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Un d si venne a me Malinconia
NATASCIA TONELLI
Universit di Siena
Nel capitolo ventitreesimo della Vita Nova la prosa racconta di
come Dante, dopo nove giorni di malattia che lo hanno costretto a
giacere dolente, sia colto dal pensiero della fragilit e caducit della
vita umana, la cui conseguenza pi drammatica consiste
nellinevitabile destino di morte di Beatrice. Indotto da questa prima
angosciante considerazione, sopravviene uno s forte smarrimento che
lo porta a travagliare che potremmo parafrasare con vaneggiare- s
come farnetica persona. Dal paragrafo 4 in poi la descrizione del
delirio: visi di donne scapigliate e visi diversi e orribili preannunciano
a Dante, poi la danno decisamente per avvenuta, la sua morte: Tu pur
morrati, Tu se morto. Seguono i segni annunciatori della morte di
Beatrice, che sono stati riconosciuti come gli stravolgimenti
apocalittici, ovvero facenti parte del repertorio biblico dei segni della
morte di Cristo1 : il sole si oscura, le stelle paiono piangere, cadono
gli uccelli morti per laria, la terra scossa da grandissimi tremuoti.
Cui segue la notizia, proclamata da un amico immaginato: Or non
sai? La tua mirabile donna partita di questo secolo. Moltitudini
dangeli in canti che scortano verso le paradisiache altezze la nebuletta
bianchissima che rappresenta lanima di Beatrice paiono per un attimo
confortare e distogliere Dante dallorroroso farnetico; ma per poco,
giacch allannuncio della di lei morte data conferma dalla vista in
prima persona del suo morto corpo. A sua volta Dante invoca per s
stesso la morte, dolcissima morte, che, da villana che era (Morte
villana e di piet nemica), devesser fatta ormai cosa gentile; e torna
poi ad immaginare il mortorio di Beatrice finch il pianto e i singulti e
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colerae nigrae che credo di poter far risalire laccidioso fummo degli
iracondi di Inferno VII 123: ma di questo altrove). Secondo Gerardo
da Solo, che commenta a inizio Trecento il nono libro ad Almansore di
Razes, una delle pi diffuse cause della patologia leccesso di umore
atrabiliare il quale induce la corruptionem imaginative vel
estimative10. Dei tre gradi di malinconia che affronta, il primo
contrassegnato da una esplicita falsa imaginatio: primus est falsa
imaginatio vel estimatio ut quando estimant quod non est estimandum
et imaginantur quod non est imaginandum.
Esattamente come per Dante limaginar fallace, la vana
fantasia, per i medici la falsa imaginatio che conduce i loro pazienti
ad imaginare coram oculis suis [res] quae non sunt vere. Sul
derivare i sogni tenebrosi dalla condizione del malinconico che dentro
di s porta il suo male oscuro particolarmente deciso Bartolomeo
Anglico nel De proprietatibus rerum:
quando aliquod obscurum, ut est fumus melancholicus,
operit cerebrum, necesse est, ut patiens timeat, quia causam,
unde timeat, secum portat, et ideo somniat terribilia et tenebrosa
et visui pessima11
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capitolo 12, Ballata, i voi che tu ritrovi Amore, testo tutto di parole fin
dallincipit dette alle proprie parole ma certo un caso assai
particolare, e non contemplato dal catalogo degli esempi classici presi
in esame nella discussione teorica, tanto che alla fine della divisione
della ballata Dante ne dichiara la peculiarit, rinviando per la soluzione
delle oscurit in questo libello ancora in parte pi dubbiosa
(Potrebbe gi luomo opporre contra me e dicere che non sapesse a
cui fosse lo mio parlare in seconda persona, per che la ballata non
altro che queste parole ched io parlo: e per dico che questo dubbio io
lo intendo solvere e dichiarare in questo libello ancora in parte pi
dubbiosa 12, 17). Ma forse pi dubbioso della ballata, il sonetto Io
mi senti svegliar? Direi proprio di no: presenta infatti una situazione
assai diffusa nel libro, e cio appunto quella in cui Amore parla al suo
fedele. Talmente diffusa che non merita di darne esempio.
Cercheremmo invece inutilmente nella Vita Nova volendo dare
esempio dellinverso vettore nella locuzione, non verificandosi mai
nelle rime che Dante si rivolga ad Amore. Lessere animato, luomo
personaggio Dante che anche il poeta che devessere, se non
preventivamente difeso, almeno teoricamente sostenuto nelle sue
scelte retoriche dal capitolo venticinquesimo, non si rivolge mai ad
Amore nei testi poetici della Vita Nova (e solo una volta gli parla nella
prosa, e in sonno sempre nel cap. 1230).
Il primo caso ipotizzato nel capitolo 25 e sostenuto con esempi
virgiliani quello di esseri inanimati che dialogano fra di loro:
nemmeno questo mai contemplato nei testi poetici del libro. Dove
dunque dovrebbe essere il luogo testuale tanto dubbioso cui rimanda la
fine del capitolo dodicesimo e che il venticinquesimo poi interpreta?
Forse in un non luogo della Vita Nova, cos come la
conosciamo, che dovrebbe essere per compreso fra il capitolo
dodicesimo e il venticinquesimo, non luogo che potrebbe
corrispondere al nostro Un d si venne? Proprio questo sonetto,
guardacaso, presenta riunite le due evenienze in cui esseri animati si
rivolgono ad inanimati il soggetto a Malinconia (Ed io le dissi:
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ancora non legate epper non pi sparse, certo luna avr preceduto
laltra: che so, ad esempio, A ciascunalma sar certo venuta prima di
Morte villana Ebbene, lipotesi che un momento precedente il ne
varietur dautore, o almeno il momento della selezione dei testi che
andranno a costituire il romanzo potesse annoverare piuttosto Un d si
venne a me Maliconia che la canzone Donna pietosa e di novella etate
verrebbe a corroborare le convergenti interpretazioni di De Robertis e
Baldelli31: perch in una fase molto vicina alla stesura ultima il sonetto
poi scartato non poteva pi soddisfare alle esigenze del libro che erano
venute via via crescendo, ben altro era il peso da attribuire a quel
passaggio profetico, grande invenzione narrativa che rimarr tappa
insostituibile di ogni canzoniere damore e morte.
Voglio perci di nuovo sottolineare lammicco del solare
sonetto accolto -allegro s, che appena il conoscia -, accettato nel
regno esclusivo del racconto, a quel fratello cupo, in parte irrisolto,
certo dubbioso ma non sanza ragione alcuna. Probabilmente scartato
anche perch colpevole di una densit e di unoscurit conformi alla
nigredo cui intitolato, e che proprio col suo incipit sa per dare un
nome a pi solenni e controllati dispiegamenti di sintomi. Nella
speranza di avere in qualche misura denudate le sue parole, col
riavvicinargli quelle prose forse da lui stesso ispirate e di cui non
venne poi ritenuto degno, ma grazie alle quali sia tuttavia- possibile
daprire anche le sue ragioni.
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NOTE
1
Cos D. De Robertis, nel suo commento ad locum di Dante Alighieri, Vita nuova,
in D. A., Opere minori, t. I, p. I, a cura di D. De Robertis e G. Contini, MilanoNapoli, Ricciardi, 1984, da cui anche, per comodit, si trae il testo dantesco (ed.
Barbi); sempre presente, per il nuovo titolo del libello e per il commento, led. a cura
di G. Gorni, Torino, Einaudi, 1996.
2
Si veda il volume del Lessico Intellettuale Europeo dedicato a PhantasiaImaginatio. Atti del V Colloquio Internazionale, Roma, 9-11 gennaio 1986, Roma,
Edizioni dellAteneo, 1988, in part. i saggi di R. Busa (De phantasia et imaginatione
iuxta S. Thomam, pp. 135-52) e di J. Hamesse (Imaginatio et phantasia chez les
auteurs philosophiques du 12e et du 13e sicle, pp. 153-184: la cit. dal De Beauvais
a p. 172); da ricordare anche M.D. Chenu, Imaginatio. Note de lexicographie
mdivale [1946], in Id., Studi di lessicografia filosofica medievale, a c. di G.
Spinosa, Firenze, Olschki, 2001, pp. 127-36.
3
Molto si discusso intorno alla qualit delle immaginazioni della Vita Nova, si
trattasse di sogni ovvero di visioni in stato di veglia: oltre al gi citato studio di
Baldelli, si veda D.S. Cervigni, Dantes Poetry of Dreams, Firenze, Olschki, 1986,
part. pp. 39-70: gi per Aristotele tuttavia chiaro che la facolt che produce in
noi nello stato di veglia le illusioni quando siamo malati la stessa a produrre
durante il sonno limpressione del sogno (De insomniis 458b), poi, secondo il
trattato di Boezio di Dacia, De somniis, la qualit e il procedimento che portano alla
creazione di immagini non differiscono affatto, si tratti di sogni veri e propri ovvero
di deliri indotti dalla malattia: ma di questo pi oltre.
Il testo del De somniis (in Boethii Daci Opera. Topica-Opuscula, vol. VI, p. II, a c.
di N.G. Green-Pedersen, Haun, G.E.C-Gad, 1976, pp. 381-91: (le citt. alle pp. 38889) si pu leggere anche in traduzione italiana: Boezio di Dacia, Sui sogni, a c di M.
Sannelli, Genova, il melangolo, 1997. Quanto alla spcificit scientifica di tale
trattatello, si veda G. Fioravanti, La "scientia somnialis" di Boezio di Dacia, in Atti
della Accademia delle Scienze di Torino. II 101 (1966-67), pp. 329-69;
sullinfluenza del Boezio linguista sulla struttura stessa del De Vulgari e in genere
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Lo stesso, come noto, avverr nella narrazione petrarchesca dei Rvf, dove, ad una
premonizione di morte di Laura (dovuta a sogni e visioni) seguono testi svianti di
vario argomento poi lannuncio delleffettiva e avvenuta morte di lei: per una lettura
dei sonetti della premonizione in chiave dantesco-malinconica vedi il mio Fisiologia
e patologia nel Canzoniere, in c.d.s. in Petrarca e la medicina, Atti del convegno di
Messina-Capo dOrlando, 27-28 giugno 2003.
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Che peraltro continua: et non solum vera, ymo etiam et non vera (ed. cit., p. 7).
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Si veda la bella relazione tenuta da Andrea Afribo (A rebours. Il Duecento visto
dalla rima) nellambito del convegno su Guido Guinizelli (Padova-Monselice) del
maggio 2002, e ora in corso di stampa.
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Ha per primo posto attenzione a tali modalit sintattiche della narrazione che
avvicinano Fiore a Vita Nova (e poi a Commedia) Domenico De Robertis, Il libro
della Vita nuova, Firenze, Sansoni, 1961, poi, accresciuta, 1970, ridiscutendoli in
La traccia del Fiore [1997], in Id., Dal primo allultimo Dante, Firenze, Le
Lettere, 2001, pp. 47-62, part. 49-52.
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Da segnalare, nel capitolo 35, il solo volsi li occhi, e vidi (par. 1).
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In verit, cinque volte occorre nel cap. 24 e una nel cap. 25 proprio l dove viene
citato il capitolo precedente (Dico che lo [Amore] vidi venire, par. 2): il che mi
pare valga da conferma.
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Da ricordare linterpretazione datane da Singleton e poi sempre via via confermata
dalla critica: Ch.S. Singleton, Saggio sulla Vita nuova [1949], Bologna, il Mulino,
1979, pp. 28-38.
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Si poneva domande simili alle mie, in particolare relativamente al rapporto fra
giustificazione teorica del capitolo 25 e le prose del libello, Corrado Calenda,
Memoria e autobiografia nella Vita Nuova, in Quaderni di retorica e poetica 2, 1
(1986), pp. 47-53.
30
Ampia la bibliografia relativa alla canzone, al nodo del suo rapporto con la prosa che
laccompagna e, conseguentemente, con il libro in fieri: a partire dal Libro della Vita
Nuova di De Robertis (cit., pp. 152-56) ha corso lipotesi sopra accennata, che poi
Ignazio Baldelli ha corroborato nei paragrafi 30-32 del suo Lingua e stile delle opere in
volgare di Dante, in Enciclopedia Dantesca, Appendice, Roma, 1978, pp. 81-83; la
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riprende per estenderla ad altri testi R. Leporatti, Ipotesi sulla Vita Nuova (con una
postilla sul Convivio), in Studi Italiani 7 (1992), pp. 5-36 e da ultimo, con
significative obiezioni, M. Santagata, Donne pietose, in Id., Amate e amanti. Figure
della lirica amorosa fra Dante e Petrarca, Bologna, il Mulino, 1999, pp. 113-139, il
quale pure ipotizza che Un d si venne a me Malinconia potrebbe essere il primo
abbozzo dellidea della canzone (p. 128), poi unico componimento in morte scartato
in quanto privo di una serie di elementi (a partire dal nome) individuati come
decisivi (in Il lutto del poeta, ivi, p. 81).
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