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Marted 18 Febbraio 2014 16:33

Discorso o pratica dellutopia? Colloquio virtuale con Carlo Formenti


di csoa Askatasuna

La questione del potere, allusa dal movimento nel 69, ancora in attesa di pensieri ben pensati, e di risposte non conformiste, scriveva Paolo Virno nel 1989, lanno in cui a ventanni esatti dallautunno caldo gli stati socialisti orientali iniziavano il loro domino, sotto la spinta dei movimenti pi forti ed estesi visti da molti anni ad allora, e non se ne sarebbero visti cos fino ai moti sudamericani degli anni 2000 e a quelli arabi degli anni 2010. In questi anni 2010, i nostri anni, un altro protagonista della stagione delloperaismo italiano, Carlo Formenti (primo traduttore italiano de La condizione postmoderna di Lyotard ed analista delle tecnologie digitali), scrive un libro (Utopie letali, Jaca Book, che consigliamo vivamente) per prendere congedo da quella tradizione (quella delloperaismo, appunto), proprio perch, a distanza di tanti anni da quel 69 (e da quell89) appare chiaro che, allinterno di essa, pensieri ben pensati e risposte non conformiste sulla questione del potere non sar facile trovare; e Formenti, nel suo libro, cerca di spiegarci che non un caso. Fu sempre Paolo Virno, daltronde, a inizio anni Duemila, in unintervista rilasciata ai ricercatori di Futuro anteriore, a dire che loperaismo una tradizione e, come tale, andrebbe buttata a mare. Punto di vista condivisibile, ma il problema non riguarda noi militanti: contrariamente agli analisti o ai tifosi dei movimenti lo ricorda bene nel suo libro Formenti i militanti vengono selezionati dai movimenti e vivono in essi e per essi; non hanno bisogno di alcuna collocazione teorica, di nessuna etichetta di scuola, poco importa se identitaria, anti-identitaria o alternativa. Limmersione nellazione politica quotidiana impedisce, infatti, non la riflessione e il concetto, ma lindulgenza verso le astrazioni e, ancora, la credulit verso tutta una serie di fandonie di stampo accademico o para-accademico che nel libro di Formenti vengono criticate e messe allo scoperto. Molte compagne e compagni in giro per lItalia si sentiranno quindi spontaneamente vicini alle argomentazioni dellautore, che riecheggiano ci che da anni molti sottolineano nelle situazioni di lotta; e tuttavia non mancheranno, noi crediamo, di scorgervi alcuni limiti a cui, come umile contributo al dibattito, volgeremo qualche accenno.

Ripensare la transizione Il principale merito di Utopie letali proprio quello di denunciare il vuoto di dibattito che, dal 1968, si creato attorno a una questione esiziale per chi desidera un cambiamento radicale della societ: quella della transizione, termine che lautore utilizza per indicare il passaggio concreto da una societ capitalista a unaltra, non capitalista; ed , senzaltro, ci che Virno intendeva quando parlava venticinque anni fa di uninevasa questione del potere. Dopo aver fatto notare come questo problema fosse stato ampiamente affrontato, tra gli altri, da autori come Marx, Lenin e Gramsci, e come in generale dalla comune di Parigi alla seconda guerra mondiale esso fosse nei fatti tuttuno con lagenda politica dei movimenti operai e rivoluzionari, Formenti registra leclissi del problema

nel trentennio dorato (ma freddo) seguito al 1945, per poi attaccare duramente lesorcismo teorico che, verso di esso, stato prodotto dopo quel trentennio di lotte senza sbocchi rivoluzionari; vale a dire negli anni (1980-2010) della crisi profonda delle nozioni di antagonismo di classe, sinistra, comunismo. La questione del potere bens stata variamente affrontata, egli dice, ma, paradossalmente, proprio per eludere il problema della sua conquista: ci che Formenti chiama (forse un po genericamente, in questo caso) postmodernismo ha concentrato la sua attenzione sulle forme microscopiche del potere, sulla perdita di rilevanza dei centri, sullingarbugliarsi dei livelli gerarchici delle istituzioni e sul valore politico delle minoranze; ci che non costituirebbe un errore in s, se lobiettivo primario non fosse stato proprio nascondere levidenza di un fatto imbarazzante: mentre nelle aule dei ghetti dorati delle facolt umanistiche (eccellente definizione formentiana) si tenevano seminari sexynoiosi, e non di rado banalizzanti, su una resistenza che si voleva frammentata alle forme del dominio molecolare, o sulla liberazione imminente/immanente dellumano grazie alluso delle nuove tecnologie, vecchissimi macropoteri si innovavano (anche molecolarmente, ed anche grazie alle tecnologie) per approntare la gestione totalitaria delle nostre vite; e il rispetto linguistico delle minoranze, con annessa la critica antiautoritaria di ogni forma di organizzazione politica, diventavano grimaldello ideologico contro chiunque osasse contestare lordine costituito tanto nella pratica quanto nellordine del discorso.

Diritti e beni comuni Tale critica cosiddetta antiautoritaria, che Formenti identifica (forse, di nuovo, un po genericamente) con il lascito del vietato vietare di sessantottina memoria, ha concentrato una parte grandissima dei suoi sforzi sullanalisi e la decostruzione delle forme e delle teorie proprie dei movimenti stessi in primo luogo il movimento operaio, ma in verit ogni genere e ogni sorta di struttura, organizzazione o relazione politica che si volesse in rottura con la societ capitalista. Il risultato, secondo Formenti, non stata la creazione di una nuova teoria critica o rivoluzionaria, migliore della precedente, ma lo sposalizio ipocrita (perch avvenuto sotto mentite spoglie) con il vecchio e decrepito pensiero liberale. Qualche esempio? Anzitutto quelle che lautore chiama rivendicazioni postmaterialistiche, cio slegate (almeno secondo i discorsi postmodernistici) dal conflitto di classe tra capitale e forza lavoro (minoranze etniche, linguistiche, culturali e di orientamento sessuale in primo luogo; il caso delle donne, lo sottolinea lautore stesso, pi complesso); rivendicazioni che hanno nel tempo rifiutato ogni prospettiva di rovesciamento delle istituzioni esistenti per rivendicare una sorta di ingresso nel sistema delle garanzie giuridiche, avanzando la pretesa di ottenere diritti. Formenti analizza le opere di svariati autori, di movimento e non, per mostrare come questa scelta sia letta anche dagli ideologi liberali come consona a conservare lequilibrio sistemico nellet della postdemocrazia (il tempo in cui le democrazie liberali restano orfane delle proprie parziali capacit di rappresentanza sociale, e sperimentano forme nuove di autoritarismo). Lesito recente di questa tendenza esemplificato, in Italia, dalle teorie del ben noto Stefano Rodot, secondo cui il corpus giuridico rimasto, dopo la fine delle lotte novecentesche, ultimo baluardo concreto contro il dilagare dei rapporti di forza brutali imposti dal liberismo dispiegato. Una concezione che non spiega in che modo un apparato testuale fatto di timbri e ceralacca potrebbe fare da argine allinteresse di chi possiede armi e capitali; unimpostazione che non menziona le striature interne al dettato giuridico, in ogni tempo e luogo, e ad ogni livello (altrettante tracce e sedimentazioni di lotte, lutti e prove o rapporti di forza) e soprattutto, fa notare Formenti, non indica quali soggetti

sociali in carne ed ossa sarebbero pronti a sobbarcarsi il dubbio onore e lenorme onere di partecipare a questa battaglia.

Abbiamo gi vinto Ciononostante Formenti concede ai teorici del diritto di avere diritti il beneficio di una certa coerenza: se la teoria appare astratta e inconcludente, ci accade per la ben nota discrasia logica che esiste tra liberismo (fatto) e liberalismo (trasfigurazione; sogno, delirio). Coloro ai quali lautore non disposto, invece, a concedere altrettanto sono i benecomunisti pi radicali, che tentano di piegare lidea di una difesa dei Beni Comuni (non tutti lo sanno, forse, ma essa gi in origine una categoria giuridica, presente in ogni manuale di diritto costituzionale) a una sorta di battaglia comunistica con finale colpo di scena: i movimenti benecomunisti sarebbero lanticamera, nientemeno, della fine dellantica distinzione tra diritto pubblico e diritto privato (e dellapparire eirenico e tutto sommato indolore del regno della libert e della cornucopia comunista). Come, fa notare Formenti, non si sa (non possiamo che rinviare al libro per il dettaglio del suo ragionamento). Proprio su questo punto le teorie postoperaistiche (avversario principale qui Negri) denunciano il loro carattere vetero (per usare contro di loro il loro stesso, sempiterno ritornello polemico) nel momento in cui rispolverano lantico adagio a/traversista de la rivoluzione finita, abbiamo vinto, sempre buono per mascherare il buon vecchio determinismo metafisico nei tempi che corrono, con la sola variante del ridicolo (che, stavolta, non fa ridere). Analogamente a ci che Formenti chiama neosituazionismo, ossia agli adepti del comitato invisibile francese, infatti, i postoperaisti sostengono che di transizione (e a ben vedere in entrambi i casi anche di concreta insurrezione) non c alcun bisogno, perch il capitalismo cadr da solo, in base a leggi oggettive della storia mascherate con finezza post-strutturalistica in un: toh, sta per crollare; ovviamente per una magia interna che, non potendo essere pi chiamata scienza le (malintese) apparenze antimetafisiche vanno rispettate ormai semplice evidenza, l dove anche la conricerca e linchiesta, non a caso, hanno ceduto il passo allerudizione accademica. Ma evidenza di cosa? Delle intuizioni frutto dellelucubrazione filosofica, naturalmente, altra base epistemica altamente innovativa che accomuna, senza alcuno scandalo, opere degli anni 2000 come lAppello post-tiqquniano e Moltitudine. Anzi: il comunismo c gi, anche se noi non lo sappiamo, e baster, parafrasando Jim Morrison nel film di Oliver Stone, sbarazzarsi della sfida con una scrollata. Tutto ci che ci serve costruire una miriade di ghetti e chiamarle Comuni oppure, nella variante negriana, presentare liste in circoscrizione e dirottare un po di fondi sul doposcuola del centro sociale: il gioco fatto. No, dice Formenti: il gioco non fatto, perch la rivoluzione non un gioco.

Rivoluzione e organizzazione Nel contestare il carattere intellettualmente imbelle di simili forme di determinismo mascherato, Formenti arriva a contestare alcuni punti fermi dellanalisi del capitalismo cognitivo, che noi invece condividiamo (ci torneremo pi avanti); ma ci che pi conta, a nostro avviso, la critica che egli dispiega alla rimozione dellelemento rivoluzionario, di rottura politica concreta, che tale determinismo tenta di nascondere senza neanche troppa convinzione. Riprendendo il Marx de Le guerre civili in Francia, Formenti pone laccento sul carattere organizzato che i movimenti devono assumere per poter trasformare concretamente i rapporti sociali, a partire non potrebbe essere altrimenti dalle procedure esistenti della decisione politica, che non devono essere passate di

mano, bens distrutte; ci che avrebbero voluto fare i comunardi (che commisero lerrore di temperare la propria ferocia rivoluzionaria) e come fecero effettivamente i bolscevichi (che incamerarono una ferocia doppia dopo lesperienza del 1905 e, quale formidabile riferimento ansiogeno, della stessa Comune). Il rifiuto di organizzarsi, tuttavia, oggi piuttosto diffuso, soprattutto in quellarea umana che si distingue tanto dai neofiti (i soggetti sociali che si affacciano alla lotta) quanto dai militanti (quelli che si sono gi votati ad essa): si tratta del magma degli attivisti felici e confusi e delle libere individualit impegnate nella propria indefinita autovalorizzazione moralistica. Questi attivisti e questi liberi individui pongono sovente il veto della cosiddetta orizzontalit assoluta, che si risolve in un metodo per cui la discussione tutto, mentre il ricorso allazione un optional, producendo un immobilismo e una frustrazione in seguito alle quali non raro che le questure arrivino a dispensare qualche giorno di ferie ai propri funzionari. Formenti lapidario: Dietro questo lessico radical-chic, occhieggiano le () decrepite categorie liberali. Si badi: laccusa di liberalismo ne siamo consapevoli unaccusa che anarchici e anarcoidi non accetteranno mai, perch, nellimmacolatismo politico che li contraddistingue, vi vedranno immediatamente una messa in dubbio della propria onest ideologica o, nel caso dei pi scafati, della propria proverbiale intelligenza. Invece, come spesso accade, lerrore peggiore non si commette con dolo, ma proprio con ingenuit; n le fatali corrispondenze prendono corpo nella lettera del flusso linguistico (lo stile letterario e le terminologie anarchiche e liberali sono incomparabili), bens sul terreno pi insidioso del concetto e, soprattutto, dell(in-)azione, qui intesa come castrazione di ogni possibilit di costruzione condivisa dellazione sovversiva.

Parte e partito Al rifiuto teorico e pratico dellorganizzazione corrisponde, inoltre, linconsapevole rinuncia a costruire la figura essenziale del nemico, lunica che pu riportare il discorso sullodio alla pratica dellodio. La rimozione quella del carattere duale della politica, intesa come guerra sociale dispiegata o latente, come conflitto esiziale tra due parti inconciliabili, che prevede il riconoscimento psicologico dellesistenza di un avversario, di un campo avverso, dunque anche di un campo amico, giacch una vita fondata sulla discordia (quella del rivoluzionario) proprio per questo anche e soprattutto una vita basata sullamicizia, e se vogliamo persino su una certa qual fraternit, che al contrario negata al suddito disciplinato dellordine capitalista. (Una fraternit e unamicizia che essendo grandi, scettiche e curiose, e talmente adirate da voler diventare immense, sono lesatto contrario dellaffinit). Abbiamo ritrovato una simile concezione dellantagonismo nella condivisibile scelta di Formenti di riportare la vecchia questione comunista del partito (come gi aveva fatto un sostenitore di tesi opposte, Marcello Tar, ne Il ghiaccio era sottile) alla sua corretta radice etimologica nonch storica: quella del prendere parte, del prendere partito, dellessere partigiani, e di avere, se si vuole, un partito preso per o contro qualcuno o qualcosa. Ciononostante, dopo aver posto la questione in questi termini, egli avanza una proposta che ricalca tuttaltra cosa, ossia la forma-partito: termine apparentemente analogo, con cui per si indica la modalit storica che il prendere parte anticapitalista ha assunto lungo la prima parte del ventesimo secolo. Una forma che ha avuto molti pregi, non ultimo laver permesso importanti, ancorch brevi, rivoluzioni sociali, ma che non pu essere considerata la forma definitiva di organizzazione della parte avversa al capitale, se non altro perch ci nasconderebbe una considerazione delle lotte che rischia di rivelarsi astratta; le cose, lo sappiamo, non si ripetono mai nello stesso modo. vero che Formenti argomenta per una versione rinnovata, federativa e corporativa, della forma-partito

(immaginata sulla falsa riga del MAS, il Movimento per il Socialismo boliviano, guidato dallattuale presidente Evo Morales), dove diversi soggetti, che si sono organizzati su diversi fronti sociali, si coalizzano: ma non si vede come tutto questo potrebbe offrire gli spazi di profonda dinamicit che le lotte necessitano nei tempi moderni, n impedire lendemica degenerazione burocratica che identifica ormai ogni forma-partito con lincrostarsi di gerarchie.

Organizzazione partigiana Non a caso, chi da anni crea e disfa attorno ai movimenti grandi alleanze, coalizioni, unit di stampo politicistico e para-burocratico sono proprio i seguaci acritici di quelle forme di benecomunismo e postoperaismo moltitudinario, magari mescolati con un po di elettoralismo e un po di diritti, che Formenti non considera aver realmente preso un partito per la trasformazione in senso postcapitalistico della societ. Senza contare che, uno dopo laltro, tutti questi esperimenti falliscono, rivelandosi precari piedistalli per la riproduzione di forme di relazione politica che appaiono lo specchio della continua ridefinizione strumentale delle alleanze parlamentari (portate avanti da partiti che, peraltro si pensi a Forza Italia, al MoVimento 5stelle e, in forma maggiormente metamorfica, anche al Pd hanno da tempo, e non a caso, abbandonato la struttura novecentesca della forma-partito). soltanto la prassi concreta dello scontro, crediamo, ogni volta diversa e imprevedibile, che dovrebbe orientare i criteri e i modi dellorganizzazione pratica, su piccola o su vasta scala, giacch (come abbiamo altrove sostenuto, e Formenti vi fa riferimento) non esiste organizzazione che possa essere slegata dallimmediatezza degli scopi pragmatici del conflitto: tutto il resto rischia di essere recupero, cristallizzazione, pessimo auspicio e, probabilmente, finale gi visto (al di l di tutte, e comunque rare, migliori intenzioni). In un certo senso, la rigidit politica che tanto noi quanto Formenti riconosciamo ai movimenti che riescono a crescere e rafforzarsi, una rigidit che ha a che fare anzitutto con la determinazione nella contrapposizione, la quale porta s, in s, anche la capacit di organizzazione, ma unorganizzazione dinamica e informale, l dove al termine informale si vogliano sottrarre tutte le attribuzioni ideologiche che ha dovuto patire da parte di chi ha contribuito nel tempo a forgiare le argomentazioni antiautoritarie di sui sopra. Informale un aggettivo cui dovrebbe essere nuovamente attribuito il senso di relazioni militanti che sappiano darsi continuit, estensione, forza e progettualit senza ricadere nel burocratismo; il quale, si badi, proprio di qualsiasi separazione tra ruoli e azione, anche quandanche (come avviene regolarmente) tale separazione si produca nei centri sociali o nei gruppi libertari o informali (nei quali, lo ricorda Formenti, emerge nei modi pi patetici la delega silente e ipocrita ai bohmien pi carismatici della situazione). Il genere di organizzazione partigiana che alcuni compagni in Italia stanno cercando di produrre (pi che avere semplicemente in mente) ci sembra incompatibile con la forma-partito tradizionale, quandanche adattata ai tempi: essa sar piuttosto il frutto storico, a tuttoggi purtroppo acerbo, della decostruzione antagonistica di quella forma.

Movimenti e rete Una mole molto vasta di riferimenti bibliografici, che vanno dal saggio politologico al pamphlet di movimento, e dallarticolo giornalistico allinchiesta militante, permette a Formenti di esporre anche una lunga serie di circostanze empiriche che costituiscono un buon giacimento di informazioni per chi vuole comprendere gli anni in cui viviamo. Dalle radici della svolta finanziaria alla sua crisi, dai crimini sociali delle politiche liberiste alla formazione di un nuovo, immenso

corpo mondiale di salariati (200 milioni in Cina), con concentrazioni produttive abnormi (1 milione di addetti alla Foxconn, sempre in Cina; mezzo milione nelle miniere sudafricane; diversi milioni di addetti alla catena Walmart, negli USA) cui corrispondono lotte operaie durissime e drammatiche, che solo un vizio eurocentrico potrebbe indurre a ignorare. A tutto questo fa da contraltare una sempre pi forte concentrazione del capitale globale in pochi trust: Formenti descrive il versante che conosce pi da vicino per le sue ricerche, quello della New Economy (con la banda dei quattro Apple, Google, Amazon e Facebook che, controllando il mercato digitale, controlla anche un flusso incredibile di informazioni e detiene quindi un enorme potere politico). Ciononostante, il ruolo della rete nellevoluzione e nelle pratiche dei movimenti (ad es. in nordafrica) non sottovalutato dallautore, anche se rischia di restare in parte offuscato dal suo principale obiettivo polemico, che lirrealismo proprio tanto dei media mainstream quanto di alcuni teorici dei movimenti a questo riguardo. Per Formenti appare necessario bilanciare i peana dei profeti della liberazione digitale, o per mezzo del digitale (schiera a cui anche lui un tempo appartenne), evidenziando in primo luogo la sottovalutazione del potere di sovradeterminazione del codice informatico sulla creativit e sullautonomia dei linguaggi, delle pratiche e dei comportamenti. Un elemento che, si badi, travalica la questione della propriet intellettuale ed ha a che fare con lessere macchina (lavoro morto e oggettivato, quindi capitale) non soltanto dellhardware, ma degli stessi software, ivi compresi quelli che rendono possibili le piattaforme 2.0. Proprio tali piattaforme, daltra parte, permettono la cattura gratuita di un immenso quantitativo di forza lavoro intellettuale da parte del capitale, grazie alla sottrazione coatta di dati forniti in ogni istante da miliardi di utenti della rete, che creano uno scenario dove lidentificazione di lavoro (non formalizzato, n retribuito, n ideologicamente riconosciuto) e consumo realizzata ai massimi livelli, ci che costituisce forse il pi grande furto di intelligenza e creativit della storia umana. Sebbene gli argomenti di Formenti costituiscano sul punto un necessario, e ormai reiterato, bilanciamento delle strida inascoltabili di chi si ostina a coltivare una concezione progressista della storia (sempre, rigorosamente, sotto mentite spoglie), siamo convinti che la carica di ambivalenza politica del web (cos come configurato dal capitale oggi, domani non possiamo sapere) sia maggiore di quella prospettata dallautore, e su questo torneremo in seguito. Vogliamo per gi far notare, come mero spunto per il dibattito, che il taylorismo digitale di cui egli parla a questo proposito senzaltro esiste (capacit di tracciatura e controllo e parziale misurazione organizzativa, da parte del capitale, dei comportamenti sul web di addetti e prosumer), ma tale capacit incomparabile, sul piano epistemico, con quella del taylorismo classico. Non si tratta di una minore potenza epistemica del capitale, che invece aumentata enormemente, ma di un ancor maggiore aumento della complessit del quid che il capitale si trova dover conoscere, misurare, organizzare. In altre parole, per quanto ci si applichi nel tentativo di dare unorganizzazione formale e tayloristica alla sussunzione reale dei desideri, dei sogni, degli incubi, delle perversioni e delle insicurezze della popolazione mondiale, questo oceano psichico oggettivato on line rester sempre irriducibile a una misura; rester sempre clamorosamente eccedente quella capacit di controllo. Per questo il mare magnum che fa da sfondo al taylorismo 2.0 ci sembra un argomento in favore, e non contro, lipotesi del crollo della legge del valore (contrariamente a quanto sostiene Formenti).

Composizione di classe Nellaffermare il proprio congedo dalla tradizione operaista, lautore afferma di voler conservare il riferimento, che in quellesperienza maturato, al concetto di composizione di classe,

e soprattutto alla distinzione tra composizione tecnica e composizione politica (della classe, di un movimento, di un agglomerato sociale). Eppure, in quasi tutti i luoghi in cui Formenti descrive il lavoro autonomo di seconda generazione (freelance, knowledge workers, promotori di startup, ecc.) contesta il ruolo preminente ad essi assegnato da alcuni autori sulla base della scarsa coscienza di classe che questi soggetti mostrano in molti dei loro comportamenti concreti: ma non questa, ci chiediamo, unindebita sovrapposizione proprio tra composizione tecnica (ruolo del soggetto nellingranaggio produttivo) e composizione politica (posizione di accettazione o rifiuto, con tutti i gradi intermedi, nei confronti di tale ingranaggio)? I comportamenti pi o meno conflittuali, passivi o reazionari dei soggetti non dovrebbero essere chiamati in causa quando si tratta della loro collocazione di classe, se si vuole tener ferma quella importante distinzione, e tanto pi se si rivendica (ed il caso di Formenti) una concezione oggettivistica delle classi sociali. Ciononostante, proprio dopo aver affermato di essere acerrimo nemico delle concezioni costruttiviste della classe intesa come fenomeno linguistico-narrativo, Formenti afferma che essa una comunit di destino che determina la qualit concreta della vita in termini di reddito e chance di mobilit sociale. Pi avanti, citando E.P. Thompson, afferma che la classe si identifica con ci che pi individui sentono ed esprimono circa lappartenenza a un destino sociale comune e sostiene che lappartenenza ad essa determinata in gran parte dai rapporti di produzione. A nostro avviso, per, lappartenenza a una classe interamente determinata dai rapporti di produzione: se essa viene collocata sul terreno del reddito e quindi della disponibilit economica, il discorso diviene pauperistico (ci che del tutto legittimo, ma nulla ha a che fare con il conflitto di classe); mentre se fanno capolino elementi quali il sentimento o lespressione di un senso di appartenenza si confonde ancora una volta il terreno della rappresentazione soggettiva con la collocazione effettiva dei produttori in una determinata relazione con lingranaggio.

Conflitto di classe Qualcuno potrebbe restare stupito da una nostra difesa cos agguerrita della nozione oggettiva di classe e di rapporto sociale, visto che apparentemente tanto la nostra insistenza politica, nel nostro modesto contributo alle discussioni di movimento, sulla centralit dellelemento soggettivo, quanto le modalit della nostra azione concreta (tacciata sovente di spontaneismo se non di populismo) sembrano smentirla. Eppure, ancora una volta, tutto sta nella volont di leggere i due tipi di composizione sociale mantenendoli distinti, evitando quel tipo di sovrapposizione (in un verso o nellaltro) che produce proprio il determinismo che tanto a noi quanto a Formenti non piace, anche e soprattutto perch esso inibisce proprio lurgenza (oltre che il piacere) di produrre soggettivit e conflitto. In altre parole, occupare una posizione determinata nel ciclo produttivo pu certo favorire il rifiuto, ed anche forme di rifiuto particolarmente nocive al capitale, ma da qui a credere che quella semplice posizione crei avanguardie storiche ce ne corre. Se il rapporto di produzione, e quindi lappartenenza di classe, non determinano automaticamente comportamenti antagonistici, tuttavia, che cosa li determiner? Qui, molto spesso e ad ogni latitudine ideologica prospera il continuo riciclaggio (ancora, spesso, sotto mentite spoglie) della nozione di coscienza, i cui retaggi moralistici (oltre che estremamente vaghi dal punto di vista epistemico) sono stati giustamente denunciati dai compagni che fecero inchiesta di fabbrica diversi decenni or sono, rompendo non soltanto con un partito che aveva da tempo smesso di prendere il giusto partito, ma con tutto un universo culturale che, attraverso il riferimento alla coscienza e alla classe per s non ha mai smesso di barare centellinando, e pi spesso negando, legittimazione alle forme concrete dellinsubordinazione di classe.

Noi, piuttosto che rivalutare una simile categoria, preferiamo scommettere sulla materialit imprevedibile e avventurosa del conflitto: lavanzamento politico di questo o quel settore di classe (studenti-precari, precari non studenti, migranti, settori metropolitani e pezzi di territorio, operai di fabbrica, ecc.) qualcosa che trascende i desideri o gli auspici di una soggettivit organizzata, la quale non potr che fomentare e indirizzare i conflitti che si producono, senza mitizzarne la spontaneit (n limmanente radicalit) ma evitando al tempo stesso di snobbarli intellettualisticamente in nome del vero interesse di classe o della vera coscienza; come accadde a chi, allesplosione del biennio rosso, sembr ritenere che gli operai avrebbero dovuto leggere Il capitale prima di insorgere (Treves). La ricomposizione soggettiva, politica, non pu che avvenire attraverso la lotta come portato di esperienza e, se indubbiamente la soggettivit organizzata deve contribuire a rafforzare le lotte, non pu certo crearle soggettivamente n oggettivamente prevederle.

Paganesimo e ambivalenza Di qui anche la nostra attitudine (da alcuni ritenuta scandalosa) ad approcci squisitamente pagani al conflitto sociale, dove non vediamo soggetti buoni o cattivi, ma soggettivit pi o meno in grado di destabilizzare la pace e lordine sociale di un dato periodo e in un dato contesto, provocando, possibilmente, una tendenza alla riproduzione di comportamenti conflittuali. Questo piace molto quando si ha a che fare con la bella soggettivit di studenti e migranti, molto meno quando emergono soggetti giovanili meno scolarizzati, periferici e maleducati, o adulti legati al lavoro formalmente autonomo di prima, anzich di seconda, generazione: e ci si dimentica che questa brutta soggettivit precisamente lo sterminato spazio che ci contendiamo con il recupero capitalistico (anche fascista) delle istanze di rabbia sociale, e di striature di classe che sempre con la vendita dei propri tempi e spazi al capitale devono confrontarsi. Il movimento No Tav bello quasi per tutti, daltra parte, ma anche (sebbene non solo) il prodotto di un lavoro sotterraneo, come non manca di ricordare Formenti, che nessuna anima bella, ve lo assicuriamo, ha mai voluto compiere (e infatti, anche in valle, per lunghi periodi di anime belle non c stata traccia). Ci su cui insistiamo costantemente, non a caso, il carattere ambivalente dei comportamenti sociali nellera capitalista. Il capitale non unentit divina; non un ente matematico; non la classe proprietaria che lo detiene: il capitale un rapporto sociale. Questa relazione produttiva attraversata da tensioni cui soltanto lintervento soggettivo pu suggerire una direzione e un segno e, se c una cosa che la storia delle lotte insegna, che si tratta di una sfida a doppio taglio, perch al desiderio di trasformazione di chi si ribella corrisponde sempre lo sforzo di innovazione di chi pronto a utilizzare il suo rifiuto a mo di utile suggerimento per un ulteriore potenziamento della relazione stessa prima e anche dopo uneventuale rovesciamento del potere costituito. In questo senso non possiamo condividere la narrazione di Formenti delle ristrutturazioni capitalistiche degli anni Ottanta e Novanta, da lui viste come puro disegno politico della parte capitalistica: esse furono una risposta al rifiuto del lavoro taylorista in occidente e dello stesso modello lavorativo, aggravato dallassenza di un accesso fordista al consumo, in oriente; e quel rifiuto, se non ottenne il cielo, provoc lo spostamento del conflitto su un terreno nuovo, quello attuale, che perci prodotto tanto del conflitto quanto dellinnovazione; un terreno che, naturalmente, non possiamo n rifiutare n scegliere; il terreno materiale in cui ci troviamo ad operare.

Ambivalenza e decisione

Il gesto dei coloni americani che si gettarono alla conquista del West (producendo devastazioni e massacri) per fuggire dal lavoro di fabbrica dellEast Coast (esempio tratto proprio da Utopie letali) mostra il carattere da sempre e per sempre ambivalente dei comportamenti di liberazione, carattere che nessuna argomentazione etica potr mai esorcizzare. Che cosa significa questo? Che dobbiamo lasciare per sempre inevasa la questione cui infine, forse, alludeva Virno nel 1989 quando parlava di questione del potere quella riguardante la vittoria? Tutto il contrario: il potere (che in origine, e in effetti anche negli esiti, resta comunque un verbo) a sua volta qualcosa di radicalmente ambivalente perch, come le armi, cambia segno sociale a seconda di chi lo impugna; e pazienza se sar impossibile convincerne chi crede che, in ultima analisi, la libert di fare o non fare qualcosa e il potere di fare o non fare qualcosa siano distinguibili avvolgendosi in una bandiera della pace o vergando una a cerchiata su un muro: vedere le ambivalenza sociali significa vedere sempre la possibilit di un esercizio diverso della libert/potere, ossia proprio non rinunciare ai presupposti possibili che una transizione rivoluzionaria dovr comunque avere. questa nostra, ossessiva, ricerca delle ambivalenze, come probabilmente ritiene Formenti, paralizzante? Noi non crediamo. Paralizzante una certa concezione della dialettica e della storia: quella della dialettica come processo (che conduce al determinismo) e quella della storia come progresso (che conduce al liberalismo di ritorno). Eppure, ci si dir, per Hegel la dialettica era un processo, ed anche per Marx, cos come per Engels era un progresso la storia. Bene: a noi non interessa. Noi procediamo per fallimenti e prove, come tutti i compagni in tutte le epoche; non abbiamo che la nostra convinzione come arma: le rivoluzioni e i movimenti hanno pagato abbastanza a lungo il loro pegno alle insistenze palesi o mascherate del pensiero dialettico, determinista, progressista, moralista. Lossessione per lambivalenza e per lambiguit del reale ci mette al riparo da tutto questo, ed quindi per noi preziosa. Ogni sorgente di rabbia sociale nelle nostre metropoli, che emerga come fattore anche primitivo o ideologico, ma ricompositivo, avr per noi unambivalenza; ogni resistenza globale allimposizione di progetti o rapporti di forza favorevoli al capitale, avr unambivalenza; ogni espressione del desiderio frustrato o sublimato, anche quando orientata al brand commerciale, spettacolare, musicale, sportivo o digitale, avr unambivalenza, perch porter sempre con s uneccedenza. La cooperazione produttiva caratteristica del processo di sussunzione formale, dove il lavoro estratto valorizzato come scienza, possiede davvero, per noi infine la carica di ambivalenza pi estrema; perch nel prostituire e sottomettere ci che di pi intimo esiste nellessere umano (le passioni e lintelligenza) introduce il nostro cavallo di troia ai livelli pi alti della gestione del ciclo produttivo. Cosa e come accadr, in seguito a ci, non possiamo sapere; ma il fatto che qualcuno venda libri dove scrive di saperlo, per noi non cancella ci che vediamo progredire di fronte a noi come una grande, palese potenzialit, sia pur soltanto oggettiva. Lambivalenza, crediamo, daltra parte tuttuno con la contraddizione: proprio la compresenza di possibilit antitetiche nello stesso campo, nello stesso tempo, nello stesso fenomeno, esprime la contraddizione; soltanto non vogliamo leggere la contraddizione a partire dalla preveggenza del suo esito, o dalla preveggenza di un esito complessivo, di sistema; n ci sembra possibile per una serie molto ampia di ragioni storiche, politiche, di memoria poter rinvenire una razionalit immanente allo svilupparsi delle innumerevoli contraddizioni del nostro o di qualsiasi tempo. Del resto, a scongiurare la melassa contemplativa che potrebbe risultare, quale esito a dir poco ironico, da tutto questo e per non pochi accade resta, proprio per chi sceglie di farsi soggettivit rivoluzionaria, il privilegio del ricorso allelemento al tempo stesso pi prosaico, pi politico e maggiormente qualificante per tutto ci che siamo andati dicendo, anche attorno al problema del potere e della transizione: quello della decisione.

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