UN INCONTRO SULLA INSTITUTIO SEMIOTICA Franciscu Sedda Tutti (i semiotici) ne parlano. Nei corridoi, nei bar, durante le pause della lezione, mentre fanno la guardiania durante i quiz scritti con centinaia di persone che affidano a delle crocette la valutazione della loro preparazione e il passaggio del temuto e difficilissimo (il pi difficile fra tutti, a detta di molti studenti) esame di Semiotica. Era destino dunque che il problema emergesse, che assumesse visibilit, legittimit ed elaborazione pubblica: ovvero, come insegnare la semiotica ai tempi delluniversit di massa, del numero apertissimo, dei corsi da 30 ore (che poi sono sempre meno), in curricula in cui molto spesso la semiotica un evento casuale, un elemento extra- sistematico che irrompe improvviso in un sistema che a stento lo comprende, per dirla con Jurij Lotman Ma i problemi non sono solo questi e forse nellansia del dibattito c qualcosa di pi di una ricerca di chiarificazione sul metodo di insegnamento della nostra materia. Ad ogni modo, qualunque fosse la causa profonda e recondita che muove e ha mosso il discorso, merito del dottorato in Semiotica di Siena, rappresentato da Giovanni Manetti, e della dirigenza, presente quasi al completo, dellAssociazione Italiana di Studi Semiotici, aver promosso questa giornata di riflessione dallimpegnativo titolo Linstitutio semiotica. Acquisizione della competenza disciplinare e testi didattici (Siena, 3 marzo 2004). (La cronaca che segue, stesa a distanza di un paio di settimane, si lasciata guidare dalle traiettorie della memoria e delle impressioni maturate al momento dellascolto degli interventi. Non vuole essere dunque niente di pi che un richiamo per chi vi era e una nota informativa, un rinvio ad altro da sapere, per chi non potuto esserci). Partiamo dunque dalla scaletta, elemento non irrilevante e che ci aiuter a sintetizzare: Gianfranco Marrone, Isabella Pezzini, Maria Pia Pozzato, Tarcisio Lancioni, pi gli interventi dei presenti, il tutto presentato, intervallato e 2 glossato da Giovanni Manetti. Scaletta non irrilevante proprio perch il carattere della discussione ha dato un tono cumulativo agli interventi, lasciando che i primi due distendessero argomentazioni pi generali ed estese e che gli ultimi due si addentrassero su temi specifici, che focalizzassero argomenti e questioni ritenute pi specifiche e cogenti al dibattito sulla didattica. (Anche perci la lunghezza delle rispettive cronache risulter disomogenea. Iniziamo). Lintervento di Gianfranco Marrone, professore di Semiotica allUniversit di Palermo e attuale presidente dellAISS, parte da una problematica generale che situa la questione semiotica non solo rispetto allambito accademico ma nel quadro pi generale del rapporto fra la semiotica e la societ. Il discorso dunque assume un taglio storico e mette in luce un processo di inversione: la semiotica sarebbe passata infatti dallessere una materia con uno statuto istituzionale debolissimo ma con un ruolo socialmente legittimato di scuola di pensiero, in quanto presente e trainante nel dibattito pubblico (anche attraverso la presenza di alcuni grandi maestri, di nomi riconosciuti e seguiti al di l dello stesso ambito semiotico), al divenire una materia istituzionalmente accreditata, attraverso lapertura di corsi praticamente ovunque, ma con un ruolo e un appeal sociale notevolmente indebolito. Come facile capire, si tratta di una questione di non poco conto che apre su di una sorta di auto-riflessione sul ruolo storico, sociale, politico e istituzionale della semiotica. Il discorso di Marrone focalizza tuttavia la questione istituzionale, pi direttamente legata alla questione didattica: vale a dire la perdita di omogeneit delle basi condivise della materia, dei tratti comuni che la farebbero riconoscere in quanto disciplina a valenza scientifica, a causa dellelevatissimo numero di corsi -- tenuti molto spesso da non semiotici -- e dalla conseguente proliferazione di manuali scritti ad hoc e non sempre semioticamente validi. lo stesso Marrone a riportare un elenco tanto vasto quanto disparato di pubblicazioni manualistiche apparentemente afferenti al campo semiotico, i cui nomi e titoli, molti dei quali sconosciuti ai pi, tendono a provocare una sorta di sensazione di smarrimento. 3 Si apre fin da qui un confronto fra i diversi relatori: fino a che punto vero che la semiotica di un tempo avesse questa sorta di omogeneit interna, di solide e condivise fondamenta che la rendevano pienamente riconoscibile collettivamente? Su questo punto torner pi volte Giovanni Manetti, quando sottolineer la necessit di dar conto della presenza di diverse scuole semiotiche non sintetizzabili al fine di poter effettivamente insegnare la semiotica nella sua interezza. Si tratterebbe insomma secondo Manetti di un riconoscimento necessario, una presa di coscienza volta non alla difesa di posizioni di scuola ma utile per poter effettivamente rendere in modo chiaro e completo il campo semiotico, nel momento del suo insegnamento: lintervento di Manetti parrebbe sostenere dunque che attraverso la specificazione della globalit delle relazioni, dei rapporti, delle comunanze e delle diversit fra le varie teorie si renderebbe maneggiabile e comprensibile ci che a un altro livello appare come dispersivo e frantumato. Ritornando allintervento di Marrone, vi da sottolineare che, con fare a met fra seriet e autoironia, egli propone un quadrato semiotico per individuare le filosofie e gli stili della ricerca, rapportate in particolar modo alla maniera in cui i manuali chiedono di essere letti. Si tratta dunque di una metasemiotica che parte dalla suddivisione fra un modo continuo o discontinuo di lettura che viene richiesto allo studente o allo studioso dei manuali. Nel modo continuo si avrebbero cos i manuali con una visione olistica della materia, manuali che chiedono di essere letti in modo lineare e in cui la semiotica si esprime come sapere totalizzante e visione del mondo. Al contrario, sul versante del discontinuo, si pongono i manuali che descrivono la storia, o meglio le fasi, della disciplina e delle sue differenti scuole, cos come i contributi dei diversi padri: in tal caso il manuale pu essere consultato per voci, epoche, nomi, argomenti senza che sia strettamente necessario percorrerlo secondo un ordine fisso. In contraddizione con ci, e dunque in rapporto di complementariet con la posizione continua, vi sarebbero invece i manuali che nella scelta e nella disposizione dei contenuti indicano e sviluppano un progetto di ricerca, che si pongono come un cantiere aperto, come proposta di una visione possibile della semiotica, che taglia il campo 4 semiotico facendo delle scelte. Si tratta allora di totalit aperte, e in qualche modo parziali, che chiedono di essere lette e comprese nella loro organicit, senza proporre una visione definitiva della semiotica. Infine, nella posizione del non-continuo, si pongono i manuali che puntano a fornire principalmente una cassetta degli attrezzi, in particolar modo in vista dellanalisi dei testi. In questo caso, per quanto il manuale faccia scelte generali e organizzi i materiali in modo mirato alla miglior comprensione del ruolo e dei metodi di analisi semiotica, resta comunque la possibilit di una fruizione a salti, in cui la scelta sia guidata dalle necessit di approfondire alcuni strumenti di analisi delle diverse forme della testualit piuttosto che altri. Passiamo ora allintervento di Isabella Pezzini, professoressa di semiotica allUniversit La Sapienza di Roma e vice-presidente AISS insieme a Maria Pia Pozzato e Guido Ferraro. Si sottolineano qui fin dallinizio le difficolt pratiche di una didattica semiotica fatta in condizioni limite, in cui il numero degli studenti, il ruolo marginale della semiotica nel curriculum, limpossibilit di reali lavori seminariali e lesiguit dei fondi per la ricerca e il personale pongono costrizioni e restrizioni allefficacia dellinsegnamento. Il discorso di Pezzini, raddoppiando e rafforzando quello fatto in precedenza da Marrone, va dunque nella direzione di una presa di coscienza delle difficolt in cui la materia posta, non solo in specifiche situazioni concrete, ma pi in generale allinterno del panorama sapienziale attuale. Si evidenzia infatti una sorta di nemesi della semiotica: il suo successo e la sua capacit anticipatrice, in particolar modo la sua capacit di intuire limportanza dello studio del mondo della comunicazione di massa e di dar corpo ad un metodo e ad una ricerca sulle varie forme della testualit e dei fenomeni sociali, stato in qualche modo elemento di invidia e di clonazione banalizzante. Conseguentemente la semiotica molto spesso oggigiorno si trova a dover constatare, da un lato, che ci che diceva anni fa viene rivenduto da altri come novit e a doversi difendere, dallaltro lato, dalle critiche che le vengono mosse sulla base di una sua immagine di seconda mano, costruita proprio a partire dalle banalizzazioni operate dagli altri. Vi da dire tuttavia che 5 la semiotica per Pezzini non esente da colpe, avendo molto spesso abbandonato il lavoro di frontiera sulle testualit di massa e le nuove forme della comunicazione, chiudendosi talvolta su se stessa, e non avendo saputo difendere e diffondere il suo stesso lavoro come avrebbe dovuto e meritato. Lappropriazione di molti dei concetti di base della semiotica degli anni Sessanta e Settanta da parte di tanti corsi di comunicazione testimonia dunque uno scacco a livello temporale ma anche un segnale della potenza che la riflessione semiotica ha in se stessa. Non un caso forse che Pezzini avanzi come proposta didattica, in chiusura del suo intervento, la necessit di una riconsiderazione della genesi e del ruolo storico della semiotica. Tale sensibilit diacronica, situando linsorgenza della disciplina allinterno delle vicissitudini sociali e della ricerca scientifica del Novecento, potrebbe infatti offrire e far comprendere ai discenti il senso del divenire della materia, cos come la sua legittimit attuale e le potenzialit tuttora vive e da esplorare. Lintervento successivo di Maria Pia Pozzato, professoressa allUniversit di Bologna, sposta il fulcro della discussione. Largomentazione decisamente forte di Pozzato che oggigiorno la didattica semiotica va incontro a un mutamento radicale, per certi versi antropologico, che mina le stesse prerogative di fondo della disciplina: vi sarebbe infatti una sempre maggiore difficolt a far capire le basi della semiotica, il suo carattere formale, il rapporto fra forma dellespressione e forma del contenuto, la prova di commutazione, la stratificazione del senso e altri elementi irrinunciabili nella costituzione stessa della materia, a causa di una diminuita, e sempre minore, capacit astrattizzante e formalizzante da parte degli studenti. Se i problemi concreti posti in risalto in precedenza sembrano dunque in qualche modo superabili, lesperienza edenica bolognese lo confermerebbe, molto pi indicativo e preoccupante sarebbe questa tendenziale mancanza di comprensione profonda, intima, dei meccanismi formali dei linguaggi. Portato alle estreme conseguenze il discorso lascerebbe pensare a una semiotica destituita di efficacia a causa di una realt socio-antropologica che mutando la renderebbe praticamente incomprensibile. In realt largomentazione negativa di Pozzato sembra essere 6 strettamente legata a una argomentazione positiva: ovvero, il fatto che la semiotica non pu far altro, indagando le profondit del senso e dei suoi meccanismi, che offrire visioni non conformi al senso comune, analisi che tendono a scardinare le apparenze e a frantumare certezze consolidate, cercando di andare al di l di una presa ingenua e immediata sul mondo. In qualche modo dunque la semiotica avrebbe in se stessa i motivi della sua attrazione e della contemporanea difficolt della sua ricezione, se non del suo stesso insegnamento. In questo senso la semiotica si configurerebbe come una materia che difficilmente pu piacere a tutti - e del resto lintervento di Pozzato sembra domandarsi se ci sia qualcosa da perseguire a tutti i costi e tenderebbe invece a selezionare fortemente allinterno del suo uditorio fin dal momento della sua stessa divulgazione. Lintervento d i Tarcisio Lancioni, docente allUniversit di Siena, pone infine il problema della articolazione dellinsegnamento delle basi teoriche della semiotica e della contemporanea necessit di farle apprezzare, rendere concrete e comprensibili per gli studenti, attraverso lanalisi dei testi. Lancioni parte dunque dalla sua esperienza personale per constatare come ai tempi della sua formazione in un modo o nellaltro la formazione semiotica poteva accompagnare lo studente per quattro anni mentre oggi molti studenti esauriscono il loro incontro con la materia in non pi di trenta ore. Posto davanti a tale situazione oggettiva, il problema del docente, che dovrebbe trasmettere i fondamenti della semiotica, sarebbe quello di scegliere fra una offerta di alcuni concetti forti della teoria semiotica, che rischiano per di avere leffetto di parole al vento visto che gli studenti difficilmente capiranno la loro utilit, oppure di partire immediatamente con lanalisi dei testi, in modo che gli studenti ne colgano le potenzialit operative e si convincano della necessit di ulteriori approfondimenti, con il rischio tangibile tuttavia che difficilmente colgano lessenza e il funzionamento degli strumenti che vedono messi direttamente allopera. Come lo stesso dibattito successivo dimostrer, lintento del discorso di Lancioni non quello di riproporre la suddivisione fra una semiotica teorica e una applicata, ma semplicemente di indicare e ribadire un problema, prima ancora di cercare risposte concrete: ovvero, 7 come riuscire a conciliare lesigenza di un insegnamento che non rinuncia a spiegare limpianto semiotico ma che offre in pochissimo tempo esempi della sua validit, senza dunque chiudersi in un esercizio di stile metalinguistico. Arrivati a questo punto, non potendo ripercorrere gli interventi successivi del pubblico e dovendo constatare il carattere non concluso del dibattito, resterebbe da chiedersi se questo discorso annunciato e necessario sulla didattica della semiotica non tradisca e dica qualcosa di pi sullo stato della disciplina, se non sia pervaso da un qualche sentimento pi profondo e inquieto. Siamo forse davanti a una fase nostalgica della disciplina semiotica? O come succede molto spesso il richiamo al passato, il ripensamento storico sul proprio presente, lansia di soluzioni davanti a problemi difficilmente risolvibili, non nientaltro che il preludio a una traduzione del proprio patrimonio acquisito in qualcosa di nuovo? Pare sensato dire che la semiotica che ha pensato se stessa a Siena una semiotica alla ricerca di un ruolo pi forte e di un suo giusto protagonismo non tanto, o non solo, accademico, quanto sociale: per il resto, dal mio modesto e giovanile punto di vista, la passione stessa per la semiotica, resa nella qualit della ricerca e trasmessa durante lezioni, dibattiti, conferenze, a darle efficacia e valore. E ci apre alla possibilit che una semiotica appassionata, una semiotica poietica, utilizzata per comprendere il mondo, il senso del mondo e il mondo del senso, e per partecipare al divenire delle cose ritrovi il suo ruolo sociale, rafforzi la sua posizione istituzionale e attiri e affascini anche chi pur non potendola ancora comprendere appieno, intuendone potenzialit e profondit, si lasci comunque trascinare dentro il suo vortice. data di pubblicazione on line: 11 aprile 2004