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Milano 2002

Istruzione e Formazione Tecnica Superiore


Regione Lombardia Fondo Sociale Europeo Ministero dellIstruzione, dellUniversit e della Ricerca Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale

Corso di Formazione per la tutela e la valorizzazione dei siti preistorici lombardi e nazionali
Direttore Gabriella Brusa Zappellini

Enti attuatori:
Universit degli Studi di Milano Dipartimento di Scienze della Terra Centro Camuno di Studi Preistorici - Capo di Ponte - Brescia Istituto Statale Virgilio di Milano Touring Club Italiano

http://www.iftsarterupestre.too.it

2002 Gabriella Brusa Zappellini ISBN88-7695-236-5 Prima edizione: giugno 2002 Arcipelago Edizioni Via Filippo da Liscate 1.2 20143 Milano Tutti i diritti riservati Ristampe: 7 6 2008 2007

5 2006

4 2005

3 2004

2 2003

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Progetto grafico della copertina: Carlo Franzini. Grotta di Lascaux (Francia). Figura zoomorfa (particolare) Editing: Marisa Chiani

Gabriella Brusa Zappellini

Arte delle origini


Preistoria delle immagini

Indice

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7 Forme dello spazio e origini dellarte . . . . . . . . . . . . . . . .15 Il mostro ipnotico. Preistoria di un simbolo . . . . . . . . . . .47 Occhi, begli occhi. I riti della piccola morte . . . . . . . . . . .73 Esseri piumati e trance sciamanica . . . . . . . . . . . . . . . . .89 Decifrare i segni. Un percorso semiotico . . . . . . . . . . . .101 Arte e complessit. Il potere delle immagini . . . . . . . . . .117 Iconografia preistorica e archetipi figurativi . . . . . . . . . .125 Et dei sogni e mondo antico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .149 Per una paletnologia del linguaggio . . . . . . . . . . . . . . . .169 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .181

Introduzione

Ex umbris et imaginibus ad veritatem

Da dove vengono le immagini? Certamente da una mano abile e sapiente, capace di calibrare con precisione il tocco delle dita, di sfumare con un gessetto docra rossa una parete rugosa, di stendere con perizia il colore allinterno di un tracciato definito. Non cosa da poco. Per giungere a questo risultato sono dovuti trascorrere decine di migliaia danni attraverso i quali la nostra specie nascente ha visto progressivamente un arto rigido, funzionale per lo pi agli spostamenti della vita arboricola, trasformarsi in un grande, straordinario strumento di mediazione fra lo spazio dellio e quello del mondo. Eppure, gi Leonardo, agli inizi della modernit, aveva affermato, nel suo celebre trattato sulla pittura, che a tracciare le immagini non propriamente la mano, ma la mente e che il dipingere unoperazione sostanzialmente creativa che rimanda, pi che a un gesto esperto, a un progetto intenzionale. Dunque, la mano abile e lintenzionalit creativa. Ma questo ancora non basta. In un momento di declino dello spirito moderno, agli inizi del secolo appena trascorso, Freud ci ha portato a riflettere sul fatto che il pensiero non mai del tutto padrone in casa propria e che dietro ogni progetto consapevole della mente urgono motivazioni profonde che restano per lo pi ignote al soggetto che agisce, ma che ne determinano in modo preponderante il comportamento.

ARTE DELLE ORIGINI

Dunque, una mano abile, unintenzionalit e una complessa trama di motivi inconsci. Ora, se oggi conosciamo bene il processo filogenetico che ha portato la zampa a diventare un arto agile e intelligente, lintenzionalit originaria dellatto pittorico e le sue motivazioni ci restano per lo pi sconosciute. Certamente prima dei dipinti troviamo tacche e coppelle, incisioni ordinate e precise che segnano gi nel Neanderthal, una propensione al ritmo e alla misura. E prima ancora troviamo i manufatti litici dellHomo habilis e dellHomo erectus, pietre scheggiate e lavorate per compensare lincapacit delle sue unghie fragili e dei suoi canini deboli a smembrare la preda. Da un certo punto di vista, tutto sembra aver avuto inizio con landatura eretta e con la necessit, in un dato momento delle nostra storia evolutiva, di rivolgerci ad una alimentazione carnivora pur non avendo nulla, sul piano della dotazione naturale, che potesse giustificare tale scelta. Ma la linea di continuit che da questi comportamenti funzionali giunge alla produzione di immagini non sembra seguire un percorso chiaro. Prima o poi, la matassa si ingarbuglia e il filo inizia a spezzarsi, teso in modo innaturale dal progressivo sviluppo del pensiero, delle sue capacit razionali, ma anche delle sue zone dombra. La nostra dinamica evolutiva segna, in effetti, un salto, o meglio una serie di salti nel continuum del mondo animale: il lavoro, il controllo del fuoco e del linguaggio, le sepolture. Tutte eccezioni che ci spingono innanzi, ma che, nello stesso tempo, lacerano in maniera irreparabile il tessuto protettivo della bella naturalit, un tessuto gi compromesso nelle lunghe tappe degli esordi che avevano portato le prime scimmie bipedi fuori dei ritmi di un accadere puramente naturale. Eccezioni che appartengono per gi agli ominidi. La vera novit, il grande salto della nostra specie fossile, rappresentato invece dallemergenza delle prime forme darte. Laddove giunge lHomo Sapiens sapiens, cio un individuo identico a noi per capacit concettuali e affettive, giungono anche le sue immagini, figure straordinariamente belle

INTRODUZIONE

e potenti, capaci di suscitare ancora in chi le guarda, a distanza di millenni, un impatto emotivo fortissimo. Ma da dove vengono queste rappresentazioni, da dove i grandi animali dipinti nelle profondit delle grotte, i puntoni rossi, i segni a zigzag e le impronte delle mani che li accompagnano, le linee caotiche che sembrano cancellare i tratti subito dopo averli incisi? Molte di queste immagini si trovano, come noto, nelle viscere della terra, in luoghi bui, spesso difficili da raggiungere, luoghi claustrofobici e, al tempo stesso, attraenti in cui la luce del tempo, scandita dallalternarsi del sole e della luna, non batte mai, grandi foreste magiche e pietrificate in cui la fiamma della fiaccola pu accendere, fra le colate di calcite e le pareti cristalline, il sortilegio delle figure dipinte. Ma quale progetto consapevole, quale inconscia motivazione ha spinto la mano a tracciarle? Si pensato a trappole magiche per propiziare la caccia, a forme di rappresentazione mitica del maschile e del femminile, ad apparizioni portentose dei misteri della vita e della morte. Tutte ipotesi. Uno degli aspetti forse pi affascinanti della preistoria proprio quello di sollevare grandi domande alle quali non sar mai possibile dare risposte certe: lintenzionalit degli uomini che hanno scritto il primo, pi affascinante capitolo della nostra storia delle arti figurative ci sfuggir per sempre. Una cosa per appare qui evidente. Ci che per noi uno straordinario gioco di linee e di colori, per i nostri antenati non aveva un significato puramente estetico. Nella profondit delle grotte istoriate la cattura dei sensi doveva andare di pari passo con la liberazione di forze evocative, oggi del tutto assopite nellatrofia dellimmaginario contemporaneo. Ora, proprio la comprensione di questo vissuto emozionale delle origini che manca allappello. Non conosciamo n i miti n i riti che accompagnavano latto pittorico e che per decine di migliaia danni hanno plasmato le matrici della nostra spiritualit nascente. Potremmo quasi dire che dellarte dei primordi ci restano solo testimonianze impoverite, prive cio dello scenario di senso allinterno del quale dovevano acquistare la loro vita e la loro efficacia.

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Lo stesso discorso pu valere per le sepolture. Nella postura dei reperti scheletrici paleolitici, nei corredi funerari, nelle lastre coppellate di copertura intuiamo la presenza di una forte ritualit il cui senso per ci sfugge costantemente. Eppure, se affrontiamo il problema da unaltra angolatura, possiamo contemporaneamente affermare che in questa discesa infinita nel pozzo del tempo ci troviamo dinanzi a testimonianze straordinariamente integre. In che senso? Se scendiamo nelle grotte istoriate, guidati da una luce di fiamma, a un certo punto del nostro percorso, incontriamo le stesse immagini che incontravano i cacciatori arcaici che le avevano dipinte. Ci troviamo nello stesso ambiente delle prime frequentazioni rituali, vediamo le stesse pareti argillose, sentiamo lo stesso particolare silenzio, proiettiamo le stesse ombre. Potremmo quasi dire, respiriamo la stessa aria delle origini, unaria rarefatta, a temperatura costante, vagamente allucinogena. unesperienza rara, quasi sconosciuta alla ricerca archeologica. Nella nostra ricostruzione del passato, siamo infatti abituati a muoverci tra grandi rovine, in contesti profondamente mutati rispetto a quelli della nostra ricostruzione di senso. Lorizzonte percettivo della ricerca archeologica infatti non coincide quasi mai con lorizzonte percettivo della cultura che va scoprendo. Pensiamo soltanto allarcheologia greco-romana. Abbiamo straordinarie testimonianze letterarie che ci consentono di comprendere il clima, le motivazioni e gli scopi degli antichi. Con limmaginazione e il sostegno delle nuove tecnologie virtuali possiamo edificare citt, templi e abitazioni, ma nel giro effettivo del nostro sguardo indagatore non troviamo che un cumulo di rovine. Rare sono le situazioni in cui il passato ci restituisce una camera sepolcrale intatta. Allinterno delle stesse piramidi egizie, il segno dei tempi e lo spirito di rapina hanno introdotto modificazioni irreparabili. Nelle profondit delle grotte invece il tempo si fermato: lorizzonte della nostra visione lo stesso di quello originario. Un dato di eccezionalit su cui conviene riflettere.

INTRODUZIONE

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Ora, evidente che non si tratta qui di abbandonarsi a una concezione ingenua della visione cadendo nella trappola della invarianza percettiva. Una trappola tanto suggestiva e fuorviante quanto quella dellempatia romantica: cos come ci preclusa lidentit simpatetica con il mondo delle origini, ci negata, nello stesso tempo, lillusione della identit percettiva. Noi non vediamo le stesse cose dei cacciatori arcaici perch non vediamo come vedevano i cacciatori arcaici. N vediamo come i greci o i romani o gli egizi. Il nostro occhio infatti non funziona come un apparecchio neutrale: a mutare non tanto il dato percettivo in quanto tale, ma il nostro atteggiamento spirituale dinanzi alla visione. Da questo punto di vista, potremmo dire che ogni cultura percepisce la realt in modo diverso. Ed qui evidente che la nostra percezione sensoria, disincantata e scettica, assai lontana da quella magico-numinosa delle origini. Eppure, al di l di questo dato di fatto, nelle grotte paleolitiche abbiamo la possibilit rara di unimmersione totale nello stesso orizzonte di coloro che, in quegli stessi luoghi, hanno tracciato le prime immagini e celebrato i primi riti. Certo, non vediamo nello stesso modo, ma vediamo le stesse cose e, se non possibile liberarci delle nostre categorie moderne per immedesimarci in unimprobabile sensibilit originaria, invece possibile attuare una sorta di epoch fenomenologica della visione tentando di mettere tra parentesi i suoi filtri culturali. Una messa tra parentesi che potrebbe equivalere alla consapevolezza della loro sostanziale ineludibilit. Torniamo ora, alla luce di queste considerazioni, alle pitture parietali. Il primo dato visivo che queste immagini immediatamente ci trasmettono, al di l della loro bellezza e della loro maturit espressiva tratti in qualche modo fortemente connotati in senso culturale , quello di una fondamentale ambivalenza costitutiva. Sono immagini cariche di una profonda doppiezza estetica nel senso che suscitano in chi osserva sensazioni diverse, opposte. Da una parte indubbio un effetto illusionistico potente: alla luce di fiamma i pannelli affollati di animali sembrano

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prendere vita in un sortilegio di luci e di ombre sconvolgente. un rapimento dei sensi che crea limpressione di una immersione mimetica in un branco. Cervi, bisonti, cavalli corrono sulle pareti argillose, balzano dalle fenditure delle rocce, si inoltrano nelle zone dombra fino a scomparire. un dinamismo pulsante e vitalistico che anima le pareti dipinte, sottolineato dai tratti naturalistici delle figure, dalla minuzia dei particolari, dalla maturit dei tratti. La stessa incompiutezza dei contorni non sembra compromettere leffetto di realt dellinsieme, ma accrescerlo. Di alcuni animali tratteggiata solo la curva cervico-dorsale, di altri la testa, di altri ancora mancano le zampe o il ventre: lo sguardo corre con maggior velocit sulle rappresentazioni incompiute che sembrano muoversi con la stessa rapidit dellocchio che le guarda. Lo stesso discorso pu valere per lassenza dellorizzonte e del mondo vegetale en plein air: gli animali sono l dove appaiono, nelle stanze ingombre di stalagmiti, nei ventricoli, sulle colate di calcite dei soffitti bui. Non vi nulla di mimetico in questo naturalismo animalistico, non una trasposizione illusoria, ma il sortilegio di apparizioni semoventi. Non si tratta dunque di rappresentazioni figurative, ma di presentificazioni magiche. I nostri antenati non andavano nella profondit della terra a dipingere i grandi esseri zoomorfi, ma a incontrarli, stagliati sulle pareti cristalline e sui pendenti rocciosi. Un incontro soprannaturale, attivato da una robusta propensione visionaria alla identificazione fantastica, al riconoscimento magico, di carattere isomorfo, che ci spingeva a scorgere in una morfologia naturale il dorso di un animale e in una fenditura il suo muso. Dunque una immersione nella vita e un profondo senso dempatia, di comunanza, potremmo pensare. Eppure queste apparizioni suscitano, nello stesso tempo, anche un sentimento opposto. Il loro vivere un vivere ambivalente, pulsante ma impigliato nel freddo cristallino della roccia. Il loro dinamismo statico: segnano paradossalmente la corsa. Le stesse linee che li definiscono tendono allessenzialit dellastrazione, a una purezza sottratta al fluire del tempo.

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Abstraktion e Einfhlung, come direbbe Wilhelm Worringer, sembrano qui magicamente convergere prima di separarsi nel tormentato cammino della fruizione estetica. Limmensa agorafobia spirituale che affida alle morfologie della roccia il sortilegio delle apparizioni sembra qui convivere con un altrettanto potente abbandono allinfinita felicit della vita, colta nel suo fluire pi immediato e naturalistico. Uno stato di grazia sinestetico che nessuna forma darte riuscir pi a raggiungere. Potremmo quasi dire che questi grandi zoomorfi delle origini sono organici e inorganici nello stesso tempo. Categorie probabilmente valide per noi che distinguiamo i regni della natura. Ma potremmo anche aggiungere che sono esseri caldi e freddi insieme, ricorrendo cos a una sensazione percettivotattile che, nella sua immediatezza, potrebbe attraversare tutte le differenze culturali. Ed forse qui, in questa ambivalenza costitutiva, che queste prime rappresentazioni artistiche vengono ad assumere il loro senso pi compiuto e a celebrare il loro pi profondo mistero. Nelle magiche apparizioni delle grotte, nel caldo e nel freddo, nellorganico e nellinorganico, nel naturalistico e nellastratto la vita sembra quasi sottrarsi a se stessa, o meglio, ricongiungersi con ci che sta fuori da s, coniugandosi con leterno. Grandi momenti di rigenerazione dellenergia, forse gli antichi incontri sotterranei dovevano assolvere, al di l di ogni funzionalit consapevole, un compito essenziale al nostro vivere, un vivere innaturale, sconosciuto agli altri esseri animati: inserire la vita nel ciclo della morte e la morte in quello della vita. Unipotesi.

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Alcuni saggi qui raccolti sono gi apparsi nei Quaderni di cultura psicanalitica La Ginestra. Altri sono una rielaborazione di miei interventi presentati, in questi ultimi anni, a Convegni nazionali e Simposi internazionali. Ringrazio qui per la cortese concessione il Professor Emmanuel Anati, Direttore del Centro Camuno di Studi Preistorici, il Professor Vincenzo Loriga, Direttore della Ginestra e lEditore Franco Angeli. Dedico la pubblicazione ai miei allievi del Corso di formazione per la tutela e la valorizzazione dei siti preistorici lombardi e nazionali con affettuosa gratitudine.

Forme dello spazio e origini dellarte*

La Nature est un temple o de vivants piliers Laissent parfois sortir de confuses paroles; Lhomme y passe travers des forts de symboles Qui lobservent avec des regards familiers (Charles Baudelaire, Les Fleurs du mal, Correspondances)

1. Percezione e forme della creativit Un mito eschimese racconta della vecchia delle foche. Seduta nella sua dimora senza luce, oltre le terre dei vivi e dei morti, questa strega tiene sempre accesa dinanzi a s una lampada di pietra che, con il suo gioco di ombre semoventi, d vita agli animali che popolano la terra. Solo gli sciamani conoscono questo centro di perpetua rigenerazione del vivente. A noi non dato vederlo. Possiamo per immaginarlo come uno spazio vuoto, immerso nel buio. Nel mezzo, una sorta di lanterna anima le figure dipinte che si agitano nel suo cono di luce. Ma il loro un muoversi per finta, un vivere per gioco. Nelle superfici colorate della proiezione magica non c il mondo, ma solo la sua superficie visibile. Del resto, noi siamo da tempo avvezzi a guardarci alle spalle fuori delle caverne. Eppure il nostro sguardo e quello degli sciamani delle zone artiche, per certi aspetti, non sono molto diversi. Vi in entrambi la medesima propensione dellocchio a completare
* Il presente saggio apparso per la prima volta con il titolo Forme dello spazio e origini dellarte in AA.VV., a cura di Gabriella Brusa-Zappellini e Vincenzo Loriga, Figure dello spazio, Quaderni di cultura psicanalitica La Ginestra, Franco Angeli Editore, Milano 2000.

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le forme, caricando i segni di un senso aggiuntivo che eccede i limiti della percezione sensibile. Pensiamo a unimpronta sul terreno. Anche se lanimale che lha lasciata lontano, rimane la sua traccia fresca, residuo di una presenza recente. Certamente lorma non lanimale, e neppure gli rassomiglia, per consente la sua identificazione anche quando questo ormai fuori dellorizzonte della visibilit. La sua traccia un indizio. un segno che ha un senso in s, nella sua forma immediatamente visibile, ma , nello stesso tempo, anche un segnale che ha un senso fuori di s, nel suo valore di rimando a un invisibile che ha una diversa forma. Limpronta della preda evoca, dunque, qualcosa daltro, costringe la mente a riflettere sul nesso che unisce lo spazio al tempo, lassenza alla presenza. Potrebbe suggerire, in questo caso, nuove strategie di caccia. Lo stesso vedere in ci che c, ci che non c pu valere per anche in contesti meno arcaici, del tutto indifferenti alle dinamiche venatorie. Pensiamo alla fantasia che riconosce in una nuvola il profilo di un animale.
AMLEto: Vedete quella nube laggi che ha quasi forma di cammello? PoLoNIo: Per la Santa Messa! Si direbbe proprio un cammello. AMLEto: Mi pare che assomigli a una donnola. PoLoNIo: Ha proprio il dorso di una donnola. AMLEto: o come una balena. PoLoNIo: Proprio come una balena. Il ghiaccio [scriver Schopenhauer] si depone sui vetri delle finestre secondo le leggi della cristallizzazione, che rivelano lessenza della forza naturale attiva in tale fenomeno, e rappresentano quindi lidea; ma gli alberi e i fiori che i cristalli disegnano sul vetro, hanno un carattere puramente accidentale, non esistono che per noi.1

1 A. Schopenhauer, Il mondo come volont e rappresentazione, trad. it. Milano 1969, p. 220.

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Dunque la realt quando cade sotto la nostra osservazione, cio quando esiste per noi, pu anche assumere quasi la forma di qualcosa daltro. Qui allindizio materiale che d la certezza di un evento trascorso, si sostituisce un come se affidato alla rassomiglianza, cio alla capacit evocativa delle linee e dei volumi di creare un riconoscimento fittizio, di carattere illusorio. Nel suo giro dorizzonte percettivo, la mente, come nel caso dellorma, tende, di nuovo, a completare il puro dato di fatto dello sguardo, giungendo per a conclusioni integrative diverse, fondate non pi sul valore di rimando della traccia, ma sullazzardo mimetico della forma. In questo caso, la rassomiglianza a giocare un ruolo fondamentale. Facciamo un esempio. In una grotta cretese presso Amnisos, il porto di Cnosso, si svolgevano, ancora in et storica, riti misterici in onore di Ilizia, dea della fecondit. Nella caverna si trovava un recinto circolare allinterno del quale campeggiava una stalagmite a forma fallica. ora, evidente che fra la stalagmite di Amnisos e il fallo anatomico la differenza enorme, ma un riconoscimento isomorfo, giocato sulla rassomiglianza formale, ha portato alla sacralizzazione del luogo, trasformando una configurazione naturale in un centro apotropaico di emanazione magica. proprio da questa attitudine proiettivo-fantastica dellimmaginazione che la creativit artistica deve aver tratto le sue origini, leggendo nei segni accidentali le tracce di unarcana scrittura. Gi Leon Battista Alberti, nel suo trattato De Statua, aveva intuito questa particolare dinamica, sostenendo che le arti sono nate dallosservazione delle morfologie naturali, ad esempio degli alberi o della terra, e che bastasse modificarle un poco, per ottenere una rassomiglianza perfetta, non senza trovarvi piacere: Da quel momento in poi scrive lAlberti linclinazione delluomo a produrre immagini si svilupp rapidamente. Questa inclinazione sembra, del resto, almeno alla luce delle attuali acquisizioni, appartenere alla nostra specie, in senso stretto e non allominide. Certo il Neanderthal ci ha lasciato, nei suoi siti abitativi, tacche e coppelle che testimo-

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niano uno sviluppo grafico di carattere ritmico, ma non ancora mimetico-figurativo. vero che lingente quantit docra rossa trovata nelle sue grotte pu far pensare a unattivit pittorica pi complessa. Possiamo ipotizzare, ad esempio, che dipingesse il proprio corpo o le cortecce degli alberi. Ma di queste attivit ipotetiche non ci giunta, n poteva giungerci, testimonianza alcuna. Del resto, nelle sepolture mousteriane di 50.000 anni fa gli animali sono s presentificati, ma come vestigia, ad esempio attraverso corna, parti di ossa, denti, ecc, non come rappresentazioni. Per la nostra specie, invece, la rassomiglianza perfetta, come scrive Leon Battista Alberti, deve aver rappresentato molto presto il motore potente di una nuova pressione selettiva di carattere culturale, artistico-creativo.

2. rappresentazioni zoomorfe delle grotte paleolitiche Se oggi scendiamo in una grotta, pur con lingombro di quel bagaglio razionale che, del tutto funzionale sul piano pratico, ha per messo fuori uso la nostra fantasia originaria, tendiamo ancora a riconoscere nelle sporgenze illuminate dalle torce un mondo immaginifico di figure pietrificate. Solo chi ha vissuto lesperienza diretta di una discesa nei recessi delle grotte pu comprendere appieno la grande suggestione di questi ambienti minerali sotterranei e il loro potere arcano di fascinazione. Abbandonato lorizzonte luminoso del mondo solare e la sua fissit chiara e trasparente, la percezione vacilla, seguendo i bagliori di unilluminazione radente, discontinua e incerta, alimentata da una fiamma che getta sulle pareti buie ombre improvvise e mobili. E quando i sensi vacillano, lo sguardo destinato a vagare negli infiniti spazi dellimmaginario.
Enormi macchie nere [scrive Nougier] avanzano mostruose verso il visitatore, per svanire dopo pochi passi.2
2 Louis-ren Nougier, LArt Prhistorique, Paris 1966(1993), trad. it., LArte della Preistoria, UtEt, torino 1982, tEA, Milano 1994, p. 56.

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Le sensazioni auditive seguono i percorsi sotterranei dellacqua dinfiltrazione, mentre le impressioni olfattive si dilatano avvertendo la presenza umida dei licheni, delle muffe, delle alghe e dellargilla scivolosa. Le figure dipinte sulle pareti, assumono, a tratti, un che di vetroso, ricoperte dagli strati sottili dei cristalli di calcite. Gli animali, colpiti dalla luce, si agitano in branchi, in uno spazio tendenzialmente infinito e fluttuante, del tutto aderente alle modalit percettive di uno sguardo immerso in un potente vissuto affettivo. Nella grotta, infatti, le cose non appaiono mai chiare e distinte come nelle intuizioni cartesiane. Una configurazione rocciosa un grande drago alato e, nello stesso tempo, non lo : un come se o un proprio come. Certo, in noi questo senso disincantato del se e del come tende decisamente a prevalere. Ma alle origini le cose dovevano andare in modo piuttosto diverso. Lesserci immaginario evocato dallapparire della forma, nel suo isomorfismo proiettivo, doveva superare di gran lunga lo status illusorio del suo non esserci. Se per il pensiero moderno il regno animale e il regno minerale sono, infatti, ben separati da una barriera resistente che solo la metafora visionaria dellintuizione poetica pu attraversare di slancio, nella mentalit primitiva, fortemente animistica, le analogie formali dovevano evocare, nello spazio magico delle infinite fluttuazioni visive, osmosi e metamorfosi continue, determinando uno status incantato di felice incoscienza della separazione. Su questa sovradeterminazione dei materiali significanti deve essere poi intervenuta lazione della mano tesa a sottolineare, col ritocco, i tratti dellavvenuto riconoscimento. Larte parietale delle grandi grotte paleolitiche, con la sua sistematica utilizzazione delle morfologie naturali, lo starebbe a dimostrare. La curva di una protuberanza rocciosa ricalcata e completata con la curva cervico-dorsale di un animale. Accanto a una cavit o a una fenditura troviamo simboli maschili o femminili. Una sporgenza diventa il profilo di un bovide, e cos via.

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Nella Grotta di Altamira, due bisonti con le zampe ripiegate verso il ventre aderiscono a due grandi sporgenze ovali della volta. Non molto lontano, due protuberanze rocciose, con laggiunta degli occhi, diventano una maschera e un muso di bisonte. A rouffignac i tracciati digitali si trasformano in serpenti.
Alcune delle linee a serpentina del soffitto dei serpenti di rouffignac sono veri e propri serpenti, con la testa rigonfia e la lingua biforcuta e pendente. Inciso sullasse dello stesso corridoio dingresso, un serpente penetra nellantro ctonio. La serpentina, schematica, potrebbe aver dato origine al serpente; ma potrebbe anche essere una schematizzazione. Anche questo un interessante aspetto del dualismo tra naturalismo e astrazione.3

Sempre a rouffignac, vicino alle bocche dombra della grotta, intorno alle voragini profonde da cui esce il rimbombo delle acque sotterranee, alcuni animali sembrano sul punto di inabissarsi mentre altri ne affiorano rigenerati. Nella Grotta di Niaux, una cavit naturale che evoca la testa di un cervo completata con due ramificazioni, una a destra, una a sinistra. A Lascaux un branco di cervi, di cui disegnata soltanto la parte superiore della testa col palco ramificato, attraversa un fiume in piena, nuotando col capo alzato sopra la fascia scura e continua della roccia. Nella Grotta Bayol, non lontana da Pont du Gard, uno splendido cervide, col muso frontale e il corpo di lato, ci guarda da una protuberanza alla quale sono stati aggiunti pochi e decisi tratti neri. In unaltra grotta francese una cerbiatta si abbevera alla fenditura di una roccia da cui, in certi mesi dellanno, filtra un velo dacqua.
Parfois, [scrive Jean Clottes] un dtail de la surface richeuse deviendra la ligne dorsale dun animal si lon tien la lumire dans une certaine position; un artiste a alors ajout des pattes et autres attributs cette ombre. En dplaant la lampe, on contrle limage que lon fait apparatre e disparatre.4
Louis-ren Nougier, ibidem. Jean Clottes e David Lewis-Williams, Les chamanes de la prhistoire, Ed. Seuil, Paris, 1996, p. 102.
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Questo dinamismo magico di luci e di ombre, proiettando sulle pareti argillose o cristalline un gioco di forme in continuo movimento, doveva dunque evocare nei nostri antenati il sortilegio di unapparizione portentosa. I grandi esseri zoomorfi, delineati dalle morfologie naturali, balzavano alla vista destati dal baleno dalle fiaccole. Solo successivamente, la mano avrebbe fissato queste impressioni fulminee dellocchio nei colori e nei tratti delle immagini incise e dipinte. Unulteriore conferma di questo passaggio dalla visione al ritocco la offre, in tuttaltro contesto, lo straordinario santuario paleolitico scoperto da Emmanuel Anati a Har Karkom nel deserto del Negev israeliano. Si tratta di un insieme di ortostati, nuclei di selce eretti, il cui vago aspetto antropomorfo sottolineato da rapidi interventi: narici, occhi, bocca.
Ad est del santuario [scrive Anati] vi il precipizio, ad ovest le due vette della montagna. Ad unestremit del santuario si vede il territorio di caccia, la grande radura sottostante; allestremit opposta si vedono le due vette, che si ergono verso il cielo come due mammelle. Quando le si raggiungono, si vede che una delle due vette ha, sulla cima, una grotticella; laltra ha una forma naturale spiccatamente fallica. Sembra che il paesaggio del sito racchiuda il principio maschile e femminile e quello della complementariet tra terra e Cielo, tra montagna e pianura, tra luogo di abitazione e territorio di caccia. Si ha limpressione che il paesaggio stesso, con le sue forme e la sua topografia, abbia determinato lubicazione del santuario. Una quarantina di grandi noduli in selce, alcuni dei quali sono alti pi di un metro, provenienti da tre cave diverse in un raggio di circa 3 km., hanno forme naturali reminiscenti del busto umano, in prevalenza femminile, e animali. Arrivando sul luogo, molti hanno la strana impressione che da esso sprigioni una grande energia: i monoliti scuri concentrati in una valletta bianca sullorlo del precipizio e il paesaggio lunare circostante creano unarchitettura ambientale che mozza il fiato. Alcune di queste statue naturali pesano diversi quintali. Un grande sforzo deve essere stato dedicato per trasportarle nel luogo. Sono state aggruppate nellarea centrale. Alcune sono state ritoccate dalluomo5.
5 Emmanuel Anati, La religione delle origini, Edizioni del Centro Camuno di Studi Preistorici, Capo di Ponte, Brescia 1995, p. 109.

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Mentre sulla montagna sacra della penisola sinaitica, le forme antropomorfe sembravano evocare alla coscienza nascente la presenza di spiriti custodi della magia del luogo, dentro le grotte paleolitiche europee, lattivit della mano iniziava la sua avventura figurativa tracciando sulle pareti pi interne quelle figure naturalistiche e zoomorfe che ancora oggi ci colpiscono per la loro straordinaria potenza evocativa. Pensiamo soltanto ai leoni e ai rinoceronti che da 30.000 anni si inseguono sulle pareti della Grotta Chauvet. La creativit artistica potrebbe, dunque, aver seguito queste tre fasi: a) il riconoscimento isomorfo affidato allintuizione del momento; b) il ritocco teso a sottolineare lavvenuto riconoscimento; c) lattivit figurativa vera e propria che cristallizza, nellimmagine dipinta, lapparizione fissandola nel tempo. Queste diverse scansioni non vanno per intese in senso temporale, come gradi successivi della dinamica dello sviluppo della creativit, quanto piuttosto come tappe della sua logica dello sviluppo. Sul piano delleffettiva esperienza storica, questi tre diversi momenti potrebbero essersi presentati in modo pressoch contemporaneo. Perch allora ipotizzare una continuit in vitro? La ragione sta, a mio avviso, nel fatto che la comprensione dellarte delle origini, cio di un fenomeno di ordine storico, implica necessariamente un allargamento degli orizzonti della riflessione alle origini dellarte, cio a un fenomeno di ordine logico, o meglio psicologico, che rinvia a quei complessi processi mentali che hanno determinato il prodursi delle immagini e, insieme con esse, il costituirsi delle nostre strutture concettuali e ideative. In questo senso, centrando lanalisi sulle pratiche del vedere e sul loro rapporto con le dinamiche di funzionamento psichico, sembra di nuovo emergere, come primo dato significativo, proprio quella particolare vocazione dellocchio a trasfigurare le forme accidentali della natura di cui abbiamo accennato agli inizi di questo scritto. Si tratta di una vocazione certamente visionaria, ma che ha probabilmente rivestito, almeno alle sue origini, un valore pratico-strategico di controllo del mondo.

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Nel suo lungo cammino filogenetico luomo ha, infatti, progressivamente perso gli elementi selettivi che guidano il comportamento degli altri esseri animati. rispetto a quello animale, il nostro istinto si , in questo processo di umanizzazione, enormemente affievolito, consegnando il nostro agire e il nostro vedere a uno stato di esuberanza permanente estremamente dispendiosa. Il fiuto vitale delluomo non pi n infallibile n specializzato, e questa precariet che costituisce unindubbia ricchezza sul piano estetico dellimmediato sentire, pu rivelarsi del tutto deficitaria sul piano funzionale di una praticit che esige precisione nel tiro. come se la nostra specie, nelle sue diverse modalit dagire, rischiasse di perdere costantemente di mira il bersaglio. riconoscere allora in una stalagmite un fallo certamente un trompe loeil, ma un abbaglio del tutto produttivo che semplifica il campo, riducendo lingombro intorno al centro emotivo dellinteresse. Il riconoscimento visivo, infatti, fosse anche di una realt orrorifica, contiene sempre in s qualcosa di rassicurante: riconduce lignoto al noto, il casuale allintenzionale, lestraneo al familiare, per quanto perturbante questo possa apparire. In tal modo, si viene a creare una sorta di uniformit isomorfa del mondo che consente allo sguardo di muoversi con pi agio nei labirinti della percezione. In effetti, questa capacit dintenzionare i segni, apparentemente infinita, sempre riconducibile a vissuti desperienza concreti. Ad esempio, chi non conosce il mare non potr mai vedere nel gioco delle nuvole laccavallarsi delle onde, n il profilo di una giraffa se vive in un clima glaciale. Allo stesso modo, una societ di cacciatori tender a riconoscere nelle protuberanze naturali i profili dei grandi animali e non le costellazioni celesti. Ma anche questa apparente riduzione degli spazi dellimmaginazione visiva nei confini della materialit di una specifica cultura, sembra seguire la stessa logica dello sgravio della percezione sensoriale, presentandosi come una selezione psichica, fortemente subordinata ai desideri e ai conflitti dellanima.

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Il problema potrebbe anche esser posto in questi termini: per quale ragione la nostra fantasia immaginativa privilegia alcune forme, catturandole in una complessa rete di rimandi mnemonici, mentre ne lascia cadere altre, relegandole allo status di contorno o di sfondo? Qui evidente che la risposta non pu venire da un ordine di considerazioni esclusivamente fondato sulle dinamiche percettive e neppure sulle dinamiche materiali. Pi pertinente potrebbe essere il rimando alle libere associazioni e allimportanza che queste assumono in ambito psicoanalitico. Se il nostro sguardo deve fare costantemente i conti con uneccedenza esterna, di carattere visivo, la nostra vita psichica sembra, nello stesso tempo, chiamata a farli con uneccedenza interna, altrettanto complessa e difficilmente governabile. Le due cose sono strettamente correlate. Facciamo un esempio. Per gli animali carnivori sbranare la preda del tutto naturale, come del tutto naturale morire e veder morire. Per luomo, gi alle origini, le cose non dovevano andare in maniera cos semplice. Animale fra gli animali, il cacciatore paleolitico aveva bisogno di ricorrere ad una serie di artifici per vincere. Usava lastuzia delle trappole e la forza delle zagaglie per compensare le carenze della sua dotazione naturale non-carnivora. Per rassicurare la preda, celava probabilmente il suo volto dentro una maschera zoomorfa, un involucro vero-simile capace di confondere i sensi. Per non morire, era costretto a immergersi in maniera del tutto artificiale nella morte. ora, mentre la morte dellanimale e la sua ingestione dovevano apparire ai suoi occhi come la condizione prima di possibilit della sua rigenerazione vitale, questa stessa possibilit doveva, al contempo, presentarsi alla sua coscienza come un terribile potenziale di distruzione: se la caccia per la vita avesse portato allannientamento degli animali, la stessa vita non avrebbe trovato pi di che vivere una volta estinte le fonti originarie dellenergia. E qui ha ragione Jean Clair a coniugare le origini dellarte al terrore della morte6.
6 Jean Clair, Contribution une antropologie des arts du visuel, trad. it. Medusa. Lorrido e il sublime nellarte, Leonardo, Milano 1992.

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Ma di quale morte? Noi pensiamo si tratti del morire in generale, umano e animale insieme, in una sintesi ansiogena che ha potuto trovare la sua risoluzione compensativa in rituali magici volti a propiziare non tanto, o soltanto, la fortuna della caccia, quanto piuttosto gli stessi potenziali rigenerativi dellintero universo vivente. Di qui la necessit della messa in campo di strategie propiziatorie affidate alle capacit evocative della percezione visionaria, capacit che hanno trovato il loro punto di forza nella vocazione naturale dello sguardo a riconoscere in ci che c, ci che non c: gli animali non sono solo cibo sotto la volta del cielo, ma anche, sotto i soffitti delle grotte, spiriti eterni che balzano dalle fessure della terra liberandosi sulle superfici cristalline del mondo ctonio. Sotto la terra, dentro le grotte vi dunque un luogo protetto, sottratto alle mutazioni del tempo, in cui i grandi orologi del cielo, il sole e la luna, sono assenti e in cui lenergia vitale pu mantenersi e custodirsi integra. Calarsi in queste profondit naturali, immergersi nella visione della fonte primaria e perenne della vita, ha allora il senso di rassicurare lanimo turbato, sgravandolo da un duplice senso di colpa che lopprime: quello del sacrificio della propria naturalit e quello del sacrificio della naturalit animale. Come, nella sua esposizione alla natura, lantico cacciatore era attraversato dalla luce del sole e dal vento della notte, cos, nella sua esposizione alle pulsioni in primis, alla pulsione di morte era percorso da sue potenti figurazioni mitiche e visionarie. ora, se sono i segni del mondo, le orme e le morfologie naturali, ad aver costituito le fonti primarie della nostra creativit nascente, sono per le pulsioni elementari della vita e della morte ad aver probabilmente impresso su queste fantasie visive le loro inquietudini. Spingendo la mano a tracciare le grandi immagini zoomorfe delle grotte, lanima turbata ha potuto cos liberare la sua eccedenza emotiva e lo sguardo depurare la sua esuberanza percettiva. , per intenderci, come se vi fossero nelluomo, fin dalle origini, territori fortemente radioattivi, carichi di risonanze

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emotive che, attraendo la fantasia immaginativa, labbiano sospinta a riversarsi nellatto figurativo, scaricandosi nelle forme. Il dipinto, una volta uscito dallattivit motoria della mano, nella sua capacit di permanere al di l dellatto del suo prodursi, doveva, infatti, vivere, nella coscienza arcaica, una vita indipendente dalla volont del suo artefice. Se da una parte, infatti, la genesi della creativit artistica rinvia alla propensione visionaria delluomo, dallaltra, il risultato operativo di questo gioco di continui rimandi isomorfi, il segno mimetico inciso su una superficie naturale, tende costantemente a smarrire il senso della sua intenzionalit per assumere una valenza straniante. Le figure, cariche di energia vitale, sembrano disporsi autonomamente in unorganizzazione sintattica densa di suggestioni magiche: accompagnate dai loro correlati ideografici parlano agli uomini il linguaggio arcano degli spiriti. E qui ha ragione Freud ad affermare che, per gli antichi, gli di sono le pulsioni. Limmagine prodotta dal gesto esperto che non traspone, ma riconosce nei recessi delle grotte il mondo vitale en plein air, sembra, cos, dare vita, nellillusionismo potente delle sue apparizioni, a un sortilegio straniante: una produzione intenzionale del soggetto si rovescia in unentit non pi relazionata allatto di chi ne ha determinato il costituirsi. Con le sue linee di forza, la figura dipinta diventa una sorta di straordinario contenitore pulsante, percorso da un dinamismo paradossale: si agita, ma nello stesso tempo sta l, nello spazio circoscritto del suo movimento autoreferenziale, emersa dalla pellicola della terra, in una zona di confine che unisce e separa superficie e profondit, esterno e interno, vita e morte. Limmagine dipinta, potremmo dire, segna la corsa in un sortilegio che blocca il moto nel momento del suo stesso prodursi. Custoditi in un luogo sottratto allazione disgregativa del tempo, gli animali si rincorrono ma, al contempo, stanno fermi nel bersaglio di visibilit di chi li osserva. una magia che intreccia spazio e tempo in un ordine che non n lineare, n propriamente ciclico, un ordine, riprendendo le assai

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note riflessioni di Eliade, che rimanda alleterno presente del mito. Come nel racconto mitico, anche nelle apparizioni delle grotte, la creativit, in un certo senso, si aliena. Le rappresentazioni mitologiche ha scritto Schellingsono produzioni involontarie di una coscienza posta fuori di s. E in questa capacit dellimmagine di rendersi autonoma, fuori dellintenzionalit di chi lha tracciata, presentandosi allo sguardo come unepifania cristallizzata, risiede probabilmente la ragione prima della sua efficacia magica. Ce ne d conto uno straordinario mito cosmogonico delle trib australiane degli Unambal. Agli inizi del tempo, quando le due potenze primigenie, il serpente Ungud, signore della terra, e il dio del cielo Walanganda, signore delle acque dolci, decisero di creare il vivente, pensarono di farlo di notte, in uno stato di sogno, il Lalai. Cominciarono, dunque, lopera della creazione sognando le loro creature. In tal modo, scendeva sulla terra una straordinaria forza spirituale. Walanganda gettava continuamente dal cielo i propri sogni, sotto forma di immagini. Li gettava sulle pareti delle rocce nei colori rosso, bianco e talvolta nero. Cos si formarono le pitture rupestri, padri e fratelli di tutte le creature, grandi centri vitali da cui sirradia limmensa forza energetica del mondo. Sempre nellAustralia nord-occidentale, nelle zone del Kimberley e della terra di Arnhem, si favoleggia di un tempo in cui le rocce erano molli. Fu allora che vennero costruite le case di pietra e quando queste vennero a morire si stesero sulle rocce molli e vi lasciarono delle impronte che sono le attuali pitture rupestri. Pi in generale, si potrebbe dire che, per la mentalit primitiva, come scrive Gaudenzio ragazzi, la superficie della roccia, sia nella sua estensione orizzontale che verticale, percepita come una pellicola esterna che separa fisicamente la realt umana da quella infera e nello stesso tempo ne consente linterazione, il trasferimento di energie tra i livelli del
7 Gaudenzio ragazzi, Danza armata e realt ctonia nel repertorio iconografico camuno dellarte dellet del Ferro, Notizie archeologiche Bergomensi, Comune di Bergamo Assessorato alla cultura Civico Museo Archeologico, 2, 1994.

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cosmo arcaico giacenti su piani sovrapposti e intercomunicanti.7 Il cacciatore arcaico non si calava nelle viscere della terra per dipingere gli animali su una superficie rocciosa, ma per incontrarli nella zona di mezzo dellinvolucro della terra, per immergersi nella loro eterna energia vitale e irrorarsi, come Sigfrido nel sangue del drago, del loro potere magico di rigenerazione. Cos il ritocco non faceva probabilmente che sottolineare con la mano il carattere visionario e integrativo della percezione, quel principio inconscio di compensazione che porta naturalmente lo sguardo a completare una forma naturale anche se la sua morfologia pu essere parziale o schematica. Anzi, in particolari condizioni di illuminazione, la stessa incompletezza di quelli che Leroi-Gourhan ha definito i pannelli dai contours inacheves, doveva concorrere alleffetto fluido e illusionistico dellinsieme. Queste linee caotiche, che sembrano far ricadere la percezione in uno stadio pre-gestaltico, non depistano, infatti, la visione verso derive amorfe e disgregate, ma concorrono piuttosto al potenziamento del suo effetto dinamico: lo sguardo scorre con maggior velocit sulle rappresentazioni incompiute che sembrano muoversi con la stessa rapidit dellocchio che le guarda. Gli animali sono dunque l dove essi appaiono: balzano fuori delle fessure, si avviano alle bocche dombra, emergono e scompaiono, come apparizioni spettrali, nei coni di luce. Non si tratta di rappresentazioni figurative, ma di presentificazioni magiche. Per questo non troviamo nelle prime immagini dipinte alcun riferimento di carattere ambientale: non c vegetazione, non c la volta celeste, non c il mare. Lambiente che circonda le apparizioni appunto quello della grotta, non quello del mondo in superficie.
Le caverne [scrive Joseph Campbell] sono sedi di magia e di riti. Esse gi costituiscono il mondo delle mandrie sotterranee da cui provengono e a cui ritornano gli animali del mondo in

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superficie. Sono il regno della notte e hanno la sostanza delloscurit e delle stelle notturne, poich i loro animali sono paragonabili a stelle che vengono uccise dal sole, ma poi ritornano.8

Nelle grotte, dunque, anche gli animali ritornano. o meglio, affiorano dalle cavit del corpo della madre terra, raccogliendosi, come dalla vecchia delle foche, in quel centro magico di rigenerazione che garantisce il loro eterno ritorno nei pascoli in superficie, sotto la volta stellata.9 Unulteriore conferma di questa presenza illusoria ci offerta dallorganizzazione apparentemente caotica della trama spaziale in cui sono immerse le figure zoomorfe delle incisioni e dei dipinti. I grandi pannelli delle grotte paleolitiche sono incredibilmente affollati. A partire dalla parete dei leoni e dei rinoceronti della grotta Chauvet delle prime fasi del Paleolitico superiore fino al soffitto magdaleniano di Lascaux, animali di diversa specie, di grossa e piccola taglia, si accavallano in una maniera che pu apparire confusa: le figure, che sembrano fluttuare in uno spazio senza confini, alcune pi piccole altre pi grandi, si sovrappongono in un gioco di linee che sembra creare un vortice caotico e inestricabile, senza soluzione di continuit. Ad alcuni animali mancano le zampe, di altri si vede solo la protome o lavantreno, di altri ancora tracciata soltanto la curva cervico-dorsale e un accenno di muso o di corna, e cos via. tra le zampe di un grande uro nero, trottano due cavallini ocra, mentre le corna fiammeggianti di uno stambecco si piegano fino a scomparire sotto il ventre di un bisonte. Alcuni animali vanno a destra, altri a sinistra, altri corrono, altri ancora stanno fermi, piazzati sulle zampe, in primo piano, mentre dietro spunta un palco di cervo. Il corno dei rinoceronti della Grotta Chauvet si ripete, in sequenza sei, sette, otto volte; alcuni cavalli, come linferna8 Joseph Campbell, The Masks of God: Primitive Mythology, Penguin Group 1959 (1969 revised); trad. it. Mitologia primitiva. Le maschere di Dio, Mondadori, Milano 1995, p. 428. 9 interessante rilevare qui come nel mondo greco, in una cultura lontana dallo sciamanismo siberiano, vi sia una figura mitica che d luogo, nelle sue costanti metamorfosi, al proliferare di animali diversi e che viene definita con lappellativo di vecchio del mare, amico delle foche.

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le Sleipnir di odino, non hanno quattro gambe, ma otto in una straordinaria scomposizione dinamica che sembra anticipare le pi ardite ricerche pittoriche delle avanguardie del nostro Novecento. N c, n potrebbe esserci, alcun orizzonte. tracciarlo avrebbe significato, in qualche modo, entrare nellottica di una fiction mimetica en plein air estranea allo spirito originario della presentificazione sulla superficie rocciosa della grotta. Certo possiamo pensare che questo groviglio di sovrapposizioni sia dovuto a interventi successivi nel tempo che si sono moltiplicati in rituali reiterati per decine e decine di millenni o che si tratti di immagini fortemente suggestionate da visioni di trance, indotte dalluso di stupefacenti . In questa dominanza zoomorfa, ad esempio, luomo per lo pi assente o, se appare, mascherato: un ibrido tra lumano e lanimale, cornigero, con la coda posticcia e il fallo eretto, unimmagine onirica molto simile alle figure che possono apparire in certi stati di coscienza alterati dalle droghe, ad esempio dalla mescalina. Ma, in ogni caso, la caverna stessa a essere un luogo fortemente allucinogeno. Le apparizioni soprannaturali, frequenti ancora oggi nelle culture sciamaniche, non farebbero, in questo caso, che radicalizzare, in ambienti del tutto particolari, unattitudine visionaria naturalmente insita nel nostro stesso vedere. La nostra percezione, infatti, non si presenta mai come un puro dato inerte, risultato di una dinamica di carattere meramente ottico, ma come qualcosa di estremamente pi complesso. ora, evidente che il campo degli studi sulle dinamiche percettive e sui loro rapporti col sistema neurologico vastissimo e che, in questa sede, non possibile pensare di ripercorrerlo neppure per sommi capi. ricordiamo per che limmagine fisica della nostra retina non equivale a quanto effettivamente la nostra coscienza registra del continuo flusso di sensazioni percepite in uno spazio visivo connotato in senso fortemente emotivo. Partendo da questo presupposto, la rappresentazione pittorico-figurativa, con tutti i suoi artifici volti a ricondurre la

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profondit quadridimensionale alla dimensione piatta della superficie, pu avvicinarsi o allontanarsi da questo status naturale della visione. Possiamo convenire con Klages quando afferma che losservatore deciso a porre differenze tratta perfino il lontano come se fosse un vicino, e sacrifica limmagine intuitiva ad una sequela di luoghi che egli misura con lo sguardo uno dopo laltro, cio separati, mentre lo sguardo di chi immerso nella visione, fossanche di un oggetto vicino, avvinto, in modo privo di scopo, dallimmagine delloggetto, cio dallimmagine di una forma che non racchiusa da confini, ma dallinsieme delle immagini che le stanno intorno.10 Mentre, a mio avviso, la rappresentazione paleolitica si avvicina a questa visione in immersione, quasi unapnea negli abissi minerali della grotta, quella rinascimentale se ne discosta in maniera radicale. Letta da alcuni come il pi fedele sistema di trascrizione pittorica della percezione del mondo, la prospettiva quattrocentesca rappresenta piuttosto, nel suo artificio frontale e monocolo, una delle possibili modalit concettuali di rappresentazione della realt, una particolare ortografia subordinata alle aspirazioni armoniche di carattere fortemente intellettuale delluomo rinascimentale. Lo stesso discorso pu valere, mutatis mutandis, anche per le poetiche realistiche del Settecento. I pittori moderni che dichiareranno, con una certa voluta e polemica ingenuit, di dipingere ci che vedono, continueranno, in effetti, a rappresentare della realt pi ci che ne sanno di quanto non ne vedano. Lo stesso sguardo innocente che lottocento invocher per salvare il linguaggio pittorico si probabilmente espresso solo nellarte paleolitica, in questo albeggiare della creativit, per poi uscire definitivamente dallorizzonte pratico delloperativit artistica successiva. Forse lunico momento in cui limmagine ha corrisposto, nel modo pi immediato, alle forme incantate di una visione presa dallemozione delle sue apparizioni proprio questo
10 Ludwig Klages, Vom Kosmogonischen Eros, Mnchen 1922. trad it. Leros cosmogonico, Multhipla edizioni, Milano 1979, pp. 98-99.

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straordinario incipit delle origini, calato dentro la penombra magica delle grotte. Una apparizione, a occhio nudo, che non coincideva con la registrazione fotografica della realt, quanto piuttosto con la sua cattura emotiva che, in questa fase nascente della concettualit, doveva essere organizzata a partire dal colpo docchio, cio dallunit dellintuizione sensibile, e non da una sua ricomposizione subordinata alla coerenza ricostruttiva della ragione. Uno status di grazia illusionistico questo, destinato a durare per alcuni millenni per poi perdersi per sempre, alla fine dellultima glaciazione di Wrm, nel naufragio della cultura dei cacciatori arcaici quando rinnovate forme di organizzazione del pensiero e della vita si affermeranno nelle nuove zone calde di sviluppo della civilt.

3. Lordine spaziale dellarte neolitica Con la fine del mondo paleolitico dei pi antichi cacciatori, la rappresentazione emozionale e incantata, libera dagli schemi concettuali che ha caratterizzato larte dei primordi, tende progressivamente a cedere il passo a nuove forme figurative inserite in rinnovate trame spaziali. Questa affermazione va per ridimensionata da due diverse considerazioni. Da una parte, anche larte paleolitica non era priva di elementi di schematizzazione, i cosiddetti ideogrammi, che sembrano rimandare, in alcuni casi, ad astrazioni mentali di carattere fortemente concettuale. Dallaltra, almeno un residuo della tensione illusionistico-mimetica delle prime figure zoomorfe tende comunque a permanere anche nelle pi ardite schematizzazioni neolitiche conservando la memoria delle antiche apparizioni magiche. Vi poi unaltra considerazione da fare subito. Fino a qualche decennio fa, si tendeva a enfatizzare la differenza fra larte paleolitica, celata dentro la profondit buia delle grotte e larte neolitica, en plein air, graffita e dipinta sotto la volta luminosa del cielo. oggi sappiamo che anche nel Paleoltico superiore le incisioni rupestri dei ripari sotto roccia e delle zone allaperto erano assai numerose, mentre

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durante tutto il Neoltico, in molte zone del globo, si continuato a dipingere e incidere anche dentro le grotte. tutto questo non cimpedisce per di constatare che la svolta neolitica ha comportato, anche nellarte visiva, modificazioni profonde, producendo una proliferazione di dialetti espressivi, cio di quella babele dei linguaggi come la definisce Emmanuel Anati, che segna, per lo pi, il netto prevalere delle forme schematiche e geometrizzanti sulle magiche rassomiglianze del linguaggio comune delle origini.11 ora, evidente che la comprensione di queste novit rimanda a un ordine di modificazioni pi generale, cio alleconomia di vita delle nuove culture di pastori e di agricoltori che si vanno affermando dopo la transizione mesolitica. Con la fine della glaciazione di Wrm, nelle zone climaticamente favorevoli del Vicino oriente si assiste, come noto a partire dal decimo millennio a.C. , alla sistematica raccolta di cereali selvatici e di leguminose e poi, progressivamente al loro addomesticamento. Queste novit, insieme allo sviluppo della caccia evoluta che fa uso di arco e frecce e alla domesticazione degli animali, hanno segnato una svolta profonda nel modo di vita e nelle concezioni del mondo delluomo aprendo a nuove fasi dello sviluppo culturale. Non un caso che si parli, a questo proposito, di rivoluzione neolitica. Pensiamo soltanto alle modificazioni dello stile di vita legate al passaggio dalle forme itineranti, caratteristiche dei cacciatori-raccoglitori, alle forme nomadiche delle culture di pastori, ma soprattutto allaffermarsi della sedentariet, con tutto ci che una stanzialit permanente ha implicato sulla propensione allaccumulo di beni materiali e sullemergenza dei conflitti sociali. Su questo stesso piano, va tenuto conto anche delle novit connesse alla dinamica specifica del lavoro agricolo, un lavoro che indubbiamente ha implicato una diversa collocazione nellorizzonte di attese e di aspettative delluomo e un diverso modo di relazionarsi alle risorse necessarie alla soddisfazione dei bisogni materiali.
11

Emmanuel Anati, Origini dellarte e della concettualit, Jaca Book, Milano

1988.

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Se i cacciatori arcaici erano naturalmente portati, nonostante le relative possibilit di conservazione delle carni nei climi freddi, a consumare immediatamente i prodotti della loro attivit venatoria, i nuovi agricoltori sono costretti ad alienare al consumo immediato una parte della ricchezza prodotta, ad esempio una parte dei semi, in vista di un beneficio futuro. Questo comporta, ad esempio, che di alcuni frutti del lavoro si possa godere solo in un momento successivo del tempo. E pensiamo a quanto questidea del godimento differito sia destinata a incidere sullaffermarsi di una nuova sensibilit religiosa. Nonostante la fatica della semina e della mietitura, la ricchezza agricola sembra per dipendere strettamente pi che dal sacrificio e dalla forza delle braccia, dalla regolarit dei fenomeni stagionali scandita dagli eventi celesti. Mentre il cacciatore era attento al terreno, alle orme fresche lasciate dai branchi di animali nei loro spostamenti, il nuovo agricoltore tende a vedere nel cielo e nel movimento degli astri i momenti regolativi dei suoi ritmi di vita, interiorizzando cos lordine di nuove relazioni spaziali. Nelle culture agricole il cielo diventa, in tal modo, nella sua trama figurale ricorrente, il grande paradigma ordinativo della spazialit e il modello di ogni forma di relazionalit terrena. Una relazionalit che, nei villaggi sedentari, sarebbe diventata, ben presto, sempre pi complessa e dispendiosa. Possiamo ritenere che proprio il progressivo accumulo di ricchezza alimentare dovuto al raccolto, in particolare dopo le grandi opere di canalizzazione tardo-neolitiche e protostoriche, abbia strutturato e reso stabile la divisione di mansioni fra chi faticava lavorando la terra e chi faticava leggendo il cielo e, in un momento non molto successivo, fra chi faticava sulla terra, chi sul cielo e chi difendendo dallaggressivit dei predatori i beni accumulati. evidente che tutto questo deve aver fatto sorgere una nuova mentalit e nuovi riti volti a garantire la sicurezza degli insediamenti stanziali, le potenzialit produttive del suolo e il controllo magico delle condizioni atmosferiche. stata pi volte sottolineata la stretta dipendenza delle societ agricole dalle scadenze rituali ritmate dal calendario religioso e gestite da sacerdoti plenipotenziari. La regolarit

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del macrocosmo, modulata dai moti celesti, doveva, in effetti, proiettare la sua ombra lunga sul microcosmo sociale irrigidendolo in una struttura cerimoniale difficilmente modificabile. Pi libera e individualistica era stata la cultura dei cacciatori arcaici. Ancora oggi, mentre lintegrazione sociale dei contesti agricoli primitivi avviene attraverso la partecipazione di gruppo alle cerimonie collettive, lintegrazione, nelle societ di cacciatori, pi agili e meno numerose, affidata alle visioni e ai messaggi che gli spiriti ancestrali trasmettono alladolescente che, in assoluta solitudine, nel fitto del bosco o in una radura solitaria, compie la sua iniziazione.
Il contrasto fra le due concezioni pu essere visto meglio facendo un paragone fra il sacerdote e lo sciamano. Il sacerdote un membro, socialmente iniziato e cerimonialmente introdotto, di unorganizzazione religiosa riconosciuta, dove egli ha un certo rango e determinate funzioni, dove svolge un compito che prima di lui aveva svolto un altro; invece lo sciamano un uomo che, in seguito a una personale crisi psicologica, ha acquisito certi poteri. Lessere spirituale che gli apparso nella visione non mai stato visto in precedenza da altri; egli sar il suo particolare protettore.12

Va inoltre tenuto conto, sul piano della modificazione della mentalit, anche del forte salto qualitativo dei processi trasformativi che caratterizza le culture agricole rispetto alle culture di cacciatori-raccoglitori. La necessit di modificare la natura, che caratterizza in misura notevolissima anche le culture moderne, ovviamente assai pi forte nelle popolazioni agricole, ben organizzate e strutturate per lo sfruttamento del territorio, che in quelle, pi ridotte numericamente dei cacciatori-raccoglitori. ora, in questo nuovo contesto agricolo, la maggior parte delle grotte istoriate, che per alcuni millenni avevano costituito i grandi santuari delle origini, non viene pi frequentata. Ai riti diniziazione della pubert e della caccia, le culture di agricoltori e pastori tendono a sostituire progressivamente nuove cerimonie pubbliche scandite dal calendario
12

Joseph Campbell, The Masks of God..., cit., p. 266.

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astrale e riti propiziatori legati alle vicissitudini della vita vegetale e allalternarsi delle stagioni. Anche le stesse culture di cacciatori che sopravviveranno ai margini delle zone coltivate, saranno costrette, in questa nuova fase, a modificare la loro fisionomia, non fosse altro che per la novit introdotta dalla razzia nelle zone sedentarie. Ma come cambiano, con tutto ci, le forme di rappresentazione dello spazio? Da una parte, anche se non in modo esclusivo, pitture e incisioni rupestri tendono, come si detto, a cercare nuovi spazi, abbandonando le zone pi interne delle grotte per occupare quelle pi vicine allentrata. Ma soprattutto, nella maggior parte dei casi, i siti neolitici privilegeranno i massi allaperto, sotto la volta celeste, illuminati dalla luce del sole e della luna. Con lavvento dei pastori e degli agricoltori cambiano, potremmo dire, gli scenari della rappresentazione mitica. Dallaltra, il naturalismo delle figure dellarte parietale paleolitica sembra cedere progressivamente il passo a forme di schematizzazione che giungono ad abbandonare, in alcuni casi, gli stessi valori di riconoscibilit, proiettandosi verso nuovi orizzonti decorativi e aniconici. Larte si concettualizza: del mondo non si rappresenta pi ci che si vede, ma ci che si sa. Questo significa che il rapporto fra le forme della rappresentazione e le forme dellideologia si fa sempre pi stretto. Una novit che, a tutta prima, potrebbe apparire in contrasto coi nuovi temi delle rappresentazioni che, pi vari rispetto ai bestiari paleolitici, sembrano, in molti casi, restituirci la complessit realistica del vissuto sociale. Scene di gruppo, di danza, di caccia, rappresentazioni di capanne e doggetti duso vengono a costituire i nuovi soggetti dellarte rupestre neolitica e poi dellet del rame e del bronzo. Si tratta per, nella quasi totalit dei casi, di scene ritualizzate o di elementi materiali, ad esempio palette, pugnali, alabarde, dalla valenza fortemente simbolica, dunque di forme figurative mediate dalla visione sacrale del mondo che le esprime. Laffermarsi di questa nuova mediazione simbolica, estranea, a mio modo di vedere, alle prime forme darte paleoliti-

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ca, si fa molto evidente anche nelle nuove modalit di organizzazione dello spazio compositivo. Se nellarte dei primordi le figure sembrano fluttuare in contenitori liberi, o meglio, organizzati secondo criteri interni, connessi allapparire delle morfologie naturali, il nuovo spazio che delimita e contiene le forme della rappresentazione neolitica , potremmo dire, ordinato dallesterno, cio a partire dalle tracce mnestiche lasciate sul terreno della coscienza percettiva dalla concezione del mondo di appartenenza. Nel primo caso, una robusta fantasia visionaria sembra imporsi allintenzionalit creativa dellartista, determinando una sorta di paradossale passivit dellatto pittorico che segue e registra i dati della visione; nel secondo, invece, sembra dominare unattiva volont mimetico-rappresentativa che organizza gli spazi secondo un criterio concettuale, derivato da una pi generale Weltanschauung. Una concezione del mondo che tende a vedere nelluniverso il contenitore finito di tutti gli eventi. Ancora oggi, alcune popolazioni indigene della Polinesia ritengono che lorizzonte del cielo, con la sua volta, tenga chiusa la terra, tanto che gli stranieri vengono chiamati papalangi, cio coloro che spezzano il cielo, provenendo da un mondo altro. Non possibile, in questa sede, argomentare adeguatamente le implicazioni rappresentative di questa concezione. Ha ragione Aristotele quando, nella sua Metafisica, sostiene che il moto circolare dei pianeti produce tutte le apparizioni. Possiamo qui pensare, anche le apparizioni figurative. Un esempio, in questa direzione, ci offerto dalle diverse immagini del cosmo diffuse nelle prime culture agricole anche di aree geografiche assai lontane. Un elemento che caratterizza queste rappresentazioni, pur differenziate, la distinzione netta fra quello che sta sotto e quello che sta sopra, ci che sta a destra e ci che sta a sinistra, quanto sta in mezzo e quanto sta nelle zone periferiche. Pu trattarsi di un cosmo semplice e tripartito il cielo, la terra, gli inferi o di un cosmo pi complesso. Potremmo anzi dire che, in molti casi, le culture agricole pi elementa-

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ri hanno unidea semplificata delluniverso e che questa via si complica con lo sviluppo delle forme sociali. Ma ci che sembra unificare tutte queste rappresentazioni lordine simbolico-spaziale degli elementi raffigurati. Il macrocosmo diventa, in tal modo, una duplicazione del microcosmo anche se, nella mentalit primitiva, questa duplicazione vissuta in modo rovesciato, potremmo dire alienato: lordine dei cieli a rifrangersi nellordine terreno determinandone le modalit rappresentative. Siamo, dunque, dinanzi, di nuovo, a un processo di estraneamento, ma di carattere diverso rispetto a quello delle apparizioni paleolitiche. Alla visione degli animali si sostituisce qui la contemplazione di un modello dordine universale. Le stesse statue menhir sembrano dimostrarlo in modo evidente. Queste stele hanno, per lo pi, una fisionomia antropomorfa mentre le incisioni che le adornano sembrano rispecchiare, in molti casi, una suddivisione cosmica scandita secondo criteri dordine spaziale. Nella parte alta del monolite trovano spesso la loro collocazione simbologie di carattere astrale, nella parte centrale simbologie terrestri e, nella parte bassa, simbologie legate al mondo infero. Interessante, a questo proposito, il raffronto, ipotizzato da Franco Bontempi, fra lordine spaziale delle rappresentazioni visive e quello narrativo della Genesi biblica, un racconto che rispecchia la mentalit tardo-neolitica e proto-storica delle popolazioni del Vicino oriente.
Il racconto presenta la stessa struttura delle statue menhir: una suddivisione tripartita delluniverso Luomo non entra direttamente nella tripartizione, ma la forma generale dellosservazione. Come la statua menhir, che contiene una struttura ordinata delluniverso, modellata nella sua forma esteriore sullidea del corpo umano, cos la creazione delluomo ultima non nel senso della scala degli esseri, ma riassume nel suo apparire tutto luniverso. La creazione delluomo una ricapitolazione della creazione precedente e il dominio umano ha un significato molto preciso: egli custodisce tutta la creazione, come la sta-

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tua menhir, sbozzata secondo la figura umana, contiene i simboli di tutti gli elementi13.

Lo stesso affermarsi di nuovi criteri di organizzazione spaziale si ritrova, a mio modo di vedere, in quelle rappresentazioni in cui le immagini sembrano distendersi lungo una scansione lineare consequenziale, seguendo il filo di un discorso affidato a una trama narrativa di antefatti, fatti e conseguenze. In questo senso, un esempio di grande interesse rappresentato da una testimonianza archeologica per certi aspetti eccezionale e nello stesso tempo problematica. Si tratta del rilievo di un grande pannello policromo che risale al VII millennio a. C., rinvenuto da James Mellaart durante le sue campagne di scavo negli anni Sessanta in Anatolia e che occupava tutta la parete di un edificio sacro del villaggio neolitico di atal Hyk (santuario A.III/11). Di questo pannello, scomparso in maniera pressoch contemporanea al suo ritrovamento, non ci resta che il disegno pubblicato dallarcheologo inglese dopo alcuni anni.14 Non abbiamo, n avremo mai, alcuna possibilit di verifica delloriginale. Il suo studio dunque ci costringe, in un certo senso, a un atto di fede, difficile in quanto del tutto estraneo alla logica della ricerca scientifica. Una necessit aggravata dal fatto, apparentemente sconcertante, che, a mio avviso, proprio lo sguardo degli scienziati migliori a vedere spesso assai di pi di quanto non sia ancora lecito pensare e dire. Fatte queste necessarie premesse, siamo qui dinanzi alla complessa rappresentazione del culto della Magna Mater, quel culto che tra il IX e il IV millennio a.C. doveva estendersi in unarea geografica assai ampia e morfologicamente differenziata, dal mar rosso fino al bacino dellAmu-daria, dallAral e dal Caspio fino alla Valle dellIndo.

13 Franco Bontempi, Dal racconto al Grafema: il racconto biblico della creazione e le statue menhir, sta in Grafismo e semiotica XV Valcamonica Symposium, 25-30 settembre 1997. 14 J. Mellaart, U. Hirsch, B. Balpinar, The Goddess from Anatolia, Eskenazi, Milano 1989.

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Al di l della suggestione delle immagini e dei colori, la composizione del pannello, nel suo insieme, rappresenta una grande novit strutturale sul piano dellorganizzazione dello spazio figurativo. ovviamente, qui non presente alcuna forma di scrittura, cos come noi la intendiamo oggi. Abbiamo per una serie di immagini in sequenza, disposte secondo un criterio, potremmo dire, non pi emblematico a raggiera, come nelle caverne magdaleniane studiate da Leroi-Gourhan, ma lineare-iterativo. Il pannello scandisce, infatti, per una lunghezza di otto metri, sette rappresentazioni sacre, ambientate allinterno di una medesima grotta-nicchia dipinta e reiterata, pressoch identica, per sette volte. Laltezza del pannello di un metro era originariamente raddoppiata dalla duplicazione delle immagini sullasse della base, con un effetto di rovesciamento speculare del dipinto nella parte inferiore della parete. Le ragioni di questa duplicazione ci sono ignote, ma forse interessante rilevare che nel medesimo villaggio neolitico sono stati rinvenuti quelli che, secondo alcuni studiosi, possiamo considerare i primi specchi di ossidiana, con tutta la valenza sacrale che questi oggetti magici rivestivano nellantichit. La stessa procedura di sdoppiamento bilaterale domina anche i piani verticali della composizione. Se tracciamo la perpendicolare che congiunge il vertice del soffitto di ogni grotta con la sua base, ritroviamo, di nuovo, una perfetta simmetria tra gli elementi a destra e a sinistra della composizione, con leccezione dellultima grotta a destra, tagliata a met da una torre, probabile rappresentazione della catasta di legno su cui i cadaveri (o forse soltanto le loro teste) venivano esposti allazione di scarnificazione degli avvoltoi. Diciamo l ultima grotta a destra, ma potremmo anche dire la prima grotta a destra. Non , infatti, detto che il filo del discorso, nella sua nuova disposizione lineare-temporale, debba necessariamente procedere da sinistra a destra. pi probabile proprio linverso, o meglio, che lordine di lettura presenti, in questo caso, una completa reversibilit, da destra a sinistra e da sinistra a destra, senza soluzione di continuit.

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La disposizione delle figure, in ogni caso, ci suggerisce un ordine consequenziale di antefatti, fatti conseguenze, ordine che ci sfugge non disponendo dei tessuti connettivi di senso che ci consentirebbero di raccordare le fasi del racconto figurato. Ci non significa che il mito rappresentato dalle immagini si pieghi a una logica temporale.
Non tanto che queste cose scrive Sallustio a proposito dei miti siano mai accadute. Esse sono cos dalleternit, ma se lintelligenza le vede sempre insieme, la parola le esprime facendo di alcune le prime di altre le seconde.

Potremmo dire che anche nel grande dipinto di atal Hyk la vicenda mitica eterna sembra offrirsi al racconto organizzando lepifania della divinit in una trama narrativa temporale-lineare. Per altro, trattandosi probabilmente della parete di una stanza sacra in cui si svolgevano dei riti, possiamo pensare che si tratti di immagini dotate di un senso analogo a quello che possono avere per noi i dipinti delle cappelle delle navate laterali delle cattedrali. Non necessariamente hanno un ordine consequenziale anche se appartengono tutti al medesimo racconto mitico-religioso. Le immagini di atal Hyk, si presentano, in effetti, come una serie di sette scenari aperti allo sguardo come quinte teatrali in una sorta di paratassi narrativa in cui ogni nicchia sembra rappresentare una proposizione-evento principale. Allinterno di questi scenari, ad eccezione dellultimo, domina in posizione centrale, una figura rigorosamente frontale. Le sette nicchie rappresentano, come si detto, la stanza di una grotta con numerose stalattiti che scendono dal soffitto. Allesterno di ogni grotta un dinamismo geometrico di linee colorate sembra rappresentare lenergia cosmica che sirradia dal cielo, mentre cinque file ordinate di alberi e di animali si alternano (alberi-animali-alberi-animali-alberi), sormontando ogni tetto. In questo caso, il cosmo potrebbe anche essere inteso come il corpo vivente della Dea. Le stesse linee geometriche potrebbero rimandare allimmagine moltiplicata dei suoi seni e lenergia cosmica al suo latte divino, dispensatore di vita. Questa ipotesi trova, del resto,

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un certo sostegno nelle analogie che le linee del pannello presentano con la decorazione dei vasi mammellati delle culture neolitiche di Vinca e di Bkk (Bulgheria e Ungheria). Sopra i tetti delle grotte sembra poi fare la sua comparsa la figura stilizzata della Dea, una e trina, con le gambe divaricate, da cui uscirebbero gli alberi, gli animali e le stesse grotte. Se questa lettura fosse corretta, non farebbe che ribadire il rapporto grotta-cavit uterina, messo con insistenza in evidenza da molta cultura psicoanalitica. Se leggiamo le immagini secondo un andamento da sinistra a destra, nella prima stanza troviamo la Dea dipinta in rosso: sul suo corpo sono tracciate due doppie spirali molto simili a quelle incise sui megaliti dei templi di Malta. Intorno appaiono oscuri simboli del suo potere o schematizzazioni del mondo animale e vegetale. Le spirali doppie fanno, inoltre, pensare alle quattro fasi della luna (crescente-pienacalante-nuova) o a una coppia di corna (lo stesso motivo dei capitelli ionici).

ATAL HyK, pannello delle sette grotte, santuario A. III/11 I grotta (particolare). rielaborazione di Elda rosa da uno schizzo di J. Mellaart.

Nella seconda stanza, appare la Dea in posizione sempre centrale, in questo caso bianca, attorniata da due figure a lei simili, ma pi piccole una a destra e una a sinistra , di diverso colore. tutta la scena incorniciata da una duplice fila di stalattiti.

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ATAL HyK, pannello delle sette grotte, santuario A. III/11 II grotta (particolare). rielaborazione di Elda rosa da uno schizzo di J. Mellaart.

Nella terza stanza, la Dea assisa fra le corna di un grande toro di cui raffigurato, frontalmente, solo il bucranio. Dal muso del toro escono rivoli di sangue, probabile manifestazione della sua energia vitale o di una sorta di stato di trance, mentre a destra e a sinistra, due figure speculari rappresentano forse lo sdoppiamento della stessa Dea.

ATAL HyK, pannello delle sette grotte, santuario A. III/11 III grotta (particolare). rielaborazione di Elda rosa da uno schizzo di J. Mellaart.

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Nel quarto interno, di nuovo la Dea siede tra due fiere rampanti di colore dorato. Ai suoi piedi giacciono, accovacciati e speculari due leopardi, col corpo di profilo e il muso frontale.

ATAL HyK, pannello delle sette grotte, santuario A. III/11 IV grotta (particolare). rielaborazione di Elda rosa da uno schizzo di J. Mellaart.

Nella quinta stanza, troviamo una figura maschile cornigera raffigurata frontalmente nellatto di afferrare per il collo due avvoltoi rossi.

ATAL HyK, pannello delle sette grotte, santuario A. III/11 V grotta (particolare). rielaborazione di Elda rosa da uno schizzo di J. Mellaart.

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Questi animali, simbolo di morte, sono presenti anche in altri dipinti murali del sito. Nella sesta stanza, una figura in piedi tiene sollevati due leopardi rampanti.

ATAL HyK, pannello delle sette grotte, santuario A. III/11 VI grotta (particolare). rielaborazione di Elda rosa da uno schizzo di J. Mellaart.

Lultima stanza, tagliata dalla torre, sembra rappresentare un ritorno alle origini: quattro figure femminili (i segni delle angolature del cosmo?) circondano un uovo al cui interno sembra agitarsi una vita nascente.

ATAL HyK, pannello delle sette grotte, santuario A. III/11 VII grotta (particolare). rielaborazione di Elda rosa da uno schizzo di J. Mellaart.

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Se questa lettura fosse pertinente, lordine lineare della sequenza potrebbe essere anche linverso e lultima stanza presentarsi come la prima. Il senso complessivo di questo dipinto, in ogni caso, ci sfugge. Siamo probabilmente dinanzi a epifanie divine che rimandano a un mito per noi complesso e oscuro. Potrebbe trattarsi delle stazioni di un percorso iniziatico o infero, analogo, pur in un diverso contesto mitologico, a quelli che leggiamo nei pi antichi testi egizi. Pensiamo, ad esempio al Libro delle caverne o al Libro della Duat che descrive il viaggio notturno del sole, il dio ra, nei regni sotterranei.15 Se i percorsi iniziatici dei cacciatori arcaici dentro le grotte del Paleolitico superiore hanno effettivamente costituito, come io credo, i paradigmi dei viaggi sotterranei-ultramondani delle culture agricole del neolitico, qui ci troveremmo dinanzi a un momento di transizione e di raccordo fra queste due diverse esperienze. Nel mezzo del cammino, potremmo dire, fra la dimensione rituale delle grotte e la sua trasfigurazione immaginaria nei testi delle piramidi e dei papiri egizi sullaldil. Di nuovo, non possibile entrare qui nel merito di un discorso cos complesso e, in ogni caso, del tutto ipotetico. Ci che mi interessa sottolineare per la particolare organizzazione spaziale delle immagini in questo momento di passaggio: non si tratta pi di figure che si accalcano in maniera disordinata sulle pareti affollate e sui soffitti delle grotte, n si tratta ancora dei pittogrammi allineati con geometrica precisione delle prime forme di scrittura. Quello delle immagini di atal Hyk , potremmo pensare, uno spazio in bilico, teso tra il disordine emotivo delle apparizioni magiche e lordine concettuale dei rimandi simbolici.
15 La versione pi articolata del Libro di Am-Duat la troviamo rappresentata sulle pareti delle camere mortuarie delle tombe di tutmosi III e di Amenofi II. Per quanto riguarda lipotesi di una derivazione delle fantasie infere dellAldil dalla trasfigurazione dellesperienza dei riti magico-iniziatici delle caverne paleolitiche, rimando al mio breve contributo Laldil degli antichi. Luoghi celesti e topografie sotterranee, edito in occasione del decimo ciclo di conferenze Vicino Oriente e Mediterraneo (marzo-maggio 1999) dal Centro della Pesa - Biblioteca Comunale Museo L.Ghirotti, a cura di Fosco rocchetta - Assessorato alla Cultura del Comune di riccione.

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