta-
to, un po’ arrampicandosi sugli specchi e aggiungendo problemi anzi-
ché risolverne, di giustificarlo e di stabilirne i limiti di applicabilità».
Il PdP è un concetto, essenziale al buon funzionamento della so-
cietà, che può essere applicato ad ogni problema tecnico-scientifico
ed è strettissimo parente del “coefficiente di sicurezza” che costituisce
la base della formazione dell’ingegnere. Ma G. Bramoullé su Liberal
(agosto 2001) scrive: «Uscito dal suo contesto iniziale – la società civi-
le – per diventare il leit motiv della società politica, il principio di pre-
cauzione si trasforma da libero esercizio di saggezza a un pretesto mi-
stificatorio per una regolazione liberticida. Nuovo alibi per i responsa-
bili che non vogliono essere colpevolizzati, cavallo di Troia di
un’estensione indefinita delle prerogative dello Stato, il Principio di
Precauzione, nella sua accezione corrente, è il principio costitutivo di
una società basata su una prevenzione che mantiene stazionarie le
condizioni esistenti». Bisogna quindi riportare il PdP nel suo giusto
ambito evitando una generalizzazione acritica e distorta.
Il PdP trae origine culturale dall’opera di Hans Jonas e in partico-
lare dal suo scritto Il principio di responsabilità. Jonas è un ecologista
che denuncia l’umanesimo e inneggia a una mistica naturalistica. Sem-
pre G. Bramoullé afferma «In nome dell’irreversibilità delle azioni
umane e dei pericoli del progresso tecnico e scientifico, Jonas vuole
affidare a un’élite di uomini di stato, ritenuti capaci di assumersi etica-
mente la responsabilità per le generazioni future, la direzione del pia-
neta». Una linea culturale di questo tipo esaspera il Principio di Pre-
cauzione, promuove una forte ostilità ad ogni forma di rischio e di fat-
to risulta illiberale e tecnofoba.
Il PdP ha dato corpo a un’ondata di paure che ha portato con sé
un’accozzaglia di incertezze e di semplificazioni che soffocano l’inno-
vazione e frenano lo sviluppo. L’ambientalismo integralista ha fatto
del PdP il suo punto di forza e ne ha estremizzato le conseguenze: ba-
sta una pubblicazione, fra mille contrarie, che ipotizzi un sospetto pur
remoto di danno ambientale o alla salute dell’uomo per osteggiare o
demonizzare una qualsiasi innovazione tecnica. Tutta l’umanità, pur
non accorgendosene, rischia di pagare caramente l’uso perverso del
PdP. Non si riesce a capire chi abbia un’autorità superiore a quella de-
gli scienziati competenti per prendere decisioni così gravi. Può darsi
che la scienza non sia sufficiente per prendere queste decisioni, ma è
indubbio che è indispensabile. Quando una persona nella nostra so-
cietà ha problemi di salute consulta i medici, magari diversi, ma a loro
si affida non ai politici o alle fattucchiere; non si riesce a capire perché
quando i problemi pur sempre scientifici riguardano l’intera società
l’autorità scientifica non debba essere il riferimento primario. La di-
vulgazione scientifica, spesso sinonimo di grave disinformazione, ac-
Il Principio di Precauzione 189
centua sempre gli aspetti negativi ed emotivi: basti pensare che nei di-
battiti televisivi si tende a dare eguale credito a scienziati di chiara fa-
ma e a sedicenti esperti ambientali senza nessuna preparazione scienti-
fica. Il problema del deposito delle scorie radioattive in Italia è solo
l’esempio più recente: tutto il mondo scientifico concorda con la solu-
zione proposta e che non presenta alcun rischio. Anzi. Ma i politici
per esigenze di consenso sociale istigato dall’ambientalismo più ideo-
logizzato hanno ceduto.
Nel caso particolare dei cambiamenti del clima globale il PdP rag-
giunge il massimo della sua equivocità. In questo caso non solo è molto
incerto che il danno derivi da azioni antropiche, ma anche le misure
proposte per contrastarlo sono difficilmente attuabili, alcune costose e
di certa inefficacia. È questa una situazione ben diversa da quella in cui
si voglia prevenire un danno ipotetico, ma con un intervento attuabile
e ragionevolmente efficace. Il Protocollo di Kyoto, che trova le sue radi-
ci nel PdP, non è stato sufficientemente meditato; ne è risultato un do-
cumento di difficile applicazione che gli stessi estensori hanno progres-
sivamente modificato, derubricandolo da strumento “salva mondo” a
semplice esercizio, più psicologico che effettivo, di virtuosismo am-
bientale. Il furore ambientalista e la mancanza di una meditata rifles-
sione hanno portato in tutto il mondo a una proliferazione di normati-
ve pseudoscientifiche, sempre farraginose, senza nessuna possibilità di
essere concretamente applicate e che daranno luogo a contenziosi di
difficile risoluzione tra stati e istituzioni pubbliche e private.
190 I costi della non-scienza
191
N
el Manifesto dell’associazione Galileo 2001 si legge il seguen-
te brano: «La voce della scienza è certamente più affidabile e
anche umanamente – oltre che intellettualmente – più consa-
pevole delle voci incontrollate e dogmatiche che, fuori di ogni rilevan-
za scientifica, pretendono di affermare “verità” basate sull’emotività
irrazionale tipica delle culture oscurantiste».
La pretesa di affermare verità basate sull’emotività irrazionale e
fuori da ogni rilevanza scientifica è caratteristica di quelle discipline
“alternative” che tanta popolarità stanno riscuotendo nella società.
Parallelamente al diffondersi di un atteggiamento antiscientifico si as-
siste, infatti, al proliferare di discipline pseudoscientifiche che ipotiz-
zano livelli di realtà, sconosciuti alla scienza, in cui agirebbero poteri,
forze ed energie che, se non opportunamente controllate, potrebbero
risultare estremamente pericolose. Inutile dire che dal punto di vista
scientifico le affermazioni di queste discipline sono del tutto prive di
fondamento, non essendo mai emersa alcuna evidenza che renda mi-
nimamente plausibile l’esistenza delle realtà da esse ipotizzate. Ciò no-
nostante, i dati statistici mostrano che la diffusione delle credenze pa-
ranormali e pseudoscientifiche tra la popolazione raggiunge livelli
molto preoccupanti. La preoccupazione diventa ancora più forte
quando si osserva che istituzioni e soggetti che possiedono responsa-
bilità pubbliche, dando credito alle affermazioni pseudoscientifiche,
intraprendono iniziative operative. Purtroppo, non mancano gli esem-
pi. Vi sono stati dei pubblici amministratori che, invocando il Princi-
pio di Precauzione e appellandosi a un generico “… nel dubbio è me-
2 Tratto da: Simone Caffaz, Dalla Prima Repubblica al Terzo Millennio – Un-
RINGRAZIAMENTI
Si ringraziano, naturalmente, gli oltre 200 partecipanti, che sono stati de-
terminanti per il successo dell’iniziativa e, in particolare, gli studenti e gli
insegnanti della scuola IIS Pacinotti-Gobetti “sezione classica” di Fondi
(Latina) per l’entusiastico interesse.
Un grazie anche alla Multimedia sas di Valter Cirillo & Partners per il ge-
neroso impegno profuso nella cura del sito dell’Associazione, www.gali-
leo2001.it .
Infine, ma non ultimi, per aver curato con competenza gli aspetti organiz-
zativi del convegno si ringrazia la signora Angela Rosati e, in particolare,
Cristiano Bucaioni per aver anche svolto il lavoro necessario a trasforma-
re le relazioni orali nel presente volume.