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antropologia / etnografia
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 1
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Ignazio E. Buttitta
Verit e menzogna
dei simboli
MELTEMI
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Indice
p. 7 Premessa
11 Capitolo primo
Il potere delle cose ovvero luomo, il sacro, i simboli
29 Capitolo secondo
Desuz un pin. La lunga strada dellalbero
61 Capitolo terzo
Divinare il vento. Emissioni vulcaniche nelle isole Eolie
83 Capitolo quarto
Tophet o dellambiguo statuto mondano degli infanti
99 Capitolo quinto
Acque di vita, acque di morte. Il simbolismo magico-
religioso dellacqua
119 Capitolo sesto
La spirale nella panificazione cerimoniale
169 Capitolo settimo
Veicoli dellassoluto nella tradizione induista
231 Capitolo ottavo
Verit e menzogna dei simboli. Societ e festa a San Mar-
co dAlunzio
287 Bibliografia
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Premessa
Alberi, re, dei ed eroi. Aspetti del simbolismo del pote-
re, sarebbe dovuto essere il titolo del primo libro che Lui-
sa Capelli e Marco Della Lena, allora giovani editori, avreb-
bero desiderato pubblicarmi. Ci eravamo incontrati, poco
meno di dieci anni addietro, a Rocca Grimalda, in occa-
sione di un convegno. Continuo a credere che, assai pi del-
la bont della mia relazione, li sospinsero verso di me le at-
tenzioni che io e la mia compagna, rivolgemmo alla loro fi-
glia, Marta. Io e Monica, appena fidanzati, avevamo tro-
vato molto pi piacevole intrattenerci a giocare e discor-
rere con quella bella e brillante bambina che restare sedu-
ti al tavolo di una noiosa cena di professori e vari accoliti.
Non sono mai riuscito a capire quanto del rapporto ami-
cale ed editoriale che, a partire da allora, si sarebbe con-
solidato tra me, Luisa e Marco, sia da attribuire al loro be-
nevolo riconoscimento, in me, di qualit umane, e quanto
a quello di meriti scientifici. Ricordo lunghe telefonate con
Marco e Luisa, dove ai reiterati inviti a scrivere e alle pro-
poste di contributi editoriali si frammischiavano, senza
che se ne potessero afferrare i limiti, racconti, riflessioni sul
quotidiano, affettuose preoccupazioni sul futuro mio e di
Monica. Queste cose le ricordo e le voglio ricordare. Cos
come voglio ricordare che il mio percorso accademico le-
gato in maniera inscindibile alla Meltemi. I miei libri sono
anche i loro: suggerimenti, correzioni, indicazioni molte-
plici hanno contribuito a che essi fossero dei buoni libri.
Anche grazie a Marco e Luisa mi sono fatto uomo miglio-
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re e studioso pi accorto. Questa una verit che supera
le nostre stesse vite.
Alberi, re, dei ed eroi non ha mai visto la luce. Rimane
un progetto incompiuto e solo noi, io, Monica, Marco e
Luisa, sappiamo perch. Ne ho per voluto estrarre, in
questa decennale occorrenza, alcuni saggi, che insieme ad
altri, pure inediti o redatti in varie occasioni tutti dedi-
cati allo studio della dimensione simbolica, e pi specifi-
camente alla comprensione del simbolismo magico-reli-
gioso , potessero concorrere a fare il mio discorso pi or-
ganico, contribuendo a chiarire i tortuosi percorsi che luo-
mo ha affrontato e affronta per vincere il disagio della pro-
pria condizione nei suoi rapporti con la societ e con il
mondo. Un lavoro inteso cio a individuare la funzione so-
ciale dei codici simbolici.
Le riflessioni che seguono disegnano un mondo solo ap-
parentemente inattuale e solo apparentemente illogico.
Al suo interno la dicotomia sacro vs profano, pur conservan-
do, a livello della organizzazione dei materiali e di una pri-
ma analisi, un preciso valore euristico, si dimostra in pi
dun caso foriera di equivoci. In realt quasi impossibile nel-
lessere delle culture determinare una netta distinzione tra
simbolismo religioso e simbolismo profano. Il loro manife-
starsi attraversato, infatti, costantemente da un gioco di
scambi e di rimandi, ora consapevole, ora inconsapevole, di
cui impresa sempre ardua seguire le dinamiche. Come os-
serva Bertelli (1990, p. 9):
Noi viviamo oggi in un mondo nel quale sacralit e religione
sono due concetti distinti, separati dallesperienza laica, che
nasce dal pensiero giurisdizionalista sei-settecentesco. Ma se su-
periamo il profondo iato rappresentato dalla rivoluzione scien-
tifica (base e fondamento della successiva rivoluzione indu-
striale), allora un mondo completamente diverso dal nostro ci
si sveler, un mondo profondamente immerso in una sacralit
che non conosceva distinzioni, che investiva limmaginario col-
lettivo dellintera Europa medievale e della prima et moder-
na e che discendeva senza soluzioni di continuit dallet tar-
do imperiale.
IGNAZIO E. BUTTITTA
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Lambiguita del simbolismo rituale mi ha affascinato sin
dal momento in cui ho cominciato a occuparmi dei fenome-
ni di religiosit tradizionale, spero in questo lavoro di avere
contribuito a dischiudere alcune delle sue verit e delle sue
menzogne.
PREMESSA ,
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Capitolo primo
Il potere delle cose ovvero luomo, il sacro, i simboli
Non si vive di solo pane: nella sua evidenza questo fatto
segnala la cogente e tutta umana esigenza di trascendere la
matericit per riempire di senso la propria esistenza. Unesi-
genza antica e attuale che si radica nel mistero della vita e del-
la morte. Gi Giambattista Vico considerava tra i fonda-
mentali caratteri di umanit la presenza del culto dei morti,
indicandolo, a fronte della inquietante diversit di usi e co-
stumi dei vari popoli, come uno dei pochi tratti comuni. Una
attenzione, quella rivolta ai defunti, presente fin dalle origi-
ni. Nutrizione, riproduzione e conservazione della vita indi-
viduale, in quanto garanzia della vita collettiva, sono stati per
millenni gli obiettivi primi perseguiti dalluomo. Per il loro
raggiungimento egli ha sempre considerato imprescindibile
un continuo rapporto con le forze e le entit immateriali che
popolano e governano il mondo. Luomo, gi al momento del-
le origini, aveva coscienza che la sua esistenza era legata a una
molteplicit di fattori indipendenti dal suo controllo. La ca-
pacit di generare, la malattia, laccidente, la fortuna nella cac-
cia e nella guerra, le stagioni buone e cattive, i terremoti, le
alluvioni e quantaltro arrivano, da potenze e luoghi invi-
sibili. Da questa consapevolezza si costituisce in tempore
primvo la sfera del sacro.
Nellimpossibilit di poter identificare con sufficiente
chiarezza la sostanza e la forma della religiosit preistorica,
certo comunque che: fin dalle sue prime forme, e fino al-
la nostra, luomo ha manifestato e potenziato lattitudine (...)
a tradurre in simboli la realt materiale del mondo circo-
stante. stato il possesso del linguaggio a consentirgli di
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creare, parallelamente al mondo esterno, un onnipotente
mondo di simboli senza i quali lintelligenza non avrebbe
punti di riferimento (Leroi-Gourhan 1964, p. 16). Lo di-
mostra lo sviluppo delle tecniche, poich anche lelementa-
re utensile del pi antico ominide presupponeva la previsio-
ne dellopera compiuta e quindi lo svolgersi di una com-
plessa catena di simboli mentali (1970-76, p. 8).
C stato un momento in cui luomo ha schiuso gli oc-
chi alla percezione del mondo, dellaltro diverso da s, ri-
conoscendosi come creatura distinta e speciale, non solo ca-
pace di manipolare tecnicamente il reale, ma di spiegarlo
e gestirlo intellettualmente. Luomo guadagn cos una for-
ma superiore di consapevolezza della realt che lo pose in-
nanzi al mistero dei fenomeni, alle forze ignote e impreve-
dibili contro le quali andavano garantite la sua esistenza e
quella della specie. Solo nelluniverso dei simboli le sue in-
quietudini e le sue incertezze potevano trovare risposta.
Lominide primitivo, ormai Homo erectus, era dunque gi
Homo symbolicus, un essere che non percepiva passiva-
mente i fenomeni che lo circondavano e lo angosciavano
(cfr. Ries 1993, p. 26). Un essere cosciente della simmetria
tra la vita e la morte, quale si esprime nelluso rituale del
fuoco (Buttitta I. E. 2002b). Come ha osservato Tobias
(1982, p. 119):
si pu forse avanzare lipotesi che la caccia alle teste, la mutila-
zione dei crani e il cannibalismo rituale siano fra i pi antichi
indizi di psichismo nella vita di Homo erectus. Potrebbe dun-
que essere stato Homo erectus lominide che ha saputo indiriz-
zare la cultura verso nuove vette partendo dalle pi antiche e
vaghe manifestazioni rituali.
Resta il fatto che poco o nulla sappiamo intorno alloriz-
zonte ideologico delluomo primitivo. Scomparse nozioni e
azioni, restano soltanto manufatti:
Pratiche religiose o magiche si esprimono tramite discorsi che
spariscono irrimediabilmente con chi li ha pronunciati, e at-
traverso gesti che per miracolo possono essere stati conservati,
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almeno in parte, nella disposizione di oggetti abbandonati a ter-
ra o in quella di figure disegnate sulle pareti. Ma anche nel ca-
so pi favorevole quello ad es. di un cadavere inumato in una
fossa ricoperta di polveri docra si coglie solo una minima par-
te dei riti che hanno contraddistinto linumazione e, per quan-
to riguarda il mito che avrebbe fornito la chiave di questi riti,
ci si riduce a qualcosa di meno di una parvenza di spiegazione:
la semplice verosimiglianza di unidea religiosa (Leroi-Gourhan
1970-76, p. 6).
sembrato possibile assumere i sistemi religiosi delle
attuali popolazioni di interesse etnologico quale legittima
chiave di lettura di quanto emerso dalle indagini archeo-
logiche. Mai come in questo caso luso del metodo com-
parativo appare arbitrario e foriero di errori. Passato e
presente non possono essere confusi senza che si ingene-
rino fuorvianti equivoci. Il procedimento che fa delluso di
una tecnologia relativamente poco complessa la base di
un parallelismo con forme elementari di culto, rivela tutta
la sua limitatezza quando si osserva che a un determinato
livello di padronanza di tecniche e strumenti, di sistemi di
vita e sfruttamento dellambiente, non corrispondono uni-
vocamente certe idee e forme religiose (cfr. Grottanelli
1965). Non pi il tempo in cui si pu parlare di tipi cul-
turali, di religione dei cacciatori, religione dei pasto-
ri, religione degli agricoltori, cos come di arte dei o
di sistema familiare dei. Un simile approccio impedisce
lanalisi conducente delle forme culturali del Paleolitico, et
lunghissima ed entro la quale si situa la gran parte della sto-
ria, anche religiosa, dellHomo sapiens. Non si pu ignorare
per altro che le attuali popolazioni a tecnologia semplice
hanno spesso alle spalle una storia assai diversa da quella
delle popolazioni preistoriche. Se vero pertanto che non
si pu comprendere un fenomeno culturale senza che sia
inquadrato entro il suo contesto storico-geografico, sar al-
trettanto vero che nulla permette di stabilire relazioni di
corrispondenza diretta tra culti e modi di vita, tra sistemi
di pensiero e forme della vita socio-economica (cfr. Fede-
li 1994, p. 29).
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Se possibile affermare con una certa sicurezza che gli
uomini del Paleolitico proiettavano nelle loro immagini di
bisonti o di mammut percezioni che corrispondono alla
nostra concezione della religione, niente permette di rico-
struirne le idee religiose e i riti. Il nostro pensiero, erede del-
la filosofia classica e della speculazione cristiana, daltron-
de, si evoluto in una direzione tale che difficile capire le
culture altre, non solo quelle oggetto degli studi etnolo-
gici. A maggior ragione impresa assai ardua cercare di ri-
costruire le credenze di uomini vissuti molti millenni prima
della comparsa della scrittura. Non va mai dimenticato che
noi finiamo con il proiettare
sul pensiero delluomo preistorico lombra del nostro pensiero
e che la parola religione, come la parola arte, hanno per noi
un contenuto che appartiene alle civilt della scrittura; un con-
tenuto che gi non si pu pi applicare ai concetti di religione
e di arte degli ultimi sopravvissuti attuali delle culture primiti-
ve (Leroi-Gourhan 1993, pp. 305-306).
Entro una tale cornice del tutto arbitrario operare di-
stinzioni, peraltro ancora oggi oggetto di dibattito epistemo-
logico, quale quella tra magia e religione. Religione e magia,
sia volendole considerare aspetti di un unico fenomeno, sia fe-
nomeni a s stanti seppur interrelati, sono fatti culturali, ap-
partenenti cio a un ambito extrabiologico; fatti e comporta-
menti appresi, trasmessi e vissuti allinterno di un determinato
sistema sociale (Fedeli 1994, p. 19). Oggetti, frammenti ossei,
confuse e incerte immagini tracciate sulla roccia assumono
precisi e insospettati significati solo quando correttamente in-
seriti nel loro contesto, quando se ne individuano le coordi-
nate spaziali e temporali allinterno di un sito ben definito, e
ci vale anche per i materiali folklorici (cfr. Leroi-Gourhan
1993; Buttitta 1996; Meschiari 2002-2004). Solo su queste
basi si pu sperare di accedere, in alcuni casi, ai percorsi in-
tellettuali che hanno presieduto a certe pratiche.
Ci che pu dirsi senza timore di cadere in errore che
a fondamento dellesperienza religiosa delluomo primitivo
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da quanto pu evincersi dalluso simbolico che paiono ave-
re certi oggetti, certe disposizioni spaziali, e certe raffigura-
zioni (animali, sessuali, astrali) si situa il rapporto con gli
elementi e i fenomeni dellambiente (il fenomeno della vita
e della morte innanzi tutto) e che pertanto lessenza stessa di
ogni simbolismo viene a fondarsi, innanzitutto, sulle corri-
spondenze e sulle analogie percepite nella natura delle cose
(cfr. Gunon 1970, p. 12). Come sottolineato da de Saussu-
re, daltro canto, Il simbolo, ha per carattere di non essere
mai completamente arbitrario: non vuoto, implica un ru-
dimento di legame naturale tra il significante e il significato
(1916, p. 25).
Resta il fatto che i primi testi scritti mostrano gi un mon-
do complesso e diversificato. Testimoniano di sistemi religiosi
solidi e articolati. Essi non possono che essere esito di una
lunga storia. Non si pu affermare che il senso del sacro sia
nato gi al momento iniziale del processo dellominazione;
certo per che nelle prime fasi della sua storia luomo si
confrontato con forme di esperienza religiosa:
lesistenza di un pensiero religioso, o almeno di un comporta-
mento positivo nei confronti di ci che per noi il sovranna-
turale, non pu assolutamente essere messo in dubbio per gli
ultimi cinquantamila anni della storia dellumanit; fin dalluo-
mo di Neanderthal, e a maggior ragione appena compare lHo-
mo sapiens, abbondano le testimonianze di reazioni che non so-
no direttamente spiegabili come reazioni vegetative (Leroi-
Gourhan 1993, p. 305).
Homo symbolicus. La dimensione simbolica occupa lin-
tero campo della espressivit; dunque della comunicazio-
ne (cfr. Ortigues 1962; Barthes 1964; Ducrot, Todorov
1972; Benoist 1975; Sperber 1974; Aug 1979; Alleau 1976;
Eco 1984, pp. 199 sgg.; Todorov 1977; 1978; Eliade 1959;
Izard, Smith 1979; Elias 1991). Carattere simbolico pos-
sono avere tra laltro temi e motivi letterari, azioni rituali,
oggetti duso, materiali sonori fortemente formalizzati (cfr.
Turner 1967; Stefani 1976; Bonanzinga 1992; Buttitta 1996,
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pp. 94 sgg.; DAgostino G. 1996; DOnofrio 2005). Con il
termine simbolo, seguendo Cassirer (cfr. 1923-29, III, p.
124), da intendere ogni elemento concreto o concetto
astratto materializzato che diviene espressione di un si-
gnificato. da precisare che mentre nel segno la relazione
tra significato e significante sostanzialmente arbitraria e
univoca, nel simbolo questa relazione analogica e varia-
bile, cio polisemica (cfr. Jung 1964, p. 55; Barthes 1966,
p. 36; Ducrot, Todorov 1972, pp. 134-135; Eliade 1959, pp.
115 sgg.). A tale proposito va rilevata una caratteristica es-
senziale del simbolo, segnatamente il simbolo religioso,
cio la sua polivalenza, la sua capacit di esprimere si-
multaneamente un gran numero di significati il cui nesso
logico non risulta evidente sul piano dellesperienza im-
mediata (Eliade 1962, p. 116).
Il simbolo possiede sia il carattere dellimmanenza che del-
la trascendenza (cfr. Cassirer 1923-29, III, pp. 140 e 143). Ri-
vela la trascendenza e manifesta limmanenza, non potendo-
si esaurire nelle sue funzioni indicative. Queste sono del se-
gno mentre la specificit del simbolo, segnatamente di quel-
lo magico-religioso, quella di implodere un significato che
va oltre, che contiene una carica di mistero e non risulta
mai completamente interpretabile. In questa caratteristica ri-
siedono la sua forza e la sua efficacia. Come ha sottolineato
Sperber: parte dellinteresse per le credenze religiose per co-
loro che le hanno, deriva precisamente da questo elemento
di mistero, dal fatto che non le si pu mai interpretare com-
pletamente (1990, p. 26).
Il simbolo non va confuso con lallegoria. Essa ripone il
suo significato, osserva Godet, al di fuori di se stessa nel
programma concettuale che ha il compito di illustrare.
Nellallegoria si parte da unidea astratta per giungere a
una figura, al contrario il simbolo esso stesso una figura
sorgente di idee (1946, p. 125; cfr. Todorov 1978, p. 14;
Caprettini 1992b, pp. 44 sgg.). Osservava Creuzer (1819)
che la diversit sostanziale tra una rappresentazione sim-
bolica e una rappresentazione allegorica sta nel fatto che
questultima caratterizza semplicemente un concetto ge-
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nerale, oppure unidea, che diversa da se stessa, mentre
la prima
lidea stessa resa sensibile ed incarnata. L avviene una sosti-
tuzione. Viene data unimmagine che, quando noi la vediamo,
ci indica un concetto che poi dobbiamo cercare. Qui, sceso il
concetto stesso nel mondo materiale, e nellimmagine noi lo ve-
diamo direttamente e immediatamente. La differenza fra le due
specie perci da situare nellistantaneit, di cui lallegoria pri-
va. Interamente e in un istante si schiude nel simbolo unidea,
che afferra tutte le nostre forze spirituali (p. 61).
Mentre nel campo delle allegorie, significato e signifi-
cante appaiono entrambi delimitati, nel caso del simbolo i due
termini restano infinitamente aperti. In particolare il si-
gnificante, unico termine concretamente conoscibile, rinvia
in estensione a diverse qualit figurabili fino a giungere al-
lantinomia (cfr. Durand 1964, pp. 14-15).
Nel simbolo lelemento oggetto-soggetto e lelemento significato
si confondono luno con laltro, perch si sostengono a vicen-
da avviluppandosi in una unit solidale. Ci avviene in parti-
colare nel passaggio dal mito al rito, cio dalla narrazione alla
memoria simbolica (Cipriani 1986, p. 107).
In particolare il simbolo sacro allude a profondit
inesauribili i cui significati attraverso esso si rivelano e oc-
cultano a un tempo. Siamo di fronte a una vaghezza di si-
gnificato, a una espressione che per quanto dotata di pro-
priet precise che in qualche modo si vogliono simili alle pro-
priet del contenuto veicolato, rinvia a questo contenuto co-
me a una nebulosa di propriet possibili (Eco 1984, p.
225). Questo contenuto, sebbene vago e indefinibile co-
munque presente, se cos non fosse il simbolo si dissolve-
rebbe, avrebbe la consistenza dellimmagine riflessa del nul-
la. Si potrebbe osservare che unespressione a cui corri-
sponda una nebulosa non codificata di contenuti pu ap-
parire la definizione di un segno imperfetto e socialmente
inutile, ma piuttosto vero che
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per chi vive lesperienza simbolica, che sempre in qualche mo-
do lesperienza del contatto con una verit (trascendente o im-
manente che sia), imperfetto e inutile il segno non simbolico,
che rinvia sempre a qualcosa daltro nella fuga illimitata della
semiosi. Lesperienza del simbolo sembra invece, a chi la vive,
diversa: la sensazione che ci che veicolato dallespressione,
per nebuloso e ricco che sia, viva in quel momento nellespres-
sione (pp. 230-231).
Potremmo dire che il simbolo una figura che vale non
per se stessa, ma mediante se stessa (cfr. Godet 1946, p.
120). Non potendo mai figurare linfigurabile trascenden-
za, limmagine simbolica diventa trasfigurazione di una rap-
presentazione concreta in funzione di un senso sempre astrat-
to (Durand 1964, p. 14).
In sostanza il simbolo sacro appare come epifania di
un significato inaccessibile, manifestazione del non-dicibi-
le e del non-altrimenti-rappresentabile attraverso e nel si-
gnificante (p. 13). Nel simbolo, peraltro, il significato e il
significante si fondono in un prodotto polisemico altri-
menti indefinibile. In altri termini: come sintetizza Ferrari
(1972, p. 492)
nella rappresentazione simbolica esiste, tra figura significante e
cosa significata, un rapporto concettuale immediato e diretto,
che implica una loro rispondenza automatica, reversibile e,
quasi una loro identificazione (...). Il simbolo consiste nella
presentazione di un segno o di una immagine (significante) che
fa riferimento a una realt (significato) che diversa dallim-
magine stessa, e tuttavia, anche concepita come intrinseca a
questa, al punto che finisce per identificarsi con essa: s che quel
riferimento, pur se non sempre evidente, tuttavia diretto, im-
mediato, e anche costante e obbligato. Il simbolo si presenta
dunque come connessione naturale e non deliberata tra signi-
ficante e significato ed ha un carattere quasi magico, di valore
assoluto ed esclusivo, di unicit riassuntiva.
Lidea di simbolo cos declinata rinvia per certi versi al-
larchetipo junghiano. Gli archetipi non interpretabili come
segni o come allegorie sembrano autentici simboli, proprio
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perch inesauribili e carichi di allusioni, spesso contradditto-
rie e paradossali. Lintuizione junghiana, tuttavia, perde di va-
lore di fronte al riconoscimento degli archetipi come rappre-
sentazioni (immagini) o forme universali (cfr. Jung 1917, pp.
147 sgg.; 1972, pp. 109-114; 1934, pp. 1-53; 1961, pp. 467-
469; cfr. anche Eco 1984, pp. 225 sgg.; Frankfort 1992, pp.
47-69; Sobrero 2008, pp. 34-43), contenute, sin dai tempi re-
moti, nellinconscio collettivo. I simboli invece, detengono e
rivelano verit che affondano nellesperienza sensibile, e si ga-
rantiscono in vita manifestandosi e proliferando nelluniver-
so storico della cultura.
Il simbolo comunque un segno il cui contenuto, com-
plesso, articolato, mai completamente afferrabile, sovrasta le-
spressione, un segno in cui il senso sovrabbonda e risulta per-
tanto irriducibile a modelli formali. Traboccando al di fuori
di ogni metafora e analogia, ha il potere di evocare delle
realt altrimenti indicibili e inafferrabili. Esso, pi che spie-
gare, prelude e allude a esperienze complesse e pregnanti
per luomo (cfr. Filoramo, a cura, 1993). Amplia i confini
della coscienza e rende, dunque, possibile unesperienza to-
tale della realt. Suscettibile di rivelare una modalit del rea-
le non evidente sul piano dellesperienza, mediante esso che
viene attribuito un nuovo e profondo significato allesisten-
za, quindi laccesso al sacro:
Il simbolo non importante solo perch prolunga una ierofa-
nia o le si sostituisce, ma anzitutto perch pu continuare il pro-
cesso di ierofanizzazione, e specialmente perch, alloccorren-
za esso stesso una ierofania, cio perch rivela una realt sa-
cra o cosmologica che nessunaltra manifestazione capace
di rivelare (Eliade 1948, p. 463).
A questo ambito problematico pare riferirsi Huizinga
(1919, p. 234) quando osserva:
Il simbolismo, considerato dal punto di vista dellidea di ca-
sualit, come un corto circuito spirituale. Il pensiero non
cerca il legame tra le due cose seguendo le spirali nascoste del-
la loro connessione causale, ma lo trova allimprovviso con un
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salto, non come un rapporto di causa ed effetto, ma di signi-
ficato e scopo. La convinzione dellesistenza di un siffatto rap-
porto si pu acquisire non appena due cose abbiano in co-
mune una propriet essenziale, che va riferita a qualcosa di
valore generale. In altre parole: ogni associazione basata su
qualche somiglianza si pu trasformare immediatamente nel-
la coscienza di un rapporto essenziale e mistico. Questa, da
un punto di vista psicologico, pu apparire una funzione
mentale molto primitiva. Il pensiero primitivo caratterizza-
to da una debolezza nel percepire i confini didentit tra le
cose; incorpora nella rappresentazione di una determinata co-
sa tutto ci che con essa ha un qualche rapporto di somi-
glianza o di appartenenza. La funzione simboleggiante vi
strettamente connessa.
A parte le osservazioni sul pensiero primitivo, eco di una
letteratura ormai inattuale, Huizinga coglie elementi fonda-
mentali della genesi dei simboli. Ha anche ragione quando
osserva che:
in ogni rapporto simbolico ci devono essere un termine infe-
riore e uno superiore: due cose di eguale valore non possono
essere simbolo luna dellaltra, ma solo rimandare entrambe
a una terza, che superiore. Nel pensiero simbolico c spa-
zio per una smisurata molteplicit di rapporti tra le cose.
Perch ogni cosa pu, con le sue diverse qualit, essere il sim-
bolo di molte altre, e pu anche significare con la stessa qua-
lit diverse cose; e le cose supreme hanno simboli di mille spe-
cie (p. 236).
La costituzione del significato di ogni singola unit sim-
bolica e la formazione di sistemi simbolici certo uno dei fe-
nomeni pi complessi che caratterizzano luomo in quanto
tale. Si tratta, ha scritto Anita Seppilli (1990, p. 45), di
uno dei processi pi interessanti dellideazione umana che si
esprime per simboli-metafore tuttaltro che artificiose, ma che
anzi sorgono spontanee per concatenazione ideativa immedia-
ta; ogni qualit astratta difficile da immaginare, mentre in-
vece evoca nella mente un oggetto concreto, che pi di ogni al-
:c IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 20
tro renda lastratto accessibile alla coscienza. La linea divisoria
fra identit e simbolo o metafora non nettamente tracciabile;
noi sentiamo il linguaggio figurato poetico pi emozionalmen-
te intenso di quello prosaico e soprattutto di quello scientifico,
che postulano una assoluta univoca corrispondenza fra ogget-
to e relativa terminologia; finch lo riconosciamo quale me-
tafora, esso rimane nel dominio del poetico, ma pu giun-
gere tuttavia a intensificarsi e sovrapporsi fino a sostituirsi al-
loggetto reale stesso. Se questa identificazione avviene, ci tro-
viamo nellambito della mitopoiesi, o di una pseudorealt, o su-
perrealt, carica di contenuti emozionali che vi aderiscono ine-
spugnabili.
Non da credere che luomo moderno, ipertecnolo-
gico si sia emancipato da un simile modo di porsi innanzi
al mondo, poich lideazione umana spontanea resta
nettamente simbolica: il simbolismo valutato come acco-
stamento immaginario, sia pur profondo, ma distinto in as-
soluto dalla realt, una conquista in fieri, e tuttaltro che
completamente raggiunta dallHomo sapiens, nella sua fa-
se attuale (p. 66). Come facilmente desumibile dal di-
lagare di filosofie e religioni o pseudo-religioni di caratte-
re esoterico (spesso figlie deformi e deviate della cosiddetta
cultura orientale) e dal proliferare di santoni, maghi e
terapeuti variamente qualificantisi (i quali pretendono
paradossalmente riconoscimenti da parte della cultura
scientifica ufficiale), luomo si sente ancora angosciosa-
mente alla merc di oscure e indefinite forze esterne, e
Solo conoscendole, solo ripetendo unazione simbolica
(dove il simbolo implica tutta la potenza che gli ricono-
sciuta dalla psicoanalisi, o rispettivamente dalla magia),
egli affronta langoscia del nuovo riportandolo entro la
sfera del noto e dominabile (1977, p. 48). forse ecces-
sivo sostenere, come stato detto, che i sistemi di simbo-
li costituiscono uno scudo contro il terrore (Berger 1967,
p. 22). Non vi dubbio tuttavia che essi esercitano sem-
pre una funzione stabilizzante rispetto al rischio disgre-
gante del non essere da cui lindividuo e le societ si sen-
tono investiti.
IL POTERE DELLE COSE OVVERO LUOMO, IL SACRO, I SIMBOLI ::
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 21
Simboli universali?
La comprensione degli apparati simbolici delle diverse ci-
vilt ostacolata dalle tradizioni culturali in esse variamen-
te stratificate. Nella cultura del Medioevo, per esempio, ele-
menti di disparate matrici spaziali e temporali si fondono e
confondono in un sincretismo i cui nessi , talora, impossi-
bile districare. La cosiddetta cultura classica sulla quale
viene a impiantarsi e strutturarsi progressivamente il cri-
stianesimo, daltra parte, non un tutto omogeneo. Al suo
interno tradizioni e culti di varia origine e natura, in parti-
colare orientali, si trovano a interagire con diversi substrati
regionali. A complicare le cose intervengono gli apporti del-
le diverse popolazioni barbariche che attraversano e si stan-
ziano sui territori dellImpero romano, anche prima della sua
dissoluzione. La loro progressiva adesione al cristianesimo,
spesso praticato solo dagli strati alti della societ, non esita
nella integrale cancellazione delle precedenti forme di reli-
giosit. Questo in particolare nelle aree dove pi flebile era
giunta la parola evangelica; in particolare in quelle rurali do-
ve la predicazione non era penetrata in maniera incisiva e
permanevano ben vivi e presenti costumi e tradizioni rituali
certo pi prossimi a una qualche forma di paganesimo che
non al cristianesimo (Montesano 1997, p. 71; cfr. Mansel-
li 1985; Lane Fox 1986; Schmitt 1988a; 1988b; Lauwers
1988-89; Belmont 1988, pp. 53-80; Brown 1982; Kieckhe-
fer 1989; Luck 1985). Ad esempio a met del VII secolo, dal-
le parti di Benevento
guerrieri longobardi battezzati seguivano ancora il rito pagano
(gentilitatis ritus) di prosternarsi davanti al simulacro di una vi-
pera, e non si astenevano, nonostante le insistenze del loro ve-
scovo, dal culto (loptimus cultus comandato dalla lex maiorum
suorum) a un albero sacro, presso il quale misuravano la loro abi-
lit di combattenti (Cracco 1993, p. 113).
Il simbolismo medievale traduce e manifesta in immagi-
ni e parole questo mescolarsi di culture. Testi letterari, arti
:: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 22
plastiche e pittoriche, decorazioni di monili, mantelli, troni
ecc., sono tutti testimoni di questa storia.
A integrazione e chiarimento di quanto fin qui osservato
va precisato che i simboli non sono una classe di indicato-
ri semantici ne varietur. Sono segni che in rapporto ai si-
stemi ideologici e alle pratiche culturali delle diverse societ
storicamente date, vengono ad assumere funzione simbo-
lica (Sperber 1974; 1990; Izard, Smith, a cura, 1979). Ec-
co perch, come ha ricordato Uspenskij, Ci che pro-
duttore di senso simbolico per unepoca e unarea cultu-
rale, pu non avere alcun significato nel sistema di rap-
presentazioni di unaltra area storico-culturale (1988, p.
11). Immagini apparentemente analoghe, possono essere
portatrici di significati differenti, anche divergenti, in di-
versi contesti. , tuttavia, non questionabile che alcuni
simboli si presentino con significato analogo anche presso
culture assai distanti sia nel tempo che nello spazio, quasi
fossero realmente prodotti naturali e spontanei (Jung
1964, p. 55). Toporov (1973, p. 148), per esempio, attri-
buisce carattere universale al simbolismo dellalbero e al-
le sue alloimmagini:
lalbero universale e le sue varianti locali lalbero della vi-
ta, lalbero celeste, lalbero del limite, lalbero sciamani-
co, ecc. sono limmagine di una concezione universale che
per un lungo periodo ha determinato il modello del mondo del-
le comunit umane del Vecchio e del Nuovo Mondo. (...) Vi
una serie di ragioni per considerare complessi universali lim-
magine dellalbero universale e altre immagini analoghe.
Tra i motivi che Toporov porta a sostegno della sua in-
terpretazione due sono i pi rilevanti: nella traduzione in-
trasemiotica, allimmagine dellalbero universale corri-
spondono i pi svariati sistemi segnici e, al contrario, si-
stemi segnici diversi e del tutto indipendenti fungono da
piano despressione a questa immagine; i complessi segni-
ci di cui parte integrante lalbero, sorgono pratica-
mente ovunque e nelle epoche pi diverse, bench sia ve-
IL POTERE DELLE COSE OVVERO LUOMO, IL SACRO, I SIMBOLI :,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 23
rosimile che la loro immancabile manifestazione sia legata
a un determinato stadio di sviluppo della societ piuttosto
antico (p. 148).
Il problema dellidentit e riconoscibilit, nello spazio
e nel tempo, di certi simboli, stato occasione di ampie di-
scussioni da parte di diverse scuole di pensiero (compara-
tivista, diffusionista, psicoanalitica, strutturalista) che han-
no proposto diverse e antitetiche soluzioni. Il comparati-
vismo, spesso esasperato, caratteristico del pensiero posi-
tivista (tra fine Ottocento e primi del Novecento), riscon-
trando approssimative analogie tra miti, riti e simboli, di
culture tra loro lontanissime, finiva col far perdere ai fatti
osservati ogni loro specificit storica. Alle idee dei positi-
visti si contrappone il diffusionismo che riteneva irrile-
vante qualsiasi affinit o analogia tra simboli in assenza di
provati contatti tra le culture dove essi si presentavano
(cfr. Caprettini 1992a, p. 17). Lapporto di Freud e Jung,
se da un lato apr un campo nuovo e stimolante, si svil, nel
primo, nella riduzione a una onnipresente matrice libidi-
ca e trov un limite, nel secondo, nella supposizione di un
universale e condiviso inconscio collettivo. Gli antropolo-
gi strutturalisti da parte loro si sono interessati allindivi-
duazione e allanalisi delle strutture comuni che articola-
no gli apparati simbolici, rifiutandosi pertanto di trattare
i simboli come entit indipendenti (cfr. Lvi-Strauss 1964,
pp. 45 sgg. e 231 sgg.).
Non questa la sede per discutere le differenti tesi. in-
teressante, tuttavia, condurre alcune brevi osservazioni sul
concetto tanto discusso di archetipo in relazione ad alcune
ipotesi hjemsleviane. Nel rilevare, pur nel suo multiforme ar-
ticolarsi, la diffusione e permanenza di un simbolo quale lal-
bero, non solo come immagine il che gi di per s un pro-
blema , ma anche come detentore di specifici significati con-
divisi, non possiamo fare a meno di scontrarci, infatti, con la
nozione di archetipo, cos come si definita da Jung in poi. I
suoi continuatori, forzando il pensiero del Maestro che nel-
la sua fase pi matura definiva gli archetipi come disposizio-
ne di natura inconscia a produrre rappresentazioni tipiche or-
: IGNAZIO E. BUTTITTA
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ganizzandole intorno a uno specifico nucleo di significato, cor-
rispondenti a esperienze che luomo ha vissuto nel corso del-
lo sviluppo della coscienza , vedono in essi una speciale ca-
tegoria di simboli, di modelli dotati non solo di una struttu-
ra e di interna dinamica, ma anche di contenuti simbolici ere-
ditari che operano nella storia, orientando comportamenti
individuali e collettivi, e reificandosi in immagini rituali, ico-
nografiche e testuali (Buttitta 1996, p. 113). scontato che gli
archetipi, se
pensati come forme e come sostanze di espressione e contenu-
to, non possono avere carattere di fissit e universalit. Gli stu-
di di genetica hanno infatti provato che i tratti culturali sono in-
dipendenti dai pools genetici e pertanto non possono essere
trasmissibili da una generazione allaltra per via biologica. La
loro trasmissione affidata alla cultura stessa, alle spinte tanto
statiche quanto dinamiche, al gioco cio della permanenza e del
mutamento, che ne costituiscono la vita solo apparentemente
misteriosa (ib.).
Riguardo alla presenza degli stessi simboli presso cultu-
re distanti nel tempo e nello spazio, anche mai entrate in con-
tatto, c intanto da considerare che il rapporto tra dimen-
sione simbolica e dimensione economica pi stretto di
quanto non appaia. Pur nella apparente diversit delle si-
tuazioni, una parte consistente dellumanit per millenni vis-
suta principalmente grazie allo sfruttamento della terra sia in
forma di coltivazione che di pascolo. Di necessit i cicli bio-
logici di un numero incalcolabile di uomini sono stati legati
indissolubilmente a quelli delle stagioni. in rapporto a que-
sta comune dimensione agricolo-pastorale, a questo ma-
crocontesto omogeneo, che va esaminato lisomorfismo di
certi prodotti simbolici.
Taluni simboli, dunque, sembrano possedere carattere di
universalit, anche indipendentemente dai singoli conte-
sti storici. Questo fatto probabilmente da riferire alla loro
matrice esperienziale, se non a quella che gli illuministi chia-
mavano identit della natura umana. Se vero che la strut-
tura della mente identica in tutti gli uomini ed eguali sono
IL POTERE DELLE COSE OVVERO LUOMO, IL SACRO, I SIMBOLI :,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 25
le sue procedure percettive e di elaborazione concettuale, al-
lora a fronte di analoghe esperienze, se si vuole anche emo-
tive, possibile il formarsi di analoghe immagini, per il con-
densarsi intorno allo stesso segno di analoghi frammenti di
senso. Il fuoco, lalbero, luovo, lacqua, sono esempi evidenti
di come alcuni momenti esperienziali nella loro concettua-
lizzazione culturale, pur sempre soggetta alla deriva della
storia, possono sfuggire al naufragio del senso, mantenendo
costante e inalterato il loro valore simbolico.
Graficamente possiamo rendere il processo di simboliz-
zazione in questo modo:
ESPERIENZA SENSIBILE

CONCETTUALIZZAZIONE

RAPPRESENTAZIONE
(FIGURATIVA, SONORA ECC.)
Il simbolo si definisce nellintima unione tra il concetto
e la figura e, non diversamente dagli altri segni, in prin-
cipio la traduzione culturale di una esperienza. Le eventuali
analogie di un simbolo con altri simboli sono quindi da rife-
rire alle esperienze cui questi sono connessi e ai loro conte-
sti di percezione, vale a dire ai tessuti sociali e culturali, at-
traversando i quali una determinata esperienza sensibile,
convertendosi in segno, venuta ad assumere connotati sim-
bolici. Va inoltre rilevato che un simbolo pu essere an-
chesso oggetto di esperienza sensibile dando luogo a simboli
derivati (dinamica segnica). Alla universale diffusione di cer-
ti simboli e alla loro permanenza nel tempo concorrono dun-
que: 1) lidentit delle strutture percettive (fisiologiche e ce-
rebrali) che danno luogo ad analoghe risposte di fronte a de-
terminate sollecitazioni; 2) la prossimit spaziale e/o strut-
turale delle culture e segnatamente dei contesti economico-
sociali cui appartengono i soggetti percepienti; 3) i modelli
culturali tradizionali detentori di forze che agiscono stabi-
:o IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 26
lizzando il nostro lessico e i nostri comportamenti su un pia-
no difficilmente avvertibile a livello macroscopico (Seppil-
li 1977, p. 23). Per accertare la verit di quanto appena os-
servato basti riflettere sulle forme e i tempi della trasforma-
zione realizzatasi sul piano ideologico/simbolico nel passag-
gio da regimi di vita fondati sulla caccia e sulla raccolta a quel-
li strutturati sullagricoltura e sullallevamento. Un processo
assai lento e diversificato che tuttavia determin una profon-
da riorganizzazione e ricodificazione dellimmaginario ma-
gico-religioso delle culture neolitiche, dando luogo a un si-
stema di credenze e di pratiche ancor oggi rilevabili in am-
bito folklorico (cfr. Lvque 1985; Cauvin 1994; Giallom-
bardo 1990; Buttitta 2006a).
Riprendendo la questione in termini hyemsleviani os-
serviamo che: a livello dello schema, cio delle strutture
profonde, delle procedure logiche comuni a tutti gli uomi-
ni, si producono analoghi esiti presso tutte le culture in pre-
senza di analoghe situazioni. I singoli fatti culturali non con-
sistono tuttavia negli schemi. Questi ne costituiscono solo la
struttura fondante, pi chiaramente percepibile quando i si-
stemi culturali si trovano in statu nascenti. Questi schemi
comuni si articolano a livello della norma, che propria
di ciascuna societ, in figure storicamente determinate. Le
strutture normative degli universi simbolici cos costituiti si
esprimono a loro volta a livello delluso, cio della pratica so-
ciale, nei singoli contesti in dipendenza delle diverse tradi-
zioni culturali loro proprie (cfr. Buttitta 1996, p. 113). Il sen-
so manifesto di uno stesso simbolo dunque non pu essere
mai fisso e univoco, anche se a livello delle strutture profon-
de si conserva costante.
Quantunque ogni simbolo aspiri alluniversalit il suo
senso non pu non essere pienamente inteso, dunque, al di
fuori del contesto mitico-rituale cui appartiene, cio della sua
storia. In altri termini seppure occasione di semiosi inesau-
ribile, il senso di un simbolo deve essere circoscritto e com-
preso attraverso i rapporti che intrattiene con gli altri elementi
del proprio sistema simbolico. La realt umana ha osser-
vato Kertzer (1988, p. 11) modellata dalluomo
IL POTERE DELLE COSE OVVERO LUOMO, IL SACRO, I SIMBOLI :;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 27
a partire dalla cultura in cui nasce e dalle esperienze che ha,
esperienze che lo mettono in contatto con gli altri e con vari
aspetti della natura. (...) Le nostre percezioni sono selettive e
quegli aspetti del mondo che vengono selezionati devono esse-
re ulteriormente ridotti e riordinati nei termini di un qualche
sistema di semplificazione (o di categorizzazione) che ci con-
sente di dargli un senso.
il sistema dei simboli che conferisce a essi questo ordi-
ne caricandoli di senso. In conclusione possiamo pertanto af-
fermare che
il simbolo multidimensionale e carico di valenze che possono
diversamente allacciarsi, o sostituirsi, o istituire trame di rapporti
sotterranei, radicati nella profondit della psiche, ma diversa-
mente atteggiati nei vari momenti storici, cos come nella vita
del singolo essere umano. (...) lampiezza delle sue manife-
stazioni, lessenziale persistenza nel tempo che sole possono
svelarci la sua reale entit psichica. In questo senso anche il fol-
clore inteso come sopravvivenza di un simbolo attraverso i mil-
lenni pu diventare un documento umano di intenso valore
significante (Seppilli 1977, p. 17).
Se al termine psiche sostituiamo ideologia, con tutti
gli esiti metodologici che questa scelta comporta, lopinione
di Anita Seppilli, appena riferita, rispetto ai problemi af-
frontati in queste pagine appare pienamente risolutiva.
: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 28
Capitolo secondo
Desuz un pin. La lunga strada dellalbero
Preambolo
Ho avuto uninfanzia privilegiata. Ho potuto trascorrere
lunghe estati in campagna, in un grande mulino sul fiume No-
cella, senza acqua corrente n luce elettrica, senza gas n te-
lefono. In compagnia di mio fratello Emanuele, dei miei ge-
nitori e dei loro allievi e amici pi giovani. Ricordo intensa-
mente Gigi, Fatima, Enzo, Francesca, Mario, Silvana, Nino,
Alberto, Enza e Gaetano. Lui mi ha insegnato, tra laltro,
a conoscere cosa cera sotto la superficie del mare. Ce stato
anche tanto mare nella mia infanzia. Prima Favignana, poi
Scopello dove cera Guglielmo e cerano tanti buoni ricci e
granci pilusi, poi San Vito Lo Capo.
Mio padre, la sera, al Mulino, davanti al fuoco ardente al
centro del cortile, raccontava episodi della sua giovinezza o
leggeva. Leggeva per tutti. LOdissea, lIliade, le saghe nor-
rene, la Chanson de Roland... che belle avventure. E poi, or-
mai a letto, le fiabe, a puntate. Mia madre, pescando nel
suo popoloso immaginario, le riempiva di animali parlanti,
eroici bambini guerrieri, mostri, maghi, fate E mio fra-
tello e io ci andavamo allavventura, armati di archi, lance
di canna e coltelli, perlustravamo le montagne circostanti, le
grotte, la valle del fiume.
Queste cose mi hanno fatto amare la vita, diventare cu-
rioso. Dove non si infrange sui muri e non si appiattisce da-
vanti a un televisore o un computer, la fantasia si sperimenta,
si fa vita vissuta. Cos, anni dopo avrei riletto quelle storie cer-
candovi, insieme alle antiche avventure, anche dellaltro.
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 29
Accadde. Stavo scrivendo la mia tesi di laurea sugli usi del-
lalbero nelle cerimonie tradizionali siciliane e leggendo la
Chanson. Notai il modo in cui ricorrevano gli alberi e ne
parlai ad Antonio Pasqualino. Lui, che era un antico cavaliere,
queste cose le conosceva bene.
La lunga strada dellalbero
Non sappiamo precisamente in che misura e in quali pe-
culiari forme, ma certamente gli alberi, segnatamente alcu-
ne specie, dovettero avere un posto rilevante sul piano cul-
tuale e mitico-rituale dei popoli celto-germanici. In questo
senso gli indizi sono numerosi. Le trib celtiche non si co-
stituirono mai in regno centralizzato, in unit politica tran-
stribale. A partire dal VI sec. a.C., in diverse ondate, si dif-
fusero ampiamente e stabilmente sul territorio europeo: Ger-
mania, Inghilterra e Irlanda, Francia, Spagna, fino ai Balca-
ni e allAsia Minore. in questa epoca che si sviluppa la cul-
tura tipicamente celtica di La Tne e appaiono le prime
menzioni dei celti nelle fonti classiche. Il primo riferimento
a questi come popolo si trova in Erodoto (V sec. a.C.) a pro-
posito del territorio dellIberia e dei suoi abitanti (Storie II,
33 e IV, 49). Accenni si trovano anche nei frammenti della Pe-
righesis di Ecateo di Mileto (540-575 a.C.), nella Geografia
di Strabone, in Diodoro Siculo (II, 47 sgg.), in Pausania, in
Polibio, in Dionigi di Alicarnasso. Tra le opere latine, oltre
che nel De Bello Gallico di Cesare e nella Germania di Taci-
to, si fa riferimento ai celti in Plinio il Vecchio e in Lucano.
Pi tarde, ma non meno importanti, le notizie contenute nei
Commenta Bernensia (IV-IX sec. d.C.) e nel Periplo Massalio-
ta (VI sec. d.C.).
Aproposito delluniverso magico-religioso di queste gen-
ti non possibile fare riferimento a un corpo di credenze or-
ganizzate. Non costituendo un sistema coerente e stabile si
fondavano su un pantheon composito di dei tribali, di divi-
nit locali, non di rado preceltiche, di culti privilegiati da al-
cuni gruppi sociali, raccolti in un sistema tuttaltro che rigi-
,c IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 30
do che ruotava intorno ad alcune divinit panceltiche (Di No-
la, a cura, 1970, I, pp. 1691 sgg.). Il luogo dove ammini-
strarne il culto era il bosco: Il cuore della foresta era la di-
mora della divinit: l essa sfoggiava il suo imperio, esigeva
sacrifici e umile sottomissione (Piggot 1984, p. 43). A uno
di questi nemeton Lucano accenna nel suo poema:
Lucus erat longo numquam violatus ab aevo / obscurum cin-
gens conexis aera ramis / et gelidas alte summotis solibus um-
bras. / Hunc non ruricolae Panes nemorumque potentes / Sil-
vani Nymphaeque tenent sed barbara ritu / sacra deum; struc-
tae diris altaribus arae, / omnisque humanis lustrata cruoribus
arbor. / (...). Tunc plurima nigris / fontibus unda cadit, simu-
lacraque maesta deorum / arte carent caesisque extant informia
truncis. / Ipse situs putrique facit iam robore pallor / attonitos;
non vulgatis sacrata figuris / numina sic metuunt: Tantum ter-
roribus addit, / quos timeant, non nosse deos (...) (Farsalia, III,
399-417).
In tutta larea celtica rinveniamo culti dedicati ad alberi
e a divinit degli alberi (Frazer 1900, p. 253). Secondo Tou-
tain, questi culti erano praticati in tutta la Gallia romana.
Nelle valli dei Pirenei, degli altari erano consacrati a Fagus,
il dio Faggio, mentre un gruppo di sei alberi dedicato a un
Sexarbor deus o Sexarbores, era venerato ad Arbas nellAlta
Garonna:
Des autels anpigraphes qui proviennent de la mme rgion por-
tent comme dcoration principale un arbre plus ou moins sty-
lis. Le dieu Chne, Robur deus, tait ador dans la rgion
dAngoulme. Alisanus, qui furent ddies deux patres en
bronze trouves lune prs de Dijion, lautre aux environs dAr-
nay-le-Duc, tait peut-tre le dieu des alisiers, dont le nom in-
digne parat avoir t alisa (Toutain 1920, p. 296).
Altri monumenti privi depigrafe, rinvenuti in diverse re-
gioni della Gallia, possono essere riferiti a culti analoghi. Ne
esempio un altare, la cui provenienza esatta sconosciuta.
Sulla faccia anteriore, un bassorilievo rappresenta un dio
DESUZ UN PIN.... LA LUNGA STRADA DELLALBERO ,:
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barbuto a capo scoperto ritto su una base quadrata con ac-
canto un cinghiale. Tiene nella mano sinistra un serpente o
un pedum, e nella mano destra, diretta verso il sole, un og-
getto indeterminato, forse una pigna. Alla destra del dio si le-
va un albero di pino a cui sta sospesa una mazza-bastone. La
superficie laterale destra decorata con un pino contro il qua-
le si rizza una capra. La superficie sinistra invece tutta oc-
cupata dallimmagine di un alloro. Infine la faccia anteriore
si inquadra in due colonnette i cui capitelli sono costituiti da
pigne (p. 297).
Numerose altre testimonianze iconografiche, dove si os-
servano divinit antropomorfe accanto ad alberi e/o rami e
a essi variamente connesse, confermano lesistenza di dei
della vegetazione e in particolare degli alberi. Tra le specie ve-
getali di maggior rilievo religioso, il tasso, il sorbo, la quer-
cia. Questultima, cui si accompagnava il culto di Taranis, di-
vinit uranica, assimilabile a Zeus-Giove, divinit del tuono
e del fulmine, assume particolare rilievo in quanto chiamata
a rappresentare laxis mundi, il supporto del cielo. Da essa in-
scindibile il vischio che cresceva tra le sue fronde. Era con-
siderato il centro energetico della pianta, il luogo in cui du-
rante la stagione fredda si ritirava la forza vitale dellalbero.
Era simbolo della rinascita. I Druidi nulla consideravano di
pi sacro come il vischio e la quercia su cui cresceva; sce-
glievano boschi di quercia per farvi i loro riti solenni e non
ne facevano alcuno senza foglie di quercia (Frazer 1900, p.
277). noto il passo della Naturalis Historia di Plinio che de-
scrive il rituale di raccolta del vischio sul sacro albero. Un bra-
no assai suggestivo, sul quale si possono avanzare delle ri-
serve, ma che resta comunque una delle poche testimonian-
ze sul mondo druidico:
Nunc est omittenda in hac re et Galliarum admiratio. Nihil ha-
bent Druidae ita suos appellant magos visco et arbore, in
qua gignatur, si modo sit, robur sacratius. Iam per se roborum
eligunt lucos nec ulla sacra sine earum fronde conficiunt, ut
inde appellati quoque interpretatione Graeca possint Druidae
videri. Enimvero quidquid adgnascatur illis e caelo missum pu-
,: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 32
tant signumque esse electae ab ipso deo arboris. Est autem id
rarum admodum inventu et repertum magna religione petitur
et ante omnia sexta luna, quae principia mensum annorumque
his facit et saeculi post tricesimum annum, quia iam virium
abunde habeat nec sit sui dimidia. Omnia sanantem appellant
suo vocabulo. Sacrificio epulisque rite sub arbore comparatis
duos admovet candidi colore tauros, quorum cornua tum pri-
mum vinciantur. Sacerdos candida veste cultus arborem scan-
dit, falce aurea demetit, candido id excipitur sago. Tum dein-
de victimas immolant precantes, suum donum deus prosperum
faciat iis quibus dederit. Fecunditatem eo poto dari cuicum-
que animalium sterili arbitrantur, contra venena esse omnia re-
medio. Tanta gentium in rebus frivolis plerumque religio est
(XVI, 249-251).
Una notevole testimonianza sul culto degli alberi presso
i celti emersa dagli scavi condotti presso loppidumdi Man-
ching in Baviera:
un alberello cultuale, alto settanta centimetri, con ornamenta-
zione consistente in foglie di edera, frutti e bacche. Eseguito in
legno e bronzo, completamente placcato in oro. Lalberello,
al momento del ritrovamento, era collocato su unampia, sotti-
le lastra di legno ricoperta da una lamina doro riccamente or-
nata. Come dimostra lanalisi stilistica, linsieme unisce, in ma-
niera finora inedita, elementi originari mediterranei ed altri
indigeni. (...) Lalberello con i suoi fogliami si colloca nella lun-
ga tradizione, trasmessaci dagli autori antichi, del cosiddetto cul-
to degli alberi (Maier 1991, p. 530).
Anche nella religiosit degli antichi germani trovano am-
pio spazio boschi, alberi e in particolare la quercia. Que-
stultima pare fosse connessa al dio del fulmine, Donar o
Thunar, lequivalente del norvegese Thor. Una quercia sacra
nei pressi di Geismar, nellAssia, che Bonifacio (672/73-754)
tagli nel secolo VIII, era infatti chiamata Donares Eih, la
quercia di Donar. Che poi
il teutonico dio del fulmine, Donar, Thunar o Thor, sidenti-
ficasse con litalico dio del fulmine, Giove, appare anche dal-
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verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 33
linglese Thursday, il giorno di Thunar, che non altro che la
traduzione del latino dies Jovis, gioved. Cos tra gli antichi
teutoni, (...) il dio della quercia era anche il dio del fulmine.
(...) considerato come la grande forza fecondatrice, che man-
da la pioggia e fa portare i frutti alla terra (Frazer 1900, p.
253).
Plutarco, Strabone, Cesare, Plinio, Svetonio, Ammiano
Marcellino ecc. riferiscono intorno ai costumi e alla vita dei
germani, seppur filtrandoli attraverso i modelli culturali
della loro mitologia e del loro culto (Di Nola, a cura, 1970,
II, p. 1728). Una delle testimonianze pi notevoli la Ger-
mania di Tacito. Lautore, in pi luoghi, accenna a boschi
sacri. I germani, egli racconta, celebrano i loro riti in ono-
re degli dei nei boschi e non amano raffigurarli in aspetto
antropomorfo: Ceterum nec cohibere parietibus deos ne-
que in ullam humani oris speciem assimulare ex magnitu-
dine caelestium arbitrantur: lucos ac nemora consecrant,
deorumque nominibus appellant secretum illud, quod so-
la reverentia vident (IX, 2). Presso la trib dei nahanarva-
li vegetava un famoso bosco sacro in cui si venerava una
coppia di divinit, gli Alci: Apud Nahanarvalos antiquae
religionis lucus ostenditur. Praesidet sacerdos muliebri or-
natu, (...). Ea vis numini, nomen Alci (XLIII, 3). Un altro
bosco era dedicato a una divinit femminile, la dea Nerthus,
il cui culto era comune a tutti i germani: Nec quicquam no-
tabile in singulis, nisi quod in commune Nerthum, id est
Terram matrem, (...). Est in insula oceani castum nemus di-
catumque in eo vehiculum, veste contectum; attingere uni
sacerdoti concessum (XL, 2-3).
Indicazioni fondamentali per la ricostruzione delle mi-
tologie nordiche troviamo nellEdda poetica o antica, un in-
sieme di canti mitici ed eroici raccolti per iscritto intorno
al X sec. e nellEdda in prosa, compilazione di dati preva-
lentemente mitologici, opera di Snorri Sturluson (1198-
1241). In ambedue i testi si parla del frassino Yggdrasill,
lalbero cosmico reggitore del mondo. NellEdda poetica lo
si incontra in pi luoghi. Nella Volupsa, dove si racconta
, IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 34
lorigine del mondo, si parla di un grande frassino che pe-
netra la terra. (...) Yggdrasill lo chiamano, / alto tronco lam-
bito da limpide acque; / di l vengono le rugiade che pio-
vono nelle valli. / Sempre serge, verde, sopra la sorgente
di Urdhr (2-19; trad. Scardigli, Meli 1982). NellHavamal
si racconta lautosacrificio di Odino, impiccatosi a Ygg-
drasill per conquistare la conoscenza: Lo so che sono sta-
to appeso al tronco scosso dal vento nove intere notti, / da
una lancia ferito e sacrificato a Odino, io a me stesso, / su
quellalbero che nessuno conosce dove dalle radici serga
(138). Nel Grimnismal (31-33) poi fatta laccurata de-
scrizione del frassino e dei suoi molteplici abitatori. Le
sue tre radici toccano i tre mondi (degli uomini, dei giganti,
dei morti), sulla sua cima sta laquila e in basso il serpen-
te Nidhhoggr e molte altre serpi che rodono le sue radici,
la sua corteccia percorsa su e gi da Ratatosk, lo scoiat-
tolo, che porta i messaggi di sfida tra aquila e serpente. Vi
sono anche dei cervi che mordono il frassino e si cibano
delle sue fronde. Yggdrasill in tutta evidenza tanto albe-
ro axis mundi quanto albero della vita e della conoscenza.
Le sue radici penetrano nelle profondit della terra dove
sono il regno dei giganti e gli inferi. Presso di lui si trova
la fonte miracolosa dove Odino ha lasciato in pegno un oc-
chio, e presso la quale torna di continuo per rinfrescare e
accrescere la sua sapienza (Volupsa 27-29). Un ulteriore in-
dicatore della carica simbolica di Yggdrasill sono gli ani-
mali che lo popolano. Basti rilevare la presenza di aquila e
serpente la cui posizione antagonista ripete un motivo lar-
gamente diffuso. Boyer (1981, p. 210) osserva che la m-
me hostilit entre aigle et serpent se rencontre aussi, dail-
leurs, dans la Grce archaque. Eliade, nel rilevare la dif-
fusione dello schema cosmologico dellalbero con luccel-
lo sulla cima e la serpe alle radici tra i popoli dellAsia e i
germani, lo considera di probabile origine orientale e ri-
corda che di fatto un tale simbolismo appare gi in vesti-
gia preistoriche (1951, p. 297). La lotta tra laquila e il ser-
pente, scrive altrove Eliade, un motivo diffuso nella mi-
tologia e nella cosmologia indiana, un simbolo cosmolo-
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gico della lotta tra luce e tenebre, dellopposizione tra i due
principi, quello solare e quello sotterraneo (1948, p. 286).
Yggdrasill anche referente mitico dellalbero-palo
centrale dellassemblea germanica. La presenza dellasse,
del palo, replica dellAlbero cosmico mette in comuni-
cazione col divino e legittima le decisioni dellassemblea.
Gli dei, infatti, tengono ogni giorno consiglio sotto il fras-
sino Yggdrasill per decidere delle sorti degli uomini come
in un thing, lassemblea scandinava degli uomini liberi che
sotto un albero si riuniva per prendere decisioni sulle sor-
ti della comunit: Allora Gangleri disse: Dov la princi-
pale, la pi santa sede degli dei?. Har rispose: presso il
frassino Yggdrasill; l gli dei ogni giorno tengono consiglio
(...). / Ogni giorno gli Asi cavalcano verso quel luogo
(Gylfaginning 15; trad. Chiesa Isnardi 1975). Il frassino, as-
se cosmico, inoltre trasposizione mitica dellalbero che si
alzava nei luoghi di culto e nelle case e che assicurava il
benessere del gruppo (Di Nola, a cura, 1970, II, p. 1765).
Olao Magno, riprendendo Adamo di Brema (Gesta Ham-
maburgensis IV, sc. 138), riferisce di un albero gigantesco
di specie ignota posto dinanzi le porte del tempio di Up-
psala dedicato a Thor, Odino e Frigga (Historia de genti-
bus septentrionalibus III, 6). Vanno poi ricordati il vardtrd
svedese e il tuntre norvegese, alberi tutelari della comunit
e dei gruppi familiari:
cet arbre protecteur qui ombrage la ferme ou le domaine et dont
on considra trs longtemps que la bonheur, la prosprit de la
famille installe son ombre dpendaient. Il aurait une relation
comme naturelle entre le vardtrd, arbitre du destin dune fa-
mille et Yggdrasill, mesure des destins du monde. Tant que le
vardtrd vit, les gens de la famille vont bien, mais malheur et ma-
ladie sabbatent sur elle sil dprit (Boyer 1981, p. 212. Cfr.
Werkmller 1990, p. 478).
Un albero di tal fatta certo quello che si leva al centro
della reggia di Vlsungr. Si legge nella Saga dei Volsunghi, che
il re si fece costruire una meravigliosa dimora, fatta in mo-
,o IGNAZIO E. BUTTITTA
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do da avere al centro unenorme quercia; i rami rigogliosi
dellalbero, con i loro splendidi fiori, spuntavano oltre il
tetto della reggia, mentre il tronco affondava nella sala: e lo
chiamarono Barnstokkr (2; trad. Febbraro 1994). Fonda-
mento e centro della regia, cio del cosmos, lalbero si fa a
un tempo segno inequivocabile della sovranit e della fe-
condit. Albero della vita-fertilit e albero axis mundi, lun-
gi dallescludersi si pongono come significati complementari.
La reggia di Vlsungr viene costruita intorno a unenorme
quercia che ne indica la natura di centro cosmico, e la quer-
cia stessa rigogliosa, fiorita come a segnalare la potenza fe-
condatrice del luogo e di chi vi abita. Non casuale poi che
quella quercia venga indicata anche come melo, albero
da frutta, e che infine il suo nome, Barnstokkr, significhi
tronco dei bambini, auspicio evidente di florida discen-
denza. Vale ricordare un episodio della saga di Haraldr Bel-
lachioma, dove Ragnhildr, futura madre del re Haraldr, ve-
de nel sonno un immenso e rigoglioso albero uscirle dal
ventre. Lo stesso tema ricorre nellimmagine veterotesta-
mentaria dellalbero di Jesse, ma anche pi esplicitamente
nellOdissea. Sul tronco di un ulivo Odisseo ha scolpito il suo
letto nuziale; intorno a questo albero, solido e inamovibile,
ha costruito la camera destinata a ospitarne il sonno e gli am-
plessi legittimi: il centro della casa e del cosmo (Odissea,
XXIII, vv. 184-204):
Cera un tronco dalle ricche fronde, dulivo, dentro il cortile, /
florido, rigoglioso; era grosso come una colonna: / intorno a que-
sto murai la stanza, finch la finii, / con fitte pietre, e di sopra
la copersi per bene, / robuste porte ci misi, saldamente com-
messe. / E poi troncai la chioma dellulivo fronzuto, / e il fusto
sul piede sgrossai, lo squadrai col bronzo / (...). / Cos, comin-
ciando da questo, polivo il letto, finch lo finii, / ornandolo do-
ro, dargento e davorio.
Simbolismo assiale e di fecondit tornano a riunirsi. Gli
amplessi fecondi del re divino, consumati al centro delluni-
verso, fanno prosperare la comunit.
DESUZ UN PIN.... LA LUNGA STRADA DELLALBERO ,;
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Antiqua idolatria
Non mancano le attestazioni medievali che documenta-
no la persistenza di un immaginario simbolico tradizionale at-
traverso il perpetuarsi di pratiche rituali non cristiane, o co-
munque non ortodosse legate agli alberi e pi in generale a
elementi naturali. Testimonianze si raccolgono, oltre che nel-
le opere di carattere storico e letterario, anche in bolle e te-
sti conciliari, in editti regali, in scritti e prediche di autore-
voli esponenti del mondo ecclesiastico. Attraverso questi do-
cumenti si intravede una cultura legata alla terra da un siste-
ma di credenze fin troppo radicate per poter essere cancel-
late da unazione repentina e violenta. Un insieme di credenze
che si conservava pi facilmente nelle campagne, dove se-
condo Guglielmo dAlvernia continuavano a imperversare an-
tiqua idolatria e reliquiae superstitionis antiquae (cfr. De legi-
bus, in part. capp. IV, XIV, XXVI); una religiosit dei luoghi e
delle cose che aveva i suoi modelli nel culto di fonti, grotte,
alberi, monti. Questo quadro ben sintetizzato da Claverie
(1988, p. 49):
Un tempo i contadini vivevano e pensavano in termini di terra
e non di societ, e quella terra era piena, colma del chiasso dei
vivi e del mormorio dei morti, incantata e ingombra di presen-
ze visibili e invisibili. Mai tuttavia, pur essendo prodigiose,
quelle presenze furono indefinite o inidentificabili. Esse face-
vano parte di un sistema di riferimenti che comprendeva tanto
un riconoscimento esatto degli esseri meravigliosi quanto i luo-
ghi e le epoche di apparizione privilegiati.
Nel 573, Martino, vescovo metropolita di Braga, in Gali-
zia, scrive il De correctione rusticorum unopera rivolta, co-
me recita il titolo, contro quelle superstizioni pagane am-
piamente diffuse nelle zone rurali della sua diocesi , pro-
ponendo, tra laltro questi interrogativi:
Nam ad petras et ad arbores et ad fontes et per trivia cereolos
incendere, quid est aliud nisi cultura diaboli? Divinationes et au-
guria et dies idolorum observare, quid est aliud nisi cultura
, IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 38
diaboli? Vulcanalia et Kalendas observare, mensas ornare, et lau-
ros ponere, et pedem observare, et fundere in foco super trun-
cum frugem et vinum, et panem in fontem mittere, quid est aliud
nisi cultura diaboli? (16.2).
Quanto Martino osservava in Galizia non era molto di-
verso da ci che accadeva altrove. Alle popolazioni rurali
nord-europee era fatto divieto di fare dei sacrifici nei bo-
schetti o sotto particolari alberi, di pronunziare o sciogliere
dei voti, di accendere candele o di appendere agli alberi si-
mulacri di arti malati nella speranza di una loro guarigione,
come si legge in una lettera di papa Gregorio I alla regina Bru-
nichilda nellanno 597. Anche i missionari erano impegnati
nella lotta contro il culto degli alberi. SantAmandus aveva
tagliato nel VII sec. un albero sacro nella Bassa Franconia, e
allo stesso modo avevano fatto san Barbatus con un albero
venerato dai longobardi e san Bonifacio con un robur Jovis,
la quercia di Donar, presso Fritzlar, in Assia (Werkmller
1990, p. 462).
Altre significative e pi antiche testimonianze sono quel-
le contenute nel Concilio Cartaginiense del 397 (can. 58, T.
II, 1300), e nelle Costituzioni del re Childeberto del 550 (T. VI,
487-488), che attestano la diffusa venerazione di boschetti sa-
cri in cima a colline e rilievi in genere. Nei concili provinciali
di Arles (452), di Tours (567), di Nantes (568) si decreta
contro ladorazione di alberi, fonti, pietre. In diversi docu-
menti si trovano riferimenti a cosiddetti alberi sanctivi. Tra
questi un Editto del 727 del re longobardo Liutprando che
condanna chiunque sia stato trovato ad adorare un albero di
tal genere: Simili modo et qui ad arbore quam rustici sanc-
tivum vocant, atque ad fontanas adoraverit, aut sacrilegium
vel incantationis fecerit, similiter medietatem pretii sui com-
ponat in sacro palatio (Liutprandi leges, c. 84, cit. in Gr-
goire 1990, p. 669).
Carlo Magno, che aveva avuto diretta esperienza, duran-
te la campagna militare del 772, della trib sassone degli an-
gari, nei cui santuari si veneravano alberi e pali sacri, nel suo
capitolare dellanno 794, ordina: de arboribus et lucis de-
DESUZ UN PIN.... LA LUNGA STRADA DELLALBERO ,,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 39
struendis observetur auctoritas (c. 43). In quella occasione
erano stati distrutti numerosi boschi e alberi sacri. Scrive
Egilio: tagliarono i boschi sacri e vi costruirono sante basi-
liche (cit. in Schmitt 1979, p. 31). Tra questi, nel 772, ricorda
Rodolfo di Fulda nella sua cronaca, fanum et lucum famo-
sum Irminsul, un albero che era considerato una univer-
salis columna quasi sustinens omnia. Questalbero non do-
veva essere dissimile da quello che cresceva presso il tempio
di Uppsala, descritto da Adamo di Brema: prope templus
est arbor maxime late ramos extendens, aestate et hyeme
semper virens: cuius illa generis sit nemo scit, (...) ibi etiam
est fons ubi sacrificia paganorum solent exerceri et homo vi-
vo immergi (Gesta Hammarbugensis, IV, scolio 134; cfr.
Mannhardt 1875, pp. 303 sgg.).
La distruzione dei boschi sacri continu a essere pre-
scritta fino a tutto il secolo XI da concili, sinodi regionali, edit-
ti, in particolar modo, in Germania e in Europa settentrio-
nale (Grgoire 1990, pp. 665-666). Philpot (1897, p. 20) in
proposito osserva: The Teutons no doubt brought with
them to Britain the religion of the sacred grove, and we find
King Edgar condemning the idle rites in connection with the
alder and other trees, and Canute fifty years later forbidding
the worship entirely.
Una delle notizie pi significative in tal senso contenu-
ta nelle Histori, conosciute anche come Cronache dellan-
no mille, di Rodolfo il Glabro, monaco benedettino vissuto
a cavallo tra X e XI sec. Questi documenta in modo esplicito
unazione volta ad assorbire un culto locale, mantenendo la
sacralit del luogo, ma sostituendo loggetto del culto:
Contigit enim ut die quadam, precipiente eodem episcopo,
quedam profana arbor, sita iuxta fluvium, cui etiam superstitiose
immolabat universum vulgus, videlicet excisa convelleretur.
Constructoque ac sacrato in eodem loco altare missarum sol-
lempnia per se episcopus explere paravit (I, 10).
Il tentativo di vincere questo culto pagano fallir sul na-
scere. Durante la celebrazione della prima messa presso il
c IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 40
nuovo altare, il prelato verr fatto oggetto di un mortale lan-
cio di giavellotti da parte degli abitanti della regione, per nul-
la soddisfatti di essere stati privati delloggetto della loro ve-
nerazione. Lo zelante vescovo che finir i suoi giorni il 23
aprile 997 ictibus iaculorum ab impiis perfossus, Adal-
berto, vescovo di Praga; i suoi empi assassini, gli abitanti
della zona baltica di Elbing, nella Prussia orientale: genti
germaniche presso le quali il culto degli alberi era elemento
essenziale del patrimonio religioso.
Episodi come quello dellassassinio di Adalberto, risulta-
to dello scontro tra evangelizzatori e popolazioni ancora ra-
dicate nelle loro arcaiche credenze, non erano infrequenti.
Nel periodo in cui Atala, successore di san Colombano, era
abate nel monastero di Bobbio, un monaco diede fuoco a un
tempio pagano fatto di tronchi sulla riva dun fiume presso
Tortona. I rustici, infuriati, si radunarono, e punirono lem-
pio prendendolo a bastonate e gettandolo nel fiume (Fuma-
galli 1994, p. 97).
Loperazione condotta dal vescovo di Praga si attiene, in
sostanza, alle disposizioni del Concilio Namnetense (890 ca.):
Summo decertare debent studio Episcopi, et eorum ministri, ut
arbores daemonibus consecratae, quas vulgus colit, et in tanta
veneratione habet ut nec ramum nec surculum inde audeat am-
putare, radicitus excidantur, atque comburantur. Lapides quo-
que in ruinosis locis et silvestribus, daemonum ludificationibus
decepti venerantur, ubi et vota vovent et deferunt, funditus
effodiantur, atque in tali loci proiciantur, ubi numquam a cul-
toribus suis inveniri possint (Concilio Namnetense, can. 20, T.
XI, 663/664, cit. in Corrain, Zampini 1964).
Allinizio dellXI secolo, nel Decretum del vescovo Bur-
cardo di Worms, che si rif appunto alle decisioni di pre-
cedenti concili, leggiamo analoghe disposizioni. Egli ri-
chiama lattenzione dei vescovi su gli alberi consacrati ai
demoni, ai quali il popolo dedica un culto e venera a tal pun-
to da non osare tagliare n fronde n rami. Ordina di scal-
zarli dalle radici e di bruciarli (P. L., CXL, 835, cit. in Sch-
mitt 1979, p. 31).
DESUZ UN PIN.... LA LUNGA STRADA DELLALBERO :
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 41
Anche lagiografia dellAlto Medioevo fornisce numero-
se testimonianze sugli alberi sacri, distrutti con fanatico ze-
lo da missionari e da vescovi. Audoeno di Rouen ricorda
nella Vita S. Eligii:
Nam illud quale est, quod si arbores illae, ubi miseri homines
vota reddunt, ceciderint, nec ex eis ligna ad focum sibi deferunt?
Et videte quanta stultitia est hominum, si arbori insensibili et
mortuae honorem impendunt, et Dei omnipotentis praecepta
contemnunt (P. L., XV, 87, 8, 529).
Il vescovo ammonisce altrove che nessuno osi fare voti o
accendere fuochi ad alberi, pietre, fonti ecc.: Nullus chri-
stianorum ad fana vel ad petras, vel ad fontes, vel ad arbo-
res, aut ad cellas, vel per trivia, luminaria faciat, aut vota
reddere praesumat (P. L., II, 87, 16, 479-594).
Cesario dArles richiamava i fedeli a una osservazione
pi profonda della fede con queste parole:
Et ideo quicumque in agro suo, aut in villa, aut iuxta villam ali-
quas arbores, aut aras, vel quaelibet vana habuerit, ubi miseris
homines solent aliqua vota reddere; si eas non destruxerit atque
succiderit, in illis sacrilegiis quae ibi facta fuerint, sine dubio par-
ticeps erit (...).
E pi avanti riferiva del comportamento ribelle di chi ve-
deva minacciato il proprio universo cultuale, con parole che
rimandano al martirio del vescovo Adalberto: Et si aliquis
Deum cogitans aut arbores fanaticos incendere aut aras dia-
bolicas voluerit dissipare atque destruere, irascuntur et in-
saniunt, et furore nimio succenduntur (Sermo LIII, 1-2).
Se alcuni prelati si lamentavano nelle prediche contro co-
loro qui levaient sur les racines des sortes dautels ap-
portaient aux arbres des offrandes et les suppliaient avec des
lamentations de conserver leurs enfants, leurs maisons, leurs
champs, leurs familles et leurs biens (Du Change, cit. in De
Gubernatis 1878-82, I, p. 274), altri, se vera la storia di san
Germano, non dovevano poi essere cos saldi nella fede. Si
racconta infatti che il santo, nato ad Auxerre e recatosi a Ro-
: IGNAZIO E. BUTTITTA
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ma a studiare, era entrato nei favori dellimperatore Ono-
rio che lo aveva nominato governatore di Borgogna. La ca-
pitale della regione era la citt natale di Germano. Al cen-
tro di questa si elevava un grande pino ai cui rami Germa-
no usava appendere le teste degli animali da lui uccisi nel-
le battute di caccia. Questa sua abitudine poco ortodossa
gli era spesso rimproverata dal vescovo Amatore che, esa-
sperato, un giorno si decise a fare abbattere lalbero sa-
crilego, ceppo compreso, e, affinch gli increduli non ne
conservassero ricordo alcuno, li fece immediatamente bru-
ciare (Lecoy de la Marche, Anecdotes historiques, cit. in
Schmitt 1979, p. 30). Germano, e con lui la sua scorta, si re-
carono dal vescovo minacciandolo di morte. Il vescovo per
riusc a riportare Germano alla ragione e a una fede pi
limpida, promettendogli, come poi accadde, che egli sa-
rebbe stato suo successore.
La Chanson de Roland
Nellanno Mille dunque lEuropa ancora percorsa da
credenze e rituali che, pur variamente ritradotti nella nuo-
va lingua cristiana, mostrano le proprie profonde radici.
Miti e simboli antichi pervadono pi o meno consapevol-
mente limmaginario di tutta la societ confondendosi, a
tratti camuffandosi, con un complesso apparato di figure,
icone, exempla, di matrice vetero e neo testamentaria, pa-
tristica e agiografica. Questo intrico simbolico presente nel-
la Chanson de Roland. Un luogo letterario, come si vedr, do-
ve ricorrono elementi mitici che piuttosto che semplici cli-
chs sono da considerarsi elementi che funcionan dentro
una sintaxis choerente che non consente di parlare di f-
siles del mito, quanto piuttosto di mito o mitos escrupo-
losamente estructurados. In altre parole la Chanson, al di
l e al di sotto della superficie della vicenda narrata si co-
stituisce come un autntico relato mitico en el que las uni-
dades se estructuran funcionalmente (Ruiz Capelln, Aram-
buru Riera 1986-87, pp. 6-7).
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La Chanson, databile al 1070 ca., il componimento epi-
co-romanzo di maggior rilievo. Se ne posseggono numerose
versioni delle quali la pi nota certamente quella anglo-nor-
manna di Oxford, XII sec., che conta circa quattromila ver-
si. Nel testo si colgono interessanti riscontri riguardo ai si-
gnificati che assumono alcuni elementi del paesaggio, in par-
ticolare gli alberi. Segnatamente non pare casuale la presen-
za in pi luoghi di elementi vegetali come complemento di
specifiche figure e situazioni. Lalbero (e ci vale anche per
altri elementi) nel poema, referente topografico, luogo di
adunanze, asse di riferimento e distribuzione dello spazio, ma
anche manifestamente strumento di passaggio e di comu-
nicazione con la dimensione divina. Lalbero-axis mundi, tra-
mite attraverso il quale discende il dono divino della regalit
tra gli uomini, diviene esso stesso sua rappresentazione sim-
bolica. simbolo di ci che viene trasmesso, di chi lo tra-
smette e di chi lo riceve. In altre parole se la regalit dono
divino, essa discende al mondo attraverso un asse, mezzo di
comunicazione fra trascendenza e immanenza, fra uomo e
Dio, e questo viene a costituirsi come suo simbolo (cfr. Ben-
veniste 1969, II, cap. I).
Limportanza assunta nel poema dagli elementi vegetali
gi stata rilevata da Curtius (1948). Questi osservava che
Nella Canzone di Orlando solito che si incontrino alberi e col-
line nelle scene di battaglia e morte; un consiglio militare ha luo-
go presso un alloro, che si trova a met di un campo (v. 2651).
Codesto stesso alloro lo troviamo in un colle che si innalza nel-
laccampamento descritto da Gautier de Chtillon (Alexan-
dreis, II, 308) (p. 224).
Curtius si limita per a sottolinearne la rilevanza come ele-
mento dello scenario epico senza cercare di approfondirne
il significato simbolico. Anche Bensi conduce analoghe os-
servazioni. Alla nota al v. 168 (Li empereres sen vait desuz un
pin) rileva:
Allombra di un pino si situeranno altri momenti decisivi della
Canzone: il tradimento di Gano (cfr. v. 500), la morte di Orlan-
IGNAZIO E. BUTTITTA
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do (cfr. vv. 2357 e 2375). Si anche avanzata lipotesi, non priva
di fondatezza nonostante qualche difficolt, che il pino, in quan-
to rappresentante tipico della natura nordica, possa qualificarsi
emblematicamente, nel corso dellintero poema, come lalbero dei
cristiani, in contrapposizione al meridionale ulivo, albero dei sa-
raceni. Tale ipotesi estrema (...) pu anche rivestire una forma me-
no radicale (il pino e lulivo contrassegnerebbero allora rispetti-
vamente Carlo e Marsilio, o il luogo di adunanza dei cristiani e
dei saraceni intorno a Carlo e Marsilio) (Bensi 1985, p. 101).
Anche in questo caso ci si limita a notare la rilevanza di
certi elementi senza proporre adeguate spiegazioni, in realt
facilmente rievabili allargando lorizzonte al mondo della re-
ligiosit e del simbolismo (cfr. Ruiz Capelln, Aramburu Rie-
ra 1986-87, p. 18). Che lalbero sia in diversi contesti rap-
presentazione della divinit, del cosmo, e che alla figura de-
gli dei spesso si associ quella di un vegetale stato gi rile-
vato. Una testimonianza assai significativa anche per la sua
provenienza, data da un poemetto anglosassone del VII sec.
attribuito a Cynewulf, Il sogno della Croce. Gi dai primissi-
mi versi la croce, di per s simbolo divino, presentata co-
me un albero, un albero meraviglioso che si erge nellaria,
ammantato di luce, il pi splendente dei tronchi (vv. 4-6),
Albero della Vittoria (v. 13), Albero della Gloria, adorno
di panni, che rifulge giocondamente ornato di oro (...) Albero
della foresta (vv. 14-17; trad. Ricci 1926). Il poema sembra
rispecchiare i travagliati rapporti tra cristianesimo e pagane-
simo nel mondo anglosassone, caratterizzati da una certa di-
sponibilit delle chiese locali ad assimilare elementi barba-
rici. Non sorprende quindi incontrare tracce di culti pre-
cristiani in un testo di unepoca in cui il cristianesimo si era
gi affermato. Non diversamente avveniva tra le popolazio-
ni sassoni della terraferma. Si pensi allHeliand (sec. IX), poe-
ma didascalico di circa 6.000 versi, dove la vita di Cristo in-
terpretata secondo la concezione guerriera delle societ ger-
maniche. Il Cristo viene presentato
come un potente re nazionale circondato dai suoi gregari, da eroi
che gli sono fedeli fino alla morte, ma anche come il figlio del-
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la pace di Dio. Lo stesso ambiente dei Vangeli viene germaniz-
zato: le citt si trasformano in castelli (perch i sassoni non co-
noscevano ancora le citt), i pastori in scudieri, le nozze di Ca-
na in un festino tedesco dove si beve birra ecc. (Bertholet 1964,
p. 207).
Daltro canto osserva Mittner (1977, pp. 112-113):
Cristo e gli apostoli non potevano essere propriamente epiciz-
zati; Cristo eroico non nellagire ma nel patire. Che un re si
lasci legare senza opporre resistenza, era inconcepibile per un
sassone del secolo IX; tanto maggior rilievo ha la scena in cui Pie-
tro non solo mozza lorecchio a Malco, ma lo colpisce anche al-
la guancia aprendovi una ferita mortale; o la scena in cui Tom-
maso si dice pronto a morire per il suo maestro, perch aspira
al premio paganissimo della gloria presso i posteri.
Nel Sogno di Cynewulf la croce-albero parla, racconta la
sua storia e le eroiche sofferenze patite insieme al Crocifis-
so. essa stessa il Signore: Ma io giacendo col per lungo
tempo con lanimo turbato contemplai lAlbero del Signore
finch non udii che esso parlava; il migliore dei legni co-
minci a profferir parole (vv. 25-26), mi trafissero con ne-
ri chiodi; su di me si vedono le cicatrici (v. 46). Addirittura
il Cristo-re, come lantico sciamano, ascende lalbero-cro-
ce: Io vidi il Re degli uomini affrettarsi con grande corag-
gio, ch egli voleva ascendermi (vv. 33-34). Cristo un eroe
sprezzante del pericolo e del dolore: Il giovane eroe allora
si spogli quello era dio onnipotente forte e risoluto; egli
sal sulla croce coraggioso, alla vista di molti, quando volle
redimere lumanit (vv. 39-41; trad. Ricci 1926).
NellElena altro componimento attribuito a Cynewulf,
ricompare limmagine dellalbero-croce: la croce che Co-
stantino fa recare innanzi dalle sue truppe lalbero santo
(II, v. 107), lalbero glorioso (XV, v. 125), il suo santo al-
bero a forma di croce (II, v. 137). Interessa qui evidenziare
la facilit nellassimilare la croce allalbero, suggerita anche
dalla traduzione di xulon in lignum nella vulgata neotesta-
mentaria, e il loro costituirsi a rappresentazioni stesse di Dio.
o IGNAZIO E. BUTTITTA
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Vi una profonda identit, radicata nel passato celto-ger-
manico, tra albero e divinit. Lalbero una metafora possi-
bile, condivisa, appartenente alla coscienza di tutti. Nel poe-
metto il Signore nominato spesso con il titolo di Re. Ecco
comparire insieme, lalbero-croce, il Cristo-Re. Le immagi-
ni pagane della tradizione riemergono, cariche di nuovo si-
gnificato, nellimmaginario del poeta.
Desuz un pin
Leggiamo nella Chanson: Desuz un pin, delez un eglen-
ter, / Un faldestoed i out, fait tut dor mer: / La siet li reis ki
dulce France tient (vv. 114-116). E pi avanti Li empere-
res sen vait desuz un pin; / Ses baruns mandet pur sun cun-
seill fenir (vv. 169-170). In questi versi, il re Carlo pre-
sentato assiso sul trono sotto un pino, il perch ormai chia-
ro. Sono le stesse ragioni per le quali il manto del sacro ro-
mano imperatore mostrava un albero della vita fiancheggia-
to da due felini e il trono del patriarca di Venezia, il trono di
san Marco, recava scolpito lalbero della vita (cfr. Cook 1974,
p. 57). Carlo re per volere di Dio e il suo potere discende
dallalto.
Come s gi visto gli alberi nel Medioevo sono anche i luo-
ghi del giudizio sotto i quali si riunivano le assemblee pre-
siedute dal principe. Essi sono sicuro indice di conventus, il
luogo dove gli uomini si radunavano a trattare i loro affari e
a sanzionare con lautorit della pianta sacra i loro patti. A
questa categoria apparteneva certo il Robur Berengerii, ro-
vere di Berengario, ricordato in diversi documenti mode-
nesi dei secoli XI-XII, della corte di Baggiovara, in cui pos-
sibile vedere anche un valore magico, connesso allintuizione
di potenza regia, dato che il nome proprio va probabilmente
ascritto a uno dei due re italici (Violi 1959, p. 118). Nota
Werkmller (1990, pp. 471-472) in proposito che per luogo
di giudizio va inteso il luogo dove siede la Corte o il Consi-
glio, non quello dove viene eseguita la sentenza e ancora,
riferendosi al territorio dellEuropa occidentale osserva:
DESUZ UN PIN.... LA LUNGA STRADA DELLALBERO ;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 47
specialmente nei villaggi questi antichi luoghi di giudizio sono
ancora oggi il centro del paese, spesso vicinissimi alla chiesa e
al cimitero. Gli alberi, solitamente piantati isolati o in gruppi per
proteggere lassemblea, sono in ordine di frequenza: tigli, abe-
ti, olmi, querce, frassini.
In Francia lolmo ad assolvere pi di frequente a que-
sto compito. Lolmo era detto albero di giustizia. Nella
Francia meridionale, alla sua ombra si riteneva che le sen-
tenze giudiziarie fossero ispirate dalla divinit. Lolmo era
piantato sul poggio del castello. Il signore o i giudici da lui
incaricati amministravano la giustizia alla sua ombra. Giu-
dici di sotto lolmo erano detti i magistrati di villaggio che
non avevano tribunale e sedevano sotto lolmo di fronte alla
porta del castello (Brosse 1989, p. 162).
Anche nella Penisola Iberica, precisamente in area basca,
si rilevano alberi dal significato politico-religioso:
Como es sabido, las juntas generales del Seoro se celebraban
a la sombra de un rbol, de un roble: el de Guernica. Pero tam-
bin las del Duranguesado de llevaban a cabo a la sombra de
otro: el de Guerediaga. Y, en tercer lugar, ocurra lo mismo con
las de las Encartaciones, que tenan lugar bajos la proteccon del
rbol de Abellaneda o Avellaneda. Estos tres no son los nicos
robles significativos en el pas vasco: porque la junta del valle
de Orozco y la de la comunidad de Ustaritz se celebraban de la
misma manera, bajo un roble, y an se pueden recordar otros
ejemplos menos conocidos (Caro Baroja 1982, pp. 155-156).
Questi alberi sono il centro della comunit, dove si fa leg-
ge e dove giurano i signori del luogo al momento della pre-
sa del potere. Pedro Lpez nella sua Crnica de Don Enrique
tercero racconta come Enrico III, al momento di acquisire la
signoria di Vizcaya, dovette giurare, dinanzi al popolo, sot-
to il rovere di Arechabalaga: que el seor por su cuerpo de-
be ir all, personalmente, para ser seor reconocido (p. 158).
Ci perch solo dopo il giuramento so el rbol si diviene
signori; solo amministrando giustizia so el rbol, si nel-
la legge; solo se convocato e giudicato so el rbol un uo-
IGNAZIO E. BUTTITTA
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mo pu essere accusato e condannato o assolto in modo le-
gale (p. 163). Dunque un albero, axis mundi, simbolo della
giustizia divina ed epifania stessa del dio, il luogo intorno
al quale si riuniscono in assemblea prima le trib celto-ger-
maniche e pi tardi le comunit cittadine europee.
La morte di Orlando
Altri alberi compariranno nella Chanson, mai casual-
mente e sempre come marche simboliche della situazione de-
scritta (ad esempio, v. 103; v. 203; vv. 406/407; v. 500; v. 501;
v. 993; v. 2267; v. 2271; v. 2357; v. 2375; v. 2571; v. 2651; v.
2705; v. 2883). Essi non assolvono dunque un compito pu-
ramente scenografico o riempitivo. Pi in generale tutto il
paesaggio della Chanson non ha meri intenti esornativi. un
paesaggio, invece, ricco di elementi simbolici i quali, sep-
pur filtrati dalla tradizione cristiana, lasciano trasparire un
retaggio culturale pi arcaico che contribuiscono a deter-
minare latmosfera morale dellla Chanson (Bensi 1985, p.
61). Che i pini, gli ulivi, le querce che compaiono nella
Chanson, concorrano a determinare la sacralit di determi-
nate situazioni (il consiglio regale, il trapasso ecc.), a legit-
timare lazione dei protagonisti si evince, daltronde, anche
dallanalisi di altri testi. Nel Voyage de Charlemagne en
Orient, breve componimento del XII sec., Carlo conduce la
regina sotto un olivo al termine della messa e d luogo alle
sue vanterie che, ricusate, daranno inizio al viaggio e alle av-
venture del re e dei suoi pari:
Un giorno il re Carlo era nella chiesa di S. Denis: / Si era ri-
messa la corona, si fece il segno della croce, / e ha cinto la spa-
da dal pomo di oro purissimo. / Cerano duchi, signori e ca-
valieri valorosi. / Limperatore guarda la regina sua moglie: /
era incoronata in maniera splendida. / La condusse per mano
sotto un olivo / e le cominci a dire ad alta voce: / Signora,
vedeste mai alcuno al mondo / cui stesse cos bene la spada o
la corona in capo? / Colla mia lancia conquister ancora del-
le citt! (vv. 1-11).
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Desuz lumbre dune ente (un albero da frutta) che
Carlo far vassallo il re di Costantinopoli Ugo il Forte, suo
antagonista in questo viaggio immaginario:
Allora il re pot ben scendere dalla torre, / e raggiungere Car-
lomagno allombra di un albero da frutta. / In fede, giusto im-
peratore, so che Dio vi ama: / voglio diventare tuo vassallo, da
te avr in feudo il mio regno, / ti dar il mio tesoro e lo porter
in Francia (vv. 794-798; trad. Bonafin 1993).
E, nella Chanson de Guillaume (1140 ca.), il conte Gu-
glielmo accorso in aiuto del nipote Viviano, che con pochi uo-
mini aveva affrontato le numerose schiere degli infedeli, lo
trova sur un estane, / A la fonteine dunt li duit sunt bruiant,
/ Desuz la foille dun olivier mult grant, / Ses blanches mains
croisies sur le flane, / Plus suef fleereit que nule espece ne pi-
ment (vv. 1988-1992).
Lalbero , lo ripetiamo, tramite e rappresentante della
regalit e della divinit. In ultima analisi nella Chanson li-
dentit Cristo-pino che legittima lautorit di Carlo come re
e campione della fede. Carlo assistito da Dio stesso che tra-
mite san Gabriele gli invia messaggi e lo sostiene nella lot-
ta. Al di l dellisomorfismo tra la vicenda del poema e la
vita del Cristo, isomorfismo che indubitabilmente guida la
successione cronologica degli eventi e concorre a determi-
nare la sostanza e il valore simbolico dei personaggi e del
contesto ambientale in cui operano, nel poema si rivelano
in profondit tracce di una visione del mondo anteriore al-
levangelizzazione. Certe associazioni di immagini non pos-
sono essere cio n gratuite n casuali. Lepisodio della
morte di Orlando, in questo senso, suggerisce ulteriori mo-
tivi di riflessione.
La morte delleroe, ha rilevato Pasqualino (1992, pp. 105-
106),
diviene simbolo di tutto un fascio di valori politici, religiosi e
militari che nelle versioni pi antiche sono legati allideologia
feudale e a quella della crociata (...), assume un valore mitico
di consacrazione ed esaltazione della guerra santa, Roland di-
,c IGNAZIO E. BUTTITTA
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viene una immagine di Cristo in armi, il suo sacrificio lo con-
sacra a una gloria superiore a qualunque successo. (...) La glo-
ria il segno smaterializzato del merito, propria di Dio, del
sovrano, e viene acquistata dal cavaliere, dal vassallo solo in con-
dizioni eccezionali, e cio morendo in guerra contro gli infede-
li. (...), perch si ritiene che il sacrificio degli eroi, equiparati a
santi martiri, diviene un tesoro per la comunit dei fedeli, co-
me il sacrificio del Cristo.
In quanto vicenda esemplare, ricapitolazione delle virt
del cristiano votato al martirio, Roland, autentico miles
Christi ausiliario della Chiesa, che guadagna la salvezza
compiendo nei quadri della morale cristiana i doveri del
suo stato (Duby 1988, p. 26), costituisce uno dei pi po-
tenti exempla cui si conformeranno, almeno in via teorica,
i cavalieri crociati. La tradizione epica derivata da questo
episodio verr assunta a pertire dallXI secolo quale pa-
radigma di martirio per la fede (Cardini 1987, p. 89. Cfr.
Flori 1998, in partic. pp. 221 sgg.).
Lesempio cui conformarsi dunque la vita di Ges Cri-
sto. Essa offre al guerriero-cavaliere lesempio pi presti-
gioso e carico di senso (Pasqualino 1992, p. 14). Le analo-
gie tra i Vangeli e il poema, daltronde si lasciano facilmen-
te rilevare: Orlando il Cristo, Gano il traditore Giuda. Car-
lomagno riferibile a Dio Padre: un Dio Padre che in con-
seguenza delle sue attitudini guerriere e di quelle di giudice
spietato, ricorda il Dio dIsraele, lo Jahv vetero-testamen-
tario, ma anche alcune divinit guerriere della tradizione
barbarica:
Carlo nostre emperere magnes, re dal potere indiscusso, as-
somma alla funzione regale anche quella paterna. La frequen-
te commozione, laccorato planctus su Rolando, il desolato ri-
cordo del barnage dotano limperatore di una trepida umanit.
I sogni premonitori, le visioni angeliche, le richieste divine ac-
cordate alzano Carlo su tutti i personaggi conferendogli unau-
ra sacrale. Intermediario tra cielo e terra, Carlo il re sacerdo-
te la cui missione la milizia strenua, incessante contro i nemi-
ci della fede (Limentani, Infurna 1994, p. 32).
DESUZ UN PIN.... LA LUNGA STRADA DELLALBERO ,:
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Nel gi ricordato Voyage de Charlemagne en Orient, las-
similazione tra il sovrano e Cristo del tutto manifesta. Car-
lo con i suoi paladini, vestiti da comuni pellegrini, si trova in
Gerusalemme:
Entr in una chiesa a volte di marmo policromo: / Allinterno
c un altare del Santo Paternostro: / Dio vi celebr la messa
e altrettanto fecero gli apostoli: / i dodici seggi vi sono ancora
tutti, / il tredicesimo nel mezzo, dalle commessure perfette.
/ Quando Carlo vi entr il cuore gli si riemp di gioia: / come
vede il seggio, si dirige da quella parte. / Limperatore si sedette,
si ripos un poco, / i dodici pari sulle altre seggiole, attorno e
di lato. / Mai vi si sedette alcuno prima, n alcuno dopo (vv.
112-122).
Ma lidentificazione tra Carlo e i dodici suoi compagni e
Cristo e i dodici apostoli, ancora soltanto suggerita, si pale-
sa del tutto poco pi avanti. Un giudeo vede Carlo e i suoi
seduti sui sacri seggi e ne corre a riferire al Patriarca, non sen-
za manifestare il desiderio, a seguito di tale intensa visione,
di convertirsi immediatamente:
Signore, andate in chiesa per preparare i fonti battesimali: / mi
far subito immergere nellacqua e battezzare. / Dodici conti ho
appena visto entrare in quella chiesa, / il tredicesimo con loro,
mai ne videsi uno cos ben fatto. / il Signore [o est memes
Deus] in persona, a mio parere! / Egli e i dodici apostoli ven-
gono a farvi visita! (vv. 134-140; trad. Bonafin 1993).
Se nella Chanson di Oxford, Carlomagno lesempio
sublime di sovrano perfetto, la figura pi alta ed eroica, su-
periore a quella dello stesso Roland, nei testi epici pi re-
centi limmagine della sovranit di Charlemagne ha subi-
to una metamorfosi che deriva dal deterioramento delle
qualit tradizionali del suo mito, cio la sua posizione di
souverain feudale, di Eletto da Dio, di re ereditario di tut-
to lOccidente (Pasqualino 1992, p. 19). Va inoltre rilevato
che la tradizione evangelica, sottolineata dal numero egua-
le dei paladini e degli apostoli, dalla corrispondenza tra
,: IGNAZIO E. BUTTITTA
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Gano e Giuda e la conseguente simbologia cristologica van-
no considerate soltanto una delle isotopie del testo (p.
110), che si affermano nello sviluppo del racconto e so-
prattutto nella morte delleroe. Come riferisce Cardini, in-
fatti, Si discute da decenni circa loriginalit della Chan-
son de Roland, il ruolo della poesia epica e il suo rapporto
con una precedente tradizione guerriera, che potrebbe ap-
punto risalire alla stessa antichit germanica pagana. Ci
che pare certo che gli angeli
che scendono verso il conte Rolando e lo scortano in cielo non
sono travestimenti delle valchirie: sono proprio angeli cristiani,
rivissuti e rivisitati tuttavia in un complesso di valori concettua-
li e di sensibilit che deve molto alla tradizione guerriera ance-
strale, ma molto di pi a una ecclesiologia ispirata al Vecchio
piuttosto che non al Nuovo Testamento (Cardini 1987, p. 90).
Se tutto questo pu giustamente dirsi dellimpianto e dei
contenuti del poema, bisogna pur chiedersi se sia stata la
Chiesa riformata dellXI sec. a inventare lideale di una ca-
valleria, fondato sulla difesa dei deboli e lesaltazione del
martirio per la fede, in antitesi allantica etica guerriera e
feudale, basata sul coraggio, sulla fedelt al signore e sulla coe-
sione professionale e iniziatica del gruppo. Se in passato si
ritenuto che le chansons de geste dovessero concettualmen-
te e stilisticamente molto alle formule liturgiche e ai testi
agiografici, esitando quasi in strumenti di propaganda ec-
clesiastica, oggi si pensa semmai proprio lopposto: cio
che le chansons siano la voce antica, magari riveduta e affi-
nata fra XI e XII secolo (e se si vuole aggiornata a un nuovo
sentire possentemente segnato dal leitmotiv delleroismo re-
ligioso), di una cultura laica largamente autonoma (ib.).
dunque probabile che siano state
le formule liturgiche e la letteratura agiografica ad essersi ade-
guate ad esse in modo da acquistare, giocando sulla loro po-
polarit, una pi forte capacit di impiantarsi solidamente nel-
le coscienze e nellimmaginario collettivi. Non tanto quindi cri-
stianizzazione della cultura cavalleresca quanto, se si vuole, mi-
DESUZ UN PIN.... LA LUNGA STRADA DELLALBERO ,,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 53
litarizzazione ed eroicizzazione di alcuni modelli di testimo-
nianza cristiana giudicati particolarmente capaci di far presa, di
commuovere, di servire insomma quale strumento di propa-
ganda (pp. 90-91).
In sostanza, il piano ideologico immanente al testo, in
particolare per quanto attiene gli aspetti religiosi, traspa-
re come risultato di una commistione fra tradizioni diver-
se che, in alcuni casi e a prezzo di inevitabili forzature, fi-
niscono con il convergere. Le vicende della Chanson, non
estranee a rinvii vetero e neo-testamentarie, sono certa-
mente anche frutto di una interpretazione che vede ogni
evento storico va proiettato sul piano del disegno provvi-
denziale configurarsi come limitazione di eventi della sto-
ria sacra (Auerbach 1967, p. 135; Huizinga 1919, pp. 236-
237). Tuttavia, interpretare lalbero sotto il quale si reca a
morire Orlando quale simbolo del suo martirio in analo-
gia alla Croce del Cristo interpretazione riduttiva, al pa-
ri di quella che vede gli elementi del paesaggio come com-
plemento estetico. Il suo senso pi profondo, alla luce di
quanto osservato sulla funzione cultuale degli alberi an-
cora una volta quello di axis mundi, di canale di comuni-
cazione tra la dimensione terrena e quella divina. Lungo
questo asse si muovono larcangelo Gabriele e i suoi com-
pagni, i cherubini e san Michele, lungo questo asse lani-
ma di Orlando pu ascendere a Dio.
Orlando disfatto dalle ferite e dallo sforzo compiuto nel
suonare lOlifante e nel vano tentativo di spezzare la sua spa-
da Durendal, la spada piena di reliquie, reliquia essa stessa:
Co sent Rollant que la mort le tresprent, / Devers la teste
sur le quer li descent. / Desuz un pin i est alt curant, / Sur
lerbe verte si est culcht adenz, / Desuz lui met sespe e lO-
lifan (vv. 2355-2358); Qui, sotto lalbero Sun destre guant
en ad vers Deu tendut, / Angels del ciel i descendent a lui
(vv. 2373-2374). naturale, quindi, che il conte si rechi a mo-
rire, di corsa, raccogliendo le forze residue, sotto un pino. L
tende il guanto al Signore perch l che il Signore per mez-
zo dei suoi messi che, come vide Giacobbe si muovono lun-
, IGNAZIO E. BUTTITTA
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go una scala tra cielo e terra, pu meglio raccoglierlo, in un
luogo dove Halt sunt li pui e mult sunt halt les arbres (v.
2271).
Non si pu, seguendo una facile prospettiva critico-let-
teraria, assegnare un altissimo quoziente di casualit a tut-
ti quegli elementi testuali che non si vogliono attribuire (o non
si possono) alle intenzioni dellautore (Caprettini 1986, p.
122). Tuttavia come nel caso del pino e re Carlo potrebbe re-
stare il dubbio che tali associazioni siano frutto del caso. Al-
tri documenti provano il contrario. Ad esempio gli ultimi ver-
si di quanto resta del cantare di Gormond e Isembart, a pro-
posito della morte del prode Isembart, cos recitano: Guar-
da aval, en un larriz, / e vit un olivier fuilli. / Tant se travail-
le quil i vint; / sor la fresche herbe sest asis; / contre orient
turna sun vis; / a terre vait, culpe bati; / puis se dreca un sul
petit / (...) (vv. 655-661). A questo punto il cantare si inter-
rompe, il resto andato perduto. Proprio sui versi che con
ogni probabilit avrebbero mostrato lanima del guerriero sol-
levata al cielo dagli emissari del Signore.
Gli alberi dunque luoghi del trapasso o meglio del pas-
saggio, ma anche segni di questo e dunque nella visione cri-
stiana (ma non solo) della rinascita. Una nuova vita nellal-
dil ma anche una vita, seppur in altra forma, qui sulla ter-
ra. A questa ideologia si ricollega luso di piantare un albero
dove stato seppellito qualcuno: usanza sopravvissuta nei ci-
pressi dei cimiteri. Anche in questo caso non si tratta di un
motivo cristiano. Come osserva Schmitt la crescita dellal-
bero sopra il cadavere simbolizzerebbe lo sgorgare della vi-
ta dalla morte. Perci il motivo ha potuto essere facilmente
cristianizzato: non raro incontrare, nelle leggende agiogra-
fiche dellalto Medioevo, un albero che cresce sulla tomba di
un martire (1979, p. 85; cfr. Propp 1944, pp. 5 sgg.).
Il pino degli amori
A quanto precedentemente osservato va accostata una
diversa, eppur convergente e interconnessa, tradizione criti-
DESUZ UN PIN.... LA LUNGA STRADA DELLALBERO ,,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 55
ca che vede nel pino la simbolizzazione dellamore, in parti-
colare dellamore passionale. Interconnessa dicevamo. Les-
sere sempreverde se da un lato rimanda alla potenza vitale e
fecondativa divina e regale, dallaltro suggerisce di amori
che non potranno mai appassire. il topico letterario del
pinus semper virens attestato dal Culex: Buphthalmusque vi-
rens, et semper florida pinus, e da Columella: semper virens
pinus. La resa amorosa dunque acquista valore di eternit
quando avviene sotto il fogliame perennemente verdeg-
giante del pino (Del Monte 1958, pp. 86-87).
Ripercorrendo a ritroso la tradizione letteraria dalla
novella di Decameron VII.7, ai romanzi tristaniani fino a
Ovidio ritroviamo vitale il tema del convegno degli aman-
ti sotto il pino (cfr. Picone 1981; Del Monte 1958). Lo ri-
troviamo in testi classici, medio-latini, romanzi. In parti-
colare a un certo punto si viene a costituire quale marca in-
confondibile di Isotta e Tristano, i tragici amanti di Cor-
novaglia (Picone 1981, p. 84). Il tema del pino infatti ca-
ratterizza tutta la tradizione tristaniana francese dal Tristan
di Thomas dAngleterre, alla Folie Tristan oxfordiana, al-
la Tavola ritonda e ancora compare nel Roman de Tristan
di Broul e nel Tristan russinol. Non per esclusivo del-
lepopea tristaniana. Lo ritroviamo ad esempio in Marca-
bru e Peire Roger (ib.).
Il pino dunque
il simbolo di una carica amorosa capace di infrangere le limita-
zioni spazio-temporali e di proiettarsi nellinfinito e nelleterno;
il suo rimanere sempreverde allude alla verdor dellamore che
non conosce lalternarsi delle stagioni e lavvicendarsi degli an-
ni, e la sua caratteristica corona delimita uno spazio sacro del-
leros [e] di questamore-passione, di questa tensione erotica che
non pu essere esaurita n alterata dalla contingenza, che con-
duce come sua naturale conclusione alla morte, che anzi su-
periore alla morte stessa; di questamore Tristano e Isotta sono
gli exempla inimitabili, assoluti (ib.).
A questo si riconnette il tema di alberi e piante sorti sul-
le sepolture degli amanti, il cui intrico dei rispettivi rami ri-
,o IGNAZIO E. BUTTITTA
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pete lamplesso di questi (Corso 1951-52, pp. 40-41; Philpot
1897, pp. 116 sgg.; cfr. Banateanu 1947; Propp 1944, pp. 3-
39). Sulla tomba di Isotta crescer un cespo di rose e su quel-
la di Tristano un ceppo di vigna a segnalare una vita che
continua e un amore che si eterna. Secondo unaltra versio-
ne dalla tomba di Tristano germoglia un rovo verde e fron-
zuto, dai forti rami, dai fiori odoranti che si insinua nella cap-
pella dove custodito il corpo di Isotta.
Ma questo amore assoluto e passionale, seppur fuori del
talamo nuziale, questo amore intenso e fedele, in ultima ana-
lisi esiziale per gli amanti, lo stesso sentimento che anima i
santi martiri come anima Carlo e i suoi paladini. Il pino si co-
stituisce dunque come marca di una fedelt assoluta e irri-
nunciabile che trascende spazio e tempo, uomini e dei.
Il simbolo dellalbero allinterno della Chanson dunque
connesso a una visione del mondo radicata in forme di reli-
giosit precristiana. Questa visione del mondo non pu va-
lere naturalmente solo per lautore del poema, ma anche per
il pubblico che lo fruisce. Anche questo giustifica la fortuna
goduta dal poema e dalla sua simbologia nella successiva
tradizione letteraria (cfr. Caprettini 1986, p. 122).
Resta per da chiarire se lautore/gli autori della Chan-
son sia consapevole e partecipi intimamente del ventaglio
simbolico arcaico ovvero riprenda inconsapevolmente dei
motivi topici dalla tradizione. Non diversamente va chiari-
to fino a che punto i fruitori potessero apprezzare i riferi-
menti allantico universo mitico-rituale.
Lo stile formulare, cio il ricorso a sintagmi cristallizzati e a re-
pertori di formule riempitive serve certo ai compositori e ai can-
tori o recitatori dei testi orali per integrare, improvvisando, i
vuoti della memorizzazione o della composizione. Esso per non
ha nulla a che fare col sistema della ripetizione/variazione, pre-
sente del resto in tutta la letteratura, anzi larte, medievale (Se-
gre 1985, p. 17).
In ogni caso alcune immagini formulari, seppur prive
di originalit e novit, devono esser riconosciute, appunto per
DESUZ UN PIN.... LA LUNGA STRADA DELLALBERO ,;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 57
ci, come fide rappresentanti di una vecchia tradizione (Raj-
na 1884, p. 246).
Le tradizioni,
considerando i due ordini strutturali che presiedono allorga-
nizzazione di ogni testo, quello interno, reso operante dalla vo-
lont di costruzione dellautore e quello esterno in cui si misu-
rano le azioni del tempo (...), agiscono soprattutto nel secondo
ordine, quello esterno, configurandosi come la riserva strut-
turale (Lotman) di un sistema culturale, ma sono attivamente
presenti, quando pure sono stravolte o messe in discussione, an-
che allinterno di ogni testo e di ogni comportamento, solo che
si consideri che le unit di contenuto che li compongono, e i di-
versi assetti di organizzazione logica delle parti, sono agganciati
sotto forma di nuclei tematici e di moduli sintattici ai quadri for-
mali propri della tradizione (Caprettini 1992a, pp. 18-19).
La presenza dellalbero non dunque casuale, ma una
scelta, non necessariamente consapevole, del tutto coerente
col contenuto del racconto e correlata agli altri simboli del
poema, che concorre a determinarne lordine e il significato.
La qualit di simbolo rivestita dallalbero si avvverte, rispet-
to ad altre immagini, grazie al fatto che esso differisce sotto
il profilo qualitativo e dal punto di vista del rendimento
funzionale. Il simbolo testuale appare, infatti, tale, in quan-
to dotato di un certo alone semantico che lo rende dispo-
nibile a caricarsi di un potenziale di significazione in coe-
renza col contenuto del discorso e del racconto (p. 19).
Daltronde la connessione fra tradizioni precristiane e
letteratura det cristiana non si limita soltanto ai temi e ai mo-
tivi. Se la nostra ricerca stata rivolta a rintracciare il perpe-
tuarsi di determinate ricorrenze simboliche di matrice pa-
gana in seno a prodotti letterari det cristiana o addirittu-
ra dambiente ecclesiale (Cynewulf, Heliand), anche unin-
dagine condotta a livello ideologico condurrebbe ad analo-
ghe considerazioni. In realt la cultura cristiana si appro-
priata [volente o nolente] di numerose eredit culturali
(ebraismo, paganesimo greco-romano, tradizioni autoctone
celtiche o germaniche ecc.) (Schmitt 1988b, p. 59). Accade
, IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 58
cos di dover riscontrare, solo per fare un esempio, evidenti
analogie strutturali tra la Chanson des Narbonnais (1210 ca.)
e la trama dellepisodio del Mahabharata, che narra la vicen-
da di Yayti (cfr. Grisward 1981). Al di l delle suggestive evi-
denze che possono emergere da unanalisi comparativa, tra
testi cos lontani nello spazio e nel tempo, limitatamente al
nostro discorso, appare certo che linfluenza delle struttu-
re mitiche indoeuropee si dovuta esercitare anche sulla let-
teratura medievale mediante le sue fonti celtiche e pi par-
ticolarmente gallesi (Schmitt 1988b, p. 61). Resta tuttavia,
impossibile, e ogni eventuale certezza risulta arbitraria, di-
stricare da un gomitolo culturale tanto intricato e ancora in
parte inesplorato, un filo unitario e continuo, mediante il qua-
le ripercorrere, senza sviare o perdersi in vicoli ciechi, la pi-
sta storica di ciascun pattern simbolico.
DESUZ UN PIN.... LA LUNGA STRADA DELLALBERO ,,
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Capitolo terzo
Divinare il vento. Emissioni vulcaniche nelle isole
Eolie
Da molti anni, ormai, i pescatori siciliani fanno riferi-
mento ai bollettini meteorologici per conoscere landamen-
to del tempo. In passato le previsioni atmosferiche erano
tratte dalla osservazione dei fenomeni naturali. Lorienta-
mento del volo degli uccelli (gabbiani, rondini, procellarie
ecc.), la qualit e quantit dei loro stridii, le fasi lunari e le
maree, lintensit e la direzione del moto ondoso, la confor-
mazione delle nubi, eventi eccezionali come lapparizione di
una stella cadente ecc. erano tutti segni che consentivano di
trarre informazioni sullandamento della pesca e sul tempo
che avrebbe caratterizzato i giorni immediatamente succes-
sivi. Si tratta di conoscenze comuni a tutta la marineria sici-
liana e pi in generale del Mediterraneo (Pitr 1889, pp. 3-
37 e 41-85; Bravetta 1908, pp. 42-49; AA.VV. 1957; Sbillot
1997, pp. 150-161). Nelle isole Eolie, per, si risentono spe-
cificit dovute alla natura vulcanica dellarcipelago. In par-
ticolare due delle isole, Stromboli e Vulcano, le Strongyle e
Thrmissa degli antichi, conservano attivi i loro crateri. Ap-
punto la qualit (colore, densit ecc.), la forma e la quantit
dei fumi emessi, oltre che la loro direzione, lintensit e la ca-
denza dei boati e la luminosit delle fiammate servivano a pre-
vedere il futuro andamento dei venti e pi in generale la
complessiva situazione atmosferica. Il fatto che tra i pesca-
tori dellarcipelago sia diffuso il proverbio Strummuli non fa
marinaru (Stromboli non fa marinaio), segnala implicita-
mente la diffusa esistenza di certe opinioni e, nel caso speci-
fico, labitudine di osservare il cono vulcanico dello Strom-
boli per trarre indicazioni sui venti.
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Nel corso di una ricerca nelle Eolie, in particolare a Li-
pari, stato possibile raccogliere diverse attestazioni sul per-
manere di questo complesso di credenze. Se alcuni pescato-
ri hanno tenuto a precisare che il fumo viene osservato solo
per rilevare la direzione del vento, altri hanno confermato di
essersi serviti in passato, e in alcuni casi di servirsi ancora og-
gi, dellosservazione del comportamento dei vulcani eoliani
ma anche dellEtna per trarre indicazione sui venti e sul tem-
po dei giorni successivi.
Cito brevemente dalle interviste fatte ad alcuni pescatori:
Noi lo guardiamo [il fumo che esce dal cratere di Vulcano]
quando andiamo a pescare. Certe volte ce naccorgiamo pu-
re dalle nuvole. Quando fa locchi di ventu, gi noi sappiamo
che fra due tre giorni c cattivo tempo, oppure ce naccor-
giamo [del tempo che far] quando Stromboli manda i tap-
pi di fuoco (emissioni di materiale lapideo accompagnate da
una fiammata e da un boato). Allora diciamo: Quando Strom-
boli fa fanali o sciroccu o maestrali(Quando Strombo-
li fa la luce di un fanale sta per arrivare lo scirocco o il mae-
strale).
Similmente un secondo pescatore:
Guardando il fumo uno se ne accorge di dove spira il vento,
se il fumo va verso est vuol dire che ponente, allora dietro
lisola c vento, c mare. Se devo andare a pescare dietro li-
sola guardo il Vulcano, dico: no, c vento, non ci posso an-
dare. Se il fumo del Vulcano piegato vuol dire che c ven-
to Poi c il famoso detto Quannu Strommuli fa fanali, o
sciroccu o maestrali. Sicuro questo: si vedono i bagliori del
vulcano, laria nitida, vuol dire che deve fare o scirocco o
maestrale. I miei nonni anticamente si basavano sul fumo, con
le nuvole anche.
Un altro ancora:
Su qualsiasi cosa che poteva essere un qualcosa di naturale,
si ci basava per prevedere il tempo. Lipari si basava molto su
Vulcano, altri su Stromboli. Quelli di Stromboli, si basano sul
o: IGNAZIO E. BUTTITTA
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loro vulcano; quando un po rumoroso dicono: ma chi mal-
tempo in arrivo? Per esempio, mi ricordo una persona an-
ziana, una ventina danni fa a Stromboli. Le ho detto: ma per-
ch ci sono questi rumori? Cio questi boati e scuotimenti del
vulcano. Perch c maltempo in arrivo, dice; e poi dopo due
giorni cera la pioggia. Noi lo scirocco lo avvertiamo pure con
la puzza di Vulcano, la puzza di Vulcano viene quando pro-
prio mezzogiorno. sicuro che si basavano su queste cose,
come no!
Questa una significativa parte di quanto mi hanno ri-
ferito i pescatori. Numerose attestazioni bibliografiche con-
sentono di stabilire che la credenza nella relazione tra emis-
sioni vulcaniche e comportamento dei venti si fonda su una
tradizione plurisecolare, con radici nel mito di Eolo, lome-
rico re dei venti la cui dimora fu pensata nellArcipelago. Le
Eolie sono daltronde un luogo particolarmente adatto a es-
sere percepito in termini mitici per via della loro stessa na-
tura. Il vulcanesimo delle isole, caratterizzato da violenti
boati accompagnati da emissioni di materiali, fiumi di lave,
getti di vapore e quantaltro, non poteva, in antico, che es-
sere vissuto in una dimensione cratofanica e ierofanica. Ti-
more e curiosit, i sentimenti che si nutrivano per queste iso-
le suggestive e misteriose. I fenomeni vulcanici, dagli esiti
non di rado disastrosi, nei tempi arcaici finivano col trova-
re nel mito spiegazione e giustificazione (Cicirelli 1994, pp.
495 e 498; Giustolisi 1995, pp. 22 sgg.). Divinit del fuoco
e dei venti, stante anche la natura particolarmente ventosa
dellArcipelago (Reclus 1904, p. 670), qui trovavano la loro
ovvia collocazione.
Due miti in particolare si rincorrono tra le lave delle Li-
pari, quello di Eolo re dei venti e quello di Efesto-Vulcano
dio del fuoco, come si evince dagli stessi antichi nomi as-
segnati allarcipelago: Tucidide le chiama Isole di Eolo (III,
88); Diodoro indistintamente Isole di Eolo ed Eolidi (V,
6); Strabone ricorda il toponimo Isole di Eolo ma prefe-
risce quello di Isole dei Liparesi (VI, 10); Solino le chia-
ma Efestie e Vulcanie (Collectanea rerum memorabi-
lium, XII, 6); Plinio nella sua Naturalis Historia ne ricorda
DIVINARE IL VENTO. EMISSIONI VULCANICHE... o,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 63
i numerosi nomi: A nord della Sicilia, in direzione del cor-
so del Metauro, a 25 miglia circa dallItalia, si trovano le set-
te isole chiamate Eolie o dei Liparesi, Efestiadi dai Greci,
dai Latini Vulcanie o Eolie, ch ai tempi della guerra di
Troia vi regn Eolo (III, 92) (cfr. Libertini 1921). su Eo-
lo, in particolare, che va concentrata lattenzione per risa-
lire alle radici delle attuali credenze nella possibilit di de-
durre landamento dei venti attraverso i presagi offerti dal-
le emissioni vulcaniche.
Eolo una figura oscura la cui notoriet principalmen-
te dovuta allOdissea attraverso il racconto che Ulisse fa del-
le sue peregrinazioni:
E arrivammo allisola Eolia: vi abitava / Eolo Ippotade caro agli
dei immortali, / su unisola galleggiante; un muro di bronzo in-
frangibile / la cinge tutta, seleva liscia la roccia. / Sono nati da
lui nelle case dodici figli, / sei figlie e sei figli fiorenti: / ed egli
ha dato in moglie ai figli le figlie (X, 1-7).
Il pio Eolo doner a Ulisse un otre scuoiato da un bue
di nove anni, costringendovi dentro le rotte dei venti
ululanti. Questo prezioso dono avrebbe dovuto permettere
a Ulisse di giungere, sospinto da un vento favorevole, alla
sospirata Itaca. E cos sarebbe stato se alcuni improvvidi e
curiosi marinai, pensando che lotre nascondesse oro e ar-
gento donati dal re, non lo avessero aperto. Le coste di Ita-
ca che gi si intravedevano scompaiono in mezzo allura-
gano. Ulisse e i compagni vengono sospinti lontano dalla
terra dei padri. La tempesta lo riporta nuovamente allisola
Eolia. Eolo, questa volta, lo caccia, poich non suo co-
stume ospitare e scortare un uomo che in odio agli dei
beati (X, 13-75).
Resta ambigua nel racconto omerico lidentit che carat-
terizza lospite di Ulisse, Aolos Ippotdes. Eolo figlio di Ip-
pote, guardiano e distributore dei venti, appare come un per-
sonaggio non ben definito che frequenta i mari dOccidente.
A stare allOdissea, non ha espliciti caratteri divini. solo un
uomo caro ai numi immortali (X, 2) incaricato di custodi-
o IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 64
re e amministrare i venti, perch signore dei venti lo fece il
Cronide (X, 21); tuttavia il fatto che i suoi dodici figli, in cui
si voluta vedere la personnification des douze vents du
rhumb (Daremberg, Saglio 1877: s.v. olus), siano tra loro
sposati, violando una delle regole fondamentali della societ
degli uomini, segnala la natura altra della sua stirpe.
Lepisodio omerico probabilmente la fonte principale
cui attingono gli autori successivi che cercano di precisare
la figura e la natura della relazione tra Eolo e i venti. Scrive
Diodoro:
Dicono che egli fosse pio e giusto ed inoltre cortese con gli stra-
nieri; dicono ancora che egli insegn ai naviganti luso delle ve-
le; grazie alla sua lunga osservazione dei presagi offerti dal fuo-
co [vulcanico], prevedeva i venti locali senza mai sbagliare, per
questo il mito lo design custode dei venti; a causa della sua
straordinaria devozione Eolo fu chiamato amico degli dei (Diod.
Sic., V, 7).
Polibio riferisce intorno alla relazione che intercorre tra
landamento dei venti (Noto, Borea, Zefiro) e le emissioni dei
crateri dellisola di Vulcano (fumi, lave, detonazioni). Osserva
che le genti di Lipari, in base alle indicazioni del vulcano trag-
gono pronostici sullandamento del tempo dei giorni se-
guenti e infine conclude che Omero, facendo di Eolo il go-
vernatore dei venti, la qual cosa pu sembrare a primo acchito
una favola nel senso pieno del termine, non ci ha offerto un
puro frutto di fantasia, ma piuttosto la stessa verit rivelata
sotto un ingegnoso travestimento (in Strab. VI, 2, 10). Se-
condo Servio, che cita Varrone, Eolo predice landamento dei
venti dallosservazione dei fumi di Vulcano: sed, ut Varro di-
cit, rex fuit insularum [Aeolus]: ex quarum nebulis et fumo
Vulcaniae insulae praedicens futura flabra ventorum, ab im-
peritis visus est ventos sua potestate retinere (Servio, Ad
n., I, 52). Altri autori fanno invece riferimento alle emis-
sioni dello Stromboli. Plinio osserva:
La terza isola, 6 miglia a est di Lipari, Stromboli, sede della
reggia di Eolo; differisce da Lipari solo perch le sue fiamme so-
DIVINARE IL VENTO. EMISSIONI VULCANICHE... o,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 65
no pi lucenti. Dal fumo che sprigiona si dice che gli abitanti
del luogo prevedano quali venti spireranno nei due giorni suc-
cessivi: da questo fatto nata la credenza che i venti obbedis-
sero a Eolo (N. H., III, 94).
Solino (XII, 6, 3) riprende lopinione di Plinio e del feno-
meno parla anche Marziano Cappella, aggiungendo che le fa-
colt divinatorie degli abitanti delle Lipari sono uneredit
concessa da Eolo.
La relazione tra venti e fenomeni vulcanici, che si espone
in Eolo, probabilmente suggerita anche dalla presenza, in
alcune delle isole, di violenti getti di vapore, segnalati gi da
Diodoro: A Stromboli e sulla Sacra [Hiera, ossia Vulcano]
fuoriesce ancora molto gas dalle voragini e con forte boato;
sono lanciate fuori pietre roventi in quantit e cenere, feno-
meno che possibile osservare anche sullEtna (Diod. Sic.,
V, 7). Sulle intime relazioni intercorrenti tra fuochi vulcanici
e venti si sofferma Strabone: la presenza di venti costretti nel
sottosuolo insieme alle lave, considera lo Storico greco, pu
essere causa di enormi catastrofi telluriche; una di queste fu
il distacco della Sicilia dal continente. E continua:
Dicono comunque che ora, dal momento che le bocche attra-
verso le quali si solleva il fuoco e si sprigionano le masse di fiam-
me e di acque si sono aperte, la terra vicino allo Stretto va di ra-
do soggetta a terremoti; una volta per, quando tutte le aper-
ture della superficie del suolo erano chiuse, il fuoco e il vento
che si trovavano costretti sotto terra producevano scosse violente
in modo tale che quei luoghi, continuamente in movimento, ce-
dettero alla forza dei venti e, squarciandosi, aprirono il varco al
mare dalluna e dallaltra parte e inoltre anche a quel mare che
si trovava frapposto alle altre isole (Strab., VI, 6).
Alle violente emissioni di gas, che paiono dunque segna-
lare i venti costretti nel sottosuolo, dove fremono urlando
di rabbia, allude Virgilio nellEneide:
La Dea, volgendo tra s tali pensieri nel cuore / infiammato di
collera, giunse allisola Eolia / patria dei nembi, terra piena di
oo IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 66
venti furiosi. / Qui il re Eolo controlla in unimmensa caverna
/ le sonore tempeste e i venti ribelli / che tiene prigionieri, ca-
richi di catene. / Fremono urlando di rabbia intorno ai chiavi-
stelli / con un alto mugghito che scuote la montagna; / Eolo, in
mano lo scettro, seduto in vetta a una rupe / ne mitiga la rab-
bia e ne modera gli animi. / Se non facesse cos i rapidi venti tra-
scinerebbero via perdutamente nellaria / i mari, le terre e il cie-
lo profondo. / Temendo un tale pericolo, il Padre onnipotente
/ li chiuse in nere caverne, imponendovi sopra / elevate mon-
tagne, e dette loro un re / che, secondo i suoi ordini, sapesse vol-
ta a volta / trattenerli o sbrigliarli, con legge sicura (I, 50-64).
Lidentit di Eolo sostanzialmente ambigua anche in
Virgilio. detto rex ventorum (I, 52 e 137); si riferisce che
Giove lo aveva fatto potentem nemborum et tempestatum
(I, 80); suo dovere, per, eseguire gli ordini degli dei: mihi
iussa capessere fas est (I, 77); gli stessi venti da lui scatena-
ti sono ridotti allimpotenza e ricacciati indietro da Nettuno
(I, 125 sgg.).
Per quanto prossimo agli dei, negli autori considerati,
Eolo non sembra qualificarsi come un dio. Non un caso, for-
se, che non sia menzionato da Esiodo, che pure la fonte di
gran parte delle nostre informazioni sulle divinit elleniche.
Come la sua natura incerta, cos anche la sua figura va-
riamente nota. Diversi infatti sono gli Eolo del mito (Lbker
1882, s.v. olus; Grimal 1968, s.v. Eolo; Graves 1955, pp. 141
sgg.; Manni 1963, pp. 165 sgg.). Varie e complesse le vicen-
de che li vedono protagonisti. Il lavoro dei mitografi e degli
storici (Apollodoro, Strabone, Diodoro Siculo, Igino ecc.) si
adoperato invano alla ricostruzione di una coerente di-
scendenza. Tra gli altri v un Eolo in Tessaglia, figlio di El-
leno e della ninfa Orseide i cui discendenti furono gli Eoli
(Apollodoro, Bibl., I, 7, 3)
1
. E il custode dei venti che, come
osservato da diversi autori, da principio non aveva alcun vin-
colo di sangue col capostipite degli Eoli (Lbker 1882, s.v.
olus), in seguito venne in vario modo con lui scambiato e
confuso, cos che lEolo delle Lipari verr identificato in nu-
merosi testi con lEolo omerico, custode dei venti e caro ai
numi immortali
2
.
DIVINARE IL VENTO. EMISSIONI VULCANICHE... o;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 67
I testi antichi non ne ricordano specifici luoghi di culto.
Sappiamo per da Diodoro (XX, 101) che Agatocle nel 304
a.C. impose ai liparesi di consegnare le cose che erano nel
Pritaneo, recanti dediche votive a Eolo e ad Efesto (Bernab
Brea, Cavalier 1979, p. 82). Questa notizia trova conferma in
un deposito sacro portato alla luce nel 1964 sulla rocca di Li-
pari, contenente vasi ritualmente frammentati ed ex voto da-
tabili dalla met del VI alla fine del V sec. a.C. dedicati al dio
dei venti. Si tratta di un grandioso bthros, probabilmente di
un santuario di Eolo, come indicato dalla dedica votiva in-
cisa sulla spalla di una brocchetta, che risulta costruito a gui-
sa di cisterna affusolata e scendente fino alla viva roccia (con
altezza di 7 m) nella quale parzialmente intagliato (1995a,
p. 36). Queste evidenze permettono di ipotizzare lesistenza
di un culto indigeno di Eolo ripreso dai coloni greci. In ogni
caso questo ritrovamento dimostra inequivocabilmente che
i Greci fin dal momento della rifondazione della citt sulla-
cropoli (580 a.C. ca) riorganizzarono il culto indigeno di Eo-
lo e ne risistemarono il santuario (1979, p. 91).
Questi materiali sollevano ulteriori dubbi sulla natura di
Eolo. A ben riflettere, per, si ritrovano interessanti indi-
cazioni sullidentit storico-religiosa di Eolo nelle stesse
lingue greca e latina. Il nome Eolo dincerta origine. Il gre-
co Aolos sembra trovare un corrispettivo in ambito mice-
neo: a-wo-ro aiwolos, ma come nome di un toro. Il toro,
noto, simbolo di forza violenta. Il toro feroce e indomito
che sbuffa e mugghia il tuono e la tempesta. Aspetto tau-
rino prendono diverse divinit uraniche del mondo antico:
Enlil, El, Indra, Urano, lo stesso Zeus. Anche nel patroni-
mico Ippotdes, attribuito a Eolo ritroviamo le rapport
souvent tabli entre la rapidit du cheval et le mouvement
des vents ou des flots (Daremberg, Saglio 1877, s.v. o-
lus). Ricordiamo, a tale proposito, un Poseidon Hppios,
preposto alla protezione dei naviganti rappresentato arma-
to di tridente in groppa a un cavallo (Zagami 1993, p. 30.
Cfr. Grimal 1963, s.v. Poseidone).
Inoltre, tutto un insieme di termini presenta delle inte-
ressanti analogie morfologiche oltre che semantiche. Lag-
o IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 68
gettivo greco ailos cui comunemente riferito il nome
Aolos, significa veloce, agile. Agile e veloce per ec-
cellenza il vento. In questo accostamento soccorrono altre
evidenze. Anzitutto nel nome attribuito al vento di sud-est,
personificato, Eyros (gr.)-Eurus (lat.), da connettersi allo io-
nico ayra: brezza, vento, moto, e al latino aura: soffio da-
ria, venticello, brezza (cfr. anche il lituano ras, aria); co-
s anche il termine greco oy ros che sta per vento favore-
vole. Oyrios, appellativo di Giove, significa appunto che
d il vento favorevole.
Pu dunque supporsi che Eolo sia la personificazione del
vento: una divinit arcaica, probabilmente pre-greca, fami-
liare alle genti che scorrevano il Mediterraneo in epoca prei-
storica, di cui in et omerica si aveva gi vaga notizia insie-
me a tutta una serie di personaggi e luoghi dei favolosi mari
dOccidente. Probabilmente lautore dellOdissea pi che ri-
farsi a un apparato mitico-cultuale, ha intrecciato nella sua
narrazione motivi popolari tratti soprattutto dal mondo dei
naviganti (Heubeck 1983, p. 219) dellOriente mediterra-
neo. Lo suggeriscono limmagine dellisola natante e la fun-
zione assegnata a Eolo di guardiano dei venti, analoga a quel-
la dellincantatore dei venti: motivi assai noti agli scrittori an-
tichi e alla letteratura orale tradizionale
3
. Della funzione del-
lincantatore resta traccia peraltro nei moderni incantatori
di venti di Creta, discendenti dei sedatori di venti corinzi e
attici (p. 220).
Le isole Lipari daltronde, frequentate gi in et neoliti-
ca grazie al commercio dellossidiana, erano scalo delle rot-
te micenee sulla via dello stagno; e con lo stagno si commer-
ciavano lo zolfo e lallume di Vulcano
4
. Questa loro posizio-
ne strategica segna la fortuna e la sventura delle antiche po-
polazioni eoliane di probabile origine siciliana. Occupazio-
ni, distruzioni, rinascite, si susseguiranno nei secoli. In uno
stato di profonda decadenza le isole furono trovate dai co-
loni dorici di Cnido, intorno al 580 a.C. (Tuc., III, 88; Strab.,
VI, 10). Narrano gli autori che i coloni, guidati da Pentatlo,
approdando a Lipari, trovarono le isole quasi deserte, po-
polate solo da cinquecento abitanti, che si dicevano discen-
DIVINARE IL VENTO. EMISSIONI VULCANICHE... o,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 69
denti di Eolo (Bernab Brea, Cavalier 1979, p. 17). Essi ac-
colsero benevolmente i nuovi arrivati che, stanziatisi nelle iso-
le, fondarono la citt di Lipari e diedero nuova vita allabi-
tato del Castello.
Divinit dei venti erano oggetto di culto in et micenea co-
me si evince da alcune tavolette rinvenute a Cnosso in cui si
menzionano offerte per la sacerdotessa dei venti (anemon
hiereiai) (Burkert 1977, I, pp. 66-68). In epoca successiva i
venti godono in varie localit di forme di culto strettamente
parallele a quelle destinate agli eroi e alle potenze ctonie
(Heubeck 1983, p. 219. Cfr. Wilamowitz 1931, pp. 265 sgg.;
Hampe 1967).
La dimensione sacrale dei venti non facilmente defi-
nibile. Nella stessa Odissea, talora sembrano pure forze
della natura gestite genericamente dagli dei (II, 420 sgg.; V,
291 sgg.), talaltra appaiono personificati e in quanto divi-
nit minori sono destinatari di sacrifici (XXIII, 193 sgg.). Co-
me esseri antropomorfi si ritrovano nellIliade (XVI, 150).
Nella Teogonia di Esiodo, quali figli di Eos e Astreo, si de-
finiscono come figurazioni allegoriche di forze della natu-
ra e a essi non corrisponde un significativo sviluppo miti-
co o una rilevante attenzione cultuale (Di Nola, a cura,
1970, III, pp. 555).
Qualsivoglia possa essere la loro identit e dimensione
mitica, in tutta la penisola ellenica per essi erano celebrati
dei rituali volti a scongiurarli o a propiziarli, sia da parte de-
gli agricoltori che dei marinai. Racconta Pausania che a
Metana per proteggere le vigne dal vento sfavorevole si sa-
crificava un gallo tagliandolo in due parti. Due uomini
avanzando da opposte direzioni ne recavano i resti sangui-
nanti che venivano seppelliti nel luogo del loro incontro (II,
34, 2). A Selinunte Empedocle, col sacrificio di un asino,
sembra fosse riuscito nel suo intento di placare il cattivo
vento del Nord, catturando con la sua pelle tesa il vento sfa-
vorevole (Burkert 1977, II, pp. 258). Gli ateniesi innalzavano
preghiere a Borea, il vento che aveva distrutto la flotta per-
siana (Erodot., VII, 189). Gli spartani, invece, intonavano
;c IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 70
peana a Euro, il vento dellEst, quale salvatore di Sparta
(Burkert 1977, II, p. 259).
Dai venti ci si aspettavano evidentemente degli effetti meteo-
ro-magici. Non di rado lo scopo della loro evocazione viene pre-
cisato e circoscritto localmente: si esorcizza o si invoca un ven-
to specifico, chiamato con un suo proprio nome, che pu, in
una certa stagione, determinare il tempo e influenzare in mo-
do decisivo le prospettive del raccolto e quindi lintera vita co-
munitaria (p. 258).
I venti, temuti o desiderati dagli agricoltori per i loro
effetti meteorologici, lo erano altrettanto dai marinai. Un
buon vento poteva risparmiare giorni di viaggio, uno cat-
tivo sollevare una tempesta dalle conseguenze disastrose.
Numerose dunque le pratiche magiche contro vento e
pioggia.
I viaggi per mare erano nellantichit esposti a rischi incal-
colabili; mai, se non in guerra, morivano contemporanea-
mente tanti uomini come quando affondava una nave. An-
che gli antichi marinai sono superstiziosi e cercano di assi-
curarsi la vita con laiuto di pratiche magiche. Ma sempre
il ritmo di voto e sacrificio che appare in primo piano. Si sa-
crifica al momento dellimbarco e a quello dello sbarco, em-
batria e apobatria, il commerciante pio ha un altare anche
sulla nave (pp. 384-385).
Rituali intesi a sciogliere, legare o tagliare i venti
si ritrovano daltronde ampiamente diffusi in aree geografi-
che assai distanti e lungo un arco di tempo che giunge fino
ai nostri giorni. I venti potevano addirittura essere compra-
ti o venduti.
La vendita del vento consisteva nel consegnare pezzi di cor-
da o di tela su cui erano stati praticati nodi che dovevano es-
sere sciolti con un particolare rituale per provocare il vento. Si
sa che essa era praticata in Scandinavia, nel Nord della Ger-
mania, nel Nord della Scozia e nel Sud dellInghilterra (Sbil-
lot 1908, p. 191).
DIVINARE IL VENTO. EMISSIONI VULCANICHE... ;:
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 71
Una leggenda scozzese del XVIII secolo riporta una vi-
cenda e attesta una pratica che ricordano assai da vicino le-
pisodio omerico dellotre dei venti:
Nel 1738 alcuni marinai, bloccati dallassenza di vento, si ri-
volsero a una famosa maga per comprarle il vento; essa conse-
gn loro una brocca tappata con paglia raccomandando loro di
non togliere quel tappo prima di essere arrivati in porto. I ma-
rinai levarono la vela, e presto sorse un vento favorevole che li
port rapidamente in vista della localit dove intendevano di-
rigersi, quando un marinaio che era curioso di vedere cosa
contenesse la brocca tolse il tappo e lo gett in mare. Imme-
diatamente scoppi un terribile uragano (p. 192).
Ma torniamo a Eolo. Lisola natante che Omero gli ave-
va assegnato quale dimora, pur restando indefinita, venne
identificata da autori successivi con una delle Eolie: Lipa-
ra, per Strabone e Diodoro, Strongyle, Stromboli, secon-
do Plinio il Vecchio (Diod. Sic., V, 7; Strab., VI, 10; N. H.,
III, 9)
5
.
stata proposta anche lipotesi che Lipari stessa debba esse-
re identificata con la terra raffigurata sul lato sinistro del di-
pinto delle navi rinvenuto ad Akrotiri, nellisola di Thera, e ora
conservato al Museo Nazionale di Atene. I dati topografici (in-
terpretando il dipinto secondo le convenzioni che lo regola-
no) coincidono singolarmente. Si tratterebbe quindi della fi-
gurazione di uno dei punti estremi raggiunti dalla navigazio-
ne egea agli albori dellet protomicenea, rientrante forse in
un ciclo di leggende marinare cui il complesso delle pitture
di Akrotiri sembrerebbe ispirato (Bernab Brea, Cavalier
1995a, pp. 23-24).
Lipari, nota ai greci come Lipra o Meliguns (Calli-
maco, Himn. in Dian., 48; Strab., VI, 10. Cfr. N. H., III, 93),
lisola eoliana pi grande e importante dal punto di vista
politico, cui una lunga tradizione attribuisce terreno fer-
tile, clima ideale, mare pescoso (n vanno dimenticate le
sorgenti termali che in ogni epoca furono considerate do-
tate di virt terapeutiche) daltronde, come gi ricorda-
;: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 72
to, sede dai tempi pi antichi di un insediamento fortificato
sulla sua inaccessibile rocca. Il roccione riolitico del Ca-
stello a pareti dirupate quasi ovunque inaccessibili e a su-
perficie pianeggiante costituiva una vera fortezza natu-
rale ed era evidentemente questa la ragione per cui luo-
mo laveva scelto in tutte le et come sede dei propri abi-
tati (Bernab Brea, Cavalier 1979, p. 7). Il fatto pare ri-
spondere al racconto omerico: la reggia di Eolo circon-
data da alte rupi e da mura di bronzo: tutta un muro di
bronzo, / indistruttibile, la circondava, nuda sergeva la roc-
cia (Odissea, X, 3-4). I versi omerici, adombrando forse
una realt concreta filtrata dalle bocche dei viaggiatori e
sfumata nel mito dalla fantasia del poeta, paiono alludere
allo Stromboli, il vulcano tonante, e alla inaccessibile roc-
ca di Lipari; ma tutti gli elementi paesaggistici delle isole
come rupi a picco, muraglie rocciose color bronzeo, eru-
zioni subacquee, boati e getti di vapore rappresentano ri-
chiami geografici significativi per ipotizzare lindividua-
zione di questa residenza nelle isole Eolie (Cicirelli 1994,
p. 495)
6
. Cos le evidenti testimonianze di regolari contat-
ti con lEgeo in epoca micenea rendono assai plausibile li-
potesi che proprio il Castello di Lipari, con le sue altissi-
me balze rocciose verticali, si possa connettere alla leg-
genda omerica dellisola di Eolo circondata da un invali-
cabile muro di bronzo.
Quanto gli antichi autori affermano intorno a Eolo e al-
la sua intimit coi venti, si ritrover in testi a noi pi pros-
simi nel tempo. NellItinerario da Antibes a Costantinopo-
li finito di scrivere da Jrme Maurand nel 1572, cronaca
del viaggio che egli fece nel 1544 come cappellano del-
lambasciatore francese Antoine Escalin des Aimars, baron
de la Garde, al seguito della flotta di Ariadeno Barbaros-
sa, troviamo un cenno alla tradizione che stiamo seguen-
do: Srongile sive Stromboli, dove era la casa del ditto Eo-
lo; al fumo che essie dal ditto Stromboli, li paesani cir-
cumvicini cognoscono qualli venti ano da essere infra li tre
giorni, et per questo Eolo da li poeti dito Re de li venti
DIVINARE IL VENTO. EMISSIONI VULCANICHE... ;,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 73
(Maurand 572). Nelle parole di Maurand probabili infor-
mazioni raccolte sul luogo si mescolano a reminiscenze
letterarie.
Da queste ultime prende le distanze, invece, Pietro Cam-
pis autore di un manoscritto della fine del 1694 dal titolo Di-
segno Historico o siano labbozzate historie della nobile e fi-
delissima citt di Lipari. Vi leggiamo:
Fu questo Eolo communemente onorato col titulo di Re de ven-
ti, non perch egli havesse veramente di quelli il dominio, co-
me pare pretendesse darci ad intendere Virgilio (...). Ma fu det-
to Eolo Re de venti a causa che, per le osservationi da lui fatte
al fuoco et al fumo, che usciva dalle tante volte nominata boc-
ca di Vulcano, havendo appreso a conoscere, (...), quali venti do-
veano spirare doppo due o tre giorni, lo prediceva senza mai er-
rare; il che notato dal volgo, credeva questo che intanto non er-
rasse nelle preditioni, in quanto havesse il dominio de venti et
a sua voglia li facesse spirare o in mare o in terra (...) (Campis
1980, p. 99).
Gi Cluverio, nel capitolo XIV della sua Sicilia antiqua, de-
dicato alle Eolie, nel ripercorrere le antiche fonti aveva mes-
so in relazione i segni del vulcano con landamento meteo-
rologico. Nel De rebus siculis, di Fazello, un insigne storico
siciliano pressoch coevo a Cluverio, la relazione tra fumi e
venti viene invertita: sono i venti che governano il compor-
tamento del vulcano. A proposito dei crateri dellisola di
Vulcano, Fazello osserva infatti che questisola
ha nel mezzo una grandissima voragine, fuor della quale si ve-
de ancoroggi uscire una grandissima nube di fumo, e secondo
che soffiano i venti o deuro, o dafrico, qualche volta manda
fuori fumo, spesso nescon faville, ed alle volte vengon fuori fuo-
chi, e pezzi di pomice (Fazello 1817, p. 8).
E pi avanti cerca di spiegarne la ragione:
essendo questisole molto cavernose, e piene di zolfo, da quel-
la parte donde spira il vento deuro, e africo, vengono a es-
; IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 74
sere percosse dallonde del mare, e cos percosse generano un
vapore, il quale diventato raro per quel moto, si mescola con
lo zolfo e saccende, e finalmente manda fuori la fiamma (pp.
13-14).
Questi documenti pi che attestare lesistenza di una
tradizione orale relativa al mito di Eolo e alla possibilit
di servirsi dellosservazione delle emissioni e dei compor-
tamenti dei vulcani per orientarsi sul tempo venturo, si
presentano da una parte come documenti di una cristal-
lizzata tradizione letteraria, dallaltra come tentativi di
spiegare in termini scientificamente accettabili un feno-
meno comunque noto. Scritti daltro genere, segnalano,
tuttavia, lesistenza di una tradizione orale, di una reale e
diffusa pratica di osservazione dei fumi a fini meteorolo-
gici in ambito marinaro. Cos, ad esempio, scrive a pro-
posito dei Segni che alle volte mostra il fumo dellIsola di
Vulcano il capitano Filippo Geraci nel suo portolano del-
la fine del XVII sec.:
Quando il fuoco dellisola suddetta fuma nebbie grosse bian-
che dimostra segno di buoni tempi, cio a segno di grecali e tra-
montane, e con tali segni lacque maritime per lo pi si vedo-
no basse per tutta la costiera della tramontana.
Quando il fuoco comparisce con fumo lento che incline verso
ponenti con puoca forza, dimostra di dovere soffiare i venti a
segno di levanti bonacci. Quando il fuoco non si fa vedere, ne
comparisce con essere laere appiscionato, sottile segno di do-
ver soffiare venti terrazzani a segno di menzo di, e xirocco e di
menzod, e libici. Quando il detto fuoco si vede fumare verso
libici, e poscia per breve spazio fumare verso greco, e doppo
sinclina fumando verso altri venti, giocando con fumare or di
qua, or di l, segno di dover soffiare i venti a segno di libici, o
ponenti. Quando si vede dal detto fuoco buttar in aere nebbie
a guisa di palle, segno di dover soffiare venti come sopra (Pe-
done 1987, p. 163).
Pi che frutto di personali osservazioni quanto scrive
Geraci il risultato di notizie raccolte nel corso dei suoi viag-
gi nellArcipelago. Testimonianza inequivocabile dellesi-
DIVINARE IL VENTO. EMISSIONI VULCANICHE... ;,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 75
stenza di una vitale e vissuta tradizione orale sono poi le
informazioni che il vulcanologo Spallanzani raccoglie nel
1788 dalla voce degli isolani di Stromboli:
Il rimanente della giornata lo impiegai nellinterrogare quegli
Isolani su i diversi accidenti del loro Vulcano, (...). Tali adun-
que sono le notizie che io ne trassi. Spirando tramontana, o mae-
strale, piccioli e bianchi sono i fumi, e moderatissimi gli strepi-
ti del Vulcano. Questi per lopposito sono gagliardi, e pi fre-
quenti, quegli amplamente pi estesi, ed anche neri, o almeno
oscuri ove soffii libeccio, scilocco, od austro. (...) Ma i densi, e
copiosi fumi, ordinariamente in accordo con le pi veementi e
pi spesse eruzioni, non solo accompagnano austro, scilocco e
libeccio, ma di qualche giorno gli antivengono. E per i Ter-
razzani predicono i tempi al navigare favorevoli o rei. Non di
rado, mi dicevano essi, avvenuto, che qualche bastimento a
Stromboli dinverno ancorato, era sul salpare, perciocch arri-
deva il mare, ma dissuasine i padroni per lindicati pronostici,
si sono fermati, n lavventurata predizione stata fallace (Spal-
lanzani 1792-97, p. 240).
Altre notizie sulla connessione tra andamento dei venti e
moti vulcanici, Spallanzani raccoglie a Lipari:
Nella guisa che i diversi marinai di Stromboli, innanzi di affi-
darsi al mare, han per costume di consultare i fumi e le eruzio-
ni della loro ardente montagna, molti marinai di Lipari usano
altrettanto relativamente al vicino Vulcano. Che anzi ammae-
strati, siccome dicono, da lunga esperienza, avvisano essi pure
di poter predire un giorno prima il tempo buono o reo, e la qua-
lit del vento che dee soffiare (pp. 376-377).
Spallanzani ricorda inoltre un Discorso Fisico-matema-
tico sopra la variazione de venti pronosticata 24 ore prima
dalle varie e diverse qualit ed effetti de fumi di Vulcano, del
sig. Don Salvatore Paparcuri messinese, pubblicato a Pa-
lermo nel 1761. Paparcuri riporta nel suo Discorso uno
squarcio di osservazioni comunicategli da un certo don Igna-
zio Rossi liparese, fatte intorno a Vulcano tra gli anni 1730 e
1740 (p. 377). Scrive il Paparcuri:
;o IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 76
La variazione de tempi viene avvisata dal monte Vulcano 24
ore prima con un certo rimbombo oltre al solito, che fa come
lo scoppio de tuoni a noi lontani; e se con diligenza si osser-
va quel fumo che allora pi del solito tramanda, si conoscer
ancora la qualit del vento che dovr seguire, secondo la mag-
gior o minor densit di quello, o dal colore pi o meno oscu-
ro che nasce dalla quantit e qualit di polvere che nel fumo
rimbalza, essendo qualche volta cenericcia, qualche volta tut-
ta bianca, qualche volta tutta nera, e qualche volta pi oscura
del colore che noi chiamiamo cenericcio. Io intorno a ci ho
osservato che dovendosi cambiare il vento in scirocco, o sci-
rocco e levante, o scirocco e mezzod, il fumo sale alto cos den-
so e nero, ed in tanta quantit ed altezza, e si discioglie poi in
polvere cos nera, che ci mette spavento, e fa degli urli assai
grandi, che spesso vi si unisce qualche scossa che ci fa temere
daddovero, tuttoch avvezzi a suoi strepiti. Quando poi mu-
tar si deve il vento in tramontana, o greco e tramontana, o tra-
montana e maestro, allora il fumo che va in alto, placidamen-
te si va ergendo, men denso, dun colore totalmente bianco,
e sciogliendosi il fumo, la polvere che ci cade addosso bian-
chissima: n urli cotanto strepitosi ci fa sentire, n mai in tal
caso ho intesa alcuna scossa, n mai i pi antichi di questIso-
la se ne ricordano. Quando per cambiar devesi in levante, o
greco e levante, allora si sente strepito nel profondo del Mon-
te, donde mandasi poco fumo, ma di color cenericcio, e tale poi
la cenere che cade, dileguandosi quella nebbia; scoppia per
interpolatamente con tal vigore, e grido, che spesso con qual-
che tremuoto ci fa di che paventare. E finalmente predice di
dover cambiarsi in ponente, o ponente e libeccio, o ponente e
maestro, con elevare alcune quasi montagne di fumo di color
cenericcio oscuro, che d nel color di piombo, ma cos spesso,
che per lo pi dileguandosi fanno una continua pioggia di
quella cenere (pp. 377-378).
Spallanzani ravvisa in queste testimonianze evidenti rife-
rimenti al mito classico e a una tradizione antichissima, tra-
mandatisi oralmente, e cos osserva:
Cotali indovinamenti per, quali che sieno, non sono il frutto
delle moderne osservazioni di questi Isolani, ma li troviamo
antichissimi; e per facile, che da pi rimoti Strombolesi di
DIVINARE IL VENTO. EMISSIONI VULCANICHE... ;;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 77
generazione in generazione passati sieno fino ai presenti, ed
egualmente facile, che verranno tramandati ai pi tardi nipoti.
Eolo stesso, che vogliono che avesse il suo soggiorno a Strom-
boli, dalla favola viene chiamato Re de venti, probabilmente
perch dalla diversit dei fumi, e delle eruzioni prediceva il
vento che spirare doveva, secondo che pensano alcuni Scritto-
ri (p. 240).
Di estremo interesse, infine, quanto annota larciduca Lui-
gi Salvatore dAustria, per la profonda conoscenza che egli eb-
be delle Eolie. Nel suo monumentale Die Liparischen Inseln,
pubblicato a Praga tra il 1893 e il 1896, larciduca scrive:
Il fumo dello Stromboli, nei giorni di quiete, talvolta di una
lunghezza indescrivibile e si estende, come una striscia sotti-
le, nel blu zaffiro del cielo, in direzione dellaria che spira. Ho
potuto notare il fumo dello Stromboli fin sopra il Faro di
Messina. Esso viene considerato dai marinai come auspicio di
bel tempo. Quando spirano pi venti, la direzione del fumo
dello Stromboli indica quello predominante al largo, sul ma-
re aperto. Capita sovente che a Lipari soffi lo Scirocco, men-
tre lo Stromboli segna leggeri venti da ovest. I boati e il fumo
denso dello Stromboli, ulteriore prova della connessione tra
lattivit vulcanica e le oscillazioni barometriche, sono ritenuti
dai pescatori, segni premonitori di cattivo tempo. Anche lin-
tensa formazione di fumo sulla Fossa di Vulcano indice si-
curo di imminenti perturbazioni (Luigi Salvatore dAustria
1893-96, I, p. 4).
La relazione tra fenomeni vulcanici e meteorologici, co-
me si evince dalle pagine di Spallanzani, che tende a confu-
tarla, stata oggetto di indagini scientifiche (Zagami 1993,
pp. 14-15). Seri studiosi quali Abich (1841) e Scrope (1825)
sostengono lesistenza di un nesso tra pressione atmosferica
e fenomeni vulcanici. Del parere di Spallanzani sono invece
Judd (1881) e de Dolomieu (1783), sebbene questultimo
osservi che generalmente lattivit eruttiva dello Stromboli
maggiore in inverno, quando si avvicinano il mal tempo e le
tempeste (p. 91). Pi tardi, a una nuova decisa confutazio-
ne di Mercalli (1891), far seguito un articolo di Bergeat
; IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 78
(1918) che considera reale una relazione tra eruzioni e con-
dizioni atmosferiche.
Il pennacchio di fumo e fiamme dei vulcani eoliani sta-
to sempre un sicuro punto di riferimento ai naviganti del Tir-
reno: di notte le lave incandescenti quasi faro naturale, di
giorno il biancheggiare del fumo
7
. Di fronte a tale spettaco-
lo non pu meravigliare che il mito di Eolo, esegeta dei fu-
mi vulcanici, riviva nella letteratura di viaggio. In Un tour en
Sicile del 1883, il barone Gonzalve de Nervo, si sofferma a
discorrere delle isole Eolie e in particolare di Stromboli. Il fu-
mo del vulcano che volteggia sullisoletta, segnala al navigante
la presenza dellarcipelago:
il giorno dopo, prima del levar del sole, il fumo dello Stromboli
ci annunci che avevamo raggiunto le isole Lipari, che sono un-
dici: Alicudi, Filicudi, Dattilo, Salina, Vulcanello, Panarea, Ba-
siluzzo, Lisca Bianca, Lipari, Vulcano e Stromboli. Lipari, la pi
grande, produce in abbondanza granoturco, fichi, olive e del-
lottimo malvasia; le altre sono poco popolate. Sono tutte di-
stribuite a nord della costa settentrionale della Sicilia.
Lisola di Stromboli, sotto la quale navighiamo, un alto cono
nero, dai cui fianchi fuoriesce ininterrottamente una lunga nu-
vola di fumo biancastro; questo fenomeno, di un vulcano che
fuma e brucia di continuo, ritenuto il solo che esista: si sa in-
fatti che i vulcani, e fra gli altri il Vesuvio e lEtna, hanno spes-
so lunghi periodi di inattivit. Il cratere rossastro dello Strom-
boli si apre oggi nella parte rivolta a nord; esso vomita a diffe-
renti altezze delle pietre e del fuoco che ricadono sui suoi fian-
chi: spettacolo che, visto dal mare aperto e nel silenzio della not-
te, ha qualcosa di solenne che pervade lanima (de Nervo 1989,
pp. 10-11).
Il solenne spettacolo di fumo, di pietre scagliate in aria
e di fuoco, esercita una forte suggestione in de Nervo che
immancabilmente finisce con il ricordare Omero. Al pari di
de Nervo analoghe emozioni e sensazioni avevano riporta-
to e ancora riporteranno dalle loro escursioni alle Eolie, al-
tri celebri visitatori (cfr. Cavallaro, Cincotta 1991).
DIVINARE IL VENTO. EMISSIONI VULCANICHE... ;,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 79
La mitica relazione tra vulcani e venti, tra aria, acqua e
fuoco, come s visto dalle testimonianze raccolte presso i
pescatori eoliani, attraversa dunque i millenni. Come per
lardito marinaio greco le isole dellarcipelago rappresen-
tavano a un tempo concrete realt geografiche, essenziali al
suo navigare e immaginifiche sedi popolate di figure miti-
che, non diversamente, ancora oggi, in chi vive o scrive in-
torno alle Eolie si avverte il riemergere insistente di un so-
strato simbolico che finisce con il convertire un passato an-
tico in un eterno presente.
1
Questo Eolo ad esempio confuso da Igino nelle Fabul con lEolo ome-
rico: olum Hellenis filium, cui ad Iove ventorum potestas fuit tradita (125, 6).
Per Elleno e i suoi figli: Strab., VIII, 7, 1; Paus., VII, 1, 2; Conone, Narrat., 27;
Diod. Sic., IV, 67, 2-7.
2
Unaltra questione quella relativa allidentificazione nellarcipelago del-
lEolia omerica. Zagami (1993, p. 31) osserva che A localizzare la vagante Eo-
lia nel Tirreno, contribu molto la identificazione dello Stretto di Messina con
Scilla e Cariddi, per cui le Lipari, che venivano considerate talvolta come sco-
gli, talvolta come isole, si prestarono notevolmente, dato il loro paesaggio, ad
essere identificate con la descrizione omerica.
3
Sulle isole mobili e pi in generale sulle isole fantastiche e misteriose: Ario-
li 1989, pp. 122 sgg.; Bravetta 1908, pp. 67-74; vale a tale proposito ricordare
le rupi erranti delle Sirene (Od., XII, 55-65). Sullinfluenza dei racconti di viag-
gio sullOdissea, cfr. Kirk 1974, pp. 173-175; in particolare sulla natura leggen-
daria dellepisodio omerico, cfr. Strmberg 1950.
4
Gli intensi rapporti tra Eolie e mondo egeo sono attestati dal rinvenimento,
sulla rocca di Lipari, di numerosissimi frammenti di ceramica micenea, riferi-
bili in particolare allet del Milazzese (XVI sec. a.C.) ma anche allAusonio I e
II, et in cui i rapporti col mondo egeo, sebbene meno intensi, erano comun-
que attivi.
5
Il riferimento omerico allisola vagante pu avere un supporto valido
per le Eolie, in quanto anticamente si riteneva che tali isole in una prima fa-
se fossero soggette a spostamenti sulla superficie del mare e solo in una se-
conda fase si fossero fermate a stabilizzarsi in unarea ben precisa (Cicirel-
li 1994, p. 495).
6
Ricercare veri e propri rinvii di carattere geografico nel poema omeri-
co tuttavia unoperazione rischiosa. In realt il testo si presta a numerose
e fantasiose rivisitazioni a carattere geografico. Quale curiosit vanno qui ri-
cordate le deduzioni dellavvocato Gaetano Baglio, che nellisola Eolia vede
la Marettimo delle Egadi (Baglio 1957, pp. 48-49). Giustolisi, sulla scorta di
Hennig (1934) propenso invece a individuare la residenza di Eolo sulliso-
la di Vulcano.
c IGNAZIO E. BUTTITTA
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7
Vale a questo proposito citare Fazello che del cratere dello Stromboli di-
ce: Dove c il cratere, emette di notte e di giorno fiamme, fuoco, pietre e po-
mici, con fremiti. Il suo fuoco aiuta i naviganti di notte (1817). Notevole an-
che quanto riferisce in proposito Spallanzani (1792-97, p. 237): Partito essen-
do da Napoli per la Sicilia li 24 di agosto del 1788, e lentrante notte oltrepas-
sate avendo di molto le bocche di Capri, cominciai a scorgere cotal prodigio di
Stromboli, quantunque da me lontano ben cento miglia. () I marinai, da qua-
li era condotto, guardavano con occhio di compiacimento que fuochi, senza cui,
mi dicevano essi, nelle oscure notti fortunose correrebbero assai volte gran ri-
schio o di andare naufraghi in alto mare, o di rompere fatalmente alle coste del-
la vicina Calabria.
DIVINARE IL VENTO. EMISSIONI VULCANICHE... :
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 81
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 82
Capitolo quarto
Tophet o dellambiguo statuto mondano degli infanti
A dispetto degli studi pi recenti limmagine dei fenici
ancora funestata dallidea che fosse loro pratica consueta il
sacrificio rituale di infanti. Diversi i motivi dellaccreditarsi
di questa opinione, tra cui: a) la superficiale lettura delle te-
stimonianze bibliche e lapprossimazione tendenziosa delle
notizie in alcune fonti classiche (cfr. Moscati 1965-66; Maz-
za, Ribichini, Xella, a cura, 1988; Simonetti 1983; Gras,
Rouillard, Teixidor 1989, pp. 213 sgg.); b) lambiguit delle
emergenze archeologiche; c) la scarsa conoscenza delle cre-
denze relative al fuoco e delle connesse pratiche rituali. Ri-
discuterne unutile verifica e conferma degli avanzamenti
scientifici oggi realizzati rispetto a questo aspetto mal com-
preso della cultura religiosa fenicio-punica.
Preliminarmente bene ricordare che storici come Ero-
doto, Tucidide, Polibio, Livio, dato a torto trascurato, non
fanno cenno ai sacrifici di cui discutiamo. Riguardo alle te-
stimonianze assunte come prove, in particolare Clitarco
(Scol. Plat. Rep., 337a FGH 137 F91), Diodoro Siculo (Bi-
blioteca storica, XX, 14, 4-7), Plutarco (Sulla superstizione,
13), a unattenta lettura risultano incerte e non fondate su
una conoscenza diretta. Ne spia quanto si dice sulla posi-
zione delle braccia della statua del dio, rivolte in alto secondo
Clitarco, in basso secondo Diodoro; o, ancora, il nome Cro-
no dato al dio destinatario del sacrificio: segno di una co-
noscenza filtrata e distante del pantheon fenicio-punico (in
realt una composizione risultante di vari sincretismi) non-
ch della volont di assimilarlo a quello greco (cfr. Di Nola,
a cura, 1970, II, pp. 1553 e 1559). Che testimonianze di que-
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sto tipo abbiano potuto godere di credito anche nellanti-
chit, da riferire a due fatti ben noti. Il primo consiste ne-
gli interessi contrastanti dei fenici con greci e romani, come
sempre accade, risolti in una netta contrapposizione a livel-
lo simbolico. Basti pensare che i cartaginesi vengono accu-
sati perfino di cannibalismo (Livio, XXIII, 5, 12-13). Una
rappresentazione in negativo che diventa ancora pi forte ne-
gli autori cristiani (cfr. Tertulliano, Apologeticum, IX, 2-4). Il
secondo fatto potrebbe essere la pratica presente presso
molti popoli, anche di questa area, di uccidere ritualmente
i prigionieri a conclusione di battaglie vittoriose. A dare
credito a Diodoro (XX, 65) questo fecero i cartaginesi dopo
la vittoria su Agatocle nel 307 a.C.
Riguardo ai dati forniti dalle ricerche archeologiche, la
presenza di urne con ossa calcinate di bambini nei tophet (So-
lunto, Cartagine, Ben Himmon-Gerusalemme) di per s non
prova, anche per lalto numero, che si tratti di bambini im-
molati. Una conoscenza pi ravvicinata delle pratiche reli-
giose connesse alluso rituale del fuoco porta, infatti, a una
lettura ben diversa.
Fra gli usi cultuali del fuoco in tutta larea mediorientale
e indoeuropea sono senzaltro prevalenti quelli fondati sulle
credenze relative alla sua funzione rigeneratrice e purifica-
trice. Sul piano mitico-rituale, la molteplicit di significati del
fuoco si riassume essenzialmente nella sua ambigua valenza
rigeneratrice-distruttrice e nelle sue diverse personificazioni.
A questa ambivalenza vanno riferiti i rituali di incinerazione
che ricorrono in alcune culture. Rohde, nel sottolineare che
solo dopo larsione del corpo lanima pu avere definitivo ac-
cesso al regno dei morti sottraendosi del tutto ai suoi vinco-
li terreni, osserva che lo scopo che si intendeva raggiungere
era quello di separare definitivamente lanima dal corpo
(Rohde 1890-94, I, pp. 24-28). Egli attribuisce ai roghi det
omerica la funzione, attraverso la forza distruttrice del fuo-
co, di liberare le anime dai corpi per relegarle nelle profon-
dit della terra, evitando ai vivi di entrare in contatto con
esse. La cremazione quindi sarebbe stata in origine un rituale
di protezione e solo successivamente il fuoco avrebbe as-
IGNAZIO E. BUTTITTA
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sunto pi chiaramente la valenza di rito volto a garantire
una rinascita nellaldil (II, pp. 432-433. Cfr. Dodds 1951, p.
163, n. 1). Secondo Piganiol (1917, p. 87) lincinerazione
praticata dai romani va messa in relazione con la credenza nel-
limmortalit dellanima. Egli incline ad assimilare il fuoco
purificatore al sole, fuoco di elevazione, di sublimazione di
tutto ci che si trova esposto ai suoi raggi (p. 96). da no-
tare in proposito che il motivo decorativo della barca sola-
re si trova associato al diffondersi delle pratiche incineratorie
a partire dalla tarda et del bronzo (Guidi 2000, p. 47).
Va ricordato che in et omerica la cremazione era parte
integrante di un rito di eroicizzazione (Iliade, XXIII, 108-
259; anche VII, 77-86; XVIII, 346-353 e XXIV, 787 sgg.; Odis-
sea, XI, 31 e XXIV, 44-46. Cfr. Graz 1965). La pratica si ritro-
va pi tardi diffusamente attestata nel mondo greco e ma-
gnogreco soprattutto in relazione a sepolture di membri del-
le aristocrazie (cfr. Ferguson 1989, pp. 145-161; DAgostino
B. 1996; Pontrandolfo 1999), capostipiti e fondatori di co-
lonie eroizzati (cfr. Menichetti 1994, pp. 16-17; Bottini 1992,
pp. 27-51, 101, 126-128 e 137). Non diversamente nel mon-
do latino arcaico lavo morto veniva incinerato per consen-
tirgli di entrare nellaldil (Carandini 1997, p. 134, n. 29).
Onians ritiene che bruciare i morti o porli comunque in
contatto con la fiamma abbia avuto lo scopo di accelerare il
prosciugamento, levaporazione del liquido della vita, cui
strettamente legata la psiche aeriforme o anima vitale. Che
la presenza del fuoco nel rito non fosse volta alleliminazio-
ne del corpo, ma al suo prosciugamento, parrebbe attestato
tanto dagli ossari della Creta protominoica quanto dalle tom-
be di Micene dove scheletri umani sono stati rinvenuti rico-
perti di ceneri (Onians 1973, pp. 307 sgg.). Non dissimile
lopinione di Hertz. Mediante la cremazione da un lato si la-
scia sussistere egli pensa la parte pi nobile del corpo, le
ossa disseccate e polite, dallaltro si consente alle componenti
spirituali di liberarsi per raggiungere le loro sedi: Questo
precisamente il senso della cremazione: ben lungi dallan-
nientare il corpo del defunto, essa lo ricrea e lo mette in gra-
do di accedere a una nuova vita (Hertz 1907, p. 53).
TOPHET O DELLAMBIGUO STATUTO MONDANO DEGLI INFANTI ,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 85
In India il rogo il primo decisivo momento del com-
plesso rituale volto alla immortalizzazione del defunto. Il
fuoco opera questa trasformazione, ricrea il morto donan-
dogli nuova vita, anzitutto attraverso il suo potere di tra-
sportarlo verso lalto (Malamoud 1989, pp. 63-71). Il rap-
porto fuoco-morte-resurrezione presente di fatto nei riti
funerari di numerose civilt. Luso del fuoco per riscalda-
re o far rivivere i morti sembra attestato anche nel Pa-
leolitico (Seppilli 1962, p. 218). Nelluso della cremazione,
insieme al fine di liberare lanima immortale del defunto dal
peso della carne, converge lidea che la fiamma abbia il po-
tere, trasformando il corpo in cenere, di preservarne la par-
te migliore. Questa concezione potrebbe essere derivata, a
partire dallEt del Bronzo, dalla esperienza della metal-
lurgia. Secondo Bernal le ceneri contenevano ovviamente
la parte pi nobile che non poteva essere distrutta dal fuo-
co (1983, p. 74).
Traccia della valenza vitalistica assunta dal fuoco, oltre
che nelle pratiche e nei rituali funerari, si ritrova in miti di
rigenerazione, di acquisizione di immortalit e di divinizza-
zione. Il fuoco purificatore dogni impurit ha notato
Dumzil (1924, p. 93) apparso come il migliore. Luni-
co rimedio contro la grande sozzura umana, la mortalit.
Oltre al noto mito della Fenice (Erodoto, Storie II, 73; Ar-
temidoro, Il libro dei sogni, IV, 47; Nonno, Dionisiaca, 40,
398; Plinio, N. H., X, 3-5; Ovidio, Metamorfosi, XV 391-417;
Tacito, Annali, VI, 28. Cfr. Hubaux, Leroy 1939; Zambon
2001, pp. 213-241), erede delluccello Bennu-Osiride del
Libro dei Morti (cfr. Rundle Clark 1959, pp. 238-241; de Ra-
chewiltz 1986, XVII, pp. 1-2 e 10-11, XLIII, XXII), si pu ri-
cordare quello di Trittolemo trattenuto tra le fiamme da
Demetra per fargli acquisire limmortalit
1
. Analogo episo-
dio ricorre nelle storie di Teti e Achille
2
e di Iside e Arpo-
crate (Plutarco, De Iside et Osiride, 16). Il motivo di purifi-
cazione ed eliminazione delle parti impure e vulnerabili del
fanciullo o ragazzo destinato a divenire eroe, significativa-
mente si ritrova anche in alcune leggende ossete appartenenti
al ciclo epico dei narti, in particolare nella Nascita di Soslan
o IGNAZIO E. BUTTITTA
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e in Badraz tempra il suo corpo dacciaio (Dumzil, a cura,
1996, pp. 59-60 e 190-191. Cfr. Buttitta 1996, pp. 196-205).
Eracle attraverso la morte sul rogo conquista uneterna di-
vina giovinezza (Apollodoro, Biblioteca, II, 7, 7. Cfr. Sofocle,
Trachinie, 1191 sgg.; Diodoro Siculo, Biblioteca storica, IV,
38, 3-8; Ovidio, Metamorfosi, IX 229-256)
3
. Aproposito del-
la metamorfosi di Eracle, ha osservato giustamente Kirk
(1974, p. 209), che il fuoco come mezzo di purificazione era
da gran tempo familiare ai greci, ed una conclusione ra-
gionevole pensare che le parti mortali della natura di Eracle
venissero consumate dal fuoco in modo che quella immor-
tale potesse essere libera di ascendere in cielo
4
. Rito di ri-
generazione individuale quello di Eracle e metafora di rige-
nerazione cosmica.
Al di l delle effettive relazioni che intercorrono tra il ri-
to e il mito, ci che interessa rilevare lidea soggiacente al-
luso rituale della fiamma. Rinascita a nuova vita, rigenera-
zione, rinnovamento sono tutti temi correlati. In maniera evi-
dente il fuoco come mezzo di ringiovanimento si ritrova
nelle celebrazioni primaverili del Melquart di Tiro, spesso
messo in relazione con lErcole greco-romano
5
e per certi
aspetti individuabile come eroe solare (Piganiol 1917, p.
101. Cfr. Cambell 1972, passim). Una sua immagine veniva
data al rogo e cos avendo perduta la sua vecchiezza nel fuo-
co, ottiene in cambio, la sua giovinezza (Joseph. Ant., 8, 5,
3 cit. in Seppilli 1962, p. 218. Cfr. Edsman 1949, p. 14). La
cerimonia chiamata rinascita o risveglio, scrive Raoul-
Rochette:
si celebrava per mezzo di un rogo dove si riteneva che il dio, con
laiuto del fuoco, riprendesse una nuova vita. La celebrazione di
questa festa, la cui istituzione risaliva al regno di re Hiram, con-
temporaneo di Salomone, aveva luogo nel mese di Pritius, di
cui il secondo giorno corrispondeva al 25 dicembre del calen-
dario romano, e, per una coincidenza che non pu essere for-
tuita, questo stesso giorno, il 25 dicembre, era anche a Roma il
dies natalis Solis invicti, qualificazione sotto la quale Ercole era
adorato a Tiro e altrove. Erano dunque la morte e la resurrezio-
ne del dio Sole che si celebravano a Tiro, nel solstizio dinver-
TOPHET O DELLAMBIGUO STATUTO MONDANO DEGLI INFANTI ;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 87
no, con il rogo di Ercole; e cos noi percepiamo, nella sua forma
primitiva e originale, uno dei tratti principali della leggenda del-
lErcole ellenico. Questa idea di un dio morente di vecchiaia nel
tempo in cui la natura stessa sembra perdere tutta la sua vita-
lit, poi risorgente dalle proprie ceneri, era profondamente im-
pressa nelle credenze religiose dellOriente; essa aveva dato ori-
gine alla favola della Fenice, che Nonno (...) comprende nella
leggenda dellErcole Tirio (Raoul-Rochette 1848, II, pp. 25-26.
Cfr. Frankfort 1992).
Nella festa di Melquart si pu cogliere, pertanto, legata
al fuoco lidea che un mortale bruciato su un rogo si con-
giungesse alletere e per mezzo di esso alla divinit (Raoul-
Rochette 1848, II, p. 30).
Al di l della complessa e controversa interpretazione dei
fatti cui abbiamo accennato (cfr. Edsman 1949, pp. 11-27),
appare sicuro che diversi miti e riti diffusi in area mediter-
ranea rinviano allidea di rigenerazione e purificazione at-
traverso il fuoco. La virt purificatoria e vivificante della
fiamma distrugge gli elementi corruttibili e caduchi dellin-
dividuo, rigenerandolo e rendendolo atto allunione con il
mondo degli dei
6
. Il motivo della rigenerazione attraverso le
fiamme, in analogia con gli astri e in particolare con il sole
(cfr. Seppilli 1962, p. 220), rinvia a rituali iniziatici e a prati-
che purificatorie, come i salti sul fuoco e le danze intorno a
esso, ma anche dirette a fecondare il cosmo naturale e sociale.
Un rituale di purificazione (oltre che di rigenerazione) del-
le greggi era quello romano dei Parilia, celebrato il 21 apri-
le (Sabbatucci 1988, pp. 128-132). Era di una tra le pi an-
tiche pratiche delle comunit pastorali del Mediterraneo, se-
condo lopinione di George Dumzil (1974, pp. 335-336) e
di Jean Bayet (1957, p. 85). Nei Parilia evidente il fonda-
mentale ruolo purificatorio svolto dal fuoco a vantaggio di
uomini e animali. Di pratiche analoghe si hanno numerosi
riscontri. Nellantica Irlanda, la vigilia delle principali feste,
il bestiame veniva fatto passare attraverso il fuoco per pre-
servarlo dalle malattie. In particolare in quella di Beltene
(primo maggio) al cui fuoco erano attribuite specifiche virt
IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 88
lustrali e rigeneratrici (cfr. De Vries 1961, pp. 281-282; Le
Roux 1988, pp. 128-129; MacCulloch 1911, in partic. pp.
262-265). Una pratica ancora viva alla fine dellOttocento
(cfr. Czarnowski 1919, passim).
Si ha unampia documentazione di usi simili in tutta la-
rea euro-mediterranea per il passato (cfr. Frazer 1900, II, pp.
943-987). Ancora oggi in Sardegna e in Sicilia le greggi ven-
gono fatte passare sulle braci dei fal dedicati a santAnto-
nio Abate o fatte girare intorno alle fiamme. Per le stesse ra-
gioni i partecipanti al rito girano intorno al fuoco racco-
gliendone le braci e segnandosi il volto, oppure vi danzano
intorno o saltano attraverso le fiamme credendo cos anche
di premunirsi da eventuali malanni (Buttitta 1999, pp. 50-
57; 2002a, pp. 139-163). Simili comportamenti sono dal-
tronde attestati in tutta Italia, dove non di rado accade che
i fal vengano benedetti da un sacerdote. In proposito Lu-
pinetti (1960, pp. 52-53) riporta una interessantissima ora-
zione preliminare alla benedizione del fuoco sacro tratta dal
formulario farese
7
.
Comportamenti rituali per certi versi accostabili a quelli
appena ricordati sono le danze e le marce sulle braci arden-
ti, se non altro per la fede condivisa dagli esecutori nella
momentanea sospensione del potere comburente del fuo-
co (de Martino 1973, p. 67). Queste pratiche sono ampia-
mente attestate in varie epoche e presso numerose culture,
dallIndia alle Figi, da Tahiti alle Penisole Balcanica e Iberi-
ca (cfr. Leroy 1931; Brewster 1962; de Martino 1973, pp. 29-
35 e note; Eliade 1948, p. 109; Krauskopff, Macdonald 1989;
Riffard 1988, p. 243; de Hoyos Sancho 1963. Cfr. anche
Dodds 1951, pp. 327 e note, 364, n. 3). Si pensi agli anaste-
naridi della Grecia e della Bulgaria (Romaios 1949; Rossi-
Taibbi 1951-53; Schott-Billman 1987; De Sike 1989). Rito non
dissimile si osserva nel villaggio di San Pedro Manrique, nel
dipartimento di Soria, in Spagna, nellambito dei festeggia-
menti in onore della Vergine Maria (cfr. Foster 1955; Caro
Baroja 1979, p. 149; Bartoli 1996, pp. 61-84). Di marce sul-
le braci ardenti si parla anche in alcune fonti classiche. Cos
Arrunte si rivolge ad Apollo: Summe deum, sancti custos So-
TOPHET O DELLAMBIGUO STATUTO MONDANO DEGLI INFANTI ,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 89
ractis Apollo, / quem primi colimus, cui pineus ardor acer-
vo / pascitur et medium freti pietate per ignem / cultores mul-
ta previmus vestigia pruna / da, pater, hoc nostris aboleri de-
decus armis, / omnipotens (Virgilio, Eneide, XI, 785-790)
8
.
chiaro il passaggio per il fuoco come atto purificato-
rio e profilattico. Si gi detto di Demetra e Demofonte e di
miti consimili darea mediterranea dove ricorre il tema del
passaggio dei fanciulli sul fuoco come mezzo per garantire lo-
ro limmortalit. Frazer (1995, p. 481) suppone che Lusanza
greca di correre attorno al focolare con un bimbo cinque o
sette giorni dopo la nascita pu aver sostituito il pi antico
costume di far passare i fanciulli sopra il fuoco. Egli ripor-
ta un passo di Maimonide che a proposito degli ebrei scrive:
Vediamo ancora le levatrici avvolgere i neonati in fasce e, do-
po aver messo sul fuoco dellincenso soffocante, cullarli avan-
ti e indietro al di sopra dellincenso (p. 483. Cfr. Campbell
1959, p. 122). Liebrecht (1856, p. 31, cit. in Varvaro 1994,
p. 122) ricorda che in varie regioni intorno alla culla dei neo-
nati era in uso tenere accesi fuochi e torce a scopo protetti-
vo. Lo stesso Varvaro (pp. 122-123) in proposito rileva che
la funzione della luce accanto alla culla del neonato chia-
ra, perch la ritroviamo in molte culture e la finalit sem-
pre quella di tenere lontani dal bimbo demoni e spiriti ma-
ligni, in quanto la luce si oppone al male.
Analoga funzione sembrano avere usi come quello, rile-
vato a Ferrandina da de Martino (1959, p. 44), di portare
linfante davanti alla bocca di un forno ancora tiepido, fa-
cendo latto di infornarlo con levidente scopo di confer-
mare e proteggere magicamente il neonato. Allo stesso oriz-
zonte ideologico appartiene un antico rito popolare della
campagna aurunca ricordato da Borrelli (1942, p. 72): al-
lorch un poppante mostrasse un anormale appetito, desse
segni di eccezionale fagia (lanca), la madre lo passava tre vol-
te dinanzi la bocca del forno ardente. Rito che trova ri-
scontro in Sicilia, a Buscemi, dove i bambini piccoli afflitti
da eccessivo appetito venivano fatti passare per tre volte di-
nanzi la bocca del forno acceso (Acquaviva, Bonanzinga, a cu-
ra, 2003, pp. 31-32). Tra i riti terapeutici che prevedono un
,c IGNAZIO E. BUTTITTA
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contatto con il forno va anche ricordato quello sardo per la
cura dellargia (Gallini 1967, in partic. pp. 199-204; 1988. Cfr.
Alziator 1957, pp. 244 sgg.; de Martino 1961, pp. 196-198),
laltrimenti nota tarantola. Filippo Valla (1896, cit. in Tur-
chi 1990, p. 262) scrive: Riscaldano convenientemente il for-
no, poscia vi introducono lammalato per un dieci minuti cir-
ca. Quando lo estraggono il poveretto, madido di sudore, vie-
ne subito ravvolto in panni caldi e trasportato nel letto, ove
aspetter fiducioso la desiderata guarigione
9
. A tali pratiche
pu essere accostato quanto ricorda Frazer (1995, p. 193, n.
79) commentando Apollodoro: Secondo una notizia riferi-
ta dallumanista Leone Allacci, gli abitanti di Chio usavano
ancora scottare i piedi dei bambini nati tra Natale e lEpifa-
nia perch non diventassero j`kkhjmp`qni, ossia dei de-
moni che nello stesso periodo si aggiravano sulla terra
10
.
Almeno fin dallXI secolo lidea che il forno possedesse
propriet magico-terapeutiche era ampiamente diffusa in
Europa (Marstrander 1912; Edsman 1940; DOnofrio 1996,
pp. 189 sgg.; Fabre-Vassas 1982). Nel Decretum di Burcar-
do di Worms si ritorna a pi riprese a condannare luso di fi-
lium in super fornacem ponere
11
. Anche la narrativa tradizio-
nale conserva tracce della credenza nelle virt rigeneratrici
del forno
12
.
Quanto abbiamo detto consente una pi attenta lettura
della pratica cananea di passare i bambini sul fuoco, pi vol-
te ricordata e condannata nellAntico Testamento come de-
precabile uso pagano
13
ed erroneamente intesa da autori an-
tichi e moderni come uccisione rituale di infanti. Nelle testi-
monianze di Diodoro relative alla supposta pratica fenicia di
sacrificare bambini troviamo una spia significativa del valo-
re approssimativo della sua testimonianza. Diodoro infatti di-
ce che le vittime venivano gettate in una fornace. Appare chia-
ro che si tratta della pratica appena ricordata del passaggio
degli infanti in un forno a fine purificatorio, confusa con il
loro effettivo bruciamento. Anche il racconto veterotesta-
mentario del mancato sacrificio di Isacco da parte di Abra-
mo, dai pi assunto come prova decisiva della esistenza di una
TOPHET O DELLAMBIGUO STATUTO MONDANO DEGLI INFANTI ,:
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 91
pratica sacrificale di questo tipo in area cananea, andrebbe
letto in modo diverso. Miti e leggende non rispecchiano mai
vicende e usanze storiche, semmai ne costituiscono, come
noto, una rappresentazione per inversione (cfr. Buttitta 1996,
pp. 168 sgg.). Il loro valore antropologico, notevole ai fini del-
la individuazione delle assiologie delle culture studiate, pu
anche indurre in errore ai fini della comprensione della loro
storia culturale. Nel nostro caso, pertanto, il fatto che lAn-
tico Testamento sottolinei ed enfatizzi il mancato sacrificio
di Isacco, prova che questa pratica non era consueta ma del
tutto eccezionale (Von Rad 1972, pp. 315 ss.).
Non insomma da escludere che in situazioni di parti-
colare gravit presso alcune culture del Medio Oriente e se-
gnatamente presso i fenici si ricorresse al sacrificio umano,
in particolare di fanciulli (Gras, Rouillard, Teixidor 1989,
pp. 221-222). Da qui a individuare nei tophet luoghi abi-
tuali di sacrificio di neonati il passo lungo. Moscati e Ri-
bichini hanno proposto giustamente, piuttosto, di inter-
pretare il tophet come unarea sacra ove si compivano, in-
sieme ad altre cerimonie, riti di incinerazione di cadaveri
di fanciulli morti ancor prima di nascere o immediata-
mente dopo (per malattie o altre cause naturali). Per tale
ragione venivano offerti a Tanit e Baal Hammon, sepol-
ti significativamente in luogo diverso da quelli destinato ai
morti comuni, e con procedure intese a garantirne un ol-
tretomba glorioso o comunque agli innocenti specifica-
mente riservato (cfr. Moscati 1987; 1991; Moscati, Ribichini
1991; Ribichini 1997, pp. 139-141; Gras, Rouillard, Teixi-
dor 1989, pp. 205-237; Beschaouch 1993, pp. 73-80). Dal-
tronde stato osservato da un lato la carenza di sepoltu-
re infantili nelle necropoli fenicie e puniche, dallaltro la
presenza, seppur minoritaria, di feti nei cinerari del tofet
(Zucca 1993, p. 88).
A parere di Moscati (1987, pp. 9-10) la combustione ave-
va una funzione purificatoria per ragioni igieniche e religio-
se: igieniche perch era frequente la mortalit prenatale o
immediatamente postnatale, con il conseguente pericolo di
infezioni ed epidemie; religiose perch, e questo il punto
,: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 92
essenziale, non era ancora avvenuta liniziazione rituale ed era
dunque in atto unimpurit religiosa.
La tesi stata ribadita da questo autore in un successivo
lavoro dove a proposito delle stele che si rinvengono in tali
aree sacre si precisa: le stele hanno carattere votivo, dedi-
catorio, (...) rispetto a divinit non necessariamente legate a
una funzione funeraria: anzi Tanit detta madre e poi cor-
risponde in latino a nutrix (Moscati, Ribichini 1991, p. 5. Cfr.
Ribichini 1987, p. 39).
Briquel-Chatonnet (1989, pp. 74-76), pur considerando
leventualit che effettivamente in alcuni casi si immolassero
fanciulli vivi, mette in relazione lofferta delle stele e le pra-
tiche incineratorie e segnala con forza il ruolo del fuoco qua-
le strumento di morte e rinascita.
In unepoca nella quale la sopravvivenza degli infanti era pre-
caria, osserva questo studioso poco probabile che i geni-
tori sacrificassero i nuovi nati ben formati e robusti, attesi con
impazienza. Le piccole vittime del tophet erano senza dubbio
dei bambini gracili, malformati o prematuri, destinati in ogni ca-
so a morire. Alcuni potevano gi essere morti naturalmente, e
i loro genitori erano solleciti a offrirli alla divinit per ottenere
la nascita di un altro figlio in buona salute.
Anche Gras, Rouillard e Teixidor (1989, pp. 217-218) ri-
tengono che si potesse trattare di offerte di bambini prema-
turamente defunti o di animali sostitutivi quale richiesta al-
la divinit di un nuovo nato sano.
In conclusione, il tophet era con tutta probabilit un luo-
go destinato a raccogliere ceneri di bambini morti in tenera
et, o destinati a una ineluttabile morte precoce a causa di
malformazioni, e al tempo stesso un santuario nel quale si la-
sciavano ex voto e resti sacrificali, in onore di divinit preposte
alla salvaguardia dei fanciulli viventi e alla sorte oltremondana
di quelli defunti (Moscati, Ribichini 1991, p. 34). Il fuoco ave-
va la funzione di ridisegnare il destino di questi ultimi. La par-
ticolare condizione in cui si venivano a trovare i fanciulli, non
ancora introdotti attraverso opportune cerimonie nel mon-
TOPHET O DELLAMBIGUO STATUTO MONDANO DEGLI INFANTI ,,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 93
do degli uomini, imponeva per essi un ritorno tra le braccia
di Tanit, la dea madre (Xella 1991, pp. 417-429; Gras, Rouil-
lard, Teixidor 1989, p. 235), perch li reimmettese nel flus-
so della forza vitale e concedesse alla famiglia offerente una
nuova nascita. Il carattere vitalistico del rito, che si riallaccia
ai temi salvifici riservati ai morti bambini negli antichi culti
misterici (cfr. Burkert 1987), pu essere individuato anche
nello stesso tipo di legna usata, resinosa per lappunto, pro-
veniente dunque da alberi il cui valore di simbolo della vita
era assai netto in area mediorientale (cfr. Benichou-Safar
1988, p. 66). Non va infine dimenticato che in numerose
culture il neonato non viene considerato un membro effetti-
vo della comunit, spesso addirittura non riconosciuto
neanche come uomo, finch non ha superato una serie di
riti di passaggio con funzione integrativa (Van Gennep 1909,
pp. 43 sgg. e 133).
Quanto si fin qui considerato, se non altro viene a ri-
badire la lezione di Bogatirv (1982) e Jakobson: per la com-
prensione di un fatto culturale non sufficiente limitarsi al-
la sua analisi. Solo considerandolo una tessera del vasto mo-
saico in cui consiste lintero contesto di cui fa parte, si riesce
a coglierne il reale significato. La pratica fenicia qui esami-
nata, osservata come elemento di un pi vasto sistema cul-
turale, si presenta infatti sotto una diversa luce che, se non
ci consegna a pieno le certezze in cui si riconoscevano i loro
esecutori, si approssima pi persuasivamente al loro orizzonte
religioso e alle sue connesse pratiche rituali.
1
Era la mezzanotte silente nel placido sonno, / quando la dea si prese Trit-
tolemo nel grembo, / laccarezz con la mano tre volte dicendo tre versi, / che
non pu riferire la bocca dun mortale; / sul focolare il corpo copr del bambi-
no con calda / cinigia, perch il fuoco ne purghi il mortal peso (Ovidio, Fasti,
IV, 502-560). Cfr. Apollodoro, Biblioteca, I, 5, 1; Inni Omerici, II, 233-240; Igi-
no, Fabulae, 147. Cfr. Frazer 1951, pp. 479 e note; Guidorizzi 2000, pp. 364-
365, n. 555.
2
Quando Teti gener un figlio a Peleo, volendolo rendere immortale
lo poneva dentro il fuoco, di notte, di nascosto dal marito e cos distrugge-
va quanto in lui era di mortale e gli proveniva dal padre, mentre di giorno lo
, IGNAZIO E. BUTTITTA
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ungeva con ambrosia. Ma Peleo la spi e quando vide il bambino che si di-
menava tra le fiamme lanci un grido: cos Teti, a cui era stato impedito di
compiere la sua opera, abbandon il bambino per tornare tra le Nereidi
(Apollodoro, Biblioteca, III, 13, 6). La stessa storia riportata, per restare in
Grecia, da Apollonio Rodio: Essa bruciava alla fiamma del fuoco le carni /
mortali in piena notte: poi, durante il giorno / ungeva dambrosia il tenero
corpo, perch divenisse / immortale e gli stesse lontana lodiosa vecchiaia
(Argonautiche 4, 869-872).
3
Frazer riporta un passo dellIndia di Al Biruni che ricorda come nel suo
commentario agli apoftegmi di Ippocrate, Galeno dica: generalmente rico-
nosciuto che Asclepio fu portato al cielo in una colonna di fuoco e lo stesso
detto di Dionisio, Eracle e altri che si adoperarono a beneficio dellumanit. Si
dice che Dio fece questo per distruggere la loro parte mortale e terrestre con il
fuoco e poi attirare a s la loro parte immortale e trasferirne in cielo le anime
(cit. in Frazer 1995, p. 272, n. 235).
4
Luciano sostiene che nellottenere limmortalit nel rogo del monte Eta
lelemento umano che Eracle aveva ereditato dalla madre fu purgato attraver-
so le fiamme mentre quello divino ascese puro nellOlimpo (Hermot., 7). Sul trat-
tamento dei cadaveri e i roghi funebri degli eroi, cfr. Vernant 1989, pp. 71-72;
Goudsblom 1992, pp. 73-74; Burkert 1977, II, pp. 280-281; Cuiseinier 1997, pp.
215-217. Sul fuoco come strumento di purificazione in Grecia, v. Burkert 1977,
I, pp. 90-95 e 112-116; Durand 1963, pp. 171 sgg.
5
Osserva Delcourt (1981, p. 166): La prova attraverso il tuffo o attraver-
so il fuoco significa morte e resurrezione sotto una forma pi alta e pi grande,
come lo provano la sopravvivenza di Achille nelle Isole dei Fortunati e lacces-
so di Eracle allOlimpo. Il festeggiamento in cui Melquart riprender nuova vi-
ta, con laiuto del fuoco si chiama ancora risveglio. Sui rapporti tra Ercole e
Melquart, v. Picard, Picard 1964.
6
Nel Ramayana, si ritrovano dei passaggi che richiamano la morte volon-
taria sul rogo come mezzo per ottenere una forma celeste e per conseguenza lac-
cesso allempireo (III, 5, 37-41; III, 74, 33-34). Le leggende osserva Delcourt
(1981, p. 166) ci invitano a distinguere due procedimenti di apoteosi tramite
il fuoco, quello in cui la rinascita si compie attraverso la fiamma (Eracle, De-
mofonte, Achille, la Fenice) e quello che risulta da una permanenza allinterno
di un braciere (Pelope, Esone, Dioniso-Zagreus). Tema diffuso nella lettera-
tura folklorica europea quello degli sponsali tra un giovane uomo e una prin-
cipessa. Il passaggio attraverso il fuoco dona alleroe una natura sovrumana che
gli consente di unirsi in matrimonio con la donna che gi possiede tale natura
(cfr. Edsman 1949, pp. 132 sgg.). Per la Sicilia si veda la fiaba Lu cavaddu nfa-
tatu riportata da Pitr (1875, I, XXXIV).
7
qui solo il caso di ricordare una leggenda relativa a santAntonio che lo
vede rubare il fuoco agli inferi. Questo motivo ha condotto alcuni studiosi a isti-
tuire una relazione tra il santo ed Efesto (la fucina di Efesto infatti collocata
presso lEtna o le Lipari, cio presso vulcani considerati tradizionalmente boc-
che dellInferno) o una sorta di Prometeo cristianizzato. Tutta la questione rias-
sunta da Maticetov (1968, pp. 179 sgg.).
8
Cfr. Servio, Ad Aeneid., XI, 787. La cerimonia del Soratte ricordata da
Silio Italico (Pun., V, 175-178) e da Plinio (N. H., VII, 19). Sul rito, v. Otto 1913.
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9
A questa pratica accenna anche Gino Bottiglioni (1925, pp. 81-82). Va qui
ricordato un detto di Usini che rende esplicita la sacralit di cui in antico era-
no investiti i forni: chi non ha visto chiesa, adora i forni (Turchi 1990, p. 363).
A proposito della sacralit dei forni va ricordato il rituale oracolare di Trofonio
in Lebadeia il quale prevedeva che i fedeli che dovevano ricevere la rivelazione
mantica discendessero in una stretta grotta dallaspetto di un forno per pane
(Pausania, Periegesi, IX, 39, cit. in Bottini 1992, p. 118). Si pu ipotizzare che
insieme al potere terapeutico del fuoco nei riti che prevedono un contatto con
il forno se non linserimento al suo interno del paziente si faccia riferimento al
nesso: ritorno alla terra madre=rinascita (cfr. Neuman 1956, in partic. pp. 53
sgg.). Non a caso allora in alternativa al forno nella cura dellargia si procede
allinterramento del malato. Il forno si configurerebbe dunque come utero (al-
linterno del quale numerosi miti ritengono sia custodito il fuoco).
10
Frazer riprende questa notizia da Lawson (1910, p. 208) e in Appendice
riporta alcune analoghe pratiche nord-europee: Cos, nelle Highlands di Sco-
zia, accaduto che, dopo il battesimo, il padre abbia appeso un canestro con
pane e formaggio al gancio sopra il fuoco nel mezzo della stanza attorno al qua-
le siede la compagnia; e per tre volte il bambino sia stato passato sopra il fuoco,
nel tentativo di rendere vani tutti gli assalti di spiriti maligni o di malocchio (Pen-
nant 1808-14, III, p. 383). Nelle Ebridi era costume far girare del fuoco attorno
ai bambini, tutti i giorni, di mattina e di sera, finch non fossero stati battezzati;
del fuoco veniva portato anche intorno alle puerpere finch non fossero state be-
nedette; e questo cerchio di fuoco era un mezzo effettivo di preservare la ma-
dre e il bambino dal potere degli spiriti maligni, che proprio in questi momenti
sono pronti per fare danni, talvolta riuscendo a portarsi via il neonato (Martin,
in Pinkerton, a cura, 1808-14, III, p. 612). (...) Talvolta il motivo per cui i bam-
bini venivano posti sul fuoco era differente, come risulta dalle seguenti testimo-
nianze. Nel Nord-Est della Scozia, e in particolare nelle contee di Banff e Aber-
deen, se il neonato piangeva e iniziava a deperire, sorgeva subito il sospetto che
potesse trattarsi di un bimbo scambiato dalle fate, e veniva messa in atto la pro-
va del fuoco. Il focolare veniva ricoperto di torba e quando il fuoco era ben vi-
vo il bimbo che si sospettava scambiato vi era posto davanti, lontano quel tanto
che bastava per non farlo scottare, oppure veniva sospeso sopra il fuoco in un
canestro. Se si trattava di un bambino scambiato, sarebbe fuggito dal camino, pro-
nunciando parole ingiuriose mentre spariva (Gregor 1881, pp. 8 sgg.) (Frazer
1995, pp. 481-482). Durand (1963) osserva che il signore del fuoco spesso do-
tato del potere di guarire, cicatrizzare, ricostruire attraverso il fuoco e il forno.
Numerose leggende cristiane hanno conservato il duplice aspetto del simbolo del-
la mutilazione, come quella di S. Nicola, di S. Eligio e di S. Pietro (p. 309). Sui
j`kkhjmp`qni, cfr. Dumzil 1929, pp. 165 sgg.
11
Mulier si qua filium suum ponit supra tectum, aut in fornacem pro sa-
nitate febrium, unum annum poeniteat (X, 14); Misisti filium tuum vel filiam
super tectum aut super fornacem pro alique sanitate? (XIX, 5), cit. in Edsman
1949, p. 77. De Martino ricorda che nella Historia Sicula di Goffredo Mala-
terra (1604) si legge che durante lassedio di Palermo da parte di Ruggero e Ro-
berto il Guiscardo, lesercito normanno accampato presso la citt fu vessato dal-
le tarante, onde fu necessario il ricorso alla pratica del forno tiepido (Historia
Sicula, II, XXXVI, cit. in de Martino 1961, p. 229).
,o IGNAZIO E. BUTTITTA
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12
Pitr 1875, III, n. CXXIII. Altri racconti sottolineano invece le virt rige-
neratrici della forgia (cfr. Lo Nigro 1957, pp. 158-159; DOnofrio 1996, pp. 189
sgg.). Una fiaba sarda, Don Giuanninu infurradu, narra di un principe che, tra-
sformato in volpe a causa di gravi colpe commesse, riacquista la sua primitiva
condizione dopo essere stato decapitato e infornato. Tale genere di storie (che
hanno per protagonisti il Signore o san Pietro) dove sono riportati alla giovi-
nezza vecchi decrepiti mettendoli a bollire in pentoloni o infornandoli, sono no-
te in altre regioni dEuropa: cfr. Dasent 1859, pp. 106 sgg.; Grimm, Grimm 1884-
92, I, pp. 312 sgg.; Ralston 1873, pp. 57 sgg.; Crane 1885, pp. 188 sgg.
13
Tra laltro in Lv., 18, 21; II Re, 23, 10; Gr., 7, 31-32 e 19, 3-6; Is., 30, 33;
Ez., 20, 25-26 e 23, 39. Cfr. de Vaux 1960, pp. 430-432; Goudsblom 1992, pp.
54-55; Gras, Rouillard, Teixidor 1989, pp. 208-213. Lazione di passare per il
fuoco i bambini ricordata nellAntico Testamento, potrebbe non implicare una
vera e propria immolazione, n un sacrificio sistematico di ambiente o deriva-
zione fenici. La stessa espressione biblica passare per il fuoco non imme-
diatamente riferibile a mettere al rogo e pu significare nella stessa Bibbia: far
lambire dalle fiamme a scopo purificatorio (cfr. Nm., 31, 23).
TOPHET O DELLAMBIGUO STATUTO MONDANO DEGLI INFANTI ,;
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Capitolo quinto
Acque di vita, acque di morte. Il simbolismo magi-
co-religioso dellacqua
In un contributo sulla religiosit degli antichi italici, An-
gelo Bottini accenna alla diffusa presenza di culti delle ac-
que sorgive o lacustri, salutifere o pericolose che affon-
dano sovente le proprie radici nella preistoria e sono spes-
so destinati ad una fortuna protrattasi ben oltre i limiti di
queste stesse culture indigene, talora fino al Medioevo
(Bottini 1994, p. 77. Cfr. Peroni 1994, p. 309; Manselli
1980). A quanto osservato da Bottini si pu aggiungere che
la memoria di questi culti ancora attestata da diverse cre-
denze e pratiche rituali diffuse in ambito folklorico non so-
lo italiano (cfr. Caro Baroja 1979, pp. 156-165; Dini 1989;
Giacobello 1997; Tamarozzi 1999; Rousseleau 2000; Teti
1999, pp. 62 sgg.; 2003, passim; DOnofrio 2005, pp. 82
sgg.). Tra le testimonianze di un uso dellacqua in chiave
magico-religiosa possono essere ricordate le virt curative
e apotropaiche a questa attribuite quando esposta al sere-
no nei giorni dellAscensione, la pratica di immergersi nei
fiumi o in mare la notte di san Giovanni, i pellegrinaggi che
prevedono il raggiungimento di una sorgente o di un poz-
zo ritenuti in possesso di virt medicamentose, siti in pros-
simit o allinterno di un santuario, per berne le acque o
aspergersi con esse (cfr. Pitr 1873; Lanternari 1984, pp.
165 sgg.; Petrarca 1986; Caro Baroja 1979, pp. 166-184).
In particolare per la Sardegna ricordiamo quanto Gino
Bottiglioni scriveva nel 1925: oggi non difficile imbat-
tersi in un fiume, in un torrentello, in una sorgente, ai qua-
li i Sardi attribuiscono delle propriet terapeutiche straor-
dinarie. Specialmente la vigilia della festa di San Giovan-
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ni indicata come il giorno in cui la virt delle acque pi
efficace (Bottiglioni 1925, pp. 78-79).
Della sacralit dei pozzi, delle fonti, delle polle termali,
proprio la Sardegna offre numerose e interessantissime te-
stimonianze, tali da spingere Lanternari (1951-53, p. 108) ad
asserire che: il culto dellacqua in Sardegna indigeno e uni-
versale e a ritenerlo il pi diffuso dei culti protosardi. Ta-
le diffusa presenza cos come le sue peculiari caratteristiche
furono dovute a precise ragioni contestuali (cfr. Di Nola, a
cura, 1970, I, pp. 22-24): Lacqua in Sardegna costitu nei se-
coli, come costituisce tuttora il problema fondamentale del-
leconomia e della vita biologica delle comunit umane: es-
sa influenza e determina in ampia misura, come fattore limi-
te, la vita materiale, sociale e ideologica. Il clima e le con-
dizioni ambientali sfavorevoli ora come allora fanno s che le
sorgenti e le acque di falda divengano ausilio prezioso e ine-
stimabile per la comunit (Lanternari 1951-53, p. 109. Cfr.
Delitala 2002, p. 21).
Distribuiti su tutta lIsola sono noti oltre trenta pozzi sa-
cri di et nuragica e numerose fonti anchesse sacralmente
connotate (cfr. Pettazzoni 1912, pp. 19 sgg.; Lilliu 1988, pp.
521-543; Contu 1997, II, pp. 574-605; Pallottino 1950, pp.
146-147), quali quella di Su Tempiesu in territorio di Nuoro
(Fadda 2002). Tra i pozzi sacri pi notevoli e tuttoggi ben
conservati, si annoverano quelli di Santa Cristina di Paulila-
tino in provincia di Oristano, di Santa Anastasia a Sardara in
provincia di Cagliari e di Santa Vittoria di Serri in provincia
di Nuoro.
Il tempio a pozzo centrato su un pozzo circolare ipo-
geo, con sezione a bottiglia, accessibile mediante una ripi-
da gradinata. Questi pozzi sacri si dovettero costituire in ori-
gine come luoghi di culto intercomunitari, come sembrano
provare le adiacenti vestigia di ricoveri, probabilmente adi-
biti a ospitare i pellegrini, e di aree destinate a luogo di
scambio, nonch il loro inserimento in pi ampi contesti
templari-residenziali (cfr. Zucca 1988; Fadda 2007; Laner
2004). A riprova del valore cultuale a essi attribuito, oltre
alla complessit e raffinatezza delle architetture con ampio
:cc IGNAZIO E. BUTTITTA
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uso di pietra lavica, stanno le numerose e varie offerte vo-
tive rinvenute in prossimit o al loro interno: vasellame e sta-
tuine fittili, bronzetti di vario soggetto, non di rado di uo-
mini e donne offerenti o comunque in atteggiamento rituale,
madri con figli in grembo, asce e varie altre armi, monete,
monili, amuleti. Un insieme di elementi di diverso tema
che consente di poter intuire le motivazioni che sospinge-
vano i fedeli a rivolgersi alle divinit acquatiche: guarigio-
ne da malattie, protezione di uomini e armenti, risoluzione
di problemi personali, economici e bellici, e pi in genera-
le fecondit, fertilit e prosperit (cfr. Lanternari 1951-53,
pp. 114 e 116).
Pur residuando incertezze in ordine alle caratteristiche
delle divinit destinatarie del culto, assai verosimile che nel-
la gran parte, se non in tutti i casi, si trattasse di divinit fem-
minili a carattere ctonio come sembrano provare la stessa as-
sociazione pozzo/utero, la pianta ogivale a toppa di serratura
nonch la relazione con i cicli lunari. Gi Taramelli, che ai
primi del Novecento scopriva il pozzo di Santa Vittoria, os-
servava la presenza di una religione connessa: alle divinit
del misterioso mondo sotterraneo, minacciose e terribili,
ma pure latrici della salute (p. 108). Non secondario il fat-
to che i pozzi siano stati spesso associati a nomi di sante o a
titoli della Madonna, spesso anche attraverso ledificazione
di luoghi di culto cristiani a esse dedicati, a fianco o in pros-
simit dei pozzi, quasi a testimoniare una ininterrotta con-
tinuit cultuale, rinvenibile nelle fonti scritte e ancor pi so-
stenuta da molteplici testimonianze archeologiche che rive-
lano la lunga prosecuzione del culto nei tempi punici, romani
e alto medievali (Spanu 2008). In ogni caso prova della ri-
funzionalizzazione cristiana di luoghi di culto e cerimonia-
lit precedenti fornita in maniera indubitabile da casi co-
me quello di Bosa, dove fino al 1771 presso il pozzo de sos
tres res, ovvero dei re magi, il primo di marzo di ogni an-
no, si recava una processione con la partecipazione di tutti
i canonici, che si concludeva con la benedizione dellacqua
(Lanternari 1951-53, p. 115) e di Sardara, dove a met set-
tembre si festeggia Santa Maria e is acquas e che accoglie nel-
ACQUE DI VITA, ACQUE DI MORTE :c:
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labitato il Santuario di Santa Anastasia e la relativa funtana
e is dolus: acque salutifere che scaturiscono dallantico poz-
zo nuragico (Camboni 2002, pp. 99-100).
Memoria della antica sacralit delle acque che, come s
detto, si presenta spesso in connessione con entit divine
femminili, si ritrova nella credenza nelle figure leggenda-
rie di sa Mama e sa funtana e di Maria Puttsu (cfr. Delitala
2002, p. 22; Turchi 1990, pp. 70 sgg. e 213 sgg.) eredi del-
le oscure divinit acquatiche protostoriche e di ninfe e di
fate molteplici (cfr. Bulteau 1982). Lo stesso pu dirsi in
riferimento a un storia raccolta da Bottiglioni negli anni
Venti nel circondario di Villaspeciosa, dove sono ricorda-
te le virt salutifere che la fontana del Camposanto di Uta
possedeva per intercessione di Nostra Signora (Bottiglio-
ni 1922, p. 151)
1
. Daltronde la fama delle virt eccezionali
delle acque termominerali sarde, fra laltro oggetto di or-
dalie, testimoniata da Solino (VI, 6), da Prisciano (Perieg.,
466 sgg.), da Isidoro di Siviglia (Etym., XVI, 6, 40) (Contu
1997, II, p. 601. Cfr. Pettazzoni 1912, pp. 34 sgg.)
2
. Di fat-
to un ulteriore segno di culto delle acque quello legato
ai fontes calidi (Sardara, Benetutti, Fordongianus ecc.)
(Spanu 2008). Delle virt terapeutiche attribuite alle acque
termali e a certe fonti resta memoria anche nella stessa eti-
mologia. Troviamo infatti denominazioni quali Funtana de
is dolus e de sos malvidos.
In ambito folklorico si rinvengono numerose attestazio-
ni di fonti, sorgenti, pozzi le cui acque possiedono qualit
straordinarie e terapeutiche. Nella gran parte dei casi tali
poteri miracolosi sono attribuiti a vari santi o alla Madonna
e facilmente si lasciano riconoscere come credenze e usi cul-
tuali qui vraisemblablement ont succdes un culte plus an-
cien (Sbillot 1967, p. 67). Lo stesso Sbillot ne segnala
molteplici occorrenze nellAlta Bretagna (pp. 65-72), Caro
Baroja (1979, pp. 156-165) ne attesta la diffusione nella Pe-
nisola Iberica e Pitr nel suo Acque miracolose in Sicilia ri-
corda diversi casi riprendendo largamente dal Discorso isto-
rico-analitico dellacque minerali e termali di Sicilia del Dott.
:c: IGNAZIO E. BUTTITTA
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Vincenzo Ryolo (Palermo 1794). Tra questi quello dellacqua
santa di Santa Maria di Ges di Castania di Naso:
In quel medesimo luogo dove allora si ferm da s la statua del-
la Vergine, scatur subitamente una polla dacqua, che appres-
so si ridusse in un pozzo, il quale ha questa meravigliosa pro-
priet, che n cresce, n manca dacqua, eziandio se per pi gior-
ni non se ne attingesse neppure una gocciola, o al contrario se
ne cavasse fuori gran quantit. Di questacqua si valgono gli in-
fermi per ottenere dalla Santa Vergine riposo e salute (Pitr
1896, p. 60).
A Castroreale, ricorda sempre lo Studioso palermitano, si
crede dalli abitanti miracoloso un fonte chiamato di Venere,
oggi di S. Venera, perch sana li scabiosi, ma un tal effetto
attribuir devesi alla natura sulfurea di detta acqua; a Pirai-
no si trova una vena dacqua resa gi illustre per li molti mi-
racolosi effetti, fatta scaturire ad intercessione di Maria Ver-
gine (pp. 60-61).
Per quanto riguarda la Sardegna mi limiter a ricordare
due diversi casi di uso rituale delle acque, quello del loro uso
nella terapia del malocchio e quello delle acque medica-
mentose di San Lussorio a Romana. In effetti nella viva tra-
dizione e nella memoria culturale sarda, le credenze e le pra-
tiche legate allacqua si declinano variamente, lasciando tra-
sparire la loro profondit diacronica. Eredit di un remoto
passato ricco di acque rigeneratrici, terapeutiche e lustrali si
rinvengono, variamente rifunzionalizzate e trascritte in nuo-
vi linguaggi, nelluso dellacqua nelle pratiche magico-divi-
natorie e nelle virt terapeutiche ascritte alle acque di pozzi
e sorgenti, connessi al culto di diversi santi locali.
Sabba e sogu
Lacqua trova diffuso e significativo utilizzo nella cosid-
detta medicina dellocchio: sa mejina de sogu (Quartu
SantElena); sa midizzina di locci (Sorso); sa mexina de so-
ACQUE DI VITA, ACQUE DI MORTE :c,
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gru malu (Lanusei); lu di locci (Stintino); sabba e sogu
(Neoneli), rito tuttoggi diffusamente, sebbene tacitamente,
praticato
3
. Daltronde la credenza nella forza malefica del-
locchio invidioso era fino a pochi decenni fa attestata in per-
centuale amplissima (Satta 1980, p. 94; Cossu 2005, pp. 168-
169). Nel Campidanese, il malocchio detto sogu malu
(locchio malvagio) e fare il malocchio si dice ponni ogu,
oghiai, oppure iscorai de ogu (mettere locchio, adocchiare
o colpire al cuore con locchio). Chi colpito dal malocchio,
pigau a ogu (preso dallocchio), avverte vari malesseri qua-
li nausea, dolori intestinali, febbri persistenti, svenimenti e
pu anche divenire vittima di una serie di accadimenti av-
vertiti come inspiegabili e insoliti: gli oggetti domestici e gli
strumenti di lavoro si guastano e si rompono da soli, gli al-
beri e le piante vengono assaliti da parassiti e si seccano, gli
armenti e gli animali da cortile si ammalano e muoiono dim-
provviso. Anche problemi sentimentali e di lavoro sono, non
di rado, ritenuti conseguenze del malocchio.
Non volendo entrare nelle numerose questioni connesse
a questa credenza, in primo luogo la sua collocazione nel pi
ampio orizzonte del magismo sardo, mi limiter a descrive-
re le attuali pratiche e credenze (cfr. Gallini 1973; Cossu
1996, in part. pp. 60-67; 2005, pp. 168-227). Cos come vi so-
no individui che consapevolmente o inconsapevolmente pro-
curano il malocchio, vi sono operatori e strategie consolida-
te demandati a fare fronte a questa aggressione. In ordine
alla trasmissione dei saperi pu essere osservato che essi so-
no avvolti da unaura di segretezza. Il trasferimento di for-
mule e gesti pu avvenire, come ampiamente rilevabile in al-
tri contesti, solo in determinate condizioni di tempo e di
luogo e pu interessare solo soggetti dotati di particolari
virt. Rivelare i saperi riguardanti lo scioglimento del ma-
locchio, al di fuori di questi accorgimenti e prescrizioni, de-
termina la perdita della loro efficacia.
In certi contesti si ritiene che il malocchio non pu esse-
re fatto da un consanguineo ma pu ben essere portato da un
componente della famiglia che non sia dello stesso sangue:
mancai unu connau o una nura (magari un cognato o una nuo-
:c IGNAZIO E. BUTTITTA
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ra), riferisce unanziana informatrice di Quartu. Il malocchio
colpisce generalmente al di fuori delle mura domestiche, ra-
ramente quando ci sincontra tra vicini o conoscenti. Gli uo-
mini vengono colpiti difficilmente dal malocchio, pi spesso
sono le donne a esserne vittime. Le donne sono per anche i
soggetti che pi facilmente gettano il malocchio. Tra loro si
trovano le temibili brscie (fattucchiere, maghe), capaci
con unocchiata di bruciare lerba verde. Particolarmente po-
tente ritenuto locchio delle persone colte e dei preti. In pos-
sesso di saperi, poteri e competenze che sfuggono al control-
lo delluomo comune essi sono temibili anche sul piano del-
limmaginario magico. Lo iettatore identificabile da pre-
cise caratteristiche fisiche, morali e comportamentali. Strabi-
smo, monoculismo, affezioni della vista come la cataratta, la
presenza di puntini nella pupilla (anniaddi), labitudine di
guardare fisso, lessere considerato invidioso, malvagio, ma-
lizioso, sono attributi del potenziale iettatore. Non di rado lo
sguardo malevolo accompagnato da un apprezzamento per
la persona o la cosa da colpire. Tutti e tutto possono cade-
re vittime del suo occhio, ma i bambini sono i soggetti tradi-
zionalmente considerati pi vulnerabili.
La facolt di contrastare gli ogus e brscia (occhi di stre-
ga) ed eliminare il malocchio, si tramanda per linea femmi-
nile (da mamma a figlia o da nonna a nipote). Chi conosce
queste pratiche non pu accettare denaro per lesecuzione del
rituale, pena la sua inefficacia. La guaritrice deve essere in
ogni caso una donna pia e caritatevole.
Il rito ha il duplice scopo di verificare la presenza del-
locchio e di guarire la vittima. Loperatrice (sa majargia, La-
nusei), generalmente una donna, d avvio al rito pronun-
ziando la formula: Po saludi ti servidi (ti serva alla salute);
cui la vittima del malocchio deve rispondere: Deus ti du pa-
ghidi (Dio te ne renda merito).
Componente essenziale del rito lacqua. Questa viene
incantata attraverso una formula, ripetuta tre volte: Eu,
o acqua, ti battizzu in nomini de Deus e de Santu Giuanni Bat-
tista. Il rito dellincantamento accompagnato da una pre-
cisa gestualit (con le mani si tracciano croci nellaria, sul re-
ACQUE DI VITA, ACQUE DI MORTE :c,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 105
cipiente utilizzato, sulla vittima aspergendone la fronte, le
tempie, le ginocchia e i polsi) e dallesecuzione di oraziones
o pregadorias. Queste, come s detto, sono segrete; ecco
perch anche durante il rito vanno pronunciate a bassa vo-
ce e in modo non chiaramente comprensibile.
Nel Campidano si utilizza un bicchiere dacqua, che de-
ve essere santa oppure salata generalmente usando tre grani
di sale che purificano lacqua in sostituzione della benedi-
zione del prete. Esistono, tuttavia, diverse varianti di questa
pratica, ad esempio: si mettono tre o pi chicchi di grano (o
riso) nel bicchiere colmo dacqua, facendosi tre volte il segno
della croce; se i chicchi si gonfiano o si coprono di bollicine
segno che il paziente caduto vittima del malocchio. In
questo caso, egli deve bere lacqua, oppure loperatore la
butta alle sue spalle. In luogo del grano possono essere uti-
lizzati anche carboni o pietre dalle particolari caratteristiche
che vengono ereditati al momento del trasferimento dei sa-
peri. Il malocchio si pu togliere anche con lausilio di un oc-
chio di santa Lucia (opercolo di un mollusco marino) che vie-
ne immerso nel bicchiere. Unaltra versione prevede luso di
olio, che viene versato tracciando una croce su un piatto o un
bicchiere pieno dacqua salata. In questo caso loperatrice fa
scivolare dallindice destro tre gocce dolio nellacqua e de-
sume la gravit del malocchio dai movimenti e dalla forma
di queste.
A titolo desempio riporto alcuni brani di interviste rea-
lizzate da Simone Ligas a Lanusei (1) e da Valentina Calvisi
e Agostino Piras a Stintino (2)
4
. In ambedue i casi a parlare
sono anziane signore:
1) Ero una ragazza, quando mia nonna, prima di morire mi ha
trasmesso questo dono. Vengono da me tante persone, certe
hanno dei malesseri fisici e certe perch allimprovviso gli affa-
ri o lamore non vanno pi tanto bene e sono convinti di esse-
re stati colti da malocchio. () Faccio il segno della croce con
la mano sinistra, prendo un bicchiere dove verso lacqua che
stata benedetta. Dentro lacqua verso tre piccoli carboni acce-
si e sempre con la mano sinistra, che ho usato per il segno del-
la croce, accarezzo il bordo del bicchiere e dico le preghiere. ()
:co IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 106
Queste non posso dirle a nessuno. Solo quando ritengo che una
persona sia degna di ricevere questo dono glielo riveler come
fece mia nonna con me. () Questo rito va eseguito per tre gior-
ni di seguito prima del tramonto del sole. Il terzo giorno con
questacqua faccio il segno della croce sul capo e sul collo del-
la persona, poi mi giro con le spalle verso il camino e con la ma-
no sinistra butto uno alla volta i carboni al fuoco. Faccio bere
tre sorsi di questacqua alla persona interessata e poi la butto al
fuoco. Il rito cos finito e di solito queste persone restano sod-
disfatte.
2) La medicina del malocchio che pratico mi stata insegnata
da unanziana signora della Nurra e sono lunica qui a Stintino
a farla cos. Il rito consiste nel prendere nove chicchi di grano
e un bicchiere di vetro riempito dacqua a met. Inizio pensando
il nome di battesimo della persona, faccio il segno della croce
col chicco di grano prima su me stessa e poi sul bicchiere reci-
tando delle preghiere e infine butto il chicco nel bicchiere. Il bic-
chiere deve toccare la testa dellinteressato. Questa operazione
va ripetuta per tutti i nove chicchi. Si capisce dallinizio se c
il malocchio, se i chicchi immersi nellacqua fanno delle bolli-
cine. Se le bollicine sono tante c tanto malocchio, se sono po-
che ce n di meno, se non dovessero esserci bolle vuol dire che
non c malocchio. Poi prendo una forchetta o comunque qual-
cosa di appuntito per schiacciare tutte le bollicine e i chicchi,
per ammazzare il malocchio. Prendo un cucchiaino dove met-
to un goccio dolio doliva e mi faccio il segno della croce e lo
ripeto sul bicchiere. Dopo si versano tre gocce dolio dal cuc-
chiaino nel bicchiere: in questo modo si capisce se il malocchio
stato tolto. () Lo capisco se lolio immerso nellacqua si spar-
ge, e in quel caso c ancora il malocchio, oppure se le tre goc-
ce dolio restano intatte significa che sono riuscita a toglierlo.
Il bicchiere va poi svuotato nel lavandino con la mano sinistra,
quella che ho usato nel rito.
A prescindere dai diversi ingredienti utilizzati (sale,
grano, carbone, pietre), lacqua resta lelemento comune e in-
dispensabile per compiere il rituale. Non diversamente, al di
l della molteplicit dei riti e dei simboli rituali che vengono
utilizzati nella medicina dellocchio, la presenza dellacqua,
il suo potere di divinare la presenza del male e contribuirne
alla eliminazione attraverso lingestione e il contatto, ne ri-
ACQUE DI VITA, ACQUE DI MORTE :c;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 107
velano il sostanziale potere lustrale e terapeutico, lo stesso po-
tere che viene riconosciuto alle acque benedette dei santi. In
questo caso lintrinseca sacralit dellacqua non esaltata at-
traverso orazioni e riti, ma donata a essa in quanto acqua
del santo, quasi fosse sua emanazione.
Lacqua di san Lussorio
Un significativo esempio di acqua santa quello lega-
to al culto di san Lussorio a Romana, paese di poco pi di
600 abitanti della provincia di Sassari, il cui territorio ca-
ratterizzato dalla presenza di fenomeni carsici e di diverse sor-
genti, alcune delle quali ritenute sacre almeno in epoca pu-
nico-romana, come attestato dal ritrovamento presso queste
di varie statuette votive. A circa 4 km dallabitato sorge il san-
tuario di San Lussorio, una chiesa campestre che ingloba
nellabside una grotta. Dalle pareti di questa trasudano per
stillicidio delle acque che si raccolgono in una cuppella sca-
vata nel pavimento calcareo e in varie altre piccole cavit cir-
colari , cui tradizionalmente ascritto potere taumaturgico.
Particolarmente efficace labba miraculosa di san Lussorio, era
ed ritenuta pro su dolore e sa conca (per il mal di testa).
Essa era comunque utilizzata come rimedio per molteplici
malanni: la prendevano per portarla ai malati, e dicevano che
faceva bene e guariva dai mali. Anche i sacerdoti la consi-
deravano acqua santa; si bagnavano la mano e si facevano il
segno della croce.
Al santo sono tuttoggi dedicati riti pubblici. La festa, che
si svolge il 21 agosto, richiamo per i fedeli provenienti dai
paesi limitrofi. Tra questi numerosi pastori che sopprag-
giungono in prossimit del santuario unitamente alle loro
greggi e, riunitisi in una tanca, collaborano tra loro alla to-
satura delle pecore. La festa dunque, oltre che unoccasio-
ne per entrare in contatto con il santo e le sue benefiche ac-
que, anche un momento di rilevante valore sociale, un luo-
go elettivo in cui si rinnovano rapporti di amicizia, fondati
sul rispetto e la reciprocit, attraverso la condivisione del la-
:c IGNAZIO E. BUTTITTA
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voro, del pasto (gnocchetti, carne di pecora al sugo, agnel-
lo arrosto e vino) e di altri tradizionali momenti conviviali
(canti, danze, giochi) che si susseguono nel corso della gior-
nata. La sera il momento delle celebrazioni religiose: la sa-
cra funzione, la processione del simulacro accompagnato dai
fedeli, dalla Confraternita della Santa Croce, da vari grup-
pi in costume.
Senza bisogno di ricorrere ad altri esempi facile con-
statare che nel caso delle acque, cos come avvenuto per al-
tri importanti simboli sacrali, come il fuoco o lalbero (cfr.
Buttitta I. E. 2002b; 2006a), miti e riti arcaici sono stati ri-
convertiti entro una cornice cristiana. Scrivendo nuove sto-
rie con antichi materiali, la Chiesa ha operato una comples-
sa e sistematica risignificazione e rifunzionalizzazione di cul-
ti, pratiche e credenze, garantendone, almeno a livello feno-
menologico, il protrarsi nel tempo. Nel caso specifico veni-
va in aiuto il simbolismo delle acque gi presente nellAnti-
co Testamento, nei Vangeli e nelle successive dotte elabora-
zioni della letteratura patristica. Non sorprende pertanto
constatare acque battesimali, acque lustrali, acque benedet-
te costituire componenti normalizzate del corredo liturgico
ed extraliturgico.
La condanna dei culti delle acque di fatto, insieme a
quella del culto degli alberi, uno dei motivi pi ricorrenti
nella letteratura agiografica, capitolare, conciliare e sino-
dale. Gi Agostino osserva luso di offrire oggetti alle ac-
que dei pozzi e delle fonti templari (Lettere, 47, 4) e Cesa-
rio di Arles nei suoi Sermones si scaglia ripetutamente con-
tro luso di frequentare le fonti a scopi cultuali, di ad fon-
tes orare e ad fontes adorare (XIII, 5; XIV, 4; XXXV, 4; LIII; LIV,
5). Pi tardi santEligio di Noyon invita i suoi fedeli ad ab-
bandonare questa pratica idolatrica (Vita Eligii, II, 16).
Cos diversi Concili e Capitolari insistono nel condannare
tali pratiche (cfr. Spanu 2008, pp. 1034 sgg.). Tra laltro nel
XII Concilio di Toledo ritorna lammonizione per exco-
lente sacra fontium, ut agnoscant quod ipsi se spontaneae
morti subiciunt (Concilium toledanum, can. XI) e nel Ca-
pitolare de partibus Saxoni promulgato da Carlo Magno
ACQUE DI VITA, ACQUE DI MORTE :c,
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si sanzionano per fasce di reddito coloro che fanno ad fon-
tes votum (26, 21).
Lantico simbolismo dellimmersione purificatoria e ri-
generatrice nellacqua fu arricchito dal cristianesimo di
nuove valenze religiose attraverso la lettura del Vecchio e
del Nuovo Testamento (cfr. Cabrol 1921, IV, 1, coll. 1680-
1690). I padri della Chiesa, infatti, sfruttarono i valori del
simbolismo acquatico diffusi nei sistemi religiosi prece-
denti interpretandoli allinterno del mistero della Reden-
zione (cfr. Cocchini 1983, I, coll. 38-41). Nel rituale batte-
simale luomo muore simbolicamente per mezzo dellim-
mersione e rinasce purificato, rinnovato, come Cristo risu-
scit dal Sepolcro. san Paolo nellEpistola ai romani (VI,
4) a riconoscere che se mediante il Battesimo abbiamo
partecipato, per imitazione, alla sua morte, parteciperemo
egualmente alla sua resurrezione (cit. in Eliade 1948, p.
203). Ancor pi esplicitamente san Giovanni Crisostomo
scrive che il Battesimo: Rappresenta la morte e la sepoltura,
la vita e la resurrezione (). Quando immergiamo la testa
nellacqua come in un sepolcro, il vecchio uomo sommerso
e sepolto tutto intero; quando usciamo dallacqua, luomo
nuovo simultaneamente appare (p. 204). E san Cipriano di
Cartagine, oratore pagano convertitosi al cristianesimo, nel
III secolo descrive cos la sua esperienza: Alla fine decisi di
chiedere il battesimo. Scesi in quelle acque che danno la vi-
ta e tutte le macchie del mio passato furono cancellate. Af-
fidai la mia vita al Signore; egli purific il mio cuore, e mi
riemp del suo Santo Spirito. Ero rinato. Ero un uomo nuo-
vo (cit. in Rees 1992, p. 67).
Storici delle religioni, etnologi, studiosi della cultura folk-
lorica si sono dedicati allo studio dei complessi mitico-rituali
entro i quali la presenza dellacqua, al di l delle manifeste
connotazioni cristiane, sembra rinviare a precedenti confi-
gurazioni sacrali (cfr. Bachelard 1942, pp. 182 sgg.; Di No-
la, a cura, 1970, I, pp. 22-33; Eliade 1948, pp. 193-221 e 503-
506; Gonzlez Alcantud, Malpica Cuello, a cura, 1995; Du-
rand 1963, pp. 170 sgg.; Seppilli 1990; Van der Leeuw1956,
pp. 38 sgg.; Hidiroglou 1994. Cfr. Krappe 1952; Raymond
::c IGNAZIO E. BUTTITTA
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1958; Rudhart 1971; Masson 1985; Heritier 1986; Satta 2002).
In ordine allinterpretazione delle espressioni e delle pratiche
magico-religiose connesse allacqua si pone per il problema
della presunta universalit di certi simboli. Se vero infatti
che simboli come lacqua, il fuoco, lalbero della vita, la mon-
tagna, ricorrono allinterno delluniverso magico-religioso di
culture tra loro lontane nello spazio e nel tempo, pur vero
che osservandone da vicino le declinazioni mitico-rituali,
emerge una complessit difficilmente riducibile a una lettu-
ra univoca.
Una corretta analisi deve fondarsi, avverte Di Nola (a
cura, 1970), sulla osservazione delle realt storico-econo-
miche e a partire da queste giungere ai posteriori processi
di idealizzazione simbolica che si presentano, alcune vol-
te, nelle religioni. Lacqua, sotto tale orientamento di ri-
cerca, una realt culturale complessa che assume significati
peculiari in rapporto alla variet delle forme economiche (I,
pp. 22-23).
Accogliendo questo suggerimento cercher qui di segui-
to di enucleare dallampio insieme di credenze e pratiche re-
lative allacqua, alcuni dei motivi pi diffusi allinterno di un
limitato contesto storico-geografico, larea euro-mediterranea
(non senza ovvi riferimenti al mondo indo-iranico) e in am-
biti segnati da forme di produzione agro-pastorale.
Il simbolismo dellacqua si ritrova variamente articolato
in seno a diverse culture dellarea euro-mediterranea alme-
no a partire dal Neolitico (cfr. Corrain, Rittatore, Zampini
1967; Seppilli 1977; Dini 1980; Caulier 1990; Loicq 2000).
certo banale asserire con Maneglier (1991, p. 7) che se
luomo intrattiene con lacqua rapporti particolari, a cau-
sa dellassoluta necessit che ha di questo elemento sempli-
cemente per mantenersi in vita. Eppure proprio in questa
assoluta necessit, nella consapevolezza che la vita umana,
animale e vegetale, dipende dalla presenza dellacqua, van-
no cercate le radici della sua assunzione simbolica da parte
delle societ agricole e pastorali. Fecondit e accrescimen-
to sono i suoi benefici doni alluomo; egli, vedendo il suo
campo vivificato dalla pioggia, dallacqua sorgiva o dalli-
ACQUE DI VITA, ACQUE DI MORTE :::
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 111
nondazione coglie () una rivelazione della potenza divina
(Van der Leeuw 1956, p. 39). Nei miti lacqua si confonde
spesso e non a caso col seme virile. la pioggia espressione
della divinit uranica, che feconda la Terra Madre permet-
tendo la generazione delle messi. Ricorrente la coppia di-
vina Cielo-Terra, dove il primo rappresenta la divinit su-
prema e la Terra viene raffigurata come sua divina compagna
(cfr. Eliade 1948, pp. 245-247; Dini 1980, in partic. pp. 11-
30). Non diversamente divinit fluviali o lacustri, basti pen-
sare al Nilo o al Tiberinus pater, incontrano la terra in un fe-
condo amplesso. Una invocazione assirobabilonese recita:
Tu, fiume che hai costruito tutto, / quando i grandi dei ti
scavarono, / sopra le tue sponde posero prosperit. / Nel tuo
interno Ea, il re dellabisso, costru la sua dimora. / (...) Fiu-
me grande, fiume sublime, fiume retto, / regalaci la ricchez-
za della tua acqua (Furlani, a cura, 1991, p. 60).
Lacqua, portatrice di vita, dunque dono divino, divinit
essa stessa. Non pu allora sorprendere che divinit acqua-
tiche popolino i pantheon tanto indoeuropei quanto semiti,
che esseri divini o semidivini abitino fonti, fiumi, laghi, e che
lacqua, infine, ricorra in numerosissimi rituali divinatori, lu-
strali, sacrificali, terapeutici. Gli dei e le dee che presiedono
alle acque sono riferibili a quella che Dumzil ha chiamato
terza funzione, propria degli strati sociali incaricati delle
attivit produttive in specie agro-pastorali. Essa implode le
nozioni di fertilit e di potenza guaritrice e vi sono frequen-
temente invocate le dee-madri, protettrici di piccoli gruppi
sociali, compassionevoli e vicine alla sensibilit popolare
(Loicq 2000, p. 27).
Se lacqua celeste si caratterizza spesso come elemento ma-
schile, seme virile, le fonti, le sorgenti, i pozzi, le polle dac-
qua termale che scaturiscono dalle viscere della terra sono
espressione della Grande Dea, della Madre Terra (cfr. Gim-
butas 1989; 1999): acque terapeutiche e fecondatrici, abita-
te da divinit femminili, da ninfe, poi da fate, per essere in-
fine consacrate, in una continuit millenaria a sante e ma-
donne (Harf-Lancner 1984). Eliade (1948, pp. 206-207) sot-
tolinea come
::: IGNAZIO E. BUTTITTA
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Alla multivalenza religiosa dellacqua corrispondono, nella sto-
ria, numerosi culti e riti accentrati intorno alle sorgenti, ai fiu-
mi e ai corsi dacqua; culti dovuti innanzitutto al valore sacro
che lacqua, come elemento cosmogonico, incorpora in s, ma
anche allepifania locale, alla manifestazione della presenza sa-
cra in un certo corso dacqua o in una certa fonte.
Ai culti delle sorgenti e dei corsi dacqua cui accenna
Eliade devono essere connessi, almeno a partire dallEt del
Bronzo, quelli delle caverne profonde intese come passaggio
verso le viscere della terra, sede di divinit ctonie, e certa-
mente connesse alla sfera della fecondit. Osserva Peroni
che nei casi in cui da queste profondit sgorga una sorgen-
te dacqua, la connessione con tale sfera appare pi eviden-
te (1994, p. 311).
LAcqua viva, le fontane di giovinezza, lAcqua di Vita
ecc. sono le formule mitiche di una stessa realt metafisica e
religiosa (Eliade 1948, p. 199). Lacqua sostanza magica
e medicinale per eccellenza. Guarisce, ringiovanisce, dona la
vita eterna (p. 193). NellAtharva Veda (II, 3, 6) si dice che
le acque, in verit, sono risanatrici; le acque espellono e
guariscono tutte le malattie (ib.). Questa linfa vitale e rige-
neratrice per spesso difficilmente accessibile. Sgorga in an-
tri oscuri, luoghi reconditi e pericolosi. custodita da mo-
stri, draghi, demoni, fate.
Da dove deriva questa forza vitale che pervade le acque?
Nella percezione arcaica le acque sono allorigine del cosmo,
esse sono matrice delle diverse possibilit di esistenza, fon-
damento di ogni manifestazione cosmica, ricettacolo di tut-
ti i germi, simboleggiano la sostanza primordiale da cui na-
scono tutte le forme e alle quali tornano per regressione o
cataclisma. Le acque dunque: precedono ogni forma e so-
stengono ogni creazione (pp. 193-194).
Senza bisogno di fare ricorso alla psicoanalisi, possia-
mo dire che alla connotazione dellacqua come simbolo del-
lorigine deve aver dato il suo contributo la elementare
constatazione che essa a circondare il feto nel ventre ma-
terno. La vita dunque si forma allinterno delle acque ed
ACQUE DI VITA, ACQUE DI MORTE ::,
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emerge da queste. Non a caso un testo della tradizione ve-
dica recita Acqua, tu sei la fonte di tutte le cose e di ogni
esistenza (p. 193), non a caso le antiche cosmogonie del
Vicino Oriente vedono il vivente emergere da un indistin-
to e caotico abisso acquatico primordiale. In Egitto era il
Noun, il grande oceano anteriore alla creazione di tutte le
cose, a essere considerato fonte primaria e condizione del-
la vita, riserva permanente delle fonti vitali. In Akkad, se-
condo lEnuma elish, il poema della creazione, alle origi-
ni, solo le acque primordiali, labzu, si distendevano indif-
ferenziate. Nellarea indo-iranica analogamente ricorrono
diversi miti cosmogonici sul tema delle acque originarie
(Ries 2000, p. 25).
Nella speculazione filosofica antica lacqua assume un
ruolo essenziale nella creazione delluniverso. Talete Mile-
sio annunziava che lacqua era il principio di tutte le co-
se. Per Empedocle lacqua era uno dei quattro elementi
dalla cui diversa unione avevano avuto origine tutte le co-
se. Egli cantava nel suo poema degli elementi non generati,
/ il fuoco e lacqua e la terra e limmenso culmine dellaria,
/ che mai non hanno inizio n hanno termine alcuno: ele-
menti da cui hanno origine tutte le cose che furono e sa-
ranno, e le cose che sono.
Terra, aria, fuoco, acqua sono principio dogni vita. Nel
corso delle feste notturne di Sabazio, il kernos, un recipien-
te ove si mescolavano i liquidi, veniva recato legato a una lam-
pada a rappresentare simbolicamente lagire congiunto del-
le due forze fondamentali necessarie alla crescita dogni vita
fisica, lacqua e il calore (Bachofen 1859, p. 205). Cos nel-
la terracotta la materia intrisa dacqua viene messa in contatto
col fuoco o col sole e in essa dunque alla matrice umida si ag-
giunge la forza del calore (p. 168). In Pausania leggiamo che
secondo la comune opinione del suo tempo luomo doveva
la sua origine al fatto che la terra umida, pregna dacqua, fos-
se stata riscaldata dal sole (Periegesi, VIII, 29, 3-4). Una non
dissimile concezione si ritrova in Plutarco: ogni creatura trar-
rebbe origine dalla duplice azione delle forze dellacqua e del
fuoco solare sulla materia terrestre, caratterizzata come ele-
:: IGNAZIO E. BUTTITTA
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mento femminile (Qustiones conviviales, 2, 3. Cfr. Macro-
bio, Saturn., VII, 16, 1-14 e Ovidio, Met., I, 442 sgg.).
Lacqua , insieme al fuoco, anche tra i principali mezzi
impiegati nei riti di purificazione. Basti ricordare qui quello
dei Parilia, celebrato a Roma il 21 aprile (Sabbatucci 1988,
pp. 128-132. Cfr. Ovidio, Fasti, 4, 721-862; Dionigi dAli-
carnasso, Ant. Rom., I, 88, 3; Plutarco, Romulo, 2, 1-2; Quae-
stiones romanae, 97). I Parilia erano una delle due celebra-
zioni annuali dedicate a Pale (o alle due Pale), dea pastorum
(Dumzil 1969, pp. 257-268). Alla dea venivano richiesti la
protezione totale e permanente di pastori e greggi da malat-
tie, la fecondit, lallontanamento dei lupi e dei demoni, pa-
scoli prosperosi, la buona qualit di lana e latticini, e las-
soluzione dalle colpe involontarie che pastori e animali aves-
sero commesso verso le divinit della campagna (cfr. 1974,
pp. 335-336). I mezzi di purificazione, accuratamente de-
scritti da Ovidio, sono principalmente: lacqua versata al-
lalba sulle pecore, dopo aver spazzato e innaffiato il suolo
dello stabbio, e fuochi di legna e di paglia, attraverso i qua-
li venivano fatti passare rapidamente gli uomini e gli anima-
li (cfr. Ovidio, Fasti, IV, 760-775). Nella stessa Bibbia dal-
tronde gli oggetti impuri vengono fatti passare per lacqua
allo scopo di essere purificati:
Eleazaro sacerdote disse ai combattenti che ritornavano dalla
battaglia: Queste sono le disposizioni di legge che il Signore
ha ordinato a Mos: solamente loro, largento, il rame, il ferro,
lo stagno, il piombo, tutto ci che pu resistere al fuoco lo fa-
rete passare per il fuoco e sar purificato, nondimeno sar pu-
rificato per mezzo delle acque di purificazione. Tutto ci per
che non pu resistere al fuoco lo farete passare per lacqua
(Nm., 31, 22-23).
Perch questa immersione rituale, questo sacro lavacro,
monda dogni impurit ogni oggetto, dogni colpa ogni es-
sere? Eliade (1948), recuperando unarcaica credenza riba-
dita dal cristianesimo, chiarisce bene questo interrogativo
quando scrive che
ACQUE DI VITA, ACQUE DI MORTE ::,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 115
Limmersione equivale, sul piano umano, alla morte, e sul piano
cosmico alla catastrofe (il diluvio) che scioglie periodicamente
il mondo nelloceano primordiale. Disintegrando ogni forma,
abolendo ogni storia, le acque possiedono questa virt di puri-
ficazione, di rigenerazione e di rinascita, perch quel che viene
immerso in lei muore e, uscendo dallacqua simile a un bam-
bino senza peccati e senza storia, capace di ricevere una nuo-
va rivelazione e di iniziare una nuova vita propria (p. 201).
Le abluzioni dunque mondano dalla colpa, da ogni im-
purit morale e materiale annullando sia i peccati sia i pro-
cessi di disintegrazione fisica o mentale (ib.).
Ecco dunque abluzioni, aspersioni, immersioni precede-
re i principali atti religiosi che preparano il contatto delluo-
mo con la sfera del sacro. Prima di entrare nei luoghi sacri o
di compiere i riti si procede dunque a lavare il proprio cor-
po mondando cos simbolicamente anche lo spirito. In Egit-
to, ogni tempio disponeva di un lago sacro, ricordo del Noun
primordiale nelle cui acque si purificavano i sacerdoti prima
di intraprendere le loro funzioni sacerdotali; la preghiera
musulmana del salat preceduta da abluzioni attraverso le
quali il fedele si pone in stato di purit (Ries 2000, p. 26).
Non diversamente nella cerimonia bramanica dellupanaya,
liniziato asperso tre volte dal suo guru perch diventi un
due volte nato (ib.). Allo stesso modo il passaggio dalla di-
mensione sacra alla profana deve essere accompagnato da un
rito purificatorio: Nella legge levitica, il sacerdote che era
entrato nel santuario, era tenuto a lavarsi e a togliersi gli abi-
ti prima di riprendere i suoi contatti con gli altri, che erano
restati estranei a una cos eccezionale ed intensa esperienza
di contatto con il sacro (Lev., 16, 23 sgg.).
Rituali aspersori con intenti purificatori sono conosciuti
anche in relazione ai culti misterici laddove il futuro inizia-
to deve liberarsi dalle sue impurit prima di entrare nella nuo-
va condizione. Il bagno rituale veicolo di purificazione e li-
berazione dalle colpe
nei Misteri Isiaci (Apuleio, Metam., XI), ma diviene vero e pro-
prio rito di rigenerazione, previa la morte mistica dellinizian-
::o IGNAZIO E. BUTTITTA
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do, nelle sequenze centrali dei Misteri Eleusini. Il candidato, nel-
la cerimonia della Katharsis, si bagna, immerso nellacqua e
riemerge con un nome nuovo, segno della sua nuova condizio-
ne (Clemente Alessandrino, Strom., V, 71, 72) (Di Nola, a cu-
ra, 1970, I, pp. 30-31).
Cos il sacerdote greco che aveva offerto un sacrificio di
espiazione, doveva lavare se stesso e i propri abiti in un fiu-
me (Porfirio, De abst., II, 44) (p. 29). Abluzioni e lavacri ri-
tuali sono previsti in diversi contesti culturali anche nel pas-
saggio da uno stato di impurit rituale alla vita comune: co-
s nel caso del parto, del lutto, del contatto col cadavere, del-
la malattia, dello spargimento di sangue.
Se lacqua presentata in numerosi sistemi magico-re-
ligiosi come elemento rigeneratore, come sorgente dogni
forma di vita, essa anche ricordata come segno di disso-
luzione, distruzione, morte (cfr. Saporetti 1982). Lacqua
nella sua assunzione simbolica, come per tutti i simboli,
ambivalente, veicolo e strumento tanto di prosperit
quanto di morte. Se lacqua infatti necessaria alla vita,
leccesso dacqua porta alla sua fine. Lacqua si configura
come un elemento aggressivo in potenza, tale da imporre
il caos sul cosmos. Vi ha notato Di Nola (a cura, 1970,
I, pp. 24-25) un permanente rischio di riemersione del
caos acquatico e di crollo delle strutture sociali e cosmiche,
in uno status primordiale che quello delle acque morte
paludose o della piena violenta dei fiumi. Appartengono
a questo immaginario gli abissi marini, le paludi, il tema del
diluvio universale. Per restare solo a questultimo, ne os-
serviamo la ricorrenza tanto in area semitica quanto in-
doeuropea. Dai poemi assiro-babilonesi, ai miti greci, dal-
limmaginario induista a quello giudeo-cristiano si fa pre-
sente lidea di unacqua mortifera, di un abisso che in-
ghiotte senza scampo, che spegne ogni forma di vita. Da un
lato dunque acque primordiali da cui la vita stessa viene
creata, dallaltro acque apportatrici di morte. Ecco i miti
sumeri di Utnapistim e Ziusudra, il paleo-babilonese di
Atrahasis, lantico-testamentario di No, il greco di Deu-
ACQUE DI VITA, ACQUE DI MORTE ::;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 117
calione, linduista di Manu. Il tema di un diluvio univer-
sale che distrugge tutto e che nello stesso tempo purifica
dando origine a una nuova umanit, la metafora di que-
sta ambivalenza. Forse, pi in generale, della esperienza
ambigua che noi finiamo sempre con lavere di ogni mo-
mento della realt.
1
Il tema dellacqua miracolosa, fonte di vita, purificazione e rigenera-
zione ricorre peraltro in numerose fiabe e leggende (cfr. Caprettini, a cu-
ra, 2000, pp. 52 sgg.).
2
Ordalie sono attestate anche in Sicilia in relazione alle acque consa-
crate ai Paliki (cfr. Ciaceri 1910, pp. 30 sgg.; Lanternari 1951-53, p. 117 e
note; Pettazzoni 1912, pp. 97-102).
3
Riporto qui in breve sintesi i risultati delle indagini svolte dai miei
studenti di Etnografia della Sardegna della Facolt di Lettere e Filosofia del-
lUniversit di Sassari, negli anni accademici 2004-2005 e 2005-2006. In par-
ticolare ho fatto riferimento ai lavori di Francesca Boi, Maria Agostina Pu-
lino, Simone Ligas, Valentina Calvisi e Agostino Piras, Francesca Bernar-
di, Valentina Muras e Maria Solinas.
4
Per pi compiute descrizioni del rituale e per una esaustiva analisi del
suo simbolismo rinvio a Satta 1980, pp. 99-104.
:: IGNAZIO E. BUTTITTA
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Capitolo sesto
La spirale nella panificazione cerimoniale
Il sacro pane
Il pane non solo materialmente elemento costitutivo
della mensa contadina. Che si tratti del pasto festivo, del
desinare quotidiano o delle merende che scandiscono i
tempi del lavoro, non pu esservi un mangiare senza pa-
ne. I gesti che precedono e accompagnano il suo consumo
sono ritualizzati e pregni di significati che trascendono il
puro atto della nutrizione. Esito concreto di un ciclo sta-
gionale di lavoro, il pane deputato a discretizzare il con-
tinuum temporale, a segnare permanenze e cesure, a mi-
surare la durata delle settimane e delle stagioni (Cusu-
mano 1991, p. 87). Il pane il grano, la vita, pane spez-
zato, diviso, mangiato, il simbolo della comunit viven-
te, veicolo di comunicazione sociale, immanenza stessa
del sacro tra gli uomini. La sua manipolazione e il suo con-
sumo sono pertanto soggetti a prescrizioni rituali sin dal
momento dellimpasto. Sono accompagnati nelle societ
tradizionali da gesti ritualizzati, preghiere e formule di
propiziazione e ringraziamento (cfr. Teti 1999, p. 61). Lim-
pasto e la cottura sono accompagnati dalla recitazione di
preghiere e segni di croce e non pu essere infornato la do-
menica e i giorni festivi. Non va posato sottosopra sulla
mensa, il coltello non vi deve essere infisso permanente-
mente. Se cade in terra deve essere immediatamente ripreso
e baciato ecc. (cfr. 1978, pp. 207, 269-270; 1999, p. 61; Cu-
sumano 1991, pp. 70 sgg.; Buttitta 1992, p. 42; Angioni
2000, p. 103).
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Il pane dei morti
Stante il fortissimo valore simbolico del pane nel mon-
do contadino, non sorprende che offerte e consumo ritua-
lizzati di pane siano attestati in numerosissime occasioni ce-
rimoniali. un oggetto dotato di straordinaria potenza
simbolica: microcosmo che accompagna gli uomini nei mo-
menti topici del ciclo dellanno e della vita, connettendo la
vita e la morte. Non a caso pani plasticamente lavorati so-
no elemento caratterizzante e imprescindibile degli altari
e delle mense allestiti in onore di san Giuseppe in Sicilia
come in Puglia e Calabria: complessi artefatti cerimoniali,
peraltro decorati con numerosi elementi vegetali (lalloro,
la palma, il mirto, larancio), destinati a ospitare gli alimenti
ritualmente consumati dalla Sacra Famiglia, dagli Apo-
stoli, dai Virgineddi, impersonati da poveri e bambini/e
non di rado orfani (cfr. Buttitta 2006b; Giallombardo 1990;
2003). Sono offerti e condivisi dunque con figure che in ra-
gione della loro alterit, sono demandate, nei contesti ce-
rimoniali siciliani, e non solo, a rappresentare entit ex-
traumane, in primo luogo i defunti (cfr. Lombardi Satria-
ni, Meligrana 1989, pp. 135 sgg.; Buttitta 1995; Buttitta I.
E. 2006a).
La connessione tra bambini, poveri e morti cerimo-
nialmente esibita in Sicilia in occasione della Festa di san
Giuseppe, si rende ancor pi esplicita in occasione della ce-
lebrazione della Commemorazione dei defunti. Lofferta di
pani rituali ai poveri in suffragio dei defunti era infatti
ampiamente diffusa in Sicilia (cfr. Pitr 1913, p. 184; Uc-
cello 1976, p. 51). Fino a poco tempo fa a Vita (Tp), il gior-
no della commemorazione dei defunti una lunga teoria di
mendicanti si disponeva allingresso del cimitero e riceve-
va in elemosina degli speciali pani antropomorfi che, nel-
la percezione di offerenti e riceventi, erano rappresenta-
zione dei defunti. Anche a Vicari venivano distribuiti ai po-
veri, insieme alle fave, speciali figurine antropomorfe di pa-
ne, dette armuzzi, cio anime dei trapassati (Buttitta 1996,
p. 253). Ad Avola, fino agli anni Sessanta, era diffuso lu-
so di preparare in casa i panuzzeddi r motti, dei piccoli
::c IGNAZIO E. BUTTITTA
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pani rotondi, che, il Giorno dei morti, venivano distribui-
ti ai numerosissimi mendicanti disposti ai bordi della stra-
da che porta al cimitero. Questi pani si offrivano con lin-
tenzione di arrifriscari larmuzzi r mutticeddi, cio suffra-
gare le anime dei parenti defunti (Burgaretta 1988, p.
123). Cucchi si chiamano invece i pani di forma ovale con
una croce incisa che le famiglie di Motta SantAnastasia do-
nano ancora ai bambini il giorno della commemorazione
dei defunti. I pani, un tempo preparati in casa, venivano
distribuiti anche ai vicini e ai parenti. Chi donava riceve-
va in cambio la recita di una preghiera tradizionale cui ve-
niva aggiunto il nome del parente defunto del donatore per
il quale la ccchia era stata preparata:
le ccchie venivano preparate per cibare i morti, perch la sera
precedente la Commemorazione dei Defunti, tutti i morti scen-
devano in terra per fare una processione e in mano portavano
ognuno la propria ccchia. Chi tra i defunti non la riceveva an-
dava in sogno ad un familiare con un atteggiamento di ramma-
rico (Fusto 2003-2004, p. 16).
Pani spiraliformi
Ad Augusta, in suffragio delle anime dei defunti, si pre-
parava la ccchia, realizzata dallunione di due pani a forma
di cornetto con le punte arrotondate uniti simmetricamente
per il dorso. Oltre a far celebrare numerose messe per la-
nima del trapassato, i familiari commissionavano un certo
quantitativo di ccchia destinato ai poveri della citt. Tante
volte il pane era portato dalle Suore di S. Anna, e ancor pri-
ma presso i Conventi dei frati dei vari ordini per essere di-
stribuito nelle mense dei poveri (Carrabino 2003, p. 35). Il
motivo della doppia spirale semplice o affiancata, rilevabile
nella ccchia di Augusta, ritorna in alcune altre panificazio-
ni rituali. A Noto e Siracusa, per la commemorazione dei de-
funti, i dolcieri preparano con farina e miele i pasti ri meli che
articolano in diversa maniera i motivi della spirale semplice
o doppia (Uccello 1976, pp. 55 sg.). In forma di doppia spi-
rale vengono confezionati, per i bambini, i pani di Modica e
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :::
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Canicattini Bagni detti uocci di Santa Lucia (p. 98). A Reita-
no, in occasione della Festa di santa Lucia si preparavano, ol-
tre che la cucca, degli speciali pani attorcigliati a forma di
occhio, gli ucchidda (Falcone 1977, p. 89). Pani che dopo es-
sere stati benedetti in chiesa venivano distribuiti tra amici e
parenti. A Longi, il Venerd santo si preparano i luneddi. Si
tratta di piccoli pani
avvolti a spirale stretta e nel mezzo hanno unimpronta come di
una mano. Il frumento con cui sono fatti i luneddi richiesto
destate dalle famiglie delle varie confraternite, sotto forma di
questua; quelle stesse famiglie, poi si interessano a farlo maci-
nare ed infine lo danno ai fornai. Per devozione, quelle pie fa-
miglie distribuiscono ai fedeli i luneddi (pp. 61-62).
Ricorrenti i pani di forma spiraliforme anche nelle men-
se di san Giuseppe. Un pane a S le cui spire si avvolgono in-
torno a delle sfere anchesse di pane, ricorre nelle tavole di
Santa Croce Camerina. Cos a Cattolica Eraclea, dove tra-
dizione preparare li pucciddati, pani a forma di ghirlanda cir-
colare, con una lustratura prodotta dal bianco duovo e guar-
niti con semi di sesamo (Spoto 1980, p. 111). A Mirabella
Imbaccari, per la stessa occasione, si osserva invece il moti-
vo della doppia spirale affiancata, nella cuddura destinata ad
aprire la mensa del santo falegname. Il suo taglio in due par-
ti disuguali (la parte esterna sar custodita dalla padrona di
casa per essere successivamente ridotta in polvere e mesco-
lata alle sementi) segna infatti linizio del pasto rituale (Per-
ricone 2005, p. 18).
Nei pani cerimoniali a doppia spirale, o che si presenta-
no comunque come unione di due elementi gemellari, si
voluta vedere una stilizzazione dellatto sessuale, della co-
pula, in relazione al fatto che il termine ccchia pu essere
inteso oltre che nel senso di coppia, paio anche in quel-
lo di copula e di organo sessuale femminile (cfr. Pitr
1889, IV, p. 350; Uccello 1976, p. 68; cfr. Piccitto, a cura,
1977, p. 797). Se il valore di questa evidenza etimologica che
conduce a una semplicistica eziologia di genere non pu es-
::: IGNAZIO E. BUTTITTA
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sere negato, pi in generale pu dirsi che i pani doppi, pre-
sentandosi come unione di figure contrapposte e comple-
mentari si inseriscono in un simbolismo ampiamente atte-
stato nel tempo e nello spazio, dalle indubbie implicazioni
cosmologiche e di cui lesempio pi noto quello dello Yin
e Yang cinesi. Sulla base di queste evidenze prover a con-
durre, pur consapevole dei rischi di certe facili suggestioni
iconologiche, alcune riflessioni in ordine alla relazione sim-
bolica intercorrente tra pani cerimoniali, simbolismi spira-
liformi e culto dei defunti.
Portelli tombali a Castelluccio
La doppia spirale affiancata presente nei pani cerimo-
niali siciliani richiama molto da vicino, come gi aveva no-
tato Uccello (1976, p. 56) che vedeva in essi una raffigura-
zione di valore apotropaico degli occhi, le decorazioni a bas-
sorilievo di due portelli tombali provenienti da Castelluc-
cio. Questi raffigurano il primo (tomba 31) una composi-
zione simmetrica composta da due spirali affiancate in al-
to le cui appendici terminano in basso divaricandosi e dan-
do spazio ad un elemento a forbice la cui estremit supe-
riore si inserisce perfettamente tra le due appendici inferiori
delle spirali soprastanti, il secondo (tomba 34) quattro
spirali simmetriche contrapposte a due a due e legate da una
doppia modanatura che si restringe al centro (Tusa 1994,
pp. 131-132).
Motivi spiraliformi non sono daltronde estranei alle
culture isolane. Ricordiamo in proposito una pintadera fit-
tile, proveniente dalla zona collinare tra Monte Maio e
Dessueri in territorio di Gela, decorata nello stile di Serra
dAlto che presenta una doppia spirale con affiancate due
spirali pi piccole (Panvini 1996, p. 11). Sia che si voglia
riconoscere a queste rappresentazioni una raffigurazione
dellatto sessuale e conseguentemente nella spirale una sti-
lizzazione della vulva e/o dei seni, sia che vi si voglia ve-
dere una rappresentazione stilizzata di divinit femminili
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE ::,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 123
della fertilit, sia, pi genericamente, si voglia individuare
in questa enigmatica immagine lunione di principi cosmi-
ci contrapposti, al simbolismo delle lastre castellucciane va
attribuito a nostro avviso un valore protettivo e vitalistico-
propiziatorio associato al tema della fecondit e della ri-
nascita. Esse cio si presentano come documenti di una
ideologia religiosa basata sulla centralit della fertilit e di
esseri sovrumani che a essa sovrintendevano (Tusa 1994,
p. 133). Quanto osservato sui portelli castellucciani pu ri-
ferirsi ai pani cerimoniali di Mirabella Imbaccari come agli
altri esempi di pani spiraliformi e, pi in generale, a mol-
teplici credenze e simboli rituali tuttora osservabili in am-
bito folklorico. Lipotesi pu essere sostenuta da unanali-
si contestuale dei reperti (immagini/oggetti) ma pu esse-
re meglio suffragata da un ampio esame della diffusione del
simbolismo della spirale e dalle relative interpretazioni che
ne sono state formulate.
Forme e diffusione del motivo della spirale
stata formulata lipotesi che il motivo spiraliforme si
sia imposto a partire da esempi naturali, animali, in par-
ticolare la lumaca, il nautilus ecc., o vegetali (Zervos 1956,
p. 44; Boas 1927, p. 161). Le stesse ammoniti, su cui certa-
mente si era esercitata la curiosit delluomo preistorico, co-
stituiscono un ottimo esempio di avvolgimento spiralifor-
me. C anche chi non ha mancato di fare riferimento a un
invisibile DNA umano. Daltro canto alcuni autori hanno
voluto accreditare alcuni motivi ricorrenti nellarte parietale
e segnatamente megalitica, come appunto quello della spi-
rale, di una entoptic origin correlata a certain altered sta-
tes of cosciousness, provocata dalluso di sostanze alluci-
nogene (Lewis-Williams, Dowson 1993, p. 62). ovvio,
tuttavia, che al di l di ogni pi o meno fondata questione
morfogenetica quanto interessa mettere in evidenza il sen-
so o i sensi attribuiti a queste forme nelle diverse culture e
in definibili contesti duso.
:: IGNAZIO E. BUTTITTA
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Per una pi ampia comprensione di questo motivo ico-
nico, bisogna partire dallosservazione che raffigurazioni
di spirali semplici, doppie, doppie affiancate e contrappo-
ste, singole o reiterate sono ampiamente attestate, almeno
a partire dal Neolitico per divenire motivo assai diffuso in
tutto lareale euro-mediterraneo tra la met del VI e la met
del IV millennio a.C., nonch conoscere numerose ricor-
renze nei millenni successivi (Gimbutas 1989, pp. 121 sgg.,
279 sgg. e 293 sgg.). I motivi spiraliformi ricorrono in ef-
fetti in molteplici perimetri storico-geografici, dallEgeo a
Malta, dallEuropa atlantica alla Sardegna e alla Sicilia, dal-
lAnatolia occidentale e ai Balcani, al Vicino Oriente e al
Nord Africa. Non di rado, in contesti templari e funerari o
comunque esplicitamente riferibili a credenze e rituali ma-
gico-religiosi come nel caso dellarte suntuaria e dei manu-
fatti duso bellico.
La distribuzione dei motivi a spirale nei manufatti (cera-
mici, metallici, lignei, cornei ecc.) nonch sulle decorazioni
parietali (pitture, incisioni, bassorilievi ecc.) si presenta am-
plissima nella preistoria e protostoria euro-mediterranea e po-
ne, tra laltro, il problema della individuazione di un even-
tuale centro di diffusione di questo peculiare simbolismo
(cfr. Mackenzie 1926, pp. 47-138). Evans (1894), per esem-
pio, a partire dallesame dei rapporti tra i motivi a spirale di
alcuni scarabei egiziani con analoghi simbolismi egeo-crete-
si, osservava:
La grande importanza delle scoperte cretesi che queste in-
fine rappresentano lanello mancante di una lunga catena, e
dimostrano la connessione storica fra le prime forme europee
di motivi a spirale e i disegni decorativi degli scarabei della
dodicesima dinastia egizia. degno di nota che nello stesso
Egitto (...), questo sistema a spirale pu essere ricondotto in-
dietro alla quarta dinastia (...). Le prime imitazioni Egee so-
no confinate a lavori in pietra, e solo in epoca successiva que-
sti lavori si trasferirono al metallo e altri materiali. Il solido
peso dellevidenza archeologica in questo modo contrasta le
teorie generalmente formulate che sostengono che lorna-
mento a spirale, cos come appar nellarte micenea, fosse
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE ::,
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originato da lavori in metallo (...). Sembra significativo che
questo primo sistema a spirale egeo, nato da questo antico
contatto egizio, cominci a diffondersi in direzione nord, in
una data anteriore ai grandi giorni di Micene. almeno una
notevole circostanza che nei depositi dellEt del Bronzo del-
lUngheria cominciarono a venire alla luce certi stampi dar-
gilla con disegnata una spirale quadrupla che pu esser sta-
ta copiata direttamente dalle rappresentazioni sui sigilli in pie-
tra delle steatiti cretesi (pp. 329-330. Cfr. Myres 1933, pp.
283-284).
Pi di recente Wallis (1929, p. 765), rilevava:
La spirale fu introdotta nellarea dellEgeo dagli invasori giun-
ti in Tessaglia dalla Transilvania, dalle vie della Bulgaria e del-
la Tracia, o almeno la loro cultura si diffuse lungo questa rotta.
Non apparve a Creta fino agli inizi del Minoico II, donde si dif-
fuse nellarea dellEgeo. Da li viaggi sulla rotta danubiana ver-
so la Scandinavia e lIrlanda.
Sulla questione dellorigine egizia, egea o danubiano-bal-
canica del simbolismo spiraliforme diffuso in area euro-me-
diterranea nonch sui rapporti tra i due centri di diffusione
si concentrer ampiamente anche Gordon Childe (1930) con
particolare attenzione alle culture est-europee e alla cultura
di Dimini (1922). Iniziando lesame dei materiali della sta-
zione neolitica di Schipenitz, in Bukovina, lo studioso ingle-
se ritorner a osservare:
La famosa cinta della terra nera dellEuropa sud-orientale, co-
me la corrispondente regione Loess della valle del Danubio, fu
il centro di una brillante cultura neolitica distinta da una note-
vole plastica dellargilla e stoffe riccamente dipinte. Questa cul-
tura ha acquistato sempre pi rilievo negli ultimi anni. Special-
mente dovuto alle connessioni che mostrano le sue caratteristi-
che ceramiche, o si propongono di mostrarle, con quelle del-
lEgeo (1923, p. 163).
comunque da rilevare che vari materiali, tra cui ce-
ramiche incise, orecchini e diverse spille del periodo eneo-
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litico danubiano (culture di Cucuteni, Gumelnitza, Sa lcut-
za) presentano motivi a doppia spirale che ricorrono ana-
loghi in Anatolia e sono attestati fino alla valle dellIndo,
rendendo assai difficile stabilire una cronologia assoluta tra
materiali egeo-cicladici, anatolici e sud-est europei (cfr.
Dumitrescu 1970; Kernyi 1966, p. 72; Campbell 1959,
pp. 488 sgg.). Analogamente pu dirsi per i rapporti tra
Creta minoica, Penisola Balcanica ed Egitto i cui esiti re-
stano tuttora non chiaramente definiti, alimentando unam-
pia discussione sullorigine continentale ou minoenne des
certains motifs artistiques, tra cui, appunto, quelli spira-
liformi (Vercoutter 1951, p. 205). Per esempio Kantor
(1947, p. 102) osserva:
Abbiamo gi visto che il periodo MM II fu la grande epoca del-
lespansione cretese, e che nel tardo Minoico solo poche carat-
teristiche collegano questisola allEgitto. Contrariamente alli-
dea predominante generalmente, adesso appare che anche agli
inizi del periodo LH 1-11, gli uomini di mare del continente por-
tarono prodotti dellEgeo in Egitto e allo stesso tempo comin-
ci a svilupparsi il loro commercio con lAsia. I cambiamenti nel-
larte egiziana attribuibili allinfluenza micenea sono stati di-
scussi. In Asia, segni comparabili di influenze occidentali sono
assenti lungo il XVI e XV secolo, fino agli inizi del XIV secolo. I
disegni a spirale come quelli del sigillo di Ir-Mermer, re di Tu-
nip, potrebbero riflettere possibilmente i prototipi egei, ma le-
videnza disponibile al presente non indica che elementi dello sti-
le faunistico egeo, come il galoppo volante, fossero adottati in
Asia a quei tempi.
Non lindividuazione di una o pi aree di origine del
simbolismo spiraliforme tuttavia la questione di nostro inte-
resse, piuttosto il valore attribuito a tale simbolismo dalle di-
verse culture. Come hanno osservato Bianchi Bandinelli e Pa-
ribeni (1976, p. 11):
La radicata abitudine di cercare lorigine di ogni forma arti-
stica nelle influenze e derivazioni esterne quanto mai anti-
storica e lontana dalleffettivo processo genetico dellarte, as-
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE ::;
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sai pi ricco di significati di quanto non ne veda chi la im-
poverisce risolvendo tutto con fenomeni di influenza. Spe-
cialmente nelle civilt pi antiche, infatti, le caratteristiche
tendenze delle forme artistiche ad esse peculiari si determi-
nano in modo chiaro ed esplicito proprio nelle fasi iniziali, le
pi ricche di spontaneo bisogno di esprimersi attraverso le
forme sensibili.
Daltro canto, rimandando per il problema della forma-
zione dei simboli a quanto precedentemente osservato (cfr.
cap. I), ricordiamo che il processo di acquisizione di tratti cul-
turali provenienti dallesterno segue dei percorsi ben chiari-
ti da Jakobson e Bogatyrv (Jakobson 1985). Nel nostro ca-
so la spirale e il suo valore simbolico vengono accolti ed
eventualmente riformulati con nuove e diverse sfumature, in
presenza di unesigenza, diffusa e condivisa, preesistente nel-
la cultura acquirente.
Senza nessuna pretesa di esaustivit, estrapolando tra i
molteplici esempi possibili, mi limiter a segnalare il ri-
correre di questa iconografia in diversi contesti e varie
epoche allo scopo di rilevarne lamplissima diffusione e cer-
carne di comprenderne i valori simbolici. Una delle pi an-
tiche raffigurazioni della spirale proviene da una sepoltu-
ra infantile paleolitica di Malta, nella zona del lago Baikal.
Accanto allo scheletro di un bambino di circa quattro an-
ni sono state, infatti, rinvenute delle collane in grani da-
vorio con medaglione a forma di uccello e un medaglione
recante su un lato incise tre figure ofidiche e sullaltro un
disegno a spirale a sette circonvoluzioni (Campbell 1959,
pp. 378-379). Si tratta di un caso isolato che tuttavia sem-
bra suggerire la presenza di una relazione tra motivi spi-
raliformi e temi della rinascita che troveranno pi esplici-
ta associazione nelle epoche successive. Dalle localit di Se-
sklo (V-IV millennio a.C.) e Dimini (III millennio a.C.) in
Tessaglia, provengono numerose statuette femminili stea-
topigie e ceramiche con motivi geometrici a nastro, a mean-
dro e a spirale che mostrano notevoli analogie con mate-
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riali macedoni, rumeni (cultura di Cucuteni), ucraini (cul-
tura di Tripolje) e, pi in generale, con vari reperti del ba-
cino del Dnjester (Bianchi Bandinelli, Paribeni 1976, pp.
7-8). Di fatto notevole diffusione hanno i motivi spira-
liformi, sia in sequenza, running spirals, sia a doppia
spirale contrapposta, S-spiral, nelle decorazioni cerami-
che neolitiche dellarea Dniestro-danubiana (Ucraina, Mol-
davia, Transilvania, Iugoslavia, Bulgaria occidentale, Un-
gheria sudorientale).
In particolare dalla documentazione disponibile pu
dirsi che il motivo a doppia spirale contrapposta sia uno
degli elementi basilari delle decorazioni della regione dnie-
stro-danubiana, un elemento, i cui mutabilit e cambia-
menti mostrano unevidente vitalit e una lunga evoluzio-
ne nellarte decorativa di questa regione della civilizzazio-
ne neolitica (Kandyba 1936, p. 246. Cfr. Campbell 1959,
pp. 488-489). Spirali variamente articolate si ritrovano pe-
raltro nei decori fittili della ceramica del tipo Cucuteni
(Romania) della fine del V millennio e in molteplici espres-
sioni apparentemente pi tarde della cultura figurativa mi-
noica (Milo, Fests, Mallia, Hagia Triada ecc.) e segnata-
mente nella produzione ceramica (Platon 1975, figg. 44, 47,
82, 98, 102, 113). La spirale compare, come ricorda Kernyi
(1966, p. 71), a decoro di soffitti, pareti e portali dei pa-
lazzi di Cnosso e di Tirinto e nelle tombe a tumulo di Mi-
cene e di Orcomeno. Tra laltro una splendida tavola del-
le libazioni con quattro coppie di spirali contrapposte in
altorilievo, ascrivibile al Minoico medio, stata rinvenuta
a Fests (Nilsson 1949, pp. 152-153). Tra i materiali mice-
nei merita di essere ricordata la coppa in oro a quadrupla
spirale appartenente al cosiddetto tesoro di Egina, mo-
tivo sul quale Evans (1892-93, p. 197) osserva: La qua-
drupla disposizione di questo motivo, il singolo manico, e
proprio il generale contorno della coppa, richiamano cu-
riosamente una classe di vasi di terracotta caratteristici
dellet del bronzo ungherese.
Diverse attestazioni di simbolismi spiraliformi si se-
gnalano nei Balcani e segnatamente in Grecia e negli arci-
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE ::,
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pelaghi. Running spirals e spirali singole ricorrono nu-
merosissime nei materiali ceramici relativi a Lerna (Heat
Wiencke 1998). Tra questi ricchissimi motivi, a stampo,
a spirale semplice o in sequenza fanno parte delle decora-
zioni di numerosi pithoi relativi a Lerna nei livelli dellan-
tico elladico, tanto che questi motivi insieme a quello dei
cerchi concentrici possono essere considerati come i ty-
pical design for the entire period (1970, p. 104). Analo-
ghi simbolismi, may be designs symbolic of regenera-
tion, si rinvengono in diversi materiali ceramici prove-
nienti dalla necropoli di Aghios Kosmas (Mylonas 1959).
Tra i materiali cicladici di questo periodo, segnatamente
dellEarly Cicladic II, vanno segnalati dei particolari piat-
ti circolari forniti di piede (spesso duplice) il cui fondo si
presenta interamente decorato con vari motivi, assai spes-
so con sequenze di spirali e cerchi concentrici. Sebbene la
funzione di questi manufatti in terracotta (pi raramente
in pietra e bronzo), rinvenuti oltre che nelle Cicladi anche
nelle aree costiere della penisola balcanica (Attica, Eubea
ecc.), resti discussa, alcuni elementi e segnatamente proprio
il complesso apparato simbolico ne suggeriscono una fun-
zione cultuale o comunque una relazione con la sfera reli-
giosa (Coleman 1985, pp. 202 sgg. e 218 sgg.). Di partico-
lare rilievo il fatto che ai motivi a spirale e cerchi concen-
trici risulti assai spesso associata, al di sopra del piede,
una evidente raffigurazione del triangolo pubico, quasi a
proporre nel complesso una stilizzazione di una feconda
dea del cosmo.
Il simbolismo spiraliforme di probabile derivazione
egeo-cretese, inciso o dipinto, ricorrente nelle produzio-
ni ceramiche argive, laconi, protoattiche e protocorinzie
dellVIII-VII secolo a.C. Di particolare rilievo la kylix rin-
venuta nella necropoli di Halieis (Porto Cheli) nel Sud
dellArgolide associated with the grave of a child of ap-
proximately five to ten years of age (Rudolph 1976, p.
240). Riferibili allo stesso orizzonte cronologico sono di-
versi materiali ceramici cicladici con spirali variamente ar-
ticolate e le anfore di Melos. Notevole un idolo femmini-
:,c IGNAZIO E. BUTTITTA
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le relativo allisola di Lemno che vede il torace attraversa-
to da unampia fascia a spirali fino alla vita dove incontra
una fascia verticale, a mo di cinta, anchessa con spirali in
sequenza. Della fine del VII secolo inoltre un piatto ro-
dio che raffigura il duello tra Menelao ed Ettore su Eufor-
bo giacente dove si osserva linterno degli scudi decorato
con quattro doppie spirali. A tale proposito, cio la pre-
senza di spirali in temi bellici, segnaliamo: la decorazione
della corazza di un guerriero scolpito su un fregio in pie-
tra del IV secolo proveniente da Bormio. Su di essa si os-
servano due coppie di spirali affiancate unite da un ele-
mento centrale verticale del tutto simili nellorganizzazio-
ne dei motivi al gi ricordato portello tombale castelluc-
ciano e anche sullo scudo ricorrono motivi a spirale e cer-
chi concentrici (Rittatore Vonwiller 1975, p. 290). Una
doppia spirale orna lelsa di una spada del periodo Piceno
II e una serie di doppie spirali contrapposte si osserva an-
che su un elmo in bronzo proveniente dalla necropoli di Pi-
tino di San Severino ascrivibile al periodo Piceno III. pre-
sumibile che questi simboli rappresentati sulle armi dete-
nessero un valore apotropaico-augurale. Come ricorda
Deonna (1953, p. 87), daltronde: Porre degli emblemi sa-
cri, di protezione, sulle armi, sui loro pomoli, sulla loro la-
ma, un uso che risale alle epoche pi antiche, e che si
perpetuato nei tempi moderni.
Spirali variamente articolate si ritrovano nelle produ-
zioni orafe (bracciali, orecchini, spille) dellVIII e del VII sec.
a.C. e pi in generale for Minoan-Mycenean period to the
Hellenistic (Lee Carrol 1970, p. 38). Motivi decorativi a
spirale ricorrono anche negli scarabei incisi del Medio Re-
gno a incorniciare i nomi e i titoli dei possessori e sono pro-
babilmente da mettere in relazione alla presenza degli Hyk-
ss, stante anche labbondante rinvenimento di analoghe
produzioni in Palestina (cfr. Vercoutter 1951, pp. 206-
207). Sempre in Egitto motivi a spirale, che apparente-
mente seguono schemi analoghi a quelli minoici, cicladici
ed elladici antichi ritornano nelle produzioni ceramiche del
Regno di Kerma (III-II millennio a.C.) e nelle decorazioni
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :,:
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pittografiche delle tombe in roccia della XII dinastia rife-
ribili a importanti nomarchi delle province del Medio
Egitto (Shaw 1970, p. 25). Daltronde Kantor (1947) Ha
documentato ladozione della spirale running come moti-
vo dellarte egiziana e ha mostrato che certamente nel pe-
riodo del tardo Secondo Intermedio la decorazione spi-
raliforme divenuta una parte basilare del repertorio sti-
listico egizio (Lacovara 1985, p. 212). Diversi pendenti
a spirale quadrupla sono stati rinvenuti nel cimitero rega-
le di Ur (III millennio a.C.) di fattura analoga a pendenti
e altri monili dello stesso orizzonte cronologico prove-
nienti da Troia II, tra cui si osserva una straordinaria spil-
la (pin) rettangolare a motivi spiraliformi:
La testa una larga placca rettangolare divisa da due linee a
croce, di sezione rettangolare, che sporge in fuori, oltre i la-
ti della placca e finisce in spirali che girano verso lalto. La su-
perficie della placca decorata con quattro pannelli vertica-
li di filigrana a spirale a S (due in ogni pannello) che non guar-
dano tutte nella stessa direzione. Le strisce applicate verti-
calmente, con incise ombreggiature a croce, dividono il pan-
nello; la seconda e la quarta striscia sono doppie, e la striscia
centrale la schiacciata parte superiore della spilla stessa. Sei
vuote miniature di boccali (le due pi esterne rotte) con ba-
si circolari, corpi biconici, colli lunghi e grossi dischi bucati
come coperture sono attaccati sulla sommit delle linee a
croce (Bass 1970, p. 335).
La spirale ricorre nei prodotti fittili e nelle decorazio-
ni ipogee della cultura di San Michele di Ozieri in Sarde-
gna (III millennio a.C.), nelle incisioni ceramiche di Cala
Scizzo e Serracapriola (IV millennio a.C.), amplissima-
mente e in diverse composizioni nelle incisioni su roccia
dei Camuni in Val Camonica e Valtellina secondo motivi
non dissimili da quelle osservabili presso monte Bego (cfr.
Graziosi 1973, tavv. 94a, 97, 157c, 164b, 168b; Guilaine
1976, p. 187; Contu 1997, pp. 103 sgg.; Priuli 2006). No-
tevoli, in proposito, i massi di Ossimo e la stele litica di Ca-
ven di Teglio di Valtellina dove a una figura incisa di ve-
:,: IGNAZIO E. BUTTITTA
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nere steatopigia si accompagnano due coppie sovrapposte
di doppie spirali affiancate del tutto simili a certi motivi
che pi avanti troveremo associati a dee madri e alla ma-
ternit in altri contesti culturali. Daltro canto nella Peni-
sola il simbolismo spiraliforme ricorre ampiamente, inci-
so e dipinto nelle produzioni ceramiche della cultura di
Serra dAlto (Matera) nonch, episodicamente, in altri
contesti (per esempio in una pintadera della Grotta dEr-
ba presso Taranto, in raffigurazioni rupestri della grotta di
Porto Badisco). Vari esempi di spirali semplici e doppie si
osservano anche nelle culture appenniniche dellEt del
Bronzo (cfr. Radmilli 1974, pp. 492-493). Splendide le
chtelains a serie di spirali con pendaglio, anchesso spes-
so a doppia spirale affiancata, rinvenute nella necropoli di
Alfedena. Ricordiamo infine le spiralette bronzee del X-VIII
sec. a.C. rinvenute in area siculo-sicana come Polizzello e
a Cozzo San Giuseppe di Realmese (Palermo, Tanasi 2005,
pp. 94-95).
Anche nelle incisioni su lastre litiche tombali dei san-
tuari-necropoli di Newgrange, Dowth e Knowth (Irlanda)
e Gavrinis (Bretagna) (IV millennio a.C.) ricorrono rap-
presentazioni di spirali doppie e triple in associazione con
cerchi concentrici, coppelle e simbolismi di presumibile ca-
rattere solare (cfr. Dechelette 1912; Coffey 1912; Stockis
1921; Mohen 1989); analogamente si osserva nel sito di
Loughcrew in Irlanda nonch in vari siti della Scandinavia
(Bohusln, Tanumshede ecc.) (cfr. Flom 1924). In parti-
colare sulla pietra dentrata del tumulo di Newgrange si os-
serva una chiara rappresentazione di una triplice spirale e
sulle pietre che lo recintano sono incisi disegni a zigzag, lo-
sanghe, circoli concentrici, spine di pesce, spirali semplici
e doppie. Le spirali ricorrono inoltre sulle pareti e sul sof-
fitto del passaggio che introduce alla camera mortuaria
(Campbell 1959, pp. 490-491).
Diverse articolazioni del simbolismo spiraliforme si os-
servano nei templi maltesi di Tarxien, Hal-Saflieni, Gi-
ganteja e Hagar Quim (fine IV, inizio del III millennio) ove
tra laltro ricorrono spirali con senso di rotazione con-
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :,,
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trapposto, analoghe a quelle della necropoli siciliana di
Castelluccio. Questa notevole presenza di simboli a spira-
le incisi, scolpiti e dipinti nei siti maltesi, ha indotto gi nei
primi del Novecento diversi studiosi a ritenerli a sure te-
stimony to the influence of Egean culture (Dukinfield
Astley 1914, p. 395). Ancora motivi spiraliformi si osser-
vano nella gioielleria dellEt del Rame della Polonia (Ko-
strzewski 1924), nelle fibule e nelle spille a spirale doppia
o contrapposta (a due e quattro spirali), databili al I mil-
lennio a.C., rinvenute nelle regioni danubiane, nella ex Iu-
goslavia e in tutta la penisola balcanica (Alexander 1965),
nonch nella Penisola italiana (per esempio Cuma preelle-
nica II) con importanti esempi gi segnalati per lEt del
Bronzo (tipi Santa Caterina, Peschiera, Bacino Marina,
Garda). Nello stesso periodo la spirale si ritrova in artefatti
ceramici e metallici provenienti dal Bacino dei Carpazi
(cultura di Bodrogkeresztr). Interessanti i bracciali spi-
raliformi in rame che sembrano designare nella loro variet
e per il numero delle spire lo status, il genere e let del pos-
sessore. I bracciali sono letteralmente e metaforicamente
anelli di vita in cui la forma dellartefatto intimamente
connessa al suo ruolo nel mediare gli elementi del corso
strutturale della vita (Sofaer Derevenski 2000, p. 399).
chiaro daltronde che tali ornamenti non erano semplici in-
dicatori di uno status, piuttosto esibivano la loro origina-
ria valenza cultuale, fusa con quella politica e sociale (Ca-
rozzi 2005, p. 13).
Questi sintetici riferimenti danno conto dellampia dif-
fusione nel tempo e nello spazio del motivo della spirale
semplice o multipla e del rilievo simbolico che esso assume
in numerosi casi, restando peraltro improponibile la sua ri-
duzione a fatto meramente decorativo anche laddove la
spirale sia chiamata a rappresentare con assoluta certezza
elementi oggettivi ( questo il caso delle spirali/onde di
certe raffigurazioni darea egea) o si moltiplichi in ripetizioni
lineari (come in certi reperti fittili preistorici e protostori-
ci). Rinviando pertanto alla letteratura in precedenza se-
gnalata per i casi pi noti, Malta, Creta e le aree di diffu-
:, IGNAZIO E. BUTTITTA
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sione della cultura minoica, le regioni dellEuropa atlanti-
ca, larea danubiana, ci soffermeremo ora a illustrare con
maggior dettaglio alcuni contesti duso e le relative artico-
lazioni morfologiche della spirale, nella speranza di potere
circoscrivere alcuni perimetri di significato. In particolare
saranno illustrati e discussi qui di seguito i casi della Sar-
degna pre-nuragica, delle incisioni e pitture rupestri del
Sahara centrale, della cultura est europea di Karanovo e di
certi amuleti di area egiziana.
Le Domus de Janas
Con il termine Domus de Janas si indicano in Sardegna
una variet di grotticelle artificiali ricavate dallescavazio-
ne di blocchi e pareti rocciose (basalto, calcare, granito,
tufo), generalmente adibite a sepolture collettive. Le Domus,
riferibili allorizzonte cronologico del IV-III millennio a.C.,
vantano una presenza sullIsola ampia e diffusa. In parti-
colare quelle decorate (dipinte con ocra rossa e gialla e an-
tracite, incise a martellina e altre tecniche, scolpite a bas-
sorilievo) sono maggiormente presenti nel Nord e nel Cen-
tro della Sardegna e prevalentemente ascrivibili al III mil-
lennio. Tra i motivi decorativi presenti nelle Domus, insie-
me a quelli corniformi, ampiamente attestati e generalmente
riferiti a un Dio Toro compagno della Grande Madre e
garante di vita (Tanda 1985, p. 39), si registrano, spesso in
associazione con questi ultimi e articolati secondo varie ti-
pologie, quelli spiraliformi.
Non poche infatti sono le attestazioni di decorazioni a
spirali semplici, doppie (avvolte verso il basso o verso lal-
to), quadruple, restituite dalle indagini archeologiche. Si
tratta in massima parte di raffigurazioni su superfici lapidee
rinvenute in contesti funerari e, pi raramente, in aree cul-
tuali (Lo Schiavo 1982, pp. 172 sgg. e note). Particolarmente
significative sono le evidenze rilevate nella Domus del-
lAriete di Perfugas (ib.), nella tomba IV di SElighe Entosu
di Cargeghe (Tanda 1977), nella cosiddetta Tomba delle
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Spirali di Sa Pala Larga (Bonorva) e nella Domus delle
Doppie Spirali di Oredda (Antona Ruju, Lo Schiavo
1989). Altre Domus con motivi a spirale sono: Korongiu a
Pimentel (Ca); Montessu II a Santadi (CA); Su Campu Man-
nu, Mesu e Montes II e VI e Noeddale III a Ossi (Ss); Man-
dra Antine III a Thiesi (Ss); Sas Concas a Padria (Ss) (cfr.
Tanda 1985, passim).
Generalmente la diffusione in Sardegna del motivo spi-
raliforme stata associata al progressivo affermarsi della
cultura di San Michele. Essa riferita allassunzione di mo-
tivi decorativi provenienti dallarea egea, dalla Sicilia e, so-
prattutto, da Malta dove si riscontrano significative ri-
spondenze di ordine materiale e monumentale (p. 40), ov-
vero a originali elaborazioni indigene. La questione, come si
vedr pi avanti, non di poco conto. La sua soluzione con-
tribuisce, infatti, in maniera determinante allinterpretazio-
ne del simbolismo spiraliforme sardo.
La Domus delle Doppie Spirali di Oredda (Ss)
La necropoli di Oredda, riferibile a una fase matura
della cultura di Ozieri (prima met del III millennio), con-
sta di diverse Domus de Janas ipogee con ingresso a poz-
zetto ricavate dallo scavo dei banchi calcarei che caratte-
rizzano il territorio. Nel corso dellesplorazione e ripuli-
tura della domus 1 sono state rinvenute diverse rappre-
sentazioni schematiche a rilievo di spirali doppie varia-
mente articolate. In particolare sul pilastro al centro del-
la cella centrale si leggono un motivo a doppia spirale
contrapposta ravvolta verso lalto con un ingrossamento
al punto di giunzione e un doppio motivo a doppia spi-
rale contrapposta e ravvolta verso il basso; le due coppie
sono collegate da un rilievo verticale che sembrerebbe ar-
ticolato in noduli (Antona Ruju, Lo Schiavo 1989, p. 58)
e che rinvia immediatamente ad analogo motivo presente
nella parete destra della tomba ipogea di Tanca dellUli-
veto (Ventura 1977). In questo come in diversi altri casi
si ritenuto opportuno mettere in relazione tale motivo
con quello corniforme di bovidi (semplice o multiplo), pu-
:,o IGNAZIO E. BUTTITTA
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re ampiamente attestato in analoghi contesti e non di ra-
do in associazione a motivi spiraliformi, e considerare le
doppie spirali come unevoluzione del motivo corniforme
bovino o come rappresentazioni di corna ovine. Sempre
nella domus 1, sulla parete dingresso, si osserva ad esem-
pio un
motivo a doppia spirale contrapposta e ravvolta verso il bas-
so, con un rilievo subtriangolare centrale, al di sotto del mo-
tivo corniforme, sul lato a destra del portello. Nonostante le
irregolarit della parete, si distinguono due piccole cuppel-
le circolari vicino alla parte interna dellavvolgimento delle
spirali ed alla base del rilievo triangolare con apice in bas-
so, a destra del quale (guardando) si legge il profilo realiz-
zato con un solco. Sembra dunque che si sia voluta rendere una
protome di ariete o muflone con le corna ravvolte verso il bas-
so, con gli occhi resi con cuppelle e con il muso a semplice ri-
lievo triangolare (Antona Ruju, Lo Schiavo 1989, p. 58; cor-
sivo mio).
Le doppie spirali, dunque, rinvierebbero (siano esse
orientate verso lalto o verso il basso) a palchi di corna. Co-
me riferisce Lo Schiavo (1982), a proposito delle corna ad
andamento spiraliforme (in specie rivolte verso il basso),
sono state avanzate le seguenti ipotesi:
1) che si fosse voluto raffigurare un toro in atto di caricare,
quasi contrapposto allanimale stante; 2) che si fosse voluto
raffigurare un Bos primigenius o Ur, contrapposto al Bos
brachyceros o ibericus; 3) che si fosse voluto raffigurare un
ariete quale animale simbolico dellattivit pastorale con-
trapposto al toro legato al concetto dellagricoltura; 4) sia che
si siano volute raffigurare maschere o teste tagliate, si trat-
terebbe sempre di unepifania animale o di una vittima sa-
crificale, non di un officiante-stregone; 5) per la presenza si-
multanea delle raffigurazioni di toro e di ariete non si esclu-
de la possibilit che nello stesso ipogeo venissero rappre-
sentate pi divinit maschili in epifania animale; 6) non
esclusa la possibilit che le spirali rappresentino gli occhi
della divinit (pp. 175-176).
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :,;
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Tuttavia, fuori da ossessioni corniformi, potrebbe dirsi,
senza forzature, che il rilievo di Oredda rappresenti un ses-
so partoriente, cio una rappresentazione stilizzata sul piano,
di analogo motivo pi esplicitamente e plasticamente rap-
presentato nella nota Dea Madre di atal Huiuk.
In proposito va ricordata
una stilizzazione a giglio, quasi doppia spirale in embrio-
ne, (...) presente sulla parte posteriore dellidolo n. 10 di
Cuccuru Arrius (Cabras, Or) nel quale si proporrebbe di ve-
dere una figura femminile, forse resa nellatto di partorire,
qualora nella protuberanza a bottone subovale si potesse ri-
conoscere il feto nellistante della nascita. In questo caso, fi-
nora unico, il motivo della doppia spirale, anche se in em-
brione, non potrebbe essere disgiunto dal principio femmi-
nile della vita (pp. 178-179).
Pi in generale pu dirsi che le doppie spirali rivolte
tanto verso il basso che verso lalto rappresentino stilizza-
zioni di elementi femminili: i fianchi e la vulva, i seni. Dal-
tronde si sottolinea come sia ben evidente che nel campo
della simbologia e del contenuto magico-religioso non si
possono avanzare altro che ipotesi, purtroppo quasi mai
suffragate da dati di scavo, e tanto vale anche per la domus
1 di Oredda (Antona Ruju, Lo Schiavo 1989, p. 59) e al-
trove si invita ad una posizione esegetica, cauta e possibi-
lista (Lo Schiavo 1982, p. 176). Due dati tuttavia devo-
no sempre essere tenuti in conto: il contesto funerario dei
rinvenimenti e la vocazione agricola delle culture interes-
sate. peraltro da sottolineare quanto osserva Gimbutas
sui motivi sardi a doppia spirale (anche in riferimento al-
le spirali di Castelluccio):
le corna dellariete (...) sono intercambiabili con le spire del ser-
pente e gli occhi della Dea. Lariete era lanimale sacro della Dea
Uccello sin dallinizio del Neolitico. Fu la somiglianza che le cor-
na dellAriete avevano con le spire del Serpente a conferire lo-
ro speciali poteri di rigenerazione (Gimbutas 1988, cit. in An-
tona Ruju, Lo Schiavo 1989, p. 62, n. 83).
:, IGNAZIO E. BUTTITTA
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E pi ancora quanto la Gimbutas (1992, p. 61) scrive
successivamente:
Lutero femminile, con le tube di Falloppio, ricorda nella sua
forma la testa di un toro con le corna: questa sembra la moti-
vazione pi naturale per spiegare limportanza attribuita a
questo motivo decorativo nel simbolismo dellEuropa antica,
dellAnatolia e del Vicino Oriente. (...) La testa di toro, segno
di rigenerazione, ampiamente diffusa (...), anche negli ipo-
gei di Sardegna. Lingresso di alcune caverne sistemato chia-
ramente in modo da riprodurre la testa di toro; altrove gran-
di corna sovrastano lingresso ad indicare simbolicamente che
per entrare nel tempio sotterraneo era necessario introdursi
nella sacralit dellutero. (...) Anche le celebri corna di con-
sacrazione, tipiche della cultura minoica di Creta del III e del
II millennio a.C., costituiscono una continuazione del simbo-
lismo dellutero e della rigenerazione.
Per la studiosa rumena, in sostanza, nellimmaginario
magico-religioso dei primi agricoltori esiste innanzitutto un
principio femminile, restando il maschile non presente o
marginale. Ne deriva che tutto il simbolismo, comprese le
stesse protomi taurine, riflette la profonda credenza in
una dea generatrice della vita, che dalla sacra oscurit del
suo grembo d origine a tutta la creazione (p. 49). Lap-
parente estremizzazione della lettura della Gimbutas tut-
tavia suffragata da numerose evidenze archeologiche in
ordine allamplissima diffusione e al profondo radicamen-
to dei culti femminili dellEuropa neolitica e del Bronzo,
e sostenuta da altri autorevoli studiosi. Bernab Brea (1976-
77, p. 59), ad esempio, vede nella doppia spirale un segno
figurativo della Dea degli occhi, la Grande Madre me-
diterranea.
Se pertanto la lettura della Gimbutas pu sembrare vi-
ziata da un qualche presupposto femminista, relativa-
mente ai contesti sardi, sulla base delle risultanze archeo-
logiche, ha almeno pari legittimit di quella tesa a vedere
nelle corna simbolizzazioni del principio maschile. Anco-
ra una volta la ricorrenza di certo simbolismo (corna, spi-
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :,,
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rali, dee madri) pi che essere spiegata in termini di diffu-
sione di temi cultuali e motivi decorativi a partire da cen-
tri di avanzata civilizzazione (nel caso sardo si pensato a
unorigine egea) deve essere riferita a dinamiche e svilup-
pi locali a partire da un comune orizzonte ideologico di ti-
po neolitico.
Considerazioni
I nomi delle cose e dei luoghi nel loro asciutto declinarsi
sono spesso forieri di densi significati. Domus de Janas, pu
tradursi come Casa delle Janas; ossia, assumendo questo
nome nella sua accezione pi comune e diffusa, delle stre-
ghe o delle fate. In questa necessaria duplice traduzio-
ne insita una solo apparente contraddizione. Se le stre-
ghe sono esseri nefasti e malevoli e le fate esseri positi-
vi e donatori di benessere, le janas sono streghe cattive e
fate buone allo stesso tempo, streghe-fate, entit so-
vrannaturali e misteriose ovvero potenti entit extra-uma-
ne di sesso femminile che possono intervenire variamente
tra gli uomini, ora recando morte e disgrazia, ora vita e ric-
chezza. Tutto sta nel saperle capire, nel conoscere i mo-
di e i tempi in cui poterle rendere benevolenti. Le janas, al
pari delle donne siciliane, delle nerids balcaniche, delle
jinn nordafricane, sono talvolta benevole, talaltra malevole
e secondo capriccio (Guggino 2006, p. 134). Tutti gli dei
sono esigenti e capricciosi: pretendono il rispetto delle re-
gole da parte degli uomini ma possono essi in ogni momento
violarle proprio a sottolineare il loro essere divino, il loro
agire secondo leggi senza mai per esserne soggetti. In ogni
caso, quali che siano le inclinazioni originarie di queste en-
tit extra-umane, secoli di predicazione cristiana, di demo-
nizzazione degli antichi dei e del femminino hanno fini-
to con il farne prevalere una caratterizzazione negativa,
condannandole a essere considerate esclusivamente le pe-
ricolose e malvagie figlie delle tenebre (Lilliu 1980, p.
107). Le Domus de Janas, allora, per tornare dove eravamo
:c IGNAZIO E. BUTTITTA
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partiti, sono le Case delle Donne divine, delle antiche di-
vinit della Terra, divoratrici di corpi e dispensatrici di vi-
ta, le padrone assolute delle dimore e dei figli degli uomi-
ni, le case cio di coloro che ritornano nel grembo della ma-
dre per rivivere e garantire la vita ai viventi, le dimore sa-
cre della vita che ritorna.
Spirali incise e dipinte del Sahara centrale
Molteplici motivi spiraliformi (spirali semplici, doppie, tri-
ple) si rinvengono tra i numerosi e diversificati esempi di ar-
te rupestre incisa (e solo parzialmente dipinta) declinati sul-
le pareti rocciose del Tassili, del Fezzn, dellAhaggar, dellAr
settentrionale (Le Quellec 1993). Ricordiamo qui per chia-
rezza di esecuzione e prossimit con i motivi in esame le raf-
figurazioni tassiliane di spirali semplici di Wdi Djert, Af-
fer, Aberat e Ifregh, le raffigurazioni di spirali doppie a s
e a occhi di Ti-n-Tesaskot, Ti-n-Smad, Ti-n-Tulult e Rayaye,
quelle di spirali triple a triskele di Ti-n-Tulult e I-n-Tirkert.
A questi aggiungiamo gli esempi di spirale doppia a s e tri-
pla a triskele che si rinvengono nellAhggar a Ahtes, Ame-
sera, Imtal.
I motivi spiraliformi si dispongono in varie composi-
zioni. Oltre che isolati e a gruppi, essi ricorrono non di ra-
do in associazione con altri motivi (cerchi, meandri) e fi-
gure umane e animali (bovini, antilopi, giraffe, rinoceron-
ti, elefanti ecc.). Esempi eccellenti in tal senso sono presenti
nei siti di Ti-n-Terirt, dove si osserva un grande bovino, la
vache gante, grave sur dalle, et au corps entirement
dcor de spirales, arceaux, cupules et cercles (Hugot,
Bruggmann 1976, pp. 70-75), e di Ta-Chumfulas nei pres-
si di Wdi Djert dove spirali dipinte sono associate a te-
mi fallici, donne a gambe divaricate, teste teromorfe (Le
Quellec 1993, p. 481).
Riguardo alla diffusione del simbolismo spiraliforme
nellarte rupestre sahariana sono state formulate diverse
ipotesi. La pi diffusa le vuole derivate da analoghi motivi
decorativi ben documentati nellEgitto dinastico e in area
egeo-cretese nei periodi Minoico Antico II e Minoico Me-
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE ::
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dio, cio tra il 2800 e il 1580 a.C. Tuttavia stato dimostrato
che diversi tra gli esempi sahariani sono assai anteriori a ta-
le epoca (Zervos 1956, pp. 144-145). Lo stesso pu dirsi per
lEgitto dove le spirali si osservano sui vasi dipinti del pe-
riodo Nagada II (3500-3100) e ricompaiono solo con la XII
dinastia (2000-1785 a.C.) i cui rapporti col mondo egeo so-
no ampiamente attestati.
Magia di riproduzione e moltiplicazione
Le pi antiche culture produttrici di raffigurazioni ru-
pestri abitanti larea in esame erano costituite da gruppi di
cacciatori. Questo dimostrano in maniera diretta gli esiti
degli scavi e indirettamente la stessa arte parietale con fi-
gurazioni di animali di numerose specie. La ricorrente as-
sociazione di animali e spirali, spesso incise o dipinte su-
gli stessi, ha indotto autori quali Lhote (1984, p. 193) a ipo-
tizzare che certains animaux, ceux recouverts dune spi-
rale, ont t lobjet dun rite denvotement. In altre pa-
role, la segnatura delle spirali sarebbe stata parte di un ri-
to magico-propiziatorio teso a favorire la cattura delle vit-
time. Questa ipotesi, che comunque non rende ragione
della presenza dei motivi a spirale in scene non a caratte-
re venatorio, pu essere utilmente confrontata con quan-
to rilevabile a livello etnologico. La presenza di simboli
spiraliformi si osserva difatti tuttoggi presso le mitologie,
le ritualit e le rappresentazioni pittoriche e plastiche di al-
cuni gruppi tra i quali i dogon, i bambara, i fn, gli ashan-
ti, i senufo, gli yoruba, i luba e i lulua. Nel complesso, per-
tanto, pu dirsi, anche sulla base dei contesti duso e de-
gli stessi significati ascritti dai fruitori, che la spirale est
un commun glyphe cosmogonique exprimant la dynamique
de la vie, la vibration cratrice originelle; una immagine
diffusa che rinvia, in generale e fatti salvi i casi particola-
ri, par une voie ou par une autre, la mditation fonda-
mentale sur les thmes Vie-Mort, et Priodicit-Reinas-
sance, avec leurs extensions cyngtiques, cosmogoniques
et rotiques (Le Quellec 1993, pp. 497-498). Sulla base di
tali osservazioni pu ritenersi che lassociazione di motivi
:: IGNAZIO E. BUTTITTA
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spiraliformi ad animali oggetto di caccia o comunque de-
stinati allalimentazione, sia legata allidea del ritorno ci-
clico e della moltiplicazione degli stessi e possa avere in cer-
ti casi, come quello della vache gante di Ti-n-Terirt, un
ruolo cultuale.
Simbolismo oculare
sembrato di poter riconoscere nelle spirali del Fezzn
sud-occidentale un simbolismo oculare e, conseguente-
mente, luminoso e/o apotropaico. Lassociazione spirale e
doppia spirale con gli occhi stata peraltro avanzata, sep-
pur limitatamente ad alcuni contesti, da diverse parti. Ba-
sti qui ricordare quanto osservato da Gimbutas a proposi-
to delle doppie spirali degli ipogei sardi e i pani/dolci si-
ciliani detti ucchiuzzi di santa Lucia. A ci si aggiunga
lindiscutibile rappresentazione degli occhi in forma di spi-
rale presente in contesti di varia provenienza: rappelons
ce propos que, chez les Germains, le Cheval psycho-
pompe symbolisant la source de la lumire possde lui
aussi un il spiral (Le Quellec 1993, p. 499). Sulla base
dellampia e diversificata documentazione difficile for-
nire, comunque, sia una identificazione sia una spiegazio-
ne univoche. Infatti sia nel caso in cui la spirale si consi-
deri la stilizzazione di un elemento concreto (gorgo, occhio,
serpente ecc.), sia nel caso in cui la si consideri rappre-
sentazione di unidea o concetto (labirinto, ciclicit, espan-
sione, creazione ecc.), il motivo rimane di difficile inter-
pretazione. In ogni caso resta aperto il problema del sen-
so, o dei sensi, riconosciuti nel simbolo dai fruitori nei sin-
goli e diversi contesti duso.
Dee madri di terra e di pietra
Tra le testimonianze plastiche dellarte preistorica han-
no da sempre colpito per numero e variet quelle riferibi-
li alla sfera muliebre (cfr. Neumann 1956; Lanternari 1984,
pp. 120 sgg.; Lvque 1985, pp. 8 sgg.; Ehrenberg 1989, pp.
100 sgg.; Gimbutas 1989; 1999; Ligabue, Rossi-Osmida
2006). Corpi di donne o parti di essi ricorrono nei pi di-
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :,
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versi contesti, in specie in quelli funerari, a testimoniare la
potenza sacrale riconosciuta al principio generativo fem-
minile da parte delle pi antiche culture. Divinit femmi-
nili appaiono associate alle sfere della riproduzione animale
e umana e della morte sin dal Paleolitico. Secondo Lan-
ternari le caratteristiche delle figure muliebri paleolitiche
denunciano apertamente una funzione magica connessa
con lidea di fecondit e con il sopravvenire dellagri-
coltura in era neolitica la figura muliebre pu ragionevol-
mente essersi arricchita di nuove valenze pi complesse, ed
inserentisi nellideologia della fertilit (Lanternari 1984,
p. 123. Cfr. Lvque 1985, pp. 31 sgg.; Cauvin 1994, pp.
37 sgg.). In generale pu dirsi che la documentazione ar-
cheologica ci restituisce una realt cultuale dove sulle di-
vinit femminili, ora concepite come rappresentazioni di
una vera e propria Madre universale, convergono le idee
di fecondit, di maternit, di regalit e di dominio sulle bel-
ve (Cauvin 1994, p. 46). altres evidente che la Terra Ma-
dre, la Grande Dea dei viventi non era estranea al destino
dei defunti. notevole il fatto che una gran parte dei re-
perti raffiguranti figure o attributi muliebri provenga, ol-
tre che da ambienti templari e domestici, da contesti fu-
nerari. Cos in Sardegna, nelle Cicladi, a Creta, a Malta,
a Micene e Tirinto, nelle tombe megalitiche della Peniso-
la Iberica, nei tumuli neolitici della Tracia, nella Marna. Le
divinit della fecondit umana e vegetale, almeno nel Neo-
litico, dovettero detenere una profonda relazione con il cul-
to dei morti. Culto che a sua volta era intimamente legato
alle attivit agricole.
Nelle prime societ di agricoltori dunque lidea di ma-
ternit strettamente correlata allidea di una terra porta-
trice di frutti e sede dei morti, concorrendo cos a istituire
simbolicamente una relazione tra i cicli agrari e i cicli della
vita umana (Lanternari 1984, p. 128). Fecondit della terra
e fecondit umana, ciclo vegetale e ciclo della vita, si trova-
vano, in sostanza, strettamente associate nellimmaginario
degli antichi agricoltori. Come riassume bene Marina Min-
ghelli (1996, p. 69):
: IGNAZIO E. BUTTITTA
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Il trionfo della cerealicoltura modific radicalmente la con-
dizione esistenziale dellumanit ed il suo universo spiritua-
le. Alla relazione primaria con il mondo animale venne a so-
stituirsi una sorta di solidariet mistica con la vegetazione o
per meglio dire il ritmo della vegetazione riassunse in s il mi-
stero della nascita, della morte e della rinascita. Un ritmo ri-
petuto per sempre, un tempo circolare, un ciclo cosmico.
Tutto finiva e tutto ritornava. Il seme morendo garantiva nuo-
va nascita e moltiplicazione cos come gli dei che morivano e
resuscitavano.
La venere di Karanovo
Una straordinaria testimonianza visuale, decisiva per la
comprensione del senso pi profondo del motivo della dop-
pia spirale nei contesti funerari e cerimoniali, una statuet-
ta in argilla di divinit femminile proveniente dal sito dellEt
del Rame di Karanovo, in Tracia, databile alla met del V mil-
lennio a.C. In questa immagine lenfatizzazione del potere ge-
nerativo, esplicitata dalla amplificazione dei fianchi, culmi-
na nella marcatura del triangolo pubico la cui evidente fes-
surazione sovrastata dal simbolo della doppia spira con-
trapposta (Gimbutas 1989, p. 143). In proposito osserva
Neumann (1956, p. 110 e tav. 6):
Il carattere di questa figura cos primordiale che, indipen-
dentemente dalla sua datazione storica, essa deve essere as-
segnata a uno strato psicologico arcaico. In parte la sua to-
nalit misteriosa deriva dai contrasti in essa contenuti. La
forma di vaso accentua il carattere elementare corporeo, men-
tre il denso ornamento del tatuaggio tende a una decorpo-
reizzazione: il corpo letteralmente coperto di simboli. I se-
ni minuscoli, appena accennati, rafforzano la tendenza, in-
conscia, a trascendere la dimensione corporea elementare. Di-
viene particolarmente evidente il momento dellastrazione, at-
traverso il quale si accentua il carattere significativo, simbo-
lico, trasformatore del femminile: il grembo non caratte-
rizzato come gravido e pieno; il triangolo genitale, che per-
ci viene posto in rilievo, reca il simbolo della spirale, che si
avvita da un capo verso lalto e dallaltro verso il basso. Giun-
giamo cos a un contenuto essenziale di questa tendenza al-
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 145
lastrazione. Una dea raffigurata in tal modo non rappre-
senta solo una dea della fertilit, ma anche una dea della mor-
te e dei morti. Essa la madre terra, la madre della vita, che
domina su tutto ci che scaturito e nato da lei e che ritor-
na a lei. Per tale motivo questa dea tracia, trovata in una tom-
ba, porta in grembo la spirale che sale e scende continua-
mente e che la rivela signora della vita e della morte.
Questa esplicita associazione di vulva e motivi spira-
liformi peraltro altrimenti attestata. Un sesso femmini-
le circondato da quattro doppie spirali si osserva, per
esempio, in un sigillo neolitico in argilla proveniente da
atal Hyk, databile alla met del VII millennio, e in uno
in avorio del Minoico medio (inizio II millennio) rinvenu-
to nella tomba a tholos Dra Kones (Gimbutas 1989, p.
102). Analoga associazione simbolica ricorre in una sta-
tuina di kourotrophos su cui si sofferma Gordon Childe
(1922, p. 264):
In tutte le stazioni dellest Europa, come a Dimini e Sesklo, si
presentano statuette di donne nude. () In alcuni casi il cor-
po coperto con incisioni o motivi dipinti. Nella decorazione,
alcune delle statuette dipinte da Rzhischchev, vicino Kiev, pre-
sentano una sorprendente somiglianza con gli idoli seduti pro-
venienti da Sesklo da notare specialmente il disegno spiroi-
dale sopra i genitali mentre due donne sedute con le braccia
incrociate sui seni, provenienti dalla stessa cultura, richiama-
no le forme di Sesklo.
A questi esempi possono essere accostati quelli che pre-
sentano la vita della dea fasciata da una cintura a spirali. Co-
s nel caso di una statua-vaso del 5000 a.C. proveniente dal
villaggio di Toptepe, sul mare di Marmara. La figura dipin-
ta in rosso sullargilla presenta vari motivi a zig-zag e a che-
vron, a meandro e a spirale e, in particolare, una fascia oriz-
zontale a spirali che la cinge allaltezza della vita (cfr. Gim-
butas 1999, pp. 124-125), cos nel caso del gi ricordato
idolo femminile dellisola di Lemno dove si osserva una cin-
tura con spirali in sequenza.
:o IGNAZIO E. BUTTITTA
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Nel caso della Venere di Karanovo le rappresentazioni
iconica e simbolica della dea trovano assoluta compiutez-
za. Essa sintesi, o meglio tratto di unione, tra le rappre-
sentazioni tendenti a enfatizzare la sua relazione con la
fertilit/fecondit ottenuta attraverso lamplificazione de-
gli attributi sessuali (seno, fianchi, vulva) e quelle stilizza-
zioni simboliche che mostrano pi evidente la sua relazio-
ne con la ciclicit dello spazio-tempo. A partire in que-
stultimo caso dalle figurazioni circolari, ma anche dalle
stesse strutture dei santuari, non di rado, appunto, a pian-
ta circolare. Palermo (2003, p. 148; 1997) ci ricorda, a pro-
posito delle riproduzioni di santuari dellarea sicana e in
analogia con quelli cretesi, che il modellino a pianta cir-
colare rappresenta s la dimora terrena della divinit ma
ne costituisce nel contempo anche la metafora, surrogan-
do la presenza della dea allorch essa, a seguito dellalter-
nanza scomparsa-ricomparsa del ciclo della natura, non
presente alla vista dei fedeli. Come osservava Husserl
(1900-1901, p. 237) se per lasceta limmagine transitus
verso il divino, per il credente la stessa immagine ne la
manifestazione stessa. Questa, pi che assomigliargli, lo
riproduce rendendolo realmente presente.
In queste, come in altre delle sue espressioni figurati-
ve, la spirale pu dunque essere considerata esattamente
quello che Eliade definisce un simbolo religioso, cio un
simbolo che mentre si propone come icona della realt ul-
tima in grado di rivelare una modalit del reale o una
struttura del Mondo che non risulta evidente a livello del-
lesperienza immediata, di fare manifesta alla coscienza
cio attraverso la sua stessa polivalenza, la capacit di
esprimere simultaneamente diversi significati , una realt
pi profonda e misteriosa di quella esperibile attraverso i
sensi, affermando il mondo nella sua totalit e svelando il
lato oscuro e inesplicabile della vita, la sua dimensione sa-
crale e con essa il senso stesso dellesistere (Eliade 1959, pp.
115-116). Questo accade in quanto il simbolo religioso ha
la capacit di tradurre una situazione umana in termini co-
smologici e viceversa e pi precisamente di rivelare la
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 147
continuit fra le strutture dellesistenza umana e le strut-
ture cosmiche (p. 119).
Amuleti per il parto
Non a nostro avviso possibile ascrivere una valenza
meramente estetica alle espressioni figurative delle cultu-
re tradizionali. , per esempio, indubitabile che al simbo-
lismo spiraliforme vada ascritto un valore protettivo-apo-
tropaico, ovvero protettivo-vitalistico, nel suo ricorrere
nelle produzioni orafe (spille, bracciali, orecchini ecc.)
nonch in contesti come quello degli scarabei del Medio
Regno. Difatti, anche a voler ritenere in linea generale lu-
so dei motivi spiraliformi dettato da esigenze estetiche e so-
stenuto fra tradizioni iconiche non consapevolmente agi-
te, vi sono casi ove la lettura contestuale lascia trasparire
un valore simbolico inequivocabile. Lesame del segno non
isolato ma riferito allintero oggetto, alla cultura di ap-
partenenza e, quando possibile, al contesto del suo ritro-
vamento, consente di riconoscerlo come simbolo e di ar-
ticolarne una interpretazione, cio di circoscrivere il cam-
po semantico del simbolo in relazione alle diverse letture
fornite dalla letteratura storico-religiosa e archeologica:
simbolismo oculare, solare, acquatico, del tempo ciclico,
della fertilit ecc.
questo il caso di alcuni amuleti egiziani a spirale
esplicitamente utilizzati a protezione del parto, che finisce
con il rivelarsi correlato ad arcaiche credenze nel potere
protettivo-fecondativo della Grande Dea. Le donne egi-
ziane, per evitare i pericoli del parto, recavano un amule-
to allacciato ai loro corpi in forma di doppia spirale af-
fiancata. Questo amuleto le proteggeva da ogni rischio e
assicurava inoltre al futuro bambino uninfanzia tranquil-
la, scevra da pericoli: in Egypt it is always associated with
pre-natal or post-natal life (Blackman, cit. in Reich 1939,
p. 32). Lamuleto si presenta come lesatta riproduzione del
simbolo della dea madre mesopotamica Ninhursag/Nintu,
la Signora delle nascite, significativamente indicata in un
elenco di dei semplicemente come Utero. Questo simbo-
: IGNAZIO E. BUTTITTA
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lo, nel quale peraltro si voluto vedere lutero bicornato
di una giovenca, ne rappresenta di fatto il suo potere di ge-
nerare come appare chiaro in una placca di terracotta
where the goddess is associated with curious creatures in
an embrionic attitude, intended, no doubt, to depict
either newly born babies or children to the born (Frankfort
1944, p. 198).
In realt la ricorrenza di simili amuleti pare assai pi am-
pia. Si osservano infatti esempi transcaucasici del periodo
di Hallstatt (cfr. Bachatly 1938). Inoltre amuleti simili so-
no stati rinvenuti negli scavi di Tepe Hissar e in vari siti me-
sopotamici (cfr. Reich 1939). Tanto questi amuleti dal si-
gnificato cos esplicito quanto i numerosissimi monili a
spirale semplice o doppia, segnatamente le spille, rinviano
formalmente, ad esempio, al caduceo di Hermes e dunque
a un probabile simbolismo ofidico di cui sono note le va-
lenze simboliche: il est symbole de la fertilit; il est sym-
bole de la gurison e de la protection contre les maux
(Ferwerda 1973, p. 108); pi in generale si pu fare riferi-
mento anche al simbolismo del nodo che esprime una po-
tenza apotropaque ou prophylactique (p. 112).
Letture
Pur venendo riconosciuta, in linea generale, alle rappre-
sentazioni spiraliformi, da parte di numerosi autori, una
qualche connessione con i temi della fecondit, della rige-
nerazione e della ripetizione ciclica, esse sono state oggetto
di diverse e spesso controverse interpretazioni. Nella spira-
le si voluto tra laltro vedere: un simbolo del sole e del suo
corso, un motivo legato al simbolismo acquatico (segnata-
mente una rappresentazione del gorgo o dellonda), o a for-
ze-fenomeni atmosferici come i mulinelli e le trombe daria,
una stilizzazione del serpente o della vulva, ossia un simbo-
lo di rigenerazione e di fecondit inesauribile, una stilizza-
zione di elementi vegetali e floreali ma anche un mero mo-
tivo decorativo non riferibile a fenomeni o idee specifici; in
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :,
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particolare in presenza di doppie spirali stata ipotizzata una
rappresentazione dei seni o degli occhi di divinit del tipo
dea madre, un simbolo della rotazione creativa e dellunio-
ne di forze e principi contrapposti (giorno/notte, vita/mor-
te, maschile/femminile, integrazione/disintegrazione ecc.)
nonch una simbolizzazione del processo del divenire cicli-
co e della rinascita periodica (cfr. Gunon 1957, pp. 46 sgg.;
1970, pp. 11 sgg.; Neumann 1956, pp. 128 e 225; Durand
1963, p. 314; Gimbutas 1989, pp. 279 sgg. e 293 sgg.; Lurker
1987b, pp. 164 sgg.; Gallais 1982, pp. 1-12; Chevalier,
Gheerbrant 1969, II, pp. 420-423; Coomaraswamy 2004,
pp. 38-41, 48, 98-100).
A nostro avviso, stante anche la diversit dei contesti di
rinvenimento, lampia diffusione spaziale e cronologica dei
motivi a spirale e le loro molteplici articolazioni, non pos-
sibile addivenire a una lettura univoca e onnicomprensiva.
Anche se, come sottolinea Kernyi (1966, pp. 90-91), biso-
gna tener conto che la maggior parte delle decorazioni a spi-
rale preistoriche ornavano tombe, sarcofaghi o corredi fu-
nerari e che anche nelle pi tarde rappresentazioni era li-
dea della morte naturale a dominare: quellidea stessa, cio,
che con ogni probabilit prevaleva nelle culture preistoriche
nella espressione formale identificata dalla linea a spirale:
dunque come svolta nel corso della vita che indica una vita
successiva.
In effetti, diversi fatti precedentemente illustrati indur-
rebbero a ritenere che in certi non isolati casi, in particola-
re quando proveniente da contesti funerari (come nei casi
di Newgrange e Knowth in Irlanda, degli ipogei maltesi, di
Mandra Antine in Sardegna o di Castelluccio in Sicilia) o
associata a figure femminili, segnatamente al sesso, lim-
magine della spirale possa essere considerata una rappre-
sentazione del processo di creazione e ri-creazione di ma-
trice agricolo-ctonia, che vede la produzione agraria, la di-
mensione cosmologica e i cicli della vita umana intima-
mente connessi. Essa ambisce a rappresentare la realt nel-
la sua totalit di essere nel divenire, esprime lunit profon-
da del reale al di sotto della sua molteplicit fenomenica, te-
:,c IGNAZIO E. BUTTITTA
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stimonia lorditura del cosmo nella sua irrinunziabile es-
senza di vita e di morte. In altre parole la spirale si propo-
ne come una figurazione sintetica ed efficace dello spazio-
tempo, del processo cosmologico di ripetizione nellaccre-
scimento che trova la sua origine nel sesso fecondo della Dea
Madre, luogo di ogni arrivo e di ogni partenza, solo auten-
tico centro del labirinto esistenziale. Al di l di questa fon-
data ipotesi si pu solo osservare che i segni scolpiti, inci-
si, impressi, plasmati o dipinti, nella roccia, nellargilla, nei
metalli sono sempre tracce materiali di unidea, frutto di un
progetto compreso e condiviso, manifestazioni, soprattut-
to per le epoche pi arcaiche, delleterno rapporto dellu-
mano con il trascendente. Molti di questi simboli presen-
tano la coesistenza di due punti di vista: quello della suc-
cessione, che si riferisce alla manifestazione in se stessa, e
quello della simultaneit, che si riferisce al suo principio
(Gunon 1970, p. 15), ovvero come sintesi di concetti, rap-
presentazioni del divino e delle parole a esso rivolte dal-
luomo: parole di fede e di speranza in una vita oltre la
morte nel ciclico ripetersi del tempo.
Annotazioni
appena il caso di osservare come la spirale si presta a
offrire una rappresentazione del tempo in linea con la vi-
sione del mondo delle societ tradizionali. Se infatti nella
percezione diffusa sembra predominare una concezione
circolare del tempo come succedersi preordinato di even-
ti, coerentemente fondata sullesperienza dei cicli naturali
e dei ritmi del lavoro, non significa che a questa concezio-
ne sia estranea lidea di un accrescimento, di un accumulo
di storie e di esperienze, di un succedersi di vite nella con-
servazione di un senso complessivo dellesistere. Idea fon-
data anchessa su fatti umanamente esperibili quali il dive-
nire della vita individuale, il succedersi delle generazioni,
laccrescimento degli alberi ecc. La spirale dunque un
simbolo che riesce a proporre in intima relazione le due fon-
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :,:
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damentali, e apparentemente oppositive, forme di espe-
rienza del tempo, reversibile/ripetibile ossia ciclico vs irre-
versibile/non-ripetibile ossia lineare (cfr. Leach 1966, pp.
196 sg.; Eliade 1965; Gurevic 1983: in part. 29-43 e 97-162;
Mazzoleni 1987; Miceli 1989a; Le Goff 2001: 115 ss.).
Ha osservato Ren Huyghe (1971, pp. 272-275):
Forma curva come la circonferenza, la spirale si addice mol-
to di pi al fluido in movimento e alla vita, poich tutti e due
percorrono il tempo. In effetti, la circonferenza disegna an-
cora una figura ferma, dunque propria alla stabilit e divisi-
bile in due met eguali: il cerchio. La spirale aperta, apre
una traccia illimitata tra due infiniti: un centro mai raggiun-
to, una periferia mai trovata, di modo che la durata si distende
tra unorigine e una fine mai fissati. Goethe ne era stato col-
pito e indicava in quella non solo il simbolo della vita, ma an-
che quella della vita spirituale e della sua ascesa sempre in di-
venire (). La spirale risolve () perfettamente il problema
posto dalla crescita. Essa si disegna da un punto allontanan-
dosi costantemente dal suo polo di partenza, senza cessare di
dipenderne, descrivendo attorno delle curve di gravitazione.
Detto in altro modo, un punto si sposta costantemente ver-
so la periferia, il che assicura lestensione, su un raggio che
ruota uniformemente attorno a un centro, il che salvaguarda
il principio di unit.
Essa, dunque, sia pure in precisi contesti, , inequivo-
cabilmente, una rappresentazione del processo dellessere
nel divenire, delleterno ritorno, del movimento della vita
gnoseologicamente assunto, confacente alla visione del mon-
do di una societ arcaica. In una Preistoria pervasa di cra-
tofanie femminine, la forza dinamica che la spirale manife-
sta lenergia della dea che in quanto ricapitolazione del
processo cosmogonico influisce sulla generazione e la cre-
scita di uomini e animali, di alberi e piante, combatte la sta-
si e incoraggia la continuit e il rinnovamento incessante del
ciclo cosmico (Gimbutas 1989, p. 295; cfr. anche p. 282).
Una rappresentazione del tempo, peraltro, che si trova raf-
figurata gi nel Neolitico. Si pensi ai circoli, ai circoli con-
:,: IGNAZIO E. BUTTITTA
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centrici, alla successione di tratti, alle serpentine. Ecco, di
tutte le idee proposte da questi simboli, la spirale sintesi
efficacissima. Ancor pi pienamente quella doppia dove la
compresenza dei due sensi di rotazione esprime effettiva-
mente la duplice azione della forza cosmica (Gunon 1957,
p. 47), in quanto lopposizione tra principi antagonisti
indispensabile per ogni creazione (Coomaraswamy 2004,
p. 39). Lebasquais osservava che la doppia spirale: offre
limmagine del ritmo alterno dellevoluzione e dellinvolu-
zione, della nascita e della morte, in una parola rappresen-
ta la manifestazione sotto il suo duplice aspetto (cit. in
Gunon 1957, p. 46). Ma a ben guardare la spirale doppia
esprime unidea ancor pi articolata. Essa esplicita e im-
mediata rappresentazione del principio, della fine e del ri-
torno, della vita, della morte e della rinascita, concettualiz-
zazione iconica cio di un principio fondamentale operan-
te tanto a livello macrocosmico che microcosmico. Il pro-
cesso cosmogonico trova dunque in questa immagine la sua
pi efficace simbolizzazione, pi efficace di quella pur am-
piamente attestata nelle ruote, nelle svastiche, nei cerchi
concentrici (pp. 183 sgg.; 1931, pp. 94 sgg.; Baltrusaitis
1972, pp. 264 sgg.; Zimmer 1946, pp. 20 sgg.): sublime del-
lidea della creazione per espansione con quella della cir-
colarit e della ripetizione dinamiche. La spirale cos inte-
sa non pu che essere un attributo proprio delle divinit del
tipo Terra Madre, se non la sua stessa epifania. Lorigine, che
a un tempo il luogo del ritorno, il fecondo utero tellu-
rico della Dea dal cui ventre tutto si genera e nel cui ven-
tre tutto si dissolve per rinascere in una nuova forma (cfr.
Campbell 1959, pp. 85 e 89 sg.). La spirale diviene cos fi-
gura del viaggio del defunto e del suo ritorno allutero del-
la Madre concretamente figurato dagli anfratti e dalle ca-
verne profondi (Fanelli 1997, p. 37). La risoluzione dellu-
niversale angoscia della scomparsa il mistero racchiuso
nelle spirali, semplici o doppie, che compaiono associate a
contesti funerari da Castellucio in Sicilia a Newgrange in Ir-
landa. Giustificano questa interpretazione le parole di Lea-
ch (1966, p. 197; cfr. anche p. 208):
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :,,
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Le religioni variano certo sensibilmente quanto al modo di ri-
pudiare la realt della morte; uno degli espedienti pi comuni
al riguardo quello che consiste nellaffermazione che morte
e nascita sono la stessa cosa cio che la nascita segue la mor-
te, cos come la morte segue la nascita.
Danze, spirali, labirinti
questa la ragione per cui il simbolo della spirale che
sintetizza in modo straordinario lideologia dei primi agri-
coltori euromediterranei, trova amplissima ricorrenza nel
tempo e nello spazio a livello del culto e del rito. Basti met-
tere in relazione questa iconografia con le espressioni co-
reutiche di ambito cerimoniale che prevedono movimen-
ti circolari alternati o pi complessi motivi a cerchi con-
centrici e a spirali (DAronco 1962, in partic. pp. 269 sgg.;
Louis 1963, in partic. pp. 301 sgg. e 346 sgg.; Toschi 1976,
pp. 53 sgg.; Castagna, a cura, 1988; Gala 1992, pp. 57
sgg.). Come ricorda Sachs (1933, p. 177): Presso i pri-
mitivi e in molte danze popolari europee il girotondo co-
reutico si trasforma spesso in spirale e talvolta in una ser-
pentina. Esempi eccellenti e particolarmente probanti
sono: il ballo della cordella di Petralia Sottana, ballo tra-
dizionalmente seguito per le cerimonie nuziali e per fe-
steggiare il raccolto che vede varie coppie di danzatori
muoversi circolarmente intorno a un palo intrecciando
dei nastri multicolori che da esso si dipartono (Bonanzin-
ga 1995b, pp. 17 sg.); la danza spiraliforme intorno al fuo-
co che ha luogo a Sorrentini in occasione della festa pa-
tronale di san Teodoro (Buttitta 1999, pp. 141 sgg.); le pro-
cessioni a direzioni alternate che vengono eseguite in va-
ri contesti intorno a santuari e oggetti/luoghi sacri come
nel caso della marcia di Bottida, nel Goceano, dove i fe-
deli percorrono tre giri in senso antiorario e tre giri in sen-
so orario intorno al fal di santAntonio Abate o di Cau-
lonia nella Locride dove il Sabato santo le confraternite
percorrono in lenta processione a serpentina la piazza an-
:, IGNAZIO E. BUTTITTA
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tistante la chiesa madre prima di farvi ingresso (2002a, pp.
140 sgg. e 189 sgg.). Questi movimenti rituali, che non a
caso si eseguono in occasione di precise scadenze del ca-
lendario cerimoniale o del ciclo della vita, sono in tutta evi-
denza un legare e uno sciogliere, uno scendere e risalire, un
morire e rinascere, una traduzione performativa dellidea
del ritorno ciclico della vita umana, animale e vegetale e
nello stesso tempo unazione che sostiene questo proces-
so, in altre parole una presentificazione del valore pi ma-
nifesto del simbolo della spirale (cfr. Coomaraswamy 2004,
pp. 38-41).
Senza la pretesa di esaurire la materia o di fornirne una
interpretazione esaustiva e definitiva, per il caso di insi-
stere sulla valenza sacrale attribuita al simbolismo spira-
liforme e alle sue diverse declinazioni, che ricorre in altri
ambiti rituali sotto forma di danze, marce, lotte. A tale pro-
posito va ricordato innanzitutto quanto Plutarco scrive nel-
le sua Vita di Teseo (21; trad. Bettalli 2003), sulla danza del-
le gru eseguita da Teseo a Delo, di ritorno dal suo vittorio-
so scontro con il Minotauro:
Salpato da Creta, Teseo giunse a Delo, e dopo aver eseguito i
sacrifici in onore del dio [Dioniso] e collocato la statua di Afro-
dite che aveva ricevuto da Arianna, celebr la danza che anco-
ra oggi si dice che sia celebrata dai Deli, a imitazione dei mean-
dri del Labirinto e dei movimenti di uscita compiuti secondo
un ritmo alternato. Questo tipo di danza, secondo Dicearco,
chiamata dai Deli della gru [geranos]. Egli danz intorno al-
laltare detto Cheratone, in quanto interamente composto di cor-
na sinistre. Dicono che Teseo abbia pure istituito delle gare a
Delo: ai vincitori, per la prima volta, fu dato da lui come pre-
mio un ramo di palma.
Non possibile ricostruire con esattezza quali fossero
tutti i movimenti della danza e il loro ordine. Si evince, dal-
le testimonianze testuali e iconografiche (segnatamente dal
Vaso Franois custodito presso il Museo archeologico di Fi-
renze), che i danzatori erano 14, giovani uomini e donne al-
ternati che si tenevano per mano.
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :,,
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In tutti i casi, afferma Schan (1930, pp. 120-121) questa
danza comportava molteplici ondulazioni, ripiegamenti e svol-
gimenti, il che ha portato a interpretare le sinuosit di questa
farandola come una imitazione dei giri e rigiri di Teseo nel la-
birinto di Creta. La granos aveva luogo in Hcatombon (lu-
glio), cio e questo probabilmente un ricordo della sua desti-
nazione primitiva nel mese in cui la terra si riveste del suo pi
ricco manto vegetale.
Al di l delle diverse interpretazioni giusto ricordare
con Anca Giurchescu (1973, p. 177) che la danza, al pari
di tutti i simboli mitico-rituali, un signe ambigu, poly-
smique. Cette ambigut est due au fait quune perfor-
mance chorique peut endosser des significations diff-
rentes par rapport aux conditions contextuelles et aux
plans dans lesquels la communication est opre. chia-
ro pertanto che uninterpretazione esaustiva della danza
delle gru dovrebbe tenere conto oltre che dei contesti
culturali dellesecuzione anche delle relazioni con tutta la
vicenda teseica e segnatamente con il superamento della
prova del Labirinto da parte delleroe con il concorso di
Arianna e del suo filo, vicenda che, in analogia al viaggio
agli Inferi di Ulisse e di Enea, si propone come metafora
dellingresso nella dimensione ctonia e del suo supera-
mento in assoluta analogia con i rituali preistorici legati ai
santuari delle caverne profonde. Nellimmaginazione reli-
giosa i temi della nascita e pi spesso della rinascita, osserva
Campbell (1959, p. 81. Cfr. Neumann 1956, p. 178), sono
estremamente importanti:
in effetti, ogni passaggio capitale non soltanto quello dallo-
scurit dellutero alla luce del sole, ma anche quello dallinfan-
zia alla maturit e quello dalla luce del mondo al mistero oscu-
ro della morte paragonabile ad una nascita ed stato ri-
tualmente rappresentato, quasi dappertutto, con unimmagine
di rientro nel ventre materno.
Come sottolinea anche Mario Vittorino (Arte Grammati-
ca, I, 16) caratteristica fondamentale delle evoluzioni erano
:,o IGNAZIO E. BUTTITTA
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le sue inversioni di direzione. Landare per ritornare indietro
come appunto le gru nel loro migrare.
solo il caso di notare che tra le diverse interpretazioni
etimologiche fornite del termine labirinto c quella che lo
vuole derivare da labr-inda traducibile come gioco della ca-
verna (Santarcangeli 1984, p. 37). Se Teseo leroe che
muore e rinasce, il gomitolo di Arianna, sciolto e riavvolto
la spirale della morte e della rinascita, linevitabile destino e
allo stesso tempo la garanzia del ritorno. Il viaggio labirinti-
co lingresso nella madre, il percorrere rebour la via del-
la nascita reintroducendosi nel ventre materno dove alberga
il principio vitale per poi rinascere a nuova esistenza. Dal-
tro canto nelle tavolette in lineare B, il termine dapuritojo, in-
terpretato come labirinto, si ritrova associato a potinija, la
Grande Dea ctonia (cfr. Cagiano De Azevedo 1958, p. 43),
garante dei cicli cosmici e della loro ripetizione. In una ta-
voletta votiva in terracotta, redatta in lineare B, del XV sec.
a.C. si legge: Un vaso di miele per tutti gli dei / un vaso di
miele per la Signora del Labirinto. Da questi elementi po-
trebbe ipotizzarsi che la danza riproduca ritualmente e pre-
sentifichi questo percorso proponendo sul piano mitico-ri-
tuale la risoluzione del destino del defunto.
La danza di Delo richiama immediatamente i versi del-
lIliade dove si descrive ampiamente lo scudo forgiato per
Achille dal dio Efesto. Tra le diverse figure, infatti,
lillustre storpio vi effigi una pista da ballo, / come quella che
un tempo nella vasta Cnosso / Dedalo fece per Arianna dai
bei capelli. / Giovani e ragazze desiderabili danzavano, te-
nendosi per mano allaltezza del polso. / Le ragazze vestiva-
no vesti sottili, i ragazzi tuniche / ben tessute, brillanti dolio
fragrante; le ragazze portavano ghirlande, i ragazzi spade / do-
rate, appese alle cinture dargento. / Talvolta correvano con
piedi esperti, facilmente, / come il vasaio seduto prova con
mano / la ruota tornita per vedere se corre, / altre volte cor-
revano in fila gli uni verso gli altri. / Attorno allamabile dan-
za si riuniva la folla / deliziata, e tra di loro due acrobati / vol-
teggiavano al centro, dando inizio alla danza (XVIII, 590-606,
trad. Paduano 2007).
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :,;
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Doveva trattarsi rileva in proposito Kernyi (1966, p. 57) di
un lungo corteo, perch presto accadeva che essi danzassero
fila contro fila, luna di fronte allaltra. E ci accadeva neces-
sariamente quando la schiera dei danzatori era costretta a cam-
biare la direzione della danza con uninversione del movimen-
to della spirale oppure dei cerchi allinterno della complicata fi-
gura a labirinto: chi si trovava alla testa del corteo cominciava
ora a muoversi nel senso opposto, parallelamente agli altri che
seguivano.
I danzatori, in ogni caso, giovani donne e uomini, si muo-
vono ora circolarmente, ora gli uni verso gli altri tenendo le
mani intrecciate e invertendo il senso di marcia. Motivi que-
sti che si ritrovano in vari altri contesti. Uniti per le mani,
infatti, i danzatori si muovono circolarmente, ora in un sen-
so ora nellaltro, in diverse danze antiche tra cui le pi no-
te restano le parthenie, le danze delle vergini che sotto i lo-
ro passi producono le ricchezze di tutte le stagioni (Filo-
strato, cit. in Schan 1930, p. 123; cfr. anche pp. 123 sgg.;
Gasparini 1952):
Molte sono rituali e simboliche, come lo sono le anfidromie e
la circumambulazione; esse non formano solo un cerchio ma-
gico, di protezione, ma imitano alcuni fenomeni naturali, il lo-
ro ritorno ciclico, il corso circolare degli astri, esercitando una-
zione su di essi. () Esse hanno un valore simbolico e magico
e, nel culto funerario, rappresentano la corsa nellarena della vi-
ta, il trionfo sul tempo e sulla morte (Deonna 1953, p. 146. Cfr.
Sachs 1933, pp. 95 sg. e 126 sgg.).
Un esempio eccellente di danza funebre circolare quel-
lo offerto da un gruppo in terracotta della prima met del II
millennio a.C., rinvenuto allinterno della tomba a tholos di
Kamilari, a Creta. Esso rappresenta una ronda eseguita esclu-
sivamente da uomini nella quale ciascun soggetto si tiene a
quelli a fianco saldamente per le spalle danzando in cerchio
entro un basso peribolo. Leventualit che possa trattarsi di
una danza funebre sostenuta dal fatto che leffigie stata
trovata allinterno di una tomba cinta da un peribolo circo-
:, IGNAZIO E. BUTTITTA
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lare relativamente basso e identico a quello facente parte
della rappresentazione.
Un esempio ancor pi interessante costituito dalla rap-
presentazione pittorica di danza circolare bidirezionale del-
la cosiddetta tomba delle Danzatrici di Ruvo di Puglia,
sepoltura di un membro dellaristocrazia peucezia del IV sec.
a.C. Allatto del ritrovamento lungo i quattro lati interni del
sepolcro a semicamera si trovava raffigurata unininterrota
teoria di danzatrici disposte su due file addossate ciascu-
na di 27 unit e saldamente intrecciate luna allaltra per
le mani, guidate ciascuna da un corifeo e accompagnate da
un suonatore di lira. Ciascuna danzatrice, vestita con un lun-
go chitone e un ampio mantello che ricopre il capo e le spal-
le, tende le braccia a trattenere strettamente per le mani chi
la precede e segue di due posti formando cos una solida ca-
tena umana. Sembra di essere innanzi esattamente ai movi-
menti coreutici che si osservavano il pomeriggio della do-
menica di Pasqua a Gasturi, alle pendici dellAchilleion
(cfr. Kernyi 1966, p. 114) o il luned di Pasqua a Megara,
vicino Atene:
Non solo la gravit ieratica della loro esecuzione e si po-
trebbe dire della loro celebrazione, lindice delle loro origi-
ni lontane, ma vi sono anche particolarit della forma e del
portamento che si ritrovano in numerosi rilievi antichi. In que-
sta tratta le donne avanzano luna vicinissima allaltra e si
tendono le mani incrociandole: la prima passa la mano davanti
alla seconda, allaltezza del seno e la d ad una terza, la se-
conda fa lo stesso con la terza e d la mano alla quarta e co-
s via. In questa stretta catena esse si muovono sotto la dire-
zione di una guida, uomo o donna, lentamente e dignitosa-
mente, senza ondeggiare e con viso impassibile (Sachs 1933,
p. 274).
Come rileva Todisco (2004) il motivo della danza fem-
minile a braccia intrecciate ricorre in altri esempi apuli e, si-
gnificativamente nella cosiddetta hydria della Polledrara
(Vulci), vaso etrusco datato al 570 a.C., sul quale furono rap-
presentati
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :,,
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gli episodi delluccisione del Minotauro da parte di Teseo
con laiuto di Arianna e la danza di ringraziamento che segu
allimpresa. Da qui il collegamento instaurabile tra la pittura
di Ruvo e questo specifico contesto mitico, il quale suggeri-
sce come la catena resa salda dallintreccio potesse rimanda-
re alle insidie del percorso labirintico superate dalleroe e
dai giovani ateniesi da lui portati in salvo, cos come linver-
sione di direzione, documentata con chiarezza nel choros ru-
bastino dalla rotazione allindietro del tronco del primo con-
duttore e dallatteggiamento delle ultime due danzatrici del-
la seconda fila, potesse evocare il ritorno verso la salvezza da
essi compiuto. () Che danze intrecciate nel riferimento
simbolico al mitico filo? e alternate nella direzione fossero
connesse con rituali funerari tra V e IV secolo a.C., secondo
lesempio di Ruvo, sembrano confermarlo, daltra parte, le
scene riprodotte su due vasi apuli, ovvero un cratere del Pit-
tore De Schultess (circa 340 a.C.) e un thymiaterion (tardo IV
sec. a.C.) (pp. 122-123).
Le mani intrecciate come il filo, un interrogativo sugge-
stivo che pure trova sul piano rituale una qualche conferma,
se vero che
in diverse fonti viene talora menzionato luso di funi o di cor-
de a cui i danzatori si attaccavano per poter svolgere meglio
il movimento coreografico: cos avviene a Delo, dove, come
appare da alcuni elenchi di spese, si cita una fune come indi-
spensabile per poter compiere le feste di Artemide-Britomar-
te, la figura cretese parallela a Persefone (). Similmente Li-
vio (XXVII, 37, 14) racconta che a Roma veniva danzato, secon-
do il modello greco, un chorus Proserpinae, ovvero una danza
eseguita in occasione della Regina degli Inferi d delle vergini
che, avanzando con il passo ritmato sul canto e svolgendo la fi-
gura coreografica tenevano in mano una corda (Fanelli 1997, p.
32. Cfr. Kernyi 1966, pp. 57 sgg.).
E qui va ricordato con Kernyi (p. 37) il mitologema di
Persefone, quellidea della vita che si fonda sullidea di mor-
te; o anche, invertendo i termini, quellidea della morte che
costituisce il fondamento dellidea di vita.
:oc IGNAZIO E. BUTTITTA
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Non meno interessante, stante il contesto funerario in
cui era eseguito il Troiae lusus, la giostra a cavallo su percor-
so labirintico che conclude le celebrazioni funebri per An-
chise, descritto da Virgilio nellEneide (V, 577-603) che vie-
ne ricordato anche come eseguito intorno alla tomba di Giu-
lia Drusilla nel 38 d.C. e intorno al rogo dellimperatore Set-
timio Severo nel 211 d.C. (cfr. Dione Cassio LIV, 11, 2 e LXX-
VI, 15, 3), ma anche in occasione della fondazione di Alba-
longa (cfr. Plutarco, Vita di Romolo, 11; Virgilio, Eneide, V,
596-602).
Senza ricorrere ai numerosi e significativi esempi ex-
traeuropei, come quello della danza a spirale maro di Ceram
senza dubbio strettamente collegata alle rappresentazioni
del viaggio dei morti (Kernyi 1966, p. 42; cfr. anche 40
sgg.), tra le danze spiraliformi il caso di menzionare le dan-
ze eseguite presso i Trojaburgen o Jungfrudans anglosassoni,
scandinavi e baltici, tracciati labirintiformi di pietre di varia
grandezza e di epoca incerta, pi spesso collocati in prossi-
mit delle rive, ma anche rinvenuti in prossimit di sepoltu-
re dellEt del Bronzo:
sebbene non si sappia nulla sulla modalit del movimento, sem-
bra verosimile vi fosse una fanciulla che poteva percorrere dan-
zando il labirinto, oppure, posta al centro del tracciato, atten-
deva che un giovane, danzando lungo le spire del tracciato, la
raggiungesse. Probabilmente erano danze celebrate in occasio-
ne del ritorno della primavera, legate a un contesto di rina-
scita della natura e quindi di propiziazione della fecondit (Fa-
nelli 1997, p. 97).
Per certo nelle isole Aaland e nelle scogliere finlandesi
i giovani percorrevano di corsa il tracciato spiraliforme fi-
no a raggiungere la vergine seduta al centro (Kernyi
1966, p. 47).
Naturalmente non concludente interrogarsi sul senso
ascritto dagli esecutori alle singole movenze coreutiche. Il nu-
cleo di significato originario destinato sempre a disperder-
si nella storia, spesso assumendo nuove valenze in rinnovati
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :o:
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 161
contesti duso. Eppure, come osserva Deonna (1953) a pro-
posito del valore simbolico dellacrobazia antica, anche quan-
do i riti e i motivi religiosi si vanno svuotando dei loro con-
tenuti spirituali, nel corso della loro evoluzione, per non la-
sciare sussistere altro che la loro apparenza formale bisogna
sempre riconoscere che essi originariamente avevano un
senso, e questo pu persistere in modo pi o meno inconscio,
anche quando stato oscurato (p. 84). Cos certamente per
le danze cerimoniali, nuziali, funerarie, festive, perdurate fi-
no ai tempi moderni.
Osserva Walter Friedrich Otto, nel suo Mythos und Welt
(1962):
La danza, nella sua pi antica e veneranda tipologia cultuale,
rappresenta la verit, e insieme la giustificazione dellessere-nel-
mondo: fra tutte le teodicee, la sola inconfutabile ed eterna.
Non insegna, non discute. Avanza soltanto. E con il suo ince-
dere porta alla luce quello che sta alla base di ogni cosa: non la
Volont e il Potere, non lAngoscia e la Cura e tutti i pesi di cui
si vuol giovare lesistenza, bens lEternamente-splendido e il Di-
vino. La danza la verit dellente, di ci che , ma anche, nel
modo pi immediato, la verit di ci che vive (). Lessere, con
la sua verit, parla attraverso la forma, il gesto, il movimento.
() la danza la pi degna di venerazione, la pi primordia-
le fra tutte le forme darte: in essa, infatti, luomo non crea for-
giando la materia, bens diventa egli stesso risposta, forma, ve-
rit (cit. in Kernyi 1966, pp. 106-107).
Latto cultuale riproduce dunque il ritmo delluniverso e
fonde luomo che partecipa al rito con tutto il suo essere
con larmonia del cosmos, ricreato e ritrovato attraverso i
suoi stessi movimenti (Fanelli 1997, p. 30). Lo stesso Deon-
na (1953, p. 99) rileva: Quasi tutte le figure di danza han-
no un significato originario; esse mimano gli esseri sopran-
naturali, le forze della natura e la loro azione, gli umani e la
loro vita e, grazie alla magia di questa imitazione, tendono a
riprodurli, a propiziarli o a contrastarli. Questo certa-
mente il caso delle danze spiraliformi, che producono e ri-
producono i cicli cosmici e vitali. Loriginario valore simbo-
:o: IGNAZIO E. BUTTITTA
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lico di queste danze che sembrano tradurre coreuticamente
il percorso labirintico, si fonda dunque, piuttosto che sul-
lintenzione di proteggere la persona defunta dal potere
delle tenebre e invocare su di essa il potere della vita (Rees
1992, p. 220), sulla sottolineatura della transizione da uno sta-
to allaltro dellesistenza. Come ha osservato Kernyi (1966,
pp. 69-70):
La spirale non soltanto un gesto primordiale delluomo; ,
in quanto movimento, un avvenimento primordiale, al qua-
le si partecipa. La spirale-orbita solare non si costruisce geo-
metricamente: la si riconosce invece come linea simile a quella
cui ci si abbandona nel celebrare la festa, muovendosi in cer-
chio, per subire la morte e vincerla. () Levento acquista un
risalto ancora maggiore se individuato in un simbolo in movi-
mento: in una danza maro, dunque. Il motivo di quel movimento
pu essere racchiuso nel profondo dellanimo umano. In ulti-
ma analisi, che cosa esprime luomo involontariamente attra-
verso questo movimento, nella danza e nel disegno? La stessa
cosa che il liquido germinale produce nellessere vivente: le-
terno mantenimento della vita entro la morte. () Le spirali di-
segnate e danzate significano la continuazione della vita dei
mortali oltre la loro morte graduale: ci che nel plasma fun-
zione, qui il significato.
Il trapasso da uno stato allaltro dellesistere, linversione
di rotta nella spirale che si avvolge e svolge nuovamente si ce-
lebra sotto la protezione e nella sfera dazione di una dea che,
come gi Arianna nel contesto della tradizione, la regina de-
gli inferi: Quel che contava era di svoltare, di cambiare il sen-
so della marcia, una volta giunti presso di lei: ed questo per
lappunto il ritorno indietro dalla morte alla vita (p. 120).
Riassumendo
Dunque la spirale anche una linea della vita, una rap-
presentazione del percorso individuale che, riproducendo il
corso cosmico, afferma il ritorno della vita e il suo trionfo sul-
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :o,
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la morte. Con questo significato la spirale ricorre negli amu-
leti e nei cartigli faraonici a racchiudere il nome del re (Lurker
1987b, pp. 165 sg.). Certo non casualmente la dea Meskhent
che assisteva le partorienti e tracciava il destino del nuovo na-
to e a un tempo presenziava al giudizio del defunto, portava
un copricapo sormontato da uno stelo che terminava in due
spirali. Cos la dea sumera della fertilit Ninhursag aveva il
suo simbolo proprio nella doppia spirale. Nella percezione
arcaica daltronde il destino del vivente univoco, cicli del-
la natura e cicli della vita umana non sono pertanto disgiun-
gibili. Le divinit che a essi presiedono, assai spesso di sesso
femminile, vedono enfatizzate in et storica quella o quel-
laltra funzione senza per mai perdere la completezza del
senso originario.
Se la spirale pu bene essere letta come una icona della
Dea Madre, come figura unica del principio e della fine e in-
sieme rappresentazione della continuit ciclicamente pro-
grediente, la spirale doppia esalta queste sue qualit. La spi-
rale si avvolge e si svolge, ha unorigine e una fine e la sua
fine essa stessa un inizio rebour. La doppia spirale ma-
nifesta con maggior forza questo processo di evoluzione-in-
voluzione, dalla nascita alla morte e dalla morte alla nasci-
ta, essa traduzione iconica della grande legge elementa-
re del cosmo: morte-rinascita, morte-fecondit, morte-nuo-
va vita (Morin 1976, p. 127). La spirale doppia affiancata,
infine, come a Castelluccio, esalta questo simbolismo pre-
sentandoci la sintesi creativa delle forze cosmiche contrap-
poste, anche sotto la forma dellopposizione: maschile vs
femminile, linizio e la fine eternamente riproducentesi nel-
lincontro/scontro dei principi vitali. Questo certamente
il senso racchiuso nei pani rituali a doppia spirale o in quel-
li a S racchiudenti uova o sfere di pane, del tipo gi segna-
lato di Santa Croce Camerina. Vale ancora citare un autore
poco amato dalla scienza ufficiale:
possiamo considerare le due spirali come lindicazione di una
forza cosmica che agisce in senso inverso nei due emisferi, i qua-
li, nella loro pi larga applicazione, sono naturalmente le due
:o IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 164
met dellUovo del Mondo mentre i punti intorno ai quali si
avvolgono le due spirali sono i due poli (Gunon 1957, p. 47.
Cfr. Burckhardt 1997, p. 15).
Durand, nel ricondurre le molteplici simbolizzazioni
della spirale a un paesaggio mentale fondato sui miti del-
lequilibrio dei contrari, riconosce nella spirale le signe de
lquilibre dans le dsquilibre in quanto essa possde
cette remarquable proprit de crotre dune manire ter-
minale sans modifier la forme de la figure totale, et dtre
ainsi en permanence dans sa forme, malgr la croissance
asymtrique. In conseguenza di ci la spirale un glifo
universale della temporalit, della permanenza dellessere
attraverso le fluttuazioni del mutamento (Durand 1963,
p. 315).
La spirale, estesamente il simbolo della vita e del tem-
po, della vita nel tempo, dellessere in perpetuo divenire, del-
levoluzione nella ripetizione, della rivoluzione nella tradi-
zione, principio e fine delleterno ciclico e necessario ritor-
no, che trova piena compiutezza nel simbolo della doppia
spirale. Simbolo esplicitamente ambiguo (tutti i simboli so-
no nel senso proprio del termine ambigui, unione di parti si-
gnificanti separate che nellunit trovano nuovo senso), di-
cotomico, dove trovano unit gli opposti: bene vs male, not-
te vs giorno, vita vs morte, maschio vs femmina. La doppia
spirale contrapposta non altro che una amplificazione di
questo messaggio.
La doppia spirale insomma il simbolo pi perfetto del-
lessere in perpetuo divenire, ovvero del cosmo. La spirale
il cosmo. Ogni spira si avviluppa sulle precedenti percorrendo
gli stessi stadi dellessere. lo spazio-tempo che si accresce
nella ripetizione. Il tempo cio, trascorrendo, ri-genera lo spa-
zio diverso eppure eguale. La contraddizione esperibile sul
piano della prassi tra progredire storico e ripetizione ciclica,
tra divenire ed essere, trova sul piano mitico-rituale la sua so-
luzione generando rappresentazioni, narrazioni, che raccon-
tano la diacronia come il riprodursi costante di identiche re-
lazioni sincroniche.
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :o,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 165
Con il mito della rigenerazione del tempo la cultura arcaica da-
va alluomo la possibilit di vincere lirripetibilit e la fugacit
della sua vita. Non distaccandosi n per i suoi pensieri n per
il suo comportamento dal corpo sociale etnico, luomo ingan-
nava la morte. In questo sistema di coscienza, passato, presen-
te e futuro sono come disposti sullo stesso piano, in un certo sen-
so sono sincronici. Il tempo spazializzato, vissuto co-
me spazio; il presente non staccato dal tempo globale, formato
da passato e futuro (Gurevic 1983, p. 32).
La festa, daltronde, anche la pi trasgressiva, esita sem-
pre nella riaffermazione dellordine pre-esistente). Questa
la ragione della potente carica simbolica assunta nei con-
testi rituali da quei vegetali quali la lattuga, il finocchio, il
carciofo che si espandono a partire da un nucleo riprodu-
cendolo. I diversi passaggi trasformazionali, attraversati
dalla natura e dalluomo: generazione, sviluppo, degene-
razione, morte trovano in questo limite ultimo la soluzio-
ne. La trasformazione si conclude infatti con un il ritorno
allo stato iniziale:
Nelle coscienze arcaiche in cui le esperienze elementari del
mondo sono fatte di metamorfosi, sparizioni, riapparizioni e tra-
sformazioni ogni morte annuncia una nascita, ogni nascita de-
riva da una morte, ogni cambiamento corrisponde a una mor-
te-rinascita e il ciclo della vita umana iscritto nei cicli natura-
li della morte-rinascita. La concezione cosmomorfica primitiva
della morte dunque quella di una morte-rinascita; secondo ta-
le concezione il morto, prima o poi, rinasce sotto sembianze di
un nuovo essere vivente, bambino o animale che sia (Morin
1976, p. 19).
Ecco le tombe-utero, le sepolture in posizione fetale, las-
segnazione al nuovo nato del nome del nonno, la struttura tri-
partita dei riti di passaggio.
Se si pu presumere sulla base di tali evidenze una stret-
ta relazione tra sfera della fecondit e sfera della morte, non
possiamo sapere se dinanzi alle tombe avessero luogo forme
di culto familiare intese a celebrare i propri morti e a propi-
:oo IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 166
ziarne limpegno verso i vivi. Non possiamo sapere, qualora
vi fossero state, la forma delle offerte e il tipo dei riti. per
possibile ipotizzare che dinanzi ai sepolcri o allinterno di es-
si avessero periodicamente luogo dei pasti rituali intesi a ri-
badire la necessaria comunione tra mondo dei vivi e mondo
dei defunti. Questo quanto accade oggi in occasione di ce-
rimonie come quella delle Tavole di san Giuseppe: il pane a
doppia spirale introduce alla Tavola di San Giuseppe e al ban-
chetto che vedr uniti i morti e i vivi cos come la lastra tom-
bale si apre sullo spazio dove i congiunti venivano a celebrare
i loro morti con offerte alimentari o, come possiamo presu-
mere, a consumare un pasto sul luogo condividendo ideal-
mente il cibo con i propri antenati.
LA SPIRALE NELLA PANIFICAZIONE CERIMONIALE :o;
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verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 168
Capitolo settimo
Veicoli dellassoluto nella tradizione induista
Osservazioni preliminari
Quando si affronta il tema della rappresentazione ma-
teriale del divino nella civilt indiana, ci si trova dinanzi a
un aspetto, non secondario, del problematico rapporto tra
immanenza e trascendenza, cos come stato variamente
articolato entro sistemi di pensiero di tradizione millenaria
e, almeno in apparenza, distanti da quel procedere logico-
razionale di derivazione ellenica da cui si ritiene essere so-
stenuta la cultura ufficiale dellOccidente. Si dovrebbe,
pertanto, preliminarmente riconoscere lestraneit delle
categorie mentali dellOriente al nostro modo di pensare
e la inevitabile falsificazione che esse subiscono quando
vengono sottoposte a una lettura raziocinante di tipo gre-
co (Eco 1968, p. 62), cio e questo uno tra i temi pi
sensibili e dibattuti dellantropologia culturale contem-
poranea (cfr. Clifford, Marcus, a cura, 1986; de Certeau
2005) la sostanziale inadeguatezza del pensiero occiden-
tale a interpretare e classificare dati e fenomeni apparte-
nenti ad altri orizzonti culturali, portatori di visioni del
mondo sovente affatto irriducibili a quelle che ci sono fa-
miliari (Piantelli 2007, p. 3). Daltro canto, potendo in
questa sede discutere solo de relato di atti performativi e
procedure del pensiero vivi e operanti, andrebbe ricorda-
ta limportanza dellesperienza diretta ed emotivamente
partecipe dei fenomeni come primo necessario momento
della comprensione degli stessi.
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 169
Le precedenti puntualizzazioni servono a delineare il li-
mitato perimetro euristico entro il quale potr distendersi
il mio discorso sulle immagini sacre nellinduismo con-
temporaneo. Un tema complesso cui ritengo, tuttavia, di po-
ter recare un contributo al di l di ogni sintetica e gene-
rica illustrazione fenomenica , con alcune considera-
zioni di carattere generale rispetto al valore e al signifi-
cato assunto dalle immagini sacre nei loro contesti duso
popolari. A tale scopo far riferimento da un lato ad al-
cune letture sul rapporto tra espressioni artistiche e sen-
timento del sacro e sullarte religiosa dellIndia, in parti-
colare a quella di tradizione induista, dallaltro alle mie
esperienze e riflessioni, maturate in relazione alla lunga fre-
quentazione di contesti culturali folklorici e a sporadiche in-
cursioni nelle pratiche religiose delle comunit di immi-
grati presenti nella citt di Palermo, relativamente al rap-
porto immagini, culto, rito.
Una prima osservazione, che nella sua manifesta eviden-
za pu aiutarci a penetrare la complessit del problema, re-
lativa alla distanza che corre tra la rappresentazione del di-
vino nella tradizione induista e in quella, a noi assai pi fa-
miliare, cristiano-cattolica. In questa direzione si pu fare im-
mediato riferimento agli stranianti caratteri espressivi,
tanto generali che peculiari, delle divinit hindu. Come ha
osservato Zimmer (1926), laspetto e leffetto di queste im-
magini che si propongono come veri e propri simboli spiri-
tuali, conservano al fondo, anche per chi sia in possesso di
adeguati riferimenti culturali, un residuo di indecifrabilit
che crea una distanza carica di tensione tra noi e le figure (...),
uninevitabile sensazione di distacco e limpressione di en-
trare in un regno diverso, che pu essere superata solo riu-
scendo a spogliarsi delle abitudini mentali di occidentali
moderni (pp. 8-10). Le figurazioni divine della tradizione
induista, infatti, contrariamente a quanto avviene per i
cristi, i santi e le madonne, la cui santit e appartenenza al-
la sfera del sacro , quando lo , per lo pi evidenziata dal-
laureola e da un corredo simbolico affatto naturale , so-
no dotate di evidenti caratteristiche iconiche che ne denun-
:;c IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 170
ziano immediatamente, almeno allocchio occidentale, la ra-
dicale alterit, la assoluta distanza dallumano, il rifiuto del
mistero dellincarnazione: figure smisurate, mostruose se
non grottesche, i volti e le membra molteplici, la stessa pig-
mentazione dellepidermide, caratteri ferini, corredo sim-
bolico inusuale e fantastico. Eppure, nonostante questo sin-
golare apparire, esse, almeno nel sentire comune dei cre-
denti, non sono estranee allimmanenza, sono umanamen-
te vicine ai loro devoti. Al di l di ogni speculazione e rap-
presentazione filosofica, infatti, agiscono e sentono tra gli uo-
mini e come gli uomini. Intervengono cio nelle loro vite e
ne condizionano gli eventi, non diversamente dai santi del
pantheon del cristianesimo popolare. Un cristianesimo
popolare, dove, opportuno ricordare, in variazione se
non in contraddizione di ogni ortodossia, si muovono indi-
sturbati anime ed esseri dai caratteri inquietanti (cfr. Gug-
gino 1993; 2004; 2006).
Come sia possibile frequentare con fede indefettibile la
casa del Signore, accettarne e proclamarne il mistero della
Resurrezione, credere nellInferno, nel Purgatorio e nel Pa-
radiso, e daltro canto ritenere che lanima del defunto abi-
ti nel suo sepolcro e/o nel luogo dellavvenuta morte (si
pensi agli mnemata e al culto che intorno a essi si artico-
la), ritorni dallaldil o sopraggiunga da un indefinibile al-
trove a visitare ciclicamente i parenti (cfr. Lombardi Satria-
ni, Meligrana 1989; Buttitta 1996; Buttitta 2006a), fatto che
impone con forza la necessit di ricredersi sullesistenza di
una coerenza logica allOccidentale presso molti, moltis-
simi, fedeli cristiani. Nel sottolineare dunque la distanza
culturale tra Oriente e Occidente a livello ufficiale e spe-
culativo non si deve incorrere nellerrore di dimenticare la
prossimit dei magmatici e brulicanti immaginari dei cre-
denti dogni dove che, raccogliendo e riplasmando ogni
giorno eredit millenarie, declinano prassi e credenze fon-
date sulla comune esigenza di articolare a proprio vantaggio
un rapporto di scambio con il sacro.
Limitandoci alla dimensione dellimmagine, si pu asse-
rire che al di l della diversit e distanza dei contesti ci che
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA :;:
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 171
appare chiara, dinanzi al proliferare di rappresentazioni bi-
dimensionali e tridimensionali, figurative e simboliche della
trascendenza, la necessit di dare concretezza materiale al
sacro, alle entit e ai processi, imprigionandoli in figu-
re. Unesigenza che, nel momento in cui si rivela per imma-
gini, sussume una precedente e chiara concettualizzazione che
nega ogni arbitrariet dellespressione segnica e ogni suo
soggettivo compiacimento estetico. questo un presuppo-
sto imprescindibile per ogni analisi delle espressioni artisti-
che a carattere religioso, come pu essere rilevato fin dal-
la lontana Preistoria.
Preistoria delle immagini religiose
In una nota pagina della Estetica, Hegel (1837-42, pp. 257-
258) afferma:
Per il lato oggettivo, linizio dellarte molto strettamente con-
nesso con la religione. Le prime opere darte sono di natura mi-
tologica. Nella religione lassoluto in generale che si porta a
coscienza, se pur secondo le pi astratte e povere determina-
zioni. Lesplicazione successiva che si offre per lassoluto, sono
ora i fenomeni della natura, nella cui esistenza luomo presen-
tisce lassoluto, che egli si rende intuibile sotto forma di ogget-
ti naturali. In questa aspirazione larte trova la sua prima origi-
ne. Ma anche a questo riguardo essa compare solo quando luo-
mo non contempla immediatamente lassoluto solo negli oggetti
realmente esistenti, accontentandosi di questo genere di realt
del divino, ma quando la coscienza produce da se stessa sia la
concezione di ci che per lei lassoluto sotto forma di quel che
in se stesso esterno, sia il lato oggettivo di questa unione pi
o meno commisurata. Allarte infatti intrinseco un contenuto
sostanziale colto dallo spirito e che appare s esteriore, ma in
unesteriorit che non solo immediatamente presente, bens
appunto solo dallo spirito prodotta come unesistenza che in
s abbraccia ed esprime quel contenuto. La prima interprete del-
le rappresentazioni religiose, che pi direttamente d loro for-
ma, per solo larte, perch la considerazione prosaica del
mondo oggettivo si fa valere solo quando luomo si distacca-
:;: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 172
to, in quanto autocoscienza spirituale, dallimmediatezza, op-
ponendosi ad essa in questa libert in cui egli assume intellet-
tualmente loggettivit come semplice esteriorit.
Il filosofo tedesco recava cos un autorevole contributo
a quel dibattito intorno alle origini e alla natura dellarte
preistorica, alle condizioni che la determinarono, alle mo-
tivazioni prime che sospinsero luomo a esprimersi per
simboli e per figure, e agli stessi criteri di definizione e va-
lutazione di questi prodotti, che ha appassionato lunga-
mente studiosi di varia formazione dando luogo a diverse
e contrastanti ipotesi (cfr. Luquet 1926; James 1957, in par-
tic. pp. 176 sgg. e 232 sgg.; Furon 1959, pp. 244 sgg.; La-
ming-Emperaire 1962; Delporte 1990, pp. 29 sgg.; Anati
1992, pp. 100 sgg.; Mller-Karpe 1974, pp. 205 sgg.; Leroi-
Gourhan 1993, pp. 193 sgg.; Leroi-Gourhan et al. 1995; De-
bray 1992, pp. 21 sgg. e 30 sgg.; Lorblanchet 1999; Hauser
1953, p. I, 5 sgg. e note; Clottes 2003; Guy 2003; Gombri-
ch 1950, pp. 15 e 39 sgg.).
Clottes ha recentemente rilevato come, al momento di af-
frontare lanalisi delle espressioni artistiche preistoriche, e
non solo, sia necessario partire dal presupposto che tutta
larte messaggio. Un messaggio che pu essere diretto al-
la propria collettivit, variamente estesa e composita, diver-
sificata per caratteristiche e per competenze individuali an-
che in relazione allet, al sesso, al grado di iniziazione, al ruo-
lo sociale ecc., ma anche, e non secondariamente, a soggetti
altri, tanto umani che soprannaturali. Il segno artistico al-
lora pu fungere da avvertimento o formulare un divieto, pu
raccontare una storia, sacra o profana, ovvero manifestare e
affermare una presenza. Clottes (2003, pp. 2-3) prosegue os-
servando che
Tutti questi significati sono ipotizzabili quando si prende in
esame unarte preistorica, unarte fossile che non pu pi
essere spiegata nelle sue sfumature e nella sua complessit da
coloro che lhanno creata o dai loro successori. Si pu imma-
ginare la difficolt dellimpresa quando si devono affrontare
questioni di significato millenni dopo la scomparsa delle so-
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA :;,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 173
ciet che hanno prodotto questarte. (...) Infatti, quando non
si dispone di tradizioni orali o scritte, cio di spiegazioni di-
rette, la ricerca interpretativa deve basarsi su argomenti rica-
vati per deduzione: dallarte stessa, dai temi rappresentati,
dalla loro frequenza e dalle loro associazioni, dalle tecniche uti-
lizzate, o anche dalla loro evoluzione nello spazio e nel tem-
po; dal contesto dellopera, si tratti dei supporti utilizzati,
della topografia delle caverne o della morfologia delle pareti,
o anche da tracce e resti associati a questarte nella misura in
cui sono testimoni di azioni che ci si sforzer di capire; dalle
comparazioni etnologiche, cio dal possibile raffronto con so-
ciet tradizionali recenti che praticano (o hanno praticato fi-
no a epoca non lontana) larte rupestre e su cui si possiedono
informazioni precise.
Lo studioso delinea cos sinteticamente i principali per-
corsi interpretativi esercitatisi a partire dalle prime scoperte
dellarte paleolitica nel XIX secolo, quelli cio dellarte per lar-
te, del totemismo, della magia di caccia, di distruzione e di
fecondit, di tipo socio-strutturalista e di tipo religioso-scia-
manico.
Da parte mia, senza voler aderire acriticamente alle con-
siderazioni di Hegel e consapevole delle suggestioni dei per-
corsi interpretativi appena ricordati, ritengo possibile asse-
rire, anche sulla base di quanto prima osservato sullumana
esigenza di dare concretezza materiale al sacro, che le rap-
presentazioni figurative e non figurative (geometriche e
astratte), tanto grafiche che plastiche, che cominciano a in-
contrarsi a partire dal Paleolitico superiore, sono la prima e
la pi evidente testimonianza della presenza nelluomo del-
la consapevolezza dellesistenza di una dimensione trascen-
dente, autonoma e potente, capace di condizionare e di re-
golare i cicli cosmici e vitali e di influire sui destini indivi-
duali e collettivi. Tale consapevolezza, che si trova allin-
crocio tra lo sviluppo psichico e le condizioni esistenziali, al-
trimenti definibile come sentimento del sacro, sar per mil-
lenni a fondamento della vita stessa delle civilt umane. Co-
me rilevato da James nel suo monumentale Prehistoric reli-
gion (1957, p. 229):
:; IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 174
Dal precedente esame dei dati archeologici risulta chiaro che la
religione preistorica era centrata e si sviluppata attorno alle si-
tuazioni pi cruciali e pi problematiche con cui luomo primi-
tivo doveva confrontarsi nellesperienza quotidiana: nascita,
morte e i mezzi connessi alla sussistenza in un ambiente preca-
rio. La pressione degli eventi nel mondo esterno e nelle cose uma-
ne, la lotta permanente per lesistenza e la sopravvivenza nel-
limmediato e nel futuro, le innumerevoli frustrazioni e le espe-
rienze sconcertanti, spesso completamente al di l della sua por-
tata, crearono, sembrerebbe, una predisposizione a cercare vie
e mezzi per alleviare la tensione. Dal momento che la vita di-
pendeva in gran parte dalla casualit della caccia, dai capricci sta-
gionali, da circostanze ed eventi cos imprevedibili e inaspetta-
ti, la pressione emotiva doveva essere endemica. E una volta che
era stata inventata una tecnica rituale per sublimare lo stress, que-
sta si istituzionalizz e si svilupp indefinitamente per andare in-
contro a ogni nuova richiesta e per conservare lequilibrio in una
struttura sociale e in unorganizzazione religiosa in espansione.
Nelle raffigurazioni parietali e mobiliari preistoriche
pitture, bassorilievi e incisioni rupestri, oggetti in corno, os-
so, avorio, steatite, calcare, arenaria, argilla ecc., tra cui plac-
chette incise e statuette di esseri umani e animali , insieme
alluso di seppellire i defunti, si possono e si debbono vede-
re i segni inequivocabili della presenza di forme di autoco-
scienza, di spiritualit, di desiderio di esercitare un control-
lo sui processi vitali, dunque dellesistenza di sistemi di cre-
denze magico-religiose di cui sono destinate a sfuggirci per
sempre, tuttavia, le peculiari e complesse articolazioni (cfr.
Laming-Emperaire 1962; Leroi-Gourhan 1964, in partic. pp.
95-164; Eliade 1975, pp. 15 sgg.). In tal senso sono assai si-
gnificative le osservazioni di Laming-Emperaire (1969, p.
1262), la quale, opportuno ricordare, propone una lettura
dellarte rupestre fondata sulla considerazione che questa
poteva semplicemente essere lespressione non di un siste-
ma del mondo, ma di un sistema sociale. La studiosa osser-
va che, in questottica:
potremmo rinunciare alle comparazioni etnografiche per con-
centrarci nello studio dei dati paleolitici e delle loro interrelazio-
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA :;,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 175
ni. Tutto lo sforzo deve allora consistere nello stabilire degli sche-
mi in grado di avvicinarsi il pi possibile alla realt degli affreschi
rupestri, e nel tentare di interpretarli a partire dalla loro logica in-
terna. Questo metodo intellettualmente soddisfacente, perch
ricava le proprie conclusioni dai dati stessi del problema, senza
estrapolazioni e senza far ricorso a documenti che gli sono estra-
nei. Di fatto, se ne colgono presto i limiti. La mente umana e, pos-
siamo supporlo, la mente paleolitica, segue raramente una logi-
ca rigorosa. Bisogna tener conto della fantasia dellartista, della
difficolt a esprimere graficamente delle organizzazioni com-
plesse, delle circostanze storiche o mitiche che possono assume-
re unimportanza smisurata in una specifica grotta. Le interpre-
tazioni di opere darte, rupestri o no, procurate dai primitivi at-
tuali, sono spesso estremamente complesse; in che modo po-
tremmo cogliere il senso di opere fatte a millenni di distanza e in
un contesto umano che ci sconosciuto? E, dal momento che,
in ogni caso, non possiamo capire laltro se non attraverso noi stes-
si, o una societ attraverso quelle che conosciamo o crediamo di
conoscere, la sola ricerca possibile, fino a qualche anno fa, mi sem-
brava consistere in una specie di va e vieni tra il primo e il secondo
metodo, tra comparazione e analisi; i risultati di questo movi-
mento mentale sembravano destinati a restare molto limitati.
Laming-Emperaire illustra cos chiaramente come in pre-
senza di materiali, presumibilmente ascrivibili a pratiche ri-
tuali e di culto e financo a narrazioni mitiche, di fatto, nulla
resti degli atti e dei pensieri, dei suoni e delle parole che li
hanno sostanziati, e come possa essere fuorviante procedere
alla loro interpretazione a partire dalla comparazione con
contesti etnologici. Ha sottolineato Eliade (1975), rilevando
lopacit semantica dei documenti preistorici:
Non si insister mai abbastanza sulla ricchezza e complessit del-
lideologia religiosa dei popoli cacciatori e sullimpossibilit
pressoch totale di provarne o di negarne lesistenza presso i Pa-
leantropi. Come stato ripetuto pi volte: le credenze e le idee
non sono suscettibili di fossilizzazione (I, pp. 18-19).
A fronte di questa situazione, tanto lanalisi contestuale,
peraltro non sempre possibile, quanto ogni forma di com-
:;o IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 176
parativismo etnologico, non sembrerebbe possano andare
oltre la formulazione di ipotesi di carattere assai generale
(cfr. Anati 1992, pp. 86 sg. Cfr. Furon 1959, pp. 229 sgg.; Va-
ragnac 1969, p. 1253; Mller Karpe 1974, p. 346; Leroi-
Gourhan 1964; Eliade 1975, in partic. I, pp. 25 sgg. e 35 sgg.).
Vi sono tuttavia autori che ritengono un comparativismo
prudente una possibile chiave daccesso alla reale conoscen-
za della sfera immateriale delluomo preistorico:
Lassimilazione dei primitivi preistorici ai selvaggi di contra-
de lontane era invitante. Bench le concezioni che si avevano sui
primi fossero false quanto quelle che si avevano sui secondi, tali
raffronti sembravano posare su basi apparentemente solide. Abo-
rigeni australiani, trib indiane o Boscimani sudafricani, come i
Maddaleniani o i Solutreani, erano Homo sapiens sapiens, il che
lasciava supporre delle affinit nei comportamenti, nelle creden-
ze e nei modi di pensare tra gruppi che si collocavano a un me-
desimo stadio economico-sociale, quello dei cacciatori-raccoglitori.
Daltro canto, queste culture tradizionali contemporanee prati-
cavano esse stesse larte rupestre. dunque ammissibile riferirsi
a esse, guardandosi bene dal sovrapporre servilmente uno speci-
fico modello moderno a una realt fossile. Nelluomo, la variabi-
lit di credenze e concetti tale che questo tipo di analogia etno-
grafica sarebbe immancabilmente votata allinsuccesso. (...) Il
comparativismo etnologico si distingue dalla mera analogia per il
fatto che addita la possibile presenza di concetti e strutture sociali
e mentali affini, o anche ricorrenze frequenti in determinati con-
testi. Non si tratta di ricercare una presunta mentalit primitiva,
quanto piuttosto delle convergenze nei modi di pensare, di con-
cepire il mondo e di agire su di esso degli universali che pos-
sano fornirci per i fatti paleolitici delle possibili chiavi interpreta-
tive. Questa pista pi logica di quella che consiste nel lasciar
parlare i fatti da s, cosa che evidentemente non fanno mai, o nel-
linterpretarli in modo letterale, dal momento che, in questo ca-
so specifico, linterpretazione necessariamente il frutto di con-
cetti dominanti nella societ in cui viviamo. Senza tema derrore
possiamo ipotizzare che i modi di pensare dei Maddaleniani e di
altri paleolitici erano pi vicini a quelli dei cacciatori-raccoglitori
di altri continenti che non a quelli di Occidentali materialisti che
vivono alla fine del XX e allinizio del XXI secolo in una societ
complessa di tipo industriale (Clottes 2003, pp. 3-4).
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA :;;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 177
La difficolt di riferire idee definite e pratiche magico-re-
ligiose alle espressioni artistiche degli uomini del Paleolitico
non pu, in ogni caso, indurre ad aderire integralmente allo-
pinione di Hauser (1953, pp. 7-9) che ritiene i primi artisti
paleolitici sostanzialmente areligiosi e privi di qualsivoglia
spinta decorativa o espressiva, indifferenti a pratiche cultuali,
a credenze in esseri divini e potenze sacre, nellaldil e in al-
cun genere di sopravvivenza, considerando pertanto le pri-
me espressioni artistiche un mero strumento di prassi magi-
ca che non aveva nulla in comune con quello che noi in-
tendiamo per religione. La magia paleolitica per Hauser
una tecnica senza misteri, un metodo pratico, luso concreto di
mezzi e di procedimenti lontani da ogni carattere mistico ed eso-
terico (...). Le immagini facevano parte dellapparato di questa
magia; erano la trappola in cui la selvaggina doveva cadere,
o piuttosto la trappola con lanimale gi catturato: perch lim-
magine era insieme rappresentazione e cosa rappresentata, de-
siderio e appagamento. (...) La rappresentazione figurata non
era (...) che lanticipazione delleffetto desiderato; lavvenimento
reale doveva seguire il modello magico; o piuttosto esservi gi
contenuto poich le due cose erano separate soltanto dal mez-
zo, ritenuto inessenziale, dello spazio e del tempo (p. 8).
Nella prospettiva evoluzionista di Hauser saranno solo il
contadino o il pastore neolitico che cominceranno a senti-
re e a concepire la sorte come guidata da forze intelligenti,
che eseguono un piano, a credere e a tributare un culto a
spiriti e demoni che, solo in una fase di sviluppo successi-
va, diverranno vere e proprie divinit (pp. 15-16). Non di-
versamente Benjamin rilever: Il modo originario di artico-
lazione dellopera darte dentro il contesto della tradizione
trovava la sua espressione nel culto. Le opere darte sono na-
te, (...), al servizio di un rituale dapprima magico, poi reli-
gioso (1955, p. 26. Cfr. Gombrich 2003, pp. 39 sgg.).
La lettura evoluzionista hauseriana, non dissimile da
quella di altri storici dellarte e della cultura, tesa a ricono-
scere nelle prime espressioni artistiche paleolitiche il pro-
dotto di una magia come tecnica, debitrice di quanto la-
:; IGNAZIO E. BUTTITTA
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bate Henri Breuil (1952) aveva osservato intorno allarte
paleolitica. Egli, infatti, aveva ritenuto di vedere nelle im-
magini delle grotte i meri esiti di rituali propiziatori della cac-
cia fondati sul principio della magia simpatica, finendo con
il proporre la visione di unumanit profondamente altra
e in possesso di facolt intellettuali se non limitate da fatto-
ri biologici certamente dalle condizioni materiali di unesi-
stenza tutta rivolta a garantire la propria sopravvivenza e per-
tanto estranea a ogni forma di spiritualit e di riflessione sul-
la propria stessa esistenza.
Basterebbe solo un riferimento allampiezza e variet
delle rappresentazioni non figurative e non naturalisti-
che, peraltro variamente interpretate in funzione mitico-ri-
tuale, per riconoscere lesistenza, gi nel Paleolitico, di ca-
pacit di analisi e di discretizzazione della realt interiore ed
esteriore, e di conseguente concettualizzazione che, sfug-
gendo a ogni logica fondata su un mero istinto di sopravvi-
venza, denunziano capacit speculative e riflessive (cfr. Du-
rand 1963; Wunenburger 1997; Sartre 1940; Franzini 2007).
Larte rupestre, infatti, incarna certamente una concettua-
lit articolata e complessa. Lanalisi formale delle immagini
illustra tutta una serie di processi cognitivi che dimostra le-
sistenza nelluomo preistorico delle nostre stesse facolt di
astrazione e di elaborazione simbolica (Meschiari 2002-
2004, p. 69. Cfr. Mller-Karpe 1976, pp. 210-213). Larte pa-
leolitica, dunque una manifestazione culturale rivelatrice
di psichismo umano e rinvia in tutti i casi a concezioni e
comportamenti formalizzati che trascendono bisogni ma-
teriali immediati (Facchini 2000, pp. 19, 25. Cfr. Guy 2003,
p. 284). Come rileva Cassirer: attraverso il simbolo luomo
riconosce ed esprime in forma sacrale o rituale le potenti for-
ze che sente intorno a s, in questo modo le domina e le con-
duce al controllo sociale (Mytischer, aestetischer und theo-
rethischer Raum, 1931, cit. in Facchini 2000, p. 25).
Attraverso le immagini, i segni incisi o dipinti, le forme
scolpite o plasmate, si d forma e si organizzano le idee e le
concezioni del tempo e dello spazio, dei processi cosmici, del-
la vita e della morte. Pertanto, anche volendosi limitare ad
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ascrivere alle espressioni artistiche della preistoria scopi pre-
valentemente magico-tecnici, si deve riconoscere a queste
una volont di controllo di forze e realt esterne non natu-
rali, che presuppone tanto la concettualizzazione di queste
forze, quanto la rappresentazione intellettuale di un ordine
complessivo del mondo esperito, in altre parole lidea di un
cosmo regolato da entit soprannaturali e trascendenti: sen-
za per questo necessariamente alienare allarte paleolitica la
ricerca di qualit estetiche, rifiutare cio lidea che luomo
preistorico potesse trarre godimento dalla realizzazione e
dallosservazione delle figurazioni e dei manufatti da lui e per
lui prodotti nel momento in cui riceveva il messaggio religioso
da questi veicolato.
Luomo preistorico, cos come luomo tradizionale,
semplicemente non distingueva il bello dallutile, il piacevo-
le dal necessario, il sacro dal profano. Ogni atto era iscritto
in un ordinamento sacrale che lo permeava interamente con-
ferendogli ragione e senso. Daltro canto, osserva Eliade
(1975, I, 7. Cfr. 1969, p. 7):
impossibile immaginare come la coscienza potrebbe manife-
starsi senza conferire un significato agli impulsi e alle esperien-
ze delluomo. La coscienza di un mondo reale e dotato di si-
gnificato legata intimamente alla scoperta del sacro. Median-
te lesperienza del sacro lo spirito umano ha colto la differenza
tra ci che si rivela reale, potente, ricco e dotato di significato,
e ci che privo di queste qualit. Il sacro insomma un ele-
mento della struttura della coscienza, e non uno stadio nella sto-
ria della coscienza stessa. Ai livelli pi arcaici di cultura vivere
da essere umano in s e per s un atto religioso, perch lali-
mentazione, la vita sessuale e il lavoro hanno valore sacrale. In
altre parole, essere o piuttosto divenire un uomo significa es-
sere religioso.
Letture dellarte preistorica
A chiarimento e supporto di quanto osservato, sembra uti-
le ripercorrere le pagine di alcuni tra i numerosi autori che
:c IGNAZIO E. BUTTITTA
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hanno voluto interpretare le diverse produzioni grafiche e
plastiche del Paleolitico come testimonianze dordine esteti-
co, e/o magico e rituale che indicano preoccupazioni arti-
stiche e religiose (Kozlowski 1991, p. 58). Reinach, sulla
scorta di Breuil, vede nellesigenza di dominare magicamen-
te il mondo una delle ragioni alla base della nascita delle
espressioni artistiche. Nellesaminare le incisioni, le pitture
e i reperti darte mobiliare delle grotte pirenaiche e del Pe-
rigord del Paleolitico superiore (30.000/40.000 a.C.), egli
osserva:
in effetti questa idea mistica dellevocazione attraverso il di-
segno o il rilievo, analoga a quella dellinvocazione attraverso la
parola che bisogna supporre allorigine dello sviluppo dellar-
te dellet della renna (...). Indubbiamente si esagera quando si
pretende che la magia sia la fonte unica dellarte, negando la par-
te che ha listinto di imitazione, il desiderio di ornamento, il bi-
sogno sociale di esprimere e di comunicare il pensiero; ma la sco-
perta delle pitture rupestri in Francia e Spagna, completando
quella degli oggetti scolpiti e incisi raccolti nelle caverne, sem-
bra dimostrare che il grande slancio dellarte nellet della ren-
na legato allo sviluppo della magia (Reinach 1909, pp. 36-37).
Furon (1959), a sua volta, dopo aver esaminato i princi-
pali monumenti dellarte parietale paleolitica conclude: tut-
ti questi elementi ci inducono concordemente ad ammette-
re lesistenza di pratiche magiche, osservando inoltre: nel-
lAurignaciano fa la sua comparsa anche un culto della fe-
condit, che si manifesta sotto aspetti diversi nel corso dei
secoli fino ai nostri giorni (p. 247). In proposito Tokarev
(2000, p. 269) rileva: nel periodo aurignaziano comincia-
no a comparire numerosi monumenti dellarte figurativa:
sculture e pitture delle caverne. Alcuni di essi hanno evi-
dentemente un certo rapporto con idee e cerimonie religio-
se. Mller-Karpe (1974, p. 211. Cfr. pp. 344 sgg.) osserva
a sua volta:
A parte pochi studiosi, che ritengono responsabili della crea-
zione artistica paleolitica motivi fondamentalmente profani,
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cio unautonoma esigenza estetica, opinione comune che in
questarte abbia trovato espressione un mondo di esperienze e
di credenze religiose. Dicendo questo non si chiarisce tuttavia
in che modo una motivazione generale come questa abbia po-
tuto dar luogo ad una genesi concreta, cio a dire perch da un
mondo di credenze e di esperienze religiose abbiano improv-
visamente preso forma figure umane ed animali. Che la causa
immediata sia da ricercare in un mutamento di costituzione
psichica dovrebbe essere certo.
Constatando la proposta di Leroi-Gouranh di procedere
a una lettura cosmologica dei cicli artistici rupestri, i qua-
li si articolerebbero sostanzialmente su un sistema bipolare
di matrice sessuale (cfr. infra), Varagnac (1969, p. 1258) la no-
ta a parziale sostegno dellipotesi magica avanzata per primo
da Breuil:
Ma esiste un argomento molto pi forte per essere indotti a par-
lare di magia paleolitica. Per un popolo arcaico, dunque dota-
to di un livello tecnico minimo, la preoccupazione primaria
mangiare ancor prima che accoppiarsi: la paura della fame la
vera ossessione. Certo, non doveva manifestarsi nel modo ele-
mentare immaginato da Salomn Reinach: doveva invece ricavare
da tutta una cosmogonia complessa le promesse del successo
nella caccia; ma queste cosmogonie, verosimilmente, non era-
no dominate dallossessione per la vulva e per il fallo. Il pan-
sessualismo piuttosto un aspetto caratteristico delle nostre so-
ciet moderne, ed increscioso vederlo proiettato cos lontano
nel passato. I paleolitici non erano dei personaggi alla Boris
Vian. Desideroso di riscoprire un intero sistema di pensiero mi-
tico, una vasta concezione del mondo coerente come quella
che Marcel Griaule rinvenne presso i Dogon, ovvio che Le-
roi-Gourhan abbia minimizzato tutto ci che aveva indotto i
suoi predecessori a parlare di magia. La magia particolare,
frammentaria, accompagnata senza dubbio da raccolte di ricette
intimamente legate a dei miti e a una cosmogonia, ma in ogni
caso, almeno sotto certi aspetti, parcellizzante. Per Leroi-
Gourhan tutto coerente e, cosa pi importante, coerente nel
tempo. Avendo lasciato gran spazio allinterpretazione, non gli
difficile ritrovare i termini di questa stessa interpretazione di
segni e animali dallAurignaziano fino allultimo Maddaleniano.
:: IGNAZIO E. BUTTITTA
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In realt linterpretazione dellarte preistorica avanzata da
Leroi-Gourhan si presenta assai pi articolata. Nel suo fon-
damentale studio del 1964, Les religions de la Prehistoire, egli
osservava che, in assenza di altre possibili testimonianze, per
le epoche preistoriche: a evidenziare gli elementi di unatti-
vit psichica dal contenuto certamente religioso interviene
larte (Leroi-Gourhan 1964, p. 11). Per lo studioso francese
lartista sempre creatore di un messaggio poich le forme che
egli rappresenta hanno valore simbolico: Tale messaggio
esprime il bisogno dellindividuo e del gruppo sociale, bisogno
sia fisico che psichico, di agire sulluniverso, di far s che luo-
mo si inserisca, attraverso lapparato simbolico, nella mute-
volezza e nellaleatoriet che lo circondano (p. 96). In altre
parole, le produzioni artistiche sono le sole espressioni cul-
turali a noi pervenute che attestano chiaramente una capacit
simbolica e sebbene non possano e non debbano essere ri-
condotte nella loro interezza ad attivit cultuali, sono inter-
pretabili anche in senso religioso consentendoci di parlare, gi
per la Preistoria, di Homo symbolicus o, pi specificamente, di
Homo religiosus (Facchini 1991, p. 13. Cfr. 2000, pp. 17-21).
Di analoga opinione Clottes (2003) che, dopo aver ripercorso
tutta la questione dellinterpretazione dellarte preistorica, ri-
leva come diversi autori abbiano ritenuto alcune figurazioni ru-
pestri delle rappresentazioni di sciamani e dei loro spiriti tu-
telari, suggerendo di considerare larte paleolitica come il ri-
sultato di pratiche sciamaniche. Daltro canto:
la cappa di religioni sciamaniche che copre tutto il nord del pia-
neta e una parte delle Americhe, lascia pensare che si trattasse
di una religione molto antica, portata in America settentriona-
le e dal Nord al Sud America da quei gruppi che popolarono
inizialmente il nostro continente durante il Paleolitico superio-
re. Inoltre, lo sciamanesimo la religione per eccellenza dei po-
poli cacciatori.
Per Clottes le religioni sciamaniche possiedono di fatto
alcune caratteristiche in grado di far luce sullarte parietale. La
prima la concezione di un cosmo complesso o almeno di due
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mondi coesistenti. Esistono delle interazioni tra questo mondo
(o questi mondi) e il nostro, in cui la maggior parte degli even-
ti il riflesso di uninfluenza dellaltro mondo (o degli altri). In
secondo luogo, il gruppo crede che certe persone possano en-
trare, a loro piacimento e per fini pratici, in rapporto diretto con
il mondo parallelo: per guarire i malati, per mantenere buoni
rapporti con le forze dellaltro mondo, per restaurare unar-
monia, per favorire la caccia ecc. Il contatto accade tramite la
visitazione e laiuto di spiriti ausiliari, spesso degli animali, che
vanno dallo sciamano o verso i quali lo sciamano va. Lo scia-
mano in trance pu anche inviare la propria anima nellaltro
mondo per incontrare gli spiriti e ottenere il loro aiuto. Oltre
che un ruolo sociale, ricopre dunque un ruolo di mediatore tra
il mondo reale e quello degli spiriti.
Gli uomini moderni del Paleolitico superiore possedevano un
sistema nervoso identico al nostro. Di conseguenza, alcuni di lo-
ro dovevano sperimentare degli stati alterati di coscienza, e tra
questi anche delle allucinazioni. (...) Un tale stato mentale, so-
stenuto dallinsegnamento ricevuto, doveva necessariamente
favorire il prodursi delle allucinazioni che lambiente sotterra-
neo tende a suscitare. Le grotte potevano dunque avere un du-
plice ruolo dagli aspetti intimamente legati: facilitare le visioni;
entrare in relazione con gli spiriti attraverso la parete rocciosa.
Le raffigurazioni parietali, quanto a temi, tecniche e dettagli, so-
no compatibili con le percezioni che si hanno durante le allu-
cinazioni. Le immagini degli animali, individualizzate con det-
tagli precisi, fluttuano sulle pareti, spesso senza linea del suolo
o rispetto della gravit, in assenza di ogni inquadratura o sfon-
do. I segni geometrici elementari richiamano molto da vicino
quelli percepiti nei diversi stadi della trance. Quanto agli esse-
ri e agli animali compositi appartengono al mondo delle visio-
ni sciamaniche.
Clottes, infine, dopo aver ricordato che la precedente
ipotesi stata ampiamente soggetta a critiche, osserva che,
tuttavia,
Allo stadio attuale delle nostre conoscenze, tutto ci che pos-
siamo affermare che lipotesi sciamanica, poggiando sui pre-
cedenti dati di studio, spiega meglio i fatti osservati a proposi-
to dellarte delle caverne e degli oggetti del Paleolitico superiore.
: IGNAZIO E. BUTTITTA
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A prescindere da una pi o meno convinta adesione al-
lipotesi di Clottes (cfr. Lorblanchet 2006), indubitabile
che, al di l dei contenuti delle diverse figurazioni, la loro stes-
sa collocazione nello spazio ne denunzia la loro valenza mi-
tico-rituale. Non a caso le complesse serie di raffigurazioni
parietali in grotte profonde, come quelle di Lascaux o Alta-
mira, hanno convinto gli studiosi a parlare di cattedrali e
santuari preistorici, luoghi deputati a ospitare riti stagionali
e di iniziazione. Tra gli altri Ries che, nellesaminare i cicli pit-
torici delle grotte di Lascaux, Rouffignac, Altamira, Monte
Castillo ecc., afferma:
Possiamo dire senza la minima esitazione che larte maddale-
niana il riflesso della coscienza dellhomo religiosus che fa le-
sperienza del sacro, ha la percezione della trascendenza e gra-
zie a una memoria religiosa, grazie ai miti e ai simboli, fa riferi-
mento alle origini, al cosmo e al mistero della vita. Per la prima
volta luomo antico testimonia una storia sacra ricordata e vis-
suta da un clan che pare trarne modelli per una condotta di vi-
ta. Percepiamo le prime tracce della coscienza religiosa di una
comunit (Ries 2007, p. 21. Cfr. Delporte 1990, in partic. pp.
240-245; Eliade 1975, I, p. 28; Gimbutas 2000, pp. 87-88).
Le prime immagini di divinit antropomorfe
Si potrebbe osservare che larte paleolitica non presenta,
al di l della presunta funzione di certe espressioni plastiche,
segnatamente le veneri, esplicite e ricorrenti raffigurazio-
ni di divinit, ma sarebbe osservazione superficiale. Il dio
figurato non necessariamente un dio antropomorfo, ogni
immagine e ogni oggetto possono divenire espressione tem-
poranea o permanente del divino, cos come il dio pu esse-
re presente nella parola e nel suono. Non peraltro possibi-
le considerare laniconismo una caratteristica esclusiva di re-
ligioni evolute, quali per esempio lislamismo, lebraismo
e il vedismo di cui parleremo estesamente pi avanti. Larte
paleolitica dunque, per le ragioni avanti chiarite, sempre e
comunque arte sacra.
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Se lemergere delle espressioni artistiche nel Paleoliti-
co superiore segno di una coscienza simbolica e della pre-
senza di ideologie magico-religiose, solo pi avanti nel
tempo, sono attestate con maggiore evidenza forme di re-
ligiosit che propongono esplicitamente la presenza di di-
vinit in figura. Anche in questo caso si tratta di produ-
zioni artistiche, segnatamente di statuette di diverse di-
mensioni e vario materiale. I contesti di ritrovamento, le di-
slocazioni e le associazioni spaziali con altri oggetti (per
esempio figure di esseri umani adoranti), oltre che la loro
stessa morfologia, inducono infatti a ritenere che nel caso
delle statuette natufiane (IX-VIII millennio a.C.) e meglio an-
cora nel caso delle raffigurazioni anatoliche e siro-palesti-
nesi (VII-VI millennio a.C.), ci si trovi in presenza di raffi-
gurazioni di vere e proprie divinit. Si tratta in particola-
re di rappresentazioni, pi spesso plastiche, di donne fe-
conde e di tori (cfr. Cauvin 1987), rappresentazioni che
sembrano per la prima volta testimoniare con inequivoca-
bile evidenza la coscienza della necessit di relazioni del-
luomo con divinit dalle caratteristiche chiaramente defi-
nite e rappresentabili (cfr. Ries 2007, p. 24).
In queste raffigurazioni femminili della maternit e della
fecondit si voluto vedere, non senza perplessit, le eredi
delle cosiddette veneri del Paleolitico:
Cos, agli albori del Paleolitico superiore, figurine in osso, avo-
rio e pietra, con gli attributi materni vistosamente esagerati, co-
minciarono a fare la loro comparsa nel Gravettiano come par-
te integrante dellequipaggiamento domestico. I seni sono gros-
si e pendenti, i fianchi larghi, le anche rotonde e leccessiva cor-
pulenza suggerisce la gravidanza (James 1957, p. 145).
Queste statuette in materiale lapideo, osso, corno, argil-
la ecc., che pur nella loro variet, presentano una costante
enfatizzazione di tratti sessuali e materni (seni voluminosi,
ventri prominenti ecc.), sono state rinvenute in tutta Euro-
pa, fino alla Siberia, e sono riferibili in particolare allepoca
aurignaziana (cfr. Gimbutas 1991; Delporte 1979; James
:o IGNAZIO E. BUTTITTA
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1957, pp. 145 sgg.; Mller-Karpe 1974, pp. 243 sgg. e 355
sgg.; Graziosi 1973, pp. 15 sgg.; Eliade 1975, I, pp. 31 sgg.;
Facchini 2006, pp. 189 sgg.; Ligabue, Rossi-Osmida 2006,
pp. 36 sgg.). Vari autori hanno ritenuto queste figurazioni
plastiche una testimonianza di antichi culti della maternit
e della fecondit, se non addirittura rappresentazioni di ve-
re e proprie dee della morte e della rinascita, connesse a si-
stemi sociali di tipo matriarcale. Seguendo tale orientamen-
to autori come Campbell (1959) hanno potuto risolutamente
asserire che Le statuette femminili sono state i primi idoli
e sono state, evidentemente, i primi oggetti di culto della spe-
cie Homo sapiens (p. 371), ci in ragione del fatto che il
corpo femminile fu sentito come centro di forza divina e un
sistema di riti fu dedicato al suo mistero (p. 359). Questi
culti della fecondit femminile si sarebbero successivamen-
te evoluti nel Neolitico in particolare riferimento alla so-
lidariet tra fecondit femminile e fecondit della terra e tra
culto della fertilit e culto dei morti (cfr. Buttitta 2006a)
nel culto della Grande Madre e in et protostorica in culti
di divinit personali femminili del tipo Dea Madre (cfr. Ja-
mes 1957, pp. 162 sgg.; Furon 1959, pp. 247-249; Gimbu-
tas 1989; Rodrguez 1999; Eliade 1975, I, pp. 52 sgg.). Tale
rapporto di filiazione e la stessa identificazione delle statuette
femminili preistoriche con divinit della fecondit resta co-
munque ipotesi discussa e non verificabile con certezza (cfr.
Kozlowski 1991, pp. 69 sgg.; Mller-Karpe 1974, pp. 357
sgg.; Leroi-Gourhan 1964, pp. 145 sg.; Facchini, Magnani,
a cura, 2000, pp. 351-359). Lo stesso Eliade, che pure in-
cline a interpretare le espressioni artistiche del Paleolitico co-
me indicatrici della presenza dellesperienza del sacro, os-
serva prudentemente:
impossibile precisare la funzione religiosa di queste figurine.
Si pu presumere che rappresentino una qualche accezione
della sacralit femminile, e quindi i poteri magico religiosi del-
le dee. Il mistero costituito dalla modalit di esistenza specifi-
ca delle donne ebbe notevole parte in numerose religioni, sia pri-
mitive sia storiche (1975, I, p. 32).
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA :;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 187
Resta il fatto che diversi autori hanno ritenuto che pro-
prio da questo arcaico orizzonte di riferimento che sarebbe-
ro progressivamente emerse, differenziandosi sulla base del-
le diverse esperienze storico-culturali, le molteplici figure di
dee femminili che ricorreranno nei pantheon dOriente e
Occidente: Inanna, Isthar, Hator, Nut, Iside, Demetra, Ar-
temide, Anat, Thanit, Anahita, Devi-akti (Durg, Kli, Mah-
devi, Prvat, Laks
.
hm ecc.) ecc. (cfr. Crooke 1919; Pestalozza
1954; 2001; Gimbutas 1999; Campbell 1959; Ligabue, Ros-
si-Osmida 2006).
Valore e uso delle immagini sacre
In sostanza, unampia e accreditata letteratura connette
direttamente la nascita delle arti a esigenze magico-religiose
e alla necessit di rendere visibile linvisibile al fine di poter-
lo adorare e manipolare, nonch di poter instaurare con
esso una comunicazione immediata e in presenza. Scrive
Hegel (1837-42, p. 39): larte pare nascere da un impulso su-
periore e sembra dare soddisfazione a bisogni superiori, an-
zi talvolta ai bisogni supremi e assoluti, in quanto essa le-
gata alle concezioni del mondo pi generali ed agli interessi
religiosi di intere epoche e popoli. Sulla scorta del filosofo
tedesco pu dirsi pertanto che gli uomini, indipendente-
mente dal loro status e dalla loro fede religiosa, hanno in ogni
tempo, pi o meno consapevolmente, proiettato in partico-
lari oggetti il loro incancellabile bisogno del sacro (cfr. But-
titta 1982, p. XVI).
Coomaraswamy (1961, p. 126) ricorda che la maggio-
ranza degli individui di tutte le razze e in tutte le epoche, lo-
dierna inclusa, fatta eccezione dei protestanti, degli ebrei, e
dei musulmani, si servita di immagini in vario grado an-
tropomorfiche ai fini della pratica religiosa. Se per luso di
immagini sacre ampiamente diffuso allinterno di numero-
si sistemi religiosi e, nella pi parte dei casi, costitutivo de-
gli atti di culto, la misura in cui si pensa che le immagini ve-
nerate incarnino veramente il divino o il soprannaturale va-
: IGNAZIO E. BUTTITTA
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ria in maniera significativa da cultura a cultura, se non da in-
dividuo a individuo. A ci va aggiunto che quel che una tra-
dizione o un individuo pu dire o pensare sulla venerazione
delle immagini non sempre corrisponde a quel che vera-
mente si fa o si sente di fronte a unimmagine reale (Strong
1986, p. 277).
Limportanza e il ruolo svolto dalle immagini sacre in se-
no alle diverse culture e ai diversi livelli sociali, gli atteggia-
menti nei loro confronti, il valore e le funzioni a esse attri-
buite, non sono affatto uniformi (Benjamin 1955, p. 24. Cfr.
Wunenburger 1997, pp. XI e XIII; Debray 1992, pp. 17 e 50;
Gombrich, Hochberg, Black 1972, passim; Kandinsky 1912,
pp. 17 e 35). Rispetto alluso, al valore, alla funzione e al si-
gnificato delle immagini, segnatamente quelle di carattere re-
ligioso, alla stessa possibilit di realizzarle e di servirsene per
usi concreti e per i pi diversi scopi, si registrano non solo
differenze tra culture lontane nello spazio ma anche allin-
terno di una stessa cultura in epoche successive e nei diffe-
renti contesti sociali (Goody 1997, in partic. pp. 15 e 32
sgg.). Differenti atteggiamenti nei riguardi delle immagini,
coesistono, si confrontano e a volte, in particolari condizio-
ni, si scontrano, allinterno di una stessa societ. Il fenome-
no rilevabile tanto nel mondo ebreo-cristiano e musulma-
no, che nel mondo indiano (cfr. Sguy 1977; Besanon 1994;
Halbertal, Margalit 1994; Stroumsa 2001; Salmond 2004).
Come rileva Sguy (1977, p. 33):
Iconoclastia, iconofobia, iconofilia, iconolatria, sono altrettan-
ti punti fermi in un continuum in cui forse nessuna religione
in ogni caso nessuna confessione cristiana sembra fissarsi, al-
meno diacronicamente, in un punto invariabile. Un continuum
che riflette anche, almeno simbolicamente, dei riferimenti a re-
golazioni di poteri economici, politici e di politiche di prestigio
acquisito o ricercato, rinviandoci cos alle societ globali e ai lo-
ro scontri.
Un atteggiamento ambiguo nei confronti delle immagini
ricorre tra laltro in vari momenti della storia induista che
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA :,
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vede susseguirsi o coesistere, momenti di attenzione ver-
so le immagini sacre, atteggiamenti di distacco o assenza,
come in epoca vedica, periodi radicalmente iconoclasti, co-
me quello della dominazione musulmana, che vede nella
distruzione delle immagini proclamata la morte dei falsi
dei. Daltronde il controllo delle procedure di fabbrica-
zione e duso delle immagini sacre, cos come il loro pos-
sesso di fatto un potente strumento di controllo sociale
e di legittimazione del potere (Davis 1997, pp. 53 sgg.
Cfr. Kertzer 1988; Zanker 1987; Bahrani 1995).
Davis ricorda come i sovrani indiani depoca medievale,
secondo procedure largamente attestate gi nel Vicino
Oriente antico (cfr. Matthiae 1994), simpadronissero di
immagini sacre nel corso delle loro spedizioni militari sia
per beneficiare delle protezioni della divinit, sia per pro-
clamare attraverso questa presa di possesso la sottomis-
sione del nemico. Divenuta bottino di guerra, limmagine
denuncia la supremazia del nuovo padrone e il favore del
dio verso di esso (Davis 1997, in partic. pp. 54 sgg.). Le
societ di fatto si riconoscevano attraverso e nelle proprie
divinit. Le immagini sacre, poste nelle loro naturali di-
more, i templi cittadini, ne testimoniavano la presenza ed
erano segno visibile della loro protezione. I simulacri di-
vini erano di fatto percepiti come gli dei stessi. Asportare
e trasferire gli dei degli sconfitti nelle capitali dei vincito-
ri equivaleva da un lato alla cancellazione della identit dei
vinti, dunque al loro annientamento, dallaltro alla acqui-
sizione del favore degli dei. chiaro allora come massima
ragione dorgoglio fosse per un sovrano recuperare e rein-
trodurre nei santuari originari, anche a distanza di secoli,
le venerate immagini.
Se le immagini degli dei hanno uno straordinario valore
politico ci deriva dal ruolo fondamentale da esse assolto ne-
gli atti di culto: in un certo senso esse li presumono e li so-
stanziano, assicurando una presenza sacra, visibile e tangi-
bile ai devoti. Ci particolarmente vero nei sistemi religiosi
a carattere esplicitamente iconico, cio in quelli che ricor-
rono alla rappresentazione visibile del piano divino, se-
:,c IGNAZIO E. BUTTITTA
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gnatamente attraverso figurazioni antropomorfe e/o terio-
morfe (Di Nola, a cura, 1970, III, p. 816). Rispetto a queste
, tuttavia, necessario distinguere tra immagini/oggetti sacri
di per s, cio ritenuti dotati di unintrinseca potenza anche
indipendentemente da ci che rappresentano, e immagi-
ni/oggetti sacri perch rappresentazioni di un soggetto po-
tente che, pur autonomo e trascendente da esse, attraverso
queste si presentifica. Nel primo caso siamo di fronte a un ti-
po di immagine, generalmente indicata come idolo o, pi
propriamente feticcio, che si pone e si impone come au-
tosufficiente che
termine e totalit. In esso non si d nessun aldil, e la sua ma-
terialit la sua stessa esistenza. Cos il culto rimane racchiuso
nelloggetto, lontano da qualunque tentazione di trascendenza:
la relazione cultuale si svolge nello spazio chiuso e sicuro che
lo scongiuro o ladorazione instaurano tra lidolo e il fedele che
lo invoca o gli si rivolge (Dupront 1987, p. 113).
Nel secondo caso, particolarmente evidente nelle reli-
gioni politeistiche, limmagine del divino corrisponde a
singole Potenze o divinit o antenati o figure eroiche che ven-
gono rappresentate con i loro attributi specifici. Limmagi-
ne, in questi casi, ha valenze molteplici e si costituisce un tra-
mite intermediatore tra luomo e la Potenza (Di Nola, a cu-
ra, 1970, III, p. 818). In altre parole, le immagini/oggetti del
secondo tipo sono sempre e comunque rappresentazio-
ne/rivelazione di una potenza e si configurano come strut-
ture materiali in cui operata una fissazione spaziale, un im-
brigliamento, temporaneo o permanente del sacro. Qualun-
que sia il grado di reificazione antropomorfica dellimmagi-
ne sacra, dipendente peraltro dalle diverse concettualizza-
zioni del mondo divino da parte delle diverse culture, la sta-
tua o la stele, il dipinto o il cippo, si configurano, dunque,
di per s come unepifania del sacro: mentre lo presentano
esso si manifesta.
Sulla base di queste premesse possiamo osservare che co-
me gi le immagini, le statue, i templi e le chiese degli dei
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pagani e dei santi cristiani, cos le raffigurazioni divine e
i luoghi di culto induisti sono testimoni dellessere e del-
lessenza degli dei, attualizzazione non solo simbolica del di-
vino. Dietro le statue il vero fedele avverte immancabil-
mente il sacro che le permea ed evoca alla vita, consenten-
do loro di divenire realt esperita. Scrive Walter Friedrich
Otto (1956, p. 40):
Ecco: si erige una pietra, si innalza una colonna, si edifica un
tempio. Il fatto che siano considerati sacri appare allintelletto
grossolano feticismo. La realt che, lungi dallesser feticci,
quella colonna, quella statua, quel tempio non sono nemmeno
monumenti intesi a tener vivo il pensiero, il sentimento, il ri-
cordo di qualcosa. Sono il mito stesso, cio la manifestazione
sensibile della verit che, divina, vuole, con tale sua divinit, di-
morare, in concretezza di forme, nel visibile.
Non diversamente rileva Vernant (1996, p. 168):
Accanto al mito in cui si narrano delle storie o si raccontano
delle favole, accanto al rituale in cui si compiono sequenze or-
ganizzate di atti, ogni sistema religioso comporta un terzo ele-
mento: le forme della raffigurazione. Tuttavia, la figura reli-
giosa non mira soltanto a evocare, nello spirito dello spetta-
tore che guarda, la potenza sacra a cui rimanda e che a volte
rappresenta, come nel caso della statuaria antropomorfa, e al-
tre volte evoca sotto forma simbolica. La sua ambizione, pi
ampia, unaltra. Essa intende stabilire una vera e propria co-
municazione, un autentico contatto con la potenza sacra, at-
traverso ci che la rappresenta in un modo o nellaltro; la sua
ambizione di rendere presente questa potenza hic et nunc,
per metterla a disposizione degli uomini, nelle forme richie-
ste dal rito.
Nella prassi concreta le immagini degli dei non sono
mai oggetti inerti, n il simulacro del dio, limmagine con-
sacrata, si limita a rinviare ed evocare qualcosa che non
presente (Gilles 1993, pp. 14 sgg.; Van der Leeuw 1956, pp.
350-351; Strong 1986, p. 283). Nel simulacro divino im-
magine e referente sono diluiti in un continuumche riassu-
:,: IGNAZIO E. BUTTITTA
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me e non disgiunge, impedendo ogni consapevolezza della
natura metareale delle rappresentazioni. Immagine e realt
lungi dallessere avvertite come disgiunte e contrapposte ap-
paiono contigue e interrelate. In altre parole come ricorda
Van der Leeuw, riprendendo le osservazioni della Vlker-
psychologie (vol. 4, p. 35) di Wundt: Fra il sacro e la sua
figura, c comunione di essenza. (...). Il significante e il si-
gnificato, il mostrante e il mostrato, si svolgono insieme, si-
no a formare unimmagine unica. (...) Limmagine la cosa
che si rappresenta, il significante tuttuno col significato
(Van der Leeuw 1956, pp. 348-349). La loro opposizione lo-
gica superata dal pensiero mitico e limmagine viene a qua-
lificarsi come doppio, non come alterit o replica imperfetta
di un originale, cos che il dio trascendente e il suo simula-
cro terreno vengono percepiti allo stesso modo e assumo-
no analogo significato (Vernant 1991). Il simulacro non
dunque una riproposizione visuale, pi o meno fedele e so-
migliante, ma parte esso stesso, riflesso delloriginale che
recupera e supplisce a ogni distanza di tempo e di luogo.
Limmagine a un tempo rappresenta ed ci che intende
rappresentare. Utilizzando le parole di Luis Marin possia-
mo dire che limmagine di marmo dio: il dio che rap-
presenta. Gli effetti attraverso i quali limmagine, nel pro-
durre tali effetti, si costituisce come rappresentazione, ri-
velano e mostrano il dio, lo fanno apparire nella sua im-
magine (Marin 1993, p. 67).
Limmagine sacra, per usare un termine caro a Freud,
unheimlich (1919, pp. 171-172), poich essa fatta con lin-
tento di perturbare lanimo e solo se raggiunge questo sco-
po essa veramente ci che rappresenta, lascia trasparire
lessenza di ci che rappresentato, consente di esperire il my-
sterium tremendum (Otto 1936, p. 23). Limmaginazione re-
ligiosa consente di attribuire a entit del mondo visibile pro-
priet nuove, rafforzandone il valore ontologico e consen-
tendo allimmagine di assumere una funzione di tramite con
il trascendente. Chi prega dinanzi a unicona, questa soglia
dellinvisibile, la divinit che si ritrova innanzi. Come os-
serva Florenskij (1922, p. 65):
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Ecco, osservo licona e dico dentro di me: lei stessa non
la sua raffigurazione, ma Lei stessa, contemplata attraverso la
mediazione, con laiuto dellarte dellicona. Come attraverso
una finestra vedo la Madre di Dio in persona, e Lei prego, fac-
cia a faccia, non la sua raffigurazione. S, nella mia coscienza
e non una raffigurazione; una tavola con dei colori ed la
stessa Madre del Signore.
Tra le diverse forme di arte sacra il riferimento pi pros-
simo e immediato che pu aiutarci a comprendere il valo-
re intrinseco ed estrinseco delle immagini sacre induiste
proprio quello delle icone del cristianesimo orientale (cfr.
Burckhardt 1974, in partic. pp. 62-70). Pur nella profon-
da diversit delle esperienze e dei contesti storico-geogra-
fici si rilevano, infatti, almeno a livello fenomenologico,
tratti comuni se non elementi di continuit nel rapporto tra
fedeli e immagini cultuali. Tali similitudini e presunte
continuit tra forme e atteggiamenti cultuali si osserva-
no anche in relazione ad altri simboli e al loro coerente in-
serimento allinterno degli iter rituali. In questa direzione,
prima di analizzare lo specifico problema delle immagini
in ambito induista, interessante ripercorrere sintetica-
mente le vicende relative alluso delle immagini divine nel
mondo cristiano.
Licona cristiana
I cristiani, in diversi momenti della loro storia, hanno do-
vuto confrontarsi con problemi relativi alle loro immagini
di culto (cfr. Sguy 1977, in partic. pp. 33-37; Grabar 1943-
46; Passarelli 2002; Lingua 2006, in partic. pp. 27-120; Ber-
nardi 2007, in partic. pp. 18-69). Nel primo cristianesimo,
memore della lettera veterotestamentaria Non ti fare scul-
tura, n immagine alcuna delle cose che sono nel cielo in al-
to o sulla terra in basso o nelle acque sotto la terra, non ti
prostrare davanti ad esse n servire loro (Es., 20, 4-5.
Cfr. Deut., 5, 8-9; 7, 25 e 27, 15; Salmi, 97, 7), si registra una
:, IGNAZIO E. BUTTITTA
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diffusa ostilit, almeno a livello ufficiale, verso la rappre-
sentazione del sacro. Conseguentemente la produzione di
immagini sacre si afferma lentamente e non senza difficolt.
Fino agli inizi del III secolo ci si accontenta di un reperto-
rio molto ristretto di simboli grafici: rosette, fronde, vigne,
mutuate dallarte ebraica e raramente ci si spinge alla me-
tafora animale con il pesce e la pecora (Debray 1992, pp.
73-74. Cfr. Testa 1981; Prigent 1991). Alcuni Padri della
Chiesa dei primi secoli, quali Clemente Alessandrino, Ori-
gene, Tertulliano mostrano di non accettare le immagini. Al-
tri, come Lattanzio e Arnobio esprimono dubbi sulla loro
effettiva liceit. SantAgostino si mostra perplesso sulla le-
gittimit di rappresentare limmagine di Dio e rileva che le
immagini dilettano per soavit, inducendo potenzial-
mente a peccare, tuttavia riconosce che queste insegnano
per necessit e spiegano per trionfare (De doctrina chri-
stiana, IV, 12). San Basilio ammetter, a sua volta, che unim-
magine di Cristo pu condurre il cristiano sulla via della
virt se congiunta alleloquenza del predicatore e Nicefo-
ro nelle sue Confutazioni asserir che le immagini sono del-
la medesima natura delle scritture evangeliche. Nel II Con-
cilio di Nicea del 787, che seguiva a unepoca contrasse-
gnata, almeno nei territori dellImpero bizantino, da una du-
ra lotta iconoclasta (cf. Brown 1982; Pelikan 1994; Wu-
nenburger 1997, pp. 218-227), si sosterr che:
anche se il culto vero e proprio era riservato solo a Dio, era le-
gittimo tributare onori alle immagini e che tali onori erano real-
mente efficaci, dal momento che venivano trasmessi alla persona
raffigurata. La venerazione non doveva essere diretta allim-
magine di Cristo o dei santi, ma a Cristo e ai santi nelle loro im-
magini (Strong 1986, pp. 277-284).
Alle figurazioni sacre veniva, daltronde, ascritto un im-
portante valore pedagogico e di sostegno alla predicazione
per levangelizzazione degli illetterati, in aderenza alla po-
sizione gi espressa nel VI sec. da san Gregorio Magno:
tutti gli uomini ignoranti ed incapaci di leggere vedano le
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storie del Vangelo, ed attraverso di esse siano condotti a glo-
rificare ed a ricordare la dispensazione nella carne del re Si-
gnore nostro Ges Cristo (Reg. Epist., IX 208). Dai docu-
menti conciliari emerge di fatto quella che rester per secoli
la posizione ufficiale della Chiesa intorno alle immagini pit-
toriche e, pi tardi scultoree, di Dio e dei santi: ricordare,
richiamare alla memoria, le vicende del Cristo, della Vergi-
ne, le storie esemplari dei santi, specialmente alle menti
deboli e illetterate del volgo che di tali vicende pu solo
ascoltare attraverso la parola del predicatore o osservare sul-
le pareti del tempio.
Insieme alla funzione pedagogica un altro aspetto di non
poco rilievo ribadito dal Concilio Niceno, quello riassun-
to nella Interpretazione del Cantico dei Cantici di san Grego-
rio di Nissa: colui che guarda licona, una tavola riempita di
colori con arte, non trae la somiglianza dalla tinta ma con-
dotto alla visione del prototipo (Commentarius in Canticum
Canticorum, Langerbeck, a cura, 1960, p. 28), cosicch lo-
nore tributato allicona passa al suo modello originale (san
Basilio, In Sanctum Spiritum, PG 32. 149C, cit. in Russo, a cu-
ra, 1997, p. 45). Il culto dellicona cio come osserva Flo-
renskij giunge allarchetipo (1922, p. 62). Si apre cos una
strada a doppio senso: licona, finestra, soglia tra visibile e in-
visibile, consente da un lato la contemplazione del divino, dal-
laltro il suo manifestarsi tra gli uomini. Figure del limite le
immagini sacre appartengono allo stesso tempo ai due mon-
di, laldiqu e laldil, si trovano al confine tra visibile e in-
visibile e allo stesso tempo lo rappresentano. Poste tra il tem-
po e leternit, in esse linfinito, linconoscibile, si trasforma
in qualcosa di limitato e pu apparire dinanzi al fedele
(Campbell 1986, pp. 81 sgg.; cfr. Florenskij 1922, p. 19).
questa unidea delle figure divine che come vedremo ricor-
re esplicitamente, seppure con diverse sfaccettature, nella
speculazione induista sulle immagini sacre.
Il messaggio che emerge dal Concilio Niceno, ripreso
senza sostanziali modifiche dal Concilio di Trento (XXV Ses-
sione, 3-4 dic. 1563-Denzinger U, 986; cfr. Cusumano 1988,
p. 16 e note; Wunenburger 1997, p. 223), che le immagini
:,o IGNAZIO E. BUTTITTA
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sacre non sono destinate a essere venerate come dei feticci,
come oggetti sacri di per se stessi, neppure come presentifi-
cazioni materiali del dio, ma a servire da richiamo alla me-
moria e a essere veicolo della venerazione per il santo rap-
presentato. Adorando limmagine della Croce scrive il
vescovo di Neapoli di Cipro Leonzio nel Quinto discorso in
difesa dei Cristiani contro i Giudei, o delle icone dei santi non
onoriamo la materialit del legno ma, vedendo linsegna, il si-
gillo, la stessa immagine di Cristo, attraverso essa [la croce]
accogliamo e veneriamo colui che su di essa fu crocifisso.
Che tuttavia le immagini sante non si limitino a essere veicolo
e memento del santo rappresentato si intuisce dal discorso
dello stesso Leonzio che, esprimendo una posizione pi vi-
cina alla concreta fruizione che le immagini hanno a livello
popolare, ricorda: Grazie alle reliquie e alle icone dei mar-
tiri, molte volte fuggono i demoni e che da icone e reliquie
zampilla il sangue (cit. in Russo, a cura, 1997, p. 39). Resta
inoltre il fatto che le immagini dei santi, dei quali si amplifi-
cavano le virt miracolose e i prodigi, si mostrarono per la
Chiesa formidabili, e consapevoli, strumenti di penetrazione
culturale, particolarmente presso quegli strati della popola-
zione che non avevano dimestichezza con la scrittura ed era-
no refrattarie a imposizioni dogmatiche.
In questo modo, almeno a partire dallanno Mille, il cul-
to delle reliquie (Eliade 1975, pp. 63 sgg.; Brown 1981) si
estese a quello delle immagini dei santi che sempre pi co-
minciarono a essere rappresentati a tre dimensioni e a esse-
re onorati attraverso le loro rappresentazioni plastiche (Sch-
mitt 1988b, pp. 136-137; Vauchez 1999, pp. 83 sgg.). Tra le
testimonianze di questa progressiva affermazione pu ricor-
darsi un exemplum tratto dalla Legenda aurea di Iacopo da
Varagine relativo alle offese subite da unimmagine di san Ni-
cola. Da esso si evince lidentificazione tra leffigie del san-
to e il suo corpo; ogni offesa fatta allimmagine del servo di
Dio colpisce la sua persona (p. 85). Le immagini dei santi
possono dunque agire direttamente e patire le offese, sono
cio immagini viventi, presenza reale (Dupront 1987). No-
nostante in et medievale, a livello delle lite intellettuali, sul-
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA :,;
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la base della teologia scolastica fosse diffusa lidea che lo-
maggio reso allimmagine non era rivolto a questultima in
quanto tale, ma al prototipo al quale essa rinviava, in ambi-
to popolare, in sostanza, si attribuivano propriet comuni al
modello e alla sua riproduzione plastica o pittorica, cio si av-
vertiva che le immagini di Dio e dei santi hanno in s una
virtus latente (Vauchez 1999, p. 93).
Esiste dunque nelluniverso cristiano distanza tra la teoria
e la prassi, tra ci che si dovrebbe credere e ci che realmen-
te si crede, tra ci che si predica e come si pratica. Per lumi-
le credente attraverso le immagini si d corpo a chi non ha cor-
po rendendolo visibile e consentendo di sperimentare la sua
presenza. Osserva Wunenburger (1997) che se pensiamo a
ipotetici esseri sovrasensibili, invisibili, a idee ipostatizzate o di-
vinit, non siamo tuttavia in grado di accreditarne lesistenza
se non li vediamo uscire dalla loro ipseit e manifestarsi, in un
modo o in un altro, in immagini visibili, magari in forma di dop-
pi (p. 138). Se per lasceta, il sacerdote, il filosofo, limmagi-
ne sacra transitus verso il divino (Florenskij 1922, pp. 53 sgg.;
Wunenburger 1997, p. 205), per il devoto manifestazione del
divino che al di l di ogni effettiva somiglianza lo riproduce ren-
dendolo realmente presente. Se licona bizantina, almeno nel-
lesegesi conciliare, una finestra sullinvisibile, mediazione
dessere, le statue dei santi divengono, in ambito popolare e in
particolare nel tempo-ambiente della festa, incarnazioni des-
sere. Fatte le debite differenze e considerata lampiezza e di-
versit delle tradizioni religiose induiste che vanno dai sincre-
tismi aborigeni al tantrismo, questa stessa dicotomia tra reli-
giosit istituzionale e canonica e credenza e pratica effetti-
va, tra cultura ufficiale e cultura popolare, pu essere riscon-
trata, come vedremo, anche in ambito induista.
Immagini sacre nellinduismo
Non semplice delineare un percorso coerente e omo-
geneo allinterno delle tradizioni religiose induiste, realt re-
ligiosa complessa e diffusa come ricorda Filoramo (a cu-
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ra, 2002, p. V), cui bisogna guardare come a un mosaico di re-
ligioni che raccoglie millenni di differenti storie ed espe-
rienze religiose che sottolinea Scognamiglio (2001, p. 292)
non ha un fondatore storico e che ha subito i cambiamen-
ti storici e politici ed etnico-culturali di generazioni di indiani
e di popoli attorno allIndo. Daltro canto la proliferazione
di scuole e di sette diverse nella Penisola indiana stata fa-
vorita dallassenza di unautorit centralizzata che definisse
ed esercitasse un controllo sui limiti dellortodossia di dot-
trina e di disciplina. Dietro il generico termine di induismo,
vanno di fatto compresi fedeli che hanno credenze animi-
stiche, politeistiche, panteistiche, monistiche, monoteistiche
(quando non si tratti di atei), che praticano forme tradizio-
nali di culto o che le criticano radicalmente, gli aderenti a cre-
denze arcaiche ma anche i seguaci del neo-hindismo (...)
(Filoramo, a cura, 2002, p. V). Anche per tali ragioni bisogna
avvicinarsi allinduismo come a un fenomeno religioso com-
plesso e di natura culturale e sociale che non si assoggetta a
facili interpretazioni e a velleitarie ermeneutiche teologiche
o a definizioni dogmatiche particolareggiate e decisamente
marcate nel contenuto teologico e dottrinale (Scognami-
glio 2001, pp. 292-293).
Principio ispiratore di questa complessa e articolata realt
si rivelano essere le tradizioni espresse nei sacri testi rivelati,
i Veda, la cui conoscenza e interpretazione sostanzialmen-
te riservata alla casta sacerdotale e da questa trasmessa al po-
polo dei fedeli. Se in teoria i Veda si costituiscono come ri-
ferimento unico e vero, nella prassi concreta dei culti essi
sono trascesi e limitatamente presenti in credenze, riti, pre-
ghiere, formule divinatorie appartenenti a una tradizione an-
teriore o costituitasi nel lungo processo di interpretazione cul-
turale e di integrazione sociale dei medesimi libri sacri (pp.
293-294). Anche da qui la proliferazione di diverse tradizio-
ni, o sette, poste sotto legida di particolari figure divine tri-
butarie principali o esclusive del culto, le cui principali pos-
sono essere individuate: nella corrente di tradizione pi squi-
sitamente vedica, il brahamanesimo, nel vishnuismo, nello
shivaismo, nello shaktismo, nelladvaita-vedanta, nel cosid-
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detto neo-induismo, una forma sincretistica nata alla fine del-
lOttocento che tenta di conciliare la tradizione vedica con
aspetti del cristianensimo e dellislamismo (cfr. tra gli altri,
Queguiner 1958; Morgan 1987; Knott 1998; Klostermaier
2000; Dallapiccola 2002; Filoramo, a cura, 2002; Di Nola, a
cura, 1970, III, pp. 1043-1116).
Tuttavia, dietro questa multiforme variet di insegna-
menti, riti, culti e credenze dato rinvenire una certa aria
di famiglia fondata sulla certezza che il divino si possa ri-
velare e manifestare in forme diverse, sulla non opposizione
tra materiale e spirituale, sullappartenenza delluomo a una
totalit cosmica, sulla reincarnazione (Filoramo, a cura, 2002,
p. VII). Al di l delle diverse sfumature dottrinali e delle di-
verse credenze e pratiche cultuali, le varie tradizioni conser-
vano, infatti, dei caratteri unitari, consentendo di formula-
re lipotesi di una sorta di unit ideale di tutti gli hindu pro-
prio a livello della prassi religiosa:
ci sono infatti gesti, atteggiamenti, preghiere che vengono ri-
petuti da millenni con le medesime modalit in luoghi molto
lontani luno dallaltro, da persone molto diverse fra loro per
convinzioni e ideali. Anzi, proprio un fatto del tutto esterio-
re, come laccesso ai templi e ai luoghi specialmente santi,
sembra essere lunico elemento sicuro in base al quale si pos-
sa attribuire a una persona unidentit come hindu (Piano
2002, p. 171).
Elemento costitutivo del culto templare, che riflette e tra-
scende quello domestico, appunto, soprattutto a livello po-
polare, la venerazione delle immagini divine. Come osserva
Malamoud, infatti, in apertura del suo Il gemello solare:
Il territorio dellIndia interamente popolato di immagini di-
vine, e il culto ind consiste in buona parte nel rendere omag-
gio a queste immagini, cos come la teologia dellinduismo una
riflessione sulla modalit della presenza del divino nelle effigi.
Ma questo rigoglio entra a far parte dello scenario indiano sol-
tanto a partire dai secoli immediatamente precedenti linizio del-
lera cristiana (2002, p. 19. Cfr. 1989, pp. 261 sgg.).
:cc IGNAZIO E. BUTTITTA
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In effetti per secoli la religione dellIndia si configura co-
me sostanzialmente aniconica:
le varie divinit del pantheon vedico non venivano rappre-
sentate, almeno non in maniera antropomorfica, e i sacrifici ri-
tuali che le comprendevano sottolineavano limportanza non
della forma divina come tale, ma del suono sacro (mantra), del
fuoco e dellaltare sacrificale. Solo con lirrigidimento della tra-
dizione sacrificale, il crescente uso di templi e la nascita di mo-
vimenti devozionali (bhakti) le immagini degli dei diventaro-
no un tratto saliente dellInduismo. Vis
.
n
.
u, Kr
.
s
.
na, S

iva, Ka li e
altri dei e dee finirono tutti con lessere rappresentati nelle lo-
ro varie forme in statue e dipinti e furono venerati in templi
e case di tutta lIndia (Strong 1986, p. 278. Cfr. Delahoutre
1985, pp. 73-74).
Per una storia delle immagini sacre induiste
Raffigurazioni plastiche e grafiche riferibili al mondo di-
vino sono documentate presso le culture pre-arie dellIndia.
In particolare presso la cosiddetta civilt del Paja b o In-
dus Valley Culture (Harappa, Mohenjo-daro), civilt urba-
na evoluta di agricoltori e allevatori fiorita tra il III e il II mil-
lennio a.C., si osserva il ricorrere di rappresentazioni di di-
vinit maschili e femminili con fattezze umane (Delahoutre
2007, p. 12. Cfr. Salmond 2004, pp. 13 sgg.) e di animali fan-
tastici che semblent revtir un caractre magico-religieux
(Loth 2003, p. 11). La massima parte delle immagini divi-
ne o a carattere mitico (unicorno, tigre, cobra, albero della
vita ecc.) ricorre su piccoli sigilli quadrangolari la cui funzione
resta tuttora incerta. Alcuni di questi tipi divini presenta-
no dei caratteri che si ritroveranno pi tardi nel pantheon in-
duista: cos nel caso del presunto rapporto, perlomeno for-
male, tra le ricorrenti rappresentazioni di divinit del tipo si-
gnori del bestiame (personaggi maschili assisi in posizione
yogi con corna che sovrastano il capo, attorniati da animali
quali la tigre, lelefante, il bufalo, il rinoceronte, la gazzella)
e quella di S

iva pasupati.
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Vere e proprie raffigurazioni materiali degli dei non sem-
brano invece significativamente presenti nella prima religio-
ne vedica, che sembra configurarsi come forma di culto so-
stanzialmente aniconica: sullarea sacrificale, e pi in gene-
rale in tutti i luoghi di culto, gli di sono invocati e convo-
cati ma non raffigurati (Malamoud 2002, pp. 19-20. Cfr. Sal-
mond 2004). Gli dei vedici temono di essere visti, deside-
rano rimanere fuori dalla vista, sono dunque presenti allat-
to principale del culto, il sacrificio, ma non devono essere rap-
presentati per immagini:
Gli dei scorgevano la fiamma di Agni che rischiarava di lonta-
no tutti gli orizzonti, e si recavano attorno al focolare nel luo-
go chiuso che era stato loro preparato. Per quanto nessuno li
avesse visti, nessuno osava dubitare della loro presenza: non so-
lo, durante il sacrificio, i raggi penetranti di Agni andavano a
colpire lo sguardo degli dei, ma in qualunque lontana regione
si trovassero, la voce dellinno risuonava nelle loro orecchie
(Burnouf 1863, p. 306).
Non v pertanto ragione di costruire oggetti che, occu-
pando una parte dello spazio, avrebbero la funzione di ag-
giungere una visibilit artificiosa a questi esseri divini che so-
no l in persona, nel momento delloblazione, se la formula
dinvito stata loro rivolta correttamente (Malamoud 1989,
p. 262). Tuttavia, anche se nel corpus vedico e nei testi cor-
relati non si trovano significativi riferimenti a immagini di-
vine, sia scolpite che dipinte, non vi sono neanche presenti
espliciti divieti a raffigurare le immagini degli dei e a utiliz-
zarle in ambito rituale. Inoltre, come ricorda Eliade (1975,
I, p. 219), bisogna tener conto del fatto che i testi vedici rap-
presentano il sistema religioso di unlite sacerdotale asser-
vita a unaristocrazia militare; la parte restante della societ
vale a dire la maggioranza, i vaisya e i sudra condivideva
probabilmente idee e credenze analoghe a quelle che trovia-
mo poi, duemila anni dopo, nellinduismo.
In ogni caso la questione resta non chiarita e su di essa so-
no state avanzate diverse ipotesi. Secondo Gopinatha Rao
:c: IGNAZIO E. BUTTITTA
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(1914-16) vi sono elementi sufficienti per poter sostenere le-
sistenza di forme di culto delle immagini nellIndia vedica:
Cos, sembra che ci siano argomenti sufficienti per suggerire che
il culto dellimmagine non fosse del tutto ignoto anche allIn-
diano vedico; e sembra verosimile che egli adorasse almeno oc-
casionalmente i propri dei in forma di immagini, e che conti-
nuasse a farlo anche in seguito. Questa la testimonianza di co-
me si possa trovare una culto dellimmagine nella pi antica let-
teratura sanscrita. auspicabile concentrare la nostra attenzione
sulle sculture attuali e sui riferimenti alle immagini che com-
paiono nelle iscrizioni antiche (p. 5).
Intorno al II-I sec. a.C. la situazione sembra comunque mu-
tare. Riferimenti testuali a rappresentazioni iconografiche del
divino (cfr. Apastambiya-grhyasutra, 19, 31; Mahabharatha,
13, 25, 6; Leggi di Manu, III, 152; IV, 39 e 130 e VIII, 87) si ac-
compagnano, infatti, al progressivo passaggio dal vedismo al-
linduismo. Un passaggio non contrassegnato da rotture e
riforme che si configura piuttosto come evoluzione di idee pre-
cedenti. Allo sviluppo dellinduismo monoteistico, per cui
tutti gli dei sono aspetti dellAssoluto tradotto in immagini
definite dai suoi adoratori, corrisponde una pluralit for-
male delle immagini le cui tipologie e i cui caratteri sono ri-
conducibili alle diverse esigenze di singoli individui o grup-
pi che raccolgono tanto a livello cultuale che iconografico
tutte le forme preesistenti e locali in una pi ampia sintesi teo-
logica in cui esse vennero interpretate come modi o emana-
zioni del sommo Isvara (Coomaraswamy 1961, p. 131).
Laconico ma assai significativo rispetto al valore ascritto
alle immagini divine quanto leggiamo nelle Leggi di Manu (II
sec. a.C.-II sec. d.C.) nel capitolo dedicato alle cause legali
presiedute dal re: La mattina [il re], incontaminato, deve
chiedere [ai testimoni] incontaminati e nati due volte, che
[stanno in piedi] rivolti a nord o rivolti ad est, di dare testi-
monianza veritiera in presenza degli di e dei sacerdoti (VIII,
87). Rilevanti anche le attestazioni di immagini templari e do-
mestiche e di raccolte di offerte che i brahmani effettuavano
recando di casa in casa effigi di divinit, pratikirti, in cambio
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verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 203
della benedizione della divinit stessa fornite da Patanjali (II
sec. a.C.) ma anche da Panini (V sec. a.C.) (Dallapiccola 2002,
p. 117). Al di l di ogni ipotesi e di ogni testimonianza testua-
le le prime attestazioni materiali di imagini degli dei sono co-
munque relative al I-II sec. d.C. e provengono in massima par-
te dalla regione di Mathur a sud di Delhi. Si tratta di unim-
magine a rilievo di Vis
.
n
.
u in gres rosso, di un lingam di S

iva ma-
gnificata dalla testa del dio, di rappresentazioni a tutto ton-
do o a rilievo di varie altre divinit tra cui Skanda, Su rya, In-
dra, Agni, Laks
.
m, Sarasvat (cfr. Loth 2003, pp. 35 sgg.).
Al diffondersi delluso di immagini divine dovette con-
correre anche laffermarsi della pratica dello yoga che pre-
vedeva la concentrazione della mente attraverso la fissa-
zione di un oggetto esterno (dharan
.
a): il processo di fis-
sazione della mente su qualche oggetto spazialmente de-
terminato (Patajali, cit. in Gopinatha Rao 1914-16, p.
1). La progressiva affermazione delluso di immagini cultuali
va messa, inoltre, in relazione al diffondersi della corrente
teista e allo sviluppo, del bhakti-marga, la via della devo-
zione per raggiungere il divino, che prevede di sceglier-
si una divinit in grado di focalizzare tutta la sensibilit.
LAssoluto trascendente allora intravisto nella figura di un
intermediario che si chiama con un Nome e al quale si con-
cede il proprio amore devoto (Delahoutre 2007, p. 54.
Cfr. 1985, p. 73). Daltro canto, anche il buddismo nato co-
me filosofia mistica per i candidati al Nirvana sostan-
zialmente aniconica, si trasformer in una vera e propria
religione implicante un Dio (pi precisamente un Buddha
divinizzato), un pantheon, dei santi, una mitologia e un
culto nel momento in cui uscir dal quadro ristretto dei
conventi per espandersi attraverso tutti gli strati della po-
polazione e dovr rispondere alle esigenze moltiplicate del
sentire popolare, non ultima quella di dare rappresenta-
zione concreta alloggetto del loro culto (Lamotte 1958,
pp. 686-705. Cfr. Coomaraswamy 1972; Schopen 1988-89;
Goody 1997, pp. 54 sgg.). Di fatto il culto ind si configu-
ra come pu ja, cio servizio e adorazione delle immagi-
ni divine. possibile che tale forma di contatto con il divi-
:c IGNAZIO E. BUTTITTA
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no fosse stata per lungo tempo praticata a livello domesti-
co per affermarsi successivamente, dal VII sec. d.C., come
momento essenziale delle cerimonie pubbliche nei templi
(Malamoud 1989, p. 263).
La pu ja. Culto templare e culto domestico
Kapani (1993, p. 393) ha osservato che agli occhi degli
indu il comportamento pi importante delle rappresenta-
zioni e delle credenze, tanto che pu dirsi che la menta-
lit indu riprende pi da unortoprassia che da unortodos-
sia. tuttavia da osservare che la straordinaria diversit del-
le pratiche dotate vero per losservatore esterno di una
certa aria di famiglia , rende difficile la perimetrazione
dellinduismo come una vera e propria ortoprassi (Hulin
1996, p. 488). In ogni caso lesigenza di accedere a une-
sperienza diretta del sacro che si traduce nellesercizio quo-
tidiano e/o periodico del culto alle divinit prescelte, che si
costituisce come tratto unificante dei diversi orientamenti
settari. Il modello tipico della venerazione induista che ha
sostituito il sacrificio vedico il rito della pu ja (dal radicale
puj- che significa onorare, rendere omaggio, venera-
re), rito di adorazione quotidiano che non richiede luso del
fuoco sacro. La pu ja rivolta allindirizzo delle immagini
consacrate, cio animate dalla presenza del dio permanen-
temente (le immagini del tempio) o periodicamente nel-
loccasione della celebrazione (quotidiana nel caso delle im-
magini domestiche, periodica nel caso delle immagini pro-
cessionali) (cfr. Gopinatha Rao 1914-16, pp. 9 sgg.; Bar-
nouw 1954, pp. 75-77; Delahoutre 1985, p. 74; Strong 1986,
p. 279; de Millou 1905, pp. 118 sgg.; Kapani 1993, pp.
408-409; Zimmer 1926, pp. 50-51; Piano 2002, pp. 207-210;
Dallapiccola 2002, pp. 215-216).
Il rito giornaliero di adorazione, ridottosi in molti casi in
una visita mattutina al tempio, ancora ampiamente prati-
cato da molti indu osservanti. Ma al tempio ci si pu reca-
re anche episodicamente nelle circostanze pi solenni, per
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un incontro faccia a faccia col dio, per ricevere cio il suo
sguardo benedicente e partecipare ai riti e alle preghiere col-
lettivamente. Nellinduismo la sede privilegiata e naturale
delle immagini divine sono di fatto templi e santuari la cui
architettura, estremamente elaborata e mai gratuita, risponde
a precisi principi cosmologici (cfr. Michell 1988; Burckhardt
1997, pp. 55-61; 1974, pp. 13-40; Kramrisch 1957; 1976; Pia-
no 2002, pp. 211 sgg.). Il suo centro ideale appunto il
sanctum, la cella che racchiude, non di rado da secoli, la
mu rti, limmagine o statua consacrata, autogeneratasi ov-
vero animata attraverso la recitazione di speciali mantra del
seme divino e divenuta cos forma visibile della divinit,
suo corpo perenne (cfr. Brunner 1996, pp. 439-440; Piano
2002, pp. 219 sgg.; Dallapiccola 2002, p. 118): materializ-
zazione in un sito privilegiato dello spazio della presenza,
altrimenti ovunque diffusa del dio (Hulin 1996, p. 488).
Per gli indu praticanti, queste immagini templari sono vi-
ve e possiedono lessenza del dio che rappresentano. I tem-
pli, sono pertanto le case degli dei che vanno permanente-
mente accuditi come presenze viventi, attraverso attenzioni
e cure specifiche, come gi nel mondo greco-romano e nel vi-
cino antico Oriente (cfr. Ries 1978, pp. 113 e 132; Dodds
1951, pp. 216 e 285), onde evitare che essi abbandonino le
loro mu rti e cessino di dispensare la loro benevolenza verso
la comunit dei fedeli. Il quotidiano rito templare officiato
dai brahmani o da personale alluopo incaricato essenzial-
mente rivolto a questo scopo e di fatto riproduce i riti laici
di una giornata reale. I servizi rituali possono essere fino a ot-
to, celebrati in ore fisse e secondo modalit sancite dalla tra-
dizione. Nelle prime ore del mattino, il dio viene svegliato,
lavato, unto, frizionato, vestito, nutrito. In diversi momenti
della giornata gli sono offerti canti, musiche e danze. A sera,
infine, la divinit invitata al riposo e ritualmente protetta
dalle influenze malefiche (Brunner 1996, pp. 440-441). Nel
caso del culto templare, va segnalato che la pu ja pu varia-
mente complicarsi e assumere forme diverse a secondo del-
laffiliazione religiosa dei devoti, delle peculiari tradizioni
della comunit celebrante, delloccasione.
:co IGNAZIO E. BUTTITTA
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Accanto ai riti esercitati nei templi assai diffuse sono le
forme di culto domestico corredate dalla presenza di una
molteplicit di riproduzioni plastiche e pittoriche di figu-
razioni classiche. Nella gran parte delle case indu, infatti,
una stanza, o almeno un angolo del soggiorno, viene ri-
servato esclusivamente alladorazione, e l sono riposte e
adorate le immagini sacre (Klostermaier 2000, p. 37).
Ogni singolo fedele possiede un altare ove risiedono im-
magini pittoriche e statue di una o pi divinit che, a se-
guito di opportune cerimonie di consacrazione sono con-
siderate come entit animate. Questo rito si compie gene-
ralmente al mattino ma pu anche aver luogo pi volte du-
rante la giornata. In esso simboli rituali materiali (figura-
tivi, oggettuali ecc.) e immateriali (sonori, verbali, gestua-
li) concorrono a evocare e a presentificare il divino.
Atto preliminare quello della purificazione delloffi-
ciante, il capo famiglia o chi ne fa temporaneamente le ve-
ci (che si lava accuratamente e indossa abiti puliti e ac-
conci), dello spazio rituale (la stanza dedicata a ospitare il
tabernacolo con le immagini sacre), degli oggetti necessa-
ri al rito, nonch del risveglio della divinit nellimma-
gine a due o a tre dimensioni (mu rti, pratima) prescelta dal-
la famiglia. Eseguiti questi atti si pu procedere alle offer-
te allindirizzo del dio presente in immagine. Esse consi-
stono, tra laltro, di fiori, unguenti profumati (pasta di san-
dalo ecc.), incenso, lampade, acqua, latte, abiti e orna-
menti, cibi (riso, noci di arec) e bevande tutti accompagnati
dalla recita di lodi, preghiere e formule di saluto e dalle-
secuzione di peculiari atti performativi: offerta del seggio,
lavacro dei piedi del dio, prostrazioni, inchini, circumam-
bulazioni ecc. Atto fondamentale del rito quello dellof-
ferta della luce, larati, effettuato con canfora accesa in una
lampada di argilla o metallo:
avvicinando la mano destra alla fiamma, poi portandola al viso
(precisamente alla fronte e agli occhi), si interiorizza la luce. Se
lo sposo e la sposa hanno compiuto assieme la pu ja, accompa-
gnata da canti religiosi o dai mantra, gli altri membri della fa-
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA :c;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 207
miglia, bambini, vecchi, e tutti i presenti, si associano ai canti e
si passano di mano in mano la lampada che contiene la fiamma.
Dividono anche il cibo sacro (prasada), quello offerto allinizio
alla divinit, e che ritorna verso gli umani, portatore della sua
grazia (Kapani 1993, p. 408).
Se presupposto del rito domestico la quotidiana disce-
sa del dio benevolente su un piano pi generale, limmagine
sacra, custodita in casa o esposta nel luogo di lavoro, come
pu anche osservarsi nelle tante botteghe di hindu nelle citt
europee, si configura come mezzo attraverso il quale rende-
re il sacro costantemente presente, e risponde allesigenza di
materializzare loggetto del culto, al quale poter fiduciosa-
mente affidare le ansie, le speranze, i pi reconditi desideri.
Limmagine, da invocare, da pregare o semplicemente da cu-
stodire, allora didascalica rappresentazione della potenza
del dio familiare, non diversamente da quanto si registra in
ambito folklorico europeo:
segno visibile e tangibile di un mondo invisibile e intangibile,
soggetto e oggetto materiale di una realt spirituale. (...) In
quanto mediazione tra mondo umano e regno sovrumano, ov-
vero tra vita ordinaria e potenzialit straordinarie, limmagine
sacra materializza il bisogno degli individui di organizzare un
adeguato sistema di garanzie e di difese dallirruzione del ne-
gativo sempre incombente (Cusumano 1988, p. 9).
losservazione della prassi cultuale dunque che al di l
di ogni teoria impone di guardare allinduismo come un in-
sieme di realt religiose intimamente connesse al culto del-
le immagini, che non sono per gli hindu semplici rappresen-
tazioni artistiche di astratti concetti religiosi, bens il veicolo
della presenza fisica di Dio (Klostermaier 2000, p. 77). Per
i vishnuiti in particolare:
LEssere supremo si manifesta nel mondo e si offre alladora-
zione dei fedeli in cinque modi diversi: nelle sue immagini o ido-
li, in incarnazioni divine, in manifestazioni complete sotto for-
ma umana, nello spirito diffuso ovunque, nello spirito interno
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che regola lanimo umano; ciascuno di questi modi corrispon-
de al grado di intelligenza del fedele che lo adora (de Millou
1905, p. 132).
Se Dio distante, lAssoluto inconcepibile, e con esso
non pu che aversi una comunione/comunicazione mediata,
da un canto attraverso i suoi intercessori, dallaltro attra-
verso le sue manifestazioni: simboli, immagini mentali e
materiali degli dei, animali, bramini. Per i fedeli, infatti, la su-
premazia dellAssoluto si rivela essere pi teorica che real-
mente avvertita, consentendo alla moltitudine degli esseri
divini del pantheon tradizionale, accresciuta da quello delle
divinit locali, di riaffermarsi, nella pratica concreta del cul-
to, sulle tendenze monoteistiche. chiaro dunque che lim-
magine divina non mai una mera rappresentazione/me-
moria, piuttosto una rappresentazione/attualizzazione. Se
dal punto di vista metafisico la Realt Ultima deborda infi-
nitamente la forma che la evoca, per i fedeli, la statua o lim-
magine, se non altro allatto dellesecuzione rituale, parteci-
pano intimamente del dio che rappresentano.
Le feste
Per coloro che costantemente o episodicamente attingo-
no a una visione mitica del mondo limmagine, dunque, rea-
le, la copia e loriginale sono ununica cosa (Lurker 1987b,
p. 10). Ci non significa affatto che per essi dio limmagi-
ne, ma che esiste un rapporto permanente e intimo tra la di-
vinit e la sua rappresentazione, attraverso e nella quale la di-
vinit pu e deve farsi presente in determinate circostanze. In
maniera specifica in occasione del rito festivo, in quanto es-
so presuppone, comporta e afferma la presenza divina (Strong
1986, p. 278). Le feste rappresentano dunque per i devoti
unoccasione irripetibile per godere della grazia divina. Nel-
lo spazio-tempo della festa il dio esce in processione dal-
la sua casa in forma di immagine mobile (utsavamu rti) e si av-
vicina agli uomini, segnatamente a coloro cui o era impe-
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dito per lappartenenza a caste inferiori laccesso al tempio
(Brunner 1996, p. 441). Tutti possono finalmente godere
della sua presenza infinitamente favorevole e riconoscere il
dio in persona nel simulacro processionale che passa oscil-
lando sotto i loro occhi (Hulin 1996, p. 490). In occasione
delle grandi feste cicliche, cio della solenne pu ja annuale del-
le diverse divinit, i simulacri vengono infatti fissati su ap-
positi fercoli e recati processionalmente:
In genere, queste feste comportano processioni diurne e not-
turne in cui le immagini divine sono condotte su carri monu-
mentali trainati dai fedeli, o su fercoli, con accompagnamento
di musica, canti e danze che assumono quasi sempre un carat-
tere licenzioso (de Millou 1905, p. 120. Cfr. Di Nola, a cura,
1970, III, pp. 1043-1116; Kapani 1993, pp. 411-423; Dallapic-
cola 2002, pp. 83-88; Piano 2002, pp. 234-239; Delahoutre
2007, p. 64).
Molteplici sono le occasioni che vedono le immagini de-
gli dei uscire dalla loro abituale dimora, il tempio, per at-
traversare in solenne processione labitato e il territorio e in-
contrare cos, pi da vicino, i loro fedeli, osservandone, sa-
cralizzandone e rifondandone la vita. In alcuni casi, come
quello della festa di S

iva a Trichur, nel Kerala, la mu rti del dio


viene recata sul dorso di un elefante riccamente decorato (cfr.
Piano 2002, pp. 234-235), in altri, le mu rti sono disposte su
grandi carri processionali. Tra queste particolarmente no-
ta la festa del carro di Pur (Orissa), uno dei territori santi
pi importanti nella geografia sacra indiana. La festa dedicata
a Vis
.
n
.
u-Jaganna tha, ovvero Krs
.
n
.
a, ha luogo allinizio del
monsone estivo (giugno-luglio) e vede tre grandi carri lignei
scolpiti in forma di tempio e magnificamente decorati, recanti
le immagini di Krs
.
n
.
a, di suo fratello Balabhadra e di sua so-
rella Subhadra , trascinati dalla folla dei fedeli, lasciare il tem-
pio di Pri per raggiungere la dimora estiva del dio, dove lo
attende la sua sposa Laks
.
m. Migliaia di pellegrini provenienti
da diverse regioni dellIndia, senza distinzione di casta o di
rango, partecipano alla cerimonia:
::c IGNAZIO E. BUTTITTA
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con un ardore schiettamente religioso, le persone si aggrappa-
no alle corde per tirare ogni carro, molto pesante, attraverso le
vie di Pri: il mezzo privilegiato per entrare in contatto con la
divinit. Coloro il cui fervore va fino allebbrezza mistica o al-
la follia, cadono sotto le enormi ruote del carro nel tentativo di
raggiungere la divinit. Che c di pi auspicabile e liberatorio,
che trovare la morte cos, accostandosi alla divinit? Se la si toc-
ca, e soprattutto se essa vi tocca, il suo semplice contatto vale
grazia e liberazione (Kapani 1993, p. 415).
Le immagini, in alcuni casi, vengono realizzate per loc-
casione da artigiani specializzati e animate atraverso apposi-
ti riti. Al termine della festa la divinit lascia le immagini ove
si era temporaneamente istallata e queste vengono immerse nei
fiumi. Cos accade per la festa di Gan
.
esa, il dio dalla testa de-
lefante figlio di S

iva e Parvat. In questo caso splendide im-


magini dipinte del dio o sue statue modellate nellargilla so-
no recate in processione per le strade inondate di fiori, ac-
compagnate dal suono di cembali e tamburi per pi giorni.
Al termine della festa le icone divine saranno immerse e con-
segnate alle acque del mare, dei laghi o dei fiumi. Lultimo
giorno della festa di Gan
.
esa a Poona, numerose statue del dio
vengono recate processionalmente per labitato, accompa-
gnate da danze e musiche, fino al fiume where they are fi-
nally thrown in with much fanfare (Barnouw 1954, p. 74.
Cfr. pp. 77-79).
Non diversamente accade in altre occasioni, come per la
diffusissima Durga-puja, la grande festa autunnale dei dieci
giorni dedicata alla dea Durga, sposa di S

iva, che segna il ter-


mine delle piogge monsoniche. In questa occasione statue
della dea, scolpite e dipinte da artigiani specializzati nel cor-
so dei mesi precedenti, vengono recate dai fedeli su carri de-
corati, accompagnate da canti e da danze mentre le devote,
fanciulle e donne mature, lanciano su di esse riso, fiori e ac-
qua, fino ai fiumi dove vengono immerse. A Calcutta la pro-
cessione si chiude con limmersione dei simulacri della dea
nelle acque del Gange.
Se la funzione principale assolta dalle immagini private,
quelle con le quali il rapporto si consuma nellambito della
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA :::
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famiglia e del lavoro, essenzialmente quella di mantenere
sempre aperta una linea di contatto con il dio protettore, po-
tendovi essere ascritte anche funzioni apotropaiche e pro-
piziatorie, i simulacri recati in processione in occasione del-
la festa hanno lo scopo di sacralizzare e tutelare gli spazi e i
tempi della vita sociale ricostituendoli in cosmos. Il rito pro-
cessionale ha il compito di ri-produrre eventi, gesti o com-
portamenti gi altra volta e altrove verificatisi, e di riprodurli
non solo nel senso in cui unimmagine riproduce un ogget-
to o una persona, ma anche nel senso pi forte di produrre
di nuovo, iterare e reiterare, far s che si verifichi di nuovo
(Cirese 1977, p. 67; cfr. Eliade 1949).
proprio in ambito festivo che lambiguo statuto godu-
to dalle immagini sacre assume massima visibilit. Nel mo-
mento di crisi, di interruzione del fluire ordinato del tempo,
costituito dalla festa e dai suoi riti, sembrano emergere sedi-
menti culturali profondi, che altrimenti restano mascherati
e inattingibili (cfr. Ricci 1998, p. 7). Nella festa le barriere spa-
zio-temporali che normalmente separano il fedele e la divi-
nit si dissolvono, consentendo, in quel tempo e in quel luo-
go, il tempo e il luogo del rito, un contatto diretto e imme-
diato, concreto, fisico. Il sempre incerto e ambiguo confine
fra trascendente e immanente si estingue lasciando incombere
la dimensione del mito entro la quale tutto e il contrario di
tutto possono accadere, dove il meraviglioso e il sopranna-
turale si manifestano in piena libert come realt viventi. Se
nel tempo ordinario la statua del dio, custodita e adorata nel
suo tempio, essenzialmente una porta sullinvisibile, fi-
gure del limite rivolgendosi alle quali si certi che le proprie
parole possano raggiungere il dio nelle sue sedi eterne, nei
giorni della festa, la statua non pi simbolo di una presen-
za, ma presenza essa stessa, si trasfigura, si irrora di sangue
e di emozioni, diviene animata, il dio. Il sacro cio diviene
completamente descrivibile manifestandosi integralmente
nello spazio e nel tempo, la ierofania nel suo senso pi
completo (Ries 1978, pp. 61 sgg.). Una ierofania assoluta
che pu farsi redistributrice della potenza di cui investita
sacralizzando e rifondando il cosmos.
::: IGNAZIO E. BUTTITTA
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La presenza delle immagini
Lesigenza di dare concretezza figurativa al mondo divi-
no va probabilmente riferita alla necessit di realizzare la pre-
senza fisica della divinit, di assicurarsene la protezione a
mezzo dellimmagine presente, di stabilire con essa un rap-
porto visivo e concreto (Di Nola, a cura, 1970, III, p. 1093).
Daltronde come sottolinea Danilou (1992) nelle pagine de-
dicate alla rappresentazione degli dei del pantheon induista,
lo spirito umano legato alla forma. Non in grado di rag-
giungere linformale. Non lo riesce a concepire, e ancor meno,
a fissarsi su di esso. Perci le forme e i simboli sono inevitabili
intermediari nel processo per mezzo del quale viene superato il
meccanismo della mente e si realizzano gli stati supramentali.
Noi uomini possiamo avvicinare il non manifesto unicamente
tramite la manifestazione.
Non pu dunque esistere una relazione diretta tra unin-
dividualit umana e lEssere non manifesto (p. 375) se non in
casi eccezionali. Luomo comune pu accedere al divino solo at-
traverso le sue manifestazioni sonore (suoni e parole) e materiali
(immagini descrittive antropomorfe e zoomorfe e simboli):
Un dio pu essere rappresentato descrivendo le sue caratteri-
stiche, facendone il ritratto con sostantivi e aggettivi oppure
usando elementi sonori simbolici, cio formule mentali (mantra)
o parole magiche che corrispondono alla sua natura (...). Nello
stesso modo una divinit pu essere rappresentata con unim-
magine antropomorfa accompagnata da diversi attributi, o an-
cora, possiamo esprimerla in formule grafiche e diagrammi (cio
astrazioni geometriche con significati magici) chiamati yantra (p.
376; Zimmer 1926, pp. 33 sgg.).
Le rappresentazioni divine ottenute attaraverso mantra e
yantra, in quanto pi astratte
sono pi vicine alla natura degli dei e di conseguenza pi effi-
caci nei riti. Le raffigurazioni descrittive degli di hanno inve-
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA ::,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 213
ce lo scopo di facilitare la mediazione di quei fedeli che hanno
bisogno di un supporto visivo per poter concentrare la mente.
(...) Le immagini usano come simboli le forme pi complesse,
cio pi manifeste della natura e costituiscono una base di me-
ditazione pi facile per quegli spiriti che non sono in grado di
afferrare facilmente un grado di astrazione pi elevato (Dani-
lou 1992, pp. 376-377).
Questa lesigenza comunque presente nel culto popo-
lare mentre nella speculazione mistica esse tendono ad esse-
re assunte come simboli di particolari momenti della co-
scienza cosmica cio di passeggere epifanie di una unica
realt divina, di per s invisibile e non rappresentabile (Di
Nola, a cura, 1970, III, p. 1094. Cfr. Zimmer 1926, pp. 30-32).
Limmagine
chiamata a significare una realt-totale o totalmente divina la
cui riduzione a discrezione iconica umana impossibile. Di qui
nascono la tecnica e la dottrina di uniconografia che esprime
il divino panteico attraverso simbologie anche antropomorfiz-
zate o teriomorfizzate, la cui lettura presume valori diversi da
quelli che esibisce (Di Nola, a cura, 1970, III, p. 819).
In altre parole, la singola immagine sacra circoscrive e ma-
nifesta un aspetto qualitativo della totalit divina che non pu
prescindere autonomamente da questa.
Nellanalisi delle forme, delle espressioni e dei prodot-
ti materiali dei diversi sistemi religiosi c sempre, dal-
tronde, da considerare la distanza che corre tra speculazione
teologica in quanto fissazione dotta dei principi, dei dog-
mi, delle regole della credenza e del culto, e la loro appli-
cazione a livello popolare, intendendo con questo termi-
ne la traduzione della religione ufficiale e ortodossa nei di-
versi contesti socio-culturali, ciascuno detentore di proprie
tradizioni religiose e cultuali e portatore di molteplici e di-
verse esigenze. A livello del culto popolare che quello
che in questa sede maggiormente interessa sottolineare
allideologia della statua-veicolo salvifico si sovrappone,
costantemente, la credenza che limmagine contenga essa
:: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 214
medesima il dio o una sua parte (p. 1095). Di qui deriva
lesigenza di complesse cerimonie di consacrazione volte a
dare vita allimmagine, a trasformarla cio in mu rti, vei-
colo della presenza del dio (cfr. Klostermaier 2000, pp. 77
sg.). Queste cerimonie precedono tra laltro le grandi ceri-
monie del calendario rituale induista e si propongono, co-
me s detto, di portare la vita e rianimare i simulacri
processionali, assicurando in esse la presenza del dio, spes-
so specificamente realizzati per quelle occasioni. Bisogna qui
precisare che esiste nel mondo induista unidea gerarchica
delle immagini:
nella setta vishnuita dei Vaikhnasa, per esempio, si ha da una
parte unimmagine sakala, che consiste in parti, cio compo-
sita, il che vuol dire materiale e analizzabile, p. si pu traspor-
tarla in processione, essa raffigura (e contiene) il dio Vis
.
n
.
u nel-
la variet delle sue manifestazioni; e, daltra parte, unimmagi-
ne niskala, senza parti, cio indivisibile e indifferenziata, che
il dio illimitato, onnipresente, realt ineffabile e impossibi-
le da percepire, un nome per lAssoluto; questa immagine ni-
skala immobile, fissata per sempre nel santuario pi sacro del
tempio. Il culto offerto alluna e allaltra immagine non lo stes-
so, richiede nel devoto qualificazioni diverse e si accompagna
a formule di preghiera appropriate ai due aspetti o ai due livelli
di realt della divinit. Mentre il dio risiede permanentemente
nellimmagine fissa senza parti, occorrono ogni volta invo-
cazioni e riti particolari per indurlo a insediarsi nella sua im-
magine con parti, per la durata della puja. Dopo che lim-
magine stata materialmente ultimata si deve compiere, infat-
ti, il rito dellapertura degli occhi allo scopo di animare la sta-
tua infondendole la vita. Solo dopo lesecuzione di questo rito
i devoti avranno davanti a loro un corpo divino dotato di or-
gani sensoriali, capace quindi di percepire con ludito, il tatto,
il gusto e lolfatto ci che i fedeli gli offrono, ma anche e so-
prattutto di irradiare su di loro i suoi sguardi. (...) Ma qualun-
que sia il suo status gerarchico, limmagine divina trattata co-
me se fosse, in una forma o nellaltra, la persona stessa (una del-
le persone) del dio: ci si nota in particolare nel processo del-
la sua fabbricazione e nello svolgimento del culto (Malamoud
1989, pp. 264-265).
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA ::,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 215
Creare unimmagine
Creare unimmagine un processo mentale piuttosto che
materiale. la concentrazione interiore, come ricorda Dani-
lou (1981, p. 36), che consente allartefice di cogliere le for-
me sottili di una divinit e trasporne in termini di forma e co-
lore le caratteristiche fondamentali. Come scrive Sukracarya:
Lartista dovrebbe innalzare nel tempio immagini angeliche che
siano gi oggetto della propria devozione, dopo aver mental-
mente visualizzato i loro attributi. La precisione dei lineamen-
ti delle immagini deve ubbidire allo scopo del riuscito compi-
mento di codesta visione yoga, sicch il creatore dellimmagine
deve ricorrere alesperienza estatica, non essendovi altro modo
per raggiungere il fine richiesto, escludendo per certo il ricor-
so allosservazione diretta (cit. in Coomaraswamy 1961, p. 135).
Il creatore di immagini sacre destinate al culto, un
professionista dalle precise caratteristiche morali e abilit
tecniche, capace di sottrarsi a emozioni e influenze esterne
facendo ricorso alle tecniche dello yoga, di identificare la
propria coscienza con la forma nella quale la divinit con-
cepita e di accedere cos alla visualizzazione interiore di
una delle forme dellaspetto di Dio, per riprodurla secon-
do le indicazioni canoniche (pp. 134-135). Pi precisa-
mente, riferendosi alle varie ingiunzioni contenute nei libri
che raccolgono le prescrizioni relative alla produzione del-
le immagini, il fabbricante
deve, dopo aver svuotato il suo cuore di ogni interesse estra-
neo, visualizzare dentro di s unimmagine intelligibile, iden-
tificarsi con essa e, mantenendo questa immagine viva per
tutto il tempo necessario, soltanto allora procedere a incarnarla
nella pietra, nel metallo o nel colore (1977, p. 90. Cfr. Mar-
chian 1977, pp. 140 sg.).
Questo processo di completa autoidentificazione deve
essere pienamente realizzato quali che siano le peculiarit
di ci che vuole essere rappresentato, cio anche nel caso
::o IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 216
del sesso opposto o quando la divinit sia fornita di carat-
teristiche soprannaturali terribili (Coomaraswamy 1961, p.
15. Cfr. 1987, p. 116).
In sostanza Coomaraswamy, dellopera darte in quanto
oggetto duso religioso, propone una lettura del processo
di formazione artistica come azione, tanto speculativa quan-
to pratica, tesa allimitazione non di realt naturali ma del-
lo stesso processo operativo della natura. Questa adesio-
ne alle forze processuali della natura, ricorda Eco ripren-
dendo Lacombe,
si ottiene per via di ascesi e affinamento delle capacit operati-
ve. (...) i vari trattati di estetica, nel fornire agli artisti le regole
canoniche atte a realizzare il fine artistico, ricordano continua-
mente che lartista deve applicare i metodi di raccoglimento ti-
pici dello yoga, perch nello spirito purificato e rettificato si pos-
sa produrre quella intuizione generatrice senza la quale labilit
tecnica rimarrebbe sterile (1968, p. 64. Cfr. Lacombe 1937).
Daltronde, come gi notava Hegel nelle sue Lezioni di
estetica (2000, p. 162) a proposito dei modi generali in cui
larte indiana si manifesta, la rappresentazione immette il
pi straordinario contenuto dellassoluto nellimmediata-
mente sensibile e singolo, in modo tale che questo, comun-
que esso sia, deve rappresentare completamente in s un ta-
le contenuto e, in quanto tale esistere per lintuizione.
La capacit dellartista di cogliere lessenza di ci che si in-
tende rappresentare, attraverso la meditazione e lidentifica-
zione, seppur garantisce una certa autonomia espressiva non
d, comunque, spazio allarbitrio e allinvenzione individua-
le. Le immagini divine, tanto antropomorfe e teriomorfe quan-
to simboliche, dipinte o scolpite, per essere degne di adora-
zione devono essere realizzate obbedendo a precisi canoni
espressivi codificati in appositi trattati (shilpashastra). In que-
sti sono tra laltro definiti nei minimi particolari colori, ma-
teria, ornamenti, emblemi, abbigliamento, postura, attributi,
numero delle membra ecc. (cfr. Dallapiccola 2002, p. XXII;
Coomaraswamy 1977, in partic. pp. 85 sgg.; 1961, pp. 135 sg.;
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA ::;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 217
Zimmer 1926, pp. 195 sgg.; Kramrisch 1976, in partic. pp. 361
sgg.); persino la larghezza e la lunghezza delle falangi di ma-
ni e piedi, la dimensione delle palpebre e delle narici (Danilou
1981, p. 37). Unimmagine, pertanto, qualsiasi siano la mate-
ria e il metodo di realizzazione, non pu divenire significan-
te se non rispetta il dhyana della divinit che si vuole raffigu-
rare. Di fatto le forme materiali del divino sono esse stesse di
origine divina, ripetono precise epifanie e rivelazioni:
poich solo il Divino pu dare testimonianza del Divino. Spet-
ta a Dio scegliere come vuole palesarsi: deviare anche in mini-
ma parte dal modo tradizionale in cui percepito e rappresen-
tato (il che appartiene al nucleo della sacra tradizione) una pu-
ra assurdit poich la tradizione, come lo attesta la sua forma
letteraria, non altro che lautomanifestazione di Dio, traman-
data oralmente. In essa la divinit esprime se stessa e spiega gli
aspetti sotto cui luomo pu comprendere la sua essenza (Zim-
mer 1926, p. 55).
Daltro canto come si declina nellAitareya Brahmana (VI,
27), ogni opera darte sulla terra che voglia trovare conve-
niente compimento deve essere imitazione delle forme ce-
lesti, riproduzione dellarte dei deva (cfr. Coomaraswamy
1977, pp. 86 e 223 sgg.; 1961, p. 17; 2004, p. 47; Burckhardt
1974, p. 8):
Maya, infatti, non solamente il misterioso potere divino che
fa s che il mondo paia esistere al di fuori della realt divina, per
cui da maya che proviene ogni dualit e ogni illusione; essa
anche, secondo il suo aspetto positivo, larte divina che produ-
ce ogni forma. In linea di principio, essa non altro che la pos-
sibilit che ha lInfinito di delimitarsi esso stesso, come ogget-
to della sua propria visione, senza che la sua infinit venga li-
mitata. Cos Dio si manifesta nel mondo, e tuttavia non vi si ma-
nifesta; si esprime e resta silenzioso a un tempo.
Larte sacra induista, in quanto rivolta al superamento
delle forme materiali attraverso lintroduzione di regole con-
venzionali e proporzioni ideali, sancite dallo stesso divino,
:: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 218
dunque essenzialmente unarte simbolica: lo spazio di espres-
sione di entit, il simboleggiato, che per sua stessa natura non
ha forma definibile, si presenta nel simbolo come forma com-
piuta senza tuttavia potersi esaurire in questa. La sua funzione
quella di far pervenire alla nostra mente la percezione di
un qualcosa che trascende la pura apparenza, attraverso un
linguaggio artistico dove tutto deve apparire prossimo alla
realt ma, al contempo, ben distinto da qualsiasi cosa si
possa vedere o toccare; dove cio la cifra estetica diviene
sempre espressione di significato, dove qualunque luogo del-
licona esprime una parola densa e pregnante che concorre
alla costruzione di una narrazione figurata che in quanto
frontiera tra immanenza e trascendenza, spazio dellunit
nella distinzione tra visibile e invisibile, costituisce la porta
attraverso la quale ci dato raggiungere altri mondi (Da-
nilou 1981, pp. 37-41. Cfr. Florenskij 1922).
La murti
Entro questo orizzonte le rappresentazioni materiali del-
la divinit (immagini descrittive e simboliche, statue ecc.), ri-
vestono un ruolo rilevante, sostenendo il devoto nel proces-
so di concentrazione verso lAssoluto e divenendo esse stes-
se oggetto di adorazione. Le rappresentazioni antropomor-
fe e simboliche, attraverso la loro concretezza formale, aiu-
tano cio a superare le turbolenze del pensiero e a raggiun-
gere un sentimento/visione spirituale dellAssoluto, di per s
inconcepibile e senza forma. Di fatto per nella concreta
pratica cultuale tale processo, fondato sul principio che ogni
forma veicolo di una certa qualit dellessere (Burckhardt
1974, p. 5), si configura come una devozione preferenziale,
e a volte esclusiva, di una singola divinit, S

iva Vis
.
n
.
u, Ka li,
Rama ecc. Se dunque le immagini degli dei e delle dee induisti
sono rappresentazioni, manifestazioni parziali e circoscritte
ma materiali e tangibili, di qualit e caratteri dellAsso-
luto, discretizzazioni di un unicum continuum, indefinibile e
indescrivibile, vero anche che lattribuzione di immagini
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA ::,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 219
corporee, dai contorni e dagli attributi definiti, produce una
evidente differenziazione individuale che si traduce nel cul-
to popolare nelladorazione privilegiata e/o esclusiva di una
singola divinit che, in certi casi (per es. Vis
.
n
.
u e S

iva), fini-
sce con lassumere una dimensione totalizzante. Di fatto la
tradizione religiosa induista presenta una certa distanza tra
le definizioni teoriche della funzione e della natura delle
immagini, le prescrizioni sul loro uso e sui principi e criteri
della loro produzione e ci che avviene nella pratica tanto
quotidiana quanto festiva del culto popolare.
Come rileva Gunon (1965, p. 196):
In India, in particolare, una raffigurazione simbolica che pre-
senti luno o laltro degli attributi divini, la quale riceve il no-
me di pratka, non punto un idolo, poich non mai stata
intesa in altro modo che come supporto di meditazione e un
mezzo ausiliario di realizzazione.
Daltra parte Di per s, licona non Dio n alcun esse-
re divino, ma solo un aspetto (avastha) o ipostasi di Dio, il
quale in ultima analisi senza sembianza (amurta), non de-
terminato da forma (arupa) e al di l della forma (para-rupa)
(Coomaraswamy 1961, p. 128). Il Divino, infatti, come de-
nunziato ripetutamente dai testi sacri dellinduismo illi-
mitato da forma, impredicabile e inconoscibile (p. 129).
A livello teorico lAssoluto di per s non rappresenta-
bile, sue manifestazioni potremmo dire con Evans-Prit-
chard (1956) rifrazioni dello spirito sono le diverse divi-
nit che a loro volta si presentano agli uomini, divengono per
essi accessibili, attraverso forme e figure molteplici tanto an-
tropomorfiche che simboliche. Le immagini divine sono per-
tanto ri-produzioni di una maya espressione dellAssoluto. In
ultima analisi esse si propongono come veicolo privilegia-
to ma non esclusivo di accesso a Dio, si propongono cio, co-
me gi felicemente intuito da Florenskij (1922) per le icone
cristiano-orientali, come finestre sullinvisibile. In questa di-
rezione la murti, non percepibile come idolo dotato di au-
tonoma potenza, piuttosto come presenza mediata da un con-
::c IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 220
creto dispositivo culturale figurativo (yantra) (cfr. Zimmer
1926, p. 34). In un certo senso essa si configura come pre-
sentificazione materiale della preghiera, come via daccesso al-
la comprensione-partecipazione del divino. Da qui il possibile
parallelo con licona ortodossa: Noi non onoriamo affatto i
colori o larte, ma larchetipo di Cristo. Infatti, come dice san
Basilio, la venerazione tributata allimmagine si trasferisce al-
larchetipo (Hermeneia di Athos, 445, cit. in Coomaraswamy
1977, p. 94, n. 65). Licona indiana pertanto al pari di quella
cristiana dovrebbe essere considerata una sorta di diagram-
ma esprimente certe idee, privo di alcuna somiglianza con
alcunch di concreto sulla terra (1961, p. 14).
La somiglianza tra una cosa e la sua rappresentazione non ri-
flette infatti una somiglianza di natura ma un rapporto di ana-
logia, oppure in termini di esemplarit o di entrambi. Ci che
la rappresentazione di una cosa imita lidea della cosa stessa
la forma (species) che lintelletto astrae dalla cosa e tramite la
quale conosce questultima non la cosa nella sua materialit
percepibile dai sensi (p. 21).
Pi precisamente Coomaraswamy rileva che limmagine
indiana, scolpita o dipinta,
non n unimmagine-memoria n una idealizzazione ma
unopera di simbolismo visivo, ideale in senso matematico. La
natura di una icona antropomorfica identica a quella del-
lo yantra, rappresentazione geometrica di una divinit, o del
mantra, sua riproduzione acustica. (...) Conformemente alla
sua struttura in cui ogni dettaglio parimenti chiaro ed es-
senziale, licona indiana colma allistante lintero campo visi-
vo, senza che locchio debba spostarsi da un punto allaltro,
come accade nella visione empirica, o cercare qui o l una
pregnanza di significato, come nellarte di effetto. (...) Le
parti che compongono licona non sono connesse da una re-
lazione organica, giacch da esse non si richiede che funzio-
nino biologicamente, bens da un rapporto ideale; esse sono
infatti i diversi elementi di un dato tipo di attivit espresso at-
traverso un mezzo visibile e tangibile Ci non significa che le
parti non siano collegate o che lintero non costituisca una
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA :::
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 221
unit, bens che si tratta di un rapporto ideale invece che fun-
zionale (pp. 34-35. Cfr. 1977, pp. 123-124).
Se a livello squisitamente speculativo la murti ha la pre-
cipua funzione di favorire e sostenere la meditazione del fe-
dele, si configura cio come veicolo verso il divino Assolu-
to, nella pratica comune, cio nellagire rituale, essa con-
creto oggetto di venerazione. In questo caso la divinit a
fronte delle offerte materiali e delle preghiere concede ai de-
voti protezione e benedizione. I fedeli, dunque, gli tributa-
no un culto regolare e offerte rituali (puja) per trovare sod-
disfazione alla propria viva esigenza di entrare in diretto
contatto con il dio, sia nel corso della quotidiana visita al
tempio attraverso lo scambio di sguardi (darshan), sia nel pi
intimo momento di culto presso gli altari domestici.
Gli dei sono dunque concretamente presenti nei loro si-
mulacri. Di fatto ritenere che le immagini, tanto antropo-
morfiche che simboliche degli dei (per es. il lingam), possa-
no essere animate dagli stessi in permanenza (come nel caso
di certe rappresentazioni templari la cui esistenza postula-
ta da tempo indefinito, considerate increate o autogene-
ratesi, svayam bhu-murti), o limitatamente a certi momenti e
periodi per mezzo di specifici rituali (come nel caso delle im-
magini utilizzate nel culto domestico e nei riti processionali,
realizzate da mano umana pur sempre sotto ispirazione di-
vina), pu essere considerata una hindu theological postu-
lation (Davis 1997, p. 54. Cfr. Malamoud 1989; Goody 1997).
A livello della prassi concreta le immagini supportano dun-
que una presenza reale, portano alla presenza qualcosa che
fino a quel momento non cera (p. 40), ma solo dopo tran-
ne nel caso delle immagini autogeneratesi la cerimonia di
consacrazione. Infatti quando consacrata, licona diviene
il Dio stesso per chi la venera, anche se la sua divinit rico-
nosciuta come presente e assente insieme (p. 48).
Daltronde, come si registra in altri contesti culturali, le
divinit sono considerate costantemente o occasionalmente
presenti tra gli uomini in figura o sotto varie forme
(umane, animali ecc.). Sono protagoniste di varie vicende che
::: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 222
le vedono muoversi, parlare, consumare materialmente le
offerte dei fedeli, interagire con gli uomini in vario modo:
Non raro, in India, che le divinit si manifestino in modo espli-
cito ai loro devoti sotto le forme pi svariate o attraverso il tra-
mite di qualche prodigio la cui responsabilit loro attribuita.
altrettanto frequente che simili manifestazioni si producano
attraverso le loro immagini (Vidal 1993, p. 883).
E in certi contesti induisti queste manifestazioni erano
cos comuni che attiravano a malapena lattenzione dei de-
voti. Vidal ricorda che in India, daltro canto, esistono di-
versi santuari la cui fama dovuta al modo in cui unimma-
gine di divinit accetta di bere le oblazioni offerte dai de-
voti e cita in proposito il caso straordinario del 21 set-
tembre 1995, quando in taluni santuari ind consacrati a
Gan
.
esa (il dio elefante), a S

iva e alle divinit che gli sono tra-


dizionalmente associate (Nandi, Pa rvat) (...) le immagini di
queste divinit accettarono di bere veramente il latte che era
stato loro offerto in oblazione (p. 883). Come rileva dal-
tronde lo stesso Coomaraswamy (1961, p. 126):
Ci imbattiamo in ogni sorta di storie i cui protagonisti sono im-
magini che parlano, si inchinano o piangono; ricevono offerte
materiali e servizi, che si ritiene gradiscano; sono fatte oggetto
di adorazione, e a tale scopo viene evocata in esse la presenza
reale della divinit; quando limmagine stata approntata, i
suoi occhi vengono aperti durante una speciale e complica-
ta cerimonia. dunque chiaro che limmagine da considera-
re animata dalla divinit.
In analogia con le culture antiche, nella dimensione del
sacro in sostanza luniverso popolare, e talora anche non po-
polare, opera una identificazione tra segno e referente, non
diversamente da quanto accade a livello delle popolazioni co-
siddette primitive dove parola o immagine e realt sono av-
vertite sulla stessa isotopia fino al punto da ritenerle coinci-
denti (cfr. Lvy-Bruhl 1922; Frazer 1900; Coomaraswamy
1977, pp. 227 e 235-257).
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA ::,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 223
Classificazioni iconografiche
Gopinatha Rao (1914-16, pp. 17-19) segnala diverse mo-
dalit di classificare le immagini in base alla qualit, al ma-
teriale, allaspetto:
Le immagini si suddividono in tre classi: chala (mobile), achala
(inamovibile) e chalachala (mobile-inamovibile). Le immagini
mobili sono quelle in metallo e sono facili da portare; di queste
le kautuka-beras sono considerate come archana; le utsava-beras
sono portate fuori in processione durante le occasioni festive;
le baliberas e le snapana-beras sono utilizzate a seconda dei ser-
vizi quotidiani, rispettivamente con lintento di offrire bali alle
parivaras e per il bagno. Le immagini inamovibili sono comu-
nemente note come le mu la-vigrahas o dhruva-beras, sono ge-
neralmente di pietra e sono fissate in modo permanente nella
cappella centrale. Si tratta invariabilmente di immagini grandi
e pesanti. Le Dhruva-beras sono di tre tipi detti sthanaka, asa-
na e sayana, cio in piedi, seduto e adagiato.
Nel caso delle immagini Vaishn
.
ava ognuno dei tre tipi di im-
magine ulteriormente suddiviso nelle variet yo ga, bho ga, vra
e a bhicha rika. Queste variet di immagini di Vishn
.
u in piedi, se-
dute e adagiate sono venerate rispettivamente da coloro che de-
siderano ottenere lo yo ga o auto-realizzazione spirituale, il
bho ga o piacere e il vra o prodezza militare.
Vi unulteriore classificazione di immagini nei tre tipi chitra,
chitra rdha e chitra bha sa. Chitra denota immagini a tuttotondo
con le membra completamente intagliate e visibili da ogni lato.
Chitra rdha il nome dato a figure in altorilievo, e chitra bha sa
fa riferimento a immagini dipinte su pareti, tessuti e altri oggetti
adeguati. (...)
Vi ancora unaltra classificazione di immagini basata sulla loro
natura terribile (raudra o ugra) o pacifica (sa nta o saumya). La pri-
ma classe sempre caratterizzata da zanne e unghie lunghe e af-
filate e da un gran numero di mani che brandiscono armi da guer-
ra. Le immagini di natura terribile hanno inoltre ampi occhi cir-
colari, lingue di fuoco attorno al capo e in alcuni casi sono ador-
ne di ossa e teschi umani. Le immagini di forma raudra sono ve-
nerate per ottenere oggetti che richiedono luso di violenza. Le
immagini di forma sa nta o saumya sono di aspetto pacifico e so-
no venerate per ottenere scopi e oggetti pacifici. Tra le immagi-
:: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 224
ni di Vishn
.
u, la Visvaru pa, la N
.
risim ha, la Va
.
tapatrasa yin e la Pa-
rasura ma sono considerate ugra-mu rtis; e hiva come distrutto-
re di Ka ma, dellelefante (Gajaha -mu rti), dei tripuras e di Yama,
deve essere terribile nella natura e nellaspetto. Le immagini ter-
ribili non vanno collocate nei templi cittadini, ma devono sem-
pre invariabilmente avere i loro templi al di fuori dellabitato.
In ogni caso, a prescindere da categorie e classi, Tut-
te le immagini delle deit ind sono composte come insie-
me di forme e attributi convenzionali intesi a rappresentare
un qualche aspetto dei poteri divini. Tali forme e attribu-
ti non variano mai e costituiscono gli elementi, le parole,
del codice o linguaggio simbolico (Danilou 1981, p. 42).
La pi parte delle divinit induiste si presenta in figura ap-
parentemente antropomorfa. A sottolineare lassoluta al-
terit della natura dei soggetti rappresentati concorrono,
tuttavia, diversi elementi. In primo luogo alcune evidenti
caratteristiche fisiche. Tra queste, in particolare, il nume-
ro delle membra o delle teste, la pigmentazione della pel-
le, la presenza di un terzo occhio e di caratteri teriomorfi.
La molteplicit delle membra, rileva Malamoud (1989,
p. 265), tesa a rappresentare il movimento e il ritmo e uni-
tamente lubiquit e la molteplicit degli aspetti del dio. A
parere di Loth (2003), invece, il est incontestable que la
multiplication des bras est une manire allgorique de tra-
duire une plus forte puissance des pouvoirs de la divinit,
comme chacun de ses attributs est un symbole du pouvoir,
ou dune fonction, ou dun principe (p. 41). A questi ca-
ratteri stranianti, si aggiungono aspetti meno immediata-
mente percepibili ma altrettanto esplicitamente significa-
tivi. I corpi delle divinit, infatti, non producono ombre,
non poggiano sul suolo e si presentano in certa misura
idealizzati e sagomati senza che se ne evidenzino lossatu-
ra e la muscolatura. Le proporzioni tra le diverse parti del
corpo, inoltre, non rispettano canoni estetici occidenta-
li. Per esempio il capo spesso sovradimensionato e le
braccia e le cosce sono allungate. Va comunque rilevato, e
ci vale particolarmente per le immagini riprodotte a stam-
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA ::,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 225
pa assai diffuse nelluso comune , che le rappresenta-
zioni pi recenti non rispettano pi le regole canoniche e
mostrano un maggiore realismo.
Dare conto nella loro interezza della variet e ricchezza ico-
nografica delle divinit del Pantheon induista , in questa se-
de, impossibile. Per una illustrazione e relativa analisi dei di-
versi attributi divini e del loro precipuo valore simbolico, si
rinvia pertanto estesamente alle opere di Gopinatha Rao
(1914-16), Sivaramamurti (1974), Schlenberger (1986), Wer-
ner (a cura, 1990), Danilou (1992) e Loth (2003), nonch al-
la efficace sintesi contenuta nel sito www.ganapati.club.fr.
In linea generale gli dei appaiono come esseri benevoli o
terribili. Nel primo caso sono di figura giovanile, luminosi,
magnificamente adornati di vesti o monili dai colori accesi,
nel secondo caso di fattezze spaventose e ripugnanti. Varie
possono essere le posture del corpo. Molteplici immagini
raffigurano gli dei in atteggiamento statico. Li si osserva per-
tanto assisi in atteggiamento pacifico e benevolente, in gui-
sa da suggerire sia la distensione delle membra e rilassa-
mento interiore, sia una dimensione marcatamente medita-
tiva come nel caso della postura del loto o dello yogi, pro-
pria dello yoga sana. In altri casi le divinit sono ritte nella lo-
ro ieratica maest come Vis
.
n
.
u samabha nga, cio senza fles-
sioni. Di contro, in altri casi, il corpo del dio interessato da
una o pi flessioni, come nel caso della postura abha nga che
lo vede con una gamba leggermente piegata e una flessione
a livello del fianco.
Accanto alle immagini che rappresentano gli dei in at-
teggiamento statico, altre li colgono in posture dinamiche, te-
se in vario modo a suggerire lidea del movimento senza che
per si manifesti alcuna particolare tensione del corpo. il
caso della divinit danzante o combattente. Nel primo caso
limmagine pi celebre quella di S

iva natara ja, per il secondo


pu essere ricordata la dea Durga sotto la forma di Mahi-
shasura mardin che combatte contro il demone-bufalo. Ac-
canto alle diverse posizioni assunte dai corpi divini, vanno se-
gnalate le particolari posture delle mani (mudra ): tra queste
labhaya mudra , il gesto di pace che vede la mano destra
::o IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 226
aperta con la palma visibile, rivolta verso lalto allaltezza del
petto, ad allontanare il timore, e la arada mudra , il gesto be-
nedicente e del dono, con la mano destra aperta e rivolta in
avanti con le dita verso il basso (cfr. Loth 2003, p. 41).
A definire lo statuto divino dei soggetti e a indicarne spe-
cifiche qualit e funzioni concorrono un vasto corredo di sim-
boli e attributi: vari oggetti stilizzati, armi, frutti, animali ecc.
Frequenti ricorrono le armi: bastoni, mazze, tridenti, lance,
spade, pugnali, archi e frecce, scudi e anche funi spesso in for-
ma di nodi scorsoi. Vis
.
n
.
u, per esempio, presenta la pelle di
colore blu notte che allude allo spazio sottile e onnipresen-
te, ma anche connesso con lattuale et del mondo; a si-
nistra del petto reca un neo cruciforme con un ciuffo di pe-
lo dorato che simboleggia la sua relazione con S

r, la Signo-
ra della buona sorte, sua paredra; al centro del petto porta
la gemma dellOceano di latte; le quattro mani recano i suoi
irrinunziabili attributi: il loto simbolo di dominio e cono-
scenza, la mazza principio dellenergia vitale, la conchiglia
della dissoluzione, il disco dellespansione che, diversamen-
te disposti nelle quattro mani del dio concorrono a definire
le 24 diverse icone del dio.
Le armi divine sono per lo pi destinate a combattere i
demoni, figurazioni concrete delle cattive inclinazioni del-
luomo, nonch a rifondare i cicli cosmici. A titolo desem-
pio ricordiamo che il nodo scorsoio, che correda diverse di-
vinit, destinato ad afferrare e imprigionare lerrore che
ostacola il cammino verso la Verit. Il tridente, attributo ca-
ratteristico di S

iva, , invece, larma della distruzione e del-


la ricreazione cicliche. Insieme alle armi ricorrono numerosi
altri oggetti simbolici. Ricordiamo qui, senza soffermarci sul
loro articolato valore simbolico: la scodella per lelemosina
tipicamente associata allascesi; il pungolo da elefante che
riccorre sovente nelle mani di Gan
.
esa; il rosario (di diver-
so materiale) principalmente attribuito a Brahma e della sua
sposa Sarasvat e ricorrente anche in certe immagini di S

iva,
di Vis
.
n
.
u e di altre divinit; il cobra, tipico attributo di S

iva
e delle divinit shivaite e delle dee tantriche; il cranio uma-
no che ricorre con vari significati nelle figurazioni di diverse
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA ::;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 227
divinit, spesso, ma non esclusivamente, terribili; la con-
chiglia sonante, attributo tipico di Vis
.
n
.
u insieme alla ruo-
ta solare, il chakra; la campanella, emblema di S

iva e di di-
verse dee terribili; il cucchiaio, attributo della dea An-
naprna e, in forma quadrata pressoch esclusivamente
a Brahma e Agni; il fulmine, tipico di Indra; il libro, legato
a divinit della conoscenza come Brahma e Sarasvat; il lo-
to, che in varie forme ricorre in associazione a diverse di-
vinit (Su rya, Vis
.
n
.
u, Laks
.
m ecc.); il parasole regale, asso-
ciato pi spesso a Gan
.
esa e Pa rvat.
Accanto ai diversi simboli oggettuali, a caratterizzare le
diverse divinit concorrono i rispettivi veicoli. Basti ricor-
dare loca di Brahma, il cigno di Sarasvat, laquila a testa
umana Garud
.
a) di Vis
.
n
.
u, il pavone di Skanda, il leone di Dur-
ga e di Pa rvat, il toro di S

iva, i due elefanti di Gaja-Laks


.
m
e lelefante bianco-celeste di Indra; il mostro-coccodrillo di
Ganga e di Varun
.
a, lariete diAgni, il ratto di Gan
.
esa.
A fronte di un universo immaginifico cos vasto e arti-
colato sarebbe legittimo indagare sulla genesi iconografica
delle divinit induiste. Capire quanto su di esse abbiano in-
fluito le tradizioni iconografiche precedenti sopravvissu-
te allaniconicit dei tempi vedici, le stesse tradizioni te-
stuali dei Veda, le diverse tradizioni culturali non-ufficiali
e tribali dellIndia vedica, linvenzione di individui e
gruppi sacerdotali e laici, le influenze politiche e cultu-
rali delle civilt viciniori e delle occupazioni (mogul).
un problema complesso che si connette al processo pi ge-
nerale dellevoluzione delle forme artistiche e architet-
toniche dellIndia, intorno al quale fiorito un vasto insie-
me di saggi in riviste specializzate (si vedano: Art Bulletin,
Artibus Asiae, Asian Folklore Studies ecc.), nonch
una ricca letteratura monografica che va dallimmenso la-
voro di Gopinatha Rao (1914-16) alla sintesi di Kramrisch
(1957), fino alla recente opera di Loth (2003). Lasciando ne-
cessariamente queste questioni appena accennate, possiamo
osservare che nel momento in cui gli dei prendono corpo
nelle loro immagini, tanto tridimensionali che bidimensio-
nali, rispondendo a una avvertita e diffusa esigenza la cui
:: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 228
latenza e/o presenza, a fronte del silenzio dei testi, non pe-
rimetrabile se ne cominciano a fissare le regole e le pro-
priet iconografiche nei canoni (Shilpashashtra) forma-
lizzati come principia irrinunziabili di ogni successiva rap-
presentazione, escludendo il pericolo di rappresentazioni
equivoche e inadeguate, quindi inefficaci, delle immagini di-
vine (Halbertal, Margalit 1994, p. 48).
Potremmo infine chiederci quanto la qualit, cio il va-
lore estetico intrinseco (pur sempre soggettivo), del manu-
fatto artistico contribuisca a rendere unimmagine meritevole
di venerazione. Il potere di una rappresentazione divina
sembrerebbe poter dipendere anche dalla qualit dellarti-
sta e dallo stile dellepoca in cui stata realizzata. Certo
questi fattori non possono essere ignorati. Eppure la bel-
lezza-efficacia di una murti non ha niente a che vedere con
il puro godimento estetico ma, cos come nelle pi antiche
raffigurazioni rupestri, si esprime attraverso laura sacrale
che essa comunica.
VEICOLI DELLASSOLUTO NELLA TRADIZIONE INDUISTA ::,
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verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 230
Capitolo ottavo
Verit e menzogna dei simboli. Societ e festa a San
Marco dAlunzio
Osservazioni preliminari
Per chi giunge dallesterno, comprendere il senso che
una festa religiosa tradizionale riveste per la comunit che la
agisce, non semplice n immediato. Non solo per il turista
di passaggio alla ricerca di insolite emozioni, che finir sem-
pre col trovare qualcosa di cui stupirsi, n per il giornalista,
pi o meno esperto di folklore, cui stato affidato il compi-
to di riempire una colonna di quotidiano, ma anche per quel-
leterogeneo insieme di persone che universit, istituzioni, or-
gani di informazione hanno deciso di qualificare e/o ricono-
scere come etno-antropologi (o sociologi), i soli ufficial-
mente deputati, a spiegare agli altri e a noi chi veramente so-
no/siamo, cosa veramente pensano/pensiamo, cosa veramen-
te fanno/facciamo e perch.
La verit non si rende mai nellevidenza sensibile delle co-
se e dei fatti. Molteplici sono i motivi che impediscono di co-
gliere con immediata chiarezza il senso di una festa, di ipo-
tizzare una spiegazione univoca e persuasiva dei suoi signi-
ficati e delle sue funzioni. Prover a indicare i principali:
1) una comunit composta da una pluralit di individui,
che pur nella condivisione di una appartenenza culturale (la
cui perimetrazione resta anchessa complessa: sia che si pro-
ceda per osservazione partecipante, sia che si scelga la via
del rilevamento statistico), sono diversi per et, per sesso, per
livello sociale, per professione, per competenze, per studi, per
aspirazioni: diverso il loro grado di partecipazione, tanto fi-
sico quanto emotivo alle cerimonie;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 231
2) anche se la struttura delle forme culturali (che si trat-
ti di credenze o di rituali) condizionata dalla matrice cul-
turale preesistente (Kluckhohn 1942, p. 142), ciascuna co-
munit si rinnova, pi o meno consapevolmente, e si trova
a doversi confrontare, nel tempo, con nuove istanze, non
sempre e non solo di natura esogena, producendo ri-
sposte attive (Bravo 1992, p. 19). Nella prassi le feste in-
contrano di fatto uomini sempre nuovi e nuove idee. Sono
esito dialettico di trasformazioni economiche e tensioni so-
ciali, frutto di confronti, mediazioni, compromessi tra diverse
domande, avanzate, tra laltro e oggi in maniera sempre pi
vistosa dal mercato, da istituzioni civili e religiose e da
gruppi di pressione di varia natura (associazioni, comitati
ecc.), anche del tutto estranei ai contesti festivi. Processi
questi che appaiono non privi almeno allocchio antro-
pologico di stridenti contraddizioni manifestate dalle
conflittualit culturali e sociali, nelle tensioni tra memoria e
contingenza, e da cui non pu che derivare un progressivo
mutamento della forma, delle funzioni e dei significati sociali
e culturali delle celebrazioni. Le feste in sostanza si trasfor-
mano, anche se il cambiamento non viene avvertito come ta-
le dai loro attori sociali o considerato poco significativo (cfr.
Kurtz 1995, p. 100);
3) un rito festivo un elemento non isolato, n isolabile,
di un sistema rituale (il calendario cerimoniale) di cui esso co-
stituisce solo un elemento tra gli altri (Smith 1988, pp. 136 sgg.
Cfr. 1981) infatti, la loro essenza esige che le feste conti-
nuino, si susseguano e portino luna allaltra (Van der Leeuw
1956, p. 307) e, pi in generale, di un sistema culturale; per-
tanto va compreso allinterno e in relazione a questo sistema.
Come ribadisce Caillois ogni lettura dei fatti e delle espressioni
culturali perde gran parte del suo valore quando essi resta-
no avulsi dal loro contesto, dallinsieme delle credenze e dei
comportamenti di cui fanno parte e che conferiscono loro un
senso (1950, p. 9. Cfr. Miceli 1989b, p. 123; Gellner 1987,
in partic. pp. 31-61). Questo perch in ogni fenomeno cultu-
rale, come insegna Bogatirv, seguendo la nozione di struttu-
ra di Koffka, ciascun elemento raggiunge la sua completez-
:,: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 232
za soltanto per mezzo degli altri e insieme con gli altri (So-
limini, in Bogatyrv 1982, p. 57. Cfr. Buttitta 2004).
4) i calendari cerimoniali sono prodotti culturali che nella
loro articolazione esprimono dinamiche economiche e politi-
che pi o meno esplicitamente e immediatamente correlate sia
alle scadenze stagionali e alla organizzazione delle attivit pro-
duttive, sia alla valenza sacra a queste attribuita: fatto che si ma-
nifesta con particolare evidenza nelle culture agropastorali, nel-
le quali la sopravvivenza stessa delle comunit dipendeva dal-
la quantit e qualit del raccolto, dal benessere e dalla fecon-
dit degli armenti. Da qui lidea che il regolare svolgimento dei
processi di generazione e accrescimento fosse dovuto allinter-
vento di entit divine che cos manifestavano il loro potere.
Il raggiungimento di una piena comprensione dei significati
e delle funzioni di una cerimonia religiosa tradizionale, richie-
de pertanto che questa venga osservata sia in rapporto ai cicli
della produzione sia alle scadenze del calendario rituale (cfr. Hu-
bert 1909, in partic. pp. 235-236; Lanternari 1976b; Propp
1963; Buttitta 1978; 1990; Giallombardo 1990; Grimaldi 1993;
Buttitta 2006a, in partic. pp. 11-45). Un fatto che converte
ogni cerimonia festiva in un discorso le cui unit di significato,
sistemicamente correlate, cio le parole, i suoni, le azioni, gli og-
getti, i cibi e gli spazi e i tempi allinterno dei quali questi sono
detti, prodotti, agiti, utilizzati, consumati da coloro che a diverso
titolo ne sono gli attori, assumono una forte tensione simboli-
ca (cfr. Evans-Pritchard 1965; Turner 1967; Douglas 1973);
5) la fenomenologia e gli articolati simbolici di una ceri-
monia, rispondendo alla logica ripetitiva del rito e alla sua vo-
cazione cosmogonica, raccontano pi come si era/pensava/fa-
ceva ovvero come si dovrebbe/vorrebbe essere/pensare/fare, di
quanto esplicitamente dicano su come si /pensa e del perch
si fa. Non allora un caso se tante etnografie e antropologie,
sia che siano inclini a unanalisi di tipo sincronico e/o socio-
logico, sia che privilegino una ricostruzione del significato
fondata sulla diacronia e sullindagine storico-religiosa, ovve-
ro che siano capaci di cimentarsi in quelle letture pancroni-
che proposte da Cirese (1973, pp. 34 sgg.), riescano, pi o me-
no felicemente, a restituire visioni ideali (non di rado idealiz-
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :,,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 233
zanti) e generaliste, a delineare convincenti origini arcaiche, a
ricostruire percorsi di significazione, a ipotizzare e rinvenire
funzioni sociali e cogliere relazioni sistemiche, ma si trovino in
affanno quando impegnate a illustrare cosa veramente prova-
no e cercano, in quel preciso momento e in quel definito conte-
sto, gli oggetti/soggetti delle loro indagini e riflessioni
1
.
Queste premesse non preludono a una dichiarazione di
inconoscibilit della festa (cfr. Jesi, a cura, 1977), piutto-
sto avvertono entro quali problematici limiti interpretativi
debba muoversi una sua lettura che aspiri a restituire senso
a fatti e a comportamenti contemporanei. Al di l delle qua-
lit individuali di ogni ricercatore e degli esiti che egli si pre-
figge di raggiungere, resta, comunque, ineludibile nello stu-
dio delle cerimonie festive un approccio contestuale, fonda-
to su una solida e reiterata pratica etnografica, che parta dal
presupposto che ogni festa assolve una funzione precisa in
un ambiente preciso (Caillois 1950, p. 10) e che nessuna
struttura sistemica pu perci essere compresa senza riferi-
mento allambiente (Luhmann 1982, p. 26). Come ha re-
centemente ribadito Faeta (2005, p. 160):
Senza contesto locale, senza radicamento spaziale e sociale, la
festa realmente inconoscibile e la sua lettura oscilla tra eser-
cizio classificatorio, astrazione filosofica, metafisica dei senti-
menti per approdare poi, esausta, sul solido terreno della ri-
masticazione neofunzionalista.
Partir dunque da questi presupposti nellaccingermi al-
lanalisi della festa di san Basilio a San Marco dAlunzio, cer-
cando di illustrare, sia pur brevemente, chi sono gli uomini
di San Marco, come vivono, entro quale perimetro spazio-
temporale articolano le loro esistenze, quali ne sono i siste-
mi di attese e i valori condivisi.
Il contesto
San Marco un paese relativamente piccolo (conta una
popolazione residente di circa 2.200 unit)
2
, di mezza-mon-
:, IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 234
tagna (550 m s.l.m.), distante dal capoluogo di provincia
(Messina) circa 130 km. Leconomia di San Marco, come
quella di molti dei piccoli centri dellarea, caratterizzata dal-
lo sfruttamento delle risorse agricole (agrumi, vigne, ulivi,
nocciole e castagne), dallallevamento a conduzione familia-
re (suino, bovino, ovino e caprino), da qualche attivit arti-
gianale, soprattutto di tipo tessile, e da una modesta attivit
turistica che si concentra nei mesi estivi. Peculiarit aluntina
lattivit di estrazione e di lavorazione del marmo, un tem-
po vitale, oggi sostanzialmente in crisi.
Il tasso di disoccupazione al 2001 era del 12,5 per cen-
to, tra i pi bassi della provincia: 757 risultavano gli indi-
vidui che si dichiaravano regolarmente occupati. Tra que-
sti, in particolare: 278 in attivit agricole, 110 nel settore
delle costruzioni, 75 in attivit manifatturiere, 82 nella
Pubblica Amministrazione, 44 in altri servizi pubblici e so-
ciali, 18 in ambito sanitario, 55 in attivit commerciali, 33
nel settore dellistruzione, 17 in attivit alberghiere e di ri-
storazione, 9 in attivit estrattive. A questi soggetti vanno
aggiunti i non pochi residenti occupati fuori paese: 336 era-
no coloro che nel 2001 dichiaravano di spostarsi giornal-
mente, per ragioni di studio, lavoro ecc. al di fuori del ter-
ritorio comunale. Va, infine, rilevato che la gran parte de-
gli occupati riveste una posizione dipendente o subordi-
nata: 272 nel settore agricolo (prevalentemente donne),
162 nel settore industriale (prevalentemente uomini),
199 in altre attivit.
I centri pi vicini di una certa consistenza, dove insisto-
no attivit produttive e unofferta di beni e servizi di qualche
rilievo, sono SantAgata di Militello, centro turistico-com-
merciale di circa 13.000 abitanti, caratterizzato da attivit
agricole (agrumeti, frutteti) e da una consistente attivit pi-
scatoria e, secondariamente, Capo dOrlando (circa 12.000
ab.), centro di turismo balneare popolare dove pure resi-
ste una significativa economia agricola (agrumi, ulivi).
Intorno al centro storico di San Marco, di impianto me-
dievale e caratterizzato da alcune fabbriche religiose e civili
di qualche pregio, che si distende alle pendici dei ruderi del
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :,,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 235
castello normanno, sorgono moderni palazzetti e villette che,
estranei alle tipologie architettoniche tradizionali, infliggono
una ferita a un paesaggio peraltro di rara bellezza. Vivere a
San Marco, non una scelta, piuttosto una condizione,
per alcuni ineluttabile, cui spesso si vorrebbe sfuggire, in
particolar modo da parte delle generazioni pi giovani. Ep-
pure San Marco non inerte di fronte al mondo. Anzi,
un paese/comunit vivace e reattivo, teso verso la ricerca di
soluzioni esistenziali compatibili con la sua condizione, che
recupera e valorizza storia, memoria e patrimonio culturale.
Basti osservare lo sforzo di promozione delle attivit artigia-
nali tradizionali in quanto momento di sviluppo socio-eco-
nomico e, al contempo, di recupero della propria memoria
culturale, ma anche la significativa attenzione rivolta verso i
fenomeni di religiosit popolare e lampia partecipazione
che essi registrano
3
.
Unanalisi puntuale della realt economica e sociale
non pu ignorare, daltronde, larticolarsi delle dinamiche
religiose e gli effetti antropologici di un cattolicesimo dif-
fuso che non contempla una molteplicit di espressioni re-
ligiose (cfr. Cipriani 1988; 1993; Garelli 1991; Canta 1995;
Cesareo et al. 1995). Anche e soprattutto attraverso la pra-
tica pubblica del culto cattolico (gestita direttamente
dalla Chiesa locale o da gruppi, comitati, confraternite pi
o meno esplicitamente delegati), infatti, si controllano e si
trasmettono pi o meno consapevolmente alle genera-
zioni successive, contenuti e valori fondanti la realt so-
cialmente costruita e lidentit comunitaria (cfr. Parsons
1951; Berger, Luckman 1966) entro un ordine sacro posto
al di fuori e al di sopra dellordine stesso, espressione di
una volont sovrumana e sovraordinata alle singole vo-
lont umane (cfr. Boyer 1992, p. 8; Caillois 1950, in par-
tic. pp. 19 sg.; Pace 2007, p. 9); un ordine sacro, cio, la
cui legittimit deriva proprio dallessere esperito allinter-
no della dimensione religiosa, sancito dalla stessa inconte-
stabile autorit morale della religione (Durkheim 1912,
pp. 228-229. Cfr. Cipriani 1986; 1992, p. 341; Kertzer
1989; Terrin 1999, p. 71). I valori espressi attraverso le-
:,o IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 236
sercizio rituale detengono pertanto, almeno in potenza,
una funzione normativa, illustrando modalit comporta-
mentali e declinando contenuti ideologici precisi e inde-
rogabili in quanto derivati, in ultima analisi, da Dio. Di fat-
to, anticipando quanto discuteremo pi avanti, nelle ceri-
monie pubbliche a carattere religioso, nel simbolismo ri-
tuale (Turner 1967), da esse esibito, viene proposto un ben
definito sistema di costrutti etici condivisi (Weber 1922),
che illustrando il preferibile e il desiderabile (cfr. Beat-
tie 1964, p. 109; Kluckhohn 1951), contribuisce significa-
tivamente a orientare lazione sociale, cio le scelte e i com-
portamenti individuali e collettivi.
Non allora un caso se il calendario cerimoniale di San
Marco si presenta articolato e funzionale. A partire da gen-
naio le sue principali occorrenze sono: la festa invernale di
san Basilio Magno, il 2 gennaio; la festa epifanica dei Re
Magi che vede realizzati, presso le abitazioni, alcuni pre-
sepi viventi; la festa di santAntonio Abate (il 17 gennaio
o la domenica successiva), caratterizzata dalla benedizio-
ne degli animali; la festa del Crocifisso di Aracli, celebrata
lultimo venerd di marzo e animata dalla presenza dei Bab-
baluti; il Venerd Santo, segnato dalla processione dellur-
na del Cristo morto accompagnato dalle Virgineddi (bam-
bine di 6-7 anni vestite di bianco) e dagli Angioletti (bam-
bini della stessa et vestiti di rosso e celeste); la festa di san
Marco, il 25 aprile; la festa della Madonna Annunziata, la
seconda domenica di maggio; il Corpus Domini in giugno,
occasione per la quale il paese viene adornato con i tradi-
zionali altarini; la festa di santAntonio da Padova, lulti-
ma domenica di giugno; la festa dei compatroni san Mar-
co e san Nicola e di san Basilio, dal 29 luglio al 2 agosto;
la festa della Madonna della Catena, lultima domenica di
settembre; la festa di san Francesco, il 4 ottobre; la festa
dellImmacolata, processionata insieme a san Giuseppe e
Ges Bambino, l8 dicembre; il Natale, segnato dal canto
delle novene (U cantu di li pasturi, dal 16 al 24 dicembre)
e, a partire dal 26, dal rito del Bamminu e casi casi, occa-
sione nella quale un simulacro di Ges Bambino amman-
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :,;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 237
tato dun velluto purpureo e annunziato dal suono del
tamburo, viene velocemente recato da ragazzi a benedire
le abitazioni aluntine.
Tra le tante scadenze del calendario cerimoniale alunti-
no, un cenno pi esteso merita la festa del Crocifisso, me-
glio nota come i Babbaluti; momento di raccoglimento pe-
nitenziale e di attesa primaverile, che si oppone simbolica-
mente alla gioiosa festa patronale del ringraziamento per
lavvenuto raccolto. In questa occasione 33 incappucciati ri-
vestiti di un saio blu-violaceo, con i piedi rivestiti dai piru-
na, pesanti calze di lana e cotone tradizionalmente realiz-
zate a mano, recano per le vie dellabitato la pesante vara
del Crocifisso, in Sicilia vero e proprio Signore delle Spi-
ghe (Buttitta 2006a, pp. 225 sgg.). La cerimonia ha inizio
nella tarda mattinata dellultimo venerd di marzo, quando
i devoti che si sono votati al trasporto della Croce, si ritro-
vano presso la chiesa di Santa Maria dei Poveri per indos-
sare i loro abiti processionali. Da qui raggiungono la chie-
sa dellAracli dove stato approntato il fercolo proces-
sionale che oltre al Crocifisso reca un quadro della Ma-
donna Addolorata. Allingresso del tempio i Babbaluti, in
coppie, si inginocchiano a baciare il primo gradino della sca-
linata ed entrano poi in chiesa dalla Porta Falsa. Organiz-
zatosi il corteo, la processione, preceduta dalla Confrater-
nita dei Santi Quaranta Martiri, si avvia per le vie dellabi-
tato, accompagnato dalla sommessa invocazione dei Bab-
baluti: Signuri, misericordia e piet. La processione si con-
clude a sera con il rientro del Crocifisso presso la chiesa del-
lAracli e il rito dei Sepolcri.
San Marco dunque uno dei tanti piccoli paesi che si di-
stendono sul versante tirrenico dei Nebrodi: paesi dove la-
nimazione recata da qualche turista nel breve periodo esti-
vo non riesce a rompere i lunghi silenzi del periodo autun-
no-inverno, dove lordine del tempo sembra ripetersi sem-
pre eguale, scandito dalle cerimonie religiose che attraver-
so la loro eccezionalit, la loro sacralit, ciclicamente ri-
propongono un ordine della societ e un sistema di valori
fondanti e rispondono alle richieste di aiuto e al bisogno di
:, IGNAZIO E. BUTTITTA
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senso dei fedeli; dove, al contrario di quanto accade nei
grandi aggregati urbani, lappartenenza, la solidariet, il ri-
spetto non sono parole prive di significato, dilatandosi la vi-
ta individuale in quella familiare e sociale della quale anche
i santi sono attori, sempre pronti ad ascoltare e risolvere an-
gosce e sofferenze.
Questo, in necessaria sintesi, il quadro di riferimento, il
contesto/ambiente che ospita la grande festa dedicata ai san-
ti patroni, san Marco e san Nicola, e a san Basilio. Una festa
che immediatamente si dispone, attraverso il suo simbolismo
rituale e per relazione con le altre scadenze festive, a essere
letta come una cerimonia di natura agraria, una grande festa
di ringraziamento per lanno trascorso e insieme di auspicio
per lannata a venire. Per quanto si possa riconoscere il re-
troterra agrario della cerimonia e pure la rilevanza economi-
ca che il lavoro rurale riveste per leconomia aluntina, risul-
ta tuttavia semplicistico risolvere linterpretazione del rito en-
tro questo orizzonte. I simboli del pane, della danza, dellal-
loro, del basilico che vedremo variamente articolati nella fe-
sta cos immediati e scandalosi, occultano una realt pi
complessa, mentono mentre si manifestano come sopravvi-
venze di un passato remoto, meccanicamente e inconsape-
volmente agite da una comunit incapace di trovare nuovi e
pi efficaci linguaggi per rappresentare la sua condizione e
le sue aspirazioni.
Proviamo, partendo da queste osservazioni, a racconta-
re la festa. Scopriremo, tra laltro, con Mircea Eliade (1965,
p. 88) che la struttura dei simboli non pu venire radical-
mente distrutta dal continuo apporto di nuovi significati
storici; scopriremo anche, come spieg una vecchia abi-
tante di un remoto borgo alpino a un giovane ricercatore,
che la memoria serve a vivere, che i riti festivi cio ac-
compagnano e sostengono la circolazione simbolica e ma-
teriale della cultura marcandone la presenza, rendendola vi-
sibile e palpabile, attribuendole una forma e delimitando-
ne temporaneamente i confini (Navarini 2003, p. 16. Cfr.
Crespi 1996). Riaffermando e rigenerando la cultura co-
munitaria, i riti festivi si propongono pertanto come di-
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :,,
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spositivi irrinunziabili e insostituibili di trasmissione di
una memoria necessaria per riconoscersi e per trovare il sen-
so del proprio esserci nel mondo; pi estesamente, per da-
re senso e intendere in un sistema coerente la realt ulti-
ma delle cose (Eliade 1949, p. 13). Vedremo cos che i sim-
boli rituali della festa dei santi Basilio, Marco e Nicola, non
mentono, piuttosto denunziano e ripetono con forza alcu-
ne verit altrimenti indicibili e sempre attuali. Dalla ter-
ra pervasa di sacralit derivano e in essa si ricompongono
il principio e la fine della vita, individuale e sociale, ecco per-
ch la comunit vive per i suoi santi e in essi si riconosce,
il resto solo contingenza transeunte.
La festa di san Basilio Magno
I santi patroni di San Marco dAlunzio, ufficialmente ri-
conosciuti dalla Congregazione dei Riti, sono san Marco e
san Nicola di Bari, festeggiati il 31 luglio. I fedeli, tuttavia,
si rivolgono con maggiore e partecipata devozione a san Ba-
silio, Sammasili, i cui festeggiamenti maggiori si declinano
il 2 agosto. Il santo celebrato inoltre il 2 gennaio e il 14
giugno. Le cerimonie dedicate ai tre santi si intersecano co-
munque tra loro. Il 30 luglio si assiste alla processione del-
le reliquie di san Marco e san Nicola. La mattina del 31, do-
po la messa, ha luogo la processione dei due santi patroni.
In questa occasione i due simulacri vengono recati in pro-
cessione affiancati su un unico fercolo addobbato con maz-
zetti di basilico, nastri multicolori e composizioni di cudduri
(pani di forma circolare).
Inoltre nel pomeriggio del 31 luglio un corteo di den-
drofori attraversa il paese aprendo i festeggiamenti in onore
di san Basilio: i fedeli portano grossi rami di alloro e di altre
specie vegetali, raccolti nelle campagne circostanti e addob-
bati con fiocchi, nastrini e cuddureddi. I fedeli si raccolgono
presso la chiesetta del santo; di qui, intorno alle ore 18.00,
seguiti dalla banda musicale e dalla folla dei fedeli, i devoti
(adulti, ragazzi, bambini), ciascuno con il suo ramo pi o me-
:c IGNAZIO E. BUTTITTA
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no grande, attraversano il paese, discendendo fino alla piaz-
za antistante la chiesa di San Teodoro, detta Bbaita picciola.
Qui, attorniati dai fedeli, alcuni anziani lauriferi seguiti da
bambini, eseguono vari balli al suono della banda, cercando
di non far cadere il proprio ramo. Terminato il ballo tutti si
avventano sui rami che, secondo la tradizione locale, devo-
no essere distrutti. Bambini e anziani si affannano con sin-
golare accanimento e, in breve, una catasta di fronde verdi
rimane abbandonata al centro del piazzale. Solo adesso ven-
gono distribuiti ai presenti i cuddureddi, precedentemente be-
nedetti. La sera del 31 luglio si svolge, poi, la prima proces-
sione di san Basilio Magno. In questo caso, intorno alle 19.00,
il simulacro del santo viene traslato dalla tempio a lui dedi-
cato alla chiesa madre. Prima di essere deposto al suo inter-
no, il simulacro ripercorre il breve tragitto tra i due edifici per
tre volte consecutive.
La sera del primo agosto vengono recate in processione
le reliquie di san Basilio. Il 2 agosto si svolge poi la proces-
sione della vara del santo, durante la quale i fedeli portano
in processione i trci (ceri votivi) interamente ricoperte di ba-
silico, fiori, spighe e nastri multicolori. Sin dalle prime ore del
mattino due bande musicali attraversano labitato chiaman-
do a raccolta le fedeli. Le donne, che hanno preparato gli ar-
tefatti cerimoniali nelle ore appena precedenti, si accodano
processionalmente dietro le due bande avviandosi disgiun-
tamente verso la chiesa madre. I cortei si incontrano dinan-
zi al tempio e discendono, ora congiunti, verso il sagrato. En-
trate in chiesa le fedeli si dispongono su due file al centro del-
la navata e ricevono la benedizione dal sacerdote. Poi, sem-
pre con la propria torcia, si recano a rendere omaggio al san-
to carezzandone il simulacro. Infine, sostano nel tempio in
attesa dellinizio della processione.
Il corteo processionale prende finalmente avvio alle 12.00.
Lo apre una banda musicale alle cui spalle si dispongono le
fedeli con le torce. Poi la pesante vara di san Basilio, addob-
bata con mazzi di spighe e cudduri, mazzetti di basilico e fio-
ri variopinti. Dietro di essa si dispongono altre fedeli con le
loro torri di basilico profumato e unaltra banda musicale. La
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI ::
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processione, accompagnata dalle reiterate acclamazioni dei
portatori e dei fedeli, percorre la parte alta del paese, per fa-
re infine ritorno, verso le 14.30, alla chiesa madre.
La sera, intorno alle 19.00, la processione riprende con
nuove modalit. In questa occasione, infatti,
il simulacro viene trasportato con un movimento oscillatorio e
al grido di canciamu facci (cambiamo faccia), i due anziani che
guidano il fercolo invertono la direzione della vara. Questi cam-
biamenti repentini e improvvisi della direzione di marcia ven-
gono detti i miraculi (i miracoli) (Perricone 2005, p. 27).
Il devoto corteo percorrer lungamente le vie del paese
fino a notte, alla luce dei ceri.
Premesso che la presenza del monachesimo basiliano in
questarea della Sicilia, attestata sin dal periodo bizantino (cfr.
Rizzo 2007), pu avere favorito usi rituali di alloro o di altri
vegetali sempreverdi (agrumi, mortella ecc.) (Buttitta 2002a,
pp. 65 sgg.), evinciamo da precise testimonianze documen-
tarie che le attuali modalit delle celebrazioni aluntine si ri-
petono, con alcune variazioni, da almeno un secolo o forse
pi. In particolare la festa di san Basilio ha finito col preva-
lere, per partecipazione di fedeli e per notoriet esterna, sul-
le celebrazioni dei patroni di San Marco assumendone mol-
ti dei caratteri rituali. Sulla festa dei santi Marco e Nicola si
sofferma Pitr, nel suo Feste patronali in Sicilia:
Lentrata daddauru il d 29 segna il principio della festa. I conta-
dini in buon numero si riuniscono lantivigilia nella piazza prin-
cipale del paese e di conserva si avviano in processione al mona-
stero del Santissimo Salvatore, portanti ciascuno un ramo di al-
loro. Quivi lalloro si distribuisce a chiunque ne faccia richiesta,
e si ricevono, mangiandole o conservandole per divozione, le
cudduri, ciambeline, gi preparate il giorno innanzi e benedette.
I due Santi, che non hanno nulla di comune tra loro, posano en-
trambi sopra una medesima macchina, e la macchina ornata
di garofani e di basilico (). Bambini guariti per grazia o che
attendono una grazia, stanno al solito seduti nei gradini inferiori
presso ai giovani che hanno lonore di trasportarla. I quali son
:: IGNAZIO E. BUTTITTA
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ventiquattro, non in mutande n a piedi nudi come in altre
processioni, ma vestiti chi di velluto, chi di panno, e i men for-
tunati, di albagio, e tutti calzati. Se non che, molti di essi met-
tono sotto lasta per voto o per penitenza la nuda spalla; e non
si riposano mai, n cercano ristoro di vino o di sostituzione, an-
che breve, di compagni, giacch dalla uscita al ritorno non ab-
bandonano per cosa al mondo il loro posto. () La processio-
ne cammina cammina, un anno per la parte superiore, (), un
anno per la parte inferiore; e al suo passaggio le chiese si apro-
no e, come dappertutto, suonano a festa; dai balconi e dalle fi-
nestre si getta del grano sui Santi e si grida: Viva san Marco! Vi-
va san Nicola! traendosi dal getto e dal grido buon augurio per
lannata. Nella parrocchia del rione i Santi entrano ricevuti da
splendida illuminazione e dal canto del secondo vespro dei pre-
ti locali. Escono poco dopo, e larciprete della parrocchia me-
desima esibisce al bacio de devoti le reliquie dei Santi medesi-
mi, bacio col quale si intende ottenere il perdono dei peccati
commessi.
I Santi son entrati nel Duomo e principiano le corse. Un cer-
to numero di contadini si fanno legare le gambe e al segno di
un petardo si partono, accompagnati nella corsa dal suono
della banda musicale ed anche de tamburi. La scena di tanti
giovani impastoiati che saltano per giungere alla meta comi-
ca: ed il pubblico vi assiste con infinita ilarit, pago di veder
conseguire il premio al primo che giunga, p. premio di un faz-
zoletto, o berretto, o una canna di mussolina. () Il 31 Luglio,
ultimo del festino lantivigilia di unaltra festa in onore di San
Basilio, la quale si prolunga fino al 2 agosto, con una nuova en-
trata daddauru, una nuova distribuzione di cuddure ecc. (Pi-
tr 1900, pp. 189-192).
Sulle celebrazioni di san Basilio possediamo anche delle
informazioni relative alla fine degli anni Quaranta. Scrive
Teresa Esposito (1949-50, pp. 106 sgg.):
Carattere particolarmente locale assume la manifestazione che
d inizio alla festa e che prende il nome di entrata addauru
(entrata dellalloro). Numerosi giovani, seguiti dal popolo muo-
vono in corteo dal monastero minore, ove si sono dati conve-
gno, portando in mano dei rami di alberi vari, che oggi si so-
gliono adornare con fazzoletti variopinti di seta e strisce di car-
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :,
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ta leggera colorata. La banda, naturalmente in testa, d il suo
contributo di armonia alla processione, che si dirige intanto ai
relitti del Monastero maggiore. Qui mentre tutti si dispongono
in cerchio nello spiazzale, si inizia una specie di danza tra alcu-
ni giovani, che ballano per lo pi tarantelle; si procede quindi
alla premiazione in denaro del possessore del ramo pi visto-
so, ed alla distribuzione di certi pani azzimi benedetti, i cud-
dureddi, che il comitato della festa ha fatto preparare. Questi
pani conservati per devozione, vengono alloccasione lanciati in
aria per placare la tempesta.
Prime osservazioni
Soffermandosi a riflettere sul ricco simbolismo cerimo-
niale che caratterizzava/caratterizza le feste dei tre santi ne
ricaviamo immediatamente loriginario carattere agrario. Ve-
diamo infatti declinata variamente una serie di elementi dif-
fusi in molteplici cerimonie festive e riferibili a un comples-
so cultuale omogeneo, a una koin culturale mediterranea
pre-ellenica nella quale questi elementi simbolici deteneva-
no un preciso e pi esplicito significato (cfr. Brelich 1953-54,
p. 59). Entro questo orizzonte possono essere ricondotti,
sulla base di una infinit di elementi tanto storico-religiosi che
folklorici: lalloro e il basilico esibiti in processione e posti sul-
le torce e sui simulacri, auspicio quanto mai esplicito del
rinnovamento vegetale; le danze e i salti agonistici, stimola-
tori della terra e dellaccrescimento vegetale; il riso che si ac-
compagna alle gare dei salti, catartico e augurale, che risol-
ve la crisi del tempo consumato e ne saluta il suo rinnova-
mento; la stessa prova del salto, giovanile esibizione agoni-
stica con valore iniziatico; il grano e il pane lanciati e/o espo-
sti sulle vare e distribuiti tra i fedeli, esemplare sintesi del pro-
cesso alimentare e gesto tradizionale a un tempo orgiastico
e offertorio-augurale.
Mentre si saluta lavvento dellabbondanza, ringrazian-
do i santi per lavvenuto raccolto, si producono pertanto ri-
tualmente le condizioni perch il ciclo si ripeta, introdu-
cendo i simboli della vita vegetale che eternamente si rin-
: IGNAZIO E. BUTTITTA
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nova: lalloro e il basilico. un dato questo inconfutabile
alla luce dellarticolazione simbolica dei riti aluntini e ulte-
riormente avvalorato dallampia variet delluso cerimo-
niale di questi due elementi. Nei Nebrodi lalloro ricorre,
infatti, estesamente nelliter rituale delle feste patronali (cfr.
Buttitta 2006b). Cos accade, a gennaio, a Tortorici per san
Sebastiano, a maggio, a Troina per san Silvestro, ad agosto,
a Regalbuto per san Vito, a Gagliano Casteferrato per san
Cataldo e a Cerami per san Sebastiano. Sempre nei Nebrodi
lalloro si manifesta variamente nelle feste mariane di Fi-
carra, il 25 marzo, di Rod Milici, il Luned dellAngelo, di
Naso, il primo sabato dopo Pasqua, di Cerami, il 7 settem-
bre. Non si tratta comunque di un uso arealmente limita-
to, spiegabile solo con precise ragioni di carattere storico o
riferibile a dinamiche di assimilazione. In quanto simbolo
della vita vegetale che si rinnova, lalloro persiste in altri am-
biti territoriali. Cos nellAgrigentino nelle feste patronali di
Calamonaci (san Vincenzo Ferrer), Villafranca Sicula (Ma-
donna del Mirto), Ribera (san Giuseppe) e della Settimana
Santa (Burgio, Villafranca Sicula, Caltabellotta, Lucca Si-
cula). Cos anche a Forza dAgr per il Luned dellAnge-
lo e ancora, in altre molteplici occasioni del calendario ce-
rimoniale siciliano (basti pensare al ricorrere dellalloro
nelladdobbo natalizio delle edicole votive e in quello de-
gli altari di san Giuseppe).
Lo stesso uso del basilico non era/ affatto limitato nei
contesti rituali. Pitr, nel parlare della festa dei santi Pietro
e Paolo a Calascibetta, accenna alle vare (fercoli): Vengono
ciascuna dalla propria chiesa, trasportate da contadini; e son
cariche di frutta, di fiori e del caratteristico basilico (Pitr
1900, p. 538). Non diversamente ad Adrano, dove, almeno
fino agli anni Trenta, era tradizione adornare la vara di san
Nicol Politi con basilico e primizie di frutta e verdura do-
nati per devozione dagli ortolani. I portatori del Santo, gio-
vani e ragazzi in camice bianco tenevano un rametto di ba-
silico precedentemente benedetto. Il basilico, daltronde, os-
serva Bonanzinga ampiamente utilizzato come offerta vo-
tiva nei rituali festivi (1995a, p. 10) e in questa forma si ri-
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :,
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trova oggi, oltre che nella festa dei santi Nicola, Marco e Ba-
silio a San Marco dAlunzio, nelle feste di san Teodoro a
Sorrentini, di san Sebastiano a Ferla, di san Rocco a Butera,
cerimonie, peraltro, dove, seppur secondo diverse modalit,
sono spesso presenti momenti di danza o corsa rituali.
Ricorda Pitr che il basilico in Sicilia simbolo da-
more ricambiato. Vasi di basilico si scambiano il giorno di
san Giovanni tra ragazze e donne che vogliono contrarre
il comparatico (Pitr 1889, III, p. 250. Cfr. II, p. 278). Il
valore vitalistico ed erotico della pianta daltronde sug-
gerito dalla celebre novella di Boccaccio e ampiamente il-
lustrato dallo studio di Tommaso Cannizzaro, Il lamento di
Lisabetta da Messina e la leggenda del vaso di basilico (1902).
Il motivo del basilico , inoltre, significativamente ricor-
rente in testi popolari di varia natura. Una ninna-nanna rac-
colta a Calamonaci da Giovanni Moroni ci presenta il Bam-
bino Ges intento a piantare e seminare basilico sot-
to un arbusto di rosmarino (anche il rosmarino, peraltro,
ricorre in numerosi contesti cerimoniali; spesso lo si trova
significativamente associato a pani circolari, i cudduri, e al-
lalloro. Cos nel decoro degli archi pasquali di Castel-
termini, cos in quello della straula di San Giuseppe a Ri-
bera): Sutta un pedi di rrosamarina / ca cc Ggesuzzu ca
cchianta e ssimina. / Chianta e ssimina lu bbasilic / stu fig-
ghiu beddu saddorment (Bonanzinga 1995a, p. 10). Si-
gnificativamente, in alcune varianti, il Bambin Ges semi-
na frumento, fruminteddu: Sutta n pedi di rosamarina /
c Gesuzzu ca simina. / e simina lu frumminteddu / pi ac-
cattarisi lu cappeddu (Castorina 1990, p. 122. Cfr. Buttitta
2006a, p. 221). Il motivo si ritrova anche in alcuni canti a
tema amoroso:
Quantu basilic simini ogni annu! / Tu mi nha dari na cima
a lu jornu. / A si vo lu me curuzzu, ti lu mannu; / Lu to mi
lhaa mannari a lu ritornu. / A li to carnuzzi ciavura fannu. /
Cu ti li ciara, ci passa lu sonnu. / A beddu, siddu tavissi a me
cumannu, / dumani mi susissi a mezzijornu (Favara 1957, p. 54,
n. 90; cfr. p. 143, n. 242).
:o IGNAZIO E. BUTTITTA
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Particolarmente rilevante un breve testo proveniente da
Mazzarino dedicato a Ges Bambino, che risulta, con alcu-
ne varianti, ampiamente attestato (Vigo 1870-74, n. 2318; Fa-
vara 1957, p. 385, n. 654 e 423, n. 720. Cfr. Buttitta 2006a,
p. 193). Presentato dallautore della raccolta (Turone 2002)
come preghiera, la sua cadenza ritmica induce piuttosto a
presumere si tratti di una filastrocca infantile, forse parte in-
tegrante di un gioco. Vigo lo inserisce, infatti, nella sezione
XXVII della sua Raccolta amplissima, dedicata a Canti e giuo-
chi fanciulleschi (Vigo 1870-74, pp. 405 sgg.). Questi i versi
raccolti da Turone:
Balla, balla Bammineddu, / ca lu chianu tuttu t, / unni posa u
t piduzzu / nasci gigghia e basilic; / ti ni cugghi na schucchidda
/ e la purti a mamma t, / si la minta ntu pittuzzu, / balla, balla
miu Gesuzzu! [Balla, balla Bambinello, / che il campo tutto tuo,
/ dovunque posi il tuo piedino / nascono gigli e basilico; / ne co-
gli un mazzetto / e lo porti alla tua mamma, / [che] se lo metta
nel petto, / balla, balla mio Ges] (Turone 2002, p. 22).
Assai simile la variante proveniente dalla zona di Giarre:
Bammineddu balla, balla / cca lu chianu tuttuu t, / un-
ni posunu i t piduzzi / nasci n pedi di bascilic. / Ni scip-
pi na ramuzza / ci la potti a t mammuzza, / ci la metti nta
lu pettu, / oh cchi sciauru cca ci fa (Castorina 1990, p. 124).
Il Divino Fanciullo danza sul campo e dove posa il piede sor-
gono gigli e basilico. La danza, vita, il ritmo pulsante del cuo-
re. Battere la terra, calpestarla vigorosamente equivale dal-
tronde ad ararla e lavorare la terra significa possederla attivan-
do il processo di generazione (Jung 1912, p. 309. Cfr. Sachs
1933, pp. 109 sg.). La danza di Gesuzzu, dunque, un atto di
creazione. () Ha funzione cosmogonica, poich risveglia le
energie latenti che possono dar forma al mondo (Zimmer
1946, p. 139). Non certo casuale che i simboli rituali del ba-
silico, dellalloro, della danza dei giovani, si ritrovino inter-
connessi in vari contesti festivi. Esemplare il caso di Caltabel-
lotta dove la mattina di Pasqua san Michele Arcangelo, accla-
mato come u Gigliu e u Santu di li picciotti schietti protago-
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :;
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nista di un rito orgiastico. Il Principe dei Gigli, rappre-
sentazione della forza virile, che reca alle sue spalle un grande
albero di alloro e la cui lancia ammantata di violacciocche, vie-
ne infatti fatto volteggiare, sobbalzare, correre a suon di musi-
ca tra il tripudio generale, per tutto il giorno, da suoi invasati
portatori, ragazzi non pi che ventenni (cfr. Buttitta 2002a, pp.
97 sgg.). Di tale ampio universo simbolico legato a una Wel-
tanschaung contadina, seppur contratto e depotenziato, ri-
mane una vivida traccia nei riti odierni. Queste persistenze, che
coinvolgono massicciamente la comunit in tutte le sue com-
ponenti largamente e significativamente quella femminile a
San Marco e che si sono prima sospettate sopravvivenze
afunzionali, sono, invece, certamente funzionali al sistema so-
ciale e religioso aluntino e non possono essere ignorate o clas-
sificate come residui inerzialmente trasmessi di una passato, co-
munque prossimo. Come ha ribadito J.-C. Schmitt (1976a, p.
946): Rien nest survcu dans une culture, tout est vcu ou ne-
st pas. Une croyance ou un rite ne sont pas la combinaison de
reliquats et dinnovations htrognes, mais une exprience
nayant de sens que dans sa cohsion prsente.
Tutte le tradizioni popolari ha scritto con grande lucidit
Giuseppe Cocchiara (1980, pp. 8-9. Cfr. 1978) trovano nel po-
polo che le elabora una piena libert; che esprime indipenden-
za di vita spirituale, ma anche consapevolezza di un particola-
re significato umano. Il popolo si sente, in fondo, il depositario
di una verit che si obiettiva nelle immagini della sua mente. Il
fatto, per, che questa verit abbia spesso dietro di s un pro-
prio passato, spinge alcuni folkloristi a considerare le tradizio-
ni popolari, almeno nella loro maggioranza, come vere e pro-
prie sopravvivenze. Da qui, a loro avviso, il carattere che esse
assumono di preistoria contemporanea. In realt le tradizioni po-
polari, anche quando riecheggiano antiche esperienze religiose
e sociali, sono pur sempre per il popolo storia contemporanea,
in cui le medesime sopravvivenze si stemperano in continue rie-
laborazioni, che possono anche avere una loro particolare or-
ganicit. Nessuna tradizione avrebbe senso e valore, se essa
non fosse pienamente accolta dal popolo e con significati che
possono cambiare da unepoca allaltra.
: IGNAZIO E. BUTTITTA
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Feste agrarie?
fuor di dubbio, come ha osservato Antonino Buttitta
(1990), che in Sicilia come altrove
la funzione delle feste quali tecniche magico-rituali di propi-
ziazione di una armonica vicenda stagionale e di protezione
dalle calamit incombenti sui raccolti, sia diventata sempre pi
marginale. Da fatto collettivamente agito esse tendono perci
a trasformarsi in occasioni di spettacolo in cui la partecipazio-
ne della collettivit semplicemente passiva (p. 17).
Questa, tuttavia, non tutta la realt. Lapparente di-
sgregazione della religione della terra, a ben guardare, non
cos profonda. Basta uscire dai circuiti festaioli proposti dal-
le riviste di promozione turistica e da uninfinit di siti in-
ternet, per vedere come nelle cerimonie tradizionali si riflet-
ta, non solo idealmente, landamento dellannata agraria e che
ai ritmi di questultima corrispondano precise occorrenze ri-
tuali. Processioni di rami di alloro, offerte primiziali, pro-
cessioni per scongiurare calamit naturali, fal cerimoniali,
mascheramenti demoniaci e animali, questue, distribuzione
e consumo di cibi ritualmente formalizzati, balli e corse di fer-
coli recanti statue o reliquie di santi, canti, musiche e danze
cerimoniali non sono in Sicilia solo eventi spettacolari di in-
teresse turistico, come testimoniano gli esiti delle numerose
ricerche condotte, a partire dalla fine dagli anni Sessanta e
fino ai giorni nostri, dal Folkstudio di Palermo, dallIstituto
di Scienze antropologiche e geografiche dellUniversit di Pa-
lermo (oggi Dipartimento di Beni Culturali), dallAssocia-
zione per la conservazione delle tradizioni popolari, dal Cen-
tro Internazionale di Etnostoria, dal Centro per lInventario,
la Catalogazione e la Documentazione dei Beni culturali del-
la Regione Siciliana.
Dinanzi a un panorama cos ricco e articolato, di fronte
alluso di simboli che sembrano immediatamente rinviare a
precise istanze materiali (il desiderio di abbondanza), ma
anche ideologiche, lo scontro tra cosmos e caos; di fronte a fe-
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :,
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nomeni come quello delle processioni per impetrare la piog-
gia celebratesi diffusamente in Sicilia nel 1999 e rinnovatesi
nel 2007 a fronte di straordinari episodi di siccit, neces-
sario e urgente assumere un autentico atteggiamento di ascol-
to, sforzarsi di comprendere che non ci si trova di fronte a
riproposte e invenzioni, a iniziative coordinate, sostenute
e controllate dagli assessorati comunali al Turismo e alla Cul-
tura, dalle Pro-Loco e dalle associazioni di amanti della tra-
dizione, n, tanto meno, che si possa intendere il significato
della cerimonialit tradizionale facendo esclusivo riferimen-
to a un intramontabile passato agro-pastorale, considerando
pertanto le feste solo come richieste di aiuto ai propri santi
protettori per normalizzare i cicli naturali, ottenere buoni rac-
colti e moltiplicazioni di armenti, per superare malattie e di-
sagi esistenziali.
Certo che nel lungo periodo, in assenza di sostanziali
trasformazioni nei tempi e nei modi della produzione agro-
pastorale, si potuta determinare a livello cerimoniale, pur
allinterno delle complesse dinamiche storiche che hanno in-
teressato le diverse aree, la trasmissione nel tempo e nello
spazio di credenze e di riti e dei connessi apparati simboli-
ci. Daltronde le ideologie, le credenze e i sistemi di prati-
che a queste interconnesse, si trasformano pi lentamente
dellevolversi economico e sociale, consentendo spesso a ri-
ti festivi ai simboli rituali e ai principi etici e cosmologici
in questi implicitamente contenuti connessi a cicli pro-
duttivi ormai scomparsi, di reiterarsi a travs los siglos en
la misma forma (Widegren 1945, p. 190), assumendo nuo-
vi significati e funzioni o amplificandone alcuni prima la-
tenti e secondari (cfr. pp. 189 sgg.; Bogatyrv 1982; Buttit-
ta 1996, pp. 31-43). vero, inoltre, che dopo la parcelliz-
zazione del latifondo e lo spopolamento delle campagne, le
rapide trasformazioni economiche e il parallelo disgregar-
si delle strutture sociali tradizionali, lindustrializzazione e
la terziarizzazione, per gli abitanti delle comunit della Si-
cilia interna possedere un appezzamento di terra costitui-
sce ancora oggi, almeno sul piano emotivo, un valore sociale
essenziale da custodire ed esibire. Anche per queste ragio-
:,c IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 250
ni le feste, contrariamente alle antiche tecniche, ai raccon-
ti, ai canti tradizionali che rapidamente e inesorabilmente
si dissolvono, mantengono una sorprendente vitalit e di-
mostrano la non conseguenzialit tra mutamenti delle strut-
ture produttive e cambiamenti delle strutture ideologiche
(cfr. Mazzacane 1985, pp. 22 sgg.), presentandosi in mol-
tissimi casi come inespugnabili baluardi di una tradizione
contadina che se non continua a vivere nella prassi certa-
mente insiste a livello assiologico.
Resta il fatto, tuttavia, che il richiamo alle radici agro-
pastorali non da solo sufficiente a dare ragione della per-
sistenza di forme di religiosit arcaica. Occorre chie-
dersi allora quale logica tenga insieme nuovi stili di vita e
forme tradizionali del farsi festivo e interrogarsi se i primi
corrispondano a regimi di esistenza realmente diversi da
quelli del passato. In realt allaffrancamento dalla terra,
dalla fatica e dal rischio, sono seguite altre e forse pi te-
mibili forme di precariet a condannare il Sud alla miseria
e allincertezza del domani. Lassenza di uneconomia for-
te e vitale, di prodotti competitivi da immettere sul mer-
cato, la disoccupazione sempre crescente, un terziario gon-
fiato dalle politiche clientelari, la carenza e lo stato di ab-
bandono delle opere pubbliche, linadeguatezza delle strut-
ture e dellassistenza sanitarie, le disfunzioni e le lentezze
dellamministrazione, il dilagare dellassociazionismo ma-
lavitoso, questi e altri elementi, tra loro concatenati, con-
tribuiscono ad abbassare il livello della qualit della vita fi-
no a minacciarne il suo stesso senso. A questa drammati-
ca condizione la comunit risponde secondo un linguaggio
antico e noto, ri-cercando certezze e riferimenti valoriali,
un ordine e un senso, in simboli il cui rinvio al lavoro con-
tadino non , in alcuni casi, immediatamente presente al-
la coscienza dei fedeli, ma che rispondono secondo tra-
dizione a bisogni ancora attuali e vivissimi. Anticipando
quanto di seguito pi ampiamente discusso, possiamo dun-
que osservare che tra le ragioni della persistenza di forme
rituali tradizionali sembra esservi anche il loro potere di
soddisfare a immutate e immutabili esigenze di ordine psi-
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :,:
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 251
cologico (Scheff 1977, pp. 488-489) e sociale, nonch la ca-
pacit di proporre visioni complessive e totalizzanti del
reale in grado di fornire contemporaneamente risposte
a pi esigenze talvolta anche contraddittorie tra loro (Ciat-
tini 1997, p. 12).
Religione e riti festivi
Nei precedenti paragrafi, oltre a fornire una descrizio-
ne della festa aluntina di san Basilio, si cercato di delineare
il contesto/ambiente socio-culturale allinterno del quale es-
sa si inserisce e di indicare alcune essenziali coordinate ideo-
logiche e storico-religiose utili a comprenderne la lunga du-
rata. Restano da approfondire alcune questioni relative alle
ragioni e al senso del suo farsi/protrarsi nel presente. utile
pertanto ripercorrere, seppur entro necessari limiti, alcuni tra
i pi solidi e diffusi approcci socio-antropologici alla religione
e allagire rituale, a partire da una definizione operativa-
mente minimale e descrittiva della festa. Una festa religiosa
tradizionale religiosa in quanto correlata alla credenza in en-
tit extra-umane attive; tradizionale in quanto tramandata
da generazioni (cio non frutto di recupero colto o re-in-
venzione) un insieme di riti pubblicamente agiti e siste-
micamente coordinati in una sequenza coerente e significativa.
La festa tradizionale di fatto un complesso rituale perfet-
tamente programmato per cui si sa che
in un momento definito, in un determinato luogo, alcuni par-
tecipanti, assumendo i ruoli previsti, eseguiranno, come hanno
gi fatto, un certo numero di compiti e adotteranno certi com-
portamenti seguendo uno schema dato e allinterno di unat-
mosfera pure egualmente prevedibile, malgrado la sua apparente
spontaneit (Smith 1981, p. 212).
Le attivit festive dunque si incentrano su pre-determi-
nati comportamenti/oggetti rituali, i quali ne costituiscono
i momenti culminanti e qualificanti e insieme ne denuncia-
:,: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 252
no lalterit rispetto al vissuto quotidiano e la peculiarit ri-
spetto agli altri momenti del calendario cerimoniale (Van
der Leeuw 1956, p. 305). La festa si configura cos come uno
spazio-tempo speciale, deputato a ospitare il dialogo tra
uomini e dei secondo un linguaggio pre-scritto dalla tra-
dizione. Inoltre, in quanto fatto collettivamente agito, essa
il luogo dellincontro e del riconoscimento comunitario.
Nelle sue regole pre-stabilite e idealmente immutabili la
societ sembra ricomporsi e riconoscersi, ritrovando ordi-
ne e restituendo senso alla propria esistenza: Con la rego-
larit del loro ricorrere, le feste e i riti provvedono alla co-
municazione e trasmissione del sapere garante dellidentit,
e quindi alla riproduzione dellidentit culturale: la ripeti-
zione rituale assicura la coerenza del gruppo nello spazio e
nel tempo (Assmann 1992, p. 31), cio preserva lidentit
e la regolarit della comunit (Wach 1969, p. 58) eserci-
tando una azione di controllo sul comportamento sociale
(Douglas 1973, p. 39).
Sembra valere ancora la prospettiva gi presente in Fustel
de Coulanges (1900) e ancor pi in Robertson-Smith (1889),
ampiamente sviluppata da Durkheim (1912) e poi varia-
mente ripresa dal funzionalismo anglosassone, che conside-
rava le attivit cultuali, in quanto azioni collettivamente agi-
te, un dispositivo funzionale alla riproduzione della solida-
riet morale, allespressione dei valori fondanti del gruppo,
alla regolazione e legittimazione dei rapporti sociali quindi
al rafforzamento del senso di appartenenza. Secondo questa
impostazione la funzione delle attivit rituali si risolve es-
senzialmente nella loro dimensione coesiva, rendendole ne-
cessarie ab origine alla continuit e solidit sociali. La ragio-
ne stessa dellesistenza dei rituali religiosi risiede dunque
nella fondamentale funzione sociale da essi assolta (cfr. Za-
dra 1969, pp. 13 sgg.; Miceli 1989b, pp. 120-122; Ciattini
1997, pp. 53 sgg. e 75 sgg.; Scarduelli 2000, pp. 15 sgg.; Na-
varini 2003, pp. 33 sgg.).
Durkheim definiva la religione come un sistema solidale
di credenze e di pratiche relative a cose sacre, cio separa-
te e interdette, le quali uniscono in ununica comunit mo-
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :,,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 253
rale, chiamata chiesa, tutti quelli che vi aderiscono (1912,
p. 50)
4
, e i riti come regole di condotta che prescrivono co-
me luomo debba comportarsi con le cose sacre (p. 43). Ri-
tenendo che loggetto del culto (le cose sacre e potenti, gli
dei) fosse lipostasi inconsapevole della societ stessa, de-
terminata dal trascendimento della dimensione individua-
le in quella collettiva, il sociologo francese, a partire dalla-
nalisi dei culti totemici australiani, osservava, infatti, come
la venerazione collettiva di elementi oggettuali dalla forte
carica simbolica, gli emblemi, concorre in maniera de-
terminante a riprodurre e rafforzare la coesione interindi-
viduale, cio il senso di appartenenza a un gruppo defini-
to. Gli emblemi, mostrati e agiti in occasione delle oc-
correnze rituali, in quanto agenti di rappresentazioni col-
lettive, nel riprodurre ciclicamente i valori, gli ideali e le
coordinate essenziali a orientarsi nel mondo, contribuisco-
no significativamente alla conservazione dellequilibrio so-
ciale. Lemblema costituisce,
per ogni specie di gruppo, un utile centro di collegamento.
Esprimendo lunit sociale in una forma materiale, esso la ren-
de percepibile a tutti. Lidea di utilizzare dei simboli emble-
matici scaturisce dalle stesse condizioni di vita comune per-
ch lemblema non soltanto un procedimento comodo che
rende pi chiaro il sentimento che la societ ha di s: esso ser-
ve a produrre questo sentimento e ne anzi un elemento co-
stitutivo. Infatti le coscienze individuali sono di per s chiu-
se le une alle altre; esse possono comunicare soltanto per
mezzo di segni in cui si traducono i loro stati interiori. Per-
ch il rapporto che si stabilisce tra loro possa sfociare in una
comunione, cio in una fusione di tutti i sentimenti partico-
lari in un sentimento comune, occorre dunque che i segni che
li manifestano si fondano anchessi in una sola ed unica ri-
sultante. Lapparizione di questa risultante avverte gli indivi-
dui di essere allunisono, e li conduce ad assumere coscienza
della loro unit morale: lanciando uno stesso grido, pronun-
ciando una stessa parola, eseguendo uno stesso gesto con-
cernente uno stesso oggetto essi si mettono e si sentono dac-
cordo (pp. 253-254).
:, IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 254
Secondo queste idee, la solidariet e la sopravvivenza
stessa di una comunit, in quanto insieme di individui che
si riconoscono in una comune appartenenza, si fondano
dunque sulla condivisione di simboli, di valori e di creden-
ze, legittimati da una dimensione sacra prodotta e riprodotta
dalla societ stessa e concepita come assolutamente auto-
noma. Tra vita associata e rappresentazioni religiose si os-
servano relazioni sia causali che funzionali: da un lato lo
stesso vivere in societ che, anche attraverso la riproduzio-
ne periodica di stati di effervescenza collettiva (cfr. Mauss,
Beuchat 1904-1905; Isambert 1982, pp. 126 sgg.; Caillois
1950, pp. 89 sgg.), causa la nascita del sentimento del sa-
cro e della religione; dallaltro credenze, comportamenti e
oggetti rituali, agiti e condivisi, rappresentano e al con-
tempo ribadiscono con forza significati sociali imponendo
indirizzi e confini ai rapporti inter-individuali, cio ripro-
ducendo la coesione sociale (Valeri 1981, pp. 213-214. Cfr.
Pace 2007, pp. 31 sg.).
Da unangolazione diversa, partendo cio dal presuppo-
sto che la religione come forma culturale oggettivata deri-
vi da una umana predisposizione emozionale al mistero reli-
gioso (cfr. Navarini 2003, pp. 55 sgg.), anche Georg Simmel
(1905) riconosce alle attivit religiose il potere di sostenere
la coesione sociale:
Lunit delle cose e degli interessi che subito ci colpisce nel cam-
po sociale trova la sua rappresentazione pi elevata e, per co-
s dire, separata da ogni considerazione materiale nellidea del
divino; nel modo pi completo, naturalmente, nelle religioni
monoteistiche, ma relativamente anche in quelle inferiori. In
particolare le feste oggettivizzano lunione di coloro che sono
mossi dalle stesse emozioni religiose. La religione dunque
rappresenta in sostanza ci che, come forma e funzione, regola
la vita del gruppo. () rappresenta la forma pi pura dellunit
della societ, elevata ben al di sopra di tutte le individualit con-
crete (pp. 77-79. Cfr. 1989).
A partire da questi assunti si affermata definitivamen-
te, nelle scienze sociali del Novecento, uninterpretazione
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :,,
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socio-funzionalista della religione che, ponendo i fenome-
ni religiosi a fondamento del meccanismo della vita in so-
ciet, guarder alle credenze religiose come a trascrizioni
della realt sociale e dei suoi fondamenti etici e alle prati-
che rituali come momento di celebrazione e oggettivazione
simbolica degli stessi (cfr. Cantoni 1971, pp. XXII-XXIII).
Questa la prospettiva che guider Radcliffe-Brown
(1952) per il quale, appunto, la religione una importan-
te ed efficace componente, al pari delle leggi e delleti-
ca, del meccanismo sociale, una parte fondamentale del
complesso sistema grazie al quale gli esseri umani posso-
no vivere insieme in una ordinata organizzazione di rapporti
sociali (p. 164). Essa esercita la sua funzione di coesione
anche attraverso lattivit rituale con il preciso compito di
dare espressione ordinata ai sentimenti umani produ-
cendo, di rimando, uninfluenza sul comportamento in-
dividuale e rendendo possibile il permanere di una vita so-
ciale ordinata (p. 170). I riti positivi e negativi dei selvaggi
scrive Radcliffe-Brown esistono e continuano ad esiste-
re, in quanto sono parte del meccanismo attraverso il qua-
le una societ ordinata si mantiene in vita, contribuendo, co-
me in realt fanno, a fissare certi valori sociali fondamen-
tali (p. 1961), inoltre, i riti in quanto espressioni simboli-
che regolate hanno una precisa funzione sociale quando,
e nella misura in cui, hanno leffetto di regolare, mantene-
re e trasmettere di generazione in generazione i sentimenti
su cui si basa ledificio sociale (p. 167). In sostanza per
Radcliffe-Brown e i suoi numerosi allievi (cfr. Fortes,
Evans-Pritchard, a cura, 1940; Gluckman 1965; Leach
1954): il rituale una forma di comunicazione e di espres-
sione che coordina e integra i membri del gruppo, svol-
gendo, di conseguenza, unazione di controllo il cui scopo
principale il mantenimento del sistema delle relazioni so-
ciali, delle istituzioni e della gerarchia degli status (Scar-
duelli 2000, p. 22. Cfr. 2007, pp. 45 sgg.). Una idea questa
gi proposta da un classico della scuola confuciana, il Libro
dei Riti (Li Chi, IV-I sec. a.C.), ripreso appunto da Radclif-
fe-Brown (1952, p. 168): lo scopo delle cerimonie, della
:,o IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 256
musica, delle punizioni e delle leggi uno solo: essi sono
strumenti intesi a uniformare il pensiero degli uomini e a
portare ordine nel governo. In particolare le cerimonie so-
no il legame che tiene unite le moltitudini; se si rimuove que-
sto legame le moltitudini cadono nella confusione.
Lo stato di confusione determinato dal venir meno
dei valori e delle norme fondanti, sedimentatisi nella me-
moria dei gruppi ed espressi nel rito, che orientano nel mon-
do e vi danno senso, dalla crisi cio dei sistemi simbolici che
ogni societ si dati per rappresentare e riempire di senso
la realt terrena e ultra-terrena e orientarsi allinterno di
queste. Gli apparati simbolici che si articolano nelle ceri-
monie pubbliche materializzano di fatto le figure del ri-
cordo, della memoria collettiva, in un determinato spazio
e le attualizzano in un determinato tempo. Le figure del ri-
cordo sont, en mme temps, des modles, des exemples, et
comme des enseignements. En eux sexprime lattitude gn-
rale du groupe; ils ne reproduisent pas seulement son hi-
stoire, mais ils dfinissent sa nature, ses qualits et ses fai-
blesses (Halbwachs 1952, p. 151).
I riti religiosi dunque, non rispondono, come si chiarir
pi avanti, solo agli interrogativi ultimi trovando soluzione
sul piano mitico a problemi altrimenti irresolubili, ma in
quanto tra gli elementi pi forti di trasmissione culturale
(Burkert 1979, p. 80), fungono da potente veicolo di signifi-
cati sociali, ciclicamente riproducendo e sostenendo liden-
tit del gruppo nellavvicendarsi delle generazioni. proprio
questa loro potenza sacrale/comunicativa che ne consente e
richiede la ripetizione: un evento, per continuare a vivere
nella memoria del gruppo, deve arricchirsi della pienezza di
senso di una verit significativa (Assmann 1992, p. 13. Cfr.
Halbwachs 1952, pp. 16 sgg.). Le feste tradizionali, pertan-
to, configurandosi come il luogo privilegiato di trasmissione
della memoria culturale, cio di riproduzione dellidentit,
servono ad attualizzare il passato fondante:
Nel ricordo della propria storia e con lattualizzazione delle fi-
gure di ricordo fondanti, il gruppo si sincera della sua identit.
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :,;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 257
Questa non unidentit di tutti i giorni. Allidentit collettiva
inserisce qualcosa di festivo, di extraquotidiano: essa in un cer-
to senso maggiore del vero, oltrepassa lorizzonte della quo-
tidianit e costituisce loggetto di una comunicazione cerimo-
niale, non quotidiana. Tale cerimonialit della comunicazione
gi di per s una sorta di processo formativo; esso viene pro-
seguito nella formazione del ricordo, il quale si coagula in testi,
danze, immagini e riti (Assmann 1992, p. 27. Cfr. Navarini
2003, p. 17; Fabietti, Matera 1999, pp. 9-32).
La comunicazione festiva daltronde comunicazione
diretta, orale (cfr. Havelock 1963); partecipazione per-
sonale e coinvolgimento totale. Le grandi feste periodiche
richiedono nel loro farsi lattivazione di tutte le componenti
sociali, mobilitano lenergia e le attenzioni di tutta la co-
munit per una parte considerevole del loro tempo e sen-
za esclusioni a parte quelle tradizionalmente/ritualmen-
te sancite di categorie e/o individui. La festa non solo
il giorno di festa, la processione del santo, il banchetto
comunitario, il giuoco ritualizzato, ma anche e soprattut-
to la sua organizzazione: preparazione di cibi e artefatti, cu-
ra dellabbigliamento, dei simulacri, dei paramenti ecc.
Ogni gesto volto, insomma, a generare il cosiddetto cli-
ma di festa. In questo teatro sociale, dove il gioco di fac-
cia, lordine delle espressioni, assume una sua peculiare
dimensione (Goffman 1967, in partic. pp. 7-50. Cfr. Dou-
glas 1973, pp. 15 e 29) e in tutto ci che a esso afferisce,
sono coinvolti, seppur su piani e in gradi diversi, tutti gli
individui delle comunit. Sono coinvolti, se non altro, nel
segnare il loro grado di partecipazione alla vita comunita-
ria, il ruolo e la rispettabilit sociale. La festa religiosa tra-
dizionale non distingue, di fatto, tra attori e spettato-
ri, ma ruoli in ununica globale celebrazione. Tutti i com-
ponenti la comunit, pur nella differenza di status, gene-
re, classe det fanno parte dello scenario, sono material-
mente ed emotivamente coinvolti, seppur in forme e gra-
di diversi, nella rappresentazione rituale (Gadamer 1972,
p. 157; Lotman 1993, pp. 194-195). questo coinvolgi-
mento, lassistere/partecipare direttamente, che consente
:, IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 258
a tutti gli individui di essere collettivamente coinvolti nel-
la riproduzione della memoria culturale.
Sistemi di valori, strategie relazionali, partizioni sociali,
credenze si declinano, nello spazio-tempo della festa e nei ri-
ti che a questa sono direttamente correlati. Il discorso intes-
suto dai simboli rituali dunque, sebbene non di rado im-
plicitamente, riflesso della ideale visione del mondo delle
comunit. La festa pu essere pertanto considerata come
una delle principali forme di organizzazione della memoria
nelle societ che fondano la trasmissione della tradizione sul-
loralit e limitazione. Daltronde:
Se la cultura , fondamentalmente, un complesso sistema di se-
gni () la persistenza della cultura tra individui mortali neces-
sita di metodi di trasmissione che superino il salto generazionale.
I sistemi pi stabili sono evidentemente quelli che non si basa-
no sullimitazione fortuita, ma organizzano la loro perpetuazione
imponendo al giovane le regole del gioco mediante leducazio-
ne nel senso pi ampio, e offrendo occasioni di prova dimo-
strativa. Questo sembra essere propriamente lo spazio per il ri-
tuale, la ragione per cui assurto a un grado di notevole im-
portanza nella societ umana originaria, come una pratica
conformista che conservasse la stabilit del sistema (Burkert
1979, p. 79).
Questo necessario processo messo in evidenza da Pla-
tone nelle Leggi, al momento di affrontare il tema delledu-
cazione dei bambini e dei giovani (cfr. Miceli 1989b, p. 131;
Assmann 1992, pp. 31-32).
ATENIESE: () Denomino educazione quella virt che per la
prima volta si insedia nei fanciulli: () E poich leducazio-
ne, che consiste in quel corretto orientamento verso i piaceri
e i dolori, si allenta e si corrompe in molte circostanze della
vita, gli dei, provando piet per il genere umano che desti-
nato a vivere in mezzo ai travagli, stabilirono, per gli uomini
come delle pause fra questi travagli, che sono rappresentate
dallalternarsi delle feste in onore degli dei, e diedero loro le
Muse, e Apollo signore delle Muse, e Dionisio perch, cele-
brandole con loro, fossero resi migliori, e la loro educazione
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :,,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 259
fosse seguita nelle feste dagli dei stessi. () Si dice che ogni
giovane essere vivente, per cos dire, non riesca mai a stare
quieto con il corpo e con la voce, ma cerchi sempre di muo-
versi e di parlare forte, e alcuni saltano e balzano, come se dan-
zassero con piacere e giocassero, altri emettono ogni sorta di
suoni. E mentre gli altri esseri viventi non hanno percezione
dellordine e del disordine che si verifica in questi movimen-
ti e a cui diamo il nome di ritmo ed armonia, a noi inve-
ce quegli dei che, abbiamo detto prima, ci furono dati come
compagni di danza, fecero anche dono della percezione del rit-
mo e dellarmonia accompagnati al piacere, con cui ci muo-
vono e guidano i nostri cori, legandoci gli uni agli altri con can-
ti e danze, e li hanno chiamati cori per quel senso di gioia
che in essi connaturato (II, 653-654).
E pi avanti:
ATENIESE: () si consacra ogni danza e ogni canto, stabilen-
do dapprima le feste e calcolando, anno per anno, quali feste
e in quali tempi bisogna celebrarle, e a quali dei e figli di dei,
e demoni devono essere dedicate. Dopo di che bisogna stabi-
lire i canti che devono essere intonati in occasione dei singo-
li sacrifici in onore degli dei, e vedere con quali danze biso-
gna celebrare i vari sacrifici. Alcuni dovranno stabilire tutto
ci, e una volta stabilito, tutti i cittadini, dopo aver celebrato
sacrifici in onore delle Moire e di tutti gli altri dei, e facendo
libazioni, consacrino ciascun canto ai singoli dei e agli altri es-
seri: se qualcuno introdurr altri inni o canti contrari a questi
gi stabiliti, i sacerdoti e le sacerdotesse insieme ai custodi del-
le leggi glielo proibiscano, e tale proibizione sia dovuta a mo-
tivi di santit e sia conforme alle leggi, e se chi stato impe-
dito non accetta volontariamente questa proibizione, chiun-
que voglia potr accusarlo di empiet per tutto il corso della
sua esistenza (VII, 799).
Dunque alle feste, volute dagli dei e operate dagli uo-
mini, demandato esplicitamente il compito attraverso i
canti e le danze, il ritmo e larmonia , di ravvivare e
di regolare i costumi tradizionali, di educare allordine del
corpo come principio dellordine morale e di quello socia-
:oc IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 260
le in quanto riflessi dellordine divino, cosmico (cfr. Dou-
glas 1973, in partic. pp. 99-122; Hertz 1928, pp. 137-163;
Havelock 1963, p. 68). Sempre Platone ricorda che lutilit
della musica sta nel dono dellharmona, che in quanto do-
tata di movimenti affini alla nostra anima, pu essere
daiuto nel ricondurre allordine e allaccordo il ciclo del-
lanima stessa divenuto discordante (Timeo, 47d).
Anche Plutarco, nel suo trattato Per mousikh, non man-
ca di rilevare che i greci, sin dal tempo antico un tempo
in cui la musica aveva la sua dimora nei templi, dove veni-
va impiegata per rendere onore agli dei e lode agli uomini di
valore (27) , avevano a cuore pi di tutto leducazione mu-
sicale. Credevano, infatti, che si dovesse plasmare e impron-
tare allequilibrio lanimo dei giovani attraverso la musica, in
quanto essa si rivelava utile in ogni circostanza e in ogni im-
presa che richiedesse impegno, specialmente nei pericoli di
guerra (26); e pu cos concludere il suo trattato ribaden-
do: vero, infatti, che il primo e pi nobile compito della
musica quello di rendere grazie agli dei e quello che viene
subito dopo questo, in secondo luogo dare armonia, equi-
librio e serenit al nostro animo (42).
Il rito dunque impegna e imbriglia materialmente il cor-
po entro forme paradigmatiche di espressione sensorio-
motoria e impone allindividuo, a livello tanto fisico che in-
tellettuale, un rapporto con la realt che sospinge la rin-
novata identit sociale e culturale allincontro con il tra-
scendente (Zeusse 1994, pp. 483 e 487). Lazione rituale,
prescritta e sancita da regole sacre dunque immutabili, in
qualche modo guida le emozioni e costringe il pensiero
(cfr. Terrin 1999, p. 14). Come osserva Susanne Langer, un
rito eseguito regolarmente is the constant reiteration of
sentiments toward first and last things; it is not a free ex-
pression of emotions, but a disciplined rehearsal of right
attitudes (1957, p. 153).
Attraverso i riti si realizza un apprendimento senza che
gli apprendisti ne abbiano sempre piena coscienza. Essi si
configurano come una forma di indottrinamento incon-
scio dellordine, dei principi, delle formule e delle regole,
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :o:
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 261
che, sotto laspetto della spontaneit, costituiscono altret-
tanti esercizi strutturali, cio instaurano la relazione dia-
lettica che conduce allincorporazione di uno spazio e di
un tempo, e da qui di tutta una cosmologia, di tutto un si-
stema di valori, strutturati secondo le opposizioni mitico-
rituali (Bourdieu 1972, pp. 235 sgg. e 266 sgg.). questo
un messaggio contenuto nella stessa etimologia della paro-
la rito. Come ci ricorda Benveniste (1969) il sanscrito rta,
da cui il latino ritus designa lordine
che regola sia lordinamento delluniverso, il movimento degli
astri, la periodicit delle stagioni e degli anni, sia i rapporti de-
gli uomini e degli dei, infine i rapporti degli uomini tra di loro.
() dunque il fondamento sia religioso che morale di ogni
societ; senza questo principio tutto tornerebbe nel caos (II, pp.
357-358; cfr. Caillois 1950, pp. 19 sg.).
I cosiddetti riti di trasgressione (come sono certi mo-
menti di festa e di pellegrinaggio) quelli in cui prevalgo-
no forme di indifferenziata communitas, il momento di so-
spensione o sovversione delle regole che reprimono istinti e
sentimenti, di ritorno a una supposta anarchia delle origini,
di espressione di conflittualit , non mettono in discussio-
ne i principi, li sospendono piuttosto, offrendo temporaneo
e circoscritto sfogo tanto alle tensioni sociali che alle pulsioni
individuali e, soprattutto, mostrano come si vivrebbe senza
di essi (cfr. Turner 1969; Gluckman 1965; Burke 1978, in
partic. pp. 194 sgg.; Lincoln 1989, in partic. pp. 53-74; Tur-
ner, Turner 1978, in partic. pp. 49 sgg.; Isambert 1982, pp.
133 sgg.; Caillois 1950, in partic. pp. 89 sgg.). La rappre-
sentazione stessa del caos, attraverso linversione e/o lin-
differenziazione dei ruoli e delle norme, impone il ritorno al
cosmos in maniera ancor pi forte; la norma temporanea-
mente sospesa e violata si riafferma con la sua ineludibile ne-
cessit e rifonda entro una cornice sacrale lordine origi-
nario e il consenso sociale. Quando diciamo che le regole
che ordinano il cosmo e la societ provengono dalla tradi-
zione, asseriamo implicitamente che esse derivano dagli dei.
:o: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 262
Sono essi che hanno dettato in illo tempore i principi e i va-
lori e le loro modalit di declinazione. Si tratta dunque di una
forma di legittimazione degli atti umani per mezzo di un
modello extraumano (Eliade 1949, p. 35). Come osserva lu-
cidamente Assmann (1992, p. 32), commentando il prece-
dente brano di Platone:
non esistono due tipi di ordine uno per la festa e uno per la
vita quotidiana, uno per il sacro e uno per il profano i quali
convivano senza legami: piuttosto, allorigine esiste un solo or-
dine che in quanto tale festivo e sacro, e influisce sulla vita quo-
tidiana, orientandola. La funzione originaria delle feste di ar-
ticolare il tempo in generale, e non di istituire un tempo sacro
diverso e contrapposto rispetto al tempo quotidiano. Strut-
turando e ritmando il flusso del tempo, le feste istituiscono
lordine temporale generale, entro il quale soltanto il quotidia-
no ottiene anchesso un suo posto (cfr. Brelich 1966, pp. 50-52;
Caillois 1950, pp. 13 sgg.; Kolakowski 2006, p. 25).
Sia che i riti festivi vengano assunti come una creazione
necessaria della societ stessa, come funzionali ed essenziali
alla sua preservazione, ovvero come consolidate strategie di
comunicazione con un divino trascendente, comunque ga-
rante dellordine cosmico e sociale, sia che, cio, la sacralit
dei riti si riproduca attraverso la loro ripetizione puntuale e
obbligatoria ovvero derivi dallessere riferiti alla divinit, se
non da essa stessa istituiti, si finisce con il cogliere, tuttavia,
solo una parte, sia pure essenziale, delle loro funzioni. In ogni
caso costituisce un errore ridurre il religioso alle funzioni so-
ciali che esso esercita in una certa societ; questo, come ri-
leva Willaime (2006, p. 182), un modo utilitaristico di co-
gliere il religioso, come se si potessero ridurre i sistemi sim-
bolici alla loro funzionalit. Ma il religioso forse ci che ec-
cede ogni funzionalit, gestendo la mancanza, lincertezza,
lalterit. Alle precedenti osservazioni, dunque, pena la ca-
duta in una sorta di riduzionismo socio-funzionalista teso a
sottovalutare o ignorare le motivazioni ed altre variabili psi-
cologiche (Spiro 1966, p. 296), va affiancata una lettura del
rituale festivo come sistema simbolico capace non solo di ri-
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verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 263
produrre i principi etici fondanti e la coesione e lordine so-
ciali, di mantenere vivo il senso dellappartenenza e delli-
dentit collettiva, ma anche di fornire risposte e certezze in-
dividuali sulla vita e sul suo senso e di soddisfare desideri e
bisogni tanto biologici che psicologici (cfr. pp. 284 sgg.;
Kluckhohn 1942, pp. 150 sg.; Malinowski 1925). Va cio
prestata attenzione alla dimensione soggettiva del sacro, una
dimensione che sfugge a ogni analisi quantitativa e si rende
esplicita e comprensibile attraverso losservazione diretta,
partecipante, attenta a guardare i gesti compiuti ed ascol-
tare le parole pronunciate (Dewitte 2006, p. 38), quasi
emotivamente coinvolta (nel senso pi prudente dellEr-
lebnis diltheyano), della vita religiosa tradizionale. Qualun-
que soddisfacente analisi del simbolismo religioso deve, in-
fatti, prevedere una partecipazione personale alle attivit
rituali e al loro farsi nel prima e nel dopo. Come dire che la
pesantezza del simbolismo rituale deve essere direttamen-
te sostenuta, vissuta, partecipata; presuppone un farsi lal-
tro mai interamente possibile ma necessariamente da per-
seguire, nellillusione di poter cogliere i sistemi di pensiero,
la visione del mondo, i principi etici e sociali, soggiacenti agli
apparati simbolici e denunciati attraverso questi. I simboli ri-
tuali non sono sempre (non lo sono quasi mai) immediata-
mente comprensibili, riferibili a realt empiricamente osser-
vabili. Come ha efficacemente rilevato Bellah (1970, cit. in
Hervieu-Legr 1993, p. 33):
Le regole della scienza empirica si applicano anzitutto ai sim-
boli che cercano di esprimere la natura degli oggetti. Ma ci so-
no anche simboli non oggettivi che esprimono i sentimenti, i va-
lori e le speranze degli individui, o che organizzano e regolano
il flusso delle interazioni fra i soggetti e gli oggetti, o che tenta-
no di riassumere nella sua totalit il complesso delle relazioni
soggetto-oggetto, oppure che designano il contesto e i fonda-
menti di questo insieme. Questi simboli esprimono anche la
realt e non possono essere ridotti a enunciati empirici.
Lindividuo di fatto ricerca nella dimensione del sacro
s un riconoscimento di s e degli altri, ma anche un con-
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tatto diretto con il trascendente, il totalmente altro (Ot-
to 1936), la potenza (Van der Leeuw 1956) che lo grati-
fichi nel presente e ne soddisfi bisogni e attese future (cfr.
Spiro 1966, pp. 284 sgg.), che lo salvi dal rischio vitale di
non esserci nella esistenza storica (de Martino 1995a, p.
63). Nei riti e per mezzo dei riti viene riconosciuta la pre-
senza del numen. Il contatto con le fonti creatrici della vi-
ta rinvigorisce e stimola luomo allazione (Wach 1969, p.
53). I simboli esibiti nel rito agiscono, infatti, profonda-
mente sulla dimensione psichica, orientano e riordinano le
pulsioni emotive, rispondono allesigenza escatologica
strutturale allesistenza umana (Tillich 1947, p. 23). Riti e
miti cio ripetono leterna domanda: Perch? Perch sia-
mo qui? Da dove veniamo? Perch ci comportiamo in un
certo modo? Perch si muore? domande che la risvegliata
curiosit intellettuale delluomo pronta a porre e alle
quali pronta a rispondere in un linguaggio immaginati-
vo, cio simbolico (Wach 1969, pp. 50-51).
La festa, dunque, in quanto rito religioso, si configura co-
me lo spazio-tempo elettivo in cui gli uomini, la comunit e
il singolo fedele, comunicano con il trascendente, espri-
mendo la loro fragilit e la loro assoluta dipendenza dal sa-
cro, richiedendo protezioni e garanzie. Le feste, nel ricorrere
ai santi e nelliterazione della loro struttura offrono risposte
forti, tanto alla comunit quanto ai singoli, proponendo
prospettive positive a problemi irresolubili nella prassi, ri-
spondendo, cio, in maniera comprensibile, alle ansie, alle
inquietudini, ai dilemmi fondamentali dellesistere (cfr. Klig-
man 1981, p. XIII; Kurtz 1995, p. 15). Alla radice della festa
religiosa tradizionale permane, pertanto, lesigenza delluo-
mo di accostarsi al sacro ed esperirlo in una dimensione
condivisa, in un tempo e in un luogo deputati e segnati,
nonch autentici in quanto vissuti con e in simboli capaci di
captare la potenza del divino (Meslin 1972, p. 5), di offrir-
si come porte reali (Florenskij 1922) di una visione au-
tentica della realt. La festa, infatti, una forma espressiva
della religiosit dove si trovano riunite le condizioni che
consentono a oggetti e a gesti, a suoni e a parole di esprimere
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sacralit. Immagini, simulacri, acclamazioni, preghiere ecc.,
assunti e vissuti in quanto simboli rendono possibile un ac-
cesso diretto, tattile, con la potenza del sacro, consentono il
manifestarsi sensibile e percepibile della presenza del divi-
no (cfr. Isambert 1982, p. 25). Il sacro altrove indicibile, inac-
cessibile, inosservabile diviene cos nel rito festivo parola, co-
munione, presenza.
Le feste si fondano dunque sulla verit dei simboli. Sim-
boli che trascendono la dimensione del linguaggio verbale e
parlano di ci che non pu essere detto, consentono imme-
diato e pieno accesso a una realt altra da quella quotidiana
ma non per questo vissuta come meno reale. Il rito si presenta,
da questo punto di vista, un momento di espressione di un
tutto a livello comunitario, un atto di culto () capace di
unificare in maniera profonda lesperienza del reale (Terrin
1999, p. 37). Potrebbe dirsi che nella partecipazione festiva
si sperimenta la certezza soggettiva di aver colto la dimen-
sione soggiacente alla realt apparente, sentita quasi come pi
reale della realt stessa (Ciattini 1997, p. 23. Cfr. Meslin
1972, p. 5; Needham 1981, p. 88; Isambert 1982, pp. 14 sg.).
Nella festa si viene periodicamente a ricostituire, in altre pa-
role, lo scenario augurale che consente il recupero delle
origini fondanti dei gruppi (Giallombardo 2000, p. 193;
cfr. Kurtz 1995, p. 94), si innalzati a un piano dove tutto
come il primo giorno, splendente, nuovo, e primigenio
(Kernyi 1970, p. 58). La festa pertanto sempre un nuovo
inizio, un momento di restituzione, di ricapitolazione e di
rifondazione, il compimento della creazione, il caos ritro-
vato e rimodellato daccapo (Van der Leeuw 1956, p. 307);
Rinascendo e ritemprandosi in quelleternit sempre attuale
come in una fontana della giovinezza dalle acque sempre vive,
il mondo ha dunque la possibilit di ringiovanire e di ritrovare
la pienezza di vita e di forza che gli permetter di affrontare il
tempo di un nuovo ciclo (Caillois 1950, p. 99; cfr. pp. 94 sgg.).
Latto festivo, viene cos a configurarsi come la pi com-
pleta manifestazione dellesperienza religiosa.
:oo IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 266
Sacro e sistemi simbolici
Lapproccio funzionalista alla religione e al rituale, nel-
le sue molteplici sfaccettature dalla indubbia efficacia eu-
ristica, fondamentalmente non interessato o rifiuta una de-
finizione del sacro (essenzialista o fenomenologica) come
essenza esterna, come una realt che sta dietro al mon-
do delle apparenze ed completamente differente da esso
(Russel 1949, p. 10), avvertita come qualcosa di totalmente
altro e che si esplica nel mondo per ierofanie (cfr. Van
der Leeuw 1956, p. 29; Eliade 1948; Ries 1978, pp. 35 sgg.;
Vidal 1990; Otto 1936; James 1902; Caillois 2001, in par-
tic. pp. 30-32), cio di una realt trascendente, la realt
autentica e originaria degli dei, allinterno della quale e
solo allinterno della quale, fenomeni, accadimenti, espe-
rienze possono e devono trovare un senso. Senza tuttavia
dover riconoscere la reale esistenza dellAltro assoluto, si
pu e si deve riconoscere il valore della credenza, della
dichiarazione di fede, espressa e professata dagli indivi-
dui (Kolakowski 2006; Dewitte 2006); riconoscere cio le-
sistenza per chi religiosamente impegnato di un mi-
stero che non si pu spiegare, di una potenza che si ma-
nifesta (de Martino 1953-54a, p. 53), di una fede che ac-
cetta la presenza al di l delle realt della vita quotidiana
di realt pi ampie che la correggono e la completano
(Geertz 1973, p. 142. Cfr. Lowie 1924, in partic. capp. XII-
XVII). Il sacro, in ogni caso, che lo si voglia assumere come
esperienza reale del divino (la ierofania, la potenza, il
mysterium tremendum), ovvero come immagine psichica,
o ancora come ipostasi della societ, si presenta come una
dimensione ambigua, irriducibile e fondamentalmente ine-
splicabile e solo la sua attualizzazione, la religione ap-
punto con il suo contenuto di istituti, dogmi, credenze e ri-
ti pu essere oggetto di analisi e di ricostruzioni storiche.
Non si tratta di sostenere unirriducibilit alla scienza
dei fatti religiosi che, in quanto fatti, sono gnoseologica-
mente osservabili e sperimentabili, quanto la difficolt di
produrre una soddisfacente e organica concettualizzazione
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :o;
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 267
dellesperienza del sacro che sta a monte di questi e re-
sta propria della dimensione soggettiva e inconscia (pur
sempre culturalmente orientata).
A fronte della difficolt di circoscrivere una definizione
transculturale del sacro, come una categoria del pensie-
ro (Hubert, Mauss 1909, p. XXI. Cfr. Ries 1978, pp. 17 sgg.)
pense telle quelle dans tous le contextes culturels (Isam-
bert 1982, p. 246), si pu solo riconoscere che quelle que
soit lacception sous laquelle on veut envisager le mot, le Sa-
cr est, pour ltre humain, une incontestable ralit (Boyer
1992, p. 7), resta cio una forza con cui luomo deve fare
i conti (Caillois 1950, p. 16), una realt ultima da cui la
vita trae potenza e forza (Eliade 1948). Non daltronde le-
sperienza a-storica del sacro, che pu anche considerarsi,
nella sua molteplicit, comune a tutte le religioni e a tutti
gli uomini, ma i suoi effetti/fatti derivati e le loro articola-
zioni e interpretazioni, molteplici e diverse in ogni cultura
in ragione di ambienti e storie differenti, loggetto dellin-
dagine storica e socio-antropologica; e non decisivo alla
comprensione dei fatti, ovvero della storia del loro farsi fe-
nomenico, delle esigenze esistenziali cui rispondono e del-
le funzioni che essi detengono allinterno della societ pri-
ma dogni altra a quella di produzione e riproduzione del-
la struttura sociale giungere a una comprensione o a una
definizione dellesperire soggettivo e della dimensione fe-
nomenologica originaria del vissuto (cfr. Filoramo, Prandi
1987, pp. 31 sgg.). Solo attraverso lo studio dei sistemi sim-
bolici che si producono e ri-producono nella societ e che
la governano si pu risalire alle ragioni storiche e operati-
ve del loro farsi. Lo studio della cultura si fonda cio sullo
studio diretto, in azione (Radcliffe-Brown 1952, p. 184)
delle produzioni sociali:
se infatti la cultura e il simbolico possono essere intesi come una
rete di significati miti, rappresentazioni, credenze, valori,
idee, modi di pensare ecc. prodotta dagli attori e che attraversa
la struttura sociale, anche vero come tale rete sia sfuggente e,
in molti casi, non sia di fatto granch visibile, cio osservabile
:o IGNAZIO E. BUTTITTA
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fino a che non viene incarnata in qualche forma di azione (Na-
varini 2003, p. 14. Cfr. Swidler 1986).
Vi sono studiosi che hanno posto maggiore attenzione
allesplicito significato religioso dei simbolismi rituali e
hanno fatto notare che gli atti rituali conferiscono a con-
cezioni e valori cosmologici culturalmente importanti una
forza emotiva persuasiva, unificando in tal modo i parte-
cipanti in una comunit autentica. Anche in questo caso
il rito considerato indubbiamente da un punto di vista
sociologico, ma nei termini del suo valore esistenziale e dei
suoi significati espliciti pi che nella sua grammatica pu-
ramente conoscitiva, delle sue dinamiche psicologiche o dei
suoi riferimenti puramente sociali (Zuesse 1994, p. 483).
Tra questi Kluckhohn (1942) che, partendo dallanalisi del
rapporto intercorrente tra mito e rito, giunge a osservare:
Il mito un sistema di simboli espressi in parole, mentre
il rito un sistema di simboli espresso in oggetti e atti. En-
trambi sono processi simbolici per affrontare lo stesso ti-
po di situazione secondo le stesse modalit affettive (pp.
145-146). Tanto il mito che il rituale soddisfano un grup-
po di bisogni individuali identici o strettamente connessi.
Essi sono
adattivi dal punto di vista della societ, poich promuovono la
solidariet sociale, stimolano lintegrazione della societ of-
frendo una espressione formalizzata dei suoi atteggiamenti-va-
lori fondamentali, e forniscono uno strumento per la trasmis-
sione di gran parte della cultura con modesta perdita di conte-
nuto proteggendo in tal modo la continuit sociale e stabiliz-
zando la societ.
Allo stesso tempo essi
forniscono soluzioni culturali a problemi che tutti gli esseri
umani affrontano. () Di fronte al bisogno, alla morte e alla di-
struzione tutti gli esseri umani provano un senso di fondamen-
tale insicurezza. In una certa misura, ogni cultura uno sforzo
gigantesco per mascherare tutto ci, per dare al futuro lappa-
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renza della sicurezza rendendo lattivit ripetitiva, prefigurabi-
le rendere il futuro prevedibile facendolo conforme al pas-
sato (Burke 1961) (Kluckhohn 1942, pp. 150-151).
Dello stesso avviso Kurtz (1995, p. 97) che osserva:
I riti risolvono i problemi della vita comunitaria in maniera
consolidata, identificando il male, segnando confini ideolo-
gici e sociali, e rafforzando le istituzioni che li promuovono.
In particolare i riti legano lesperienza della vita ordinaria al
sacro e pongono il dolore e la gioia nel contesto di una visione
del mondo che struttura la vita delluomo e le conferisce un
senso.
A prescindere dallenfasi con la quale si vuole sottolineare
la dimensione collettiva o soggettiva dellesperienza religio-
sa, con tutto ci che ne consegue dal punto di vista della fun-
zione e del senso dellatto rituale, emerge dunque con for-
za lesigenza di accostarsi allo studio delle diverse forme
della religiosit assumendole come un coerente insieme di
forme ed atti simbolici che riferiscono luomo alle ultime
condizioni della sua esistenza (Bellah 1964, p. 359). que-
sta dimensione simbolica che diviene chiave di accesso alla
comprensione della religione per Clifford Geertz. Questa si
configura per lantropologo americano come un sistema
simbolico e come un meccanismo generale di integrazione
delle idee e delle motivazioni entro un sistema di azione
(Zadra 1969, p. 35), un sistema che consente agli individui
di iscrivere eventi ed esperienze in un certo ordine nel mon-
do dotandoli di senso (cfr. Willaime 2006, p. 181; Scheff
1977, p. 484). Geertz (1973, p. 115) definisce, infatti, la re-
ligione come
un sistema di simboli che opera (o funziona), stabilendo profon-
di, diffusi e durevoli stati danimo e motivazioni negli uomini
per mezzo della formulazione di concetti di un ordine genera-
le dellesistenza e del rivestimento di questi concetti di unau-
ra di concretezza tale che gli stati danimo e le motivazioni sem-
brano assolutamente realistici.
:;c IGNAZIO E. BUTTITTA
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I simboli sacri, intendendo con questo termine qualsiasi
oggetto, atto, evento, qualit o relazione che serve da veico-
lo per una concezione,
servono a sintetizzare lethos di un popolo il tono, il carat-
tere e la qualit della sua vita, il suo stile e il suo sentimento
morale ed estetico, nonch la sua visione del mondo, lim-
magine che ha di come sono effettivamente, le sue idee pi
generali dellordine. () I simboli religiosi esprimono una
coerenza di base tra un particolare stile di vita e una metafi-
sica specifica (anche se molto spesso implicita) e in tal modo
si sostengono a vicenda con lautorit presa a prestito luno
dallaltro (p. 114).
I sistemi o complessi di simboli, in quanto modelli cultu-
rali, sono fonti estrinseche di informazione cio costitui-
scono dei programmi per listituzione dei processi sociali e
psicologici che danno forma al comportamento collettivo (p.
117). Essi si propongono come modelli di realt:
conferiscono significato, cio forma concettuale oggettiva, a
realt sociali e psicologiche sia conformandosi ad esse sia pla-
smandole. () Modellano il mondo inducendo nel devoto una
qualche serie specifica di disposizioni (tendenze, capacit, pro-
pensioni, abilit, abitudini, inclinazioni) che conferiscono un ca-
rattere definitivo al flusso della sua attivit ed alla qualit della
sua esperienza (pp. 119-121).
Attraverso i simboli religiosi, luomo, mentre raggiunge
il senso di una rivelazione definisce il senso di una direzio-
ne (p. 120. Cfr. Lowie 1924). Se i simboli sacri inducono ne-
gli esseri umani delle disposizioni e, allo stesso tempo, for-
mulano, per quanto indirettamente e in maniera non siste-
matica, delle idee generali di ordine tanto sociale quanto co-
smico, pu dirsi che luomo dipende dai simboli e dai sistemi
simbolici (Geertz 1973, p. 126) in forma cos rilevante da
essere essenziale per le sue stesse possibilit esistenziali. An-
cora una volta la dimensione rituale appare decisiva. Osser-
va infatti Geertz che il fatto di
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impregnare un certo complesso specifico di simboli la me-
tafisica che formulano e lo stile di vita che raccomandano
di unautorit persuasiva: questa , da un punto di vista ana-
litico, lessenza dellazione religiosa. Il che ci porta final-
mente al rituale. infatti nel rituale cio nella condotta con-
sacrata che si genera in qualche modo questa convinzione
che le concezioni religiose sono veritiere e le direttive religiose
sono valide. in una specie di forma cerimoniale, () che gli
stati danimo e le motivazioni che i simboli sacri inducono ne-
gli uomini si incontrano e si rafforzano con i concetti gene-
rali sullordine dellesistenza che essi formulano per gli uo-
mini. In un rituale, il mondo come vissuto e il mondo co-
me immaginato, fusi insieme sotto lazione di un unico com-
plesso di forme simboliche, si rivelano essere lo stesso mon-
do ();
producendo una trasformazione idiosincratica del senso
della realt (pp. 142-143) nei termini proposti da Santaya-
na che ritiene che il potere della religione consista;
nel suo messaggio speciale e sorprendente e nella direzione che
questa rivelazione imprime alla vita. Le prospettive che apre e
i misteri che propone sono un altro mondo in cui vivere: e un
altro mondo in cui vivere che ci aspettiamo di entrarci inte-
ramente oppure no ci che intendiamo con avere una reli-
gione (Santayana 1906, cit. in Geertz 1973, p. 111).
Esegesi
Se il rito nasce come un discorso per simboli, che si
articola in paragrafi, frasi e parole seguendo una lo-
gica priva di arbitrariet (Leach 1971, p. 242. Cfr. Burkert
1979, pp. 78 sg.; Zuesse 1994, p. 490; Tambiah 1985, pp.
130-131), dove ogni oggetto, ogni gesto, ogni parola sono
significativi (Miceli 1989b, p. 126) e tesi a trasmettere da
una generazione allaltra conoscenze necessarie alla so-
pravvivenza, insieme a nozioni relative ai rapporti tra gli
individui, la natura dei gruppi sociali, le regole e le proi-
bizioni (Leach 1971, pp. 244-246, cit. in Scarduelli 2000,
:;: IGNAZIO E. BUTTITTA
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p. 38), lecito domandarsi a quale livello agisca lappara-
to simbolico, cio quanta e quale consapevolezza di que-
sto processo comunicativo, dei valori e delle nozioni
trasmesse dai simboli rituali, risieda negli attori/fruitori del
rito. In questo senso illuminanti restano le analisi di Tur-
ner (1967; 1986; 1986, in partic. pp.145 sgg.). Basti ri-
cordare che Turner ascrive una polivalenza semantica al
simbolo e ne individua almeno tre livelli di significato:
quello esegetico, quello operazionale, quello posi-
zionale. Dove il primo deriva dalle interpretazioni indi-
gene, il secondo si definisce nel rapporto con il contesto
rituale (e sociale), il terzo si costruisce nel rapporto tra il
singolo simbolo e gli altri simboli del sistema rituale (1967,
pp. 43 sgg.). Particolarmente rilevante il riconoscimen-
to a livello del significato esegetico di due livelli, uno sen-
soriale e uno ideologico che, almeno parzialmente, con-
sentono un recupero della dimensione emotivo-soggetti-
va. Il rito cio, in quanto sequenza complessa di atti sim-
bolici (p. 149), che comporta un riferimento a creden-
ze in entit o poteri mistici (p. 43. Cfr. Zuesse 1994, p.
483), manipola in funzione sociale le emozioni individua-
li, consentendo un passaggio dal livello sensoriale-sog-
gettivo al livello ideologico-collettivo: Mediante il pro-
cesso stesso della performance ci che in condizioni nor-
mali sigillato ermeticamente, inaccessibile allosserva-
zione e al ragionamento quotidiani, sepolto nelle profon-
dit della vita socioculturale, tratto alla luce (Turner
1982, p. 36. Cfr. Dilthey 1982).
Il rito dunque presenta un livello di consapevolezza
oggetto delle interpretazioni indigene (gli attori rituali
sanno fornire delle spiegazioni di ci che fanno) e uno in-
consapevole desumibile dallo studioso di scienze sociali at-
traverso lanalisi di tutto il contesto socio-culturale (cfr.
Rappaport 1968). La verit cui possono accedere gli agen-
ti, al prezzo di un ritorno teorico su di essa, non sempre
possibile, cio un modo di conoscenza pratico che
non racchiude la conoscenza dei propri principi (Bourdieu
1972, p. 253). Solo prestando la dovuta attenzione alle
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condizioni sociali, ovvero ai contesti di riproduzione dei
beni simbolici (testi mitici e rituali, racconti, codici), alle
forme della loro circolazione e del loro utilizzo, cio alla ge-
nesi e alla funzione, si pu raggiungere una interpretazio-
ne soddisfacente di questi (cfr. pp. 257-258). Da questo
punto di vista solo
lantropologo diversamente dalla maggioranza dei parteci-
panti in grado di collocare i riti e i simboli che osserva in un
complessivo contesto sociale e culturale: in questo modo, pu
riconoscere i diversi significati che uno stesso simbolo possie-
de per le stesse persone in contesti e tempi diversi (nonch i si-
gnificati simili di simboli differenti) (Beattie 1998, p. 123. Cfr.
Evans-Pritchard 1956, pp. 123-143).
Senza arrivare a sostenere che Il significato effettivo che
i partecipanti attribuiscono al rito pu considerarsi irrile-
vante (Zuesse 1994, p. 490), certo che la comprensione del
rito non pu limitarsi allassunzione delle esegesi indigene che
pure contribuiscono a restituirne la dimensione narrativa ed
emotiva e restano irrinunciabili per una piena comprensio-
ne di una cultura. Daltronde, osserva acutamente Bourdieu
(1972, p. 189), Ritenere che la scienza possa essere solo una
concettualizzazione dellesperienza comune, () significa
identificare la scienza della societ con una registrazione di
quanto dato cos come si d. In contrapposizione allevi-
denza del senso comune, loggetto scientifico va conquistato
attraverso unoperazione di costruzione che anche indis-
solubilmente una rottura rispetto a tutte le rappresentazioni
precostruite, come classificazioni prestabilite e definizioni
ufficiali (p. 187).
Ogni manifestazione non esaurisce il suo senso nellat-
to stesso del suo manifestarsi, il rito dice assai pi di quanto
ci mostra. Il senso, le ragioni, le funzioni delle azioni rituali
vanno ricercate oltre limmagine che immediatamente es-
se offrono di s e oltre le letture (differenti, molteplici, con-
traddittorie, politicamente orientate e, a volte, scandalo-
samente assenti) che gli stessi partecipanti ne danno, con
:; IGNAZIO E. BUTTITTA
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buona pace dei detrattori dellideologia del senso (cfr. Fabre
2001, p. 115). I simboli rituali non rivelano verit esplici-
te ma propongono verit velate. Lo svelamento richie-
de unanalisi paziente che partendo dallosservazione e dal-
lascolto dei contesti (degli uomini!), attinge a saperi co-
struiti in ambito scientifico distinguendo tra funzioni ma-
nifeste e latenti, reali e apparenti, tra modus operan-
di e opus operatum, tra finalit estrinseche e intrinseche
(cfr. Merton 1957; Spiro 1966, pp. 287 sgg.; Valeri 1981, pp.
222 sgg.; Bourdieu 1972, pp. 206, 221-222, 274 sgg.; Dewit-
te 2006, pp. 38 sgg.). Come ricordano Marcus e Fischer
(1986), per larga parte degli antropologi i rituali, in quanto
eventi pubblici,
sono come testi prodotti da una certa cultura che gli etnogra-
fi sono in grado di leggere sistematicamente. Quindi sono mol-
to di pi empiricamente accessibili come ci che viene detto
collettivamente e pubblicamente, in contrasto con il non det-
to, del sottinteso, dei taciti significati della vita di tutti i gior-
ni (p. 125).
Occorre dunque cimentarsi in unanalisi del sistema di
significati incarnati nei simboli che formano la religione ve-
ra e propria, e quindi [inferire] il collegamento di questo si-
stema ai processi sociali, culturali e psicologici (Geertz 1973,
p. 158), poich le cerimonie pubbliche a carattere religioso
rappresentano non solo il punto in cui per il credente con-
vergono gli aspetti disposizionali e concettuali della vita re-
ligiosa, ma anche il punto dove losservatore distaccato pu
cogliere pi prontamente linterazione tra di essi (p. 143),
il luogo dove al di sotto dei messaggi superficiali pu es-
sere colta lideologia profonda del gruppo e quindi, anco-
ra, il sistema socio-economico con cui questultima si corre-
la (Miceli 1989b, p. 123).
Proprio perch il rito agisce a livello inconsapevole,
mostrandosi allo studioso di scienze sociali come uno spec-
chio dove si riflettono la storia e il vissuto degli uomini e
delle comunit (cfr. Terrin 1999, p. 11), la sua interpreta-
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :;,
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 275
zione non pu essere limitata allassunzione delle creden-
ze e delle elaborazioni coscienti dei soggetti interessati,
necessaria unanalisi delle pratiche festive e del loro sim-
bolismo che da un lato assuma i risultati dello struttural-
funzionalismo, mentre dallaltro sviluppi una ricerca sto-
rico-comparativa e storico-religiosa, dove storicizzare si-
gnifica cercare di ricostruire il come e il perch si genera-
rono nel quadro di una civilt religiosa proprio quel nume
e proprio quel rapporto (de Martino 1953-54b, p. 77). A
questo fine occorre prestare costante attenzione alle dina-
miche che consentono il passaggio dalla dimensione sog-
gettiva a quella collettiva cio al processo della messa in
forma in immagini e simboli sociali dellesperienza. Si
tratta, cio, di rispettare la maniera in cui lesperienza si
d e si dice e di considerare che il linguaggio che essa par-
la per dirsi, e che si data nel corso dei secoli, costituisce
una modalit privilegiata di accesso alla realt (alloggetto)
a cui essa costitutivamente si rapporta e senza la quale non
potrebbe apprenderlo (Dewitte 2006, pp. 51 sgg.). In al-
tre parole solo affiancando allanalisi sociale una prospet-
tiva diacronico-comparativa si pu raggiungere una per-
suasiva lettura dei rapporti intercorrenti tra vicende stori-
che, vita sociale e pratica rituale. Come rileva Willaime
(2006, p. 188):
certo, una cultura religiosa non esiste senza organizzazioni che
la regolino e senza individui che la esprimano, ma questa non
una ragione per ridurre lanalisi di una religione a quella del-
le sue organizzazioni o a quella dei suoi attori: un universo re-
ligioso anche un lavoro permanente di rilettura e reinvenzio-
ne a partire da un materiale simbolico ereditato. Nella religio-
ne c dunque una consistenza simbolica e una profondit sto-
rica. Una sociologia delle religioni che si limitasse a una socio-
logia della partecipazione religiosa e cio che prestasse at-
tenzione unicamente allevoluzione attuale delle pratiche e del-
le opinioni religiose individuali sarebbe assai povera. Pari-
menti, una sociologia delle religioni che si limitasse allanalisi
delle funzioni sociali assolte da una certa religione sarebbe for-
temente riduttrice del proprio oggetto.
:;o IGNAZIO E. BUTTITTA
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Il rito festivo: memoria e contingenza
Riepilogando pu dirsi che il rito festivo un, se non il
luogo culturale per eccellenza di affermazione indivi-
duale e sociale in un quadro di rifondazione cosmica, di
partecipazione e di relazione, di risoluzione di conflitti
(emotivi e/o sociali), di sospensione/sovversione e a un
tempo di riproposizione di ruoli, rapporti e gerarchie, di
soddisfacimento di esigenze economiche, sociali e culturali,
di produzione e ri-produzione di sensi (individuali e col-
lettivi) in una dimensione spazio-temporale percepita co-
me altra da quella quotidiana. Mentre appaga la sete di
sacro e di garanzie di benessere e continuit, ribadisce i
principi normativi e i valori etici che regolano e animano
la comunit; riafferma le regole cui tutti dovrebbero
aderire e conformarsi, riattualizza la memoria storica del-
la comunit, restituendo senso a una quotidianit precaria
e conflittuale e ribadendo unimmaginaria identit cultu-
rale costantemente minacciata. Attraverso i riti festivi, in-
fatti, si ri-creano, si ri-nominano e si ri-ordinano lo spazio
e il tempo come prodotti culturali e si ri-propongono le
coordinate etiche e relazionali avvertite come costitutive
della propria identit individuale e comunitaria, si scandi-
scono i passaggi della vita individuale e collettiva entro
una cornice cosmica che contribuisce ad amplificarne il
senso e a ricondurre mutamenti e trasformazioni entro un
ordine generale dellesistere (cfr. Van Gennep 1909; Tur-
ner 1969; Wall, Ferguson 1998). Assunto come testo, co-
me espressione coerente e non arbitraria di un sistema cul-
turale, e confrontata con la prassi quotidiana, la festa con-
sente pertanto di intendere a livello profondo la vita sociale
di una comunit e le relazioni tra le sue componenti, di leg-
gerne le attese e le contraddizioni, di coglierne i segni del
passato, di comprenderne il presente e, in certa misura, di
prefigurarne il futuro.
Lo scarto tra rappresentazione di s, comportamento ri-
tuale e vita dogni giorno evidente, particolarmente evidente
nella societ contemporanea. Le tradizioni legittimate e na-
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turalizzate dal e nel rito, ribadendo il modello cui la societ
dovrebbe conformarsi pena la sua stessa dissoluzione, met-
tono in chiara evidenza, per losservatore esterno, le con-
traddizioni che lazione sociale e individuale continuamente
produce nel quotidiano. Altrettanto evidente il fatto che la
distanza tra lordine tradizionale espresso dal rito e la prassi
concreta non sempre immediatamente rilevata dai fede-
li/attori sociali. Essi spesso tendono a ricondurre scelte e
comportamenti, che appaiono devianti e contraddittori al-
losservatore esterno, alle norme e alla morale tradizionali,
producendo cos una trasformazione dallinterno che tende
a tradursi essa stessa, nel lungo periodo e nel trapasso gene-
razionale, in tradizione (cfr. Hobsbawm, Ranger 1983). Non
pu essere altrimenti. In assenza di una morale tradiziona-
le, di un termine di paragone solido e chiaro, di un indiriz-
zo sancito dalla pratica secolare, ogni scarto, ogni devian-
za, infatti, non sarebbe pi tale, finendo con lautolegittimarsi.
Le contraddizioni, segnalate in apertura, tra memoria
e contingenza, tra volont e possibilit, tra aspettative idea-
li e prospettive reali ecc., che si registrano allinterno della so-
ciet aluntina, tanto a livello della festa che in quello della vi-
ta quotidiana, non sono diverse da quelle che hanno pro-
gressivamente inquietato la societ meridionale nel suo com-
plesso, almeno a partire dagli anni Sessanta. Si tratta di una
dialettica evidente, direttamente osservabile, tuttavia non fa-
cilmente e immediatamente perimetrabile e misurabile (cfr.
Pace 2007, pp. 69 sgg.), che richiede labbandono del ter-
rain de statistiques de pratique, voir de sondages, pour se con-
sacrer entirement lanalyse qualitative de faits jugs signi-
ficatifs (Isambert 1982, p. 12), fatti che vedono come agen-
ti-pazienti, non secondariamente, le generazioni pi giovani,
quelle che non hanno direttamente conosciuto gli stili di vi-
ta antecedenti e immediatamente successivi al secondo con-
flitto mondiale. Stili di vita che ancor pi felicemente della
saggistica antropologica, ci vengono restituiti alla memoria
al di l di certi atteggiamenti nostalgici che pure, a volte, la
caratterizzano da unampia serie di prodotti letterari (cfr.
Buttitta 2005; Paulis 2006).
:; IGNAZIO E. BUTTITTA
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Di fatto a partire dal Dopoguerra e con maggior forza da-
gli anni Sessanta, come ha rilevato tra gli altri Lanternari, nel
nome della tecnologia, del consumismo, del cosiddetto pro-
gresso industriale (1976a, p. 12), si avviato in Italia un pro-
cesso di sviluppo economico che ha avuto tra i suoi effet-
ti il livellamento e lappiattimento, e in certe aree una vera e
propria cancellazione, delle culture locali. A fronte della pro-
gressiva affermazione di una cultura di massa, particolar-
mente sostenuta dai mass-media, si sono tuttavia registrate sin
da subito, con maggior enfasi e partecipazione locale in que-
sti ultimi anni, iniziative tese alla salvaguardia e valorizzazione
delle peculiarit (o presunte tali) socio-culturali: dai costumi
ai prodotti tipici, dai riti festivi alle musiche tradizionali (cfr.
Lanternari 1980, p. 10; 1976a, pp. 14-15). Allo spontaneo
processo di riaffermazione e riscoperta di usi e costumi,
scomparsi o avvertiti a rischio di scomparsa, da parte delle
comunit locali variamente organizzate in associazioni, co-
mitati, congreghe (non di rado guidate da intellettuali lo-
calmente radicati) (cfr. Bravo 2001, pp. 189 sgg.; 2005, pp.
21-80), si sono presto affiancati (finendo spesso con il pre-
valere), vari interessi economici e istituzionali diretti a ma-
nipolare a proprio vantaggio le manifestazioni culturali tra-
dizionali, a sostenere il revival folkloristico dando vesti tu-
ristiche ai fenomeni popolari e la moda del folk e del ru-
stico, a esaltare acriticamente i valori associativi della cul-
tura tradizionale (Lattanzi 1983, p. 89). Una rinascita quin-
di di tradizioni religiose popolari dai connotati ambigui che
ha assunto aspetti inconsapevolmente oppositivi e deci-
samente alienanti (Lanternari 1976a, p. 31). Il recupero, il
sostegno e la valorizzazione dei riti festivi avvertiti come
contenitori di identit, dellordine e delletica tradizionali, dal-
le comunit che li agiscono e li promuovono sono divenu-
ti precocemente oggetto di intervento borghese: per il
mercato che li ha visti come una merce, come un momen-
to di esibizione del tipico e del folkloristico potenzialmente
vendibile quando accompagnato da adeguate strategie co-
municative e di marketing; e, conseguentemente, per le isti-
tuzioni che hanno voluto vedere nelle feste, in primo luogo,
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verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 279
un bene culturale (?) per turisti, capace di produrre effet-
ti di crescita sulle economie locali. Cos, accanto alle inizia-
tive di salvaguardia, localmente promosse e agite, protese ver-
so la riaffermazione della propria identit culturale e delle sue
espressioni materiali e immateriali (e tra queste, appunto, le
feste avvertite come necessarie al soddisfacimento di esi-
genze e bisogni altrimenti inappagabili), si sono imposte con
la loro oscena volgarit forme molteplici di snaturamento e
di recupero consumistico di tradizioni e simbologie folklo-
riche destinate alla fruizione di soggetti estranei ai contesti
duso (p. 32. Cfr. Lombardi Satriani 1973; Palumbo 2003; Ra-
mi Ceci, a cura, 2005). In sostanza i processi appena delineati
hanno finito con il determinare la ripresa e la invenzione
delle feste, in un quadro complessivo di stravolgimento dei
significati sia per il ripensamento attuale della tradizione, in
esse manifestato, sia per il cambiamento del contesto stori-
co e sociale della manifestazione (Ciattini 1997, p. 287),
producendo una sorta di ritorno caricaturale della festa tra-
dizionale (Isambert 1982, p. 125).
Se quanto detto risulta ampiamente sperimentabile, non
possibile, invece, partendo dallanalisi di larga parte dei con-
testi festivi siciliani, aderire integralmente a quanto Ciattini
(1997, p. 287) afferma, proseguendo:
anche nei casi in cui le feste sono state celebrate con continuit
e con attaccamento alla tradizione, spesso hanno perduto il lo-
ro particolare smalto, la loro magnificenza e la loro capacit di
coinvolgimento, proprio per il fatto che sono riproposte in un
contesto sociale del tutto diverso e, talvolta, addirittura loro
estraneo.
Di fatto lintensit pervadente dei processi prima se-
gnalati non ha investito o non riuscita a investire per
lopposizione di forze endogene (e tra queste anche le Chie-
se locali) e in ragione della natura e delle motivazioni
che le sostengono , nella loro interezza, le feste religiose
tradizionali. questo, indubitabilmente, il caso di numerose
occorrenze (feste patronali, pellegrinaggi), non solo sicilia-
:c IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 280
ne, che hanno mantenuto sostanzialmente immutati i loro
iter rituali: cos, per esempio, ad Accettura per la festa di
san Giuliano, che prevede il trasporto dal bosco e lerezio-
ne di un albero al centro dellabitato (Bronzini 1979) e a
Sonnino per la festa della Madonna delle Grazie, che con-
siste in una processione di torce lungo i confini comunali
(Lattanzi 1983).
Lanternari ha scritto, relativamente alla festa del Mag-
gio di Accettura, che, perso ogni legame con la vita agraria,
gli abitanti del paese,
con questo rituale esplicitamente non fanno altro che ripete-
re una tradizione che li contraddistingue da tutti gli altri pae-
si vicini. In questo complesso cerimoniale trovano una gran-
de occasione per riconoscersi dunque dagli altri. Lo cele-
brano perch lo celebravano i loro antenati. E oggi sarebbe per
loro una rinunzia a se stessi se dovessero spegnere la tradizione
in oggetto. Dunque il tema centrale, oggi lunico immediata-
mente consapevole e funzionale, di una celebrazione siffatta
quello del suo valore socializzante: essa fornisce il collaudo
della identit etico-sociale e culturale degli accetturesi (Lan-
ternari 1976a, p. 118).
Non diversamente Lattanzi, analizzando la processione
delle torce di Sonnino e nel sottolinearne la funzione de-
limitatrice, osserva che nel rito: attualit e tradizione si
fondono, per rinvigorire unistituzione culturale di estrema
importanza per il comune, e la cui funzione non ha niente
di anacronistico, niente che possa suscitare lidea di avere
a che fare con un relitto folklorico, che la festa sonnine-
se si configura come processo di produzione di valori che
vede la comunit come soggetto di azione e la realt come
spazio cui attingere gli elementi per definirsi culturalmen-
te (Lattanzi 1983, p. 68).
I due autori, dunque, sembrano concordare sul fatto che
il rito festivo vive perch continua a essere buono per il grup-
po (Burkert 1979, p. 79), cio che tra i principali motivi/ef-
fetti che ne garantiscono la sua perpetuazione, vi la costi-
tuzione di una forte identit comunitaria attraverso la se-
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI ::
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 281
gnalazione di una differenza dagli altri, di una delimitazione
verso lesterno, attraverso la costituzione di confini simboli-
ci che la distinguono da unaltra, e verso linterno, attraver-
so la marcatura dello spazio sociale in base a competenze e
differenze specifiche e lindividuazione dei diversi ruoli (Pa-
ce 2007, p. 11). Come accade nella festa dellalbero di Ac-
cettura e in quella delle torce di Sonnino, anche a San Mar-
co dAlunzio, attraverso la grande festa di san Basilio, gli
aluntini propongono a se stessi uno spazio-tempo per una co-
municazione inter-personale regolata, definendo confini e
ponendo un argine al sempre incombente processo di disso-
luzione culturale e disgregamento sociale. Uno spazio-tem-
po che si ricapitola nel simbolo della festa, nel micro-co-
smo della trci Sammasili, quasi emblema durkheimiano
per la societ aluntina e strumento di espressione della de-
vozione e di comunicazione con la divinit.
Mentre ribadiscono a se stessi come si dovrebbe/vorreb-
be essere, gli aluntini propongono verso lesterno un mo-
dello, uno stile di vita coerente e alternativo a quelli che es-
si sperimentano nella stessa vita di ogni giorno, nei rapporti
inter-comunitari e istituzionali, nei mezzi di comunicazione
di massa. Contro i rischi connessi a un assorbimento in un
sistema avvertito come disfunzionale e alienante, contro il ri-
schio di vedere nullificato e svilito il proprio mondo, di ve-
der naufragare il proprio universo di certezze e di principi eti-
ci, si ricorre a comportamenti culturalmente definiti che
mettono in evidenza i problemi posti dallattuale vita quoti-
diana, cio a una rivalutazione in chiave culturale-esisten-
ziale del patrimonio tradizionale, di comportamenti ed isti-
tuzioni ritenuti pi efficaci per il controllo del quotidiano
(Lattanzi 1983, pp. 88-90. Cfr. Clemente, Mugnaini, a cura,
2001, p. 192; cfr. Di Nola 1976, p. 57).
Nel richiamare, tuttavia, levidente e necessario valore di
socializzazione, di ri-produzione e ri-affermazione delli-
dentit detenuto dai riti festivi, si rischia, ancora una volta,
di trascurare quegli aspetti di soddisfacimento emotivo, di
dialogo con il sacro, di irrazionalit che pure nella festa tra-
dizionale sussistono evidenti; di dimenticare cio la potenza
:: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 282
del rito, come si precedentemente cercato di chiarire, di
orientare entro percorsi leggittimi e condivisi pulsioni altri-
menti incontrollabili che finirebbero con il determinare il di-
sfacimento psichico, prima che della comunit, degli indivi-
dui. Come riassume Tullio-Altan (1998, p. 80):
sul piano della prassi, mentre la razionalit si esprime nel lavo-
ro che produce beni economici e servizi di ogni genere e tipo,
che fanno dellambiente naturale un oikos accogliente e vivibi-
le, lesperienza simbolica si esprime come rito, inteso in senso
lato, il quale non produce cose ma stati danimo che favorisco-
no tanto la coesione e la solidariet comunitaria, quanto la frui-
zione di forme estetiche molteplici, linguistiche, musicali e sce-
niche e coreografiche, cos come lesperienza del sacro.
Ad Accettura, come a Sonnino, come a San Marco, come
ancora oggi in molti altri luoghi di Sicilia e non solo, nelle
grandi feste pubbliche, in cui sono coinvolti una vasta gam-
ma di stati danimo e di motivazioni da un lato, e di conce-
zioni metafisiche dallaltro, che plasmano la coscienza spiri-
tuale di un popolo (Geertz 1973, p. 143), si trovano solu-
zione alle angosce esistenziali, si ritrovano ordine e senso al-
lesistenza, si dimenticano frustrazioni e disagi, si supera il
senso di irrilevanza e impotenza individuali, si riconquista-
no ruoli e pertinenze, si diviene padroni di s e del mondo,
si mette ordine, si classifica, si stabiliscono priorit, si attin-
ge il senso di ci che importante e di ci che secondario,
permettendoci di vivere in un mondo ordinato e non cao-
tico, () di sentirci a casa nostra in un mondo che altri-
menti si presenterebbe ostile, violento, impossibile (Terrin
1999, p. 21). Come sottolinea Pace (2007, pp. 39-40. Cfr.
Luhmann 1982):
la funzione specifica della religione quella di essere un medium
della comunicazione che rende determinato un mondo di sen-
so indeterminato, riuscendo, in tal modo, a ridurre la contin-
genza dellambiente in cui gli individui vivono, a livelli pi tol-
lerabili. La religione sembra essere cos lunico subsistema ca-
pace di rispondere a domande, esigenze, problemi di senso
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :,
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soggettivo che nessun altro sistema in grado di elaborare con
analoga efficacia. Insomma, il codice di comunicazione della re-
ligione permette di parlare della societ differenziata e del mon-
do diviso come se fosse unito e fosse un tutto fondato sullidea
di un dio inteso come perfezione ed eternit in un mondo do-
minato dalla contingenza e dallinfinita variabilit. La funzione,
allora, che la religione svolge, non pi integrativa, ma inter-
pretativa. Cio, per gli individui essa rappresenta una risorsa di
significati che consentono di immaginare unito ci che in realt
diviso, assoluto ci che relativo.
In queste pagine non ho voluto celebrare un elogio del-
la tradizione, proporre un panegirico dellidentit perduta,
perorare la causa di un necessario ritorno al sacro e alla fe-
sta, elusivo di ogni impegno politico e sociale. N vorrei in-
correre nel rimprovero che Robert levava dalle pagine di T-
moignage chrtien: Vous voulez laisser au peuple ses ftes.
Mais de quelles ftes e de quel peuple sagit-il? Ce langage
vous met en curieuse compagnie: avant Hitler et Pinochet,
(), Voltaire, Napolon et les grands carnassiers du XIXe
sicle lont dj prtendu (1974, p. 15, cit. in Isambert
1982, p. 143).
Nessuna paura della diversit, dellalterit, della novit e
del sincretismo culturale e religioso anima queste pagine e il
mio quotidiano operare, tuttaltro. Mi limito piuttosto a re-
gistrare che in assenza di modelli coerenti, omogenei, misu-
rati sulle reali esigenze e prospettive degli individui, lunica
strada percorribile, forse disperatamente percorribile in as-
senza di scelte possibili, resta ladesione ai modelli proposti
dalla tradizione e dai suoi riti religiosi, i soli che, configu-
randosi come principi di coerenza, sembrano ancora conte-
nere nel loro sacrale ordinamento un programa, un dogma,
una visin del mundo (Widegren 1945, p. 190). Oggi pi che
mai, mi sento di dire con Kolakowski (2006, pp. 20-23):
Si pone la questione se la societ sia capace di sopravvivere e
rendere tollerabile la vita ai suoi membri nel caso in cui il sen-
timento del sacro e il fenomeno del sacro fossero eliminati
ovunque. Si pone la questione se certi valori, la cui forza ne-
: IGNAZIO E. BUTTITTA
verita e menzogna 26-09-2008 11:17 Pagina 284
cessaria per la durata stessa della cultura, possano sopravvive-
re senza radicarsi nel regno del sacro, nel senso proprio del ter-
mine. () Quale che ne sia stata lorigine, il sacro ha fornito al-
la societ un sistema di segni destinato non solo a identificare i
fenomeni, ma anche a conferire ad essi un valore un valore
proprio di ognuno di questi fenomeni legandoli tutti a un or-
dine diverso, inaccessibile alla percezione diretta. I segni del sa-
cro aggiungevano, per cos dire, il peso dellineffabile a ogni for-
ma data della vita sociale. Non c dubbio che il sacro abbia co-
s svolto un ruolo conservatore. Lordine sacro, inglobando
realt profane, non aveva cessato di produrre, implicitamente
o esplicitamente, il messaggio che dichiarava: cos, e non pu
essere altrimenti. Semplicemente affermava e stabilizzava la
struttura della societ, le sue articolazioni, il suo sistema di for-
me, dunque necessariamente le sue ingiustizie, i suoi privilegi,
i suoi strumenti istituzionali di oppressione. vano chiedersi co-
me lordine sacro imposto alla vita profana possa essere man-
tenuto senza che ne sia mantenuta la forza conservatrice. Que-
sta forza non gli sar mai sottratta. Il punto sapere piuttosto
come la societ umana possa sopravvivere senza la presenza di
forze conservatrici, cio senza la tensione perpetua tra la strut-
tura e lo sviluppo.
1
Quanto osservato in ordine ai rituali festivi solo una, forse neanche la
pi cogente, tra le tante questioni che animano lattuale dibattito demo-antro-
pologico sulle riviste e sui libri, nei convegni e nelle stesse aule universitarie: ti-
toli come Oltre il folklore. Tradizioni popolari e antropologia nella societ con-
temporanea (Clemente, Mugnaini, a cura, 2001) e Beethoven e le mondine: ri-
pensare la cultura popolare (Dei 2002), possono bastare da soli a dare la misura
di discipline (la Demologia, lAntropologia, la Sociologia) sempre pi incerte,
volte alla ricerca di strumenti teorico-metodologici nuovi o rinnovati, che si mo-
strino adeguati al confronto con una modernit sempre pi liquida (cfr. Bau-
man 2000), frammentata in sub-sistemi e priva di centri propulsivi di produzione
del senso chiaramente circoscrivibili e identificabili (cfr. Luhmann 1982).
2
Tutti i dati sono desunti dal rilevamenti ISTAT 2001.
3
Lampia partecipazione della popolazione aluntina alle pubbliche prati-
che di culto fenomeno direttamente osservato. In assenza di dati statistici
sul Comune possiamo fare comunque riferimento, con le debite cautele, ai ri-
sultati dellindagine sulle Tipologie religiose e culturali in Italia promossa nel
1994 dallUniversit Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dal questionario
somministrato a 875 soggetti residenti in 21 Comuni siciliani la adesione allin-
segnamento proposto della Chiesa cattolica risultava una essenziale compo-
VERIT E MENZOGNA DEI SIMBOLI :,
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nente culturale: il 64 per cento dichiarava, infatti, di credere in Ges Cristo e
negli insegnamenti della Chiesa cattolica e il 25,5 per cento in Ges Cristo e
solo parzialmente negli insegnamenti della Chiesa cattolica (Canta 1995, p. 55).
Dati questi ultimi che aumentano, peraltro, in percentuale nei comuni tra i 2.000
e i 5.000 abitanti. Rilevante per il fatto che a fronte di un 92 per cento degli
intervistati dichiarante che Ges Cristo il figlio di Dio e di un 86 per cen-
to concorde sul fatto che la Parola di Dio rivelata nella Scrittura, solo il 71,4
per cento afferma di ritenere la Chiesa cattolica sia una organizzazione voluta
e assistita da Dio (p. 62), lasciando cos trasparire, a mio avviso, la presenza di
un esercizio dellautorit sacerdotale che spesso confligge con le esigenze e le
aspettative dei fedeli. Va inoltre segnalato il fatto che unampia percentuale de-
gli intervistati, anche di coloro che si possono definire in possesso di un alto in-
dice di religiosit, denunzia una serie di credenze contraddittorie: il 31,9 per cen-
to crede nel malocchio e nella maledizione, il 30 per cento nella possibilit di
mettersi in contatto con i morti, il 27,5 per cento negli influssi degli astri, il 25
per cento nellesistenza di spiriti e potenze in grado di influenzare la vita in-
dividuale e collettiva (pp. 100 e 106). Ulteriore conferma questa dellampia dif-
fusione in Sicilia di superstizioni e credenze magiche (Guggino 1978; 1986;
1993; 2004, pp. 278-330, 354-367; 2006).
4
Definizione questa di Durkheim, variamente ripresa sviluppata e/o sin-
tetizzata dalla letteratura successiva. Pi in generale sulle definizioni e sulla stes-
sa definibilit della religione v. Horton 1960; Goody 1961; Bell 1997; Spiro 1966;
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:o IGNAZIO E. BUTTITTA
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Bibliografia
Nel testo, lanno che accompagna i rinvii bibliografici secondo il sistema auto-
re-data sempre quello delledizione in lingua originale, mentre i rimandi ai nu-
meri di pagina si riferiscono sempre alla traduzione italiana, qualora negli estre-
mi bibliografici qui sotto riportati vi si faccia esplicito riferimento.
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