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G.

JACAZ/0

B. PIOMBO

Ordinario di Meccanica delle Macchine


Politecnico di Torino

Ordinario di Meccanica delle Vibrazioni


Politecnico di Torino

r i>1

l
i

Vol./l
La trasmissione del moto

LIBRERIA EDITRICE UNIVERSITARIA

LEVROTIO BELLA
TORINO
CORSO VITTORIO EMANUELE, 26
CORSO LUIGI EINAUDI, 57

A mia moglie Gisella


e
Ai miei figli Filippo e Costanza
G. J.

A Elda, mia madre, il mio passato


e
A Ilaria, mia. figlia, il mio futuro
B. P.

Copyright @1992 Levrotto & Bella di Gua lini T. & C.


di Gua lini Elisabett~. S.a.s., Corso Vittorio Emanuele, 26/F - Torino
l diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento totale o parziale
con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie
fotostatiche), sono riservate per tutti i paesi
Finito di stampare nel mese di maggio 1992

Stampato da Stampatre, Torino


per conto della Levrotto & Bella Editrice S.a.s.
Corso Vittorio Emanuele, 26/F- Torino

INDICE GENERALE
)

,.;...-

INTRODUZIONE

Pag.

l. GIUNTI

1.11.2 1.3 1.41.5-

Giunto di Cardano
Accelerazioni nel giunto di Cardano e reazioni dei supporti
Doppio giunto di Cardano
Giunti omocinetici
Giunto di Oldham

2. FLESSIBILI

2.1 - La trasmissione del moto mediante organi flessibili


2.2 - Moltiplicatori di sforzo con flessibili
2,3 -Cinghie
2.4 - Trasmissione del moto per attrito mediante flessibili
2.5 - Trasmissione a cinghie
2.6 - Forzamento della cinghia
2.7 - Potenza massima trasmissibile
2.8 - Trasmissioni a rapporto di trasmissione variabile
2.9 - Cabestani
2.10- Trasmissione della. potenza. con cinghie dentate
2.11- Catene
2.12- Trasmissione del moto mediante catene
2.13- Alberi flessibili
3. INGRANAGGI

3.1
3.2
3.3
3.4
3.5

Le ruote dentate
Trasmissione del moto mediante ruote di attrito
Trasmissione del moto mediante ruote dentate
Profili dei denti
Caratteristiche generali degli ingranaggi

"
"
"
"
"

lO
11
13
18

"
"
,"
,

21

,"
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",
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,"

21
21
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51
56
59
59
59
62
65
69

VIII

IX
3.6
3.7
3.8
3.9

Contatti fra i denti


Caratteristiche geometriche dei denti
Ruote dentate cilindriche esterne a denti diritti
Perdite di potenza negli ingranaggi cilindrici esterni
a denti diritti
3.10- Ruote dentate cilindriche interne a denti diritti
3.11 - Ruote dentate cilindriche a denti elicoidali
3.12- Ruot dentate coniche a denti diritti
3.13 - Ruote dentate coniche ad asse dente curvo .
3.14- Trasmissione del moto fra assi sghembi
3.15- Ruote dentate cinlindriche elicoidali ad assi sghembi
3.16- Ingranaggi a vite
3.17- Ingranaggi ipoidi
3.18- Ingranaggi spiroidi ed helicon
3.19- Ingranaggi speciali
3.20 - Forze dinamche
3.21 - Prestazioni dei diversi tipi di ingranaggi
4. ROTISMI

4.1
4.2
4.3
4.4

Rotismi ordinari
Riduttori a rotismi ordinari
Moltiplicatori a rot.ismi ordinari
Applicazione dei rotismi ordinari: cambio di velocit
di una autovettura
4.5 - Rotismi epicicloidali
4.6 - Riduttori a rotismi epicicloidali
4.7 - Rendimento di rotismi epicicloidali
4.8 - Rotismi epicicloidali ad ingranaggi conici
4.9 - Rotismi epicicloidali multipli .
4.10- Rotismi epicicloidali per la regolazione del passo
delle pale di un'elica
...
4.11 - Cambio di velocit a rotismi epicicloidali
4.12 - Sterzo di mezzi cingolati
4.13- Rotismi epicicloidali senza port.atren?.
4.14- Riduttori cicloidali
4.15- Riduttori armonici

5. VITI

5.1 5.2 5.35.4 5.5 -

Geometria delle viti


Vite e madrevite a filetto rettangolare
Vite e madrevite a filetto trapezio
Viti differenziali e viti multiple
Viti a circolazione di sfere

Pag.

"
"

73
77
81

"
"
"

89
92
95
106
116
125
125
132
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151
157

"

159

"

159
163
163

"
"
"
"
"
"
"

"
,

5.6 - Caratteristiche geometriche e di funzionamento di una vite


a circolazione di sfere
6. CAMME

6.1
6.2
6.3
6.4
6.5

- Geometria delle camme


- Cinemati~a delle camme con punteria
- Tracciamento del profilo della camma
- Camma ad accelera.zione costante
- Tipi principali di leggi del moto adottate nella
realizzazione di camme
6.6 - Camma a fianchi rettilinei con punteria a rullo
6.7 - Camma policentrica con punteria a rullo .
6.8 - Camma policentrica con punteria a piattello
6.9 - Forze agenti nelle camme
6.10- Camme con braccio oscillante
6.11 - Altri tipi di camme

"
"

183
185
188
190
191
194

"

199

"

199
201
207
209
211

- Definizione e funzione dei freni


- Freni ad attrito
- Distribuzione delle pressioni in un freno
- Freni a tamburo (od a ceppi)
-Tipi di freni a tamburo
- Freni a disco .
- Freni a nastro
- Dissipazione dell'energia cinetica nei freni
- Freni elettromagnetici

219

"
"

257
257

"
"

258
264
266
269
270
274
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286
289

,
:.

219
221
224
228
232
236
242
244
247
252
254

"
"

FRENI ED ARRESTI

8.1
8.2
8.3
8.4
8.5
8.6
8.7
8.8
8.9

"

"

7.1 - Generalit sui meccanismi


7.2 - Procedimento generale per il calcolo cinematico dei
meccanismi articolati
7.3 - Manovellismo
7.4 - Meccanismi a rapido ritorno
7.5 - Meccanismi di amplificazione degli sforzi
7.6 - Meccanismi che generano leggi del moto particolari
7.7 - Meccanismi che trasformano un moto continuo in un moto
intermittente
7.8 - Meccanismi a croce di Malta esterna
7.9 - Meccanismi a croce di Ma.lta intrena, sferica e rettilinea
7.10- Meccanismi a camme cilindriche per la generazione
di un moto intermittente

s.

214

"

7. MECCANISMI

164
165
172
175
177
180

Pag.

"
"

"
"

291
291
293
294
298
305
308
311
315
321

XI
8.10- Freni a fluido
8.11 - Arresti

Pag.

"

9. INNESTI

9.1 9.2 9.3 9.4 9.6 9.7 9.8 9.9 9.109.11 -

11.15- Lubrificazione limite . . .


. . . . . . . . . . Pag.
,
11.16- Confronto tra cuscinetti a strisciamento ed a rotolamento
Blibliografia . .

331

Caratteristiche degli innesti


Innesti a denti .
Innesti ad attrito
Frizioni radiali .
Frizioni coniche
Frizioni a forza centrifuga
Innesti a nastro
Innesti elettromagnetici .
Considerazioni di progetto
Innesti di sopravanzo . .

,
"
"
"
"
"
"

Classficazione delle trasmissioni a fluido


Trasmissioni idrostatiche
Trasmissioni idrocinetiche
Giunti idraulici
Convertitori di coppia
Trasmissioni idroviscose

11. CUSCINETTI

11.1
11.2
11.3
11.4

- Considerazioni generali
- Principi di funzionamento di un cuscinetto a rotolamento
-Tipi di cuscinetti a rotolamento . . . . . . . . . .
- Vita di un cuscinetto e carico sopportabile durante il
funzionamento . . . . .
11.5 - Cuscinetti a strisciamento . . . . . . . . . . . .
11.6 - Equazione di Reynolds . . . . . . . . . . . . . .
11.7 - Applicazione deli 'equazione di Reynolds a.d alcuni casi
elementari . . . . . . . . . . . . . . . . . .
11.8 -Cuscinetti reggispinta lubrificanti . . . . . . . .
11.9 - Andamento della pressione in un meato convergentedivergente . . . . . . . .
11.10- Cuscinetto portante completo . . . . . . . . .
11.11 - Cuscinetto portante parzia.le . . . . . . . . .
11.12- Potenza dissipata in un cuscinetto a strisciamento
11.13 - Cuscinetti idrostatici . . . . . . . . .
11.14- Cuscinetti idrostatici a pressione costante

; ttatx# ;;:oz;xw.nw; xz

331
333
334
338
342
344
346
348
349
351
355

10. TRASMISSIONI A FLUIDO

10.1 10.2 10.3 10.410.5 10.6 -

322
326

4 , ;_ A),(

"
"
"
"
"
"

355
356
362
363
369
373

"

375

375
376
380

"

385
391
392

"
"

396
399

"
"
"

409
410
420
433
434
439

Indice analitico

,
,

442
443
447
451

INTRODUZIONE

In moltissime applicazioni dell'ingegneria occorre trasmettere il moto e,


di conseguenza, una potenza meccanica, da una macchina che genera potenza
ad una macchina che la utilizza in presenza, in generale, di forze e coppie
dissipative che trasformano parte della energia meccanica fornita in energia
interna.
Nella trasmissione del moto debbono essere considerati vari aspetti, e
precisamente:
- disposizione nello spazio della macchina operatrice e di quella utilizzatrice;
- caratteristica meccanica (coppia-velocit angolare o forza-velocit) della
macchina motrice e di quella utilizzatrice;
- realizzazione di particolari leggi del moto;
- regolazione della potenza meccanica trasmessa;
- supporto degli elementi in moto.
Per realizzare quindi la trasmissione del moto e della potenza meccanica
nel modo voluto occorre, in generale, che siano presenti tra macchina motrice e
macchina utilizzatrice compon,enti meccanici opportuni. Nello studio di questi
cbmponenti esistono due diversi aspetti: uno la determinazione delle caratteristiche cinematiche e dinamiche del componente, l'altro il calcolo delle
sollecitazioni conseguenti alla trasmissione della potenza meccanica. Nel presente volume di Meccanica Applicata verr esaminato il primo aspetto, ossia
.Io studio cinematico e dinamico dei componenti impiegati nella trasmissione
del moto. Poich questo lo scopo del presente volume, non verranno citati
tutti quei componenti che, per la loro costituzione, non presentano interesse
dal punto di vista cinematico o dinamico (ad esempio: collegamenti con alberi
scanalati, giunti rigidi, ecc.).

...l

Nello studio dei vari componenti impiegati nella trasmissione del moto
verr sovente calcolato il rendimento del componente. Questo definito come
il rapporto fra la potenza meccanica resa in uscita dal componente meccanico
e la potenza fornita al componente, in condizioni stazionarie:
.
t
ren d1men o

1J

l.

GIUNTI

potenza uscente
= potenza
=
entrante
_ potenza entrante-potenza dissipata
potenza entrante

1.1 - Giunto di Cardano

n giunto di Cardano un componente impiegato per trasmettere il moto


fra due alberi giacenti in un piano e che formano tra loro un certo angolo a:.
L'origine di questo giunto risale a Girolamo Cardano (1501-1576), il quale
svilupp un sistema di sospensione basato su questo tipo di giunto. L'inglese Robert Hooke (1635-1703) fu il primo ad applicare questo tipo d giunto
alla trasmissione del moto rotatorio e a brevettare questo dispositivo. Di
conseguenza, nei paesi anglosassoni il giunto di Cardano viene normalmente
indicato come giunto di Hooke.
Forcella

~Crociera
Fig. l - Rappresentazione schematica del giunto di Cardano

n giunto di Cardano illustrato schematicamente nella Fig. L In questo


giunto l'albero motore e l'albero condotto sono solidali a due forcelle poste
in piani tra loro perpendicolari. Una croce di collegamento, costituita da due
perni ortogonali, vincolata alle due forcelle mediante quattro accoppiamenti
rotoidali. In questo modo l'albero motore, ruotando attorno al proprio asse,

trascina l'albero condotto, ma nel contempo induce delle rotazioni relative


tra i perni e le forcelle, rotazioni che alterano il valore della velocit angolare
istantanea dell'albero condotto rispetto a quella dell'albero motore.

a)

b)

Se ora l'albero motore ruota di un angolo e attorno al proprio asse


,
il
punto
Ao si sposter in A muovendosi lungo una circonferenza giacente
11
nel piano (, z). ll punto C0 , solidale all'albero condotto, si sposter invece
di un angolo lp lungo una circonferenza giacente nel piano (:z:, z). Se gli
assi 1J e y coincidessero, gli angoli e e lp sarebbero evidentemente uguali;
poich invece 1J e y formano un angolo a diverso da zero, e e lp sono in
generale diversi tra loro.

Fig. 2 - Schema funzionale di un giunto di Cardano: a) posizione del giunto ad un


istante generico; b) posizione del giunto dopo una rotazione di 90

Le Figg. 2 a) e b) illustrano la posizione del giunto ad un dato istante e


quella da esso assunta dopo una rotazione di 90. Dopo una ulteriore rotazione
di 90 le posizioni dei perni A e B risultano tra loro invertite e lo stesso
dicasi per quelle dei perni C e D; ci nonostante la configurazione del
giunto identica a quella iniziale, per cui si pu senz'altro concludere che le
oscillazioni introdotte nella trasmissione del moto dal giunto di Cardano sono
periodiche e di periodo pari a 1r.
La relazione tra le velocit angolari istantanee dell'albero motore e
dell'albero condotto pu essere determinata in base ad alcune considerazioni
geometriche. Con riferimento alla Fig. 3 siano 1J l'asse dell'albero motore
(avente velocit angolare istantanea w1 ) e y l'asse dell'albero condotto
(avente velocit angolare istantanea w2 ). I due assi, incidenti in O, indiv.iduano il piano del giunto di Cardano. Si indichino ora con z l'asse
perpendicolare al piano (TJ, y) e con :z: e gli assi giacenti nel piano (TJ, y)
e perpendicolari rispettivamente a y e a TJ L'angolo a, formato tra gli
assi 1J e y allora uguale all'angolo formato tra gli assi :z: e .
Si consideri ora quale configurazione iniziale del giunto quella indicata
nella Fig. 2 b): la croce di collegamento in queste condizioni ha un asse
coincidente con e l'altro asse coincidente con z.

Fig. 3 - Grandezze geometriche caratteristiche di un giunto di Cardano

Ci deriva dal fatto che i punti A e C, coincidenti con i centri dei


perni delle forcelle, debbono mantenersi sempre alla stessa distanza in quanto
rigidamente vincolati tra loro per mezzo della croce di collegamento.
Pertanto la lunghezza dell'arco A deve mantenersi costante durante
il moto o, analogame~te, l'angolo AOC deve sempre essere un angolo retto
per qualsiasi posizione angolare del giunto di Cardano.
In base alle considerazioni ora esposte si pu concludere che il prodotto scalare dei vettori (A- O) e (C- O) deve essere costantemente nullo.
Supponendo allora di assumere come unitaria la distanza AO si avr, con
riferimento alla Fig. 3:

7
(A- O)

Per determinare la relazione tra le velocit angolari w1 e w 2 deli 'albero


motore e di quello condotto occorre de!ivare la (2.1) rispetto al tempo. Si
otterr pertanto:

= cos l) X- sin l) k

(C- O) = sin <p i+ cos <p k

Sar inoltre:

""-21) w1

cos
e, in base ancora alla (2.1):

X= cosa-i+sina-]

= cos a-(1 + tg2 <p) w2

Pertanto, dovendo essere (A- O) x (C- O) =O, si avr:


l

""-21) c...1

cos

cos a cos l) sin <p - sin l) cos <p = O

t 21) )
=cosa- ( l+ ~
cos 2 O'

w2

Da questa, dopo alcuni semplici passaggi, si ottiene:

Ossia:

(2.1)

(2.2)

tg l) = tg <p cos O'

Si vede da questa relazione che quando l) = O, 1r, 21r, ... , n1r, con n numero
intero, si ha tg cp = tg l) = O, per cui anche cp uguale a O, 1r, 21r, .... , n1r.
Inoltre anche per l)= 1rj2, 37r/2, ... , gli angoli l) e cp sono uguali poich in
questo caso si ha tg cp = tg l) = oo. La massima differenza angolare JO- sol si
ha per angoli O prossimi a 7r/4, 37r/4, ... ed funzione dell'angolo a formato
dagli alberi del giunto. La Fig. 4 mostra la differenza cp -0 in funzione della
posizione angolare l) dell'albero motore per alcuni valori dell'angolo a-.

0=4~

4L v

30

......

20

2~ :.-

l)=

-per O=

l\\"

..
i'-

~
20

40

2,

60

Tmax

cosO'
-l---s-=-i-,n2"a--co-s-:-2-l) = 1

-~ t'----

= -l cosO'
cosO= O, T= Tmin =cosa

O, cosO= l, T=

'\.\

cos acos a= ---:;--,-+ cos 2 a- .cos2 l)


l - sin 2 a- cos2 l)

n rapporto di trasmissione invece uguale a l, ossia i due alberi hanno


la stessa velocit angolare, quando:

~~

l)

Dalla (2.2) si pu verificare quanto asserito in precedenza, ossia che il


rapporto di trasmissione T varia periodicamente nel tempo con periodo pari
a 1r. I valori massimo e minimo di T si ottengono rispettivamente per l) = o
e l)= rr/2; infatti:
7r

/ '\

dove T rappresenta il valore del rapporto istantaneo di trasmissione del giunto


di Cardano.

-per
8

= w2
- = sin
Wl

80

_)00
.;]

120

Ci si verifica per:

(:!}

v---v1
lL

140

160

cos 20 =
J

180

(O)

Fig. 4- Differenza tra le posizioni angolari dell'albero condotto e dell'albero motore


in un giunto di Cardano

l-cosa2
sm a-

l
= l + cos
a-

ossia per:
tg O= JcosaPoich a- sempre abbastanza piccolo, e comunque raramente superiore a
40, gli angoli BM per cui le velocit angolari dei due alberi sono uguali sono,
come gi si detto, sempre prossimi a rr/4, 3rr/4, ecc.
La (2.2) esprime il legame funzionale esistente tra il rapporto istantaneo
di trasmissione T e gli angoli a- e O. A volte per (ad esempio quando la

8
velocit angolare w 2 dell'albero condotto costante) pu essere pi conveniente esprimere T in funzione di a e dell'angolo di rotazione <p dell'albero
condotto. In base alla (2.2) e alla (2.1) si pu scrivere:
cosO'
T= - - - - - - - . . - - - l -

2
Sin

l
o---.,.---..,-2
2

1 + tg

<p cos

e da questa, dopo pochi passaggi, si ottiene:


l - sin 2 a sin 2 <p
T=-=
wl
cosa

Pertanto sar:

Si pu osservare ora che se il momento di inerzia I 2 molto maggiore di h,


allora Id I 2 2 -< l e la velocit angolare w2 risulta praticamente costante e
pari al suo valor medio:

"-'2

w2

_fiE
=v
I;

La w1 varier invece in hase alla relazione

W1

=w2/T.

Se poi si misurano gli angoli a partire da una posizione ruotata di 71" /2 rispetto
a quella fino ad ora assunta come iniziale, i nuovi angoli <p1 saranno pari a
1
2
1
<p =<p- 71"/2, per cui sin <p= cos 2 <p e:
1

T -

- -

-T-

Wl

Questa relazione identica alla (2.2); quest'ultima quindi pu essere utilizzata


sia per il calcolo di w2/w 1 sia per quello di wdw2, purch si dia il corretto
significato all'angolo e che in essa compare.
stato visto finora che il rapporto di trasmissione del giunto di Cardano
varia periodicamente durante la rotazione dei due alberi attorno a un valor
medio pari ad uno. In generale anche le velocit angolari w 1 ed w2 (e non
solo il loro rapporto) variano nel tempo; purtuttavia accade frequentemente
nella pratica che una delle due velocit angolari si mantenga costante mentre
l'altra varia secondo quanto stabilito dalla (2.2). Ci avviene ad esempio
quando l'albero motore collegato ad un motore a velocit costante, oppure
quando l'inerzia degli organi collegati a uno dei due alberi molto maggiore
di quella relativa alle masse dell'altro albero. Si consideri ad esempio il caso
di due alberi, collegati mediante un giunto di Cardano, sui quali sono montati
due volani aventi momenti di inerzia I 1 e I 2 (Fig. 5). Si considerino gli
alberi in rotazione senza coppie attive agenti ed in assenza di attrito. In tali
condizioni l'energia cinetica E del sistema costante, per cui:
l

2I1w 1 + 2I2w 2 =E

Tra w 2 e w 1 si ha, dalla (2.2):


w2

--=T=
w1

-----

COSO'
----~--~--

w2 -.l-sin 2 acos 2 <p'

cosa
?
l-sin-acos2 8

Fig. 5 - Volani collegati da un giunto di Cardano


Poich si definisce irregolarit periodica di ognuno dei due alberi il rapporto tra la differenza delle velocit angolari massima e minima e la velocit
angolare media, per l'albero condotto si avr:

e:

= (w2)max -

(w2)min
(w2)medio

Se la velocit angolare w1 dell'albero motore costante, allora (w 2)medio = w1.


per cui:
1
e:= (T)max- (T)min
- - cosa= sin a tg a
cosa

=-

Si vede quindi come in un giunto di Cardano l'irregolarit periodica cresca


rapidamente in funzione dell'angolo formato dai due alberi collegati dal giunto
stesso.

11

lO
~

1.2 - Accelerazioni nel giunto di Cardano e reazioni dei supporti


La relazione tra le accelerazioni angolari di due alberi collegati da un
giunto di Cardano si ricava facilmente derivando la (2.2) rispetto al tempo t.
Si ottiene:
(2.3)

dw2
dt

-=

cosa
dw1
cosa sin 2 a sin 29 2
-w
2
2
l - sin a cos 9 dt
(l- sin 2 a cos2 9) 1

Nel caso in cui w1 sia costante il primo termine del secondo membro si
annulla, al contrario del secondo che cresce invece rapidamente ~ crescere di
w1 e di a. Poich il valore della coppia di inerzia in un albero direttamente
proporzionale all'accelerazione angolare dell'albero stesso e poich inoltre essa
origina carichi periodici sui supporti, intuibile dalla (2.3) come la vita ed
il rendimento di un giunto di Cardano siano tanto maggiori, ad una data
velocit angolare di funzionamento, quanto minore l'angolo a. Per alberi
sopportati da cuscinetti a rotolamento i rendimenti dei giunti di Cardano sono
in ogni caso molto alti: si raggiungono infatti mediamente valori di O, 98-;-0, 99
per valori dell'angolo a prossimi ai 20.

giunto,uguale e opposto al risultante Mv dei momenti originati dalle reazioni


vincolari. Tale momento Mv pu essere scomposto in un momento Mv A,
dovuto alle reazioni dei vincoli in A1 e A2 , normale all'asse l, ed in un
momento Mv B, dovuto alle reazioni vincolari agenti in B1 e B 2 , normale
all'asse 2. Poich in o~ tre Mv A e MvB giacciono nel piano individuato dagli
assi, le reazioni nei supporti risulteranno perpendicolari a tale piano, a due a
due di verso opposto tra loro e di intensit pari a:
MvA
RAl =RA2= - .a

RBl

MvB

= RB2 = -b-

1.3 - Doppio giunto di Cardano


Si visto nei precedenti paragrafi come un giunto di Cardano introduca
un certo grado di irregolarit periodica nella trasmissione, funzione dell'angolo
a formato dai due alberi e crescente con questo. Se quindi l'albero motore
ruota a velocit costante, la velocit dell'albero condotto fluttua in continuazione e ci pu in alcuni casi risultare inaccettabile a causa delle vibrazioni
indotte nelle macchine situate a valle del giunto. Un metodo molto comune
per evitare tali fluttuazioni di velocit utilizza un doppio giunto di Cardano
(Fig. 7), nel quale un albero intermedio i forma lo stesso angolo a sia con

Fig. 6 - Reazioni vincolari in un giunto di Cardano

n calcolo delle reazioni vincolari in un giunto di Cardano si effettua


considerando l'equazione di equilibrio globale delle coppie agenti sul giunto.
Con riferimento alla Fig. 6 si consideri per l'appunto un giunto di Cardano
in cui, ad un dato istante, le coppie motrice e resistente CM e GR, e le
coppie di inerzia M{ e M~ siano rappresentate dai vettori indicati in figura.
n risultante somma di CM, GR, A"J{ e .lo,f~ deve essere, per l'equilibrio del

Fig. 7 - Doppio giunto di Cardano

l'albero motore sia con l'albero condotto. Assumendo come posizione iniziale

13

12
quella illustrata in Fig. 7, si indichino con e l'angolo di rotazione dell'albero
l, con '1/J l'angolo di rotazione dell'albero intermedio i e con rp l'angolo di
rotazione dell'albero condotto 2. Si osservi inoltre che gli alberi l e i hanno
una posizione iniziale identica a quella considerata in Fig. 3, per cui tra e e
'1/J sussister la relazione:
tg e = tg '1/J cos a
Gli alberi i e 2 si trovano invece in una posizione iniziale sfasata di 90 rispetto
a quella assunta nella Fig. 3; pertanto si avr tra gli angoli '1/J e rp una
relazione data da:
tg rp = tg '1/J cos a

Se gli alberi motore e condotto del doppio giunto di Cardano giacciono in


piani diversi (Fig. 9), la condizione di omocineticit pu ancora essere realizzata purch gli angoli formati tra i due alberi di estremit e quello intermedio
siano uguali tra loro e purch le due forcelle solidali all'albero intermedio siano
ruotate una rispetto all'altra di un angolo (3 pari all'angolo formato dai piani
71" 11 contenente l'asse l e quello intermedio i, e 71"2 ,
contenente l'asse 2 e
quello intermedio i.

Poich i secondi membri delle due ultime equazioni scritte sono uguali tra
loro, dovranno essere uguali tra loro anche i primi membri; si avr pertanto:

La condizione di _omocineticit tra gli alberi l e 2 pu essere ottenuta anche con un'altra disposizine; inclinando cio l'albero condotto di
un angolo -a rispetto all'albero intermedio (Fig. 8). Cos facendo, poich

Fig. 9 - Doppio giunto di Cardano con alberi motore e condotto posti su piani differenti
Nella Fig. lO sono illustrati i componenti di un doppio giunto di Cardano
con albero intermedio telescopico (allungabile).

1.4- Giunti omocinetici

Fig. 8 - Doppio giunto di Cardano con alberi motore e condotto paralleli tra loro

cos(-a)
cosa, si ottiene, procedendo in modo analogo a quello appena
esposto, la. condizione di omocineticit: e = c.;, w 1 = w 2 Questa particolare
configurazione del doppio giunto di Cardano costituisce pertanto anch'essa un
metodo utilizzabile per la trasmissione omocinetica del moto tra due alberi
paralleli.

La realizzazione .di un giunto omocinetico possibile, come si visto,


utilizzando due giunti di Cardano opportunamente disposti. Questo tipo di
accoppiamento pu essere tuttavia in molti casi troppo ingombrante, anche
riducendo al minimo l'albero intermedio. Sono stati quindi sviluppati particolari giunti, detti appunto giunti omocinetici, i quali garantiscono un rapporto
di trasmissione costante e pari a uno, nei quali la lunghezza dell'albero intermedio ridotta praticamente a zero, ed anzi quest'ultimo sostituito da un
altro organo avente le funzioni di elemento intermedio della trasmissione.

15

14
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Lo schema di funzionamento di un giunto omocinetico rappresentato


nella Fig. 11. Due alberi, (1) e (2), si intersecano in un punto che costituisce
il centro di uno snodo sferico S. L'angolo ottuso formato dai due alberi
a:. Solidale all'albero (1) un braccio Bl, che forma un angolo {3 rispetto
ad (1) e si collega a questo in un punto Hl. Analogamente, un braccio B2,

:E

c:

a: u"'
o

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a
....
C)

C)

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o....

C)

.Q

Cd
1:1
o
u
o

' , B2'

..............

...........

... ....

...

(2')

1:1
l
"O
....
l

o
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..,o

;:l

"bb
o

s.0..
o

Fig. 11 - Schema di funzionamento di un giunto omocinetico

"O
1:1
;:l

:.a
..,....l
C)

..,l

>"'
o
.....

.::9
"'"'

solidale all'albero (2), forma con questo un angolo {3 e si collega ad esso in


un punto H2 distante dal punto di intersezione degli alberi quanto Hl. A
causa di questa simmetria, i due bracci Bl e B2 si intersecano in un punto
P che si trova sulla bisettrice dell'angolo a: formato dagli assi (l) e (2). I
bracci Bl e B2 sono scanalati e vengono collegati tra loro mediante un
perno, che pu muoversi lungo le scanalature, e che in grado di trasmettere
forze fra i due bracci. Poich la distanza del punto P d intersezione fra
Bl e B2 la stessa dall'albero (1) e dall'albero (2), la velocit angolare dei
due alberi deve essere la stessa; durante la rotazione del giunto, il punto di
intersezione P fra i bracci descrive una circonferenza, avente centro nel punto
di intersezione fra gli alberi (1) e (2), e giacente nel piano 1r, detto piano

17

16
omocinetico, bisettore dell'angolo a formato fra gli alberi. Qualunque sia
l'angolo di rotazione descritto dal giunto, continua a mantenersi la condizione
di simmetria ora vista, per cui il rapporto di trasmissione fra gli alberi si
mantiene rigorosamente pari a l.
Supponiamo ora che vari l'angolo a formato fra gli alberi, ad esempio
che l'albero 2 ruoti nel piano di un angolo 'Y portandosi nella posizione (2').
Conseguentemente, il braccio B2 si porta nella posizione B2' (Fig. 11) ed
il nuovo punto di intersezione fra i bracci diventa P', che si trova sul nuovo
piano 11"', bisettore dell'angolo a+'Y
n funzionamento del giunto omocinetico rimane inalterato, il rapporto
di trasmissione continua a essere costante e pari a uno, con la sola differenza
che varia la velocit periferica del punto P' essendo variata la sua distanza
dagli assi.
Esistono diverse realizzazioni pratiche di giunti omocinetici, che seguono
il principio di funzionamento prima descritto. I pi comuni tipi di giunto
omocinetico sono: il giunto Bendix- Weiss, generalmente usato per coppie non
superiori a 6000 Nm, e il giunto Rzeppa, che viene usato per coppie fino a
35000 Nm.

porta una forcella nella quale sono ricavate quattro semigole toroidali. Le due
forcelle sono montate ad angolo retto una rispetto all'altra e sono tra loro
distanziate da una sfera, il cui centro coincide con il punto intersezione degli
assi l e 2. I centri di curvatura C1 e C2 delle ,gole toroidali si trovano
sugli assi l e 2 a una distanza piccola dall'intersezione degli assi medesimi.
Pertanto, essendo i raggi di curvatura uguali per tutte le gole, ogni sfera tocca
la gola della forcella 'l e la gola della forcella 2 in punti simmetrici rispetto al
piano 1r bisettore degli assi l e 2 nel quale vengono di conseguenza a trovarsi
i centri delle sfere. Tale condizione viene realizzata qualunque sia l'angolo a
formato dagli assi poich essa dipende solo dal fatto che i centri C 1 e C2
delle gole sono a distanza uguale dal punto intersezione degli assi e che i raggi
di curvatura delle gole sono uguali tra loro. n piano bisettore 1r costituisce
il piano omocinetico della trasmissione ed il giunto pu quindi trasmettere il
moto tra i due alberi con un rapporto di trasmissione costante e pari a l.
a)

Fig. 13- Giunto Rzeppa: a) sezione col piano principale;


b) sezione col piano omocinetico

Fig. 12- Giunto omocinetico Bendix-Weiss

n giunto Bendix- Weiss illustrato schematicamente nella Fig. 12 costituito da due alberi, inclinati tra loro di un angolo a, ognuno dei quali
l

La stessa condizione di omocineticit viene ottenuta, con una diversa


realizzazione costruttiva, nel giunto Rzeppa, che il giunto pi usato nelle
applicazioni meccaniche. In esso (Fig. 13) le forcelle solidali ai due alberi
portano delle superfici attive sferiche (rispettivamente interna per l'albero
motore ed esterna per l 'albero condotto) i cui centri cl e c2 giacciono
sugli assi dei due alberi a breve distanza dal loro punto di intersezione O.
Queste superfici attive sferiche sono in realt costituite da tante gole giacenti

18

in piani equidistanti (Fig. 13 b); in ogni gola trovano posto due sfere che,
dovendo toccare entrambe le superfici sferiche at~ive delle due forcelle, hanno
una posizione ben definita (ed esattamente il loro centro deve giacere nel piano
bisettore degli assi di rotazione) analogamente a quanto accade nel giunto
Bendix-Weiss.
Anche in questo caso si pertanto in presenza di un piano omocinetico
1r nel quale si mantengono i centri delle sfere e che costituisce inoltre il piano
bisettore di due assi di rotazione qualunque sia il valore dell'angolo a da
essi formato. n giunto poi completato da una gabbia distanziatrice entro
cui trovano posto le sfere alle quali di conseguenza impedita una eventuale
fuoriuscita dalle apposite sedi.
Nei tipi di giunto ora descritti l'elemento intermedio della trasmissione
costituito da una serie di sfere e il moto delle sfere sulle forcelle dei due alberi
un moto di rotolamento per cui il rendimento di questi giunti omocinetici
sempre molto elevato. Accanto ad essi si trovano altri giunti omocinetici nei
quali per l'elemento intermedio possiede un moto di strisciamento rispetto
alle due forcelle e ci comporta una conseguente diminuzione del valore del
rendimento della trasmissione.
I giunti omocinetici sono utilizzati in numerose applicazioni tecniche
dell'ingegneria. Essi sono universalmente usati negli autoveicoli a trazione
anteriore nei quali le ruote motrici hanno anche una funzione direzionale; essi
inoltre trovano applicazione in quegli alberi rotanti a velocit elevata nei quali
le fluttuazioni periodiche di velocit angolare introdotte da un semplice giunto
di Cardano assumerebbero valori addirittura intollerabili.

1.5 - Giunto di Oldham


Si analizzata in precedenza (Fig. 8) la possibilit di adottare un doppio
giunto di Cardano per trasmettere il moto tra due assi paralleli ad un rapporto
di trasmissine costante e pari a l; per piccole velocit angolari si abbandona
talvolta questa soluzione e si ricorre invece al giunto di Oldham (Fig. 14).
Esso costituito da un disco intermedio I dal quale sporgono due risalti
rettangolari che si impegnano in corrispondenti scanalature dei dischi A e
B rigidamente collegati agli alberi tra i quali viene trasmesso il moto.
Poich il moto del disco intermedio relativamente al disco A pu essere
unicamente una traslazione, la velocit angolare di I la stessa di quella di
A. La stessa cosa si ha tra i dischi I e B, per cui si ottiene, quale risultato

t
l
l

19

finale, che la v~locit angolare dell'albero l, solidale ad A, identica a quella


dell'albero 2, solidale a B.
A

Fig. 14 - Giunto di Oldham

Poich il baricentro del disco intermedio I non si trova sull'asse di


rotazione del disco stesso, quest'ultimo risulta soggetto a una forza centrifuga
di intensit direttamente proporzionale alla distanza fra gli assi e al quadrato
della velocit angolare. Per questo motivo il giunto di Oldham usato, come
prima detto, solo per bassi valori delle velocit angolari dei due alberi da esso
collegati.

2. FLESSIBILI

2.1 - La trasmissione del moto mediante organi flessibili


Prendono nome di flessibili quei componenti meccanici dotati di grande
cedevolezza fiessionale, detta appunto flessibilit. t"', 1') '-l ;;_
I flessi_bili sono essenzialmente raggruppabili in due tipi differenti:
a) Flessibili_in cui la flessibilit ottenuta deformando il materiale costituente
l'elemento stesso; a tale gruppo appartengono le funi, le cinghie e gli alberi
flessibili.
b) Flessibili costituiti da tante parti rigide collegate tra loro in modo tale
da permettere il moto relativo tra le parti stesse; in tal caso la flessibilit
gloole_dell~-~~~gl~~to {~ovuta p_ropro questa pssihlit~ di moto :elati_vo- tra i singoli organi _costituenti. A questo gruppo appartengono le catene.

I flessibili possono essere impiegati in tre modi differenti:


+ come moltiplicatori di sforzo negli organi di soll~vamento;

- ome dispositivi di trasmissione della potenza tra assi paralleli;


- co1Iledispositivi di trasmissione della potenza lungo percorsi non rettilinei
(alberi flessibili).

2.2 - Moltiplicatori di sforzo con flessibili


Una applicazione dei flessibili la si riscontra negli apparecchi di sollevamento, nei quali una fune (o una catena) si avvolge alternativamente su una
puleggia ad asse mobile e su una puleggia o tamburo ad asse fisso, ed il carico
da sollevare -collegato alla puleggia mobile (Fig. 15). Se si indicano con w
e wP le velocit angolari del tamburo ad asse fisso e della puleggia ad asse
2. JACAZIO-PIOMBO - La trasmissione del moto

l
l

22

23

\l

mobile, si ha, con riferimento alla Fig. 15

~):

d
Vv =w{ VB =wp:;

Ve =wp

I risultati ora ricavati valgono, come si detto, nel caso ideale di un


flessibile considerato privo di rigidezza ed in assenza di attrito. In realt ogni
flessibile possiede sia una rigidezza elastica sia una rigidezza anelastica che
alterano i risultati gi ottenuti nel caso ideale ..
Quando un fl~ssibile dotato di sola rigidezza elastica si avvolge su una
puleggia di diametro D, il flessibile stesso sottoposto a un momento flettente
pari a MJ = 2EaJ/D in cui Eo. il modulo di elasticit del materiale. Se
si indica ora con h la distanza esistente tra la forza T e il punto origine del
contatto tra fune e puleggia, si ha:
Th=MJ

r.,

Se si indica inoltre con e' la distanza esistente tra la forza T e la puleggia,


si pu affermare, in base ad alcune considerazioni di teoria dell'elasticit, che
essa pari ad h/2 e ricavare in definitiva:
EaJ
1
e= TD

!'
b)

La rigidezza anelastica invece dovuta a fenomeni di attrito interno


nel materiale del flessibile; a causa della rigidezza anelastica infatti che se
si pone un flessibile in una data posizione esso tende a mantenerla ed anzi
richiede l'applicazione di un lavoro per tornare alla posizione primitiva. A
causa della sola rigidezza anelastica pertanto un flessibile che si avvolge lungo

a)

Fig. 15- Argano di sollevamento: a) schema dell'argano; b) diagramma delle velocit della puleggia mobile

b)

Poich Vv =VB, si ottiene:


wp=w/2
{ Ve= VE/2

Per il calcolo del carico P sollevabile dall'argano si osservi innanzi tutto che in _
assenza di attrito le tensioni all'ingresso e all 1uscita della puleggia sono uguali,
per cui, scrivendo una equazione di equilibrio secondo la direzione verticale si
ha:
P=2T
L'argano di sollevamento raggiunge quindi lo scopo di dimezzare, nel
caso ideale di assenza di attrito, lo sforzo necessario a sollevare un carico di
intensit P. Contemporaneamente, la velocit di sollevamento del carico
la met di quella del punto al quale applicata la forza di trazione T.

Fig. 16 - a) Effetto della rigidezza elastica; b) effetto della rigidezza anelastica

una puleggia assume l 'aspetto indicato nella Fig. 16 b): dal lato in cui il
flessibile si avvolge sulla puleggia esso tende a rimanere diritto, mentre dal lato

24

in cui si svolge esso tende a mantenere la curvatura fornitagli dalla puleggia.


La forza di trazione T che deve essere applicata a un ramo della fune per
vincere la forza resistente T' applicata all'altro ramo di conseguenza:

,D/2 +e"
T =T D/2-e"

25

Poich il modulo della velocit V della fune costante in tutti i suoi


punti, si ricava dalle (2.4) che il rendimento 7J della puleggia :
T'V

7J

Quindi T maggiore di T e se la fune si muove a una velocit V, la


potenza dissipata per vincere gli attriti interni :
4TVe"
Pw = (T - T') V = D _ e,
2

= TV

=l+ k

Quanto ora esposto per una puleggia pu essere esteso al caso dei paranchi di sollevamento nei quali lo sforzo applicato viene amplificato proporzionalmente al numero delle pulegge esistenti. Con riferimento alla Fig. 18 si
avr infatti:

Una seconda causa di perdita di potenza nel passaggio attorno a una


puleggia dovuta all'attrito nel perno della puleggia, fenomeno ampiamente
esaminato nel paragrafo 3.11 del I volume. Tenendo conto ora sia della rigidezza elastica, sia di quella anelastica, sia dell'attrito nel perno, si ricava,
mediante una semplice equazione di equilibrio alla rotazione, la seguente relazione fra T e T' (Fig. 17):
T

D/2 + e' + e" + p


= T'---'-:--------'D/2 + e' - e" - p

Fig. 18 - Paranco di sollevamento


Fig. 17- Effetto complessivo delle rigidezze elastica e anelastica
in un flessibile

Inoltre, per l'equilibrio dell'elemento mobile sar:


7

da cui, tenendo conto che

D~

(e"+ p) e che D e' si ha:

=T1 + Ts + Ts + ... + To = L
n=O

(2.4)

T=l+k
T'
{ k = 4(e'~+ p)

con

e di conseguenza:

Tn

27

La forza di trazione
da:

T8

che deve essere applicata per sollevare il cadeo data

Ts

=(l+ k) 8 To

da cui, sostituendo a To il valore ricavabile dall'equazione di equilibrio in


direzione verticale, si ottiene:

Ts

(l+k) 8 P
7

l:Cl+kt
n=O

Se le perdite dovute all'attrito e alla rigidezza anelastica fossero nulle si


avrebbe k =O e quindi T8 = Pj8. La velocit di sollevamento pu essere ricavata sia mediante considerazioni cinematiche, sia in base alla considerazione
ch6 nel caso di rendimento pari a l la potenza necessaria a sollevare il carico
uguale alla potenza fornita. Si ha allora che la velocit di sollevamento del
carico data da:
V= Vs
8

2.3 - Cinghie

Le ci_.!!ghie vengono normalmente usate per trasmettere il moto tra assi

parall~lposti ad una certa distanza::- Le -prfnci pali caratteristiche <l elle trasmissioni a cinghie possono essere riassunte nelle sei seguenti:
a) Si pu_ trasmettere il.moto tra assi molto distanti tra loro.
b) A-~~usa de_llo sco!rlmento tra cinghia e. puleggia, fenomeno che verr_ dettagli-atamente esa~inato nei prossimi paragrafi, il rapporto di trasmissione
non costante per qualsiasi condizione di funzionamento (ad esclusione
----- ----delle cinghie-adei:J.tifc) Usando cinghie a V possibile ottenere una certa variazione del rapporto
di trasii1i1>;;ione utilizzando pulegge _ostruite in modo particgl(!.re.
d) Usando cinghie piane possibile ottenere il funzionamento analogo a quello
di _una frizione semplicemente spostando la cinghia da una puleggia folle
~_v. n a. in_presa_.
e) La trasmissione a cinghie richiede sempre un certo aggiustaggio dei centri
degli assi.
f) Impiegando pulegge a scalini si ottiene un mezzo economico per variare il
rapporto di trasmissione in modo discontinuo tra due alberi.

g) -nossibile far funzionare una trasmissione a cinghie ugualmente bene


com--;;:;auttrice o ;:n;;zt.Picatriced.._velo-t~ -- ------------Nelle applicazioni meccaniche si utilizzano principalmente cinque tipi di
cinghie e precisamente:
------~-------___
""

--------

cinghie
_cinghie
cinghie
cinghie
cinghie

piane
rtortde
aV
a costole
a_ denti.

Le cinghie piane offrono una notevole flessibilit e possono pertanto


esse~e usate sia per l normale trasmissione del moto tra assi paralleli sia
quando la cinghia debba effettuare particolari percorsi a serpentino; esse_ sono
generalmente di cuoio, di gomma o di materia plastica.
--~e_ cinghie di cuoio sono usate per velocit moderate, fino a 30 mjs, e
per potenze--fino a400 kW,-cop. r_apporti _di trasmissione-fino-a-16.:.1,.ed inoltre
posseggono una buon.;: capa:c~~~ ~i-~3.2-.r'~!ll~ntQ_ -~glLul:H; l~_ l<:>r?__tipiche
applicazioni si riscontrano nela derivazione del moto a diverse utilizzazioni a
partire da un unico albero di trasmissione e nelle apparecchiat~re di miniera.
Le cinghie di gomma costituiscono il tipo pi economico di cinghie piane;
esse sono normalmente formate da uno o pi strati di cotone impregnati di
gomma. La vita di queste cinghie e la potenza da esse trasmes-sa per unit di
superficie sono minori delle analoghe caratteristiche delle cinghie di cuoio. La
massima velocit raggiungibile , come per le cinghie di cuoio, dell'ordine dei
30 m/s e la massima potenza trasmessa non supera in genere i 250 kW. Le
c!11ghie piane in gomma trovano le loro principali applicazionCin- tr~s!l:~sioni
di piccole potenze e di solito con pulegge di piccolo diaJl!e!:o: .. __
Una versione pi robusta delle cinghie in gomma pu ~ss~J~_re_~zzata
utilizzando unoo pfliStrtrdi c~vi annegati nella -go~~a. In tal cas-;)ron una: ~i~gh}a df szine piccola si ottiene una notevole resistnza- <!_~1:@-__~_tessa
alla trazione. Cinghie -dr questo tipo funzionano per velocftfill'o a 50 mjs
e in partiofari-a:ppc.zfoni fino a 75'-injs, e trasmeono potnie-fino a.:<roo
kW; esse vengono usate in applicazioni medie quali pi-ccole macchine utensili,
mole, lavatrici, macchine agricole di media potenza, e cos via.
Le cinghie piane di materia plastica sono costituite da sottili strati di
poliestere e vengono utilizzate quando le potenze da trasmettere non superano
i 10 k\V e quando si richieda grande leggerezza della trasmissione.-Accanto
ad esse si trova.no cinghie rinforzate formate da uno strato di nylon o di po-

28

29

liammide ricoperto da gomma o da altro materiale plastico. Queste ultime_


cinghie possono operare a grandissima velocit, fino a 200 m/s.
Le cinghie a V (Fig. 19) sono normalmnt~ costituite da una serie di cavi
immersi in uno strato di materiale plastico
che, oltre a fungere da supporto, mantiene i cavi stessi nella loro posizione corretta; questo strato di materiale plastico
a sua volta compreso entro due strati di
gomma chiusi esternamente da una guaina
anch'essa generalmente di gomma. Le ci nFig. 19 - Cinghia a V
ghie a V funzionano normalmente a velocit variabili tra 7 e 30m/se con rapporti
di trasmissione fino a 7:1; tuttavia cinghie a V strette e cinghie di poliuretano
possono funzionare fino a velocit di 50 m/s. I principali vantaggi delle cinghie
a V sono la lunga durata (mediamente 3-:-5 anni), la facilit di installazione, la
silenziosit e la facile manutenzione, oltre alla capacit di assorbimento degli
urti come in quasi tutte le cinghie.
U!la delle principali propriet
delle cinghie a v costituita dal fatto che esse posseggono un coefficiente di attrito equivalente molto superiore al coefficiente di attrito_effettivamente esistente tra il materiale
della cinghia e quello della puleggia. Se infatti si indica con N la
forza normale con la quale la cin-
ghia premuta contro la puleggia
Fig. 20- Forze scambiate tra cinghia a V
(Fig. 20), tale forza equilibrata
e puleggia
dalle due forze N' che le facce della
puleggia trasmettono alla cinghia.
Da una equazione di equilibrio alla traslazione in direzione verticale si ha:
(2.5)

. N= 2N'sin::
2

La forza tangenziale complessiva diretta normalmente al piano della


Fig. 20, forza dovuta allo scorrimento relativo tra cinghia e puleggia, allora
data da:
T= 2! N'

dove f il coefficiente di attrito effettivo Jra cinghia.e puleggia. Sostituendo


in questa relazione il valore di N' ricavabile dalla (2.5) si ottiene:

-\ .

f
'T---\N
Q/
sin2

Per effetto della forma a V della cinghia si pertanto in presenza di un coefficiente di attrito equivalente pari a:
(2.6)

, __!_
-

et

Slll-

che tanto maggiore quanto minore l'angolo al vertice della cinghia. Per
una cinghia piana si ha a= 180 con l'ovvia conseguenza di ottenere dalla
(2.6) !'=f.
In numerose applicazioni, quando la potenza da trasmettere elevata,
si utilizzano pi cinghie a V in parallelo che si avvolgono su altrettante gole
ricavate nella stessa puleggia. In altre applicazioni, per semplificare i problemi
di installazione, sono usate cinghie a V ad anelli; esse sono formate da tanti
piccoli tronchi di cinghia a V collegati tra loro mediante elementi metallici. Le
cinghie ad anelli sono usate in applicazioni a velocit moderata e per potenze
fino a 800 kW; il loro principale vantaggio risiede nella possibilit di variare
la lunghezza della cinghia semplicemente aggiungendo o togliendo uno degli
anelli.
Le cinghie rotonde sono normalmente di gomma e possono essere rinforzate con uno o pi cavi metallici. Esse vengono utilizzate soprattutto in
applicazioni leggere quali trapani ad alta velocit, macchine da cucire, e cos
via.
Le cinghie a costole sono essenzialmente cinghie a V multiple con l'unica
differenza che le varie costole a V sono ricavate in un'unica cinghia.
Le cinghie a costole U_!liscono la robustezza e semplicit della cinghia
piana con l'elevato coefficiente di attrito delle cinghie a V. Esse tuttavia non
sono raccomandate nelle applicazioni in cui le costole della cinghia possono
strisciare una contro l'altra.
Le cinghie del tipo ora descritto sono impiegabili per trasmettere la
potenza meccanica per attrito, come si vedr nel successivo paragrafo 2.4.
Le cinghie a denti invece trasmettono la potenza meccanica mediante forze
normali, come si vedr nel paragrafo 2.10.

30

31

2.4- Trasmissione del moto per attrito mediante flessibili

Si possono cos scrivere le due equazioni di equilibrio dell'elemento di


cinghia considerato secondo le direzioni normale:

Si consideri una cinghia piana avvolta su una puleggia (Fig. 21) e si


indichi co~.lJ.. l'angolo ge:u~rio 11_1jurato a pa_~tire ~-~ P..llfitQ _:Q._~~~
soggetta alla: tensione minima 7.'2 Siano inoltre T1 la tensione massima,
T 'Iat-en~ione in una sezione generica, f il coefficie;t;d.i~ttrito esistente tra
cinghia e puleggia, r il raggio della puleggia, q la massa della cinghia per
unit di lunghezza e w la velocit angolare della puleggia.

e tangenziale:
d'IJ)
-T cos ( 2

dV ds + (T + dT) cos (d'IJ)


dFT + q dt

=O

b)

a)

fr

''
_Y_

Fig. 21 - Trasmissione del moto fra puleggia e cinghia:


puleggia condotta

a) puleggia motrice; b)

Si consideri ora (Fig. 22), in corrispondenza dell'angolo .,J generico,


un tratto elementare di cinghia di lunghezza ds rd'IJ. Su tale elemento di
cinghia agiscono le forze seguenti: le tensioni T e T+
che le restanti parti
della cinghia trasmettono all'elemento considerato attraverso le due sezioni di
-+
-+
estremit, la forza tangenziale dFT e quella normale dFN che la puleggia
esercita sull'elemento di cinghia, la forza di inerzia a cui soggetto l'elemento

dT

stesso. Quest'ultima possiede una componente tangenziale di intensit q dV ds


.

dt

Se si _definisc~J!.O_o.r_a pulf;gge_ motrici quelle in cui copEi~"_?.gE]_nt~ ~-:'elocit angolare hanno verso concorde (Fig. 2f a) e- pulegij' c'ondotte quelle in
: curcoppia-e-velocit angolare hanno verso tra loro discorde (Fig: 21 b) si
pu osservare che la puleggia indicata in Fig. 22 una puleggi~- motrice e di
:

conseguenza le forze tangenziali di attrito dFT e di inerzia q dV ds hanno


dt
necessariamente il verso indicato nella figura stessa.

tratto elementare di cinghia

A_ qu~ste_eg~az_!OI_li vannQ aggi!l!lte_la

~.!l.~.zio~e __~i attri~~

-----------l

= fdFN
______

/ dFT

....__._

e la relazione geometrica:
ds

e una componente normale (forza centrifuga) pari a q V ds.


r

~n

Fig. 22 - Forze agenti su

"'---....

=rd'IJ

n sistema formato dalle

quattro equazioni ora scritte pu ssere facilmente


risolto rammentando che d.,J e dT sono due infinitesimi, per cui si pu con
ottima approssimazione sia porre sin(dt?) d'IJ, cos(d'IJ) = l, sia trascurare
il prodotto dT dt? in quanto infinitesimo di ordine superiore rispetto ai
precedenti. In base a ci si ottiene:

32

33

e infine:
dT = f d'I!J

(T- qV

Si noti ancora che nel caso in cui la trasmissione del moto avvenga
mediante cinghie a V, tutto quanto ora esposto mantiene la sua validit a
patto di introdurre al posto del coefficiente di attrito effettivo f quello
equivalente f' dato dalla (2.6).
~/
/"\.'(.'_.!_V l('"'-,

--q!:.. dV)
f dt
Integrando questa equazione differenziale fra i limiti O e rJ si ha:
T-qV2-q!:. dV
(2 7)
fr dV
dt =e'"

T2-qV 2 - q - ! dt
La _(~._7)__!gJ>P.I~sen~a q~ndi l 'equazione fondamentale_ della ..trasmissione del
moto medi an~ attrit() fra 1!11~ ~!iig}ia-:-u;-~-puleggia~ ricavata, come gi d~tto,
~~r~n~ puleggia mot~!ce. Per una puleggia cndott"~ponendo al solito l 'origine degli angoli nel punto in cui la cinghia soggetta alla tensione minima T2
~Fig. _21 b), si pu ripetere un ragionamento analogo ottenendo una equazione
Identica alla (2.7) ad eccezione del segno della componente tangenziale della
forza di inerzia.
E precisamente per una puleggia condotta si ha:
r dV
T -qV 2 +q-(2.8)
f dt
el"
T? _ qV 2 + q !:. dV
f dt
.
r dV
.
Inolt re, 11 termme qj_di che compare nelle (2.7) e (2.8), dovuto alla com-

ponente tangenziale della forza di inerzia, tras~u~abil~ nella-grande maggioranza d~ casi pratici, per cui l'equazione fondmentale della trasmissione a
dnghie, valida sia per pulegge motrici sia per pulegge condotte, diventa:
(2.9)

T- qV

T2- qV 2 =e

1,

.. .E~He~er..e o~a il Jg~me. funzionale t_ra leJ~:n.sioni massima

: e

~~0 esistenti nella cmgh1a basta sostituire all'angolo generico rJ il

[~ell'angolo(E\lungo il
C:Q:!}:..i Si otterr pertanto:

guale avviene la variazione totale di tensione


.

TI - qV2 = el".
T2- qV 2
In molti casi la velocit periferica Y- della cinghia ab.has.tanza.-pi-GGolae il valore di qV 2 piccolo rispetto a T2 e T1 per cui il termine ~te
alla forza centill'Uga pu essere trascurato. ottenendo in definitiva:
(2.11)
I_= el"
e
TI -e~"
-------T2
T2 (2.10)

..:;

~6

~~

'\-, o<"t"

a.. Ci.- "-1' "c:t Ol

2.5 - Trasmissione a cinghie

'

.,-\._o~

_..~ "!~.

elastic~

Se si sottopone una cinghia costituita di materiale


di
una tensione T diretta lungo le sue fibre queste si deformano provocando
in definitiva un aumento della lunghezza della cinghia stessa. Si consideri
pertanto un tratto infinitesimo di cinghia avente lunghezza d/ 0 , area A e
modulo di elasticit normale E; l'allungamento 5(dl 0 ) di tale elemento in
seguito all'applicazione di una tensione T vale:
5(dlo)

= (dio) T

EA
Si indichi ora con V la velocit della cinghia nella sezione in cui la sua
tensione T. il tempo dt necessario al tratto di cinghia lungo dl = dl 0 +5(dl0 )
per passare attraverso la sezione considerata vale:
dt

= dlo + 5(dl0 )
v

ossia:
(2.12)

Se la tensione T della cinghia varia, varia pure la lunghezza dl del tratto di


cinghia in esame, tuttavia il tempo dt necessario a farlo passare attraverso
una data sezione deve essere ovunque lo stesso. Infatti se si considerano due
diverse sezioni a e b in cui le tensioni valgono Ta e n, Ja stessa quantit
di massa dm della cinghia che nel tempo dt entra attraverso la sezione a
deve uscire -nello stesso tempo attraverso la sezione b. La massa dm a sua
volta resta distribuit in un tratto di cinghia lungo dla d/ 0 (1 +Tal EA) nella
sezione a e in un tratto lungo dh d/ 0 (1 +n/ EA) nella sezione b. Poich
dt il medesimo, le velocit V<~ e Vb della cinghia nelle sezioni a e b sono
fornite, in base alla (2.12) da:

(2.13)

{
.

Va=~:
Vi

'-

= dlo
dt

(1 + J~)

--~"-

1.b )
+EA

.-~~-

34

35

n
e j!i

Lungo _barco J31 d!Jy_v.ol~im~-S.~q:Ie 1m a.rco @i.n .cui ~a


tensione varia e un. arco- (3 1..-=- {)* m cm la tens10ne e costante ed m cu1 cmgh1a
~-P~~ggia son~-i~ condizioni di d:~renza poich,_~e vi fosse tra.idue corpi uno
scorrimento relativo, esisterebbe di conseguenza un ulteriore inammissibile variazione.dells!Jen?l?ne all'interna_della c~ chiaro inoltre che nella
puleggia motrice la velocit della cinghia, crescente al crescere della tensione,
non pu mai essere supe;k;re alla velocit perien dlla puleggia steSS?-, per
cui l'arco di aderenz~ (3 1 - _hg,_J:>.!igine dove la tensione T1 massima e la
velocit V1 della cinghia vale di conseguenza:

Pertanto, se le tensioni Ta e
sono diverse, anche le velocit Va
Vb risulteranno tra loro differenti, Pi in generale_&_pu afferma;ea_~aft f

tensione_~~nt~rn~_lB~<l:_yarla:d~p~~~<?.~.:eul!:t~,:.Y~ri~J(cnseguenza 11:

l_a velocitneisin&~lrpul}t_~ della cinghia stessa, ~ P.Oich la guleggt~j:i~~~_I!_Jj:


una velocit angolare costa,!lte pari a. V= rw, se ne conclude che tra cinghia ! i
e puleggia-esiste in gen~:rale -~-no scorrimento relativo.
-----=J- ---~-+
--- Si co-nsideri ora la trC:S~issione a cinghe.tr'-due assi paralleli illustrata
in Fig. 23.

-,.

(2.16)

V1

= -dlo
dt

(l

T1 )
+ -EA
= r1w1

ll rimanente arco i:/ det!9_i!_z-o -~!_ogim~ntq_eJungo..e.s.SJ:>~aJ..ensione


diminuisce dal valore T1 al WJore T 2 -~la ;>:elgsHtdiminuisce dal valore ~!.....
al valore Y-'L che, in base alle (2.13), vale:
T2

l+'EA

(2.17)

Fig. 23 - Trasmissione a cinghia fra due assi paralleli

Un fenomeno__ opposto. a vviene. sulla. ..puleggia~ condotta.. QuUnfa~!i _!a


velocit periferica della puleggia pu al p~sae:te...uguale alla velocit mi.nima
dellacin~. Di co-nseguenza ~arco di aderenza_ di a~piezza _((3~ -:::_{)*).> ~ _
~:i~ c~;rispandenza della tensione minima ili)dove la vlocit della cinghia
vale V2 e la velocit angolare -deli pfggia di conseguenza fornita da:

Se@ e@sono~sio;n,i. nei due rami della...cinghi~(con'ti~~


le coppie motrici e resistenti agenti sugli assi delle pulegge l e 2 valgono
rispettivam~llk;_

V?

(2.18)

(2.14)

Si supponga ora nota la tensione T2 ; la tensione T 1 , in base alla (2.11),


pari a:
e, in base alle (2.14) si avr:
(2.15)

TI
l+ EA

= T2(ef 11 -l)r1
{ C2 = T2(ef 11 -l)r2
C1

S~e o2:_~a _c~ppia., C~-- appJi<:.a.!a _alla, _p:uleggiarmotrice piccola__,~~heJ.)..J:t,g<?l,Sl

~- i~orrisp_o!l denza,_ del _quale..sL.ha-la-variazione-di- tensione-delta -cinghia

(piccolo e comun q~ _P:ilile>re dell' a1]f!_olo dL..av_E_olgim(!nto~!l della cinghia.

---------------

W?= -=.

r2

L'arco di scorrimento
sulla puleggia <:_~ndotta corrisponde all'aumento di
\//tensione da T2 a Tl e all'aumento di velocit della cinghia da v2 a VI.
/\"- -Supponendo di suddividere la cinghia in tanti tratti uguali colorati alternativamente in bianco e in neror si pu ottenere una rappresentazione grafica
dell'andamento delle tensioni all'interno della cinghia stessa durante il funzionamento della trasmissione cos come mostrato nella Fig. 24.
Se la_coppi-!rmotrice ~quella resistente aumentano, aumenta di conseguenza l'arco di scorrimento~ fino al momentq_in cui (~p_ponendo fi1 <_B_:J
arco d_Lscorrimento e angolo di avvolgimento (31 coincidono. In questa condizione, detta di ~r...JJJ&JJ~ si ha il massimo valore poss16ile-a-&
rapporto TJ/T2 ccunp_atihlle con l~c.2_ndizioni fisiche del fenomeno e, conse~m~nte, la massima potenza trasmessa dalla cinghia a quella velocit.
\

:i)

37

36
Se la coppia motrice. C1 aumenta oltre il valore limite corrispondente
aii~-condizione di scorrimento globale, valore fornito in base alle (2.15) da:

T2 / EA, di solito abbastanza piccolo rispetto a l per cui nella maggior parte
dei calcoli si pu supporre, in prima approssimazione:

la tensione massima della cinghia T1- resta costante, mentre la puleggia l


accelera con una accelerazione angolare data da:

n rendimento 1J fornito dal rapporto tra la potenza uscente W 2


e quella entrante wl = C!W!, quindi:

------------C1- (Cl)lim

dwl

'd:t =

1J

dove J 1 il momento di inerzia, attorno al suo asse di rotazione, della puleggia


l e di tutti gli altri organi ad essa eventualmente collegati.

W2
W1

=C w
2

C2w2
C1w1

e, in base alle (2.14) e (2.19):


T2

(2.20)

l+E'A
7]=

T1

l+ EA

Fig. 24- Stato di tensione in una cinghia durante la trasmissione del moto fra due
pulegge

Poich al solito Td EA quasi sempre piccolo rispetto a l, il rendimento di


una trasmissione a cinghie in generale abbastanza elevato (mediamente si
hanno valori di 0,95).
Si noti che l'espressione detr.endiment?_ fornita dalla (2.20) tiene conto
unicamente della potenza persa per attrito nel contaito tra cinghia e puleggia. n rendimento effettivo della trasmissione sar ancora inferiore a causa
della dissipazione di potenza esistente nei supporti delle pulegge e nell'effetto
ventilante.
Un'altra causa di diminuzione di rendimento la deficiente flessibilit
della cinghia. La potenza meccanica persa per questa causa data da:

w=
La condizione di scorrimento globale, anche se si verifica prima sulla
puleggia avente l'arco di avvolgimento minore, pu evidentemente essere ottenuta su entrambe le pulegge se le coppie cl e c2 superano entrambe il
loro valore limite.
In base alle relazioni prima ricavate si possono ora determinare sia il
rapporto di trasmissione T tra le velocit angolari delle due pulegge sia il
rendimento 7J della trasmissione. Dalle (2.16), (2.17) e (2.18) si ottiene
infatti:
(2.19)

T=

W2
Wj

= v2 2:!. = rl
r:z

v'l

r2

(l+ T2/EA)
l+ T!/EA

Poich T2 minore di T1 il rapporto (l+ T2 / EA)/(l + Td EA) minore di


l e di conseguenza T< rifr2. In ogni caso per Td EA, e a maggior ragione

r\ s2b
(~)v
D 180

dove s, b, D sono spessore, larghezza e diametro della puleggia, V la velocit periferica della cinghia, a l'angolo di avvlgimento in gradi e K un
coefficiente che, per le cinghie piane, vale mediamente 105 N jm 2
In tutte le espressioni finora analizzate si supposto che la tensione in
ogni ramo libero della cinghia si mantenesse costante. La validit di questa
assunzione, accettabile nella grande maggioranza dei casi, viene a mancare
quando le due pulegge non si trovano allo stesso livello, ma a livelli notevolmente differenti. In tal caso, se i rami liberi della cinghia sono inclinati di un
angolo a sull'orizzontale, l'aumento dT di tensione in un generico elemento
di cinghia lungo ds dato da:
dT = qg sin a ds = q dy

39

38

Le relazioni esistenti tra iL T2 e Q si possono ricavare mediante


semplici equazioni di equilibrio. Per il caso della Fig. 25-a, scrivendo una
equazione di equilibrio alla traslazione nella direzione orizzontale, si ottiene:

dove q rappresenta la massa per unit di lunghezza della cinghia, dy la


variazione di quota e g l'accelerazione di gravit. Se quindi il dislivello
complessivo esistente tra gli estremi dei rami liberi della cinghia h, la
variazione di tensione globale all'interno di ciascun ramo data da:

(2.21)
D..T =q g h

mentre nel caso della Fig. 25-b, dall'equazione di equilibrio alla rotazione
attorno alla cerniera C, si ottiene:
(2.22)

2.6 - Forzamento della cinghia


Per rendere possibile la trasmissione del moto tramite l'accoppiamento
cinghia-puleggia, occorre mantenere un certo valore minimo della tensione To
nei rami liberi della cinghia anche in condizioni statiche. Quando la distanza
tra le pulegge molto grande, il peso proprio dei rami liberi della cinghi~
gi di per _se_ ste~_<?_suffi.cient~ a ~an~e-~_e!~ la ~ing~i~ stessa !n ~~nsion~ Se si
suppon~ che il tratto libero di cinghia si disponga secondo un arco di parabola
e si indicano con L la lunghezza della cinghia tra le due pulegge, con l la
distanza esistente tra le pulegge stesse, con q la massa per unit di lunghezza
della cinghia e con T0 la tensione alle sue due estremit in condizioni stati che,
la relazione:

fornisce illecrame funzionale tra tutte le quantit sopraelencate.


..
.
o
.
- - .... --- ----------------------A parte questo caso particolare per, caso del resto poco frequente nella
pratica, si soliti dotare la cinghia di una certa tensione iniziale ricorrendo
all'ausilio di due sistemi e precisamente dei:
- sistemi a base motore mobile,
sistemi a rullo tenditore.
I sistemi a base motore mobile possono a loto volta essere raggruppati
nelle tre categorie seguenti:
- a gravit;
- a molla;
- a base scorrevole.

I sistemi a gravit creano la tensione iniziale ali 'interno della cinghia utilizzando o un contrappeso (Fig. 25-a) o il peso stesso del motore
(Fig. 25-b).

b)

a)

Fig. 25 - Messa in tensione di una cinghia mediante un sistema a gravit: con contrappeso (a); a cerniera (b)

'

Nei sistemi a molla (Fig. 26) la base mobile sulla quale montato il motore
collegata ad una molla elicoidale; ponendo in tensione la molla si origina
di conseguenza una forza FM, agente sulla base del motore, ap-prossimativamente costante in tutte le condizioni di funzionamento.
Si avr quindi, con buona approssimazione:
(2.23)

Nel sistema a base scorrevole invece, la base del motore, collegata mediante due o pi scanalature ad un supporto rigido, viene inizialmente spostata
lungo il supporto stesso fino a ottenere una tensione iniziale T0 della cinghia; la base motore viene poi fissata al supporto in modo da mantenere la
posizione voluta anche durante il funzionamento. l<!~.nsioiJ.!}._di (or!ffl.JJ:u;_n_t_q

l
l

41

40

iT':)dipende sia dallo spostamento iniz.iale della base del motore sia dalla lun~zza della cinghia. Con riferimento alla Fig. 27, la lunghezza totale della
cinghia , prima del forzamento, pari a:
Lo

= 2dl (7r -

2
(d22- d21) -2a) + d2 (1r + 2a ) + 2 ;2

= !!:.2 (d1 + d

2)

+ a(d2- d1 ) + V4i 2 -

(d2- d1)2

Poich normalmente l'angolo a abbastanza piccolo, se l'interasse i aumenta


di una quantit. i, l'allungamento ll"L 0 della cinghia dato con buona
approssimazione da:
l:l.Lo =::: 26i cosa
e di conseguenza la tensione di forzamento, costante lungo tutta la cinghia,
vale:
To = llLoES
2ES6i cosa
(2.24)
__ Lo
Lo

~------

--

dove S rappresenta l'area della sezione della cinghia ed E il modulo di


elasticit. del materiale costituente la cinghia stessa.
Durante il funzionl,Il1ento, come si gi. avuto occasione di vedere, la
tensin"'enelfacrngh1a non pi costante; essa varia infatti lungo gli archi
scorrimento delle due PJJ.legge. e roantiene.._~~ori costanti, ma diy~i tra lo!:9.,_
lungo i due archi di aderenza e i due ramlJi.,h~ri. .
Per trovare una relazione esatta tra le tensioni esistenti durante il funzionamento e quella presente in condizioni stati che occorre procedere_n.el modo
seguente: scritte le relazioni tra :fi,T2 , 1'J* ed ~~~iste nel paragrafo 2.4, si
calcola if corrispondente allunga~t~--;.,_ d~~,ghi9- e lo si u~glia_~-
valore di D.L 0 ricavabile .Q._alla (2.~1) ottene~do cos la relazione voluta. Quest'u.itima notevolmente complessa, per cui ad ess-s~ne8;;5tTtUisce in pratica
una semplificata espressa da:

ai

Fig. 26 - Messa in tensione di una cinghia mediante un sistema a molla

(2.25)

. T1

+ T2
2

= 7o .l

che d 'altro canto fornisce risultati molto prossimi a quelli effettivi. Nel passare
dalle condizioni statiche a quelle dinamiche, in definitiva, ~~l9Jt)j_l}~-
ra.!J19_r~g_~fi.gg_?J_y_alorv..L...mentre nell'altro diminuisce fino al valore T 2 ,
e la semisom~_qustL@e2al.Q.:rLsi.:man.tknEU.~t~!!.~.i.:Ea~i ai val~-r~ della
tensione di forzamento iniziaJe. ---- .. - ----------- ---

Fig. 27 - Grandezze geometriche caratteristiche di una trasmissione a cinghie

Nel' sisteillf a rullo teniHtore infine, la cinghia viene fatta passare su una
puleggia folle, detta appunto rullo tenditore, sottoposta all'azione di una molla
(Fig. 28-a) o di un pes~ (Fig. 28-b ). TI rullo tenditore opera sempre sul ramo
della cinghia sottoposto alla tensione minore T2 ; in questo modo, poich
la tensione T2 deve rimanere costante per poter assicurare in -q~alunque
condizione di funzionamento l'equilibrio del rullo, all'aumentare della coppia
C applicata sulla puleggia corrisponde unicamente un aumento dell<i. tensi~ne
T1 Infatti, se si indica con d il diametro della puleggia, si ha:

Si ha inoltre:
T1 =T2+

2C

43

42

n valore di f2

poi immediatamente ottenibile in base alla forza esercitata


dalla molla (FM) o dal peso (P). Se con Fp si indica la forza che la cinghia

esercita sulla puleggia del tenditore, si ha:


Fp

(2.26)

. Per un tenditore a molla poi Fp


(Fig. 28-b):

di scorrimento coincide con quello di avvolgimento. Se ci si riferisce alle (2.10)


e (2.14), dopo avere posto
= fJ1l (angolo di avvolgimento sulla puleggia
motrice), si ottiene per la potenza trasmessa dalla cinghia (trascurando le
perdite per attrito nei supporti della puleggia) l'espressione:

r:; = c,w, = c, v l

=2T sin%
2

= FM,

mentre per un tenditore a gravit

\~

rl

qV 2 )

con:

da cui si ricava:

a)

W::::: (e1 f3 1 -l) V(T2

Se il forzamento della cinghia ottenuto con un rullo tenditore, la tensione T2 costante e il suo valore stabilito dalla geometria del tenditore
e dalla forza agente su di esso. Per un tenditore a molla ad esempio, si avr
dalla (2.26):
FM
T2 =
a2sin 2
per cui la potenza massima trasmissibile :
(2.27)

W= (eff3, - l) V (

b)
Fig. 28 - Messa in tensione con rullo tenditore: a molla (a) e a gravit (b)

Accanto a questi schemi fondamentali esistono poi numerose altre realizzazioni costruttive utilizzate in pratica per la messa in tensione della cinghia,
la cui descrizione esula tuttavia dagli scopi di questo volume.

~M a-

2sm

- qV 2 )

Se invece il forzamento ottenuto variando la posizione della base motore, la tensione T2 varia durante il funzionamento. Si visto ad esempio che
nel sistema a base scorrevole le tensioni T1 e T 2 sono legate alla tensione di
forzamento iniziale dalla relaz.ione (T1 + T 2 )j2 To.
In questo caso allora la tensione T2 vale:

T2

2.7- Potenza massima trasmissibile

2T0 + qV 2 (ef"" -l)


ef""

+l

e la potenza massima trasmissibile risulta:


In base a quanto esposto nei paragrafi precedenti possibile ora determinare-quale la ..mas.ill:P~z.a. trasmissihHe da u~
cinghia-pule~. chiaro innanzi tutto che la condi~on_e di massimg,_ potenza trasmessa coin.dd~ con la condizio~i...scorrimento_gl.oh;Ye in quanto, a
p.a..ill di velocit angolare. si ottiene la..ma.s.sima..coppia.-p~u~~do-l'arco

(2.28)

W= 2(eff3,- l) V(1 - V2)


0
(eff3, + l)
q

Dall'analisi delle (2.27) e (2.28) si osserva che la potenza massima trasmissibile dapprima aumenta all'aumentare della velocit fino a quando, per

44

velocit. molto grandi, il termine guadratico non diventa preponderante con


conseguente diminuzione della potenza. TI massimo valore della massima po~
tenza trasmissibile dal sistema cinghia-puleggia si ricava annullando la derivata prima rispetto alla velocit. V della (2.27) o della (2.28). Si avr.
pertanto dalla (2.27):
dW =O
dV

per

V=

.
6qsm

Nella regolazione stazionaria . necessario arrestare il funzionamento


della trasmissione per poter fissare meccanicamente il diametro medio della
puleggia voluto, mentre nella regolazione continua le due facce della puleggia sono caricate da una molla in modo che, variando il carico della molla,
le facce della puleggia si avvicinano o si allontanano tra loro aumentando o
diminuendo cos il raggio di avvolgimento della cinghia.

-,

l
l
l

e dalla (2.28):

dW
--o
dV -

per

V=

fTo
y-sq

l
l
l

l
l__
l
l

Come si pu notare, la massima potenza trasmissibile espressa, in


presenza di rullo tenditore. da:

.
6qsm

WMAX

3(ef.Bl

+l)

l
l
l
l
l

mentre in presenza di base motore scorreYole, essa fornita da:


4T0(ef.Bl- l)

{i;
vsq

2.8 - Trasmissioni a rapporto di trasmissione variabile

Le cinghie a V vengono spesso utilizzate per la trasmissione del moto


con rapporto .tra le velocit di ingresso e di uscita del moto stesso variabile
nel tempo. Esistono fondamentalmente due tipi di trasmissioni a velocit
variabile, e precisamente le:
- trasmissioni con regolazione stazionaria

~-a..:~tJ

Fig. 29 - Trasmissione a rapporto di trasmissione variabile

Nelle regolazioni stazionarie inoltre il rapporto tra le velocit pu subire


in genere variazioni dell'ordine del 10% e fino al 30% mentre la potenza massima trasmissibile non supera di norma i 250 kW. Nelle trasmissioni continue
invece, pur se la massima potenza trasmissibile solitamente minore, in genere fino a 20 kW, si ha la possibilit di variare il rapporto tra i raggi massimi
e minimi su cui si avvolge la puleggia, e quindi il rapporto di trasmissione,
entro un campo notevolmente pi ampio, in genere compreso tra l e 3. Ci
realizzabile per solo usando cinghie a V particolarmente larghe; adottando
cinghie a V di tipo standard infatti le variazioni del rapporto di trasmissione
non superano il 30% 'anche nel caso di regolazione continua.

e le
- trasmissioni con regolazione continua.
Entrambi i tipi sono realizzati con l'ausilio di una cinghia a V e di una o
due pulegge le cui facce possono essere allontanate o avvicinate, consentendo
cos alla cinghia stessa di avvolgersi, a seconda delle condizioni di funzionamento, su raggi di puleggia differenti (Fig. 29).

2.9 - Cabestani

Nei cabestani (Fig. 30) una fune compie numerosi giri attorno a un tamburo al cui asse applicata una coppia motrice Cm. Ai due estremi della

47

46
fune sono applicati da una parte il carico P da trainare e dall'altra la forza
di trazione f. chiaro che la minima forza di trazione T da applicare per
far muovere il carico P si ottiene quando esistono condizioni di scorrimento
d

.,

costanza del ra,pporto di trasmissione, una piccola tensione di forzamento con


conseguente basso carico sui cuscinetti, minima manutenzione e possibilit di
trasmissione di potenze elevate; la velocit massima raggiungibile si aggira
attorno agli 80 m/s. Poich queste cinghie non possono slittare sulle pulegge
su cui si avvolgono, in caso di urti esse sono sottoposte, contrariamente agli
altri tipi di cinghie sino ad ora esaminati, all'intero carico d'urto.

i
f

Fig. 30 - Schema di un cabestano

Fig. 31 - Cinghia a denti

globale del flessibile sul tamburo. Poich l'angolo IJ* di scorrimento pari a
21rn, dove con n si indica il numero di giri della fune attorno al tamburo, si
ha dalla (2.11 ):

Le cinghie dentate, inoltre, hanno un costo maggiore di quello delle altre


cinghie e richiedono un migliore allineamento delle pulegge.

mentre la coppia applicata all'asse del tamburo vale:

2.11 - Catene

2.10 - Trasmissione della potenza con cinghie dentate

Lo scorrimento che si manifesta fra u~a cinghia e una puleggia impedisce


che questo tipo di trasmissione possa essere usato quando si vuole ottenere un
rapporto di trasmissione costante. Per impedire lo scorrimento fra cinghia e
puleggia sono state sviluppate le cinghie dentate, le quali portano una serie di
denti di gomma posti a ugual distanza tra loro lungo tutta la superficie interna
della cinghia (Fig. 31 ). La cinghia formata da una serie di cavi metallici
immersi in un rivestimento di neoprene sul quale sono posti i denti, di solito
dello stesso materiale. Le cinghie a denti offrono numerosi vantaggi, quali la

Le catene costituiscono un componente meccanico sviluppato gi nell'antichit. I primi disegni di catena di tipo simile a quelle attuali sono,
comunque, quelli contenuti nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci.
Le catene vengono usate per la trasmissione del moto in numerose applicazioni meccaniche ed i loro principali vantaggi consistono in: possibilit di
trasmettere il moto sia tra assi vicini sia tra assi distanti, compattezza e facilit di installazione, flessibilit della trasmissione senza che peraltro vi siano
fenomeni di scorrimento, possibilit di funzionare entro un campo molto ampio di temperature. Le varie catene usate per la trasmissione del moto possono
essere suddivise in cinque tipi principali:
- catene ad anelli separabili;
- catene a perni;

49

48

n passo delle catene di questo tipo in genere compreso fra 25 e 150 mm ed il

- catene a rulli,
- catene silenziose;
- catene a sfere.

Le catene ad anelli separabili sono costituite da tanti anelli aventi l'aspetto indicato nella Fig. 32-a) che possono venire facilmente collegati o separati tra loro.
.
.
n passo di queste catene, ossia la distanza tra un anello ed Il successivo,
varia in genere tra i 20 e i 100 mm e la massima forza di trazione da esse
sopportata normalmente compresa fra 3000 e 80000 N. La catena, formata
da tutti gli anelli collegati tra loro, si avvolge su due ruote a impronte come
illustrato dalla Fig. 32-b).

massimo sforzo di trazione ammissibile varia fra 15000 e 150000 N, anche se in


alcuni casi eccezionali sono state costruite catene a perni capaci di sopportare
carichi di trazione fino a 700000 N.

!llll1
~

-~

..

--

-----.
- - ----
---

Fig. 33 - Catene a perni

a)

b)
Le catene a rulli costituiscono uno dei tipi di catene maggiormente diffusi; il loro passo compreso normalmente fra 5 e 75 mm e la massima forza
di trazio'le varia tra 4000 e 600000 N. Lo schema di queste catene indicato
nella Fig. 34.

Fig. 32- Catene ad anelli separabili:


trasmissione

(a) anello della catena;

(b) schema della


Fig. 34 - Schema di catena a rulli

Le catene ad anelli separabili, anche se poco costose, sono per abbastanza rumorose durante il funzionamento, per cui il loro impiego limitato a
velocit non superiori a 2 m/se a potenze non superiori ai 20 kW. Esse sono
frequentemente usate in applicazioni agricole.
Le catene a perni sono usate per velocit e per carichi maggiori dei
precedenti (rispettivamente fino a 3 m/se fino a 30 kW). Esse sono costituite
da anelli che portano solidalmente a una delle loro estremit un cilindro cavo
(Fig. 33) internamente al quale si dispone un perno che crea di conseguenza
il collegamento tra due anelli successivi.

Come si pu rile~are dalla Fig. 34, un perno collega tra loro le piastrine
laterali, la boccola e il rullo; mentre per il perno collegato alle piastrine
esterne in modo da non ruotare rispetto ad esse, la boccola resa solidale alle
piastrine interne. In questo modo l'unico strisciamento avviene tra il perno e
la boccola, ed il rullo inoltre libero di ruotare attorno alla boccola stessa.
La velocit di queste catene in media dell'ordine di 10-:- 15 mfs, ma
catene a passo piccolo possono funzionare fino a 50 mfs; la massima potenza

50

51

trasmissibile arriva in taluni.casi sino a 1200 kW. n rapporto di trasmissione


in genere non supera il valore di 1:7, mentre la distanza fra gli assi delle ruote
su cui le catene si avvolgono di solito compresa fra 30 e 80 volte il passo.
Le catene silenziose (Fig. 35) sono catene usate per la trasmissione del
moto ad alta velocit, quali ad esempio il comando degli alberi a camme degli
autoveicoli. La velocit da esse normalmente raggiunta di circa 25-;- 30 m/s
con una potenza trasmessa fino a 1200 kW, anche se in alcuni casi si sono
usate catene silenziose per trasmettere potenze dell'ordine di 2000 kW.

2.12 -

p= 2Rsin

Inoltre si ha che il rapporto tra i raggi r e R delle circonferenze


tangenti alle rette di minima e di massima distanza della catena dall'asse
della ruota dentata vale:
(2.30)

La catena costituita da una serie di piastrine la cui superficie di lavoro rettilinea; le piastrine sono poi collegate tra loro mediante perni che si
impegnano in sedi circolari in esse ricavate.
Le catene a sfere sono usate in numerose applicazioni a bassa velocit (o
addirittura a comando manuale) nelle quali la coppia da trasmettere molto
piccola. In queste circostanze le.. catene a sfere offrono una grande flessibilit; esse possono infatti essere utilizzate per la trasmissione del moto fra assi
non paralleli, oppure quando si debba far seguire alla catena un particolare
percorso. La massima velocit raggiungibile , per una catena lubrificata, variabile tra 0,2 e 0,8 mjs, mentre la tensione massima dipende dalle dimensioni
delle sfere. Per una sfera di 5 mm di diametro, la massima tensione di circa
350 N.

del moto mediante catene

Nella trasmissione del moto mediante catene, analogamente a quanto


avviene nelle cinghie, la catena si avvolge su due ruote, solidali agli assi tra
cui viene trasmesso il moto, ma in questo caso le ruote portano lungo la
loro circonferenza una serie di denti nei quali vanno ad impegnarsi gli anelli
della catena. Affinch la trasmissione del moto avvenga in forma corretta, la
superficie attiva degli anelli della catena ed i denti della ruota debbono necessariamente essere due profili coniugati, ossia nel moto relativo della catena
rispetto alla ruota il dente della ruota stessa deve costituire l'inviluppo delle
successive posizioni assunte dalla superficie attiva dell'anello della catena. n
numero di denti della ruota varia entro limiti molto ampi: in genere esso
compreso tra un minimo di 17 ed un ma(>simo di 125, ma esistono applicazioni
nelle quali il numero di denti solo 6 e altre in cui si arriva fino a 250. li
numero di denti z ovviamente legato al raggio primitivo R della ruota
(raggio lungo il quale si dispongono i centri degli anelli della catena) e al passo
p della catena. Con riferimento alla Fig. 36 si ha infatti:
(2.29)

Fig. 35 - Catena silenziosa

Trasm~ssione

rjR

= COS71'jz

'i

l_)------

:.---

e~

Fig. 36 - Relazione tra passo, raggio primitivo e numero di denti di una catena

53

52
Indicando con t:..tp l'intervallo di tempo necessario affinch la ruota
dentata avanzi di un angolo corrispondente a un passo, risulta quindi:

Le componenti di queste velocit lungo la direzione del ramo libero della


catena, Vc 1 e Vc 2 , debbono essere uguali, per cui:

= 271'/z

l::..tp

dove w la velocit angolare della ruota dentata. Poich questo tempo deve
essere lo stesso per entrambe le ruote su cui si avvolge la catena, ne risulta:

n rapporto di

trasmis~ione

istantaneo vale quindi:

w2
R1 cos a:1
01H 1
---- w1 - R2cosa:2 - 02H2

r---

l::..tp

= 271'/Zl = 27l'/Z2
w2

wl

da cui si ottiene per il rapporto di trasmissione medio l'espressione:


(2.31)

Tm

W2

Z1

wl

Z2

=- =-

n rapporto

di trasmissione istantaneo di una catena non costante,


ma oscilla fra un minimo un massimo attorno al valore medio ora indicato.

Con riferimento alla Fig. 37a, si pu anche notare che:


0 1 Hd0 2 H 2 =
Come si pu ora osservare nella Fig. 37b, il punto C si
sposta fra due posizioni estreme C' e C" individuate rispettivamente dalle
tangenti alle circonferenze di raggi R 1 e r 2 , e di raggi r 1 e R 2
n rapporto d trasmissione minimo quindi (ricordando la (2.30)):

= CO!/C02.

mentre il rapporto d trasmissione massimo :


Tmax=

01C'
02C'

R1
r2

-==-

R1
R2 cos 7!' / z2

Di conseguenza, l'irregolarit periodica della trasmissione a catena :

= Tmax -

Tmin

= l_

~~

Tmin

= l_ COS !:._ COS !:._

~~

Tenuto conto che:

b)

cosa: == l - a: 2/2

-.--:-.: .: . -:.:. ::: =~--

l'irregolarit periodica diventa, approssimativamente:

c'

(2.32)

Fig. 37 - Schema cinematico di una trasmissione a catena

Si consideri infatti la trasmissione a catena illustrata schematicamente


nella Fig. 37; le velocit Vp 1 e Vp 2 dei perni ddle catene che si impegnano
con le due ruote dentate valgono (in modulo):

= w1R1
Vp2 = W2R2
Vp1

Tm il rapporto di trasmissione medio espresso dalla (2.31).


Dalla (2.32) si pu osservare che l'irregolarit periodica E:, a parit di
rapporto di trasmissione medio Tm, diventa tanto pi grande quanto minore
il numero di denti zl> che, pertanto, non pu essere scelto troppo piccolo
per evitare eccessive accelerazioni alterne della catena.
Le forze che agiscono in una trasmissione a catena sono:

dove

- forza trasmessa dalle ruote dentate

3. JACAZIO-PIOMBO - La trasmissione del moto

54

55

- tensione dovuta a forza centrifuga


- tensione dovuta al peso proprio
tensione dovuta ali 'irregolarit periodica
- forza dovuta agli urti fra perni e ruote dentate.

La forza trasmessa dalle ruote dentate dipende dalle coppie motrice e


resistente e dal raggio delle ruote dentate su cui si avvolge la catena. Se R1
il raggio primitivo della ruota dentata motrice e C1 la coppia motrice, la
forza minima trasmessa dal motore (ovviamente sul ramo teso della catena):
F=

catena a rulli illustrata nella Fig. 39: l'anello A della catena ha il rullo R 1
impegnato nella ruota dentata, mentre il rullo R 2 ancora libero. Durante
la successiva rotazione della ruota dentata il rullo R2 si avvicina alla ruota
stessa, e poich esso parte integrante dell'anello A, il suo moto relativo
rispetto alla ruota dentata consiste in una rotazione attorno al centro di R1

c1

R1
A questa forza si somma una tensione causata dall'irregolarit periodica
che provoca forze di inerzia nella catena. L'accelerazione media della catena
vale:
am

Vmax- Vmin
l::,. t

dove f::,.t il tempo necessario affinch la catena avanzi di mezzo passo ed


quindi:
L'accelerazione media quindi:
am

Vmin Vmax ~ Z1wiR1


1rR1wi (l
= Vmax -= c - - - = --+ Tm2)
Vmax
f::,.t
2.:;1
7r

La tensione dovuta alle forze centrifughe contribuisce ad un incremento


Te delle forze agenti nella catena pari a (Fig. 38):
2Tcsin

i= Fc

Si ha quindi che il rullo R 2 urta la ruota dentata con una velocit il cui
modulo vale V,.
wp, dove p il passo della catena, dato dalla (2.29) e
pertanto sar:
Vr 2wRsin~
z
Come si pu notare quindi, la velocit d'urto tanto maggiore quanto
maggiore la velocit della catena e quanto minore il numero dei denti della
ruota. Per ridurre l'entit degli urti vengono usate le catene silenziose, gi
in precedenza descritte, le quali, a causa della loro particolare realizzazione,
toccano i denti della ruota con una piccola velocit.
Oltre alla perdita di energia dovuta agli urti ora descritti, presente
nelle catene una seconda causa di dissipazione di energia imputabile alle perdite per attrito causate dalla rotazione relativa fra gli anelli della catena
quando questa si avvolge sulla ruota.
Per completare la descrizione della trasmissione mediante catene resta
unicamente da determinare il valore della lunghezza della catena. Indicando

Fc
c- 2sina/2

T. _

dove Fc la forza centrifuga di un perno


e di due mezze maglie.
La tensione della catena dovuta al
peso proprio generalmente trascurabile,
mentre possono essere rilevanti le forze
che nascono negli urti fra i perni della
catena e le ruote dentate sulle quali la
catena si avvolge.
Si consideri infatti la ruota con la

Fig. 39 - Urto al contatto tra catena e ruota

Fig. 38 - Forza centrifuga in una catena

j
l

56

57

l'

con i la distanza fra gli assi delle due ruote, con z1 e z2 il loro numero di
denti e con p il passo, la lunghezza totale L della catena ottenibile dalla
seguente relazione approssimata:
2i
+
)2
p=p
+ - 2 - + _,_4..::.11",_(,....ij""'"'p"-)

Z!

Z2

( Z2 2

Z!

Durante il funzionamento la catena si usura e di conseguenza la sua


lunghezza totale aumenta leggermente. Ci costituisce un notevole inconveniente, soprattutto nei casi in cui la catena soggetta a carichi variabili. Per
evitare l'aumento degli urti e delle perdite di energia connesse con l!-na catena
allentata, le trasmissioni a catena posseggono sistemi per la messa in tensione
abbastanza simili a quelli delle cinghie. In generale la messa in tensione della
catena si ottiene spostando la base del motore (operazione che va ovviamente
pi volte ripetuta durante la vita della catena) o mediante l'applicazione di
un rullino tenditore.

2.13 - Alberi flessibili


Gli alberi flessibili costituiscono un mezzo economico per trasmettere il
moto tra assi non paralleli quando le potenze in gioco non sono troppo elevate.
Oltre alla loro economicit gli alberi flessibili riducono in maniera sensibile il
rumore. Esistono fondamentalmente due tipi di alberi flessibili:

a) alberi per la trasmissione di potenza;


b) alberi di controllo.
Gli alberi flessibili sono costituiti da uno o pi strati (fino a 12) di filo
di acciaio avvolto a elica attorno a un cavo flessibile centrale (Fig. 40), e sono
rivestiti da un~ guaina flessibile.

Fig. 40 - Schema di albero flessibile con vista in sezione degli attacchi


l

La massima coppia trasmissibile dagli alberi flessibili dipende sia dalle


dimensioni dell'albero, sia dal suo raggio di curvatura. Ad esempio, per un
albero di 8 mm di diametro in cui la coppia massima trasmissibile di 2,8 Nm
con un raggio di curvatura di 150 mm, la coppia massima di 5,8 Nm con un
raggio di curvatura di 650 mm.
La velocit periferica V degli alberi flessibili sempre piccola e normalmente non supera i 2,5 m/s; di conseguenza se si indica con d il diametro
dell'albero flessibile, la massima velocit angolare n, espressa in giri al minuto, data da:
60 Vmax

n=--lrd

Per un albero di 8 mm di diametro si trova di conseguenza una velocit di


rotazione massima pari a circa 6000 giri/min.

3. INGRANAGGI

.X/3.1 -

Le ruote dentate

Le ruote dentate realizzano la trasmissione del moto tra assi paralleli,


concorrenti e sghembi mantenendo una ben definita correlazione tra la rotazione angolare dell'albero motore e quella dell'albero condotto. Nelle applicazioni tecniche l'uso della trasmissione del moto mediante ruote dentate risulta
particolarmente vantaggioso, e a volte indispensabile, quando:
a)
b)
c)
d)

si
si
si
si

deve
deve
deve
deve

contenere il valore dell'interasse;


mantenere costante il valore del rapporto di trasmissione;
trasmettere una. coppia di grande intensit;
ottenere una forte riduzione di velocit entro uno spazio limitato.

Le ruote dentate sono costituite da solidi strutturati in modo da poter


ruotare attorno a un asse e sono dotate, sulla periferia, di salienti sagomati in
modo opportuno, detti denti, atti a trascinare in movimento i denti di un'altra
ruota dentata.
ll meccanismo costituito da due ruote dentate che possono vicendevolmente trasmettersi un moto rotatorio chiamato ingranaggio.

7- 3.2 - Trasmissione del moto

mediante ruote di attrito

Si considerino due ruote che ruotano attorno a due assi paralleli passanti
per i centri 0 1 e 0 2 delle due ruote e che vengono a contatto in un punto
C (Fig. 41). Se le due ruote sono premute l'una contro l'altra da una forza
normale FN e la forza FT trasmessa in direzione tangenziale fra le due ruote
tale per cui FT $ faFN, dove fa il coefficiente di aderenza fra le ruote,

60

f.

61

si ha fra le due ruote un moto relativo di rotolamento senza strisciamento in


cui C il centro di istantanea rotazione.

....

FN

C, y
02

o...,
o
....

...u

:.a

.."'
:;

-~
>"'

:g"
c;

3
~

-~
Fig. 41 - Trasmissione del moto mediante ruote di attrito

.
>

.::...,
v"'....

...,o
o

s
.5

o.....
o

...,<Il

Poich in queste condizioni la velocit relativa in C nulla, le velocit


periferiche delle due ruote debbono essere uguali e, di conseguenza, indicando
con w1 e w2 le velocit angolari delle due ruote, risulta:

Tra le due ruote si ha il rapporto di trasmissione:


w2

r1

. wl

r2

r=-=-

(2.33)

Poich i raggi delle due ruote sono costanti, il rapporto di trasmissione si


mantiene costante nel tempo ed indipendente sia dalla posizione angolare
delle ruote che dal valore della potenza trasmessa. Ci vale fino a che si
mantengono le condizioni di aderenza, ossia fino a quando le coppie SlJgli assi
delle due ruote sono:
C1 =:; faFNrl
{

C2 =:; faFNr2
Le ruote di attrito quindi, pur presentando il vantaggio della costanza
del rapporto di trasmissione, non sono adatte alla trasmissione di potenze
oltre un certo limite. Le ruote dentate, invece, sono realizzate in modo da trasmettere la potenza meccanica mediante l'azione di forze normali scambiate

"'
"s
o
oa
<Il

v B
Q

"

<Il
Q

<Il

-~
., .~...,

-s .:...,.,
Kl

...,....

.,

:.a "'.,
o. ...,o
N

Q
<Il

.,s
<Il

!:il
N
"<l'

i;;:

Q
<Il

62

63

fra i denti realizzando tuttavia una trasmissione del moto cinematicamente


identica a quella delle ruote di attrito, come verr descritto nel successivo
paragrafo.
La trasmissione del moto mediante corpi in moto relativo di rotolamento
senza strisciamento viene utilizzata nella pratica soprattutto per realizzare
dispositivi a rapporto di trasmissione variabile con continuit. Nella Fig. 42
sono illustrati tre esempi di variatori continui di velocit, in cui il rapporto di
trasmissione
w2
r1
r=-=wl

Se si vuole clie il rapporto di trasmissione r si mantenga costante occorre


quindi che tale si mantenga anche il rapporto 0 1C /02C, e di conseguenza
che il punto C, intersezione della normale comune delle superfici a contatto
con la congiungente dei punti 01 e 02, si mantenga in una posizione fissa.

r2

pu essere variato fra un minimo e un massimo modificando il rapporto rdr2.

~.3- Trasmissione del moto mediante ruote dentate

Poich n~lla trasmissione del moto mediante ruote dentate si vuole che
il rapporto di trasmissione si mantenga costante in ogni condizione di funzio::.. "'
namento, necessario che i denti delle due ruote che vengono a contatto tra
loro soddisfino ad alcune particolari condizioni, condizioni che verranno qui
di seguito esaminate.
Se si schematizza una coppia di denti di due ruote dentate rappresentandola con due corpi sagomati a contatto in un punto P (Fig. 43) solidali
a due bracci ruotanti attorno agli assi (1) e (2) e si indicano con w1 e w2
i moduli delle velocit angolari degli assi medesimi, le velocit dei punti dei
due denti a contatto in P valgono:
V1 =w101P
{ v2 = w2 02P

Poich durante il funzionamento i due corpi debbono rimanere a contatto, le


componenti delle velocit VI e v2 secondo la normale comune di contatto
debbono essere uguali, ossia, con riferimentoalla Fig. 43, deve essere:

Da ci si ottiene:
V2

w2 .

v!

w1 .

-=

o;;; =cos-a10 1P

cos a2

Pertanto il rapporto di trasmissione r vale:

Fig. 43 - Trasmissione del moto mediante due profili coniugati

Per ottenere la costanza del rapporto di trasmissione si pu in generale


scegliere arbitrariamente il profilo di uno dei denti e determinare di conseguenza il profilo dell'altro in modo che sia soddisfatta la condizione prima
esposta, mentre ovvio che se i profili di entrambi i denti vengono scelti a
caso la legge del moto da essi realizzata sar in genere irregolare con rapporto
di trasmissione continuamente variabile.
Ritornando ora al caso della Fig. 43, si pu osservare che se il punto
C mantiene invariata la sua posizione durante la rotazione dei due corpi,
i successivi punti P di contatto fra i corpi stessi si spostano lungo una
linea, detta linea di contatto, che nel caso pi comune di denti con profilo a
evolvente di circonferenza una retta coincidente con la normale comune ai
due denti. Poich la forza scambiata tra i due corpi , in assenza di attrito,
anch'essa diretta secondo la normale comune alle due superfici a contatto, la
linea di contatto anche chiamata, nel caso di denti con profilo ad evolvente di
circonferenza, retta di pressione, e l'angolo 'IJ da essa formato con la normale
alla congiungente i centri 0 1 e 0 2 prende il nome di angolo di pressione.

64

65

Si visto in precedenza che il rapporto di trasmissione r


w2 /w 1 =
0 1C f0 2C costante se la posizione del punto C rimane invariata. Di
conseguenza la trasmissione del moto tra i due corpi , dal punto di vista
cinematico, identica a quella che si avrebbe tra due circonferenze di raggi
r1
0 1C e r 2 0 2C, con centri in 0 1 e 0 2 , ruotanti a velocit angolari
w1 e w 2, e tangenti tra loro nel punto C. Queste due circonferenze ideali
prendono il nome di circonferenze primitive; il punto C risulta essere il centro
di istantanea rotazione nel moto relativo tra le due primitive mentre i profili
dei due corpi che vengono a contatto sono profili coniugati nel moto relativo
tra i corpi stessi.

La velocit di strisciamento Vr quindi, a conferma di quanto in precedenza


affermato, sempre diversa da zero ad eccezione dell'istante in cui P coincide
con C ed il suo valore tanto maggiore quanto maggiore la distanza del
punto di contatto P dal centro di istantanea rotazione del moto relativo.
Poich la potenza P.ersa per attrito tra i due corpi a contatto proporzionale
alla velocit relativa, si comprende, in base alle considerazioni sopra. esposte,
l'opportunit di realizzare il contatto tra. i due profili coniugati in un intorno
limitato del punto C.

/\ 3.4 - Profili dei denti

Fig. 44 - Circonferenze primitive del moto

Si pu ancora osservare che la trasmissione del moto tra due ruote dentate equivalente, dal punto di vista cinematico, a quella di due ruote di
attrito aventi come raggi i raggi delle circonferenze primitive delle due ruote
dentate.
Anche se la velocit relativa nel punto di contatto C tra le due primitive
nulla, nel punto generico P di contatto tra i due profili coniugati la ~elodt
relativa in genere diversa da zero. Essa. vale infatti:

e, nel caso della Fig. 43, si avr:


Vr

= w2 P02 sin et2 - wl P01 sin 0'1 =


= w2 PH2- w1 PH1 = PC(w1 +w2)

Come si avuto modo di osservare, i profili dei denti debbono essere


realizzati secondo forme opportune in modo da. poter assicurare la. trasmissione
del moto fra le due ruote secondo la. legge voluta. La presentazione di una
teoria. corretta. sul profilo dei denti venne fornita. per la. prima. volta. nel 1674
dall'astronomo danese Ola.f Roemer, il quale propose fra. l'altro l'adozione dei
denti a. profilo cicloidale. Questo tipo di dente, largamente usato in passato,
ora limitato ad alcune particolari applicazioni, mentre il profilo di dente
universalmente diffuso quello a evolvente di circonferenza, proposto per la
prima volta nel 1695 dal francese Philippe de Lahaire.
La ragione principale della diffusione dei denti con profilo a evolvente
di circonferenza risiede nella grande semplicit di lavorazione della superficie
del dente stesso in confronto alla complessit della lavorazione di un dente
cicloidale. La. migliore lavorazione rende inoltre possibile una maggiore accuratezza delle dimensioni del dente e si traduce in definitiva in un miglior
funzionamento della trasmissione.
Si definisce evolvente di una circonferenza la curva piana generata dal
punto p di u~a retta (detta generatrice), tangente ad una circonferenza
(detta circonferenza fondamentale), quando la retta rotola senza strisciare
sulla cir.conferenza stessa (Fig. 45). L'evolvente di una circonferenza pu anche
essere pensata come la curva descritta dall'estremo di una fune quando questa
viene svolta da un rullo sul quale era arrotolata. Poich in un istante generico
il punto p che descrive l'evolvente ruota attorno al punto Q, la traiettoria di
p in quell'istante risulta perpendicolare al segmento PQ; pertanto l'evolvente
possiede in un punto generico P una tangente t perpendicolare alla retta
passante per P e tangente a sua volta .alla circonferenza fondamentale.
Assumendo un sistema di coordinate polari avente origine in O e asse

67

66
di riferimento coincidente con OH si pu scrivere l'equazione rappresentativa

dell'evolvente osservando che:

moto tra le due ruote avvenga con rapporto dtJr.asmissione _g_s.tante. Inoltre
le due circonferenze di centri 0 1 e 0 2 e passanti per C rappresentano,
come si avuto modo di esaminare nei paragrafi precedenti, le due primitive
del moto e c il centro di istantanea rotazione nel moto relativo di una
rispetto all'altra.

e che: PQ =HQ= r r1 (si pensi


infatti a come viene generata l'evolvente), per cui:

Eliminando l'angolo r dalle due


equazioni ora scritte si ottiene di
conseguenza la relazione cercata, relazione espressa da:

~ =J(~

Fig. 45 - Generazione dell'evolvente

r-

l - arctg

J(~ rl

Si considerino ora due evolventi a contatto in un punto P (Fig. 46);


evidente che nel punto P le tangenti alle due curve devono necessariamente essere coincidenti. D'altra parte la tangente ad una evolvente sempre
perpendicolare alla retta generatrice la quale a sua volta tangente alla circonferenza fondamentale. Pertanto, essendo comune alle due evolventi la loro
tangente nel punto di contatto, la normale comune in P alle evolventi stesse
deve essere tangente a entrambe le circonferenze fondamentali. Se ora la circonferenza fondamentale (l) e la sua evolvente ruotano nel verso indicato,
l'evolvente della ruota (2) sar ruotata di conseguenza, e il nuovo punto di
contatto P' sar di nuovo un punto per il quale le tangenti alle due evolventi
coincideranno tra loro. Poich ci avviene al solito quando la normale comune
alle due evolventi tangente alle due circonferenze fondamentali, si ricava in
definitiva che il punto P di contatto tra le due evolventi si sposta durante
la rotazione lungo la retta tangente alle due circonferenze fondamentali. Questa retta, che in ogni istante la normale ai due profili a contatto, interseca
quindi la congiungente 0 10 2 dei centri delle due ruote in un punto C la
cui posizione fissa nel tempo. Questa condizione necessaria e sufficiente
come gi si visto all'inizio di questo capitolo, affinch la trasmissione del

Fig. 46 - Trasmissione del moto mediante due evolventi di circonferenza

L'angolo ~ formato tra la normale ad 0102 e la tangente alle circonferenze fondamentali l'angolo di pressione, mentre la tangente comune alle
circonferenze fondamentali altro non che la retta di pressione. Dall'esame
della Fig. 46 si ottengono immediatamente le relazioni esistenti tra i raggi
fondamentali r1 e i raggi primitivi r delle due ruote; si ha infatti:
(2.34)

n rapporto di trasmissione
(2.35)

1'

fra le due ruote dato da:

= w2 = r1 = rh
w1

r2

rh

Come si pu notare il rapporto di trasmissione risulta determinato una volta


che si siano fissati i valori dei raggi delle circonferenze fondamentali, e proprio
da ci nasce una importante propriet delle dentature a evolvente. Per esse

68
infatti il rapporto di trasmissione non varia al variare della distanza fra gli assi
delle ruote. Si considerino infatti (Fig. 47) le due circonferenze fondamentali
aventi centro nei punti 0 1 e 0 2 Se 02 si sposta nel punto indicato con 02
i punti di contatto tra le evolventi delle due circonferenze apparterranno alla

<

69

3.5 - Caratteristiche generali degli ingr:_anaggi

Come prima detto, un ingranaggio un meccanismo costituito da due


ruote dentate che possono vicendevolmente trasmettersi un moto rotatorio.
In un ingranaggio, la ruota dentata che abbia numero di denti minore
dell'altra chiamata.pignone; mentre quella con. numero di denti maggiore
chiamata semplicemente ruota (Fig. 48).

Fig. 47 - Allontanamento dei centri delle circonferenze fondamentali


Fig. 48 - Definizione di pignone e ruota

nuova tangente comune alle circonferenze fondamentali, la quale a sua volta


intersecher in C' la congiungente 0 10 2 Anche in tal caso per il rapporto
di trasmissione risulta espresso da:

Come si pu facilmente comprendere, questa propriet delle ruote dentate


a evolvente di ~irconferenza assume una notevole importanza in quanto la
trasmissione del moto avviene correttamente e nel modo voluto anche se gli
assi delle ruote stesse subiscono durante il funzionamento piccoli scostamenti
dalla loro posizione iniziale.
Ciononostante, ogni ruota dentata viene costruita e dimensionata facendo riferimento a una circonferenza primitiva nominale che rappresenta in
sostanza la effettiva circonferenza primitiva della ruota stessa quando la trasmissione funziona nelle condizioni di progetto.

TI rapporto fra il numero di denti della ruota e quello del pignone


chiamato rapporto d'ingranamento. La trasmissione del moto pu avvenire fra
assi coplanari (paralleli o concorrenti), nel qual caso si parla, rispettivamente,
di ingranaggi paralleli o concorrenti; la trasmissione pu anche essere realizzata
fra assi sghembi, mediante ingranaggi sghembi (Fig. 49).
Assi paralleli

Assi concorrenti

Assi sghembi

Fig. 49 - Posizione relativa fra gli assi delle ruote dentate

70

71

Si chiama interasse di funzionamento la minima distanza tra gli assi


delle ruote 'di un ingranaggio parallelo o sghembo.
Si chiama angolo fra gli assi l'angolo (minore di 180) necessario per
portare l'asse della ruota di un ingranaggio parallelo (nel caso di ingranaggi
sghembi) o coincidente (nel caso di ingranaggi concorrenti) con l'asse dell'altra
ruota, in modo che i sensi di rotazione delle ruote siano opposti.
In un ingranaggio, ogni dente di una ruota trascina in movimento un
dente della ruota a contatto, e quindi il numero di denti dell'una e dell'altra
ruota che passano davanti ad un riferimento fisso nello stesso tempo identico.
Si ha quindi:

e il rapporto di trasmissione :
W2

ZJ

WJ

Z2

T=-=-

(2.36)

ossia l'inverso del rapporto di ingranamento. Confrontando le (2.35) e (2.36)


si ha pure che:
IJ

(2.37)

r2

= 7'j, =
rh

ZJ
Z2

n moto delle ruote completamente definito se vengono assegnati i valori

Fig. 50 - Velocit angolari in ingranaggi con assi concorrenti

assoluti (cio i moduli) delle velocit. angolaTi, la posizione degli assi ed i sensi
di rotazione; tutte queste quantit sono riassunte dall'espressione dei vettori
velocit angolare c.J1 ed c.J 2 Si intende che la rotazione avvenga in senso
antiorario attorno ali 'asse del vettore w disposto lungo l 'asse della ruota.
Nel caso in cui gli assi sono coplanari, il moto relativo istantaneo una
rotazione rappresentata dal vettore wr della velocit angolare relativa del
pignone l rispetto alla ruota 2, che dato dal risultante dei vettori c.J 1 e -c.J2

vettore wr pa.ssa per il punto di intersezione degli assi coplanari


concorrenti (Fig. 50) ed parallelo agli assi delle due ruote nel caso di assi
paralleli (Fig. 51).
La figura 50 caratterizza. ingranaggi concorrenti; per questi ingranaggi
le primitive delle ruote sono coniche; i coni hanno semiaperture angolari pari
agli angoli primitivi di funzionamento 1 e 2
L'angolo fra gli assi vale:

:*
--l:r
l

'

l.

.,, .1- ., ..r -.. .,:-. ,


..
......

.........

l,

...,:\
~

\, l l

a)

b)

(2.38)

Fig. 51 - Velocit angolari per ingranaggi interni ed esterni

73

72

Nel caso in cui il moto relativo elicoidale istantaneo, si portano ad essere


tangenti fra di loro due superfici di riferimento.

L'asse di istantanea rotazione disposto secondo la retta tangente comune ai due coni e il moto di una ruota rispetto all'altra corrisponde al rotolamento senza strisciamento di un cono primitivo sull'altro.
n rapporto di ingranamento vale:
(2.39)

w1

sin ({>2

w2

sm<p1

A_3.6- Contatti fra i denti

u=-=-.--

'1

Le superfici a evolvente dei denti delle ruote dentate sono superfici co- ;.
niugate. Nei punti di contatto la velocit relativa (velocit di strisciamento)
tangente alle superfici e perpendicolare alla normale comune di contatto. Le
superfici coniugate possono essere generate per inviluppo.
Una volta definito il moto generatore (per esempio assegnando le primitive del moto), e definita anche la superficie attiva di un dente solidale ad
una delle ruote, la superficie coniugata del dente a contat.to viene costruit
geometricamente come inviluppo della superficie del dente della prima r~ota _;
nel moto relativo alla seconda.

--
Ne caso ora descritto, se cio i denti coniugati si inviluppano reciprocamente nel moto relativo, i denti si toccano lungo unaJinea di contatto_, detta :
anche caratteristica.
----
-

n caso in cui gli assi delle ruote sono paralleli pu essere inteso come caso
limite di quelli in cui gli assi sono incidenti, quando il punto di incidenza O
si allontana all'infinito.
Nelle Figg. 51a e 51b sono rappresentati rispettivamente i casi in cui
i versi delle rotazioni delle ruote sono concordi o discordi in un ingranaggio
parallelo. Se il rapporto di ingranamento costante, i raggi r1 ed r2 sono
costanti, rappresentando le distanze fra i vettori paralleli wr ed w1 e,
rispettivamente, Wr ed w2.
Essendo a l'interasse delle ruote, si ha, nel caso della Fig. 51a:
(2.40)

e nel caso della Fig. 51b:


(2.41)

Nel caso di un ingranaggio ad assi paralleli le superfici primitive sono


cilindri e l'asse di istantanea rotazione disposto secondo la retta tangente
comune ai due cilindri primitivi.
Nel caso della Fig. 51a (versi di rotazione concordi delle due ruote) i
cilindri primitivi sono uno interno all'altro (ingranaggi interni); nel caso di
figura 51b (versi di rotazione discordi delle due ruote) i cilindri primitivi sono
esterni l 'uno ali 'altro (ingranaggi esterni).
n moto di una ruota rispetto all'altra corrisponde al rotolamento senza
strisciamento di un cilindro primitivo sull'altro.
Nel caso degli ingranaggi sghembi, il moto relativo istantaneo non
rotatorio ma elicoidale. Non esiste pi alcun luogo di punti in cui, istante
per istante, le velocit locali corrispondenti al moto dell'una e dell'altra ruota
sono uguali, in cui cio la velocit relativa nulla. In questo caso, le primitive
cinematiche non presentano pi un pratico interesse. Si possono invece ancora
definire superfici di riferimento (cilindriche, coniche o tori che).
Nel caso in cui il moto relativo sia di rotazione istantanea (rotolamento
su cilindri o coni), le primitive di funzionamento sono tangnti fra di loro.

'

La linea caratteristica pu-essere determinata, istante per istante, sull~


superficie attiva di, un dente, congiungendo tutti i punti di contatto di tale
superficie che hanno, nel moto relativo rispetto al dente coniugato, velocit
tangenti alla superficie attiva stessa.
Per esempio, nel caso degli ingranaggi con assi coplanari, in cui il moto
relativo costituito da una rotazione istantanea, la caratteristica di una superficie in ogni istante la linea che si ottiene congiungendo i punti della superficie
stessa per cui le normali alla superficie intersecano l'asse della rotazione istantanea. Superfici coniugate possono anche essere generate, per inviluppo, da
un~ terza superficie, detta ausiliaria, coniugata con entrambe in due separati
moti relativi. n moto" della superficie ausiliaria equivalente a quello della
superficie, supposta di spessore infinitesimo, del dente di una ideale ruota
ausiliaria, capace di ingranare contemporaneamente con entrambe le ruote
dell'ingranaggio durante il moto definito dalle primitive di tali ruote. n moto
delle ruote ausiliarie, relativo all'uno ed all'altra delle ruote dell'ingranaggio,
definito da una primitiva ad essa solidale.
Costruendo una serie di ruote dentate diverse mediante una stessa ruota
ausiliaria, cos possibile creare un assortimento di ruote tutte in grado di ingranare fra di loro. Per la generazione mediante taglio dal pieno dei denti delle
ruote, la superficie ausiliaria pu essere sostituita da utensili i cui taglienti ne

75

74

in corri~ponden~a a tale linea limite esso presenta una singolarit, in quanto la


superficie del dente della ruota del cui asse la linea limite proiezione presenta
un raggio principale di curvatura uguale a zero. Linee di contatto, linee limite
e superficie di azione sono definite nella Fig. 53.

descrivono il contorno nelle posizioni assunte durante il moto generatore.


Nella Fig. 52 sono riportate le successive-posizioni assunte da una ruota
che viene intagliata da un utensile la cui superficie primitiva un piano che
trasla. La superficie ausiliaria, solidale al piano che trasla, costituita da una
sagoma a denti rettilinei.

Linea di contatto
Superficie di azione

Fig. 52- Successive fasi dell'intaglio di una ruota da parte di una dentiera utensile

n contatto fra i denti generati lineare se le linee caratteristiche della


superficie ausiliaria nel moto di inviluppo delle superfici dei denti dell'una e
dell'altra ruota sono le stesse in ogni istante. Ci sempre vero quando il moto
relativo un moto di rotazione istantanea (caso delle ruote con assi coplanari );
il luogo, sulla superficie ausiliaria, delle tracce delle normali alla superficie
stessa passanti per l'asse della rotazione istantanea relativa costituisce la linea
che, istante per istante, comune alle superfici dei denti in presa idealmente
generati dalla interposta superficie ausiliaria (supposta di spessore nullo) per
inviluppo contemporaneo.
n contatto fra i denti generati puntiforme se le caratteristiche tracciate
in ogni istante sulla superficie ausiliaria, durante il moto di contemporanea
generazione dei denti dell'ingranaggio, sono diverse. In tal caso, il punto di
contatto determinato dall'incrocio delle linee caratteristiche. Questo caso
si verifica quando si effettua mediante una superficie ausiliaria la generazione
dei denti di ingranaggi ad assi sghembi.
Si ha ancora contatto lineare, anche se gli assi delle ruote sono sghembi,
quando i denti a contatto sono generati per inviluppo diretto della superficie
di un dente nel moto relativo al dente coniugato. n luogo dei punti descritti
dalle linee di contatto durante il moto assoluto delle ruote si dice superficie
d'azione.
Proiettando ortogonalmente gli assi delle due ruote sulla superficie di
azione si ottengono le linee limiti d'azione; quando il contatto fra i denti giunge

Fig. 53 - Definizione di linee di contatto, linee limite e superficie di azione

I denti di ciascuna ruota sono delimitati da due superfici attive, ciascuna


in grado di coniugarsi con la superficie analoga dei denti dell'altra ruota dell'ingranaggio. Esistono quindi per ogni ingranaggio due superfici di azione
lungo delle linee di conta.tto dell'uno e dell'altro fianco dei denti. Le superfici
d'azione si riducono a linee d'azione nel caso in cui il contatto sia puntiforme.
.
(L'insieme dei denti di una ruota dentata viene definito dentatura. La
dentatura delimitata da due superfici coassiali con la ruota, che si distinguono in ~upe:fi~ie di te~ta o di troncatura, contenente la sommit dei denti,
e superficze dz pzede o dz fondo, tangente al fondo dei vani, cio degli spazi
compresi fra due denti finiti.

ll

l!
Le ruote la cui superficie di testa esterna a quella di piede sono ruote
}. esterne; quelle in cui avviene il contrario sono ruote interne. La zona d'ingra-

77

76
namento costituita. dalle parti delle superfici d'azione, o delle linee d'azione
se il contatto puntiforme, comprese fra. le superfici di testa. delle due ruote
dell'ingranaggio.
L 'angolo di azione l'angolo di rotazione di una. ruota. attorno al suo
asse, per cui due stesse superfici coniugate permangono in contatto. Tutte le
,\ grandezze ora. definite sono riportate nella. Fig. 54.

Negli ingranaggi sghembi le dentature sono sempre costruite attorno a.


superfici di riferimento assai differenti dalle primitive cinematiche (che sono
iperboloidi ad una. falda.); a. seconda. dei casi si hanno superfici di riferimento
cilindriche, coniche o toriche.

3. 7 - Caratteristiche geometriche dei denti


Le superfici di tronca.tura. e di fondo sono definite, per ruote aventi
superficie di riferimento cilindrica., da. cilindri aventi un diametro di troncatura
da e un diametro di fondo d1 (Fig. 55); per ruote con superficie di riferimento
conica., da coni aventi un angolo di troncatura a ed un angolo di fondo 1 .

\
_J-- - - -- -1

Diametro
d troncatura

Fig. 55 - Definizione delle dimensioni di un dente

Fig. 54 - Definizioni generali di una dentatura

Tutti gli ingranaggi coplanari (con primitive cilindriche o coniche) hanno


superfici d'azione che intersecano le loro primitive secondo l'asse tangente
comune alle primitive a. contatto. Le tracce delle superfici omologhe di due
denti successivi di una ruota. sono spaziate di un passo. TI passo pu essere
misurato angolarmente, oppure linearmente, secondo varie direzioni. Dato che
in uno stesso tempo passano davanti ad un riferimento fisso lo stesso numero
di denti dell'una e dell'altra ruota di un ingranaggio, il passo di due ruote
ingrananti misurato lungo una linea d'azione sempre uguale.
Negli ingranaggi coplanari, le dentature sono costruite attorno alle superfici primitive di riferimento (primitive nominali).

'

L'altezza del dente, h, la somma della distanza a fra superficie di


riferimento e superficie di troncatura (detta addendum), e della distanza d
fra superficie di riferimento e superficie di fondo (detta. dedendum). Tali valori
sono costanti per le ruote cilindriche, variabili nelle ruote coniche, ove sono
normalmente proporzionali alla distanza dal vertice del cono misurata lungo
una generatrice.
Per le ruote con superficie di riferimento conica si definisce un angolo di
addendum 72 0 e un angolo di dedendum 72a, dati da:
(2 .4 2)

{72a=8a-8
,Jd = 8- 8,

79

78

dove 6 l'angolo di semiapertura del cono di riferimento.


I denti sono delimitati da due fianchi che ne costituiscono le superfici
comprese fra la superficie di troncatura e quella di fondo. Le tracce di un
fianco di dente su un piano sono profili del dente.
Si dice profilo trasversale la sezione di un fianco con una superficie
perpendicolare alle generatrici della superficie di riferimento (vedi Fig. 56),
profilo norma!~ la sezione di un fianco
con un piano perpendicolare alla linea
del fianco; profilo assiale la sezione di
un fianco con un piano passante per
l 'asse della ruota.
Gli angoli compresi fra la ROrmale ad un profilo nel punto di intersezione con la superficie di riferimento
ed il piano tangente per lo stesso punto
Fig. 56 - Profili di un dente
alla superficie di riferimento, si dicono
angoli di pressione (rispettivamente trasversale '!9, normale '!9n, assiale '!9.,).
Si dice fianco in addendum (o in dedendum) la porzione del fianco compresa fra la superficie di troncatura (o di fondo) e la superficie di riferimento; si
dice fianco attivo la porzione del fianco lungo la quale si verificano i contatti
coi fianchi dei denti di una ruota coniugata; fianco utilizzabile tutta quella
porzione di fianco che in grado di assumere le funzioni di fianco attivo. La
superficie curva compresa fra il fianco utilizzabile e la superficie di fondo si
dice raccordo.
Si dice spessore trasversale s 1 (Fig. 55) di un dente la lunghezza d'arco
compresa fra i due fianchi che delimitano il dente, misurata normalmente alla
traccia delle superfici dei denti sulla superficie di riferimento.
Si dice vano trasversale e:, la distanza d'arco, misurata analogamente,
fra i fianchi opposti di due denti contigui.
Si chiamano spessore normale sn e vano normale en le lunghezze
d'arco, comprese rispettivamente fra i fianchi opposti di denti contigui, misurate sulle superfici di riferimento normalmente alle varie linee dei fianchi che
sono tracciate durante lo spostamento del dente di un passo.
La larghezza di dentatura b corrisponde alla lunghezza della fascia
dentata misurata in una sezione assiale della ruota, ed la distanza che separa
i punti intersezione della linea del fianco della superficie di un dente con le

tracce delle facce di estremit della dentatura sul piano assiale.


n passo tiasversale . p la lunghezza d_' arco compresa fra i fianchi omologhi di denti contigui misurata lungo la traccia, sulla superficie di riferimento,
di-una.S;,l!Perficie normale a quest'ultima, e contenente i profili trasversali.
Si ha:
(2.43)

dove d il diametro della superficie di riferimento.


n passo normale Pn la lunghezza d'arco, misurata sulla superficie di
riferimento normalmente alle varie linee dei fianchi che sono trp.cciate durante
l'avanzamento di un passo, e compresa fra i fianchi omologhi di denti contigui.
Si ha:

n passo assiale

P.r la distanza fra le intersezioni di due profili assiali contigui


con la superficie di riferimento.
Si definisce modulo il rapporto:

(2.44)

m=p/7r=d/z

fra il passo trasversale p e la costante 71'. Analogamente si hanno un modulo


normale mn = Pn/11' e un modulo assiale m.,= p.,j1r.
Denti ideali potrebbero essere costruiti con uguale spaziatura fra spessore di dente e di vano. Pur cercando di avvicinarsi a tali condizioni, i denti
effettivi presentano un leggero gioco che tiene conto delle inesattezze nel processo di lavorazione ed evita che si possano creare delle tensioni elastiche
abnormi. n gioco fra i denti deve per essere il pi possibile limitato per
evitare urti all'istante dell'entrata in contatto.
Si chiama gioco trasversale j 1 la distanza d'arco sulla sezione trasversale della s.uperficie di riferimento, misurata sulla traccia della superficie di
riferimento e valutata per un dente che ha un proprio fianco in presa col dente
della ruota coniugata, compresa fra il fianco opposto dello stesso dente ed il
profilo di tale fianco considerato tangente al dente contrapposto della ruota
coniugata (vedi Fig. 57). Tale misura viene fatta allorch i contatti ideali sui
due fian~hi dei denti sono compresi nella zona d'azione.
.
n gioco normale in misurato analogamente a j 1 , ma in una sezione
contenente i profili normali dei denti.
n gioco di fondo c la distanza minima fra le sommit di un dente di
una ruota ed il fondo del vano del dente coniugato.

80

81

~ 3.8

Per definire le dimensioni del dente si usano talvolta anche altre misure,
uali quelle della corda s (si tratta della corda sottesa all'arco corrisponden~e
spessore del vano sulla superficie di riferimento), e l'altezza.sulla
ha
che la distanza, misurata lungo la mezzeria del dente, fra la linea di corda e
la sommit del dente (vedi Fig. 57).

~lo

~orda

- Ruote dentate cilindriche esterne a dnti diritti

questo il caso pi semplice di applicazione di ruote dentate alla trasmissione del moto. In esso ciascun dente di ogni ruota costituito da due
profili a evolvente simmetrici; la forza scambiata tra i denti viene trasmessa
da uno o dall'altro dei due profili a seconda del verso di rotazione delle ruote
e a seconda che esse siano motrici o condotte.

Fig. 57 - Caratteristiche costruttive di un dente

n raggio di curvatura di un dente in un punto generico chiamato p;


raggi di curvatura degli spigoli sulla sommit del dente sono chiamati Pa, ed
i raggi di raccordo sul fondo dei denti P!
.
Lo spessore di sommit sa dei denti proporzionato sempre m modo da
essere superiore al valore minimo compatibile con la resistenza del.ma:eriale:
Negli ingranaggi occorre che vi sia almeno sempre una~c.o~p1a d1 denti
in presa al fine di garantire la continuit del moto. Per tale,rag10ne l'altezza
del dente non pu essere troppo piccola; parimenti questa non pu superare
un certo limite, altrimenti si verificano fenomeni di interferenza fra le ruote
dentate (che verranno trattati successivamente).
Sovente i denti delle ruote dentate hanno l'addendum pari al modulo
normale (uguale a quello trasversale nelle ruote a denti diritti) e il de~end~~
pari ai 5/4 del modulo normale. In totale, quindi, l'altezza d'el dente e pan ai
9/4 del modulo. Questo tipo di proporzionamento del dente e detto modulare.

Fig. 58 - Grandezze geometriche caratteristiche di due ruote dentate cilindriche con


profilo a evolvente

/\
1

Negli ingranaggi cilindrici a denti diritti inoltre, il contatto tra i denti


delle ruote avviene in modo simultaneo lungo tutta una generatrice dei denti
stessi in quanto tutte le sezioni delle ruote ottenute con piani perpendicolari
agli assi sono uguali tra loro. Si consideri pertanto (Fig. 58) una sezione
generica di un accoppiamento tra due ruote dentate: in essa i punti A e B
di inizio e fine contatto tra i denti sono determinati dalle intersezioni delle due
troncature t 1 e t 2 con la retta dei contatti ! 1 ! 2 e la lunghezza del segmento
dei contatti pertanto esprimibile in funzione delle grandezze geometriche

82

83

delle due ruote; si ha infatti:

dalla prima alla seconda posizione tutti i punti del dente hanno ruotato dello
stesso angolo, per cui si ha:

MO';C=RG;S
dove le lunghezze dei segmenti AI2 e Bh valgono rispettivamente:
e pertanto tra gli archi MC e RS sussister la relazione:

Se si introducono ora i valori dei raggi primitivi, i corrispondenti valori dei


raggi delle troncature sono forniti da: r 1, = r 2 + a 2 e r 1, = r 1 + all dove
a 2 e a 1 rappresentano gli addenda, mentre i raggi fondamentali, indicando
con t9 l'angolo di pressione, sono esprimibili mediante le: rh = r 1 cost9 e
r12 = r 2 cos 19. Effettuando le dovute sostituzioni si ottiene pertanto:

(l + ;;.

-~-""=-..:._------

--.........

r-

cos2 t9

( 1 + ;: )

'""-

cos2 tJ

-----

'"''"'

e di conseguenza la lunghezza del segmento dei contatti vale:

Fig. 59- Relazione geometrica tra arco d'azione e segmento dei contatti

Per ruote dentate realizzate con proporzionamento modulare si ha: a 1


m, r 1 = mzr/2, r2 = mz2/2, per cui si ricava in definitiva:

AB

~;

[ ''

=a2 =

(l+ ~)' - coo' 6+

D'altra parte, per le propriet dell'evolvente si ha:

AC=RS
per cui si ottien~ in definitiva:

(2.45)

+,, (l+;,)'-='.-,,,+ ,,)&]


Si consideri ora (Fig. 59) il profilo del dente nella posizione corrispondente all'inizio deli 'ingranamento (contatto nel punto A) e nella posizione
corrispondente a quella per cui il contatto si verifica nel punto C: passando

L'arco MC costituisce l'arco d'azione in accesso. Una espressione


identica alla precedente si ricava per il tratto dell'arco d'azione in recesso, per
cui la lunghezza complessiva e dell'arco d'azione vale:
(2.46)

AB
e=-cos tJ

84

85

Di conseguenza il numero di denti contemporaneamente in presa dato da:

*01

j\

e
AB
AB
z ------p - p - p cos t? P!

l \--\
'

dove con p e con P! si sono indicati rispettivamente il passo misurato sulla


circonferenza primitiva e quello misurato sulla circonferenza fondamentale.
La velocit di strisciamento tra i due profili a contatto, quando questo avviene nel punto generico P, data, come si gi avuto modo di
osservare, da:
espressione che pu anche essere ricavata ricordando che il moto relativo di
una ruota rispetto all'altra rappresentato da una rotazione attorno al punto
C con velocit angolare pari a w 1 + w2.
Quando il raggio primitivo r 2 della ruota maggiore aumenta, il rapporto di trasmissione diminuisce, il punto 12 di tangenza fra la retta d'azione
e la circonferenza fondamentale si allontana da C (Fig. 58) e corrispondentemente il profilo a evolvente del dente tende a diventare sempr!;'! pi rettilineo.
Al limite, per r 2 ..... oo, il valore del rapporto di trasmissione si annulla e
il profilo del dente diviene esattamente rettilineo. La ruota dentata limite
cos ottenuta detta dentiera (Fig. 60) mentre la ruota ad essa accoppiata
costituisce il rocchetto; la dentiera si muove di moto traslatorio ed i suoi denti
vengono dimensionati secondo norme modulari identiche a quelle usate per
tutte le altre ruote dentate.
Affinch l'ingranamento fra due ruote dentate possa realizzarsi in
modo corretto necessario che il contatto avvenga unicamente lungo il profilo
a evolvente dei loro denti. Pu per verificarsi il caso, quando ad esempio l'addendum di una delle ruote troppo.grande, di contatto tra la punta del dente
di una ruota e la parte del dente dell'altra ruota interna alla circonferenza fondamentale, @.O questo che corrisponderebbe ad avere una compenetrazione
tra i denti delle due ruote, ossia adaVe;e una interferenza tra le ruote mede-

-si;-m-e-.--;::C..,.io.--a-cc_a_d..-e""'i.-n_p_r_a--:t'ic_a_q_u_a_n_d.-o-a..-lm-en_o_u_n_a_d.-e"ll;:-e-;~-se-z-io_n_i_A_eB_

'

' .:7 \

'

l
l

Fig. 60 - Ingranamento tra rocchetto e dentiera

r2

(1)

(2)

-----~---

l
r,

tra le troncature t 1 e t 2 delle due ruote dentate e la retta di pressione cade


esternamente al segmento ! 1 ! 2 (Fig. 61). Dalla Fig. 61 si pu chiaramente
osservare che se le due ruote dentate hanno lo stesso addendum il fenomeno
della interferenza si verifica per primo all'intersezione tra la troncatura della
ruota di diametro maggiore e la retta dei contatti. Per evitare il manifestarsi
della interferenza dunque necessario che l'addendum assuma un_:ya}g~
da far cadere il punto A internamente al segmento ~.
Fig. 61 -Interferenza nel punto A fra due ruote dentate esterne
4. JACAZIO-PIOMBO - La trasmissione del moto

86

87

Si consideri allora il caso limite in cui A ::: h; per determinare il


valore dell'addendum corrispondente a questa condizione al limite dell'interferenza conviene applicare il teorema di Carnot al triangolo 01 02h, ottenendo
di conseguenza la relazione:
021[ = 010~

D'altra parte si ha:

mz1
= r1 = -2-

--

= -mz2
2

01C

02C= r2

--

01Ir =rh=

--

0211

mz 1

di conseguenza, come si vedr pi avanti, ad un notevole aumento della forza


scambiata fra i denti a parit di coppia motrice, aumento evidentemente dannoso per quanto riguarda lo stato di sollecitazione all'interno dei denti stessi.
Se in una trasmissione con ruote dentate cilindriche esterne a denti
diritti non possibile realizzare la ruota di diametro minore dotandola di un
numero di denti maggiore di Zmin si ricorre a un proporzionamento diverso
da quello modulare originando cos una dentatura corretta (o a cerchi spostati).

cos19

- +a
= r2 + a = -mz2
2

Pertanto, introducendo il rapporto di trasmissione T = ri/r 2 , si ricava in


definitiva che per evitare l'interferenza l'addendum a deve soddisfare alla
condizione:

!:.
<z
m- 2

+ 011'f- 2 01h 0102 cos 19

--

_!_
+
T2

(1 + ~) sin 19- ..!.]


2

"':

Se la ruota dentata costruita secondo norme modulari l'addendum pari


al modulo e pertanto, sempre per evitare l 'interferenza, la ruota di diametro
minore deve possedere un numero di denti z 1 maggiore di un valore limite
Zmin dato da:
Zmin

2
= -r========-=

l ( + -2) sm. 19 - -l
2[1 + V
l+
+
sin 19)
-T2 +

(2.47)

(2T

T2)

Fig. 62- Correzione delle ruote dentate per evitare l'interferenza

(2 + T) sin 2 19

Esaminando la (2.47) si pu osservare che il valore del numero di denti minimo


per evitare l'interferenza cresce al diminuire sia dell'angolo di pressione 19 sia
del rapporto di trasmissione Ti al limite, per T = O (ingranamento tra
rocchetto e dentiera) Zmin dato da:
(Zmin)r:O

2
=~
sm u

Va per osservato che l'aumentare il valore dell'angolo di pressione 19, anche se permette di diminuire il minimo numero di denti ammissibile, porta

Nelle dentature corrette l'addendum della ruota di diametro maggiore viene


diminuito della quantit necessaria ad evitare l'interferenza; inoltre, poich
questa operazione comporta collateralmente una diminuzione della lunghezza
dell'arco di accesso, si aumenta l'addendum della ruota di diametro minore
in modo da aumentare la lunghezza dell'arco di recesso e mantenere cos inalterato il valore della lunghezza complessiva dell'arco di ingranamento. Esiste
ciononostante un limite a tali condizioni, limite individuato dal massimo valore ammissibile dell'addendum della ruota di diametro minore senza che si
manifesti l'interferenza non pi all'inizio della fase di accesso, bens al ter-

88

89

;i

mine della fase di recesso. La Fig. 62 illustra per l'appunto la correzione da


apportare alle due ruote dentate per evitare l'interferenza: la troncatura t 2 ,
tracciata secondo le norme modulari, intersecherebbe in A, ossia esternamente al segmento Iti2 , la retta di pressione, provocando cos interferenza
fra i denti delle due ruote nella fase di accesso. Per ovviare a questo inconveniente la troncatura t 2 della ruota 2 deve intersecare la retta di pressione
in un punto A' interno al segmento I1 I2 (in figura rappresentato il caso
limite di coincidenza tra i punti A' e Il); contemporaneamente la troncatura t 1 della ruota l viene spostata verso l'esterno di una quantit 6 pari a
quella corrispondente allo spostamento di t 2 verso l'interno. Di conseguenza
il punto B di intersezione tra t~ e la retta di pressione si avvicina al punto
I 2 ed quindi ovvio che per evitare interferenza nella fase di recesso lo spostamento delle troncature pu essere effettuato solo fino a quando il punto B'
non viene a coincidere con h
Risulta d'altro canto evidente che l'allontanamento della troncatura
dal cerchio fondamentale pu portare ai casi limiti di denti estremamente
appuntiti o dotati addirittura di profili tra loro incidenti e che pertanto la
correzione dell'addendum deve essere necessariamente accompagnata da una.
correzione della grossezza del dente, correzione che viene effettuata. (Fig. 62)
allontanando i profili della ruota di diametro minore ed avvicinando quelli
della ruota di diametro maggiore di una stessa quantit e, in modo da
ovviare all'inconveniente prima esposto e mantenere nel contempo la somma
degli spessori dei due denti costante e pari (a parte l'eventuale gioco) al passo.
Per concludere l'esame della. trasmissione del moto mediante ruote
dentate cilindriche a denti diritti non resta che considerare la. trasmissione
della. potenza. fra. gli assi delle due ruote.
Indicando con W 1 la. potenza. entrante nella. trasmissione attraverso
l'albero motore l (Fig. 63), la. coppia. alla. quale soggetta. la. ruota. l risulta.
essere: 0 1 = W 1 fw 1 In assenza. di attrito la. forza. f che le due ruote dentate
si scambiano diretta., come si gi avuto modo di osservare, secondo la retta
di pressione, per cui, dall'equilibrio alla. rotazione della. ruota. motrice l in
condizioni di regime si ha.:

Ed introducendo il valore di F prima. ricavato si ottiene:

Fig. 63 - Forze scambiate tra i denti di due ruote dentate cilindriche esterne a denti
diritti in assenza di attrito

Poich il rapporto di trasmissione r tra. le due ruote dentate pari a. w2 fw 1


zd z2 si ha. di conseguenza.:

La. potenza. uscente dali 'albero 2 in assenza. di perdite ovviamente uguale a.


quella. entrante nell'albero 1:

/ \ 3.9 - Perdite di potenza negli ingranaggi cilindrici esterni a denti


diritti
Analogamente per la. ruota condotta. 2 si avr:
C2

=F rh = Fr2 cos .,J = -Fmz2


2

Le perdite di potenza. meccanica in un ingranaggio sono costituite da.


cinque tipi principali:
cos .,J

a.) perdite causate dallo strisciamento dei denti a contatto;

90

91

b) perdite dovute all'imperfetto rotolamento dei profili su un sottile strato


elastoidrodinamico di lubrificante prodotto dall'azione dei denti durante
l 'ingranamento;
c) perdite nei supporti;
d) perdite per effetto ventilante;
e) perdite causate dai piccoli urti che si sviluppano fra due denti che vengono
a contatto in presenza di giochi o di errori di intaglio dei denti.
Per ci che riguarda le perdite causate dallo strisciamento dei denti a
contatto, si deve considerare che la forza scambiata fra i denti possiede due
componenti: una normale alla superficie del dente e una ad essa tangenziale
ed avente inoltre la direzione della velocit relativa tra i due denti. La velocit

ad esso accoJlpiato. Dall'equazione di equilibrio alla rotazione della ruota l


attorno al punto 0 1 si ha:

D'altra parte la forza tangenziale FT pari a


di attrito, per cui:

"t FN,

essendo f il coefficiente

(2.48)

Sulla ruota 2 agiscono la coppia resistente C2 e le 'forze F,Z. e FJ..,


uguali e opposte a FT e FN, che il dente della ruota (l) esercita su quello
della ruota (2). Scrivendo ora una equazione di equilibrio alla rotazione della
ruota (2) attorno al punto 0 2 si ha:

da cui si ricava:
(2.49)

Eguagliando ora le (2.48) e (2.49) si ottiene:

c2

r2cost9-f(r2sint9+x)

cl= rlcost9-f(rlsint9-x)

Fig. 64 - Forze scambiate tra i denti di due ruote dentate cilindriche esterne a denti
diritti in presenza di attrito

da cui si ricava l'espressione del rendimento:

relativa V,. del dente della ruota 2 rispetto a quello della ruota l nel punto
c~edlcontatto?--- e-;pressa, come8lfgi visto-;- da:-----

(2.50)

C2w2

= -W-1 = -C-1w-1 =

l -

f (tg t9 + ~)
r cos v

-----;(,..------'
'---+)1- f
_x2

tg t9 -

Vr = (w2- wl) 1\ (P- C)


ed il suo modulo vale:
Vr

W2
TJ

= (w2 +wl) x

dove x rappresenta la distanza del punto P dal punto C. Si consideri ora


la ruota 1: supponendo per semplicit che nell'accoppiamento in esame vi sia
una sola coppia di denti in presa, sulla ruota l agiscono la coppia
e le
forze FN e FT che il dente della ruota 2 trasmette al dente della ruota l

cl

r1 cos t9

ll rendimento TJ ovviamente pari a l se f = O, ma anche pari a l per


x = O, ossia quando il punto di contatto tra i due profili coincide col centro
di istantanea rotazione nel moto relativo: solo in questa condizione infatti la
velocit di strisciamento relativa tra i due profili a contatto nulla.
L'espressione del rendimento sopra ricavata valida durante la fase di
accesso, quando cio il punto P interno al segmento I 1 C; durante la fase
di recesso, ossia quando il punto P interno al segmento CI 2 , bisogna
tener presente che la velocit relativa, e quindi la forza tangenziale, sono di

i
l

92

"

verso opposto rispetto al caso precedente. Seguendo un ragionamento analogo


a quello ora esposto, si ricava per il valore del rendimento nella fase di recesso
l 'espressione:

93
costituito da una ruota dentata interna e da una ruota dentata esterna, di
diametro minore.

1+/ (tg{}-~)
r2 cos v

(2.51)
fJ

+f

(tg{} + ~)
r 1 cos v

espressione strutturalmente identica a quella ricavata per la fase di accesso.


Si pu tuttavia osservare che, a parit di distanza del punto di contatto
fra i denti dal punto di contatto C fra le primitive, il rendimento della
trasmissione in fase di recesso leggermente superiore a quello in fase di
accesso.
Le espressioni del rendimento medio durante l'ingranamento dipendono
dalla lunghezza del segmento dei contatti. Indicando con la e lr le lunghezze
del segmento dei contatti in fase di accesso e di recesso, si ha la seguente
espressione del rendimento medio di un ingranaggio, in base alle sole perdite
di attrito:
(2.52)

(/a+ lr)-

fJm

ftg{}(la -lr)- f(l~

+ t;)/2r2cos{}

= (la+ lr)- ftg{}(la -lr) + f(l~ + I;}/2rx cos{}

Questa relazione pu essere semplificata con qualche approssimazione ottenendo la formula di Poncelet:
(2.53)

Le perdite per attrito costituiscono la parte principale delle perdite in


un ingranaggio a denti diritti a bassa velocit sottoposto a un carico elevato.
Ad elevate velocit le perdite causate dagli urti -e le perdite di rotolamento
acquistano una importanza predominante, soprattutto se i carichi non sono
rrol t o al ti.
\

(\ 3.10 - Ruote dentate cilindriche interne a denti diritti


Le ruote dentate cilindriche interne, del tutto simili a quelle esterne,
si differenziano da queste in quanto i profili dei denti si presentano in esse
concavi anzich convessi. La Fig. 65 illustra un ingranaggip interno, che

Fig. 65- Trasmissione del moto mediante ruote dentate interne; c1 , circonferenza
di troncatura; cJ, circonferenza di fondo; cp, circonferenza primitiva; p,
passo; i, interasse; {}, angolo di pressione

Per ruote interne l'ampiezza del segmento dei contatti evidentemente


sempre determinata dalle intersezioni delle due circonferenze di troncatura con
la retta d'azione, anche se in questo caso (Fig. 66), a differenza di -quanto si
verifica per ruote esterne, i punti di tangenza h. e ! 2 della retta d'azione con
le circonferenze fondamentali si trovano dalla stessa parte rispetto al punto di
contatto C fra le circonferenze primitive. Per tale ragione, ricordando quanto
si esposto nel paragrafo precedente circa il fenomeno dell'interferenza, si
in grado di affermare che in una coppia di ruote dentate interne pu esistere
interferenza solo nella fase di accesso, mentre nella fase di recesso il contatto
tra i denti delle due ruote risulta sempre corretto qualunque sia la dimensione
della troncatura del pignone. Ciononostante, a parit di valori delle grandezze

94

95

geometriche caratteristiche dell'accoppiamento, il minimo numero di denti


ammissibile onde evitare interferenza risulta maggiore per le ruote interne
rispetto a quello delle corrispondenti ruote esterne in quanto nel primo caso il
punto di intersezione A (Fig. 66) pi vicino al punto limite h di quanto
non lo sia nel secondo.

n rendimento di un ingranaggio interno, considerando le sole perdite


di attrito, esprimibile mediante la formula di _Po11celet (2.53), leggermente
modificata:
(2.54)

1J

111 11(Z2+J2)
f
la + lr

-1----m2 r1
r2

_a _ _
r

~: 3.11 - Ruote dentate cilindriche a denti elicoidali


,,

\
Fig. 66- Segmento dei contatti per una coppia di ruote dentate interne

Per determinare il numero minimo di denti necessario a evitare l'interferenza in una coppia di ruote dentate interne sufficiente seguire un procedimento analogo a quello esposto nel caso di ruote dentate esterne nel paragrafo
- 3.8, considerando la condizione in cui il punto A coincide con il punto limite
h (Fig. 66). Si perverr pertanto alla relazione:

relazione che fornisce il valore del numero minimo di denti ammissibile per il
pignone.

Quando si trasmette il moto sfruttando accoppiamenti costituiti da


ruote dentate cilindrich_e~a;.,_<lentL diritti, si osserva che, og_!!L9J.tal:volta inizi~-~- termin!'L il C()n~atto tra una ~.Op.Ria di_4enti, si origina un _:rnutame!lto~lla distrih_uzio~e del carico fra tutte le C()ppie _di denti in presa: Poich tale
va.riazjone avviene in modo estremamente_.rap!do, soprattutto qu~J:!dg_~i-~l_l.o
rJlev_a:n.Ji i_ giochi frai__dellt1 chiaro ~~~t 9-ur~te il funzionamento delhi. -asmissione, l'accoppiamento diventa fonte .di~rumori e di vibrazioni di sensibile
eP.tit. Per ridurre questi fenomeni dunque ne<;essario che le variazioni della
distribl}.zione del carico fra i denti in presa avvengano in forma graduale e non
repentina.
Un primo modo per attenuare queste
variazioni istantanee del carico sui denti in
presa si realizza adottando ruote dentate a
denti diritti a scalini (Fig. 67). In esse il
dente viene suddiviso, nel senso della lunghezza, in n parti, che vengono a loro volta
ruotate l'una rispetto all'altra di una quantit pari a p/n, ove con p si indicato
il passo della dentatura originaria. Cos facendo, oltre ad avere sempre un numero maggiore di denti in presa, si riducono notevolmente le variazioni di carico sui denti durante la fase di contatto ed in effetti le ruote
Fig. 67 - Realizzazione di ruo-dentate a scalini offrono un funzionamento
ta dentata a scalini
pi silenzioso di quello realizzabile dalle ruote
dentate a denti diritti.
Ciononostante. le __r~u_o_t~ dentate a s~a}ini_ tr_ovano poco riscontro nelle
applic~zioni tecniche; nella pratica infatti hanno grand~ -diffusione-le" ruote"
dentate elicoidali ad assi paralleli_ (Fig. 68), c~ e da quelle a scalini derivano

96

97

quando si facciano tendere ad infinito le n suddivisioni del dente nel senso


della sua. lunghezza.. Infatti, se si ruotano di una quantit infinitesima. una rispetto a.ll'altra.le infinite sezioni della ruota si ottiene una superficie elicoidale del dente della ruota medesima. Analizzando ora la ruota da
un punto di vista geometrico, si pu
considerare l,a _supe.rfcie __ elicoidale
del dente, dente che in ogni sezione
perpencicol~~e _a.ll'asse della ruota.
mantiene la sua forma ad evolvente.
_di circonferenza, generata. non pi_
d~ una _!'~~ta._-R~iailel_g,_~I.:.asse_ della
rl!ota. giacente su un piano generatore IT 9 che rotola senza strisciare
sul cilindro fonda.mentale.(Fig. 69a.),
bens da una retta giacente nello
stesso piano ma inclina.ta..dLun certo_
a!lg()lO f3 risp~tto all'asse della..moFig. 68 - Ingranaggio elicoidale: a) ruota
ta. stessa (Fig. 69b ). L'intersezione
motrice; b) ruota condotta

della su;erficie del dent<:_~<:onJl.cilindr_ fon_d~ment<1liu:isult~di_coi!:seguenza


e;sere~i.:n'elica~con fndlnazfne sull'asse della. ruota pari a /3. _Qr.a~d'al
tro ca.ntevidente che l'inters~~ione della superficie -del den~on il cilindro
prl!!J.lt!Y?, pur essendo-s~mpre- r~ppresent~ta. d~ un'~lica, possiede un angolo
di inclinazione rispe~to all'asse della ruota diverso da f3 in quanto il ra,ggig
del cilindro primitivo maggiore di quello del cilindro fondamentale. Infatti,
indicando con Pe il passo assiale dell'elica, passo che mantiene evidentemente
inalterato il suo valore sia p~r l 'elica individuata dal cilindro fondamentale,

~D

l.

P,

.l

Fig. 70 - Relazione fra gli angoli di inclinazione dell'elica sul cilindro fondamentale
(/3) e su quello primitivo (a)
di raggio r1 , sia per quella individuata dal cilindro primitivo di raggio 1, si
deve avere (Fig. 70):
2ir1' = Pe tg a
{

2ir 1'j

= Pe tg /3

da cui:
tg f3

= _j_ tg a
1'

1'

e da cui in definitiva, ricordando che r1 =


valore dell'angolo di pressione, si ottiene:
(2.55)

Fig. 69 - Generazione dei denti con profilo ad evolvente di una ruota dentata a denti

diritti (a) e a denti elicoidali (b)

tg /3

cos {) ove con {) si indichi il

= tg a- . cos {)

Si noti inoltre che, essendo i denti delle due ruote dentate generati da una
stessa retta solidale al piano generatore TI 9 nel suo moto di rotolamento senza
strisciamento sui due cilindri fondamentali, le eliche dei denti di due ingranaggi
elicoidali ad assi paralleli hanno uguale angolo di inclinazione ma. versi di

98
avvolgimento opposti; cos, ad esempio, se l'elica di una ruota destrorsa,
l'elica dell'altra risulta sinistrorsa (si veda a questo proposito la Fig. 68).
Anche per le ruote dentate elicoidali, cos come per quelle a denti diritti,
al tendere del raggio della ruota a infinito, si ottiene una ruota dentata limite,
detta ancora dentiera, i cui denti sono inclinati dell'angolo Q sul piano primitivo. La Fig. 71 illustra chiaramente quali siano le grandezze fondamentali
caratteristiche della dentiera di una dentatura elicoidale ad evolvente di circonferenza. In essa il piano primitivo rappresentato dal piano n, mentre

99
zione col pian~ primitivo n data dal segmento SQ inclinato dell'angolo
Q
rispetto a SP. Tenendo presente che l'angolo compreso fra i piani n e
n9 pari all'angolo di pressione tJ, si ottiene:

P R S P tg {3
{ PQ=SPtgQ

Essendo inoltre:
PR

= PQcos{}

si ottiene in definitiva la relazione:


tg {3

= tg a cos tJ

relazione del tutto identica. alla (2 .55), che peraltro era. stata ricavata mediante
altre considerazioni di cara.ttere geometrico.
Le relazioni esistenti tra. passo, raggio e numero dei denti della ruota
sono uguali a quelle gi viste per le ruote denta.te a denti diritti. Si avr
pertanto, con la simbologia sin qui adottata:

= 2;r r 1
p:::2 = 2;r

pz1

7'2

W2

7'1

Zl

WJ

7'2

:::2

r=-=-=Nelle ruote dentate elicoidali di solito conveniente riferirsi alle grandezze misurate in direzione normale all'elica primitiva del dente. Cos, accanto
all'angolo di pressione {} nel pia.no frontale (piano perpendicolare all'asse della
ruota), si considera l'angolo di pressione vn formato dalla superficie del dente
e dalla direzione radiale nel piano normale ali 'elica. primitiva (Fig. 72).
b)
Fig. 71 - Grandezze geometriche caratteristiche della dentiera di una dentatura elicoidale a evolvente di circonferenza

con n9 indicato il piano generatore il cui moto origina la superficie del


dente. Nel caso della dentiera il cilindro fondamentale degenera ovviamente
in un piano ed il punto di tangenza tra il piano generatore n9 e quello fondamentale (non rappresentato in figura) si trova all'infinito. Pertanto il moto di
rotolamento senza strisciamento del piano generatore su quello fondamentale
si riduce ad una tra.slazione in senso normale alla giacitura di n9 La retta
generatrice del dente rappresentata in Fig. 71 dal segmento SR, inclinato
dell'angolo /3 rispetto al segmento SP, intersezione dei piani n e n La
9
superficie del dente quindi rappresentata dal piano TNSQ, la cui interse-

~--

Fig. 72- Grandezze carat.t.eristiche nel piano normale ed in quello frontale

100

101

Considerando la Fig. 72 a, si ha:

YZ
{

= XY tg iJ

YT = XY tg iJn
YT

stesso e che tale condizione si mantiene fino a quando il punto di contatto nel
piano frontale di estremit. non coincide col punto M, punto in cui i due denti
iniziano a disimpegnarsi per sciogliere poi definitivamente il loro contatto nel
punto K.

= Y Z cosa

e pertanto tra gli angoli di pressione normale e frontale sussister la relazione:


(2.56)

tg iJ n = tg iJ COS Q'

La distanza tra due denti successivi misurata lungo il cilindro primitivo


in un piano normale all'asse della ruota (piano frontale) per definizione il
passo p (o passo frontale o trasversale) della dentatura. La distanza fra
due denti successivi, sempre misurata sul cilindro primitivo, ma in un piano
normale alla superficie del dente (Fig. 72 b), rappresenta il passo normale Pn
della dentatura. Tra passo normale e frontale (trasversale) sussiste la semplice
relazione, ricavabile dalla Fig. 72 b:
p,= p

COSQ'

Si gi avuto modo di osservare nel caso di ruote dentate cilindriche a


denti diritti che, per ogni sezione normale alle ruote, il contatto tra i denti
avviene lungo un tratto della retta d'azione compreso fra le troncature delle
ruote medesime. Anche nelle ruote dentate cilindriche a denti elicoidali, essendo il profilo dei denti sempre ad evolvente, il contatto avviene, in ogni
sezione, in punti appartenenti alla retta d'azione; in tal caso per, risultando
il dente inclinato rispetto all'asse della ruota, il contatto non si realizza pi
contemporaneamente su tutta la lunghezza del dente stesso, ma inizia in un
punto di una delle due sezioni di estremit per poi estendersi successivamente
in modo graduale a tutta la lunghezza del dente (Fig. 73). chiaro che,
per come stata generata la superficie del dente della ruota, la caratteristica
(o linea di azione), costituita dalla intersezione tra il dente ed il piano dei
contatti (piano tangente ai due cilindri fondamentali) rappresentata da una
retta inclinata dell'angolo (J sull'asse della ruota. Nel piano dei contatti i
segmenti H L e M f( altro non sono che le tracce delle intersezioni dei cilindri
di troncatura delle due ruote con il piano stesso; supponendo dunque che i
denti delle due ruote vengano inizialmente a contatto nel punto H, si pu
ossenare (Fig. 73) che in seguito il contatto si estende ad una zona sempre
pi ampia del dente finch, quando il punto di contatto nella sezione frontale
si spostato da H a J, il contatto avviene su tutta la lung\1ezza del dente

Fig. 73 - Piano dei contatti per una coppia di ruote dentate cilindriche
a denti elicoidali

Per calcolare il numero di denti in presa nelle ruote elicoidali si deve


ora osservare che l'effettiva lunghezza del segmento dei contatti fornita,
sulla base di quanto sopra esposto, da:

Dividendo oe per il passo misurato sul cilindro fondamentale si ottiene il


valore del numero di denti contemporaneamente in presa dalla:
Zp

=p

o
COS

b tg fJ

'IJ

+ p COS 'IJ

dove il primo termine .a secondo membro rappresenta il numero di denti in


presa che si avrebbe per una coppia di ruote dentate a denti diritti delle stesse
dimensioni di quelle a denti elicoidali, per le quali bisogna considerare in pi
il termine aggiuntivo btg(Jjpcos?J.
Per determinare invece il numero di denti necessario a evitare l'interferenza nel caso di un accoppiamento tra due ruote dentate cilindriche a denti
elicoidali occorre innanzi tutto procedere ad alcune osservazioni concernenti
la geometria delle ruote medesime. In primo luogo occorre ricordare che il

1-

102
profilo del dente di una ruota dentata elicoidale mantiene in ogni sezione effettuata con un piano frontale (piano normale all'asse della ruota) la forma di
una evolvente del cilindro fondamentale. Tale propriet d'altro canto perde la
sua validit quando si consideri una intersezione della superficie del dente con
un piano normale all'elica primitiva; in questo caso infatti il profilo del dente
non coincide pi esattamente con un profilo ad evolvente e l'intersezione del
piano normale con il cilindro primitivo non pi rappresentata da una circonferenza, ma da un'ellisse (Fig. 74) avente semiassi, a= r/ cosa, b = r e
la circonferenza osculatrice dell'ellisse nel punto C, ossia la circonferenza di
curvatura uguale a quella deli 'ellisse in C, ha un raggio R pari a:
a2

7'

__!_---!l
d. '

t
-!

'~

21

,/

/\ \ 1

/
/

/
('

/
/

/
/

viduato dal moto di rotolamento senza strisciamento di un cilindro primitivo


rispetto all'altro, ed essendo inoltre l'angolo a di inclinazione dell'elica solitamente abbastanza piccolo, lecito rappresentare, con buona approssimazione,
il moto relativo tra le due ruote dentate con un moto di rotolamento senza
strisciamento tra due cilindri aventi asse inclinato di un angolo a rispetto
al! 'asse della ruota dentata elicoidale e raggio pari al raggio della circonferenza osculatrice. In altre parole l'ingranamento effettivo fra i denti delle due
ruote elicoidali approssimabile all'ingranamento che si avrebbe, in un piano
normale ai denti in presa, tra due ruote dentate a denti diritti aventi raggi
R1 = rd cos 2 a e R2 r2/ cos 2 a, angolo di pressione 'l'ln (poich ci si trova
ora nel piano normale) e numeri di denti pari a:
.

= b = cos 2 a
//

103

Essendo il moto delle due ruote dentate a denti elicoidali completamente indi-

ZJ

2R2
mn

z2

z 2 = - = -3 -

cos a
I numeri di denti zj e z2 sono detti numeri di denti fittizi delle due ruote
dentate equivalenti a denti diritti. Ora, essendo il proporzionamento delle
ruote dentate elicoidali eseguito secondo le norme modulari ed in base al valore
del modulo normale, le formule ricavate per il calcolo del minimo numero
di denti per ruote dentate a denti diritti sono ovviamente valide quando si
considerino le due ruote dentate equivalenti e possono di conseguenza essere
utilizzate, con la stessa approssimazione, per il calcolo del minimo numero di
denti di una ruota dentata elicoidale. Infatti, noti i valori di r e di {)n si
determina dalla (2.47), e dopo aver posto in essa {) = 'l'ln, il valore z;;,in del
numero di denti minimo fittizio della ruota dentata equivalente. L'effettivo
numero minimo di denti della ruota elicoidale sar di conseguenza fornito da:
Zmin

Fig. 74- Ingranamento nel piano normale, e: ruota dentata elicoidale; d: ruota dentata equivalente a denti diritti; s: ellisse intersezione della ruota elicoidale
col piano Z-Z; o: circonferenza osculatrice

2Rl

= mn = cos3 a

= z;;,in

COS

Q.

Per la determinazione della forza scambiata, in assenza di attrito, tra


i denti in presa di una coppia di ruote dentate elicoidali si possono seguire
due diversi procedimenti. Il primo consiste nel considerare la forza nel ~piano
IT 9 tangente ai due cilindri fondamentali (Fig. 75). Infatti, poich le superfici
dei denti delle due ruote sono normali al piano II 9 , in quanto evolventi dei
due cilindri fondamentali, la forza scambiata tra i denti giace necessariamente
nel piano II 9 ed irtoltre normale alla retta generatrice inclinata dell'angolo
f3 rispetto all'asse delle ruote. La forza scambiata F ha pertanto due
componenti: una componente A diretta secondo l'asse delle ruote e una
componente H' situata nel piano normale all'asse delle ruote, di intensit:
A= Fsin/3
{ H'= Fcos(3

104

105

Inoltre la componente H' a sua volta scomponi bile in una componente


radiale R ed in una tangenziale Q situata nel piano II tangente ai cilindri
primitivi. Pertanto, la forza scambiata tra i denti delle ruote dentate cilindriche a denti elicoidali pu essere rappresentata con l'ausilio di tre componenti:
una tangenziale, una radiale ed una assiale di intensit rispettivamente pari

a:

Q= Fcos{3cos'IJ
(2.57)

{ R = F cos {3 sin 'IJ


A= Fsin{3

Fig. 76 - Scomposizione della forza scambiata fra i denti di due


ingranaggi elicoidali

Delle tre componenti in cui stata scomposta la forza scambiata fra i


denti, l'unica a fornire momento rispetto all'asse delle ruote la componente
tangenziale Q. Scrivendo una equazione di momento rispetto all'asse della
ruota l, si ricava pertanto l'espressione della coppia agente, espressione fornita
da:
C1
Fig. 75 - Determinazione della forza scambiata fra i denti di due ruote
dentate elicoidali

Ad un identico risultato si pu giugere osservando che, essendo la forza

f, in assenza di attrito, normale alla superficie del dente, essa deve giacere
nel piano normale e pu quindi essere scomposta in una componente radiale
R e in una H" situata nel piano tangente ai due cilindri primitivi (Fig. 76)
di intensit pari a:
R= Fsin'IJn

{ H"= Fcos1Jn
La forza H" pu essere a sua volta scomposta in una componente assiale A
ed in una tangenziale Q, per cui si ottiene in definitiva:
Q= F COS 'IJn COSO:
(2.58)
{ A = F cos 'IJn sin a
R= Fsin'IJn
Le (2.57) e (2.58) devono evidentemente essere uguali tra loro ed infatti si possono trasformare l'una nell'altra tenendo presenti le relazioni (2.55) e (2.56).
l

=Qr1 =F11 cos {3 cos .,'}

Nel caso in cui sia nota la coppia motrice agente su una ruota, si in grado
di calcolare le componenti Q, R ed A della forza agente sulla ruota stessa
mediante le relazioni:

Q=

c1
7'1

= C1 tg 'IJ = C1
r1

r1

tg 'IJn
cosa

c1 tgf3 c1
A = - - - =-tga
7'1 cos 'IJ
r1

Se ora nelle (2.57) o (2.58) si pone a = {3 O e 'IJ = 'IJn si ritrovano


ovviamente le espressioni delle componenti della forza scambiata fra i denti
di ingranaggi cilindrici a denti diritti, nei quali la componente assiale evidentemente nulla. Questa componente infatti nasce esclusivamente per effetto
dell'inclinazione del dente ed sempre diretta nel senso di allontanare i due
ingranaggi in direzione assiale.
Per annullare la spinta assiale, o quanto meno ridurla a un valore molto
piccolo, vengono costruite ruote dentate elicoi.dali a freccia formate da due

106

parti uguali aventi inclinazioni di elica opposte e che quindi, neli 'ipotesi di
distribuzione uniforme del carico tra le due parti, danno origine a forze a:ssiali
uguali ed opposte, raggiungendo cos l'obiettivo prefissato di equilibrio della
ruota dentata in direzione assiale.
La figura 77 illustra un ingranaggio costituito da una coppia di ruote
dentate elicoidali a freccia per la trasmissione di una potenza di 6000 k W ad
una velocit angolare compresa fra 400 e 1500 giri/min.

107
stessi ovviam'ente nulla.

Fig. 78 - Ingranaggio conico

Fig. 77- Ingranaggio con ruote dentate elicoidali a freccia (O.T.G., Milano)

) ( 3.12 - Ruote dentate coniche a denti diritti


Le ruote dentate coniche vengono utilizzate per trasmettere il moto tra
assi concorrenti (Fig. 49 b). Come nel caso di tramissione tra assi paralleli
si era ricavato che le superfici primitive del moto erano rappresentate da due
cilindri, cos nel caso di trasmissione del moto tra assi incidenti si pu dimostrare, seguendo lo stesso tipo di ragionamento a.llora svolto, che le superfici
primitive altro non sono che due coni aventi angoli di apertura 'Pl e '-P 2
(Fig. 79). Il moto indiYiduato da due ruote dentate coniche pertanto schematizzabile in quello di due coni che ruotano attorno ai propri assi e che sono
a contatto secondo una generatrice lungo la quale la velocit relativa tra i coni

Fig. 79- Coni primitivi di una coppia di ruote dentate coniche

n valore del rapporto di trasmissione facilmente determinabile con


alcu~e semplici considerazioni cinematiche. Infatti la velocit V del punto
P d1 contatto fra i due coni data da:

109

108

piano che rotola senza strisciare su un cono fondamentale (Fig. 80). Sia infatti
:B il piano tangente al cono fondamentale e OI la generatrice d contatto
tra piano e cono; se si fa rotolare senza strisciare :B sul cono fondamentale, i
punti della retta OI solidale al piano descrivono una superficie a evolvente,
detta evolvente sferica.

Ma d'altro canto si ha (Fig. 79):

e di. conseguenza:
r1
r2

w2

(2.59)

sin <p1
sm <p2

r=-=-=-.-W!

Essendo inoltre la somma degli angoli di apertura dei due coni pari all'angolo
'lj; compreso fra i due assi:
'lj;

= <pj + <!'2

si in grado di calcolare il valore degli angoli di apertura <p1 e <!'2 dei due
coni una volta che siano noti, come normalmente accade, i valori dell'angolo
'lj; e del rapporto di trasmissione r, utilizzando le:
tg <pj

=l

t g<p_ry

____
____
_
o
-

sin 'lj;

-T + cos'lj;

(2.60)

eh \

l
__\,_

sin 'lj;
r+cos'lj;

\
l

\l
l

1
l

l
l

Fig. 80 - Generazione dei profili dei denti in una ruota dentata conica

Come per le ruote dentate ad assi paralleli, cos anche per le ruote
coniche il profilo dei denti universalmente adottato quello a evolvente, ed in
questo caso l'evolvente quella descritta dai punti di una retta solidale ad un

'

Fig. 81 - Coni primitivi e fondamentali nell'ingranamento tra due dentate coniche

Per meglio comprendere come le ruote dot.ate di denti ad evolvente sferica (Fig. 81) soddisfino alle condizioni indicate nel 3.3 per la costanza del
rapporto di trasmissiorte, si considerino ora i due coni fondamentali eh e eh
aventi i vertici coincidenti in O. Durante il loro moto solo il punto comune
O mantiene fissa la sua posizione nel tempo; la trasmissione del moto tra i
coni costituisce dunque un caso di moto sferico e pertanto le loro intersezioni
con una sfera S di centro O individuano due circonferenze f 1 e f 2 che,
pur muovendosi, si mantengono costantemente sulla sfera. Se si considera il
piano 2:: tangente comune ai due coni fondamentali eh e eh si osserva

111

110

che la sua intersezione con la sfera del moto rappresentata da una circonferenza r tangente alle circonferenze rl e r2 nei rispettivi punti h e 12.
Se ora si fa rotolare senza strisciare il piano I: sull'uno e sull'altro dei due
coni fondamentali, un punto della circonferenza r descrive delle evolventi
sferiche e1 ed e2 delle circonferenze f 1 e r 2 , e la normale in un punto
generico P ad una delle due evolventi, ad esempio eh altro non che un
arco della circonferenza r tangente a r 1 nel punto 11 Poich la normale ai
profili di due denti deve coincidere quando questi vengono a contatto, risulta
che, analogamente a quanto si visto per gli ingr~naggi cilindrici, il punto
di contatto p tra i denti si trova lungo l'arco hl2 della circonferenza r
tangente comune~ r 1 e r 2 e, mentre i due coni fondamentali ruotano, P
si sposta lungo hi2 L'intersezione C tra. la congiungente i punti V1 e V2 ,
punti intersezione tra gli assi e la sfera del moto, e la normale alla superficie
dei denti allora un punto fisso e ci soddisfa, come si voleva dimostrare, alla
condizione necessaria ad ottenere un rapporto di trasmissione costante. La
retta CO congiungente il punto C ora determinato con l'origine dei due coni
fondamentali individua pertanto la generatrice tangente comune dei due coni
primitivi del moto. Se ,J l'angolo compreso fra la tangente alla circonferenza r nel piano I: e la tangente comune alle intersezioni dei coni primitivi
con la sfera del moto, si possono ricavare. in base af alcune considerazioni di
trigonometria sferica, le seguenti relazioni:

all'esterno ed all'interno da due coni detti rispettivamente di troncatura ( 0


di testa) e di fondo (o di piede); esso viene inoltre delimitato nel senso della
lunghezza da due coni aventi generatrici perpe1idicolari a quella del cono primitivo e detti pertanto coni complementari. Ne consegue che in una ruota
dentata conica l'altezza del dente, e cos l'adqendum ed il dedendum, crescono al crescere del~a distanza del vertice O. Per convenzione si assumono
per i valori del diametro del cono primitivo, dell'addendum, del dedendum e
dell'altezza del dente, quelli corrispondenti alla sezione esterna del dente (ossia
quelli di dimensioni maggiori) e nel proporzionamento modulare si adottano
per il dente gli stessi valori di addendum e dedendum delle ruote dentate cilindriche a denti diritti, rispettivamente pari al modulo e ai .5/4 del modulo
stesso.

sin Xl == sin <P l cos ,J


{ sin X2 = sin <;>2 cos fJ
dove con X1, X2, cp 1 e 'P2 si sono indicate rispettivamente le aperture dei
coni fondamentali e dei coni primitivi delle due ruote.
Come si pu notare, tutte le considerazioni ora svolte sono analoghe
a quelle a suo tempo effettuate per le ruote dentate cilindriche e pertanto,
evitando di ripetere in ogni dettaglio il ragionamento allora seguito, si potr
senz'altrg affermare che anche le ruote dentate coniche, sebbene costruite per
funzionare con certi coni primitivi ben definiti, detti nominali, mantengono un
funzionamento corretto con rapporto di trasmissione costante e pari a quello
voluto anche quando gli assi delle due ruote subiscono spostamenti di piccola
entit dalla loro posizione nominale. In tal caso infatti i due coni fondamentali
restano inalterati, mentre variano soltanto i due coni primitivi e l'angolo ,J
compreso tra la tangente comune ai due coni primitivi e la tangente nel piano
I: alla circonferenza r.
Le dimensioni geometriche caratteristiche di una ruota dentata conica
sono indicate nella Fig. 82. Come si pu osservare, il dente risulta limitato

Fig. 82 - Dimensioni e grandezze caratteristiche di una ruota dentata conica: a :::::


addendum; d. = dedendum; h = altezza del dente, b = larghezza del dente'
cp = an~o l~ d. 1 apertura; C; = cono di fondo; Ce = cono di tronca.tura; Cp =
cono pnmtttvo; Cc = cono complementare; D = diametro primitivo; De
diametro esterno; l = lunghezza del cono

Nei calcoli relativi alle ruote dentate coniche, in particolar modo nel
calcolo delle forze scambiate fra i denti, tuttavia pi opportuno riferirsi alla
sezione media del tronco di cono in cui avviene l'ingranamento fra i denti.
Quando l'angolo

cp

di apertura del cono primitivo diventa. retto, il

112

113

.l.

cono stesso si trasforma in una superficie piana e la ruota conica corrispondente detta ruota dentata piano-conica (Fig. 83); essa rappresenta per gli
ingranaggi conici il corrispondente della dentiera di quelli cilindrici. Per essa,
se '!9 l'angolo di pressione, l'angolo di apertura del cono fondamentale vale
naturalmente 1rj2- '!9 (Fig. 83 a) ed i suoi denti inoltre sono diritti, ossia l'intersezione del profilo del dente con un piano perpendicolare a quello primitivo
un segmento. diretto in senso radiale (Fig. 83 b).

tivi con la sfera del moto pu essere approssimato dal moto di rotolamento
senza strisciamento, nel piano tangente alla sfera del moto, di due circonferenze di raggi:
7'1
r2
Pl=-- e P2=--.
cos 'Pl

cos '?2

a)

. . --t--..
. ...'

l'

TT

....

/"""

',\

~L_
\

'

l c

' '.... ....

---,'

---t-,..

..... ....

b)

',,
\

.
l
.

r
cos tp

j
l

{1

/'

Lo studio dell'ingranamento tra i denti di due ruote dentate coniche e


la determinazione del numero minimo di denti necessario a evitare l'interferenza possono essere effettuati in modo rigoroso considerando l'ingranamento
tra i profili dei denti sulla sfera del moto. Questo studio si presenta per
notevolmente complesso e perci si ricorre normalmente alla approssimazione
di Tredgold che consiste nel sostituire alla sfera del moto, in corrispondenza
di un punto generico P e per il piccolo tratto corrispondente all'altezza del
dente, il piano ad essa tangente (Fig. 84). Questo piano, avente traccia PQ
nel piano della Fig. 84 a, interseca il cono primitivo C secondo una conica
che in P possiede un raggio di curvatura pari a:

\,

' ' ' . . . . . . __ +


l __ . . . . "/

Fig. 83 - Ruota dentata piano-conica: a) generazione dei denti; b) aspetto dei denti
della ruota

bl

...............

..

\
-y--- s -:----)
i

~
\

------

/// L"\
_.,..,....

Fig. 84 - Tl:acciamento approssima.to dei profili dei denti di una ruota dentata conica:
a) cono primiti~o .G_ e. piano tangente in P alla sfera del moto S; b)
circonferenza pmmt1va Immaginaria

Queste due circonferenze non sono altro che le circonferenze osculatrici


nel punto P alle coniche intersezioni del piano tangente alla sfera del moto
con i coni primitivi. Ai raggi p1 e p2 viene pertanto dato il nome di raggi
primitivi immaginari e le due circonferenze osculatrici assumono a loro volta
il nome di circonferenze primitive immaginarie.
Indicando ora con m il modulo della. dentatura al raggio corrispondente
al punto P, si otterr per le due circonferenze primitive immaginarie un
numero di denti immaginario dato da:

p=--

Per il piccolo angolo di rotazione corrispondente all'ingranamento fra


una coppia di denti di due ruote dentate coniche, il moto relativo di rotolamento senza strisciamento delle due circonferenze intersezioni dei coni primi-

(2.61)

In definitiva quindi l'ingranamento fra due ruote dentate coniche, aventi numeri di denti .:-1 e Zz e angoli di apertura pari a <; 1 e 2 , approssima.bile

114

115

).

all'ingra.namento fra du~ ruote cilindriche a denti diritti aventi il numero di


denti fornito dalle (2.61). Si noti che per una ruota piano-conica si ha IP2 = 1r /2
e z:; = oo. Si ritrova dunque che la ruota piano-conica corrisponde a una dentiera e che il profilo dei suoi denti di conseguenza un profilo rettilineo.
In base alla (2.61) si ha che alle due ruote dentate immaginarie corrisponde un rapporto di trasmissione immaginario:

zi

z1 cos I{J2

z:i

z2 cos 'Pl

T=-=---

Pr il calcolo della forza scambiata fra una coppia di ruote dentate coniche a denti diritti si considerino i due coni primitivi e il piano tangente nel
punto C alla sfera del moto (Fig. 85). La forza F scambiata tra i denti
delle due ruote dentate, quando il contatto avviene in C, giace nel piano II
tangente alla sfera e pu essere scomposta in una componente tangenziale Q
di modulo Q = F cos '!9 ed in una F', normale a Q, che giace nel piano
tangente ed interseca gli assi, di intensit F' = Fsin !9. Le coppie C\ e C2
agenti sulle ruote vengono equilibrate solo dalla componente Q e pertanto si
avr:

e che il minimo numero di denti fittizio per evitare l'interferenza quindi


esprimibile, con riferimento alla (2.47), mediante la:
l+Jl+r*(2+r)sin 2 !9

zmin

(l+

(2.62)

T2") sin2!9
dove

mentre l'effettivo minimo numero di denti ammissibile dato da:

se con l si indicata la ruota di raggio minore.


Con procedimento del tutto analogo si in grado di calcolare la lunghezza dell'arco d'azione riferendosi a quella calcolabile in una coppia di ruote
dentate cilindriche immaginarie a denti diritti.

---.

........

Yf"-. \
-~

TT

r1 e r2 sono i raggi primitivi medi dei denti delle due ruote.


La componente F' a.gente sulla ruota 1 a sua volta scomponibile in
una componente assiale A1 ed in una radiale R1 di intensit:

A1

= F' sin lfJl = F sin '!9 sini{J1

R1

= F' cos lP = F sin '!9 cos l!'


l

e, in base alle (2.62), si ha in definitiva:

(2.63)

TT

l
Fig. 85 - Forza scambiata fra i denti di una coppia di ruote dentate coniche

ed in modo del tutto analogo possono essere calcolate le intensit delle componenti A2 e R2 agenti sulla ruota 2.
Si osservi infine che le due componenti radiali R1 e R2 sono dirette
nel senso di distanziare le due ruote, mentre le componenti assiali sono dirette
nel senso di sfilare le ruote stesse allontanandole dal centro O.
Poich le ruote dentate coniche, come quelle cilindriche a denti elicoidali,
sono soggette anche a. una spinta assiale, di conseguenza necessario che i
cuscinetti che sostengono gli alberi delle due ruote siano in grado di sopportare,
oltre ai carichi radiali, forze di tipo assiale.

117

116 .
3.13 - Ruote dentate coniche ad asse dente curvo

rotola senza strisciare sui coni fondamentali delle due ruote dentate (Fig. 88).
Le intersezioni della superficie dei denti con la sfera del moto sono di conse-

Le ruote dentate coniche ad asse dente curvo (o ruote dentate coniche a


denti obliqui) (Fig. 86) sono ruote in cui le superfici primitive del moto sono
ancora dei coni, ma l'asse del dente, anzich essere rettilineo, curvilineo.
l

l
l
l

-f->.1.'11-----:+--

(al

lbl

(C)

Fig. 86 - Ruote dentate coniche ad asse dente curvo


(Alfredo Gusti S.p.A., Milano)

(dJ

I vantaggi degli ingranaggi conici a denti obliqui nei confronti di quelli


ad asse dente rettilineo sono analoghi a quelli degli ingranaggi cilindrici a denti
elicoidali, e possono essere riassunti in: aumento della lunghezza effettiva del
segmento dei contatti, gradualit nella variazione del carico su una coppia di
denti in presa, silenziosit del funzionamento.
TI tipo di dentatura proprjo di una coppia di ruote dentate coniche a
denti obliqui definito facendo riferimento alla relativa ruota piano-conica.
Mentre i denti della ruota piano-conica a denti diritti sono segmenti radiali
(Fig. 87a), i denti delle ruote piano-coniche a denti obliqui pi comuni sono:
segmenti di rette tangenti ad una circonferenza (Fig. 87b) nelle ruote dentate
Bilgram, archi di spirale logaritmica (Fig. 87c) nelle ruote dentate Gleason,
archi di circonferenza (Fig. 87d) e archi di evolvente (Fig. 87e).
I profili dei denti di queste ruote dentate, qualunque sia il tipo di asse
dente, sono comunque sempre profili ad evolvente. I denti sono infatti generati
dalla curva (nel caso pi elementare una retta) appartenente, a un piano che

(el

Fig. 87- Ruote dentate coniche ad asse dente curvo: a) a denti diritti; b) a denti
tangenziali; c) aspirale logaritmica; d) ad archi di circonferenza; e) ad archi
di evolvente

guenza sempre due evolventi sferiche. Durante l 'ingrana.mento fra le ruote, i


due denti in presa vengono a contatto lungo la curva generatrice /, che giace
nel piano tangente comlfne ai due coni fondamentali, e detta generatrice si
sposta, nel corso dell'ingranamento, lungo il piano II.

5. JACAZIO-PIOMBO La trasmissione del moto

118

119

anche l'aumen~o dell'arco d'azione dovuto alla forma obliqua del dente: il
passo angolare fra i denti infatti pari a -y, mentre l'angolo formato fra la
fine e l'inizio del dente e:. Quindi, se o l 'angolo formato fra le tracce delle
generatrici di troncatura, il numero di denti in presa dato da:

o+e:

Zp=-')'

L'esame delle forze scambiate fra i denti di una coppia di ruote dentate
conici a denti obliqui risulta abbastanza complesso, sia per il fatto di essere i
denti curvi, sia perch l'inclinazione della curva del dente in genere variabile
da punto a punto, ad eccezione del caso di denti a spirale logaritmica, per
i quali l 'angolo di inclinaiione costante. In essi infatti facendo riferimento
alla ruota piano-conica (Fig. 87c) ed adottando un sistema di riferimento in
coordinate polari con l'origine degli angoli coincidente con un raggio r;, si
ha.:

Fig. 88 - Generazione dei denti di una ruota dentata conica a denti obliqui

La superficie di ingra.namento altro non dunque che una. parte del


piano II tangente comune a.i due coni fondamentali, e risulta. delimitata
dai coni di troncatura esterna e, nel senso della lunghezza, dai coni complementari (Fig. 89). Nella stessa Fig. 89 risulta inoltre chiaramente evidenziato

c,

Fig. 89 - Superficie d ngranament.o in una coppia di ruote dentate coniche ad asse


dente curvo: c1, c2 = tracce dei coni complementari; t 1 , t 2 = tracce dei coni
di troncatura; !1, h
tracce dei coni fondamentali

e l'angolo formato fra la tangente alla curva in un punto generico ed il raggio


corrispondente dato da:
rd'IJ
tg ex= - dr

l
k

= - = costante

Normalmente in questo tipo di ruote dentate si assume per l'angolo a un


valore di 35 .
In tutti gli altri casi, come si visto, l'angolo di inclinazione dell'asse
dente variabile da punto a punto; purtuttavia, data l'estensione relativamente piccola della. superficie di contatto, si pu considerare con buona. approsima.zione che la risultante delle forze scambiate fra i denti passi per il
punto medio M del tratto di generatrice lungo il quale i due coni primitivi
vengono a contatto (Fig. 89).
Come per le ruote dentate cilindriche a denti elicoidali, cos per le corrispettive ruote dentate coniche esistono due modi differenti di scomposizione
della forza scambiata fra i denti. n primo considera la forza scambiata appartenente al piano II tangente comune ai due coni fondamentali. La forza f
scambiata fra i denti pu allora essere scomposta, nel piano tangente comune,
in due componenti: una di intensit A' diretta secondo la tangente comune
OC ai due coni primitivi, e una di intensit F' normale ad essa (Fig. 90).
Si avr pertanto, indicando con (3 l'angolo di inclinazione dell'elica. sul cono
fondamentale:
(2.64)

F' = F cos(3
{ A'= Fsn(3

120

121

una componente tangenziale Q e in una


intensit rispettivamente pari a:

R'

normale a questa. (Fig. 91a.) di

Q = F' cos il = F cos (3 cos il


{ R' = F' sin il = F cos (3 sin il

(2.65)

dove con il si indicato l'angolo di pressione. Delle tre componenti Q, R', A',
solo la Q fornisce un momento in grado di equilibrare la coppia motrice
e di conseguenza:
cl= Qrl.

cl>

Le due componenti R' cd A' danno luogo globalmente a una forza A m


direzione assiale e ad una R in direzione radiale (Fig. 91 b) che valgono:

A
{
Fig. 90 - Scomposizione della forza. f scambia.t.a. fra. i denti nelle componenti .4' e
F'; Cft =cono fondamentale della. ruota. l; cp,cp 2 =coni primitivi delle
due ruote

Sostituendo in queste equazioni le (2.64) e (2.65) si ottiene:

a)

b)

cp,

A = F sin (3 cos so 1 + F cos (3 sin1'J sin so 1


R = - F sin (3 sin so 1 + F cos (3 sin 1'J cos <p 1

Q = F cos (3 cos 1'J

e, introducendo la coppia motrice cl:

Q=
(2.66)

w1 J

jf

c)\
l

\.
\

c1
1'1

A = -c1

cos <r>1 + tg 1'J 5111


.
)
tg {3--_-Q
'P l
cos v

C1
R=-

sill'PI +tg1'Jcos<p )
-tgfj--_
1
cosv0

1'1

r1

Le (2.66) esprimono dunque l'intensit delle forze agenti sulla ruota (l),
supposta motrice, nell'ipotesi che il verso di rotazione della ruota sia orario e
che l'elica sia sinistrorsa (Fig. 90). Se invece l'elica destrorsa, la componente
A' diretta in verso opposto a quello indicato nelle Figg. 90 e 91b, per cui
le (2.66) diventano:

l .

'

= A' cos so 1 + R' sin 'PI

R = -A' sin 'PI + R' cos 'PI

Q=

Fig. 91 - Scomposizione della. forza scambiata. fra i denti di una coppia. di ruote
dentate coniche ad asse dente curvo
(2.67)

La forza f', che si trova a sua volta in un piano ~ tangente alla sfera
del moto passante per il punto medio del dente C, pu essere scomposta in
l

c1
r1

C1 (
COS'P!
.
A=-tgfj--_+ tg{]sm
<p 1)
0

cos v

1'1

= -C1
1'1

sin <r>1 + tg {] cos <p )


tg (3 --{]1
cos

122

123

Analogamente, ne! caso di elica sinistrorsa e verso di rotazione antiorario valida la (2.67), mentre nel caso di elica destrorsa e verso di rotazione
antiorario risulta valida la (2.66). Per la ruota condotta (2), una volta sostituito cp 2 al posto di 10 1 , ci si trova in situazioni opposte alle precedenti.
opportuno quindi, nel caso di ruote dentate coniche a denti obliqui fare
riferimento alla Tab. I che riporta la validit di una o dell'altra espressione
della forza scambiata nei diversi casi possibili di funzionamento.

La componente R' si trova ora in un piano passante per l'asse OZ e


per il punto d di tangenza dei due coni primitivi, mentre F' giace nel piano

TABELLA I- Validit delle espressioni della forza scambiata tra i denti


in una coppia di ruote dentate coniche a denti obliqui

Ruota

Verso di
rotazione

Verso di avvolgimento del dente

Equazione
valida

motrice
motrice
motrice
motrice

orario
orario
antiorario
antiorario

sinistrorso
destrorso
sinistrorso
destrorso

(2.66)
(2.67)
(2.67)
(2.66)

condotta
condotta
condotta
condotta

orario
or ano
antiorario
antiorario

sinistrorso
destrorso
sinistrorso
destrorso

(2.67)
(2.66)
(2.66)
(2.67)

R'

F scambiata fra i denti nelle componenti

M, tangente comune ai due coni primitivi. La componente F' pu quindi


essere a sua volta scomposta in una componente tangenziale Q ed in una
componente A.\ normale a Q, che, come la R', giace nel piano passante
per OZ e per C (Fig. 93a), ottenendo cos:
(2.69)

Q :::: F' cos a- :::: F cos a cos t9 n


{

A'

= F' sin a-= F sin a- cos t? n

dove a- l'angolo di inclinazione del dente sul cono primitivo.


Le due componenti A' e R' danno luogo nel loro complesso a una
componente assiale di intensit A diretta secondo l'asse della ruota conica, e
ad una componente di intensit. R diretta radialmente che valgono (Fig. 93b ):
(2.70)

{ F' = F cos ?Jn

----.

.i

Fig. 92 - Scomposizione della forza


F'ed ii.'

= Fsin ?Jn

----------------~

\\ \'---\ w,
,.....__

Si noti che per due ruote dentate in presa se ad esempio la ruota motrice
possiede una rotazione oraria e un verso di avvolgimento del dente sinistrorso,
quella condotta ruota in senso antiorario ed il verso di avvolgimento dei suoi
denti destrorso. Di conseguenza, se per una delle due ruote vale la (2.66),
per l'altra vale la (2.67).
n secondo metodo utilizzabile per il calcolo della forza F scambiata
fra i denti poggia sulla considerazione che quest'ultima, supponendo r:,empre
di concentrarla al raggio medio, giace in un piano N normale alla superficie
del dente (Fig. 92). In questo piano la forza F pu essere scomposta in una
F' che giace nel piano tangente al cono primitivo ed in una R' normale ad
essa. Indicando con 13n l'angolo di pressione nel piano normale, si ha allora:
(2.68)

ir
.
+---rz:--.'
/

R:::: R'
{

COSyj-

A' sin\01

A = R' sin <; 1 + A' cos cp 1

124

125
ruota (1) sia motrice, ruoti in senso orario ed il verso di avvolgimento del
dente sia sinistrorso. In tutti gli altri casi i segni - e + delle espressioni della
componente radiale e di quella assiale vanno posti come nelle (2.66) e (2.67)
seguendo al solito il criterio indicato nella Tab .. I.

a)
M

3.14 - Trasmissione del moto fra assi sghembi

Come gi indicato nel paragrafo 3.5, possibile trasmettere il moto fra


due assi sghembi mediante una. coppia di ruote dentate ruotanti, rispettivamente, attorno all'uno e all'altro asse. Sempre nel paragrafo 3.5 si visto
che per gli ingranaggi sghembi il moto relativo istantaneo elicoidale e che
conviene riferirsi, per la. descrizione delle ruote dentate, a opportune superfici
di riferimento.
A seconda della disposizione del punto medio di contatto, si hanno diverse forme di ruote che permettono la trasmissione del moto fra due assi con
il rapporto di trasmissione voluto.
Se il punto medio di contatto si trova sulla perpendicolare comune agli
assi delle due ruote si hanno ingranaggi cilindrici elicoidali, costituiti da ruote
dentate cilindriche in cui i denti si avvolgono ad elica attorno ai rispettivi
cilindri di riferimento. Se le ruote dentate che ingranano sono generate per
inviluppo da una ruota ausiliaria esse si toccano in un punto; se invece esse
sono generate per inviluppo diretto esse vengono a contatto lungo una linea.
Le ruote dentate cilindriche ad assi sghembi possono trasmettere il moto
fra due assi formanti un angolo qualsiasi. Se l'angolo fra gli assi di 90 e il
rapporto di trasmissione piccolo, l'ingranaggio viene normalmente chiamato
ingmnaggio a vite.
Se la zona dei contatti fra i denti non interseca la perpendicolare comune
agli assi delle ruote si ha il tipo pi generale di ingranaggio per la trasmissione
del moto fra assi sghembi, detto ingranaggio ipoide.

Fig. 93 - Scomposizione della forza scambiata fra i denti in una coppia di ruote
dentate coniche a denti obliqui

Sostituendo nelle (2.70) le (2.68) e (2.69) si ricavano in definitiva per le


componenti della forza scambiata fra i denti le espressioni seguenti:
Q= Fcosacos11n
R = F sin 11, cos ~l - F sin a cos 11n sin ~l
{
A = F sin 11n sin ~ 1 + F sin a cos 11n cos ~l

Poich l'unica componente a fornire momento rispetto all'asse la


Q=

Q,

si avr:

c1
r1

(2.71)

cl( tg 11n'cos~l
R= -- cos Cl'

1'1

A = -cl
r1

tg Cl' 5111 ~l
o

( tg 1J nsin-191- +.. tg Cl' cos ~l )


cosa

Da queste espressioni, ricordando che, come per le ruote dentate cilindriche elicoidali, valgono le relazioni:
tg (3
{

= tg

tg1Jn

Cl'

3.15 - Ruote dentate cilindriche elicoidali ad assi sghembi

Per descrivere la trasmissione del moto tra due ruote dentate elicoidali
ad assi sghembi conviene procedere nel modo seguente. Si consideri dapprima
la ruota dentata elicoidale l che ruota attorno al proprio asse x- x ed ingrana
con la dentiera D 1 ad essa coniugata (Fig. 9-la). Analogamente si consideri
la ruota dentata elicoidale 2 che ruota attorno al proprio asse y- y. sghembo
ed inclinato dell'angolo ~ rispetto all'asse .r-.r. e che ingrana con la propria

cos 1J

= tg1Jcosa

si possono nuovamente desumere le (2.66). Anche le (2.71), come le (2.66).


forniscono i valori delle componenti della forza scambiata nel caso in cui la

- - - - - - - - - --

--

126

127

dentiera D 2 ; se i versi di rotazione delle due ruote sono quelli indicati nella
Fig. 94a, le due dentiere coniugate alle ruote traslano anch'esse nelle direzioni
indicate in figura. Si osservi infine che i piani primitivi delle due dentiere coniugate in realt coincidono tra loro, ma si muovono in due direzioni differenti.
b)

a)

oppure la rela!lione:
se le eliche hanno versi di avvolgimento
opposti.

(2.73)

a)

b)

Fig. 94 - Schema cinematico della trasmissione del moto fra due ruote dentate elicoidali ad assi sghembi
Fig. 95 - Angolo fra gli assi delle ruote dentate cilindriche ad assi sghembi: a) per
due eliche destrorse; b) per elica l sinistrorsa ed elica 2 destrorsa

A questo punto risulta chiaro che si pu immaginare la trasmissione del moto


tra i due assi sghembi come una successione di tre sequenze: trasmissione del
moto della ruota l alla dentiera D1 ; trasmissione del moto della dentiera D 1
dalla dentiera D 2 ; trasmissione del moto dalla dentiera D 2 alla ruota 2. ora
evidente che per rendere possibile la trasmissione del moto tra le due dentiere
(e quindi quella del moto tra i due assi sghembi) necessario che i denti
delle due dentiere siano tra loro palalleli (Fig. 94b). Solo cos infatti mentre
la dentiera coniugata alla ruota l trasla nella direzione indica.ta, la dentiera
della ruota 2 riesce a traslare nella propria direzione anche se in tale moto le
due dentiere scorrono l'una rispetto all'altra nella direzione individuata dai
loro denti.
!n definitiva quindi si pu affermare che la condizione necessaria per rendere possibile l'ingranamento tra due ruote dentate elicoidali ad assi sghembi
rappresentata dalla condizione di tangenza tra le eliche delle due ruote nel
piano tangente comune ai due cilindri primitivi; ci significa (Fig. 95) che
tra gli angoli di inclinazione delle eliche e l 'angolo compreso fra gli assi deve
sussistere la relazione:
(2.72)

se entrambe le eliche hanno lo stesso verso


di avvolgimento (caso pi frequente),

necessario ora rilevare che nel caso di ruote elicoidali ad assi sghembi
si intendono come cilindri primitivi quei cilindri che sono i primitivi nell'ingranamento con le due dentiere coniugate; in realt, come gi detto, questi stessi
cilindri non rappresentano affatto le superfici primitive nell'ingranamento tra
le due ruote dentate dal momento che, come si visto esaminando il moto delle
due dentiere coniugate, la velocit relativa tra i denti nel punto di contatto
assume sempre un valore finito diverso da zero. d'altro canto chiaro che esiste una ulteriore condizione per rendere possibile l'ingranamento, condizione
che si esprime osservando che il passo delle due ruote dentate in direzione
normale alla tangente comune alle due eliche deve essere lo stesso, e che di
conseguenza il modulo normale mn identico per le due ruote.
:Descritti cos i principi cinematici del moto, questi verranno qui di seguito tradotti nelle corrispondenti relazioni geometriche e cinematiche caratteristiche della trasmissione.
Volendo calcolare la distanza fra gli assi delle ruote si avr infatti
(Fig. 96):
Poich il modulo normale identico per entrambe le ruote, sar:

m1

128

mn/ cosa 1

129
e m2

=mn/ cosa2,

e di conseguenza:

d- ffin
- 2

(---2_
+ ~)
cos
cos
a1

a2

La velocit di strisciamento data invece da


modulo vale quindi, con riferimento alla Fig. 97:

Vr =

v2 - vl ed il suo

per eliche aventi lo stesso verso di


avvolgimento,
per eliche aventi versi di avvolgimento opposti.

Fig. 96 - Distanza fra gli assi di due ruote dentate cilindriche


elicoidali ad assi sghembi

n rapporto di trasmissione tra le velocit angolari delle due ruote e


la velocit di strisciamento nel punto di contatto sono ricavabili in base ad
alcune considerazioni cinematiche. Si considerino infatti i due cilindri primitivi
a contatto in C (Fig. 97); le velocit periferiche delle due ruote saranno
espresse da:
vl = rlwl
{ V2= r2W2
Poich le eliche dei due denti sono tangenti in C e le componenti delle
velocit vl e v2 nella direzione perpendicolare alla tangente comune t -t
debbono essere uguali, sr ottiene la condizione:

e di conseguenza:
da cui, esprimendo ''1 e r2 in funzione del modulo normale e del numero di
denti si ottiene che il rapporto di trasmissione r ancora pari a:
(2.74)

Fig. 97 - Velocit di due ruote dentate ad assi sghembi nel punto di contatto;
t- t: tangente comune alle eliche dei due denti

Come si visto, i due cilindri primitivi nell'ingranamento delle ruote


con le rispettive dentiere (Fig. 98a) perdono questa loro caratteristica quando
si considera l'ingranamento delle due ruote dentate tra loro, in quanto la
velocit relativa nel punto di contatto diversa da zero, e proprio questo
diversifica nettamente, il comportamento delle ruote dentate elicoidali ad assi
sghembi da quello delle ruote dentate elicoidali ad assi paralleli. Per queste
ultime infatti la velocit relativa tra due denti in presa si annulla quando
il punto di contatto tra i denti coincide con il punto di tangenza fra i due
cilindri primitivi, ed diversa da zero in tutti gli altri punti del segmento dei
contatti, pur mantenendo valori modesti in quanto l'estensione del segmento
dei contatti abbastanza piccolo rispetto al diametro delle ruote dentate.
Per le ruote dentate ad assi sghembi invece, non esiste un punto in cui la
velocit relativa si annulla ed essa anzi dello stesso ordine di grandezza delle

130

131

velocit periferiche delle due ruote dentate. La potenza persa per attrito in
queste ruote quindi evidentemente superiore, a parit di potenza entrante,
a quella dissipata in una coppia di ruote dentate ad assi paralleli, e pertanto
il rendimento della trasmissione assume nel primo caso valori inferiori a quelli
relativi al secondo.

z-z

~nJVt~,

4-y.--J

conseguenza inclinata di un angolo {)n rispetto al piano tangente comune


due cilindri di riferimento. Si avr dunque, con riferimento alla Fig. 98:
PR.
{

P*

aJ

= PN sin 'I'Jn
= PN COS {)n

dove PR. e p sono rispettivamente la componente radiale e la componente


nel piano tangente della forza scambiata tra i denti.
In presenza di attrito si avr, oltre alla forza FN normale alla superficie,
una forza tangenziale Fr diretta. secondo la tangente comune alle eliche dei
due denti e di intensit pari a f PN, se con f si indica il relativo coefficiente
di attrito. Considerando le forze che la ruota l esercita sulla ruota 2 i versi
di Fr e di FN sono quelli indicati nella Fig. 98.
Individuate le forze scambiate fra le due ruote, si ora in grado di
determinare le componenti assiale, radiale e tangenziale della forza scambiata
fra i denti. Sempre con riferimento alla Fig. 98, si ha:
per la ruota motrice 1:
R1

>5l'l
'

rpc,

r--

{
(,'l

V,
/~

Per il calcolo del rendimento della trasmissione quando si adottino due


ruote dentate ad assi sghembi, conviene considerare le forze scambiate fra i
denti delle due ruote quando il contatto avviene nel punto C di ta:ngenza fra
i cilindri primitivi. In realt il punto di contatto fra i denti si sposta lungo il
segmento dei contatti, ed il rendimento effettivo varia da istante a istante ma
le sue variazioni sono cos piccole rispetto al valore medio da permette;e di
assumere con buona approssimazione un rendimento costante e pari al valore
di quello ottenibile quando il contatto an-iene nel punto C (Fig. 98).
In assenza di attrito, la forza scambiata fra i denti risulta normale alle
superfici dei due denti a contatto; nel piano normale alla tangente comune
alle eliche dei due cilindri di riferimento (piano ::-:: nella Fig. 98) essa di

A1

= PN cos {)n sin

+ JPN sin 01

OJ -

f PN cos Cl l

per la ruota condotta 2:

R2 = PNsin'I'Jn
Q2 = PN cos {),., cos 0'2- f PN sin cr2
{
A2 = PN cos {)n sin 02 + J PN cos cr2

Fig. 98 - Forze scambiate fra i denti di una. coppia di ruote dentate


elicoidali ad assi sghembi

=PN sin {)n

Q l = PN cos {)n cos cr1

Le coppie C1 e C2 a.genti sugli assi delle due ruote sono equilibrate


dal momento della componente tangenziale della forza scambiata fra i denti,
per cui:
cl =Ql7'1 = PN1'l(cost7ncosal+fsincrl)
{ c2 = Q27'2 = PN1'2(costln COSCI'',!.- [sin cr2)
da cui si ottiene:

c2
r2(cost9n cosa2- fsina2)
cl = rl (cos {),., cos Clj + f sin Q l)

Tenendo presente ora che r 2 = m 2z2/2 = m 71 ::'.!./2cosa2 e inoltre che r1


mnzd2cos a 1 , si ricava in definitiva:
(2.i5)

C2
C1:

Z2(cos'I'Jn-ftga2)
ZJ(C0St9n+ftgal)

132
ed il rendimento risulta pertanto espresso da:

(2. 76)

Poich l'angolo. 1'1n di solito abbastanza piccolo, si usa sovente una espressione approssimata del rendimento assumendo cos 1'1n l e ottenendo perci
dalla (2. 76):

Dalla (2.76) si ottiene ovviamente che 17 l per f


O e non deve
stupire il fatto che si ritrovi un valore unitario del rendimento anche per
le condizioni a 1 = -a 2 , ossia nel caso di ruote dentate elicoidali ad assi
paralleli. Ci deriva in realt dali 'aver ipotizzato che il contatto tra i denti
avvenga unicamente nel punto di tangenza C fra i cilindri di riferimento,
punto che, nel caso di ruote ad assi paralleli, gode della propr~et di possedere
velocit di strisciamento nulla con conseguente assenza di perdite di potenza
dovute all'attrito.

Durante la rotazione della vite,


questa dentiera ideale trasla parallelamente alla propria retta di riferimento,
inviluppando nel piano mediano le sezioni dei denti della ruota, che risultano
avere profilo ad evolvente di cerchio.
Nel piano principale perci l'ingranaggio a vite si comporta come un
ingranaggio dentiera-ruota cilindrica
ad evolvente. Il cilindro di riferimento
della vite (in base al quale sono definite le dimensioni nominali della dentatura) chiamato cilindro medio, ed
r il valore del raggio medio (di tale
cilindro).
Fig. 99 - Ingranaggio a vite

3.16 - Ingranaggi a vite


Gli ingranaggi a vite sono ingranaggi costituiti da due ruote dentate
cilindriche elicoidali che trasmettono il moto fra due assi sghembi a 90 con
piccolo rapporto di trasmissione (Fig: 99). L'elemento generatore di tali ingranaggi una vite; l'elemento generato ad esso coniugato una ruota a vite.
Tale ruota usualmente sagomata in modo da avvolgersi un poco attorno
alla vite, nella sezione normale all'asse della vite; la sua forma viene quindi a
essere non pi cilindrica, ma torica.
In una vite le dentature assumono l'aspetto di filetti elicoidali avvolgentisi con passo costante attorno all'asse della vite, detti anche principi della
vite.
In un ingranaggio a. vite (detto anche a vite senza fine e ruota elicoidale)
il piano passante per l 'asse della vite e perpendicolare all'asse della ruota \iene
detto piano principale. Nella Fig. 100 sono rappresentate la sezione di un
ingranaggio a vite con il piano principale e la sezione con un piano passante
per l'asse della ruota e perpendicolare all"asse della vite. La sezione della \i te
cilindrica rappresentata. nella. Fig. 100 identica. a quella di una dentiera a
denti trapezi.

Fig. 100 - Sezione di un ingranaggio a vite

135

134

al passo Pe dell'elicoide costituente la filettatura ed alla velocit angolare w1


della vite secondo la:

Si dice elica media l 'elica intersezione del fianco del dente con il cilindro
medio della vite; essa ha un passo elicoidale Pe corrispondente alla distanza
assiale fra due profili omologhi successivi di un medesimo filetto.
Si chiama invece passo assiale Pa la distanza assiale fra due profili
omologhi consecutivi della vite: si ha Pa = Pe se la vite ha un solo filetto, e
Pa =p./ z1 se il numero dei filetti z1.
In Fig. 100 rappresentato il caso di una vite a due filetti. n modulo
assiale il rapporto ma = Pafn.
,
La lunghezza della vite la lunghezza della parte dentata della vite misurata sul cilindro medio parallelamente all'asse. L'addendum ed il dedendum
sono le distanze fra il cilindro medio e, rispettivamente, il cilindro di testa e
quello di piede; nel caso delle viti globoidali (Fig. 105), i cilindri sono sostituiti
da superfici tori che medie, di testa e di piede, aventi cerchi generatori coassiali
con la ruota.
La ruota a vite coniugata con la vite ha. normalmente una dentatura che
si sviluppa attorno ad un toro medio (vedi Fig. 100) di riferimento.

12

'

2~

(2.77)

Poich le viti accoppiate alle ruote elicoidali sono quasi sempre a filetto
trapezio, ne deriva, come prima. detto, che il moto del. profilo principale della
vite nel piano principale identico a quello di una dentiera che ingrana con
una ruota dentata ad evolvente di circonferenza avente angolo di pressione
1'J. Se quindi r 2 il raggio primitivo della ruota., la velocit angolare di
quest'ultima data, in base alla (2. 77), da.:
V

r2

27r1"2

l
l

Z!PaWJ

w2=-=-D'altra parte il passo assiale della vite deve essere uguale al passo frontale
della ruota, per cui, introducendo il numero di denti z2 della ruota, si ha:

l
~
l

Pe

27r WJ

Indicando quindi con z1 il numero di principi della vite e con Pa il passo


assiale, si ha:

02
;!-

\'

ed il mpporto di trasmissione vale in definitiva:


h

i
li

lr, '
q_-_____ j_-------~~------------_!21
Fig. 101 - Ingranamento della vite senza fine e della ruota elicoidale
nel piano principale

1-.Ientre la vite ruota. attorno al proprio asse, la dentiera equivalente


trasla nel piano principale con una velocit i! il cui valore proporzionale

(2.78)

n rapporto di

W2

ZJ

wl

z2

r=-=-

trasmissione tra vite senza fine e ruota elicoidale quindi pari


al rapporto tra il numero di principi z 1 della vite ed il numero di denti z2
della. ruota.
Poich il numero dei principi della. vite normalmente piccolo, mentre
il numero dei denti della ruota pu anche essere molto grande, il rapporto di
trasmissione tra. vite e ruota sempre piccolo e pu assumere valori dell'ordin-e
di 1/100.
La forma. e l'estensione della. superficie di contatto tra vite senza fine e
ruota elicoidale dipendono dalla. forma. e dalle dimensioni dei denti della ruota
e del filetto della vite, ed il contorno della superficie stessa individuato
dalle tronca.ture della vite e della ruota. e dalle superfici piane che delimitano
assialmente la ruota.
Per il tipo pi comune di ruota elicoidale, rappresentato nella Fig. 100,
la superficie dei contatti assume una forma a ferro di caYallo cos come

136

illustrato nella Fig. 102. In tal caso, mentre la vite ruota nel verso indicato
dalla freccia, il filetto avanza nella direzione indica.ta; nell'istante particolare
rappresentato in figura, i denti a contatto sono quattro e Je rispettive linee di
contatto sono indicate con 1,2,3 e 4, ed palese che ad ogni giro della vite la
linea di contatto 1 si sposta in 2,2 in 3 e cos via.

4-3

;r

1l\ r

vz

137

Per valut,-e la forza scambiata fca vite e >uota si Indichi con F


(Fig. 104) la fona che la vite "'ercita sulla ruota in direzione normale alle
due 'Uperfici a contatto. In presenza di attrito e&ster, oltre a detta forza P,
anche una for" di attrito F., il cui modulo van 1F se con 1 si indica il
coefficiente di attrito. relativo aJ tipo di materiali a contatto.
~uora

i /'--

Il

r---.

1-

~ Jl ~ v~

l
l
---~

l/

Traccia del fil erro dc lla vi re

. ''

Asse vi re

3J

_y

'

'

l
'

Fig. 102- Luogo dei contatti tra vite senza fine e ruota elicoidale:
Z ::: zona di contatto

v, "' V1 cos a + v,

sin

--Fig. 103- Velocit della vit.e e della ruota in un ingranaggio a vite

Le velocit periferiche Vl e V2 della vite e della ruota valgono rispettivamente:


Vl ::: W t r1
v2::: w2r2

e sono dirette a 90 una rispetto all'altra. Indicando con ex l 'angolo formato


fra-la traccia del filetto e la perpendicolare all'asse della vite (Fig. 103), si ha
che, essendo uguale la componente VN di velocit normale al filetto:
x

ossia:
W2

rl

Zt

w1

r2

z2

-=-tgcx=:-

La velocit di strisciamento (velocit relativa) :

Fig. 104 - Forze scambiate tra vite e ruota

(2. 79)

Con riferimento alla Fig. 104 si pu allora concludere che le componenti


della forza complessiva che la vite esercita sulla ruota sono da.te da.:

139

138

Nella determinazione della forza ora fatta si supposto che la vite fosse
motrice e la ruota resistente. Ci corrisponde al caso di normale funzionamento di un ingranaggio a vite. Se, invece la ruota motrice e la vite
condotta, l'espressione del rendimento (2.83) si capovolge e si scambiano i
segni + e -, per cui si ottiP.ne un rendimento per funzionamento inverso:

= F(costln cosa- /sin a)


Fy = Fsin tln
F, = F(costlnsina+fcosa)

F:r
(2.80)

dove l'angolo tln


secondo la:

ancora esprimibile in funzione degli angoli

tgtln

(2.81)

Le intensit delle coppie


vite sono date da:

GR

iJ

ed a

=tgi'Jcosa
e cl' agenti sugli assi della ruota e della

per cui si ha:


(2.82)

GR
Cv

F:r1'2

r2

= Fz r1 = r1

cos tln cosa- f sin a


cos tln sin a + f cosa

(2.84)

7];

tln - J/tg Cl'


costln+ftga

COS

Da questa relazione si pu facilmente osservare che, per piccoli angoli a di


inclinazione del filetto, il rendimento molto basso anche per piccoli valori del
coefficiente di attrito. Si p inoltre facilmente ottenere il caso di rendimento
nullo o addirittura negativo; ci sta a. significare che in queste condizioni
l'ingranaggio irreversibile, ossia che il. flusso di potenza pu solo avvenire
dalla vite verso la ruota.
Gli ingranaggi a vite globoidale sono ingranaggi vite-ruota dentata in
cui il raggio medio della filettatura della vite varia nel modo illustrato nella
Fig. 105. In tal modo, la vite assume un aspetto particolare, comunemente
detto a clessidra, e avvolge la ruota (Fig. 105 a), mentre a sua volta la ruota
avvolge la vite (Fig.l05 b).

D'altra parte, in base alla geometria della vite e della ruota si ha:
z2
-r2r1 = -tga
Zl

e pertanto la (2.82) diventa:


CR
Cl' =

Z2

COS

Z1 COS

iJ n

t9n

f tg Cl'

+ (! jtg a)

e da questa facile ricavare che, se f =O, GR/Cv= z2/z 1 = Ijr.


il rendimento 7J della trasmissione, espresso al solito come rapporto tra
la potenza utilizzata e quella assorbita, vale:
(2.83)

e si pu osservare che nel ca.mpo dei valori di a normalmente utilizzati


(0 745), il rendimento cresce al crescere dell'angolo stesso.
Come per le ruote dentate elicoidali, cos nell'accoppiamento vite senza
fine-ruota elicoidale la presenza di una dentatura elicoidale genera una spinta
Fr lungo l'asse della vite ed una. spinta. F. lungo l'asse della. ruota, spinte
che debbono essere sopportate adottando opportuni cuscinetti reggispinta.

b)

a)

Fig. 105- Ingranaggio a vite globoidale

Questo particolare tipo di ingranaggio a vite stato proposto da Hindley


nel1765 al fine di diminuirne l'usura dei filett. Tuttavia solo lo sviluppo di un
particolare metodo di intaglio, ottenuto in tempi recenti da Samuel I. Cone, ha
permesso la realizzazione pratica. di queste viti. In tale soluzione costruttha
i denti della ruota sono diritti ed il filetto della vite tagliato in modo da
seguire i denti stessi.

141

140

3.17 - Ingranaggi ipoidi

Come detto nel paragrafo 3.14, gli ingranaggi ipoidi sono quelli costituiti
da una coppia di ruote dentate ad assi sghembi in cui la zona dei conta.tti non
si trova in corrispondenza della. perpendicolare comune fra gli assi.

Le linee giacenti su questi due piani sono tracciate a tratto pieno; le


linee perpendicolari a questi piani sono tracciate a tratto e punto; tutte le
altre linee sono tratteggiate.
n punto medio di contatto M deve essere compreso fra i piani per
gli assi normali alla perpendicolare comune; esso pu essere individuato con
riferimento,.ad esempio, al pignone di asse x1, dando la distanza X1 H 1 B 1
fra il punto H 1 ed il piano normale ad x1 in cui si trova M; la distanza
r 1 M B 1 fra M e l 'asse x 1 ; l 'angolo e:- 1 fra la direzione di M B 1 ed il piano
1
1r
normale alla perpendicolare comune agli assi. La distanza X 1 specifica
il piano di rotazione in cui si trova M; r 1 rappresenta il raggio medio del
pignone; e: 1 fornisce l'orientazione di M nel piano di rotazione.
n punto M' la proiezione di M sul piano ;r'; perci e: 1 l'angolo
compreso fra le direzioni di M' B 1 e M B 1
Analogamente si possono definire le quantit X 2 , r 2 , e: 2 , relative alla
individuazione del punto M rispetto alla ruota di asse X2 n piano per
M norrr::ale ad x2 taglia tale asse nel punto Bz a distanza X 2 da H 2 ;
la distanza M B 2 vale r 2 e l'angolo e: 2 quello compreso fra la direzione
di M B 2 ed il piano 1r11 Si indicano inoltre con M" la proiezione di M
su 71"2, con B1' la proiezione di B1 su 11" 11 e con B2 la proiezione di
B 2 su 1r'. Per il punto M passa una retta. incidente entrambi gli assi x 1
ed x2 , rispettivamente nei punti A 1 ed A 2 Le proiezioni di A 1 ed A 2
rispettivamente su 1r" e 1r' sono indicate con A~ ed A2.
Se ora si vuole realizzare l'ingra.na.mento mediante ruote sghembe aventi
superfici di riferimento coniche, se ne possono definire i vertici V1 e V2 sugli
assi x 1 ed x 2 (vedi Figura 107).
Le aperture angolari dei due coni so 1 e so 2 , corrispondono rispettivamente agli angoli fra la direzione di MV1 e l'asse x 1 e fra la direzione di
MV2 e l'asse x2. Le generatrici .MV1 ed MV2 sono a contatto tangente in
M; il piano .MV1 V2 (tratteggiato in_ Fig. 107) tangente ad entrambi i coni
di riferimento delle due. ruote ipoidi.
La retta A 1 A 2 , che congiunge entrambi gli assi con M, coincide perci
con la normale al pia.no MV1V2 , ed quindi chiamata. verticale principale
deli 'ingranaggio.

Fig. 106- Definizione geometrica della trasmissione fra assi sghembi con ruote ipoidi

La Fig. 106 rappresenta a.ssonometricamente gli assi sghembi x1 e x2


formanti un angolo 1/J. Siano H 1 e H 2 i punti in cui tali assi sono intersecati
dalla perpendicolare comune.
In :figura 106 sono individuati i piani 1r' e "" normali alla perpendi
colare comune e passanti per i due a.ssi .r 1 ed x2 , tracciando per H1 ed
H2 le parallele rispettivamente agli assi x 2 ed :t 1

143

142

L'angolo compreso fra M A 1 e l'asse x 1 vale quindi


71'

fra MA 2 el'asse x 2 vale 2-cp2.

71'

2- cp1,

relazioni seguenti:
,

e l'angolo

r1

x1

MA 1 = - cos \!'l

(2.87)

. At

MA?=~
-

'

(2.88)

l
'

ft' ' ,

cos \!'2

ll

'

'

:!!.. -l(Jz
2-

Xz

Fig. 107- Piano

71'o

tangente comune ai coni medi di ruote ipoidi

Si chiamino ora 2 1 =M M'; Zz

zl
(2.85)

yl

= M.M";

= BzM".

Si ha:

r1

sin 1

= rz cosz

essendo a= H1H2 la distanza. fra. gli assi.


Inoltre, dalla rappresentazione del piano
(2.86)

Yz

= 1'1 sin j
= 7'! cos !

{ Zz = r2 sin z = a Y2

= B1M';

Y1

Fig. 108- Piano

71'

s~

in Figura. 108 si ricava.:

= X 1 sin 1j; - Y1 cos 1j;


X 2 = Y1 sin 1f; + X 1 cos 1j;

71'

per l'asse x 1 parallelo all'asse x 2 delle ruote ipoidi

hanno quindi le espressioni seguenti:

(2.89)

{ Yz

Essendo stati assegnati i valori X 1 , r 1 , 1 , ed essendo inoltre dati i valori


a, 1/;, della distanza e dell'angolo fra gli assi, dalle (2.85) e (2.86) si ricavano
i valori Y1, Yz,Zl,Zz, ed inoltre X 2 ,1 2 , 2 ; si ottengono cio i dati relativi
alla posizione di M riferita. alle ruote dell'ingranaggio. Inoltre si hanno le

(2.90)

cos \!'!

= sin 2

cos cpz

sin 1

~)2- a2 =(Xl+ l'I tg~l)2 + (.\'? + 7', tg'"?)2+

+
( _r_l_
cos l-'l
cos <pz

- 2(XI

,__

+ 1"! tg 9I)(Xz + 12 tg 92) cos 1/J

Le (2.89) e (2.90) definiscono i valori degli angoli di apertura 9 1 e 9 2 dei


coni di riferimento delle ruote ipoidi. Le posizioni dei vertici di tali coni sono

--

145

144

sono date dalle distanze w 1 e w2 fra i vertici V1 e V2 e, rispettivamente,


i punti B 1 e B 2 , centri dei cerchi medi di funzionamento. Si ha allora:

Le lunghezze medie delle generatrici R1


coni valgono:
R1
(2.92)

=V P
1

ed R2

= V2P

dei due

= .-.!:.!.__
sin 101
r

2
{ R2= -.--

(2.91)

sml02
V1M e

L'angolo 4J fra le generatrici


V2 M di tangenza dei due
coni col piano 1r 0 tangente comune raffigurato nella Figura. 109 a dato
dali 'espressione:
(2.93)

cos 4J

cos'if;
= cos 101
cos <,:'2

+tg <r'1 tg 102

Nelle Figg. 109 b e 109 c sono rappresentate le sezioni normali al piano della
Fig. 109 a, contenenti rispettivamente gli assi x1 ed x 2 delle due ruote.
Le velocit delle due ruote nel punto di contatto M giacciono nel piano
"o e valgono V1 = w1r1 e V2 = w212 La loro posizione normale alle rispettive
generatrici Vll'\1 e V2 M (Fig. 110).

a)

b)

Fig. 110 - Velocit di strisciamento fra i denti di due ruote ipoidi

La velocit relativa. Vr parallela. alla. tangente comune alla traccia dei


denti nel punto M. Essa forma. rispettivamente gli angoli cx 1 e a 2 con le
generatrici V1 M e V2 M. Si ha quindi:

c)

X2

Fig. 109- a)- Proiezione degli assi delle ruote i poi di sul piano iTo. b)- Piano normale
a

;r 0

per l'asse della ruota l. c)- Piano normale a

;r 0

per l'asse della ruota

146

147

Queste relazioni permettono di calcolare gli angoli di spirale a1 e a2 in


funzione del rapporto di trasmissione w2/w1 = zdz2 e dell'angolo </J, e di
determinare la velocit di strisciamento.

Fig. 112- Ingranaggi spiroidi (Illinois Tool Work Inc.)

Fig. 111 -Ingranaggio ipoide con angolo di 90 fra gli assi

Nella Fig. 111 rappresentato un ingranaggio ipoide con angolo fra gli
assi di 90.

3.18 - Ingranaggi spiroidi ed helicon


Fig. 113- Ruote helicon (Illinois Tool Y'i'ork Inc.)

Gli ingranaggi spiroidi ed helicon, brevettati dalla illinois Tool Work,


sono costituiti da una vite senza fine a pi principi (nel primo caso, con filetti
avvolti su un cono; nel secondo caso, con filetti avvolti su un cilindro), che
costituisce l'elemento generatore, e da una ruota conica di tipo frontale.
Tale ruota ha superfici di riferimento, di troncatura e di fondo piane
e parallele all'asse della vi te nel caso degli ingranaggi h eli con (Fig. 113);
tali superfici sono leggermente rastremate nel caso degli ingranaggi spiroidi
(Fig. 112).

3.19 - Ingranaggi speciali


Si visto in precedenza che la condizione necessaria affi.nch il rapporto
di trasmissione tra. due ruote denta.te sia costante soddisfatta quando le loro
primitive sono due circonferenze. In alcune applicazioni particolari invece pu
esistere la necessit di ottenere un rapporto di trasmissione variabile periodi-

149

148

camente nel tempo secondo una determinata legge. Ci pu essere ottenuto


o con l'ausilio di opportuni meccanismi o ricorrendo all'uso di ruote dentate
aventi le primitive non pi rappresentate da circonferenze, bens da curve
aventi forma tale da realizzare la legge del moto voluta.
Le ruote dentate non circolari sono generalmente pi costose dei corrispondenti meccanismi che realizzano la stessa legge del moto, ma ci nonostante esse trovano appplicazione nella tecnica. in quanto offrono una maggiore
compattezza ed una migliore e pi facile possibilit. di equilibra.mento, fattori
questi di particolare importanza negli organi rotanti ad alta velocit.
In linea di massima le ruote dentate non circolari possono essere suddivise in due categorie:
- ruote dentate nelle quali si richiede unicamente una sensibile variazione
della velocit angolare della. ruota condotta (ad esempio negli ingranaggi
che comandano macchine utensili in cui la corsa di ritorno deve essere pi
rapida della corsa di lavoro);

- ruote dentate che debbono realizzare una precisa legge del moto (ad esempio generare funzioni di tipo trigonometrico).

quando rotolano senza strisciare l'una relativamente all'altra.


Per determinare l'espressione del ra.pport<? di trasmissione si consideri
ancora la Fig. 114: se P 1 e P2 sono i punti delle due ellissi che verranno
'"""
,.-..
a contatto in C, sar evidentemente P1C=P2 C. I triangoli F 1 P1 F{ e
F2 P2F~ sono pertanto uguali e sono di conseguenza uguali gli angoli t?]. e t? 2
n rapporto di trasmissione nella posizione indicata in figura d'altro canto
fornito da:
W2

F!C

Wj

F2C

r=-==
mentre quando i punti P1 e P2 sono venuti a contatto in C esso vale:

In base alle propriet. caratteristiche dell'ellisse si in grado di scrivere


inoltre che:
F 1 P1 + F{P1

= 2a

e
F 1 F1

= 2e

Applicando infine il teorema di Carnot al triangolo F{ P F 1 :


F{P[

2b

= F1P? + F 1 F{ 2 - 2F1P 1 F 1F{ cos(1r- t?J)

si in grado di ricavare, dopo alcuni semplici passaggi che:


T=

2a

Fig. 114 - Ellissi primitive di 11na coppia di ruote dentate ellittiche

Tra le ruote dentate non circolari, le pi comuni sono quelle ellittiche


(Fig. 114). In esse le primitive delle due ruote sono rappresentate da due
ellissi uguali che ruotano attorno a. due assi coincidenti con i loro fuochi F 1
e F2. Si indichino ora con a e b i semiassi delle due ellissi e con e . la
loro eccentricit: poich la somma della distanza di un punto dai due fuochi
di un 'ellisse costante e pari a 2a, e poich le ellissi sono uguali, si pu
affermare che le due ellissi rappresentano effettivamente le pr\mitive del moto

?
?
a-+
e-+
2ae cos .o
u1

Come si pu notare, il rapporto di trasmissione tra due ruote dentate


ellittiche non pi una quantit costante ma varia da un valore minimo (per
t? 1 =O) pari a:
a-e

Tmin=a+e

ad un valore massimo (per t? 1 = 1r) definito da:


Tmax

a+e
= -a-e

Si consideri ora (Fig. 115) la ruota ellittica (a) in rotazione attorno


ad uno dei due fuochi: essa pu ingranare, oltre che con una ruota ellittica
identica, anche con ruote denta.te vincolate nel loro centro ed in possesso di

6. JACAZIO-PIOl\.fBO - La trasmissione del moto

150

primitive di forma o ellittica.oppure a pi lobi. La ruota ellittica (a) (detta


ellisse fondamentale) pu dunque accoppiarsi con ruote aventi per primitive
le curve (2), (3) e (4) e ruota.nti rispettivamente attorno ai punti B,C e D.

151

primitiva a for,ma di spirale logaritmica (Fig. 116). Per queste ruote dentate,
utilizzate solo per escursioni angolari limitate e mai estes.e all'intero giro, il
valore del rapporto di trasmissione ricavabile nel modo seguente: siano 1? 1
e 1? 2 gli angoli di rotazione contati a partire dalla configurazione in cui le
distanze 0 1C e 0 2C sono uguali; i raggi r 1 e r 2 saranno allora espressi
da:

dove k la costante della spirale logaritmica. D'altro canto, i raggi r 1 e


sono legati tra loro dalla relazione:

1 2

per cui si ottiene in definitiva, dopo alcuni passaggi:


Fig. 115- Ingranamento dell'ellisse fondamentale (a) con ellissi di ordine superiore

T:-,----

~-"
l'o

Dette primitive prendono il nome di ellissi del secondo, terzo e quarto ordine
e possono anche essere accoppiate tra loro; un particolare curioso ad esempio
fornito da due ruote dentate ellittiche con primitive del quarto ordine ingrananti tra loro in quanto una volta costruite, assumono approssimativamente
l'aspetto di due ruote dentate quadrate.

Come si pu osservare, il rapporto di trasmissione aumenta rapidamente con


1? 1 P.d addirittura tende ad infinito al tendere di t9 1 al valore
l
i
t?1 =-Ink
l'o

3.20 - Forze dinamiche sui denti

.l
Fig. 116 - Ruote dentate a spirale logaritmica

Un altro tipo di ruote dentate non circolari quello di ruote dentate con

Nei paragrafi precedenti sono state valutate, per vari tipi di ruote dentate, le forze che queste si scambiano quando sono animate di moto uniforme
nel caso che esista un ingranamento perfetto (ossia in assenza di giochi) e che
si abbia una sola coppia di denti in presa.
In realt queste tre condizioni sono soltanto in parte soddisfatte, sia
perch non sempre il moto uniforme, sia perch il numero delle coppie di
denti in presa variabile, sia infine perch a causa delle imprecisioni di lavorazione avvengono durante l'ingranamento urti tra i denti, urti che provocano
variazioni istantanee dei valori sia della. velocit delle ruote sia dell'intensit
della forza trasmessa.
Per ci che riguarda la non uniformit del moto, chiaro che, se una
delle ruote di una coppia di ingranaggi solidale ad un albero motore su cui

153

152
applicata una coppia C (Fig. 117), se I il momento di inerzia complessivo
della ruota dentata e di tutte le masse rotanti con l'albero considerato, ed
il sistema sta accelerando con una accelerazione angolare pari a dwfdt, la
componente tangenziale Q della forza scambiata tra i denti, qualunque sia il
tipo di ingranaggio in esame, vale:
Q

C- I(dw/dt)
= ---'---'---'rl

la parte abcde del diagramma della forza scambiata visibile nella Fig. 118.
Negli istanti successivi, tratto f g della curva, il valore della forza scambiata
si stabilizza attorno ad un valore medio che con ottima approssimazione
uguale a quello calcolato con le formule ricavate nei precedenti paragrafi. Infine, quando una ulteriore coppia di denti entra in presa, l'intensit della
forza scambiata assume un valore inferiore (tratto hi del diagramma) per
poi annullarsi definitivamente quando i due denti si disimpegnano.
F

dw

dt

Fig. 117 - Componente tangenziale della forza scambiata fra i denti di due ruote di
un sistema in fase di accelerazione

Rispetto alle condizioni di moto uniforme si verifica dunque, a causa


della presenza delle azioni di inerzia, una diminuzione dell'intensit della forza
tangenziale quando l'albero motore accelera. ed un aumento della forza stessa
quando l'albero decelera.
Per quanto concerne invece il fatto che il numero di denti in presa
in genere variabile, vale la considerazione che, se le ruote dentate fossero
nel modo pi assoluto esenti da difetti di lavorazione, il carico verrebbe approssimativamente diviso in parti uguali fra i vari denti in presa e le uniche
variazioni della sua intensit si otterrebbero di conseguenza prevalentemente
in corrispondenza dell'inizio o d:lla fine dell'ingranamento di ogni coppia di
denti.
Se per si esamina un diagramma sperimentale della forza istantanea
scambiata fra due denti in presa, si pu osservare (Fig. 118) che esso presenta
in genere un andamento molto irregolare, e ci dovuto sia alla deformabilit dei denti sotto I'effetto del carico, sia alle in accuratezze di lavorazione
sia ad eventuali disallineamenti degli assi. In particolare, le maggiori sollecitazioni dinamiche si verificano quando vi un errore positivo sul passo e
mentre una nuova coppia di denti entra in presa: a questa fase corrisponde

'

.J

Fig. 118 - Andamento della forza istantanea scambiata


fra una coppia di denti in presa

I valori dei due picchi di carico Fa e Fd sono funzione dell'errore


di lavorazione della. ruota dentata, della sua. velocit periferica, dell'inerzia
e della deformabilit delle due ruote denta.te. Una giustificazione della loro
esistenza pu essere fornita da un punto di vista. qualitativo in modo abbastanza semplice. Si considerino infatti le due ruote dentate in presa indicate
nella Fig. 119; il contatto teorico fra i due denti D1 e D 2 avviene lungo il
segmento dei contatti AB e la normale comune ai due denti in presa passa
sempre per C, in modo che il rapporto di trasmissione vale costantemente:

154

155

se con 11 e 12 si sono indicati i momenti di inerzia delle due ruote rispetto


alloro asse. f-a costante c1, funzione dell'angolo di pressione, invece pari a:
CJ

2 tg 19(1 - cos t9)


tJ2

ed in particolare per t1 = 14 30' e per t1 = 20 si hanno rispettivamente


c1 = O, 257 e c1 = O, 360. Poich invece i materiali costituenti i due denti
posseggono una certa elasticit, la forza scambiata fra i denti di intensit
minore, in quanto al nascere della forza corrisponde una deformazione dei
denti stessi con una conseguente diminuzione del valore effettivo dell'errore
sul passo. Al limite, se P la forza scambiata in una coppia di denti in
presa in condizioni di moto uniforme e 8 la corrispondente deformazione
complessiva dei due denti sulla circonferenza. primitiva, la forza limite i'2 che
corrisponde a una deformazione a.ggiui1tiva. pari all'errore e vale:
Fig. 119 - Effetto dell'errore e sulla trasmissione del moto tra due ruote dentate

Se per esiste un errore di lavorazione, in conseguenza del quale il passo tra i


denti misurato lungo la primitiva risulta diminuito rispetto al valore nominale
di una quantit e, ossia se il profilo effettivo del dente D~ rappresentato
~

(2.95)

La deformazione 6 a sua volta esprimibile mediante la:


(2.96)

dall'arco M'N' anzich da M N, il contatto fra i denti D; e D2 inizia gi


nel punto R mentre i denti D1 e D 2 sono a contatto in C. La normale in
R alle superfici dei denti D; e D~ interseca perci il segmento 0 1 0 2 nel
punto C' interno a 0 2C e pertanto la ruota condotta (2) accelera mentre la
ruota motrice (1) rallenta. Ora, nel caso di denti infinitamente rigidi, la forza
fl\ che i denti D~ e D2 si scambiano, forza dovuta unicamente alle azioni
di inerzia agenti sui corpi (l) e (2), esprimibile, secondo quanto calcolato da
Buckingham, sotto la forma:
(2.94)

dove v la velocit periferica delle due ruote dentate e m la massa


equivalente delle due ruote denta.te e delle masse a.d esse solidali, pari a:
m.=

m1m2
m1 +m2

sono a loro volta uguali a:

1)

F2 = F (~ +
6 .

6 =Co!_
-b

(...!_
+ ...!_)
E1 : E2

dove b la larghezza del dente, E 1 .. ed E 2 . sono i modelli di elasticit dei


materiali costituenti i denti e c2 una csta.nte a.dimensiona.ta. che dipende
dall'angolo di pressione e dal proporzionamento con il quale il dente stato
realizzato. Per proporzionamento modulare e 1'J = 1430' si ha c2 = 9,345,
mentre per t1 = 20 si ha c2 = 9, 000 con proporzionamento modulare e
c2 = 8, 700 con proporzionamento ribassato, proporzionamento che prevede
per il dedendum e per l'addendum valori pari rispettivamente al modulo m
e agli 8/10 del modulo stesso.
La forza Fa dovuta all'accelerazione quindi al massimo pari a i'?
mentre sarebbe pari a F1 nel caso di denti infinitamente rigidi e sembra
quindi ragionevole assumere per essa un valore pari alla media degli inversi:
(2.97)

F a-

FIF2
F1 + F2

valore che definisce quindi l 'intensit del primo picco di carico.


In seguito a questa fase di accelerazione, fase di brevissima durata nel
tempo, la velocit angolare delle ruote varia rispetto al valore medio di regime; d'altra parte il punto di contatto fra. i denti D~ e D2 in seguito alla

156

157

rotazione delle ruote dentate si sposta sul sgmento nominale dei contatti AB,
cosa che porta come conseguenza ad una rapida decelerazione della ruota condotta (2). A questa decelerazione corrisponde per una forza scambiata fra i
denti di segno negativo e quindi un distacco tra i denti stessi (tratto e-d della
Fig. 118). Negli istanti successivi, poich la ruota motrice, sottoposta a una
coppia concorde alla velocit angolare, accelera e quella condotta, soggetta a
una coppia resistente, decelera, i due denti vengono nuovamente a contatto,
ma questa volta con un urto, urto al quale corrisponde un massimo valore
della forza scambiata pari a:
(2.98)

dove F l'intensit della forza. trasmessa. in condizioni normali da una sola


coppia di denti in presa e F2 ed Fa sono date dalle (2.95) e (2.97). ll valore
di Fa fornito dalla (2.98) rappresenta. il massimo valore istantaneo della forza
scambiata fra i denti; tale valore, ricavato teoricamente da E. Buckingha.m,
risulta leggermente superiore a quelli effettivamente riscontrati nelle indagini
sperimentali e la (2.98) pu quindi essere utilizzata nella determinazione del
massimo carico dinamico risconirabi!e in una ruota. dentata con un'approssimazione ottima e favorevole alla sicurezza della ruota stessa.
Per una pi rapida, ma meno esa.tta. determinazione del massimo carico
dinamico, pu anche essere utilizzata la seguente formula approssimata:
(2.99)

F+F"

Fa = F + --0..--:-75..----1 + -'-)F+ F

dove V la velocit. periferica delle ruote dentate espressa in m/s ed F"


una quantit, avente le dimensioni di una forza., espressa. da:
be

F"

= ( -1 + -r)
- E1
E2
C?

dove c2 al solito il coefficiente che compare nella. (2.96) e b la. larghezza del
dente. La (2.99) pu essere usata per il calcolo del massimo carico dinamico
solo in prima approssimazione e solo quando le inerzie delle due ruote dentate
non sono troppo diverse; in caso contrario gli errori derivati dall'uso della
(2.99) sarebbero di tale entit da rendere del tutto inaccettabili i risultati del
calcolo.

3.21 - Prestazioni dei diversi tipi di ingranaggi


Come stato ampiamente esaminato nei paragrafi precedenti, la velocit
periferica, il carico trasmissibile ed il rendimento di un ingranaggio dipendono
dal tipo di ruota ad<;>ttato, dalla precisione della sua lavorazione e dalle condizioni di lubrificazione esistenti durante il funzionamento. Si possono tuttavia
indicare i limiti delle prestazioni dei vari tipi di ruote dentate in condizioni
normali, tenendo per presente che ingranaggi di alta precisione sono in grado
di fornire prestazioni migliori di quelle indicate.
Nella Tabella II sono per l 'appunto indicati i normali campi di valori del
rapporto di trasmissione, del rendimento, della massima velocit periferica e
della massima potenza trasmissibile per i vari tipi di ruote dentate descritte
nel presente capitolo.
TABELLA II - Prestazioni normali degli ingranaggi

Tipo di ingranaggio

Velocit
periferica

Potenza
massima

(m/s)

(kW)

0,9870,99
o, 98 7 o, 99

20
50

1800
15000

l 7 15

0,9870,99

150

20000

176
179

o, 94 7 o, 98
0,9470,98

15
40

400
4000

l 7 10
179
lO 7 100
3 7 100

o, 75 7 o, 95
0,85 7 o, 98
0,5070,95
o, 50 7 o, 97

25
20
30
30

80
500
400
80

Rapporto di
ingranamento

Rendimento

l 7 10
l 7 15

Ad assi paralleli

- A denti diritti
- A denti elicoidali
- A denti elicoidali
a freccia
Ad assi incidenti

- A denti diritti
- Ad asse dente curvo
Ad assi sghembi

A denti elicoidali
Ipoidi
Spiroidi
Ruote helicon

'
J

4. ROTISMI

4.1 - Rotismi ordinari


~

r-t

~t(,': 1:::

.""t;:;.;"':O

Si definisce rotismo un sistema costituito da pi ruote <i_e_!.l~~te ingran'a~


tra loro in modo tale che la rotazione di una ruota determini di conseguenza
la rotazione di tutte le altre. Un rotismo \liene detto ordinario se gliassi
di tutte le ruote dentate che lo costituiscono sono {ssi;rnelltre viene detto
epicicloidale quando alcuni d~gli assi delle ruote componenti sono mo~_i!~

Fig. 120- Esempio di rotismo ordinario

In un rotismo ordinario (Fig. 120) le velocit angolari di tutte le ruote


sono note in valore ed in verso una volta nota la velocit di una di esse, ed il
rapporto di trasmissione r del rotismo stesso viene di conseguenza definito
in valore ed in segno: si avr cos un rapporto di trasmissione negativo se due
ruote dentate ruotano in versi opposti (caso che corrisponde, quando si con-

161

160

sideri un accoppiamento di d~sole ruote dentate, a quello degli ingranaggi


esterni), mentre si avr un rapporto di trasmissione positivo tra due ruote
dentate del rotismo q11~do gue_~te ruotano nello stesso verso (caso corrispondente a quello degli ingranaggi interni). Cos, nell'esempio della Fig. 120 si
avr:

mentre il rapporto di trasmissione globale r vale:


Wd- =
Wd- Wb= Ta b Te d= ( - Zc)
ZaZc
T=
- ( - Za)
- _- Wa
Wb Wa
'
'
Zd
Zb
ZbZd

Ne consegue che, in un rotismo ordinario analogo a quello indicato in


Fig. 120, il rapporto di trasmissione globale altro non che il prodotto dei singoli rapporti di trasmissione esistenti tra le velocit angolari degli ingranaggi
componenti.
Ora, se un rotismo contiene una ruota che ingrana contemporaneamente
cgn_ altre due (Fig. 121), il rapporto di trasmissione tra la prima e l'ultima
ruota non vede alterato, a. causa della presenza. della. ruota intermedia, il suo
valore, ma unicamente il suo segno. Si avr infatti:
Ta,b

Tb,c

Wc
=Wb

Wb

e quindi:
T

= Ta,b

. 1,c

d:.;

= - Za

Zb
Zb

W0

Avendo indicato con r il rapporto di trasmissione wd/Wa (Fig. 120), il


rapporto tra le coppie agenti sulle ruote a e d, quando si supponga il moto
uniforme e dotato di un rendimento pari a l, vale: Cd/Ca = wa/wd = l/r.
Durante i transitori, sempre considerando un valore unitario del rendimento,
il rapporto tra le coppie agenti sugli assi delle ruote d ed a diverso
da 1/r, poich prprio durante i transitori insorgono delle azioni di inerzia
riducibili come effetto alla presenza di tre coppie agenti ciacuna su di un asse
del rotismo. Si supponga ad esempio di indicare con Cm la coppia fornita
dal motore collegato alla ruota a, con Gr la coppia resistente assorbita
dall'utilizzatore collegato alla ruota d com lm e lr i momenti di inerzia
polari delle masse (incluse quelle delle relative ruote dentate a e d) collegate
rispettivamente all'albero del motore ed a quello dell'utilizzatore, e con h
il momento di inerzia polare delle masse collegate all'albero intermedio. Se
inoltre si indicano con Qa la componente tangenziale della forza scambiata
fra a e b e con Qc la componente tangenziale della forza scambiata fra c
e d e si scrivono poi le equazioni di equilibrio alla rotazione attorno ai tre
assi degli alberi componenti il rotismo, si ottiene:

= -:~c

Za
= Wc = -z
.
c
~
a

Per questo motivo alla ruota intermedia viene dato il nome di ruota oziosa ..

Fig. 121- Rotismo ordinario con ruota oziosa

Cm- lm-Jf

= Qara

d:..;b
Qarb- lvdt

=Qcrc

Qcrd

dwd
= lrdt
+Gr

dove con r 0 ,rb,rc,rd si sono indicati i raggi primitivi delle singole ruote
dentate.
Introducendo il valore sia del rapporto di trasmissione globale sia di
quelli parziali e risolvendo il sistema cos ottenuto, si ricava:
dwa
dt

Cm - TCr

= lm + lbrJ,b + lrr =
2

Cm - rCr
le

dove dwa/dt rappresenta il valore dell'accelerazione angolare istantanea dell'albero motore e dove con le si indi_cato il momento di inerzia equivalente
complessivo, ossia il momento di inerzia di quel volano fittizio che, posto sull'albero motore, provoca sull'albero stesso, a parit di altre condizioni, una
accelerazione angolare identica a quella ottenibile nel rotismo reale.
In un rotismo qualunque si quindi in grado di effettuare la riduzione
dei momenti di inerzia ad un unico asse del rotismo in esame sommando al
momento di inerzia delle masse solidali all'albero stesso i momenti di inerzia
delle masse collegate agli altri assi moltiplicati per il quadrato dei rispettivi
valori del rapporto di trasmissione.

l
}

162

163

4.2 - RiduttoH a rotismi ordinari

I riduttori a rotismi ordinari si distinguono in base al numero di ingranaggi presenti (riduttori a doppia riduzione, a. tripla riduzione, a quadrupla
riduzione) e in base ;~Ila disposizione degli alberi di ingresso e di uscita.
n rendimento di un riduttore a rotismi ordinari costituito dal prodotto
dei rendimenti dei singoli ingranaggi costituenti il rotismo. Nella Fig. 122 sono
riportati esempi di riduttori a rotismi ordinari a diversi stadi di riduzione.

a)

4.3 - Moltiplicatori a rotismi ordinari

Un moltiplicatore di velocit funziona teoricamente come un riduttore di


velocit alla rovescia; il rapporto di trasmissione globale quindi sempre dato
dal prodotto dei rapporti di trasmissione dei singoli ingranaggi costituenti il
rotismo. Tuttavia, un moltiplicatore di velocit si differenzia da un riduttore
sia per quanto riguarda il rendimento, che per alcune particolarit costruttive.
Una caratteristica degli ingranaggi usati nei moltiplicatori di velocit
costituita dalla tendenza della punta del dente della ruota dentata condotta
(che la pi piccola) a incunearsi del fianco del dente della ruota dentata pi
grande (che la conduttrice). Questo fenomeno il risultato degli inevitabili
errori di intaglio delle dentature, per cui il fianco della ruota conduttrice
giunge nel punto teorico di inizio di contatto prima del corrispondente dente
del pignone. La punta del dente del pignone condotto, in questa condizione,
tende ad asportare Io strato di lubrificante eventualmente presente, causando
quindi una rapida usura e determinando una diminuzione del redimento.
Per ridurre questo fe~omeno i denti delle ruote condotte nei moltiplicatori di velocit vengono sovente smussati con un opportuno raggio di raccordo
sulla punta. Inoltre, i moltiplicatori di velocit vengono normalmente realizzati con ruote dentate corrette in modo da diminuire l'arco di accesso e
aumentare l'arco direcesso. Confrontando le (2.50) e (2.51) si pu osservare
che, a parit di distanza dal punto di contatto teorico fra le due circonferenze
primitive, il rendimento istantaneo in fase di recesso leggermente migliore
di quello in fase di accesso, e ci compensa parzialmente il minor rendimento
di un ingranaggio funzionante da moltiplicatore.

b)

c)

Fig. 122 - Riduttori a doppia. tripla e quadrupla riduzione

165

164

4.4 - Applicazione dei rotismi ordinari: cambio di velocit di una


autovettura
Una tipica applicazione dei rotismi ordinari la s riscontra nella realizzazione dei cambi di velocit delle autovetture. La Fig. 123 illustra per l'appunto
un cambio di velocit meccanico a tre marce pi retromarcia: in esso la ruota
dentata A solidaleall'alberomotore (i) eleruotedentate B,C,E,G sono
tutte solidali fra loro. Le ruote dentate A e B sono sempre in presa d modo
che ad una rotazione del motore corrisponde sempre una rotazione delle ruote
B, C, E e G. Le ruote dentate D ed F, che nella Fig. 123 sono rappresentate
in posizione di folle, possono invece scorrere lungo un albero scanalato, albero
che costituisce la seconda estremit della linea di trasmissione che comanda
le ruote motrici della vettura.

ZA = 15, ZB = 32, ZC = 26, ZD


21, ZE = 19, ZF = 28, ZG = 15, ZH
15
e si suppone inoltre di muovere il braccio di comando della ruota F verso
sinistra in modo da farla ingranare con la. ruota E, si in grado di ricavare
per il rapporto d trasmissione wu/w; il valore:
ZA) (
ZE)
T= ( -ZB
-ZF

15)
= ( -32

( -28
19) =0, 318

valore che corrisponde alla prima. marcia. Se invece si sposta la ruota D verso
destra in modo da farla ingranare con la ruota C, il rapporto di trasmissione
dato da:
T= (-ZA)
= (-15) (-26) =Q, 580
ZB
ZD
32
21

(-ZC)

e questo valore caratterizza la seconda marcia.


Le ruote A e D portano inoltre delle dentature frontali X e Y, dentature che vengono ad impegnarsi tra loro quando la ruota D viene spostata
a sinistra; in tal caso il moto viene trasmesso direttamente dall'albero motore
(i) a quello di uscita (u) senza passa.re attraverso l'albero di rinvio ottenendo
cos una terza marcia con rapporto di trasmissione ovviamente unitario.
Se infine si sposta la. ruota F verso destra. fino a farla ingranare con la
ruota dentata H, si realizza la catena cinematica corrispondente alla retromarcia. In detta catena infatti la. ruota H, che ingrana contemporaneamente
con le ruote F e G, altro non che una ruota oziosa e per il rapporto di
trasmissione si ottiene il valore:
T= ( - 15)

32

(-~)
15

(- 15) =Q 268
28
'

Valore che, essendo negativo, si differenzia. nel segno dai tre prima calcolati e
caratterizza quindi proprio la. retromarcia.

4.5 - Rotismi epicicloidali

Fig. 123- Cambio di velocit a tre marce pi retromarcia

Se si suppone ora che i numeri di denti delle ruote, dentate siano

I,rotismi epicicloidali, costituiti anch'essi da pi catene cinematiche di


ruote dentate, si differenziano da quelli ordinari in quanto in essi gli alberi
di alcune ruote non sono pii:1 fissi, bens mobili. In un rotismo epicicloidale
semplice (Fig. 124) di distinguono due ruote dentate principali, dette solari,
che non ingranano tra loro e che ruota no attomo a due assi fissi e coincidenti
e una o pi ruote dentate, dette satelliti (o planetari), che ingranano con le due
ruote solari ed i cui assi sono portati da un elemento rigido, detto portatreno,

167

166
.c~ota.a.sna yolta~a~wQ.:.a.<L..llJb!!$s~o cnincicj.ente~~~<;_
s.J.q.rJ.r. In un r21!smo e.Ilkicloidale ges~lem~.di-p.en.d@_ti
che ruot~attorno-allo:_stesso_as_s~....e....doj__due solari edjLp_o"rta.tre~o, .&Q

altrl-- che ru;ta.no- attorno ad -assi


~--

--~---

planetari). ---

--.

solidali-~! Q~ir~o,

e cio..i....satelliti
(o
~

a)

Prima di calcolare il valore del rapporto di trasmissione di un rotismo


epicicloidale necessario osservare innanzi tutto che in esso, a differenza dei
r.2_tismi ordinari, nei quali esistono un albero di ingresso ed un albero di uscita
(ossia un albero motore ed uno condotto), esistono tre alberi differenti e si
possono quindi ritrovare ca.si di due alberi motori ed uno condotto, o di un
motore e due condoi, oppure di un albero fermo, uno motore e uno conc;i9.t.:tq. Ci premesso, si_jn g~ado di determinare .una relazione fra le velocit
angolari w1 e w 2 dei solari e la velocit angolari w1 e w 2 dei solari
e la velocit angolare n del portatreno utilizzando il metodo seguente. Si ,
supponga di fornire a tutto il rotismo una velocit angolare n uguale ed opposta a quella del portatreno; cos facendo, le velocit angolari dei due solari
diventano WI -n e W2- n, mentre quella del portatrenO Si annulla ed il rotismo in esame, privato della caratteristica pec-uliare dei rotismi epicicloidali,
si trasforma di conseguenza in un rotismo ordinario ad assi fissi. Se si indica
ora con r il rapporto di trasmissione del rotismo ad assi fissi derivato da
quello epicicloidale in esame, si in grado di scrivere che:
w2

Fig. 124- Schemi di rotismi epicicloidali semplici. Ruote l e 2: solari; ruote 3 e 4:


satelliti (o planetari)

chiaro che in un rotismo epicicloidale non tutte le ruote dentate possono essere scelte l'una indipendentemente dall'altra, poich debbono essere
evidentement rispettate alcune condizioni di carattere geometrico. Nel rotismo della Fig. 124 a) si dovr avere infatti:

-.n

r=--

(2.100)

wr-

La (2.100), detta formula di Willis, rappresenta una relazione di carattere fondamentale nel calcolo cinematico dei rotismi epicicloidali ed individua,
come si visto, il rapporto di trasmission del rotismo reso ordinario (ossia
ad assi fissi).
~
Si consideri ad esempio il rotismo di Fig. 124 b e si supponga che la
corona dentata (2), solidale alla scatola del rotismo, sia fissa; in tal caso gli
unici organi in rotazione saranno pertanto rappresentati dall'albero (l) e dal
portatreno (P). I numeri di denti delle ruote dentate (l) e (3) siano z1 23
e z3 14 e si voglia determinare il rapporto njw 1 tra le velocit angolari
del portatreno e dell'albero (1). n rapporto di trasmissione del rotismo reso
ordinario (ossia a portatreno fisso) varr dunque:

condizione che, se i moduli delle ruote dentate sono uguali tra loro, corrisponde
~~

Ed analogamente nel rotismo della Fig. 124 b) deve essere rispettata la condizione:

con z2 pari a:
Z2

Ne consegue che, in un rotismo epicicloidale, i parametri che caratterizzano


una ruota dentata risultano automaticamente determinati una volta che siano
stati stabiliti quelli relativi a tutte le altre.

= ZI + 2z3 = 23 + 2 X 14 = 51

Per cui si otterr in definitiva:


zr

23
51

T=--=--= -0,4.51
Z2

169

168

Essendo ora nulla la velocit angolare


Willis sar esprimibile mediante la:
T=

w2

della corona esterna, la formula di

-n

E_=

ws

-0,451 = - ,
wl- n

, conCludendo, il rapporto di trasmissione cercato 'varr:


w1

Volendo infine calcolare la velcit di rotazione dei satelliti attorno al


loro asse basta osservare che:

_r_ = -0,451
r-1
-0,451-1

= 0, 311

Nel rotismo epicicloidale in esame quindi, il solare (l) ed il portatreno ruotano


nello stesso senso ed il rapporto tre le loro velocit angolari pari a 0,311.

Vs
w1r1
w1z1
= -= --=--= -0,821wl
rs
2rs
2zs

Quando si vuole procedere al calcolo dei valori delle coppie agenti sui
singoli alberi del rotismo, ci si imbatte in una importante propriet tipica dei
rotismi epicicloidali, propriet che verr qui di seguito evidenziata. Si consideri dunque un rotismo epicicloidale qualsiasi; su di esso agiscono (Fig. 126)
tre coppie esterne: una, di intensit C11 sul solare (1), una seconda di intensit C2 , sul solare (2), ed infine una ter~a, di <intensit Cp, sul portatreno
P. In condizioni di regime, o quando le masse delle ruote dentate siano trascu~abili, le coppie c\, 62 e Cp debbono equilibrarsi tra loro, per cui si
ha:
(2.101)

Fig. 125 - Rotismo epicicloidale con corona esterna fissa

Allo stesso risultato si pu a:nche pervenire utilizzando altre semplici


considerazioni di carattere cinematico. La velocit periferica della ruota (l)
infatti pari a:, V1 w1r1 (Fig. 125), e poich la c9rona dentata (2) fissa, la
velocit dell'asse del satellite necessariamente pari a: Vs = Vlf2 = w1 rd2.
Di conseguenza la velocit angolare del portatreno data da:

n-~-

r1

+ 7's

w
2 ( 1+

~; )

Fig. 126 - Coppie agenti su un rotismo epicicloidale

Si supponga ora che il rendimento del rotismo sia unitario; in tale caso il
lavoro complessivo compiuto dalle coppie
62 e Cp in un dato il}tervallo
di tempo deve essere nullo e pertanto si in grado di scrivere che:

cl>

(2.102)

Dalle(2.101) e (2.J02) si ha allora:


e da questa si ritrova che il rapporto di trasmissione cercato vale:
l

- = -,(--~--,--)
= o' 311
2 l+ :2_

WJ

.::l

171

170

Introducendo in questa espressione la (2.100) si ottiene la relazim!_e:.

Si supponga inoltre che il motore fornisca una potenza costante W, e che la


coppia agente sull'albero motore sia pertanto esprimibile mediante la:

(2.103)
r~lazione

che, assieme alla:


Dalle (2.103) e (2.104) si avr allora:
Cp

1- T

c1 =-T-

(2.104)

ricavabile dalle (2.103) e (2.101), esprime in termini matematici la propriet


cercata. In bse alle (2.103) e (2.104) infatti si pu affermare che, in lJ.ll rotismo
_ epicicloidale qualsiasi, il rapporto traje coppie agenti sui due solari e quello
tra le coppie agenti sul portatreno e su uno dei due solari sono indipendenti
dalle velocit angolari alle quali ruotano gli assi considerati, e sono pari ai
rapporti esistenti tra le coppie agenti in un rotismo ordinario ad assi fissi
gometricamente identico a quello in esame.
Un rotismo epicicloidale dunque fondamentalmente un partitore di
coppia ed il rapporto di partizione dipende unicamente dalla geometria del
rotismo e non dalle sue condizioni cinematiche di funzionamento. Naturalmente questa propriet vale fintantoch si suppongano valide le ipotesi di
rendimento unitario e di moto uniforme. Va. per osservato che, anche se il
rendimento non mai pari all'unit, esso per sovente molto prossimo ad l,
almeno per i rotismi pi semplici, per cui le relazioni ora viste possono essere
utilizzate con sufficiente approssimazione in numerosi calcoli pratici.
Come si avuto modo di osservare nell'esempio precedente, nei rotismi
epicicloidali due delle tre velocit angolari w 1 ,w 2 e n possono essere fornite
indipendentemente l'una dall'altra., mentre il valore della terza. facilmente
determinabile utilizzando la formula di \Villis. A volte per, anzich conoscere
il valore di una o pi velocit angolari degli assi del rotismo, ci si trova. nella
condizione di poter unicamente esprimere delle relazioni che legano dette velocit angolari alle coppie agenti suj vari assi: in tal caso le (2.100)-;- (2;104)
mantengono la loro validit, ma ad esse vanno aggiunte le relazioni esistenti
tra coppie e velocit angolari.
Per meglio comprendere quanto ora esposto, si consideri ad esempio il
rotismo della Fig. 124 b) e si supponga che, invece di essere w2 = O, l 'albero
(2) ed il portatreno siano collegati a due utilizzatori che creano una coppia
resistente direttamente proporzionale alla velocit angolare. Sar allora:

= -kpn
c2 = -k2:,;2

cp
{

Cp

1-

c1 =-T-=
(2.105)

kp n
--ww1

c2 = _.!. =- k2w2wl
T
w

c1

mentre, dalla formula di Willis, si avr:


(2.106)

dove

T,

rapporto di trasmissione del rotismo reso ordinario, vale sempre:

Le (2.105) e (2.106) forniscono allora un sistema di tre equazioni nelle


tre incognite w1,w2 e n, sistema che, una volta risolto, porta alle soluzioni:

Come si gi avuto modo di fare osservare, le (2.103) e (2.104) perdono


la loro validit durante i transitori poich in tal caso esistono, in aggiunta alle
coppie esterne agenti sugli assi dei solari e del portatreno, le coppie di inerzia
relative alle masse solidali agli assi stessi. Ci nonostante, le coppie di inerzia
dei solari e del portatreno possono essere sommate alle coppie esterne agenti
sui rispettivi assi e le coppie di inerzia dei singoli satelliti sono normalmente
di piccola intensit rispetto alle altre coppie in gioco, per cui non si commette
di solito un grande errore utilizzando comunque la (2.103) e (2.104).
Per il calcolo delle accelerazioni insorgenti in un rotismo epicicloidale
durante i transitori pu essere a volte conveniente, come nei rotismi ordinari,

173

172
conglobare i momenti di inerzia dei vari alberi e delle masse ad essi eventualmente collegate in un unico momento di inerzia equivalente agente sull'asse
del motore. Per il calcolo del momento di inerzia equivalente si pu seguire
il procedimento indicato per i rotismi ordinari scrivendo in fasi successive le
varie equazioni di equilibrio dei singoli elementi, oppure, pi semplicemente,
si pu scrivere che il momento di inerzia di un volano equivalente posto sull'albero (1) ruotante alla velocit angolare w1 deve essere tale da fornire la
stessa energia cinetica del sistema originario.
Se allora i momenti di inerzia dei solari, del portatreno e delle masse ad
essi collegate sono h, h, Ip, il momento di inerzia e la massa di ogni satellite
sono Is e ms, la velocit angolare dei satelliti ws, la velocit del loro
baricentro Vs ed il loro numero ns, si ha che il momento di inerzia
equivalente I. soddisfa alla relazione:
l

ns

2 I.w 21 = 2 hw 21 + 2 I2w2 + 2 Ipn- + 2


?

(Isws

allora calcolabile utilizzando la formula di Willis; si avr infatti:

-n
---=T
w1-n

dove:
e pertanto:
w1

-l

-=--

+ ms Vg)

per cui si ha in definitiva:

Nei casi finora considerati si sono sempre ipotizzati i rotismi epicicloidali come costituiti da ingranaggi cilindrici; in realt, come si avr modo di
osservare in alcuni degli esempi successivi, esistono anche dei rotismi epicicloidali dotati di ingranaggi conici ed il calcolo delle condizioni cinematiche
del loro funzionamento non si discosta affatto da quello esposto nel presente
paragrafo.

4.6 - Rid uttori a rotismi epicicloidali


Una delle principali applicazioni dei rotismi epicicloidali la si riscontra
nei riduttori a forte rapporto di riduzione; in essi infatti i rotismi epicicloidali consentono soluzioni costruttive dotate di ingombri notevolmente minori
di quelli ottenibili, a parit di ra.pporto di riduzione, adottando dei rotismi
ordinari.
Si consideri ad esempio il rotismo epicicloidale illustrato nella Fig. 127:
in esso il porta treno P collegato al motore, mentre il solare (l) collegato
all'utilizzatore e la ruota dentata (2) fissa. fl rapporto di tra,Sl11SS0!1e Wj/0.

Fig. 127 - Riduttore a rotismi epicicloidali: il solare (2) fermo

evidente quindi che, se i numeri di denti delle ruote vengono scelti in


modo da fornire per il rapporto di trasmissione del rotismo reso ordinario un
valore molto prossimo a l, si in grado di ottenere dei valori di wl/O molto
piccoli ed inoltre positivi (rotazioni w1 e n tra loro concordi) per valori di
T leggermente maggiori di quello unitario, oppure negativi (rotazioni w 1 e
f1 tra loro discordi) pe~ Valori di T leggermente inferiori all'unit.
Un altro tipo di riduttore epicicloidale molto diffuso quello indicato
nella Fig. 125 e del quale viene mostrato un esempio concreto di applicazione
nella Fig. 128, dove raffigurata la ruota motrice di un trattore per movimento
terra: in essa il solare esterno del rotismo epicicloidale solidale all'albero cavo
ed fisso mentre l'albero interno quello motore e trasmette il moto aH'altra
ruota solare. D portatreno invece collegato solidalmente al mozzo della ruota
motrice del trattore; in questo modo il rapporto tra le velocit angolari della

175

174
ruota e dell'albero , in base a quanto gi esaminato nel paragrafo precedente,
pari a:

= -.,-----wl

2 ( 1+

;: )

dove z1 _e z3 sono rispettivamente i numeri di denti della ruota motrice e dei


satelliti.

4. 7 - Rendimento di rotismi epicicloidali


Nel paragrafo 3.9 sono state esaminate le varie cause di perdite meccaniche nella trasmissione del moto mediante ingranaggi. Per i rotismi ad
assi :fissi si visto che il rendimento globale il prodotto dei rendimenti delle
singole coppie di rute dentate. Nel caso dei rotismi epicicloidali la determinazione del rendimento globale in funzione di quello delle singole coppie
di ruote dentate pi complesso per la presenza delle ruote dentate ad asse
mobile. Tuttavia, se si considerano soltanto le perdite di potenza meccanica
dipendenti dal moto relativo fra le ruote dentate, il problema del calcolo del
rendimento di un rotismo epicicloidale pu essere effettuato tenendo presente
che le velocit relative fra le ruote dentate non variano applicando a tutto il
rotismo una certa velocit angolare.
Si pu pertanto calcolare n rendimento del rotismo epicicloidale scrivendo un bilancio di potenze del rotismo effettivo e un bilancio di potenze del
rotismo "ordinario". Per quest'ultima relazione occorre prestare una particolare attenzione. Infatti, i flussi di potenza attraverso le ruote dentate del
rotismo effettivo possono essere diversi\ia quelli del rotismo reso "ordinario",
ed occorre quindi esaminare attentamente i segni delle coppie e delle velocit
angolari dei vari elementi rotanti, al fine di introdurre il giusto valore del
rendimento.
.
,.
Si consideri, ad esempio, n rotismo'epi-.
cicloidale di Fig. 129 in cui il portatreno P
collegato al motore, mentre il solare l collegato all'utilizzatore ed il solare 2 fisso. In
questo caso il flusso di potenza avviene dal
portatreno verso il solare l.
Questo rotismo identico a quello indicato nella Fig. 127, per cui il rapporto fra
le Velocit angolari Wl e n :
W1

T-

Z2Z3

-=--=1---=a

Fig. 128 - Ruota motrice di un trattore per movimento terra

Z1Z4

Per come realizzato il rotismo di


Fig. 129, z1 > z2 e z4 > z3 , per cui O< a< l
e, di conseguenza, risulta che w 1 e n sono
concordi con w 1 < n. Le equazioni di equilibrio di coppia e di potenza sono:

Fig. 129 - Rotismo epicicloidale

177

176
C1

+ C2 + Cp

{ C1w1

da cui risulta:

c1

=O

+ Cpf2r}P,1
W!

=O

cl

Cp=---=--a
71P,1 0
71P,!

C2

=-Cp -

C1

che, unite all'equazione di equilibrio di coppia, forniscono la seguente espressione del rendimento inverso:

=C1 (~1)
71P,1

Poich il rapporto di trasmissione a minore di uno e quindi IC1 l


maggiore di ICPI, risulta che C2 positiva.
Immaginando ora di dare a tutto il rotismo una velocit angolare -n,
risulta che il portatreno fisso, mentre i solari l e 2 ruotano .rispettivamente
alle velocit angolari w1 -n e -n. Queste velocit angolari sono entrambe
negative, poich lw 1 l < IO!; pertanto, essendo C1 negativa e C2 positiva,
il flusso di potenza nel "rotismo reso ordinario" va dal solare l al solare 2,
quindi:

l _ Z2 Z3 __l__

(2.108)

71!,P =

Zl
1

Z4

713,1 712,4
Z3

Z2

Z1Z4

Dalle (2.107) e (2.108) si pu osservare come il rendimento globale del


rotismo vari, per grandi rapporti di riduzione, molto rapidamente con piccole
variazioni del rendimento delle singole coppie di ruote. Ad esempio, se 71 1 ,3 =
714,2 = 713,1 = 712,4 = 71, . Z1 = 19, Z2 = 18, Z3 = 20, Z4 = 21, Si ha: wr/0 =
1/10,231 ed i rendimenti valgono: per 71 = O, 99, 71P,l = O, 845, 71l,P = O, 812; per
71 = 0,98,71P,1 = 0,732,711,P = 0,619; per 71 = 0,97,71P,1 = 0,647,71l,P = 0,420.
Infine, dalla (2.108) si trova che il rotismo, funzionando da moltiplicatore ha
rendimento nullo per 71 = O, 94987, mentre, sempre per questo valore di 71, il
rendimento in moto diretto (riduttore) vale ancora 0,526.

4.8 - Rotismi epicicloidali ad ingranaggi conici

e, dopo alcuni passaggi:

Uguagliando questa espressione di C2 con quella prima trovata si ha:

ossia:
(2.107)

Nel caso di moto inverso (solare l motore, portatreno P utilizzatore),


le due equazioni di equilibrio di potenza diventano:

CJW!711,P + CpO o
{ C2(-0)712,1 + C1(w1- O)= O

I rotismi epicicloidali ad ingranaggi conici trovano la loro principale


applicazione nei differenziali. Dei differenziali, quasi universalmente adottati
sugli autoveicoli onde consentire alle ruote motrici di percorrere traiettorie
curvilinee senza che si verifichi strisciamento tra le ruote stesse ed il terreno,
riportata una applicazione pratica nella Fig. 130, che illustra per l'appunto
un differenziale per autocarro. In esso i due solari (1) e (2) sono costituiti da
due ruote dentate coniche uguali che ingranano con due satelliti identici (3)
e (4 ). I satelliti, liberi di ruotare attorno ad un perno solidale al portatreno
(P), vengono da questo trascinati in rotazione attorno all'asse delle ruote in
quanto il portatreno stesso solidale ad una ruota dentata conica che ingrana
con un rocchetto conico il quale a sua volta ri-ceve il moto dal motore. Se si
considera il rotismo a portatreno fisso, ossia dopo averlo reso ordinario, si pu
constatare facilmente che il rapporto di trasmissione tra i solari (l) e (2)
pari a r =-l. In base alla formula di Willis si ottiene allora:
w2 -n
--=r=-1
w1-n

178

179

e di conseguenza:

In condizioni di moto _r_ettilip.eQ, le. velocit..a.ngolar-i.-delle;uote-mot-ridlqro uguali ed.i satellitLdeLdifferenziale-non ruotano


at~~rno alloro asse, in ~~!_lt_o_ !_~v~no _qyyiamente_~ssereugua}L anche le_velo~l.!-!_~irotazione dei due solari. Se invece si cons!dera il veicolo in ma~cia
lungo una traiettoria curvilinea si osserva che i .baricentri delle due_ ruote ed
i_punto medio d~ll'asse che le collega posseggono rispettivamente le velocit:
V~_=_~Y-~- -::.YJ.:!J., VM = wv R e V2 = wv(R + p/2), dove con wv si indicata
la velocit di rotazione del veicolo attorno al centro della traiettoria. Affi.nch
le ruote rotolino senza strisciare necessario pertanto che le loro velocit
angolari risultino pari a:
Q.~!!'_a_!ltoveicc;>lg SOJ:!~_tra

Fig. 130 - Differenziale per autocarro

In un differenziale quindi, la velocit angolare del portatreno uguale


alla semisomrna delle velocit angolari delle due ruote. Inoltre, in base alla
(2.103), il rapporto tra le coppie agenti sui due solari :

Fig. 131 - Velocit dei centri delle ruote di un veicolo in una traiettoria curva

men-tre la velocit angolare del portatreno risulta:


O :::

Wl

+ W2
2

c2 = _.!. =1

c1

e pertanto le coppie agenti sulle due ruote solari in condizioni di regime sono
sempre uguali tra loro, mentre la coppia fornita dal portatreno data da:

:::

2VM d

Come si pu osservare, la ruota interna alla curva deve possedere una


velocit angolare minore di quella relativa alla ruota esterna e ci reso possibile proprio dalla presenza del differenziale. In tal caso infatti i satelliti, oltre
ad essere trascinati dal portatreno, si pongono in rotazione attorno al proprio
asse in modo tale da diminuire la velocit angolare del solare collegato alla
ruota interna ed aumentare corrispondentemente l'altra.

180

181

Oltre che sugli assi delle ruote motrici dei veicoli, i differenziali trovano
evidentemente applicazione in tutti i sistemi meccanici nei quali occorre effettuare la somma di due rotazioni quali, ad esempio, i servomeccanismi utilizzati
per il comando di un organo meccanico.
Rotismi epicicloidali ad ingranaggi conici, sia con solari uguali (come
nel differenziale), sia con solari differenti vengono inoltre usati come riduttori
a forte rapporto di riduzione analogamente a quanto visto per i riduttori
epicicloidali ad ingranaggi cilindrici.

4.9 - Rotismi epicicloidali multipli

Si definisce rotismo epicicloidale multiplo quello formato da pi rotismi


epicicloidali nei quali uno o pi elementi appartengono a due rotismi successivi. Un rotismo epicicloidale multiplo, e per esatezza doppio, illustrato nella
Fig. 132; in esso infatti il portatreno (P) comune ai due rotismi componenti
ed anche la ruota composta (2-3) un solare per entrambi. opportuno osservare che, come in un rotismo epicicloidale semplice, anche in uno composto
si normalmente in presenza di tre alberi uscenti dal rotismo stesso e che
inoltre anche in questo caso la velocit di uno degli alberi determinata una
volta che siano fissate le altre due.
D calcolo della relazione tra le velocit angolari dei tre alberi uscenti
dal rotismo multiplo si effettua in modo del tutto analogo a quello relativo ad
un rotismo semplice, applicando per pi volte la formula di Willis. Cos nel
rotismo della Fig. 132 si considera inizialmente il rotismo epicicloidale formato
dalle ruote solari (l) e (2), dal portatreno P e dalle ruote satelliti (5). In
esso si ha:
w2 -0
w1- n

--=rl

Fig. 132 - Rotismo epicicloidale doppio con portatreno comune

L'equazione di equilibrio delle coppie fornita, cos come in un rotismo


epicicloidale semplice, da:

c1 + c4 + cp =o
mentre quella delle potenze, assumendo un rendimento unitario, esprimibile
sotto la forma:
C1w1

+ C4w4 + CpO = O

Dal sistema formato dalle due equazioni ora scritte e dalla (2.109) si
ricava che i rapporti tra le singole coppie agenti sugli alberi valgono:

dove r 1 = -~d z 2 il rapporto di trasmissione nel rotismo reso ordinario,


ossia a portatreno fisso. Nel secondo rotismo, formato dai solari (3) e (4), dal
portatreno P e dai satelliti (6) si ha, in modo del tutto analogo:
w4-n
w3-n

--=r2

dove ora r2 -z3 jz4 Osservando ora che w3 =w~, in quanto le ruote dentate
(2) e (3) sono ricavate dallo stesso pezzo, ed eliminando di conseguenza w 2
dalle due equazioni prima scritte si ottiene:
(2.109)

Come si pu notare, anche nei rotismi epicicloidali multipli il rapporto fra le


coppie dipende solo dalla geometria del rotismo e non dalle velocit angolari
degli alberi, e pertanto anche i rotismi epicicloidali multipli sono, nell'ipotesi
di moto a regime e di rendimento unitario, dei partitori di coppia.
I rotismi epicicloidali multipli, infine, possono anche essere realizzati utilizzando ruote dentate coniche anzich cilindriche come chiaramente visibile
i. JACAZIO-PIOlv!BO- La trasmissione del moto

182

nell'applicazione illustrata in Fig. 133. Il rotismo epicicloidale ivi rappresentato in pratica costituito da due rotismi semplici in parallelo aventi un solare
ed il portatreno in comue. Il solare A ruota solidalmente all'albero motore F
ed ingrana con i satelliti D i quali ruotano liberamente attorno al portatreno
e si impegnano con l'altra ruota solare C fissa. Ai satelliti D sono inoltre
solidali gli altri satelliti E, i quali a loro volta ingranano con la ruota solare
B rigidamente collegata all'albero condotto G. n portatreno in questo caso
un elemento interno al rotismo multiplo e ad esso quindi non risulta applicata
alcuna coppia esterna; le coppie esterne agiscono infatti in questo caso sulle
tre ruote solari A, B e C.

Fig. 133 - Rotismo epicicloidale multiplo ad ingrana.ggi conici

Per ricavare la relazione esistente fra le tre velocit angolari wA,ws


ed wc occorre ora procedere nel modo seguente. Considerando il rotismo
epicicloidale semplice (A, D, C) ed indicando con n la velocit angolare del
portatreno si ha:
wc-n
---=11

WA
11

-n

= -zA/ zc mentre per il rotismo epicicloidale sep1plice

(A, D, E, B) si ha:

ws-n

---=i?

WACOn

12

fl

= -ZA ZE/ZD ZB

Eliminando

Se poi come stato in precedenza ipotizzato, il solare C fisso (wc

'

WB

12-1!

WA

= l - lj =

ZA(ZDZB-ZEZC)
ZD

dalle due equazioni ora scritte si ottiene:

-n

aw.s

+ ZA)

Una interessante applicazione dei rotismi epicicloidali multipli quella


relativa alla regolazione del passo delle pale di un'elica. Nelle eliche a passo
variabile infatti, in base alle condizioni di funzionamento desiderate, si invia
corrente ad un motore elettrico collegato alle pale in modo da farle ruotare
fino al raggiungimento della posizione richiesta. In un sistema di questo genere
occorre per avere fortissimi rapporti di riduzione entro un piccolo spazio in
quanto la coppia richiesta per ruotare le pale di intensit rilevante, mentre
il motore elettrico, per ragioni di carattere tecnico-costruttive, sempre di
dimensioni ridotte e ruota ad alta velocit.
Lo schema del rotismo epicicloidale adottato illustrato schematicamente nella Fig. 134; in esso il motore elettrico guida il solare A, mentre le
corone dentate C~ ed H sono fisse all'involucro, i due portatreni sono indipendenti e liberi di ruotare attorno alloro asse comune, e l'albero di uscita J
comanda la rotazione delle pale dell'elica. per il tramite di una. normale coppia.
coni ca. ad assi fissi.
Per il calcolo del rapporto globale di trasmissione opportuno iniziare
a considerare il rotismo (A,B,C); indicando con n la velocit angolare del
porta.treno e rammentando che la. ruota C fissa. si ha:
---=11

i .

zs(zc

Se pertanto i .due prodotti zs ZD e ZE zc sono quasi uguali tra loro


si ottiene da questo rotismo epicicloidale un riduttore dotato di un rapporto
di riduzione estremamente elevato, di dimensioni ridotte e di alberi di ingresso e di uscita coassiali, caratteristiche queste molto apprezzate in svariate
realizzazioni costruttive.
n rendimento di rotismi epicicloidali multipli pu essere ricavato seguendo il procedimento indicato nel paragrafo 4.7 per i rotismi epicicloidali
semplici.

WA-

,j

o), si ha in definitiva che:

4.10 - Rotismi epicicloidali per la regolazione del passo delle pale di


un'elica

F --

dove, al solito,

183

H iiU.

z.s.

JZlWlSL &Uk

=A

=-::c

184

185

Considerando il rotismo (A, B, D, E) si ottiene invece:

Come risulta evidente analizzando la (2.110), per ottenere un rapporto


di riduzione molto elevato sufficiente rendere abbastanza piccol~ le differenze
(r1-r2) e (rs-r4)
Si consideri ad esempio una possibile serie di ingranaggi costituita dalle
ruote: ZA = 13, ZB =56, ZC = 125, ZD = 48, ZE = 117, ZF = 17, ZG = 30, ZH =
77, z1 = 26, z1 = 73. (si osservi che nella Fig. 134le ruote dentate F,G,H,I,J
hanno dimensioni maggiori di A, B, C, D, E in quanto posseggono un modulo
maggiore). Con i valori scelti dei numeri dei denti si ha:

f2
ZA ZD
---=r2=--f2
ZB ZE

WE-

WA-

Tj

= -0, 104;

T2

= -0, 09524;

1"3

= -0, 2208;

1"4 = -0,2018

e dalla (2.110) si ottiene per il rapporto di trasmissione globale il valore:


WJ
=8115

WA

Fig. 134 - Rotismo epicicloidale per la regolazione del passo delle pale di un'elica

Analogamente per il rotismo (F, G, H), tenendo conto ora che


e che la ruota H fissa, 'si ha:

WF

=w E

4.11 - Cambio di velocit a rotismi epicicloidali

-0 1
rs
WE- f2' .

ZF
= = -ZH

Ed infine, per il rotismo (F, G, I, J) si ha:


WJWE-

O'
f2'

ZFZJ
= = --ZG ZJ
7"4

Dalle quattro equazioni ora scritte si in grado di ricavare il rapporto


WJ/wA
eliminando in fasi successive i termini wE,n,n' ed ottenendo in
defin ti va.:
(2.110)

WJ
WA

= (~)
Tj-

valore estremamente basso, ma che comunque non rappresenta un limite inferiore per questo tipo di rotismi multipli. Con una opportuna scelta del numero
dei denti delle ruote si sono infatti ottenuti, a parit di ingombro del riduttore,
rapporti di trasmissione fino a l : 180000 ed interessante notare che se si
volesse ottenere un rapporto di trasmissione cos basso con una sola coppia di
ruote dentate cilindriche, nell'ipotesi di adottare una ruota motrice di 4 cm
di diametro si dovrebbe accoppiare a questa una ruota condotta di diametro
pari a 7,2 km.

(T3T4)
1"3 -1

I rotismi epicicloidali multipli vengono comunemente utilizzati anche negli autoveicoli, e particolarmente nei veicoli pesanti ed in quelli a trasmissione
automatica, per quanto concerne la. realizzazione dei cambi di velocit.
Un esempio di cambio di velocit a rotismi epicicloidali illustrato nella.
Fig. 135. In esso l'albero motore solidale ai due solari A e B e trasmette
inoltre il moto, tramite un albero scanalato, alla frizione Z. L'albero di uscita
(albero condotto) indicato con 2, mentre con F 1 , F2 , F3 , F4 sono stati indicati
i freni (a nastro o a disco), che mantengono fissi, a seconda delle necessit, gli
elementi sui quali essi agiscono.
Si consideri ora il caso in cui il freno F2 mantiene ferma la corona
dentata I in modo che il moto venga trasmesso dall'albero motore a quello

186

187

condotto (che porta gli assi dei satelliti D e M) tramite il rotismo epicicloidale (B, D, I). TI rapporto di trasmissione, essendo I fermo, dato
da:
-W2

ZB

wl- w2

ZJ

---=r~=--

ossia
W2

TJ

ZB

-=--=---

e pertanto il rapporto di trasmissione risulta in questo caso maggiore di quello


precedente.
Se ora si mette in funzione il freno F3 , il moto viene trasmesso con
l'ausilio di tre rotismi epicicloidali:
a) il rotismo (E, F, G) in cui G fisso;
b) il rotismo (A, C, H);
c) il rotismo (B, D, I).
La formula di Willis, applicata successivamente ai tre rotismi, fornisce
le seguenti relazioni fra le varie velocit angolari:
WJ-WH

-wH
WH -W[
Wj-W[

= ra = -ZG
ZE
ZA
= T2 = -ZH

WJ-Wz

ZB

Wj- W2

Z[

---=T!=--

e da queste, sviluppando i calcoli, si ottiene:


w2
r2(l- ra)- r1(r2- rz ra + ra)
w1 =
(l-r1)(r2-r2ra+r3)
=
ZB

----~~-A~Z~J~(N~-E~+_z~G~)______~

=--+-cZB + ZJ
(zB +
Fig. 135 - Rotismo epicicloidale multiplo per cambio di velocit

Se invece operante il freno F1 ed mantenuta fissa la corona dentata


H, il moto viene trasmesso dall'albero motore a quello condotto mediante un

rotismo epicicloidale multiplo. In esso il primo rotismo formato dal solare


A, dal satellite C e dal solare H (fisso); il portatreno di questo rotismo
solidale alla corona dentata I che costituisce un solare del secondo rotismo
(I, D, B) ed il portatreno di questo secondo rotismo coincide, come nel caso
precedente, con l'albero condotto. Si ha dunque in definitva:

Wj-:~/ = T2 = - ;;
{

WJ-W2

ZB

wl -w2

ZJ

---=rl =--

ZJ)(zA ZE

ZA ZG

+ ZG ZH)

Se ora si inserisce la frizione Z mentre tutti i freni sono disinseriti, le


velocit angolari delle ruote dentate A, B e G sono le stesse, per cui tutto
il complesso e quindi anche l'albero condotto 2, ruota alla stessa velocit
angolare w 1
Se infine si inserisce il freno F4 il moto viene trasmesso mediante i
rotismi (B,D,I) e (L, M, N) in cui WN =O, ottenendo cos:
W[- W2

ZB

---=r~=-

WI- W2

ZJ

-W2

ZL

WJ -W2

ZN

---=r4=---

e da queste, dopo alcuni passaggi, si ottiene:

da cui, eliminando w1 , si ottiene


W2
Wj

+ T2- T2 = -ZB- + -:---_.:.:,_,..:.-__


ZA ZJ
= (l-rl)(r2-l)
ZB+ZJ
(::A+zH)(zB+ZJ)
Tj

Tj

Poich z 1 > z8 e zN > zL il rapporto w2 fw 1 negativo e questo caso


caratterizza di conseguenza la retromarcia.

188

189

4.12 - Sterzo di mezzi cingolati


Proseguendo nella rassegna di applicazioni tecniche dei rotismi epicicloidali opportuno soffermarsi su quella riguardante la capacit sterzante
dei veicoli cingolati. Questi ultimi infatti vengono dotati della possibilit di
variare la loro traiettoria utilizzando diverse realizzazioni costruttive, tutte
per basate sul principio di frenare una delle due corone dentate dei rotismi
epiciclodali collegati alle ruote.

dove zs e zc sono i numeri di denti del solare S1 (o S2) e della corona


dentata C1 (o C2).
Di conseguenza, se entrambe le frizioni sono inserite ed i freni entrambi
disinseriti, le velocit angolari ws e WD delle ruote dentate motrici di
sinistra e di destra. sono pari a wy ed il veicolo mantiene una traiettoria
rettilinea; se invece sono inseriti la frizione di sinistra ed il freno di destra
(caso rappresentato nella Fig. 136), la velocit angolare ws pari a wy,
mentre la WD pari a wy zs/(zc + zs) e di conseguenza il veicolo procede
verso destra. n fenomeno opposto si verifica ovviamente quando vengono
inseriti il freno di sinistra e la frizione di destra.

Fig. 137- Velocit angolare di sterzata e raggio di curvatura di un veicolo cingolato


Fig. 136- Schema di sterzo di un veicolo cingolato

Lo schema fondamentale dello sterzo di un veicolo cingolato illustrato


nella Fig. 136. In esso l'albero x trasmette il moto all'albero delle ruote
motrici y mediante una coppia conica. L'albero y a sua volta rigidamente
collegato alle due ruote dentate S 1 e S 2 , che costituiscono i solari di due
. rotismi epicicloidali. n portatreno di ciascun rotismo solidale alle ruote
dentate motrici.dei due cingoli, mentre la corona dentata costituente l'altro
solare pu essere mantenuta ferma mediante il freno F1 (o F 2 ) oppure pu
essere resa solidale al portatreno mediante la friazione N1 (o N2 ).
Se allora la frizione N1 (o N2 ) inserita, la rispettiva corona dentata
solidale al portatreno e tutto il rotismo epicicloidale costituisce un elemento
rigido che ruota alla stessa velocit angolare wy dell'albero y. Se invece la
frizione disinserita ed il freno mantiene ferma la corona dentata, la velocit
angolare del portatreno diventa:
O=w~
Y zc + =s

Indicando ora con D il diametro delle ruote dentate motrici e con p la


loro distanza (detta anche carreggiata) si possono immediatamente ricavare i
valori della velocit angolare di sterzata 0 5 e del raggio di curvatura medio
R. Si ha infatti dalla Fig. 137:
05

= D(ws- wD) = D

zc
w
2p
2p(zc+zs) 11
D
D
D
-ws-wD
-ws
2
2
__
2_

-E.+R
2

da cui si ricava in definitiva:

R= E. (ws+wD)
2 (ws - WD)

= p(2zs+zc)
2 =c

190

191

4.13 - Rotismi epicicloidali senza portatreno

n portatreno dei rotismi


epicicloidali ha, in genere, una
doppia funzione: quella di
mantenere equidistanti i satelliti e quella di fornire una coppia al rotismo in grado di
equilibrare le coppie applicate
alle ruote solari. In certi rotismi epicicloidali multipli, tuttavia, il portatreno un elemento interno del rotismo che
ruota liberamente senza fornire coppia (motrice, o resistente). Un esempio illustrato nella Fig. 138, in cui la potenza meccanica viene trasmessa dal solare l al solare
3, mentre la ruota 2 fissa e
il portatreno P ruota liberamente.
In questo caso il rapporto di trasmissione nel rotismo l - P - 2 dato da:

2
4

Fig. 138- Rotismo epicicloidale multiplo con


portatreno libero

-n

Ci rappresentato schematicamente nella Fig. 139, in cui la


ruota dentata solare 2 fissa, mentre la l e la 3 ruotano attorno all'asse comune del rotismo e il portatreno non esiste.
Affinch
questo
rotismo
(detto anche azionatore rotativo a
ingmnaggi) possa funzionare, occorre che esso sia simmetrico rispetto
a un piano di mezzeria perpendicolare all'asse del rotismo. In questo
modo, le forze scambiate fra i denti
delle dentature (2-4), (3-5), (1-5),
(2'-4') costituiscono un insieme di forze equilibrato e non quindi necessario un elemento in grado
di fornire reazioni vincolari (portatreno).
I vantaggi costituiti dali 'eliminazione del portatreno sono essenFig. 139 - Rotismo epicicloidale senza
zialmente due: riduzione d eli 'inportatreno
gombro (e conseguentemente del
peso) del componente, e miglioramento della ripartizione del carico fra i vari satelliti.

z1

--= TJ = -WJ- n
Z2
mentre il rapporto di trasmissione nel rotismo l W3-

P-~.

dato da:

ZJZS

---=T?=--WJ-n

Z4Z3

e il rapporto di trasmissione globale :


(2.111)

wa

TJ- r2

WJ

TJ-

-=--l

Poich in questo rotismo il portatreno non trasmette potenza meccanica


possibile realizzare una soluzione costruttiva in cui il portatreno non esiste.

4.14 - Riduttori cicloidali


;I riduttori cicloidali, basati sullo stesso principio di funzionamento dei
riduttori epicicloidali, si differenziano per da questi sia perch il loro albero
di uscita collegato ad un satellite del rotismo costituente. il riduttore, sia
perch il riduttore stesso realizzato in modo tale da ottenere un rotolamento
senza strisciamento fra tutte le superfici in moto relativo, assicurando cos un
valore particolarmente elevato del rendimento.
Lo schema fondamentale di un riduttore cicloidale rappresentato in
Fig. 140: l'albero di ingresso x forma un gomito G, gomito che porta il
cuscinetto a rulli R; su questo poi calettato il satellite, costituito dalla ruota

192

193

dentata S a denti cicloidali che a sua volta ingrana con una corona dentata
fissa c il cui asse coincide con quello di :z:. n riduttore si presenta dunque nel
suo complesso come un rotismo epicicloidale in cui manca un solare mentre
l'altro rappresentato dalla corona dentata C ed in cui inoltre la ruota S
ed il gomito G fungono rispettivamente da satellite e da portatreno.

Poich inoltre questo particolare rotismo epicicloidale privo del solare


interno, evidente che il satellite pu assumere dimensioni di poco inferiori
a quelle della corona esterna ed in particolare possedere un numero di denti
inferiore di una unit a quello della corona stessa. Si ottiene in tal caso per il
rapporto di trasmis~ione il valore:
w

-8= - Wx

Zs

Dotando il satellite di un numero elevato di denti si quindi in grado di ottenere un forte rapporto di riduzione, generalmente compreso tra
l : 20 e l : 100, mentre per rapporti di riduzione ancora maggiori si ricorre normalmente all'uso di due riduttori collegati in serie fra loro.
Nella Fig. 141-a illustrata una realizzazione costruttiva del riduttore
cicloidale schematicamente rappresentato in Fig. 140: come si pu notare,
l'asse del cuscinetto a rulli R possiede una piccola eccentricit e rispetto
all'asse dell'albero motore x e trascina inoltre durante la sua rotazione il
satellitP S avente denti a profilo cicloidale. I denti della corona fissa C sono
invece costituiti da perni e ogni perno porta un rullo cilindrico; con questo
accorgimento si evita lo strisciamento fra denti del satellite e denti della corona
in quanto i rulli portati dai perni solidali alla corona rotolano senza strisciare
rispetto ai denti cicloidali del satellite stesso.

Fig. 140- Schema funzionale di un riduttore cicloidale


R

Supponendo ora di fornire a tutto il sistema una velocit angolare -wx,


uguale ed opposta a quella del portatreno G, si trasforma il rotismo epicicloidale in uno ordinario ad assi fissi in cui le velocit angolari della corona
C e del satellite S valgono rispettivamente -W:r e WS- w,. il rapporto di
trasmissione in questo rotismo ad assi fissi vale pertanto:

-W:r
WS -W:r

ZS

=ZC

da cui si ricava:
Fig. 141 - Schema costruttivo di un riduttore cicloidale; a) satellite e corona dentata;
b) satellite e albero condotto

Poich il satellite ruota attorno ad un asse mobile mentre l'albero con-

194

dotto ruota attorno ad un asse fisso coincidente con quello dell'albero motore,
il riduttore completato da un semplice meccanismo, illustrato nella Fig. 141b, che attua la trasmissione del moto dal satellite all'albero condotto. Come
si pu notare, il disco cicloidale costituente il satellite porta una serie di fori
nei quali si impegnano altrettanti rulli portati da perni solidali all'albero condotto, ed il gioco diametrale tra rulli e fori pari al doppio della eccentricit in
modo da consentire un moto relativo tra satellite ed albero condotto. Questo
sistema realizza in pratica la stessa funzione di un giunto di Oldham diminuendone per le perdite, in quanto i rulli rotolano senza strisciare rispetto
ai fori del satellite, fenomeno questo che riduce sensibilmente le dissipazioni
di "energia dovute all'attrito. Riduttori cicloidali con rapporti di riduzione
di l : 100 posseggono infatti rendimenti dell'ordine di 0,95, sensibilmente
maggiori di quelli ottenibili con altri rotismi.
La presenza di un disco eccentrico nel riduttore cicloidale genera p~r
una forza centrifuga, forza che origina a sua volta un carico rotante sui supporti; onde evitare questo inconveniente si usano sovente riduttori cicloidali
nei quali l 'albero motore possiede due gomiti sfasati di 180, ognuno dei quali
porta un eccentrico a denti cicloidali in modo da bila.nciare cos gli effetti
dannosi della forza centrifuga.

4.15 - Riduttori armonici


I riduttori armonici, apparentemente simili ai riduttori epicicloidali, differiscono da questi nel principio di funzionamento in quanto realizzano grandi
rapporti di trasmissione sfr.uttando la deformabilit di un anello dentato. Lo
schema di un riduttore armonico indicato nella Fig. 142: l'albero motore
collegato al braccio che porta i due rulli, mentre l'albero di uscita collegato
ad un anello dentato flessibile e la corona dentata esterna fissa. L'anello
flessibile, dotato di un numero di denti minore di quello della corona, assume
- in conseguenza del moto dei rulli solidali all'albero motore una forma ellittica,
realizzando cos il contatto tra i suoi denti e quelli della corona, come per
l'appunto mostrato nella Fig. 142.
Se il braccio motore ruota alla velocit angolare wm, anche la sagoma
ellittica dell'anello ruota alla velocit wm ed chiaro che quando l 'albero
motore ha compiuto un giro tutti i denti dell'anello sono stati a contatto con
i corrispondenti denti della corona. Se allora i numeri di denti dell'anello e
della corona sono rispettivamente z0 e z0 , la frazione di angolo giro di cui

195

\.

l'anello ha ruo.tato in corrispondenza di un giro dell'albero motore data da:


(2.112)

Za- Zc

r=--Za

Fig. 142- Schema di riduttore armonico. M: albero motore; C: corona dentata


fissa; F: anello dentato flessibile

(si noti che se l 'albero motore ruota in senso orario, l 'anello flessibile ruota in
senso antiorario). La (2.112) rappresenta dunque il rapporto di trasmissione
esistente tra l'albero motore e l'albero condotto; solidale all'anello flessibile,
ed analoga alla espressione relativa ai riduttori cicloidali.
Durante la rotazione del braccio motore l'anello flessibile possiede, oltre
al lento movimento di rotazione attorno al proprio asse, anche una pulsazione in direzione radiale dovuta alla deformazione indotta dal braccio motore. Proprio a causa di queste pulsazioni, al braccio motore ed al riduttore
nel suo complesso vengono rispettivamente dati i nomi di generatore d'onda e
di riduttore armonico.
I vantaggi dei riduttori armonici risiedono nella loro semplicit (vi sono
unicamente tre elementi), nella capacit di trasmettere coppie elevate tra corona fissa ed anello flessibile in quanto vi sono sempre numerosi denti in presa,
e nella possibilit di generare la forma ellittica dell'anello utilizzando parecchi
mezzi tra loro differenti. Oltre a quello indicato nella Fig. 142, si possono
infatti utilizzare quali generatori d'onda sia dei cuscinetti a rotolamento di
forma ellittica, sia delle serie di pistoni comandati idraulicamente o pneumaticamente, sia dei campi magnetici rotanti, sia infine dei cuscinetti opportunamente sagomati in modo da ottenere una lubrificazione idrodinamica.

197

196
Anche se finora si preso in considerazione un riduttore armonico in
cui la corona dentata mantenuta fissa, esistono purtuttavia nella pratica
realizzazioni in cui la corona dentata mobile mentre fisso l'anello flessibile,
oppure applicazioni con generatore d'onda fisso, o con tutti e tre gli elementi
mobili. La relazione tra le diverse velocit angolari ricavabile mediante
considerazioni. identiche a quelle fornite nei casi di rotismi epicicloidali e di
riduttori cicloidali, ottenendo di conseguenza:
Wc- Wg

(2.113)

Wa- Wg

Za
Ze

dove con wa,wc ed w9 si sono indicate rispettivamente le velocit angolari


dell'anello flessibile, della corona dentata rigida e del generatore d'onda e da
dove si ritrova ovviamente la (2.112) quando si ponga Wc= O.

mantenuto fermo e dalla (2.113) si ottiene:


Wa

ed essendo

Wc=

w1zdz2 con zJ/z2

Zc

Wa =-Wc
Za

= w2

Wc=

w1zdz2

w2

si ottiene:

Ze)
+w9 ( 1-:.,a

=w1za/zc

Essendo poi nell'esempio citato: zc

Si consideri ora a titolo di esempio il sistema indicato nella Fig. 143:


l'alb~ro motore x comanda il rullo R1 ed solidale ad una ruota dentata
cilindrica avente z1
100 denti. Quest'ultima trasmette il moto, tramite
una ruota dentata folle, ad una seconda ruota avente z2 101 denti, ruota
che ricavata sull'esterno della corona dentata i un riduttore armonico in
cui i numeri di denti della corona e dell'anello flessibile sono rispettivamente
ze = 101 e Za = 100. L'anello flessibile
A comanda il rullo R 2 mentre il
generatore d'onda I< riceve il moto da un piccolo motore elettrico M sul
cui asse posto un freno. Se allora il freno inserito, il generatore d'onda

= za/zc

Se si vuole far variare la velocit angolare w 2 sufficiente liberare il freno e,


tramite il motore elettrico M, far ruotare il generatore d'onda alla velocit
angolare w9 Dalla (2.113) si ha infatti:

Poich w4

Fig. 143 - Applicazione di un riduttore armonico alla regolazione del rapporto tra le
velocit angolari di due rulli

Zc

-=-

= 101

si ottiene in definitiva:

e za

= 100,

si ha:

= w1- O,Olw9

chiaro ora come, facendo ruotare il generatore d'onda., si riesca ad


ottenere un aggiustaggio della velocit angolare del rullo R 2 rispetto a quella
del rullo R1 Si noti che se si vuole far aumentare w 2 rispetto a w 1
sufficiente far ruotare il generatore d 'onda in verso opposto a quello indicato
in figura.
Utilizzando lo stesso dispositivo si in grado di effettuare anche l'aggiustaggio della fase dei due rulli facendo compiere al generatore d'onda solo
un angolo (od un numero di giri) limitato ed in tal caso al motore elettrico
pu essere sostituito un comando manuale.
Per quanto si sia finora considerato il caso di corona dentata rigida
esterna, esistono anche soluzioni tecniche che, pur sfruttando il principio gi
in precedenza analizzato, posseggono il generatore d 'onda esterno; tale generatore deforma un anello flessibile con dentatura interna che a sua volta
ingrana con una ruota dentata rigida a. dentatura esterna axente un numero
di denti leggermente inferiore a quello dell'anello flessibile.

198

)-.

5. VITI

5.1 - Geometria delle viti


La vite essenzialmente un elemento rigido in cui la parte attiva, cio
quella che viene a contatto con l'altro elemento dell'accoppiamento, costituita da una porzione d elicoide, ossia da una porzione d superficie generata
Generatore
d'onda

b)

a)

Struttura fissa

Fig. 144- Schema di installazione di un riduttore armonico per il comando


del braccio di un robot

Per concludere, nella Fig. 144 riportato lo schema di installazione di


un riduttore armonico per il comando del braccio di un robot.

C)

Fig. 145- Sezione della vite con un piano passante per l'asse: a) filetto rettangolare;
b) filetto trapezio; c) filetto elicoidale generico

l.

201

200
da una curva che si muove di moto elicoidale attorno all'asse della vite, compresa tra due cilindri analoghi ai cilindri od ai coni di troncatura delle ruote
dentate (Figg. 145 a, b, c). Affi.nch il moto possa avvenire nei due sensi la vite
presenta in realt due superfici elicoidali attive simmetriche ognuna delle quali
serve a trasmettere delle forze in un verso assegnato. Poich le due superfici
elicoidali attive posseggono lo stesso passo, esse originano di conseguenza un
filetto che si avvolge ad elica lungo il corpo centrale della vite, filetto che pu
assumere forme diverse a seconda del tipo di curva che genera l'elicoide. Le
forme normalmente adottate nella pratica sono quelle:
- rettangolare (Fig. 145-a);
e
- trapezia (Fig. 145-b).
Le viti a filetto rettangolare, come si avr modo di osservare nel seguito,
anche se godono, a parit di altre condizioni, di un rendimento leggermente
maggiore di quello delle viti a filetto trapezio, risultano di pi difficile lavorazione rispetto a queste e pertanto la loro utilizzazione abbastanza limitata.
La distanza fra due intersezioni successive dei filetti della vite con un
piano passante per il suo asse prende il nome di passo assiale Pa e pu
essere uguale o inferiore al passo effettivo dei filetti che costituiscono la vite
a seconda del numero dei filetti stessi. Una vite pu essere infatti formata da
un unico filetto che si avvolge ad elica (Fig. 146a), ed in tal caso il passo Pe
dell'elicoide costituente i filetti uguale al passo assiale Pa (Fig. 145), oppure
pu essere realizzata da 2, 3 o pi filetti tra loro equidistanti (Figg. 146b e
c), ed in questo caso il passo dell'elicoide p. un multiplo intero del passo
assiale Pa, e vale:
Pe=

di solito pari ai 7/16 di Pa nelle viti rettangolari, mentre in quelle trapezoidali


si ritrova in genere h~ 0,5pa e fJ = 1430'.

5.2 - Vite e madrevite a filetto rettangolare


Quando si vuole trasformare un moto rotatorio in uno rettilineo si pu
accoppiare una vite ad una madrevite (Fig. 147); quest'ultima costituita da
un cilindro cavo nel quale sono ricavate delle scanalature atte ad ospitare il
filetto della vite stessa. Nelle applicazioni dell'accoppiamento vite-madrevite
si possono riscontrare sia casi in cui il moto rotatorio della vite o della madrevite provoca il moto traslatorio dell'altro organo della coppia, sia casi in
cui la vite o la madrevite sono mantenute fisse ed in tal caso l'elemento accoppiato a quello fisso contemporaneamente dotato di moto rotatorio e di
moto traslatorio.
Onde poter determinare le relazioni esistenti tra le grandezze caratteristiche dell'accoppiamento vite-madrevite e le coppie e le forze ad esso applicate, si consideri inizialmente il caso di una vite a filetto rettangolare la
cui elica media possiede angolo di inclinazione a rispetto alla normale all'asse della vite (Fig. 148a). Se ora si sviluppa su un piano il cilindro medio
di diametro d, all'elica media corrisponder una retta inclinata dell'angolo
a sull'orizzontale, e tra passo Pe della vite ed angolo a della filettatura
sussister di conseguenza la relazione:
Pe

7r

d tg Cl'

Pa

se con z si indica il numero dei filetti (o principi) della vite.


a)

b)

c)

Fig. 146 -- a) vite a l principio; b) vite a 2 principi; c) vite a 3 principi

Da un punto di vista costruttivo va osservato che l 'altezza h del filetto

Fig. 147- Accoppiamento vite-madrevite

,_

203

202
Nello sviluppo indicato nella Fig. 148b inoltre, essendo la fi!ettatu~a di
tipo rettangolare, alla vite V corrisponder il prisma avente come mter~ezwne
col piano della figura stessa il trapezio ABCD, mentre alla madrev1te M
corrisponder il prisma avente sezione AF ED.

a)

esaminato nel paragrafo 3.9 del l o volume, inclinata di un angolo tp arctg f


rispetto alla normale n, in modo da possedere una componente d'attrito tale
da opporsi al moto relativo fra le due superfici a contatto. Si avr allora, dalla
Fig. 149:
P = F cos( a: + tp)

b)
F

.......

''

' ',

.........

6x

-----------d

BI.

rr.d

.(

Fig. 148 - Sviluppo dell'accoppiamento vite-madrevite su un piano

Si consideri ora il caso di una vite che ruota e di una madrevite che trasla;
in base alla schematizzazione di Fig. 148b si potr allora rappresentare questo
meccanismo secondo quanto indicato nella Fig. 149: in essa la vite V trasla
in direzione orizzontale ed il suo moto causa di conseguenza la traslazione
della madrevite M in direzione verticale. Se ox la traslazione della vite, la
corrispondente traslazione della madrevite data da: oz =o x tg a:. Essendo
inoltre, in base allo sviluppo dell'elica: ox = MJ d/2, si otterr in definitiva:
(2.114)

oz = 2d tg 0: 8{)

Si supponga ora che alla madrevite M sia applicato un carico P e


si supponga di voler determinare il momento Mv da applicare all'asse della
vite per sollevare a regime il carico P, nell'ipotesi che il coefficiente di attrito
tra i materiali costituenti la vite e la madrevite sia f e che sia di entit
trascurabile l'attrito esistente lungo i supporti della vite e della madrevite.
Con riferimento alla Fig. 149 si pu osservare che, se non vi fosse attrito tra
vite e madrevite, la direzione della forza scambiata tra questi due elementi
sarebbe quella della normale n alle due superfici a contatto. In presenza
di attrito invece la forza scambiata fra V ed M sar, in base a quanto

Fig. 149 - Sollevamento di un carico applicato alla madrevite


della vite v.

mediante rotazione

Poich una forza F uguale ed opposta alla precedente viene esercitata


dalla madrevite sulla vite, quest'ultima, sempre nella schematizzazione della
Fig. 149, dovr essere soggetta ad una forza T, avente direzione orizzontale,
di intensit pari a:
(2.115)

T= Fsin(a: + tp)

= Ptg(a: + tp)

.Come si visto, il prisma V della Fig. 149 rappresenta lo sviluppo su un


piano del cilindro medio della vite; pertanto la forza T espressa dalla (2.115)
non altro che la risultante delle componenti tangenziali di tutte le forze che
la vite esercita sulla madrevite, componenti che, nello sviluppo della vite sul
piano, sono ovviamente tutte parallele tra loro.
Se ora, invece di considerare lo sviluppo su un piano della vite, si considera la vite effettiva, facile concludere che le componenti tangenziali di
tutte le forze esercitate dalla vite sulla madrevite sono disposte lungo il cilindro medio della vite stessa e danno luogo ad una forza risultante nulla e a.d

204

205

un momento rispetto all'asse della vite di intensit pari a:

dove T esprimibile mediante la (2.115) e pertanto l'intensit. del momento


Mv da applicare alla vite per sollevare il carico P fornita da:

Mv

(2.116)

ma dalla parte opposta rispetto a quella relativa ad un sollevamento del carico


V' > a
oppure <p< a. Generalmente il coefficiente di attrito f tale per cui V'> a(caso rappresentato nella Fig. 151 ), e pertanto le equazioni di equilibrio alla
traslazione dell'accoppiamento sono date da:

P. evidente che si possono ora verificare due casi e cio che sia

d
Mv =T2

= 2Pd tg (a-+ V')

P F cos( <p - a-)


{ T= Fsin(<p- a)

ll rendimento del meccanismo varr quindi, ricordando le (2.114) e (2.116):


Pz
tga(2.117)
1J = MvlJ = tg (a-+ <p)
Dall'analisi della (2.117) si osserva che il rendimento della vite, per un
dato valore dell'angolo di attrito <p, nullo per a-= O, cresce all'aumentare
dell'angolo di inclinazione a- fino a raggiungere un massimo per a-= "Tr/4-<p/2,
e successivamente diminuisce, cos come mostrato dal grafico della Fig. 150.
In Fig. 149 rappresentato il caso di una vite che, ruotando in un dato
verso, solleva la madrevite, ed chiaro che se la vite fosse fatta ruotare in
verso opposto la madrevite scenderebbe provocando di conseguenza l'abbassamento del carico (Fig. '151). Anche in questo caso la relazione geometrica
tra gli spostamenti x e z data da z = x tg a e pertanto la (2.114)
manterr ancora la sua validit, mentre per la forza f scambiata tra vite e
madrevite si deve tenere presente che ora, essendo il moto relativo tra i due
membri della coppia di verso opposto a quello precedente, essa risulter. sempre inclinata di un angolo <p rispetto alla normale alle due superfici a contatto,
1.0

1l
0.8

0.6

o.

l. ~

i/o;~

ed il momento Mv da applicare alla vite per ottenere un abbassamento a


regime del carico P dato in modulo da:

~ ~ ~ ~ r...

0.4

,.....

Fig. 151- Abbassamento di un carico applicato alla madrevite M mediante rotazione della vite V

lf

(2.118)

2VI

10

20

30

40

50

60

a(o)

Fig. 150 - Rendimento di un accoppiamento vite-madrevite a filetto rettangolare

d
d
-
Mv =T-= P- tg (<p- a)

Se invece fosse. a- > <p si otterrebbe dalla (2.118) un valore negativo


del momento e ci sta a significare che in quest'ultimo caso per mantenere il
sistema vite-madrevite in moto uniforme si dovrebbe applicare alla vite una
coppia tale da opporsi al moto della vite stessa, in quanto le componenti lungo
l'elica di contatto delle forze elementari dovute al peso sarebbero maggiori
delle forze d 'attrito i vi insorgenti (Fig. 152b ).
In altre parole, nel caso di <p > a ed in assenza del momento Afv,
la vite si mantiene in condizioni di quiete qualunque sia il valore del carico

206

207

l-

applicato alla madrevite, mentre nel caso cp < a ed in assenza del momento

Mv, la madrevite si abbassa provocando di cpnseguenza la rotazione della


vite.

5.3 - Vite e madrevite a filetto trapezio


Quando il filetto della vite ha forma trapezia si pu seguire un procedimento identico a quello esposto per le viti a filetto rettangolare e ricavato
nell'ipotesi di sviluppare l'elica media della vite su un piano. Se per nel caso
di filetto rettangolar.e la superficie attiva della vite era rappresentata, nello
sviluppo del cilindro medio, da un piano avente traccia AD perpendicolare a
quello della Fig. 148, nel caso di filetto trapezio essa rappresentata da una
superficie piana inclinata di un angolo {} rispetto all'orizzontale (Fig. 153).

b)

Fig. 152- Confronto tra la componente Ftp della forza peso lungo l'elica e la forza
d'attrito Ftf neicasi cp>a (a)e cp<a (b)

opportuno osservare che nella trattazione prima esposta si fatto


sempre riferimento al coefficiente di attrito j, mentre quando si esamina
la condizione di quiete del sistema si dovrebbe a rigore introdurre nei calcoli
l'angolo di aderenza 'P a = arctg fa.
Poich per IPa sempre maggiore di <p le espressioni prima ricavate
mantengono la loro validit ad eccezione del caso in cui sia <p< a< 'Pa In
tali condizioni infatti, il sistema rimane fermo in assenza di coppia applicata
alla vite, ma non appena quest'ultima, in presenza di una coppia agente sul
suo asse, si mette in movimento, il moto si mantiene anche se in una fase
successiva si rimuove la coppia stessa.
In tutto il paragrafo si fatto riferimento ad unq,_ vite che ruota e ad
una madrevite che trasla, ma evidente che gli stessi risultati sono ottenibili
in modo del tutto analogo quando si considerano i casi di vite che trasla e
madrevite che ruota, oppure di madrevite fissa e vite che trasla e ruota, e cos
via.

Fig. 153 - Forze scambiate in un accoppiamento vite-madrevite a filetto trapezio

In assenza di attrito, la forza Fn scambiata tra vite e madrevite ha


la direzione n della normale alle due superfici a contatto, normale che giace
in un piano ll1 formante l'angolo {} col piano verticale Ilo, ed inoltre
perpendicolare alla retta m intersezione del piano II 1 col pian rr1 del filetto.
La retta m a sua volta forma un angolo (3 con la direzione orizzontale, angolo
che, sulla base di semplici considerazioni geometriche, esprimibile mediante
la:
(2.119)

tg (3

=tg a cos {}

209

208
In presenza di attrito si ha, oltre alla forza Fn, anche una forza tangenziale f Fn diretta secondo l'elica ed avente verso tale da opporsi al moto
relativo dei due membri. Se si indica allora con P il carico verticale agente,
ad esempio, sulla madrevite e con T la forza tangenziale da applicare alla
vite per sollevare il carico P, si ottiene, in base alle considerazioni prima
esposte, e con riferimento alla Fig. 153:

5.4 - Viti differenziali e viti multiple

In talune applicazioni meccaniche in cui il moto rotatorio viene trasformato in moto rettilineo si vuole che quest'ultimo sia particolarmente lento
o particolarmente rapido. Un moto molto lento pu essere ottenuto usando

P= Fn cosf3cos {}- fFnsina


{ T Fn sin /3 + f Fn cosa

da cui, eliminando Fn, e tenuto conto della (2.119) si ha in definitiva:


tg a + tg ~ J l - sin 2 a sin 2 {}
-cos
p - 1- tg SO tg a Vl - sin 2 asin 2 {}
cos {}
T

Poich {} vale in genere 14 30' ed a sempre un angolo piccolo, il


termine sin 2 a sin 2 {} trascurabile rispetto all'unit e si quindi in grado di
scrivere, con ottima approssimazione, che:
tg so

T - tga+ cos {}
p- _ tgsotga
1
cos {}

Fig. 154 - Vite differenziale

Se ora in questa relazione si pone


(2.120)

tg so' = tg so/ cos fJ

Si ottiene formalmente la stessa espressione gi ricavata per le viti a filetto


rettangolare:
(2.121)

M v = T-d = -Pd tg (a + so')


2
2

so' rappresenta un angolo di attrito equivalente il cui valore dato dalla

dove
(2.120).
Dall'analisi delle (2.120) e (2.121) si osserva che per {} = O, ossia per
so' t.p, si ritrova la (2.116), e che, a parit di carico P da sollevare, il momento richiesto aumenta all'aumentare dell'angolo {} e pertanto, a parit di
altre condizioni ed a conferma di quanto in precedenza asserito, il rendimento
di un accoppiamento vite-madrevite a filetto trapezio tanto minore quanto
maggiore l'angolo lJ del filetto stesso.

viti con passo molto piccolo, con la conseguenza per di avere filetti poco
resistenti, ed analogamente un rapido moto di avanzamento pu essere realizzato adottando un valore elevato del passo della vite, rinunciando per alla
irreversibilit del sistema. Per ovviare a questi inconvenienti ed ottenere nel
contempo i risultati voluti si utilizzano in pratica le viti differenziali e le viti
multiple.
Un esempio di vite differenziale rappresentato nella Fig. 154: sul mozzo
della ruota A ricavata una vite con filetto destrorso s., vite che si impegna
con una madrevite fissa W. Internamente allo stesso mozzo della ruota A
ricavata una madrevite, anch'essa a filettatura destrorsa, che si impegna con
una vite S;, la quale pu traslare ma non ruotare a causa dei vincoli realizzati
dal supporto fisso.
Effettuando lo sviluppo su un piano delle due viti S, ed S; si ottiene
lo schema indicato nella Fig. 155. Si supponga ora di fornire alla ruota A una
rotazione lJ in senso antiorario: ali 'angolo lJ corrisponderanno, ai raggi

211

210

medi delle due viti, due archi di ampiezza rispettivamente pari a: x; = r; tJ


e x. = r, . tJ. Per effetto dello spostamento x. la ruota A, solidale
alla vite s., si solleva rispetto alla madrevite fissa W di una quantit
ze = xe. tg o:., se con o:e si indica l'angolo di inclinazione dell'elica della
filettatura esterna. D'altro canto, per effetto dello spostamento x; la vite
S; si abbassa, relativamente alla ruota A, della quantit z; == x; tg o:;,
dove al solito a; rappresenta l'angolo di inclinazione della filettatura interna.
Ne risulta quindi che rispetto alla madrevite fissa W la vite S; si solleva
della quantit:

n mome:r,tto che deve essere comp~essivamente applicato alla ruota A per


provocare il sollevamento del carico P dato, con riferimento alla Fig. 155,
da:
e, in base alla (2.115) e (2.118) si ha:
T;= F; sin(c,o- o:;)= P tg (c,o- a;)
{ T. == F. sin(cp +a.) P tg (cp +a.)

ottenendo cos in definitiva:


(2.122)

z = OZe- oz; =(r. -tg o:.'IJ


=(p.- p;)-.
271"

r;

tga;)otJ =
(2.123)

n rendimento del sistema, considerando le (2.122) e (2.123), risulta essere espresso dalla:
(2.124)

e da quest'ultima si ritrova che se re tg o:.


r; tg o:;, ossia se Pe =p;, il
rendimento nullo, e che il rendimento stesso unitario quando cp O.
Le viti multiple sono del tutto simili alle viti differenziali e si diversificano da queste solo perch le eliche delle due viti che le costituiscono hanno
verso di avvolgimento opposto. In tal caso, ad una rotazione tJ della ruota
A corrisponde uno spostamento verticale z della vite S; pari a:
oz ::: (p;

otJ

+ Pe) 271"

e per il sollevamento del carico P necessario applicare un momento di


intensit pari a:

Fig. 155 - Schematizzazione di una vite differenziale


Ci significa che ad ogni giro della ruota A, la vite S; si solleva di una
quantit pari alla differenza tra i passi della vite esterna e di quella interna.
evidente che se i passi delle due filettature sono uguali tra loro alla
rotazione di A non corrisponde alcun moto della vite S;, e che se p; > Pe
alla rotazione di A nel senso indicato corrisponde un abbassamento della vite
S;.

5.5 - Viti a circolazione di sfere

n sistema costituito da vite e madrevite serve, come si visto, a trasformare il moto rotatorio in moto rettilineo; se inoltre, come in effetti si ritrova
nella maggioranza dei casi, l'angolo di inclinazione a dell'elica minore dell'angolo di attrito cp, il sistema irreversibile, ossia il moto pu essere ottenuto

212

213

solo applicando una coppia alla vite (o alla madrevite), e non applicando una
forza assiale alla madrevite (o alla vite); questa caratteristica dell'accoppiamento ottenuta evidentemente a prezzo di una elevata perdita di potenza
per attrito e di un conseguente basso rendimento. In molte applicazioni per,
necessario operare la trasformazione del moto con il massimo rendimento
possibile, rinunciando di conseguenza alla irreversibilit del meccanismo. In
tal caso si ricorre all'uso delle viii a circolazione di sfere (Fig. 156) in cui le
filettature elicoidali della vite e della madrevite sono sostituite da scanalature
elicoidali; in un certo tratto di queste scanalature sono alloggiate delle sfere
che assolvono il compito di sopportare i carichi trasmessi dalla vite alla ma~
drevite e viceversa. Poich le sfere rotolano senza strisciare sulle scanalature
elicoidali della vite e della madrevite, il rendimento complessivo del sistema
molto maggiore di quello relativo ad un normale accoppiamento a filettatura rettangolare o trapezia. Va inoltre osservato che, essendo le gole della
vite e della madrevite di forma elicoidale, la rotazione di uno dei due membri
provoca l'avanzamento delle sfere, ed pertanto necessario ricavare nell'interno della madrevite un <;ondotto di ritorno (Fig. 156) in modo da creare una
circolazione continua delle sfere stesse.

lunghezza di un passo, tale dispositivo non in pratica adatto a passi inferiori


a3mm.

Fig. 157- Ricircolo interno al corpo della madrevite mediante deviatore o liner:
A, punto di raccolta B, punto di immissione D, deviatore

Fig. 156 - Schema di vite a circolazione di sfere

Esistono fondamentalmente due tipi di dispositivi impiegati per la ricircolazione delle sfere:
- ricircolo interno alla madrevite mediante deviatore (Fig. 157);

Fig. 158- Ricircolo esterno mediante tubetto deviatore:


A punto di raccolta B, punto di immissione T, tubetto deviatore

- ricircolo esterno mediante tubetto deviatore (Fig. 158).

n dispositivo a ricircolo interno consente velocit angolari elevate; tuttavia, poich ogni filetto necessita di un deviatore, e questo deve avere la

n dispositivo a ricircolo esterno consente un comodo passaggio delle sfere


attraverso il tubetto deviatore e una notevole flessibilit nella scelta del passo,
8. JACAZIQ.PlOl'v!BO - La trasmissione del moto

214

ma d luogo a un maggiore ingombro della madrevite e ne limita la massima


velocit angolare a causa dello sbilanciamento prodotto dalla presenza del
tubetto deviatore.
Le geometrie del profilo delle scanalature utilizzate sono generalmente
di due tipi:

215

da un angolo ,di di contatto nominale t9 0 in assenza di carico, ad un angolo


di contatto di lavoro t9, che varia al variare del carico applicato.

- pro:filo ad arco di circonferenza (Fig. 159 a)


- profilo ad arco gotico (Fig. 159 b).

a)
retta di pressione

-------------------------asse I'te
Fig. 160 - Definizione dell'angolo di contatto
t.

Con riferimento alla Fig. 161,indic~do con

Madrevite

r A, r 8

le distanze dei centri

A e B di curvatura dei profili delle piste di rotolamento dall'asse della vite,


con r0 la distanza fra i suddetti punti, l'angolo di contatto nominale dato

b)

da:

Vite

(2.125)

cost9o

rB -rA
= _.::::.._;:.:.
ro

Fig. 159 - Profilo della scanalatura ad arco di circonferenza (a), ad arco gotico (b)

5.6 - Caratteristiche geometriche e di funzionamento di una vite a


circolazione di sfere
In una vite a circolazione di sfere ogni corpo volvente ha un contatto
puntiforme con le scanalature elicoidali della vite e della madrevite. L congiungente dei punti di contatto della sfera con le due piste detta retta di
pressione, e costituisce la retta secondo la quale viene trasmesso il carico
dalla vite alla madrevite (o viceversa).
Si definisce angolo di contatto l'angolo t9 (Fig. 160) formato dalla retta
di pressione con un piano radiale (perpendicolare all'asse della vite). Durante
il funzionamento della vite a circolazione di sfere si hanno deformazioni locali
di contatto tra sfere e piste di rotolamento, per cui l'angolo di contatto varia

l
Fig. 161 - Definizione geometrica della sfera e delle piste

j
lf

217

216

A sua volta, r 0 dato da:


ro

In molte applicazioni l'angolo di contatto nominale circa 45 e aumenta di


5-8 in condizioni di massimo carico applicato alla vite.
La relazione fra la velocit assiale V e la velocit angolare w in una vite
a circolazione di sfere identica a quella di un accoppiamento vite-madrevite:

= 2R- d

dove:

R raggio di curvatura del profilo della scanalatura;


d= diametro della sfera.

(2.127)

V= rtgetw

Nel caso in cui le piste di rotolamento abbiano profilo circolare, la (2.125)


diventa:

dove r il raggio medio e et l'angolo di inclinazione delle scanalature


elicoidali rispetto a un piano perpendicolare all'asse della vite. Poich il passo
dell'elica p legato a r e ad et dalla relazione:

come si pu ricavare dalla Fig. 162, essendo e il gioco radiale. Quando la vite
sottoposta a un carico, tra vite e madrevite si produce uno schiaccia.mento
6, in seguito al quale si ha un aumento dell'angolo di contatto t9. Con
riferimento alla Fig. 163, si ha infatti:

p= 27rr tg et

e
cost9a=1-ro

risulta anche:
(2.128)

CIA =CIBI tgt9 =cl c+ CA= 6 + rosin t9o

Madrevite

b)

a)

Fig. 162- Geometria di sfera e piste con profilo circolare

D'altra parte, in prima approssimazione:

per cui:
6 + ro sin t? o

= ro cos t? o tg t9

e, di conseguenza:
(2.126)

tg t9

= tg t9 o + r cos t9 o
0

Fig. 163 - Variazione dell'angolo di contatto con la deformazione assiale

n rendimento di una vite a circolazione di sfere normalmente abbastanza elevato; per angoli di inclinazione dell'elica maggiori di 3 esso solitamente maggiore di 0,9. In queste condizioni, la differenza fra il rendimento

218

in moto diretto (potenza fornita dall'elemento che ruota) e il rendimento in


moto inverso (potenza fornita dall'elemento che trasla) circa di 0,01-0,02.
n rendimento si abbassa nel caso in cui la vite a circolazione di sfere
sia precaricata al fine di annullare i giochi, pur rimanendo comunque a valori
elevati. Nel caso di una vite a circolazione di sfere precaricata si genera
infatti una coppia passiva costante che abbassa il valore del rendimento per
piccoli carichi trasmessi, mentre ha una influenza pi limitata quando i carichi
trasmessi sono elevati.
Per una vite a circolazione di sfere non precariata, il rendimento pu
essere espresso, con buona approssimazione, mediante una relazione analoga
a quella dell'accoppiamento vite-madrevite:
'T]=

(2.129)

'T]=

tga
tg(a + cp)

(rendimento diretto)

tg(a- cp)
tg a

(rendimento inverso)

6. CAMME

6.1 - Geometria delle camme


dove
(2.130)
essendo u il parametro di attrito volvente, d il diametro della sfera e ?J
l'angolo di contatto.
n carico agente su ogni sfera , a sua volta dato da:
(2.131)

P=

FA
Zeff

sin ?J cos( a

+ cp)

dove FA il carico assiale totale e Zeff il numero effettivo di sfere caricate


(mediamente il 60-70% del numero totale delle sfere).

Con il nome di camme si definiscono quei particolari organi meccanici


che, dotati di opportune sagome o profili, trasformano un moto continuo nel
moto alternativo di un altro organo ad essi accoppiato, realizzando cos per
quest'ultimo una ben definita legge del moto. Le camme, la cui applicazione
ha trovato e trova tuttora grande riscontro nella tecnica, possono essere raggruppate in tre categorie principali:

a) camme che trasformano un moto rotatorio continuo in un moto traslatorio


alternativo (Fig. 164 a);
b) camme che trasformano un moto rotatorio continuo in un moto rotatorio
alternativo (Fig. 164 b); ed infine:
c) camme che trasfomrano un moto traslatorio continuo in un moto traslato~io alternativo (Fig. 164 c).

tipo di moto realizzato dall'elemento accoppiato ad una camma


funzione sia del suo profilo sia del profilo della camma stessa, e poich tali
profili possono assumere le forme pi disparate di conseguenza possibile
ottenere, mediante un adeguato uso delle camme, i pi svariati tipi di legge
del moto.
Nel caso di camme che trasformano un moto rotatorio continuo in un
moto rettilineo alternativo (Fig. 164 a), l'organo ad esse accoppiato prende
il nome di punteria ed il contatto tra i due elementi pu essere a sua volta
realizzato mediante un bordo a coltello (Fig. 165 a), un rullo (Fig. 165 b), od

l
l

220

un piattello (Fig. 165 c). Si definisce inoltre alzata della punteriala distanza
esistente tra la posizione assunta, in un istante generico del moto, da un
punto solidale alla punteria stessa e quella ad esso relativa quando la punteria
si trova nella sua posizione pi bassa, ossia quella per cui minima la distanza
del punto considerato dal centro di rotazione della camma.

221

a)
b)

Si consideri ora la camma con punteria a rullo illustrata nella Fig. 166;
in tale figura rappresentata per l'accoppiamento camma-punteria la condizione per cui minima la distanza di un punto generico della punteria dal
centro E della camma, condizione che verr qui di seguito assunta come
iniziale ed indicata come posizione O. Se ora si ruota la camma in senso antiorario, si osserva che, dopo una rotazione t? 11 ad esempio pari a 30, essa si
trova rispetto alla punteria nella posizione indicata con l ed ha provocato il
sollevamento della punteria stessa, rispetto alla sua posizione iniziale, di una
quantit pari a z1 Proseguendo in modo analogo per valori dell'angolo di
rotazione compresi nell'intero giro, si in grado di tracciare un grafico nel
quale si riportano i valori delle alzate z1 , z2 , . , Zn della punteria in funzione
dei rispettivi valori degli angoli di rotazione t?1. t? 2 , . , t? n della camma. In
tale grafico (Fig. 166) si individuano in genere una fase di sollevamento S
ed una fase di ritorno R caratterizzate da valori variabili d eli 'alzata, ed una
fase stazionaria D in cui l'alzata della punteria si mantiene costante; l'arco
di camma corrispondende a quest'ultima fase viene definito arco ozioso.

l.

~~~

Fig. 164 - Tipi fondamentali di camme

a)

b)

c)

Fig. 166 - Alzate della punteria in funzione della posizione angolare della camma

6.2 - Cinematica delle camme con punteria

Fig. 165 - Tipi di punterie

n tipo pi comune di camme senza dubbio costituito da quelle che trasformano il moto rotatorio continuo in moto rettilineo alternativo, ossia dalle
camme accoppiate ad una punteria (Fig. 165 a,b,c). Per tali accoppiamenti
assume una particolare importanza la corretta determinazione delle caratteri-

222

223

stiche cinematiche ad essi relative, in quanto proprio tali accopiamenti risultano sovente utilizzati in applicazioni tecniche implicanti alte velocit. Come
facile intuire, con il termine determinazione dee caratteristiche cinematiche
dell'accoppiamento si intende in realt indicare una satta valutazione delle
relazioni esistenti tra le caratteristiche cinematiche (ossia alzata, velocit ed
accelerazione) della punteria e le corrispondenti posizioni angolari tJ della
camma. Per poter individuare e di conseguenza correttamente risolvere il
problema, conviene considerare un punto solidale alla punteria, detto punto
di riferimento; in genere si assume, per una punteria con bordo a coltello,
il punto di riferimento R coincidente con l'estremit della punteria stessa
(Fig. 167 a), mentre per una punteria a rullo si assume R coincidente con il
centro del rullo (Fig. 167 b) e per una punteria a piattello R normalmente
rappresentato dall 'intersezione della traccia della superficie di lavoro del piattello con la retta passante per il centro della camma e parallela all'asse della
punteria (Fig. 167 c).
b)

a)

integrare la relazione a= f(tJ) rispetto al tempo t:


V= f'adt= lf('IJ)dt
lo
o
.

D'altra parte, nell'ipotesi che la velocit angolare w della camma sia nota, si
ha: dt = d'IJ/w, per cui, supponendo ancora che w sia costante per il tempo
di integrazione considerato, si ottiene in definitiva:

v = .!. {'' !( tJ) d'IJ


w lo

(2.132)

Se allora si riportano su di un diagramma (Fig. 168) i valori dell'accelerazione


a in funzione della posizione angolare tJ della camma, la velocit V della
punteria rappresentata, a meno del valore della costante l/w, dell'integrale
rispetto a tJ della funzione f('IJ), ossia dal valore dell'area compresa tra la
curva rappresentante la f(tJ) e l'asse degli angoli di rotazione.

a~D~--------------~5~----------------~~D

C)

IDI

~t
l
ID' 1m
l
l

N!!

:~t

'Wl

l
l

! ~l

N!! l~
R

Fig. 167- Punt di riferimento di una punteria

Si supponga ora di voler realizzare una camma in modo che l'accelerazione a della punteria, ossia quella del punto di riferimento, abbia un certo
andamento in funzione dell'angolo di rotazione tJ della camma, ovvero, in
altre parole, si supponga assegnata la relazione a = f( tJ).
Per determinare la velocit di sollevamento della punteria (o meglio, del
suo punto di riferimento R) ad un istante generico t allora necessario

Fig. 168 - Velocit, alzata ed accelerazione di una punteria in funzione degli angoli
di rotazione della camma

Analogamente, l'alzata h data da:


(2.133)

e se si pone: F( tJ)

i"

= o v dt = -wl
!

i" v
o

f('IJ) d'IJ, si ha:


h= 2l
w

1"
o

F('IJ) d'IJ

dtJ

225

224

Nella Fig. 168 sono per l'appunto tracciate, in funzione degli angoli di
rotazione t9 della camma, le curve della accelerazione a, della velocit V e
dell'alzata h della punteria. Poich ad ogni istante la velocit la derivata
rispetto al tempo, o, nell'ipotesi di velocit angolare costante, rispetto alle
rotazioni t9, dell'alzata e l'accelerazione la derivata rispetto al tempo (o
alle rotazioni) della velocit, si pu osservare che in corrispondenza dei punti di
accelerazione nulla la curva delle velocit presenta un massimo mentre quella
delle alzate presenta un fiesso, e cos la curva delle alzate presenta un massimo
(od un minimo) dove si annullano i valori delle velocit.
6.3 - Tracciamento del profilo della camma
Una volta determinata la legge delle alzate della punteria in funzione
della posizione angolare della camma, il profilo di quest'ultima pu essere
determinato utilizzando il procedimento seguente. Si consideri il punto di
riferimento R della punteria (Fig. 167) e si fissi il raggio r 0 del cerchio di
base, ossia la distanza del punto di riferimento R della punteria dal centro
X della camma quando l 'ci.J.zata h nulla. Si supponga ora di fornire a tutto
il sistema una velocit angolare- w, uguale ed opposta a quella della camma;
in tali condizioni la camma risulta ferma mentre la punteria ruota attorno al
centro X con una velocit angolare- w. In base all'espressione della legge
delle alzate in funzione della posizione angolare t9 : h = h( t9), espressione che
o nota, o determinabile nel modo esposto nel paragrafo precedente, si in
grado di riportare, per ogni valore di t9, il corrispondente valore dell'alzata
h. In tal modo il punto di riferimento R descrive una curva chiusa che
costituisce il profilo teorico della camma: quest'ultimo dunque rappresenta
la curva descritta dal punto di riferimento R quando si faccia ruotare la
punteria attorno alla camma.
Se la punteria termina con.. un bordo a coltello, il profilo teorico coincide, come facilmente intuibile, con l'effettivo profilo di lavoro della camma
(Fig. 169), in quanto in tal caso il punto di riferimento R coincide in ogni
istante con il punto di contatto tra camma e punteria. Se invece la punteria
porta un rullo, il profilo teorico quello descritto dal centro del rullo (Fig. 170)
mentre l'effettivo profilo di lavore ottenibile tracciando tante circonferenze
aventi centri lungo tutti i punti del profilo teorico t e raggio pari a quello del
rullo. L'inviluppo interno di tutte queste circonferenze costituisce il profilo di
lavoro l della camma, ossia esso rappresenta la curva lungo la quale il rullo
deve rotolare senza strisciare in modo da realizzare la voluta legge delle alzate
della punteria.

Fig. 169 - Profilo della camma per una punteria con bordo a coltello

Fig. 170 - Profilo della camma per una punteria a rullo: t


filo di lovor()

= profilo teorico; l = pro-

226

227

Se .infine la punteria termina con un piattello, una volta disegnato il


profilo teorico t della camma si deve tracciare, a partire da ogni punto del
profilo stesso, la normale alla congiungente il punto considerato con il centro
della camma. La curva di inviluppo di tutte queste normali (Fig. 171) fornisce
il profilo di lavoro l della camma, profilo lungo il quale striscia il piattello
durante il suo moto relativo alla camma stessa.

originare un fenomeno di imp11ntamento, condurrebbe addirittura ad una reale


impossibilit del funzionamento stesso.
ll raggio del cerchio di base dal quale si inizia a tracciare il profilo teorico
della camma pu essere scelto in modo arbitrario; tuttavia per esso esiste un
valore limite inferiore imposto da particolari condizioni geometriche, oppure
dalla necessit di evitare eccessive sollecitazioni d contatto.
Si consideri infatti l'esempio riportato nella Fig. 172 a, dove si indicato
con t il profilo teorico della camma; se la punteria a rullo, il profilo di lavoro
altro non che l'inviluppo interno delle posizioni assunte dal rullo stesso ed
rappresentato in figura dalla curva l. In tali condizioni per sorge un
inconveniente dovuto al fatto che il rullo, quando nella posizione teorica
individuata dalla lettera E, non tocca la curva di lavoro, e questo significa
in pratica che nell'intorno di quella posizione la camma non realizza la legge
del moto voluta. Per ovviare a ci si pu allora scegliere un cerchio di base
di raggio maggiore, oppure adottare un rullo di diametro minore (Fig. 172 b),
sempre che le sollecitazioni di contatto non siano eccessive.

~~~
l

a)

Fig. 171 - Profilo della camma per una punteria a piattello: t


l = profilo di lavoro

= profilo

b)

teorico;

La punteria a piattello, pur fruendo del vantaggio di originare valori delle


pressioni locali di contatto inferiori a quelli relativi a punterie a coltello od a
rullo, presenta tuttavia l'inconveniente di doversi necessariamente accoppiare
ad una camma dotata di un profilo di lavoro interamente convesso. In caso
contrario infatti, la presenza della bench minima rientranza altererebbe il
corretto funzionamento del sistema camma-punteria ed in taluni casi, potendo

Fig. 172 - Influenza del raggio del cerchio di base sul profilo della camma
Per concludere la rassegna delle principali caratteristiche geometriche
dei profili delle camme, va ancora osservato che all'inizio di questo paragrafo
si definito come cerchio di base della camma il cerchio coincidente con la
parte del profilo teorico della camma per il quale l'alzata nulla. In modo del

229

228

tutto analogo si definisce cerchio di riposo della camma il cerchio coincidente


con la parte del profilo di lavoro della camma stessa per il quale l'alzata
nulla.

Poich inoltre l'integrale che compare nella relazione sopra scritta rappresenta l'area sottostante alla curva a= a( t?), tra gli angoli di rotazione e
le accelerazioni ad essi relative dovr in definitiva esistere la relazione:

6.4 - Camma ad accelerazione costante

Al fine di esemplificare quanto precedentemente esposto si consideri una


camma in cui la legge delle accelerazioni della punteria in funzione delle posizioni angolari della camma rappresentata da una serie di segmenti orizzontali
corrispondenti quindi ad intervalli ad accelerazione costante. Nel diagramma
relativo (Fig. 173) quindi, l'accelerazione, inizialmente positiva e pari ad a 1 ,
si mantiene costante fino a quando l'angolo di rotazione della camma non raggiunge il valore t9 1 ; per t9 = t9 1 essa diventa negativa e pari ad a= -a2 e tale
si mantiene fino a quando la camma non ha ruotato di un angolo pari a t?3;
per angoli compresi fra t9 3 e t9 4 infine, l'accelerazione assume nuovamente
un valore costante e positivo e pari ad a1.

Nella maggior parte dei casi riscontrabili nella pratica poi, le camme
sono simmetriche, ossia per esse esistono un arco compreso far i valori O e
t9 2 in cui la punteria si alza, ed un arco di eguale ampiezza, compreso fra
t9 2 e t9 4 , in cui la punteria si abbassa con una legge del moto simmetrica
alla precedente rispetto all'angolo di rotazione t9 2 In questo caso pertanto la
velocit della punteria si annulla anche in corrispondenza di t9 2 ed all'angolo
t9 2 stesso corrisponde ovviamente un valore massimo dell'alzata. Nel caso di
camma simmetrica pertanto esister l'ulteriore condizione:

v2 =-wl

1{}'o

a(t?)dt?

=o

condizione che, nel caso di camma a.d accelerazione costante, si traduce nella:
a

(2.134)

a,f--- -------------- ---------.--........

Supposto dunque che la. camma sia simmetrica, e che sia di conseguenza
soddisfatta la (2.134), la velocit massima della punteria si presenta al termine
della fase di accelerazione positiva della camma (Fig. 174) e vale, in base alla
(2.132):

11{}

a1t?1

V1 =a(t?)dt?=w o
w

-l----'--------1...-Fig. 173 - Diagramma delle accelerazioni di una punteria accoppiata ad una camma
ad accelerazione costante

Poich all'inizio ed al termine della fase di lavoro, cio per angoli di


rotazione t9 = O e t9 = t9 4 , la velocit. deve essere nulla, dovr di conseguenza
necessariamente essere:
V4 = (V){}={}

= 2_
w

[{}

lo

a(t?)dt9 =O

Nell'arco compreso tra t9 1 e t9 2 la velocit della punteria diminuisce,


ma si mantiene sempre positiva, e pertanto l'alzata h continua ad aumentare
fino a raggiungere un massimo per t9 t9 2 , massimo che, in base alla (2.133),
vale:

(2.135)

La (2.135) esprime dunque la relazione esistente fra l'alzata massima


della punteria, l 'accelerazione iniziale, gli angoli di rotazione t9 1 e lJ 2 e la
velocit. angolare w della camma nel caso di camme ad accelerazione costante.
In base ad essa si pu ricavare il valore di a 1 in funzione delle altre grandezze:
01

2hM:..: 2
VJV2

231

230

e da questa, in base alla (2.134), si otterr per

a2

{} 1

2hMw 2

{}2- {}1

'!92({}2- {}1)

a2 = a 1 - - - =

che altererebb~ evidentemente la legge del moto della punteria, questa normalmente sottoposta all'azione di una molla (vedasi a questo proposito il
successivo 6.9) che la mantiene costantemente a contatto della camma in
modo da assicurare la realizzazione della legge del moto voluta.
Fino ad ora si .sono ricavate, per il caso di camma ad accelerazione costante, le espressioni della velocit massima e dell'alzata massima della punteria; quando si vogliano invece ricavare, sempre per una camma ad accelerazione costante, le espressioni della velocit e dell'alzata ad un istante generico
t in funzione della posizione angolare {} della camma si deve procedere nel
modo seguente.
Nel primo tratto (ad accelerazione positiva) la velocit della punteria
esprimibile, in base alla (2.132), mediante la:

il valore:

a,V,h

1"

V=-l
w o

(2.136)

e per t9

= {} 1 ,

a1d{}

{}
=a1-

essa vale, come gi precedentemente ricavato:

v,1_-a1{}1
-w

L 'alzata h, sempre nel tratto ad accelerazione positiva, invece esprimibile, in base alla (2.133), mediante la:
Fig. 174 - Diagrammi di accelerazione, velocit ed alzata per una camma ad accelerazione costante

Si supponga allora che una camma di questo tipo ruoti alla velocit
angolare di 1500 giri/mm, che l'alzata massima da essa realizzata sia hM =
5 mm e che gli angoli {} 1 e '!9 2 valgano rispettivamente 30 e 90. In
base alle relazioni precedenti ed essendo: w= 157,08 radfs, {}1 = 0,5236 rad,
{} 2 = 1,5708 rad, i valori di a 1 ed a 2 saranno dati da:

..

a = 2 x 0,005 x (157,08?
1

a2

0,5236 x 1,5708

=300 x

= 300 m/s2 = 30 6

5236
O,
l, 5708- o, 5236

'

(2.137)

e per {}

= '!9 1

= -l

1"
o

V dt9

= -l

w2

1"
o

a1 t9

dt9

= -a1 {}

2w2

essa vale al solito:


h - alJ?i
l 2w2

Nel tratto corrispondente a valori negativi della accelerazione ('!9 1 < lJ <
'!9 2) l'espressione della velocit sar data da:

= 150 m/s = 15,3 g


2

Come si pu notare, le accelerazioni delle punterie comandate da camme


ruotanti a grande velocit raggiungono valori molto elevati e di conseguenza
la punteria soggetta a forze di inerzia notevoli che, durante la fase di accelerazione negatiYa (arco compreso tra i valori t9 1 e t9 2 della Fig. 174 ), tendono
ad allontanarla dalla camma. Onde evitare il verificarsi di questo fenomeno,

(2.138)

Sempre nel tratto di accelerazione negativa l'alzata sar espressa da:


h

= -wl

1" v
o

dt?

= -wl

[1" v + 1" v ]
o

dt?

.,,

dt?

232

233
a

da cui, in base alle (2.136) e (2.138), si trova in definitiva:


(2.139)

h= : 2 [(al+ a2) t?1

19
(t?- 21) - a2 ~ ]
2

Dalle (2.138) e (2.139), sostituendo in esse a t9 il valore !J2, si ritrovano


ovviamente un valore nullo della velocit V ed il valore massimo dell'alzata
hM espresso dalla (2.135).
Le (2.137) e (2.139) forniscono dunque i valori dell'alzata h della punteria in funzione della posizione angolare t9 della camma ed in base ad esse si
possono pertanto ricavare, secondo quanto esposto nel paragrafo precedente,
sia il profilo teorico che quello effettivo (di lavoro) della camma che realizza
la legge del moto a tratti di accelerazione costante.

6.5 - Tipi principali di leggi del moto adottate nella realizzazione di


camme
Per le camme ad accelerazione costante, gi. dettagliatamente esaminate
nel paragrafo precedente ed utilizzate nella pratica in applicazioni a media
velocit, si pu ancora osservare che se si suppone l 'angolo t9 1 pari a t9 2 /2
si ritrova dalla (2.135):
4w 2 hM

a1

.. V

... e

____ l ~

....._

_.

a)

Y ...

C)

' . // . <
~

d)

.. e

= --t922-

Se si indica inoltre con t 0 il tempo necessario a raggiungere l'alzata massima,


il valore di a1 risulta fornito dalla:
a1

= -4hM
to2

Seguendo.lo stesso procedimento adottato pe!.le camme ad accelerazione


costante si possono ora ricavare sia le leggi delle velocit e delle alzate della
pu.nteria in funzione degli angoli di rotazione della camma, sia la relazione
esistente tra i valori dell'alzata massima hM e dell'accelerazione massima
aM per altre forme del diagramma delle accelerazioni, ossia, in definitiva, per
altri tipi di legge del moto della punteria. Tra queste, le pi comunemente
adottate nelle applicazioni pratiche sono le seguenti (*):

( *) Va osservato che in Fig. 175 sono riportati i diagrammi delle accelerazioni della punteria in
funzione degli angoli di rotazione della camma al valore 0 corrispondente all'alzata massima della
punteria (valore indicato con 11, nella Fig. l 74 relativa al caso di camma ad accelerazione costante);
si suppone pertanto che le camme che realizzano tali leggi del moto siano di tiph simmetrico.

e)

f)

g)

h)

Fig. l i5 - Forme del diagramma delle accelerazioni della punteria normalmente usate
nella tecnica: a) ad_ acce!erazione costante; b) lineare crescente; c) lineare
decrescente; d) polmom1ale; e) cosinusoidale; f) sinusoidale; g) trapezoidale; h) trapezoidale modificata

235

234
111

Legge lineare crescente (Fig. 175 b)

In tal caso la massima accelerazione e la massima velocit della punteria


valgono:
12hM

aM=-r
o

Come facile intuire, anche se l'accelerazione in questo caso aumenta


progressivamente, l'inversione che essa presenta a met del diagramma origina perturbazioni di grande intensit e pertanto tale legge del moto trova
applicazione solo nel caso di basse velocit di funzionamento.
111

e viene raggiul).to in corrispondenza dell'angolo !'J = ej2. A causa della


graduale variazione subita dai valori della accelerazione, questo tipo di legge
del moto della punteria viene utilizzato quando esistono grandi velocit di
rotazione della camma.
111

Legge cosinusoidal (Fig. 175 e).

In tal caso la legge delle accelerazioni, rappresentabile mediante la:


a= kcos

fornisce per il valore massimo della accelerazione l 'espressione:

Legge lineare decrescente (Fig. 175 c).

Per essa l'accelerazione, massima ali 'istante iniziale, decresce linearmente fino ad annullarsi al centro del diagramma ed a raggiungere il massimo
valore negativo all'istante corrispondente all'alzata massima. I valori della
accelerazione massima e della massima velocit sono in questo caso espressi
da:
6hM
aM=f:2 e

Tale valore massimo positivo per !'l = O e negativo per !'l = e. La


massima velocit, raggiunta in corrispondenza dell'angolo !'J = e;2, \aie
invece:
VM

111

(~)

= 2hM
io

Leggi del moto di tipo cosinusoidale sono normalmente utilizzate in


applicazioni a media velocit.

Legge polinomiale (Fig. 175 d).

Indicando con e il valore dell'angolo corrispondente all'alzata massima


e con !'J l'angolo di rotazione generico della camma, la legge di accalerazione
di tipo polinomiale rappresentata in figura esprimibile mediante la:

111

Legge sinusoidale (Fig. 175 f).

una legge di accelerazione a forma di sinusoide completa ed pertanto


esprimibile mediante la:

. (2iri'
e J)

a= ksm

ed in tal caso pertanto l 'accelerazione si annulla in corrispondenza degli angoli:


!'l= o, !'l= ej2 e !'l= e. Con questo diagramma di accelerazione, il valore
massimo (positivo e negativo) della accelerazione stessa pari a:
aM

5, 77
hM
= __
t_2_
o

e viene raggiunto in corrispondenza degli angoli !'J


il valore massimo della velocit dato da:

=ej4

e !'J

= 3e/4,

mentre

La massima accelerazione raggiunta in corrispondenza di


(positiva) e !'J 3ej4 (negativa) e vale:

!'J

mentre la massima velocit, raggiunta in corrispondenza dell'angolo !'J


vale:
hM
VM=2-

= e;4

= ej2,

to
Leggi del moto di tipo sinusoidale sono generalmente usate in applicazioni implicanti grandissime velocit di funzionamento.

237

236
11

Legge trapezoidale (Fig. 175 g)

La legge trapezoidale illustrata in figura definita dalle seguenti condizioni:

a= k19

per0<19<s:
per

e
8

<19<

30

per

per

per

50
70

30

a=

8
50

< 19 <

<19<

70

a=

ke
a= -8
a=

< 19 <e

k0

8 (costante)
ke
2-M

stabilita la legge del moto della punteria ad essa accoppiata. Purtuttavia nella
pratica corrente si verifica sovente il fenomeno opposto, ossia si stabilisce in
genere il profilo della camma in base a considerazioni diverse, quali ad esempio
la semplicit di lavorazione della camma stessa, e si vuole di conseguenza
determinare la legge del moto da esso realizzata. Questa metodologia, opposta
alla precedente, vien~ adottata ogniqualvolta si desideri raggiungere il valore
massimo dell'alzata della punteria in corrispondenza di un ben determinato
angolo di rotazione della camma senza peraltro dover soddisfare a particolari
requisiti sui valori delle alzate intermedie.

(costante)

-ke +H

e pertanto i valori massimi dell'accelerazione e della velocit risultano espressi


dalle:
hM
hM
aM=5,3-?- e VM=2t0

io

Leggi di tipo trapezoidale sono abbastanza usate nella pratica per applicazioni con grande velocit di rotazione della camma.
11

Legge trapezoidale modificata (Fig. 175 h)

Simile alla precedente, differisce da essa per il fatto che i tratti rettilinei
sono sostituiti da archi di sinusoide analiticamente esprimibili mediante le:

S:
30
e
{ per-<
19 <per O< 19 <

e
(471"19
e -

. (471"19)
a= ksm
a

= k .

Slll

7r

La massima accelerazione e la massima velocit della punteria valgono


rispettivamente:

ed anche questa legge di accelerazione, cos come quella sinusoidale, utilizzata


per applicazioni implicanti altissime velocit di rotazione della camma.

Fig. 176 - Camma a fianchi rettilinei con punteria a rullo. Fase di accelerazione
positiva

6.6 - Camma a fianchi rettilinei con punteria a rullo

In tutti questi casi quindi, noti i valori dell'alzata massima e dell'angolo


di lavoro e noto il tipo di profilo, si debbono determinare le effettive dimensioni
geometriche della camma e le massime velocit ed accelerazioni realizzate dalla

Kei precedenti paragrafi si sono esposti i criteri in base ai quali si in


grado di determinare il profilo teorico e quello effettivo di una camma una volta

238

239

punteria ad essa accoppiata.


Un tipo di camma abbastanza comune . quello rappresentato nella
Fig. 176 ed indicato normalmente come camma a fianchi rettilinei. In tale
camma, di tipo simmetrico, il cerchio di riposo, di raggio r 1 e centro 0 1
raccordato in M ad un tratto rettilineo,__M N, il quale a sua volta raccor-

dato in ,......
N ad un arco di circonferenza N P di centro 0 2 e raggio r 2 0 2 N;
........
l'arco N P infine raccordato in P ad un arco di circonferenza PQ avente
raggio r 3 = 0 1 Q e centro in 0 1 ; la retta individuata dal segmento 0 1 Q
costituisce inoltre l'asse di simmetria della camma.
Essendo la punteria costituita da un rullo di raggio r 4 , il profilo teorico
della camma, indicato a tratto e punto nella Fig. 176, pertanto rappresentato
da un cerchio di base di centro 0 1 e raggio r 1 + r 4 , da un tratto
rettilineo
,-.

Indicand,o ora con t?1 l'angolo M'o;N', si ha, in base alle (2.140)
e (2.141 ), che l'alzata e la velocit ad esso corrispondenti, ossia l'alzata e la
velocit raggiunte dalla punteria al termine del tratto rettilineo M N della
camma, valgono:

e:

M'N' parallelo a M N e distante da questo r 4 , da un arco N'P' di centro

"'"'
0 2 e raggio r 2 + 14 , da un arco P' Q' di centro 0 1 e raggio r 3 + r 4 , e quindi
da altrettanti archi e segmenti simmetrici ai precedenti rispetto all'asse 0 1Q'.
Per determinare la legge del moto nella fase di accelerazione positiva si
considerino la camma e la punteria nella posizione indicata nella Fig. 176 e si
indichi con t9 l'angolo formato tra la congiungente il punto di riferimento R
della punteria con il centro 0 1 della camma ed il segmento 0 1M', assunto
quale posizione iniziale. In tale generica condizione la distanza R0 1 pari
a:
ROl =M'O!

cos t9
e l'alzata della punteria risulta pertanto espressa da:
(2.140)

In base alla (2.140) la velocit e l'accelerazione della punteria quando


questa a contatto con il tratto rettilineo della camma saranno rispettivamente esprimibili mediante la:
(2.141)

dh dt?
tg t9
= -dh
= -d'l!)
-dt = (11 + r4) w dt
cos t9

e la
_ dV _ dV dt9 _
t - dv dt - (rJ

a- d

+ r4

)
w

l+

2 tg 2 t?

cos .ov
ed in particolare l'accelerazione all'istante iniziale varr:

Fig. 177 - Camma a fianchi rettilinei con punteria a rullo. Fase di accelerazione
negativa
,....._

I\ el tratto N P la punteria a rullo e la camma si trovano nella posizione


illustrata n.:!!_a Fig. 177 e se si indicano con t.p l'angolo o;ifo2 e con t?'
l'angolo R01P di cui deve ruotare la camma per portarsi dalla posizione

240

241

(,

generica indicata in figura a quella corrispondente all'alzata massima (si osservi che la condizione di alzata massima raggiunta quando i punti R,P ed
0 1 sono allineati in quanto lungo l'arco PQ, che ha centro in 011 l'alzata
stessa mantiene inalterato il suo valore), si pu esprimere il valore generico
dell'alzata mediante la relazione:

D'altro canto, considerando il triangolo R020 11 si ottiene facilmente:


R02 sin r.p = 0102 sin 13'

L'accelerazione.-,della punteria, sempre nel caso di punto di contatto


compreso nell'arco N P, vale di conseguenza:
dV d'IJ'
a= d'IJ' dt

(2.144)

= -c(r2 + r4)w2

4
<: cos 21J' + <: 3 sin 13']
cos TJ' + (1- '2 sin2 IJ')3/2

Le equazioni (2.142)', (2.143) e (2.144), espresse in funzione dell'angolo IJ',


possono evidentemente essere riscritte facendo comparire in esse l'angolo IJ,
in quanto tra TJ e TJ' sussiste la semplice relazione: '19' = IJ 2 - TJ. Ad esse
per vanno aggiunte alcune condizioni di carattere geometrico; dall'esame del
triangolo 02N'01 (Fig. 177) si ha infatti che:

ossia:
e quindi che:
(r3- r2) sin(IJ2 - 131)
dove:

r3- r2
r2 + r4

<:=---

ossia in definitiva che:


r3- r2
sin IJ1
'=--=
r2+r4 sin(IJ2-IJ1)

ed in definitiva si avr:

L'alzata generic;:._ della punteria quando questa a contatto con la


camma lungo l'arco NP vale pertanto:

= (r2 + r4) sin IJ1

Va ancora osservato che la lunghezza del segmento 0 1N' esprimibile


mediante la:
01N' = Oz01 cos( IJ2- IJ1) + 02N' cos '111
e che in definitiva per l'accoppiamento considerato deve essere rispettata l'ulteriore condizione:

(2.142)
e la velocit della punteria lungo tale arco vale di conseguenza:

Si noti infine che per TJ = IJ 1 (e quindi IJ' IJ 2 - IJI) i valori dell'alzata forniti
dalle (2.140) e (2.142) debbono coincidere e che pertanto deve ancora essere
rispettata la condizione:

h +r4)
Osservando ora che, durante la rotazione della camma, 13 cresce mentre
= -d!Jfdt =-w) si ha definitiva:

TJ' diminuisce (per cui d'IJ'fdt


(2.143)

= <:( 7'2 + r 4) "-'' [sin TJ' + ---r.;=s=ii=l22=1J='2=;;==]


2v l - <: sin IJ'

Co: -l) =
IJ

(r2 +r4) [ cos(IJ2- t?1) + V1- c2 sin\IJ2- t?1)] -(r1 +r4)

L'alzata massima (per IJ' =O) varr inoltre:

ed appare evidente, osservando le ultime equazioni scritte, che non tutte le


varie grandezze possono essere scelte l'una indipendentemente dall'altra. In

242

-.

effetti vengono normalmente fissati i valori dell'alzata massima hM, dell'angolo complessivo di lavoro t92 e del raggio r 1; i valori delle rimanenti quattro
grandezze, ossia dell'angolo t9 1 e dei raggi r 2 , r 3 e r 4 sono di conseguenza
determinati dalle quattro equazioni prima scritte.

243
e pertanto l'alzata, la velocit e l'accelerazione della punteria quando questa
'
........
e a contatto della camma lungo l'arco M N valgono rispettivamente:
)

h= (r1
dh

+ r4)[\h- e: 2 sin 2 t9- e:cost9)- (ro + r 4)

V= dt9 w=-~ e:(r1

6. 7 - Camma policentrica con punteria a rullo


a=

Si definisce camma policentrica una camma in cui gli archi di lavoro


sono costituiti da una serie di successivi archi di circonferenza raccordati tra
loro. Nella Fig. 178 rappresentata una camma a due centri: il cerchio di
riposo di raggio r 0 e centro O raccordato in M a una circonferenza di
........
centro 0 1 e raggio r 11 il cui arco M N forma una parte del profilo di lavoro
........
della camma. In N esso raccordato ad un nuovo arco di circonferenza NP
di raggio r 2 e centro 0 2 ; la retta OP rappresenta poi l'asse di simmetria
della camma, per cui la rimanente parte del profilo di lavoro costituita da
archi simmetrici ai precedenti rispetto alla OP stessa.
Al fine di ricavare la legge del moto di una punteria a rullo, di raggio
r 4 , a contatto con una camma policentrica, si inizi col considerare l'arco di

e: sin 2t9
]
+ r 4) w [ sin t9 + -r===:::=
2

~~w= e:(r1 + r4) w2

2Vl - e: 2 sin t9

[cos t9 + E: cos 2t9 + e;3 sin4 t9]


(l - e: 2 sin 2 t9)3/2

........

lavoro M N; il corrispondente
arco di profilo teorico rappresentato dall'arco
,-..
di circonferenza M'N' avente un centro in 0 1 e raggio pari a r 1 + r 4 Nella
posizione generica indicata in Fig. 178 ed individuata dall'angolo t9 il valore
dell'alzata h della punteria dato da:
h= OR- OJI!'

= (0 1Rcos cp- 00 1 cost9)- OM'

ossia, sostituendo ai segmenti che ivi compaiono i rispettivi valori, da:

Essendo inoltre:

e ponendo:
r1- ro
r1 + r4

~----

~-

si ottiene:

Fig. 178 - Camma policentrica con punteria a rullo

Nel sec~do tratto, ossia quando il contatto camma-punteria avviene


lungo l'arco N P, la legge del moto identica a quella ricavata per l'arco N p

244

245

della camma a fianchi rettilinei (Fig. 177) e pertanto, in base alle (2.142),
(2.143) e (2.144) i valori di alzata, velocit ed accelerazione della punteria
valgono rispettivamente:

6.8 - Camma policentrica con punteria a piattello

Le camme policentriche descritte nel precedente paragrafo comandano


molto spesso una punteria a piattello anzich a rullo, ed in tal caso (Fig. 179)
l'alzata h della punteria durante la fase di accelerazione positiva data da:
h= OR- OM = (01S- 001 cos 19)- OM

= h- (r1- ro) cos 19)- ro

ossia:

Or
Fig. 179- Camma policentrica con punteria a piattello. Fase di accelerazione positiva

h= (r1- ro) (1- cos19)

(2.145)

La lunghezza del segmento 00 2 , osservando che:


La velocit della punteria in tale fase di conseguenza esprimibile mediante la:

V=~~ w= w(r~.- ro)sin 1.9

(2.146)

mentre l'accelerazione data da:

002 sin(!?2- 1.91)

= 001 sin !?1

-002

sin 1.9 1
(
.o )
sm vz- v1

a sua volta data da:

= (r1 -

,.....,

(2.147)

h= OR- OM

= (02S + 00zcost9')- OM = (r2 + 002 cost9')- ro

)
7'o

e pertanto l'alzata massima hM vale, in base alla (2.147):


hM

Lungo l'arco N P, corrispondente ad una fa.se di accelerazione negativa,


si ha invece (Fig. 180):

=( r1 -

sin !?1

ro) .
- (r 0 - r 2)
Slll (1.92- 1J1)

La velocit V e l'accelerazione a quando il punto di contatto cammapunteria compreso nell'arco


sono di conseguenza rispettivamente esprimibili mediante la:

NP

(2.148)

dh
- . ,
= - d-O!
=002w Slll V = (1'! (/
W

9. JACAZIO-PI01\1BO - La trasmissione del moto

sin 1.9 1
l'O) .
5111 (1.92- !?t)

sin v'

247

246
e mediante la:
dV

a = -w
diJ 1

-- 2
= -002w
cos 'tJ = 1

rl -

ro

c-sin iJ1 .o ) w2 cos v_

Sln V2 -

01

Vj

L'espressione ora ricavata, unitamente a quella relativa all'alzata massima, fornisce 'il legame esistente fra le varie grandezze geometriche di una
camma policentrica accoppiata ad una punteria a piattello. Nel caso di un
accoppiamento di questo tipo vengono normalmente fissati i valori dell'alzata
massima hM, del raggio r 0 e degli angoli 1? 1 e '!J 2 , mentre in base alle
relazioni sopra viste.si rico.vano di conseguenza i valori dei raggi r 1 e r 2

6.9 - Forze agenti nelle camme

Al fine di valutare la natura e l'entit delle forze agenti in un accoppiamento camma-punteria, si consideri dapprima una camma a contatto con una
punteria a rullo (Fig. 181): lungo tutto l'arco ozioso la punteria premuta
contro il rullo dalle sole forze P (date dal peso e da eventuali forze esterne
di pressione) e della molla FMo Entrambe queste forze sono dirette secondo
l'asse della punteria e pertanto la forza scambiata fra rullo e camma vale:

FMo +P.

Fig. 180 - Camma policentrica con punteria a piattello. Fase di accelerazione negativa

L'angolo 'IJ' poi legato ali 'angolo iJ dalla relazione: il' = iJ2 - iJ e le
equazioni sopra scritte possono al solito essere trasformate facendo comparire
in esse l 'angolo iJ al posto di 'IJ'.
Come si gi avuto modo di osservare nel 6.6, in corrispondenza del

NP

deve sussistere l'uguaglianza


punto di raccordo tra gli archi AfN e
tra i valori delle alzate espressi dalle (2.145) e (2.147), per cui deve essere
evidentemente rispettata la condizione:
(r 1 - r 0) (l- cos il l)= [r 2 +h

-l'o)

sin~~:~ il!) cos (iJ2- 'IJI)] - ro

relazione che, in definitiva, equivale alla:


(r 1 - 1 2)

1
= (r1- ro) [Slll. (iJ2sin iJ iJ ) cos (iJ2- iJ1) + cos iJ1]
l

Lungo l 'arco di lavoro invece, i valori delle forze agenti sulla punteria
tendono ad essere modificati dalla presenza di pi fenomeni concomitanti.
Innanzi tutto aumenta l'intensit della forza esercitata. dalla molla sulla punteria in quanto quest'ultima si trova spostata dalla sua posizione iniziale: per
un'alzata generica h infatti, la forza che la molla esercita sulla punteria diventa: FM = FMo + kh, se con k si indica la rigidezza della molla stessa. In
secondo luogo, durante la fase di lavoro la punteria generalmente soggetta
all'azione di forze di inerzia, dirette secondo il suo asse, che possono sommarsi
o sottrarsi alle forze della molla e del peso. Durante la fase di lavoro inoltre, il
contatto fra rullo e camma avviene in un punto che non si trova pi sull'asse
della punteria. Volendo verificare l'equilibrio del rullo infatti, si osserva che,
nell'ipotesi di trascurare le azioni di inerzia alle quali esso soggetto, le uniche
forze che lo sollecitano sono rappresentate dalla forza Fp,r, che la punteria
(p) gli trasmette in R, e dalla forza Fc,r, che la camma (c) gi trasmette nel
punto P. Affinch siano soddisfatte le condizioni di equilibrio del rullo occorre
pertanto che le due forze Fp,r ed Fc,r siano uguali ed opposte (Fig. 181 b) e
ci equivale in pratica ad affermare che la. direzione della. forza scambiata tra
rullo e punteria quella individuata dalla congiungente RP.
L'angolo x compreso fra la congiungente RP e l'asse della punteria
detto angolo di pressione e dal suo valore dipendono evidentemente le intensit sia della coppia che deve essere applicata alla camma, sia delle reazioni

248

249

sui supporti, sia infine delle sollecitazioni di contatto fra camma e rullo. Si
consideri infatti la camma (c); la coppia C _che deve essere ad essa applicata
per assicurarne l'equilibrio vale:
(2.149)

C= Fr,e b

a)

b)

d)

+
c)

edove ro

h,
e d rappresentano rispettivamente l'alzata, il raggio del cerchio
di riposo ed il diametro del rullo.
La forza fr,p, uguale in modulo a fr,e, che n rullo esercita sulla punteria
possiede a sua volta due componenti: una, verticale, pari a Fr,p -cos x ed una.,
orizzontale, pari a Fr,p sin x. ll valore della prima pu essere semplicemente
determinato scrivendo l'equazione di equilibrio alla traslazione verticale della
punteria, equazion che, nell'ipotesi di accelerazione negativa della punteria
stessa, espressa dalla:

(2.151)

i{ T

Fr,p COS X+ F;- FM- P= O

dove F; rappresenta per l'appunto il valore della forza di inerzia cui la punteria
soggetta. La seconda componente, ossia quella orizzontale, equilibrata
invece dalle forze Fs1 e Fs2 che i due supporti esercitano sulla punteria
(Fig. 181 d).
In base alle (2.149), (2.150) e (2.151) si in grado di ricavare il valore
della coppia che deve essere fornita alla camma per mantenerla in rotazione
in moto uniforme, valore dato da:
C=

(ro+~+h)

(P+FMo+kh-F;)tgx

e pertanto la coppia fornita alla camma deve essere tanto maggiore quanto
maggiore il valore deli 'angolo di pressione.

Fig. 181 - Forze agenti su una camma accoppiata ad una punteria a rullo
dove:
(2.150)

Fig. 182- Influenza del raggio del cerchio di base sull'angolo di pressione di una camma

250

251

Tale angolo come si pu facilmente osservare riferendosi alla Fig. 182,


diminuisce all'aun:entare del raggio del cerchio di base della camma; se infatti
h ra.ppresenta l'alzata della punteria in corrispondenza di un certo angolo
di rotazione t9 della camma, si pu notare che l'angolo di pressione x'
corrispondente alla camma con raggio del cerchio di base pari a r!, risulta
minore dell'angolo di pressione x relativo alla camma avente raggio del
cerchio di base pari a rb.

Anche se si fatto finora riferimento ad una punteria a rullo, chiaro


che gli stessi' procedimenti fin qui adottati possono essere estesi al caso di
punterie a coltello a patto di considerare per esso la presenza della forza di
attrito. Per una camma con punteria a piattello poi, la direzione della forza
scambiata fra camma e piattello , in assenza di attrito, normale alle superfici a
contatto ed quindi sempre parallela all'asse della punteria anche se, durante
l 'arco di lavoro, no~ coincide con l'asse stesso. Ci genera di conseguenza
un momento sulla punteria, momento che viene ad essere equilibrato, come
nel caso di punteria a rullo, dalle reazioni vincolari dei supporti. chiaro
inoltre che la presenza di una forza di attrito contribuisce a generare ulteriori
reazioni vincolari nei supporti e a modificare il valore della coppia applicata
alla camma.
Quale esempio di quanto sopra esposto si consideri la camma ad accelerazione costante gi esaminata nel 6.4. Per essa si era assunto: t9 1 =
30 = 0,5236 rad, hM = 5 mm, n= 1500 giri/min = 157,08 rad/s e si erano
ricavati i valori delle massime accelerazioni positive e negative della punteria,
valori rispettivamente dati da: a 1
300 m/s 2 e a 2 150 m/s 2 Volendo ora
determinare il valore dell'angolo di pressione x in corrispondenza del termine
della fase di accelerazione positiva, si dovranno innanzi tutto calcolare i valori
dell'alzata h e della velocit V della punteria relativi a tale posizione. Essi
saranno dati, in base alle espressioni viste nel 6.4, da:

Fig. 183 - Determinazione dell'angolo di pressione

di una camma

Una volta note la velocit e l'alzata della punteria in una generica posizione della camma, si pu calcolare il valore dell'angolo di pressione x
osservando che (Fig. 183) ad una rotazione infinitesima dt9 della camma
corrisponde un incremento dh dell'alzata in direzione normale alla rotazione
infinitesima della camma nella posizione considerata, e che pertanto:
dh =tg x ds

ora facile ricavare il valore di x. Sar infatti:


dh
dh
dh/dt
tgx= ds = (rb+h)dt9 = (rb+h)dt9jdt
ossia, in definitiva:

tg x= w(rb +h)

Si noti che in questa espressione rb rappresenta il raggio del cerchio


di base ed quindi pari, trattandosi di un accoppiamento di una ca.mma con
una punteria a rullo, alla somma dei raggi del cerchio di riposo e del rullo.

_ a t9

1 1
vl - -w -

{ h - al t9r
1 - 2w 2

300 x O, 5236 _
/
- 1m s
157, 08
300 x (0, 5236)2
2 x (157,08)2

= O 001667
'

l 667

= '

mm

Ipotizzando per il raggio del cerchio di base rb un valore di 20 mm,


l 'angolo di pressione sar definito da:

v1

tgx= w(rb+h)

1ooo
157,08x'(20+1,667)

= 0 294
'

e varr di conseguenza x = 1623'.


A conclusione del paragrafo dedicato all'esame delle forze agenti sulle
camme si osservi che, in base alla (2.151 ), la forza scambiata tra camma e
punteria vale:
Fr p
'

FM+P- Fi
= --'-'----cosx

e che pertanto, affinch la punteria segua effettivamente la legge del moto voluta, ossia affinch la punteria si mantenga sempre a contatto con la camma,

252

253

necessario che la forza Fr,p sia sempre positiva e che quindi la somma della
forza della molla e della forza data dal peso e dalla pressione esterna eventualmente agente sulla punteria sia sempre maggiore della massima forza di
inerzia agente sulla punteria nella fase di decelerazione della stessa, ossia che:
FM +P> F;. Proprio in base a questa necessit vengono infatti determinati i
valori del precarico e della rigidezza della molla agente sulla punteria.

attorno al fulcro di incernieramento del braccio oscillante.

n procedimento da seguire per ricav:are sia la legge degli spostamenti


angolari del braccio sia il profilo della camma del tutto analogo a quello
ampiamente illustrato per le camme accoppiate ad una punteria. Baster qui
ricordarE} che nel ca&o di braccio oscillante ci si trova in presenza di una data
legge delle accelerazioni angolari rj; del braccio assegnata in funzione degli
angoli di rotazione 1J della camma (rj; = F('IJ)) e che da questa, una volta
fissato un punto di riferimento R sul braccio oscillante, si in grado di
ricavare la legge degli spostamenti angolari cp = <I>('IJ) dello stesso e quindi
di tracciare il profilo teorico della camma. Da quest'ultimo, in base al tipo
di braccio accoppiato alla camma (a piattello, a rullo, ecc.), si deduce infine
l'effettivo profilo di lavoro della camma, cos come indicato nella Fig. 185,
figura che si riferisce al caso di un braccio a pia.ttello.

Fig. 184 - Camma a doppia guida (desmodromica)

Ove non sia conveniente o possibile installare una molla dalle caratteristiche volute, si dovr necessariamente ricorrere all'adozione di una camma a
doppia guida, detta anche camma desmodromica (Fig. 184).
Fig. 185- Profilo teorico (t) e profilo di lavoro (/) di una camma accoppiata ad
un braccio oscillante a piattello

6.10 - Camme con braccio oscillante

Come si gi avuto modo di osservare nel primo paragrafo del presente


capitolo, esistono anche, in aggiunta ai tipi di camme finora descritti, camme
accoppiate ad un braccio oscillante (Fig. 164 b); in tal caso il moto rotatorio continuo della camma viene trasformato in un moto rotatorio alternativo

Va ancora osservato che a volte possibile, studiando il comportamento


cinematico delle camme, individuare un meccanismo ad esse equivalente. Se si
considera ad esempio la camma costituita da un cerchio eccentrico accoppiato
ad un braccio oscillante a rullo riportata nella Fig. 186, si nota che il punto
Q, centro del cerchio; ruota durante il funzionamento attorno al punto O ad

254

255

una distanza e costante da esso e che il punto R, centro del rullo, descrive un
arco di circonferenza di centro S e raggio b. In definitiva quindi, il sistema
costituito da camma e braccio con rullo equivalente, dal punto di vista
cinematico, ad un meccanismo costituito da una manovella OQ, da una biella
QR e da un bilanciere RS. Anche per altri tipi di accoppiamento cammapunteria o camma-braccio oscillante si ovviamente in grado di determinare il
meccanismo ad essi cinematicamente equivalente e proprio questo ricondursi
a meccanismi noti pu portare a sensibili semplificazioni nello svolgimento dei
calcoli.
b

Nelle cathme di traslazione, il moto traslatorio di una superficie sagomata provoca la traslazione (Fig. 187 a) o la rotazione di un altro elemento
ad essa accoppiato. In questo caso i procedimenti da seguire per tracciare il
profilo della camma sono identici a quelli visti nei paragrafi precedenti, anche
se le leggi delle accelerazioni ?i o ip della punteria o del braccio oscillante
sono assegnate non pi in funzione della rotazione fJ bens dello spostamento
orizzontale x della camma.

\
J

Fig. 186- Camma a cerchio eccentrico con braccio a rullo e meccanismo ad essa
cinematicament.e equivalente

6.11 - Altri tipi di camme

Le camme di traslazione si presentano sovente in realt sotto la forma di


anelli sagomati che ruotano attorno ad un asse centrale parallelo all'asse della
punteria (Fig. 188). In tal caso allora lo spostamento x del profilo periferico
della camma sar pari a x
rlJ, se con r si indica il raggio dell'anello
sagomato.

Oltre alle camme descritte nei paragrafi precedenti, si riscontrano nelle


applicazioni meccaniche anche camme di traslazione e camme cilindriche e si
ritiene pertanto opportuno riportare qui di seguito alcuni cenni relativi alloro
funzionamento.
a)

Fig. 188 - Camma di traslazione ad anello sagomato

bJ

Fig. 189 - Camma cilindrica

Fig. 187 - Camme di traslazione

Le camme cilindriche sono invece costituite da un cilindro che ruota


attorno al proprio asse e porta una scanalatura nella quale si impegna l'e-

256

lemento guidato (Fig. 189). Anche in questo caso per l'analisi cinematica
della camma ed il tracciamento del suo profilo di lavoro saranno ovviamente
analoghi a quelli precedentemente esposti.

7. MECCANISMI

7 .l - Generalit sui meccanismi


Crm il termine meccanismo si suole comunemente denominare una qualunque catena cinematica costituita da due o pi organi collegati tra loro
in modo tale da consentire la trasmissione del moto dall'elemento iniziale a
quello finale della catena stessa secondo una legge prefissata; a rigor di logica pertanto, nella maggior parte dei capitoli finora esposti si sono esaminati
componenti meccanici (quali a.d esempio i giunti di Cardano, gli ingranaggi,
le camme e cosi via) appartenenti alla categoria dei meccansimi. Nel presente capitolo invece, si intende proporre una rassegna dei principali tipi di
meccanismi utilizzati per ottenere tipi del tutto particolari di leggi del moto
dell'elemento finale della catena cinematica in esame.
Tali meccanismi, pur presentandosi in grande numero e sotto le forme
pi svariate, possono essere raggruppati in quattro tipi fondamentali, e precisamente in:
a) meccanismi che trasformano un moto continuo in un moto alternativo;
b) meccansimi che trasformano un moto continuo in un moto intermittente;
c) meccanismi di .mplificazione (forze o spostamenti);
d) meccanismi che generano leggi del moto particolari.
I meccanismi costituiti da un insieme di aste rigide collegate tra loro
mediante cerniere vengono indicati come meccanismi articolati. La determinazione dello stato di moto (velocit, accelerazioni) delle varie parti di un
meccanismo articolato possibile, a volte in modo abbastanza semplice, in
forma analitica; alcune volte pi opportuno eseguire un calcolo numerico

258

259

~ sato su una costruzione grafica.


Nel seguito di questo capitolo verranno illustrati alcuni tipi principali
di meccanismi che, di volta in volta, ricadranno in una delle categorie prima
elencate.

7.2 - Procedimento generale per il calcolo cinematico dei meccanismi articolati

Per la risoluzione dei problemi di cinematica relativi ai meccanismi articolati, occorre utilizzare le relazioni tra velocit e accelerazioni ricavate nei
paragrafi 1.4, 1.5 e 1.7 del primo volume. Tali relazioni dovranno essere applicate ai vari elementi rigidi che costituiscono il meccanismo articolato.

in base alla (L22):

vB =w1A (B-A)
Indicando ora con w3 la velocit angolare della biella si pu scrivere,
sempre in base alla (1.22):
(2.152)

per cui, tenendo conto che il vettore w 3 /\ (E- B) un vettore perpendicolare


ad EB, si pu effettuare la costruzione vettoriale indicata nella Fig. 191a dalla
quale si ricavano Ve e w3 1\ (E- B). Poich la velocit di E data anche da:

possibile ricavare

w2

w3 che, in modulo, valgono: lw 2 1 =

!Ve l/ ED; lw 1 =
3

IWsi\(E-B)IJEB.

biella

bilanciere

Fig. 190 - Quadrilatero articolato

Quale esempio di applicazione si consideri il caso del quadrilatero articolato (Fig. 190), che costituisce un meccanismo in grado di trasformare un moto
rotatorio continuo in un moto rotatorio alternativo. In questo meccanismo la
manovella AB ruota attorno alla cerniera fissa-A, mentre il bilanciere ED,
~ssendo pi lungo della manovella, compie una oscillazione ruotando attorno
alla cerniera fissa D.
Si supponga ora di conoscere la velocit angolare w 1 della manovella e
di voler determinare la velocit angolare w 2 del bilanciere.
Per prima cosa dovr essere determinata la velocit Ve dell'estremo del
bilanciere. Questa velocit non nota, ma nota la direzione del vettore
velocit (perpendicolare ad ED, essendo il moto del bilanciere una rotazione
attorno a D). La velocit Vs dell'estremo della manovella AB nota e vale,

La determinazione delle velocit dei vari elementi del meccanismo pu


anche essere effettuata determinando il centro di istantanea rotazione C della
biella.
Tenuto conto infatti che la velocit dei punti di un corpo rigido proporzionale alla loro distanza dal centro di istantanea rotazione ed perpendicolare alla congiungente col centro di istantanea rotazione (1.24), risulta che,
essendo Vs e VE perpendicolari ad AB ed ED, il centro di istantanea rotazione
C della biella dato dall'intersezione delle rette prolungamento di AB ed ED.
A questo punto si pu scrivere (Fig. 19la):
w3

Vs l = tga = =Iiiel
= =i'BC
EC

per cui:
-

IVel = ECtga =

ECBCIVsl

Con un procedimento simile a quello ora impiegato per le velocit si


possono ricavare le accelerazioni dei vari elementi costituenti il meccanismo.
Supponendo che la velocit w1 della manovella sia nota e costante, la
accelerazione i8 risulta, in base alla (1.26):
(2.153)

261

260
a)

L'accelerazione del punto E, in quanto facente parte della biella , in


base alla (1.23):
(2.154)

as

- +. dt
dWa 1\ (E =as

B) - w 32 (E

B)

- + wa
. EB=as
ra + w 3 EBna
2

Considerando invece il punto E facente parte del bilanciere si ottiene,


essendo D un punto fisso:
(2.155)

Uguagliando i secondi membri delle (2.154) e (2.155) si ottiene:

Fig. 191 - Determinazione di velocit e accelerazioni in un quadrilatero articolato

Mediante questa equaF


zione vettori aie p ossi bile effettuare la costruzione della
Fig. 191b, che consente di ricavare gli elementi incogniti,
ossia le accelerazioni angolari w2 e w3 Un a volta note
queste due accelerazioni angolari, possono essere calcolate le accelerazioni di tutti i
punti del meccanismo.
n procedimento ora visto pu essere utilizzato per
tutti i meccanismi articolati
in cui il moto relativo fra
le varie parti costituito da
Fig. 192- Quadrilatero articolato con asta trauna rotazione. Si consideri
slante
ora il meccanismo, derivato
dal quadrila.tero articolato, in cui la biella scorre entro una guida (Fig. 192).
la quale porta una cerniera cui Yincolata l'asta CF che, inoltre, obbligata
a scorrere verticalmente entro una guida fissa. Supponendo nota la velocit
angolare w 1 (costante) della manovella, si vuole determinare velocit e accelerazione dell'asta CF.

262

263

Ripetendo il procedimento prima visto per il quadrilatero articolato


(Fig. 191), si pu determinare la velocit angolare w3 della biella BE, per
cui la velocit del punto G, pensato come parte della biella, :

a)

Essendo inoltre nota, sempre in base al procedimento visto precedentemente, l' accelerazione angolare w3 , si pu ricavare anche l'accelerazione del
punto G della biella:
aa

(2.156)

- + dt
dw3 A ( G- B) = aB

w32(G

B)

ll punto G, pensato come appartenente all'asta CF, ha un moto di traslazione in direzione verticale con velocit Va. Questa velocit pu, tuttavia,
essere considerata come la somma di una velocit di G relativa alla biella
(diretta secondo ii3 , Fig. 193 a), pi una velocit di trascinamento, ossia
la velocit del punto G considerato come appartenente alla biella, secondo
quanto visto nel paragrafo 1.4 del primo volume. allora possibile, come
indicato nella costruzione vettoriale della Fig. 193 a, ricavare la velocit Va,
nonch la velocit Va(r) dell'asta relativa alla biella.

b)

Anche per le accelerazioni si ha che l'accelerazione assoluta iia dell'asta


diretta verticalmente, e che pu essere espressa, come stabilito dalla (1.18),

dove:

cf; l l 'accelerazione di

G relativa alla biella ed diretta secondo la

direzione della biella (ii3 ); f.,t) l'accelerazione di trascinamento, ossia


l'accelerazione del punto G considerato come parte della biella (2.156);
i.),c) 2w3 A Va(r) l'accelerazione di Coriolis ed nota, poich sono gi
state calcolate w3 e vJrl; in particolare, essendo w3 e Va(r) due vettori
tra loro perpendicolari, essa vale in modulo 2w 3 Va(r) ed diretta secondo

-f3.
Note tutte queste grandezze pu essere effettuata la costruzione vettoriale della Fig. 193 b ricavando l'accelerazione aa dell'asta.

Fig. 193- Determinazione della velocit e della accelerazione nell'asta traslante verticalmente

265

264

n procedimento ora visto per la' risoluzione del calcolo cinematico dei
meccanismi articolati si basa su un calcolo vettoriale. possibile, tuttavia,
effettuare anche un calcolo analitico esprimendo le equazioni vettoriali come
insiemi di equazioni scalari, oppure scrivendo le relazioni geometriche esistenti
nel meccanismo. In molti casi ci porta a ricavare espressioni complesse, ma in
alcuni casi si hanno soluzioni relativamente semplici, come per i casi riportati
nei successivi paragrafi.

e pertanto lo spostamento 6 del piede di biella stesso misurato a partire dal


punto morto superiore e corrispondente ad una rotazione generica ~ della
manovella vale:
. 6 = (OB)o- OB

= r(1- cost?) + l(V1- >. 2 sin 2 t? -1)

7.3- Manovellismo

n manovellismo (o meccanismo a biella e manovella) costituisce il mezzo


pi comune per trasformare un moto rotatorio continuo in un moto rettilineo
alternativo (Fig. 194).
Si consideri la Fig.194 e si indichino con 7' e /le lunghezze rispettivamente
della manovella e della biella; siano inoltre t? e <p gli angoli formati dalla
manovella e dalla biella con l'asse orizzontale. n valore della distanza OB,
quando il manovellismo in una generica posizione rappresentata dall'angolo
t?, sar di conseguenza fornito dalla:
(2.157)

OB

= r cos t?+ l cos t.p

Esistendo inoltre l 'ulteriore condizione geometrica : r sin t? = l sin <p, si


in grado di esprimere il valore di <p in funzione di ~ ricordando che:
(2.158)

Fig. 194- Schema di un manovellismo


Come si pu notare, se il rapporto >. = r/l assume un valore molto
piccolo, il moto del piede di biella diventa praticamente un moto armonico;
in tal caso si avr infatti: 6 r( l - cos t?). Nella grande maggioranza dei casi
per, >., pur non essendo mai piccolissimo, assume valori notevolmente minori
di uno per cui si pu con buona approssimazione porre:

e di conseguenza ricavare per la distanza OB l'espressione:

Indicando allora con >. il rapporto 1/l si ottiene dalle (2.157) e (2.158):

ora facile osservare che se t? = O, ossia se il piede di biella B si trova


nella posizione normalmente indicata come punto morto superiore, la distanza
OB vale:
(OB)o

7'

(1 + )

(2.159)

Per ricavare i vlori della velocit Vs e dell'accelerazione a8 del piede


di biella in funzione degli angoli di rotazione t? della manovella baster ora
derivare la (2.159) rispetto al tempo, ottenendo cos:

Vs

= -rw (sin t?+~ sin 21?)

aB= -rw 2 (cost? + >. cos2t?)- r

(sin t?+~ sin 21?)

267

266

dove con w si indicato il valore della velocit angolare d19 f dt della manovella.
TI manovellismo semplice ora descritto, oltre ad essere applicato nella
grande maggioranza dei motori alternativi, costituisce anche un elemento cinematico dal quale possono essere derivati numerosi meccanismi utilizzati nei
pi svariati campi della tecnica. Baster qui ricordare come esempio l'applicazione del manovellismo nella pompa a pistoni a cilindrata variabile il
cui schema riportato in Fig. 195. In essa la rotazione della manovella M N,

quali riportato in Fig. 196 lo schema fondamentale.


In tale meccanismo, denominato anche guida di Fairbairn, il punto I<,
estremo della manovella J I<, descrive una circonferenza r, mentre la guida I L
oscilla tra le due posi~ioni estreme individuate dalle direzioni I M e I N.
L

...--------........

,/r-

""'

'

l
Fig. 196- Meccanismo a glifo oscillante
Fig. 195 - Schema di comando di una pompa volumetrica a cilindrata variabile

Con riferimento alla Fig. 196, si ha:


quasi sempre a velocit costante, genera il moto alternativo del pistone S, la
cui corsa dipende inoltre dalla posizione angolare della. guida R; orientando in
modi differenti la guida R si pertanto in grado di variare la cilindrata della
pompa.

sin(7r- (19 + "2 +<p)]

=-.sm <p

da cui, posto>.= rjh, si ottiene in definitiva:


). cos 19
t g<p = l + >. sin IJ

(2.160)

7.4 - Meccanismi a rapido ritorno


In numerose applicazioni meccaniche, quali ad esempio quelle inerenti
le macchine utensili dotate di moto alternativo, importante far si che che
la corsa di lavoro, ossia la corsa durante la. quale la macchina fornisce lavoro,
avvenga pi lentamente della corsa di ritorno, durante la quale la macchina.
deve solo vincere gli attriti e le resistenze al moto. Per ottenere questo scopo
in modo puramente meccanico si ricorre ai !!_1~c_cq_n~s!21}_!1 glifo o~illante, dei

'iT

relazione questa che fornisce i valori degli angoli di rotazione <p del glifo in
funzione di quelli 19 della manovella.
Per determinare il valore della velocit angolare t{; del glifo oscillante
ora sufficiente derivare la (2.160) rispetto al tempo ed ottenere, dopo alcune
semplificazioni:
(2.161)

<p=-

>.(>. + sin 19)


w
l+ >. 2 + 2>.sin IJ

269

268

dove w rappresenta al solito la velocit angolare dt?fdt della manovella.


Ed analogamente per ricavare il valore dell'accelerazione angolare del
glifo ad un istante generico corrispondente ad una rotazione t? della manovella,
sar sufficiente derivare ulteriormente la (2.161) rispetto al tempo, ottenendo
di conseguenza:
..
cp=

(2.162)

( 2 -l)cost?
w2
(l+ 2 sin t?+ 2)2

Esaminando ora la Fig. 196 si pu osservare che se, come normalmente


avviene, la velocit angolare w della manovella costante, il rapporto r fra il
tempo t 1 della corsa di lavoro ed il tempo tr della corsa di ritorno vale:
tl
271'-~
r=-=-tr
~

dove il valore di

fornito dalla:

Di conseguenza, al crescere di ~ di~inuisce e r aumenta, e pertanto,


utilizzando lo stesso meccanismo ed operando sul valore del rapporto rjh, si
in grado di modificare il valore del rapporto dei tempi r.
Oltre che quale elemento fondamentale di numerosi meccanismi a rapido
ritorno, il meccanismo a glifo oscillante impiegato anche in meccanismi pi
complessi, quale ad esempio quello di comando di una sega per il taglio di barre
metalliche illustrato nella Fig. 197 e nel quale l'albero motore B comanda la
sega solidale ad H mediante un sistema costituito da due glifi oscillanti.

7.5 - Meccanismi di amplificazione degli sforzi


Numerosi meccanismi sono utilizzati nella pratica per realizzare una
amplificazione degli sforzi, ossia per ottenere, con l'applicazione di una piccola
forza, lo spostamento di un carico di notevole entit.

cos:.=!:.=
2 h

Fig. 198 -: Meccanismo di amplificazione degli sforzi


Un esempio degli svariati tipi di meccanismi che realizzano tali amplificazioni riportato nella Fig. 198. In esso l 'intensit della forza S che assicura
l'equilibrio dell'asta UV , con buona approssimazione, pari a:
S

Fig. 197- Schema di meccanismo usato nel comando di una sega pe,r il taglio di barre
metalliche

=2Rtg~

e pertanto, essendo ~ piccolo, sia lo sforzo S, sia ovviamente la coppia motrice

271

2i0

Considerando inoltre i triangoli rettangoli LOR ed ORP si ha:

M da applicare alla manovella TU sono piccoli.

7.6 - Meccanismi che generano leggi del moto particolari

e quindi:
In talune applicazioni meccaniche necessario realizzare meccanismi
in cui un punto di uno degli elementi del sistema si muove secondo una legge
prefissata, quali ad esempio i meccanismi utilizzati per generare moti rettilinei
o moti ellittici.
I meccanismi pi comunemente usati per generare un moto rettilineo
sono il meccanismo di Scott-Russell ed il meccanismo di Peaucellier.

v\

i
l

>-l:

vi

i
l

'P'
-Il---

i
i
Fig. 200 - Meccanismo di Peaucellier

Essendo d'altra parte:


Fig.199- Meccanismo di Scott-Russell

n meccanismo di Scott-Russell, illustrato nella Fig. 199, altro non


che un manovellismo in cui la biella LK prolungata di una distanza LN =
LI:( ed in cui anche la manovella LM ha lunghezza pari a LI<. Con questa
disposizione, al ruotare della manovella LM il punto N si muove lungo una
retta verticale v passante per M realizzando cos la condizione voluta.
n meccanismo di Peaucellier invece indicato nella Fig. 200. In esso
le cerniere L e M sono fisse e le lunghezze delle varie aste soddisfano alle
condizioni:LM = MN,LO = LQ, NO= OP = PQ = NQ, in modo da far
muovere il punto P lungo una retta v perpendicolare ad LM. Infatti, essendo
LA1 = MN, si ha:
LN

= 2LMcos"(

LR + N R = LP = LP'/ cos "i

si ha in definitiva:
__!ry

-2

LO--No.
LP'=--==2LM

e ci significa che la posizione di P', proiezione di P sul prolungamento di LM


indipendente dall'angolo "i e quindi che il punto P si muove lungo la retta v
normale al segmento LM.
I due meccanismi ora esaminati sono dunque atti a generare il moto
esattamente rettilineo di un dato punto. Oltre ad essi esistono per meccanismi in grado di generare un moto approssimativamente rettilineo. quale ad
esempio il meccanismo di Watt indicato schematicamente nella Fig. 201. In
esso, a condizione che le lunghezze delle due aste M N e RS siano uguali tra

272

273

loro, il punto p (posto a met. dell'asta RN) si muove lungo la traiettoria


indicata con la linea tratteggiata, traiettoria che risulta essere per un certo
tratto quasi esattamente rettilinea.

che rappresenta per l'appunto l'equazione di un'ellisse.


x

.,....,.,...,......---

l
..L._.

'\

__

"........... ..... __ __

_, /

/
/

M
IN
l

Fig. 202 - Meccanismo per la generazione di un moto ellittico

l
\
\

Fig. 201 - Meccanismo di Watt per la generazione approssimata di un moto rettilineo

Oltre ai meccanismi generatori di moti rettilinei, si sono realizzati meccanismi in grado di generare moti di altro tipo (ad esempio ellittico), od anche
meccanismi per i quali la traiettoria di un loro punto deve necessariamente
passare per alcuni punti ben definiti (meccanismi con punti di precisione).
Un esempio di meccanismo atto a generare un moto ellittico illustrato nella
Fig. 202. Esso costituito da una manovella OR che ruota attorno al pun~o
fisso O e da un'asta MP incernierata in R alla manovella OR e collegata m
M e N' a due pattini che scorrono entro due guide tra loro perpendicolari.
Assumendo un sistema di riferimento cartesiano con origine nel pun~o O, si
possono esprimere le coordinate x ed y del punto P mediante le:
x

Da queste si ottiene:

= M P cos {);

= N P sin{)

Una categoria di meccanismi diversa dai precedenti costituita dai pantografi, i quali debbono amplificare o .ridurre con un rapporto costante una
curva assegnata. I pantografi (Fig. 203), pur potendo essere realizzati seguendo schemi cinematici differenti, presenatno sempre una caratteristica comune, e cio quella di possedere, quale elemento fondamentale, un parallelogrammo articolato. Se allora si indica con I il punto che percorre una curva
assegnata, il punto J descriver una curva simile alla precedente, ma in una
scala diversa. Si consideri infa.tti ad esempio lo schema di pantografo illustrato
nella Fig. 203-a; dalla similitudine dei trangoli J N I e J MO si ottiene:
e quindi:

IN=JNOM
JM

Poich J N, J M e OM sono tutti segmenti di lunghezza costante, anche


la posizione del punto I relativamente al segmento RN si mantiene costante e
quindi anche il rapporto OJ /OI si mantiene costante. Ci significa in definitiva
che se il punto I del meccanismo segue una curva assegnata, il punto J genera
una curva simile a questa, ma alterata nelle dimensioni nel rapporto costante
OJ /OI.

2=75

274

R
/
a)

//

bi

__

~/~------~N~----~ M
l
,..,__
_,..,.,,]

\
\

C)

a) gli arpionismi;
b) gli ingranaggi parziali;
c) le camme, gi ampiamente trattate nel capitolo precedente e delle quali si

proporr nel seguito una ulteriore applicazione;


d) la croce di Malta,.che v~rr esaminata nel successivo paragrafo.
Gli arpionismi altro non sono che ruote dentate nelle quali i denti si
presentano dotati di forme particolari, forme atte ad impegnarsi con un opportuno braccio sagomato cos come schematicamente illustrato nella Fig.
204. In base alla forma dei denti ivi rappresentati, il braccio B in grado di
provocare unicamente uno spostamento della ruota in verso orario, in quanto
per versi antiorari il braccio stesso scorre lungo i denti mantenendone inalterata la posizione. TI movimento rotatorio continuo della manovella M viene
cos trasformato in un movimento rotatorio intermittente della ruota dentata R.

Fig. 203 - Schemi di pantografi

7. 7 - Meccanismi che trasformano un moto continuo in un moto


intermittente
Fig. 204 - Schema di arpionismo

In molte applicazioni meccaniche, quali ad esempio quelle relative a tutte


le macchine utensili automatiche o semiautomatiche in cui un ben..determinato
ciclo di lavoro deve essere ripetuto periodicamente nel tempo, necessario che
il moto di un certo elemento avvenga secondo una legge assegnata ad intervalli
di tempo ben definiti. Se la potenza meccanica viene fornita utilizzando un
albero ruotante attorno al proprio asse, indispensabile possedere meccanismi
che trasformino un moto continuo in un moto intermittente.
Nella grande maggioranza delle realizzazioni costruttive i moti intermittenti con generazione puramente meccanica vengono ottenuti con l'ausilio di
quattro differenti tipi di meccanismi e precisamente mediante:

L'ampiezza dell'angolo descritto in ogni fase di avanzamento dalla ruota


dentata R dipende ovviamente dall'ampiezza dell'angolo descritto dal bilanciere E, e la frequenza con la quale si susseguono le rotazioni di R naturalmente pari a wj2Tr, se con w si indica la velocit angolare della manovella.
Una particolare categoria di arpionismi quella rappresentata dagli
scappamenti, dei quali se ne riporta un esempio nella Fig. 205. In questo
meccanismo,
detto scappamento di Graham e normalmente usato neo-li
oro.
o
log1, la ruota dentata E sottosposta all'azione di una molla che tende a farla

276
ruotare in verso orario, azionando cos l'ancora A solidale al pendolo P. ll pendolo compie cos una mezza oscillazione attorno al fulcro F finch l'estremo
sinistro dell'ancora non si impegna tra due denti della ruota E bloccandone il
moto. A questo punto il pendolo compie una oscillazione in senso inverso ed
il moto continua fino a quando la molla di comando della ruota E in grado
di fornire una coppia sufficiente a far avanzare il meccanismo.

277
7.8 - Meccanismi a croce di Malta esterna

I meccanismi a croce di Malta formano una delle pi antiche categorie


di organi meccanici atti a trasformare un moto continuo in un movimento
intermittente e devono il loro nome al fatto che i primi meccanismi di questo
tipo erano costituiti da una croce dotata di quattro scanalature, il cui aspetto
molto rassomigliava all'insegna dei Cavalieri dell'Ordine di Malta (*).

Fig. 205 - Scappamento di Graham. A: ancora; E: ruota dentata; F: fulcro; P:


pendolo

Gli ingranaggi parziali sono invece costituiti da normali ruote dentate


che presentano per un numero limitato di denti lungo la loro periferia; in tal
caso la trasmissione del moto tra la ruota motrice e quella condotta avviene
unicamente quando i denti delle due ruote entrano in presa, mentre durante la
rimanente rotazione della ruota motrice la ruota condotta. mantiene inalterata
la sua posizione.
Di tutti i meccanismi ad ingranaggi parziali per, quelli di gran lunga
pi utilizzati sono i meccanismi a croce di Malta esterna e ad essi si ritiene
pertanto necessario dedicare l'intero paragrafo successivo.

Fig. 206 - Meccanismo a croce di Malta esterna

I meccanismi a croce di Malta possono essere suddivisi in tre tipi fondamentali: meccanismi a croce di Malta esterna, a croce di Malta interna e
a croce di Malta sferica. Tra questi il pi comune senza dubbio il meccanismo a croce di Malta esterna, qui rappresentato nella Fig. 206, in cuf la
ruota motrice A porta un perno P che, per effetto della rotazione della ruota
motrice, va successivamente ad impegnarsi nelle varie scanalature della croce
di Malta M, provocando cos il movimento intermittente dell'albero condotto
ad essa solidale; in tal modo, ad ogni giro della ruota motrice A corrisponder
(*) I meccanismi a croce di Malta sono normalmente indicati come Geneva Mechanisms nella
letteratura anglosassone e questa loro nomenclatura risulta giustificata dal fatto che essi furono
effettivamente utilizzati per la prima volta dagli orologiai svizzeri verso la fine del XV secolo.

lO. JASAZIO-PIOMBO La trasmissione del moto

278

279

una rotazione della croce di Malta M pari ad una frazione N-esima di giro,
se con N si indica il numero totale delle scanalature in essa presenti. Se la
ruota A portasse due perni tra loro diametralmente opposti, ovvio che la
croce di Malta subirebbe avanzamenti di intensit ancora pari a l/N giri, ma
questi si verificherebbero con una frequenza doppia di quella relativa al caso
precedente.
Per evitare che durante tutto l'intervallo di tempo per cui il perno P
non impegnato in una fenditura della croce di Malta questa si ponga in
movimento a causa di coppie o forze eventualmente agenti su di essa, si dota
. la ruota motrice di una superficie cilindrica esterna che va a contatto con
una corrispondente superficie cilindrica interna ricavata sulla croce di Malta
stessa; un risultato analogo pu ovviamente essere ottenuto facendo si che,
durante lo stesso intervallo di tempo, un perno solidale alla croce di Malta si
impegni in una scanalatura circonferenziale parziale della ruota motrice.
Al fine di ricavare le relazioni geometriche caratteristiche dell'accoppiamento si consideri ora il meccanismo a croce di Malta esterna rappresentato
nella Fig. 206; ovvio che per esso il valore dell 'interasse i fornito dalla:
.

r2

r1

z-~----

cos~-

cose

Come si , gi avuto modo di osservare, il rapporto

_! _

e-

~;e

pari a:

1rjN
__
2_
1rj2- 1rj N - N- 2

per cui, se l'albero motore ruota ad una velocit angolare costante e pari ad
il tempo T impiegato dalla croce di Malta per passare da una posizione
generica a quella ad essa successiva dato da:

w,

T= _2e

= 2e ~ = ....;7r(,__N_-_2:..t..)
~w

wN

Se si vogliono ora ricavare le propriet cinematiche del meccanismo a


croce di Malta esterna sufficiente osservare che, per tutto l'intervallo di
tempo in cui il perno P si muove entro una delle scanalature, il meccanismo si comporta essenzialmente come una guida di Fairbairn e che si possono
pertanto utilizzare i risultati gi ottenuti nel 7.4 del presente capitolo. Indicando allora con 'IJ e con cp gli angoli formati ad un istante generico dai
raggi PO e PO' con la congiungente i centri O ed O' (Fig. 207) si potr allora

ed altrettanto evidente sia che l'angolo ~ inversamente proporzionale al


numero N delle fenditure presenti nella croce di Malta, sia che, per evitare
l'insorgere
_, di urti quando avviene l'imbocco del perno nella fenditura, l'angolo OPO deve essere retto e che in definitiva dovranno risultare verificate le
condizioni:

Fra i raggi

r1

ed

r2

dovr pertanto sussistere la relazione:

l
l
La profondit radiale minima di una scanalatura dovr a sua volta essere
pari a:
l=

~LE..

-.&

.. t

Z3 "

%A J

t dA

7'1 +?'o -

= ?'o [l + _si_n_,_(71"~/_A-"r)_-.,-1]
-

.l

Fig. 207- Guida di Fairbairn equivalente al meccanismo a croce di Malta

usufruire delle (2.160), (2.161) e (2.162) ponendo per attenzione al fatto che
l'angolo 1J che in esse compare misurato a partire da una posizione sfasata

cos(1rjN)

$._Wl

280

281

di 90 rispetto a quella della Fig. 207, per cui si avr in definitiva:


sin t'l

tg so = 1.- cos t'l


.

)
so-- l-(cost'Jw
2 cos t?+ 2

(2.163)

'P=

xl
:~""'3

O>

O>

N'

r-

ora dato da:

s.
dove

- -""' - -""'
o

00
N

LC
N

o
N

""'

LC
N

o
o

O>

r-

~
~

- - -~

o
o

O>

00

C()

""'
""'
o o o
<O

O>

O>

00

N
M
N

r-

""'
-""'
- - - - - --~

N LQ
..... <o <o <o

O>

00

LQ

o <o

"""
r-

<O

LC

"M......

~
o

M
o
o

-o
L<':'

tt- <o
N
N
o

o
o

>
~

O>

O>

o
M
L":)

C()

= rdi =cose= sin <l>= sin;

Analizzando le (2.163) si osserva che l'accelerazione ip della croce di


Malta nulla per t'J =O e che di conseguenza la sua massima velocit angolare
data da:
.

IPmax

e;:,

-- M

r-

N
N

= l- A

Annullando poi la derivata rispetto al tempo della terza delle (2.163),


si ricava il valore dell'angolo di rotazione t? m in corrispondenza del quale l 'accelerazione ip presenta un massimo; tale angolo soddisfa alla condizione:

s.01"'3

s.~l
Le relazioni geometriche e cinematiche espresse dalle (2.163) sono riportate nei grafici delle Figg. 208, 209 e 210 mentre la Tab. III riassume le
principali caratteristiche dei meccanismi a croce di Malta. In essa sono riportati il numero N delle fenditure della croce di Malta, la massima velocit
angolare tl;max della croce di Malta, i semiangoli di lavoro e e <1>, l'accelerazione
angolare 'Po relativa all'istante in cui il perno della ruota motrice entra nella
fenditura della croce di Malta, la massima accelerazione angolare s'max~ed i
valori degli angoli t?m e lOm in corrispondenza dei quali essa si verifica.
Da un attento esame dei grafici ad esse relativi, ed in particolare della
Fig. 210, si rileva come le croci di Malta con poche scanalature siano molto
sfavorevoli dal punto di vista dinamico, in quanto originano forti accelerazioni
e di conseguenza elevate azioni di inerzia. Risulta pertanto consigliabile limitarne l'applicazione ad organi accoppiati a motori dotati di modesti valori
della velocit angolare w.

te<

CD

...:

C()
L~

r- o

r-

r- rrN
r- L":)

LC
N

o
o
o

""'<D N""' ""'.....

<O

o
L':>

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<O
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"""
o

<O
<O

C'l

.....

C()

t-

o
"""

L~

'<l'
LC

LC

L~

C'l
C'l

<O

"""

<O

r-

C'l

<O

<O

<O
M

C'l

r-

r-

OC>

O>

N
N
o

C()

""='

M N
N

'<l'

""'

L":)

<O

C()

N
o
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LC

--

o
L':>
L':>

O>
"""
N

C()

<O

C()

C'l

"""

O>
O>

r-

.....

<O

<O
N

......
o

r-

C'l

"""

""='

M
""'

C'l

t- M
<O

LC
M

'-"='
N

""' ""'
""'o o

M
C'l

- - -""" ""'""'
M

""='

"""o

C>

O>

LC
......

<O

OC>

cc r-

C'l

L~

C'l

C'l

"""

C'l
N

<C

- - .....

LQ
.....

> >

LQ L.-:>

-o

C'l

~ oo
o

--- - - - - -

OC>

C'l

o
<C

o
M

r-

o
M

C'l

L~

L":)

r-

r-

L':>

L~

o
M

C'l

C'l

rr- r-

<O

00

- - ..... ..... -""" - -

C'l

'<l' C'l
o
o
o
C()
r- 00
C>
r- r-

L':>
......

<O

r-

00

282

283
70

tp(o)
60

50

29.10

,..-

/4" ' \

Il

4o

3o

vy

....

1'0.~/~~
l ~v::.--::::~
W

18

~
~(o)

00

Fig. 208- Angolo di rotazione r.p della croce di Malta in funzione dell'angolo di rotazione .,J della ruota motrice
3.5

q,

/_

~~

o
o

10

20

30

10 12
v / 1 s /18

<.._8

40

~(O)

....:::

50

60

70

80

=~-~6

Se si vuole ricavare il valore della forza scambiata fra il perno della


ruota motrice e la scanalatu~a della croce di Malta, necessario innanzi tutto
osservare che questa varia in modo continuativo durante tutto l'arco di lavoro;
si considerino allora la ruota motrice A e la croce di Malta M ad un istante
generico (Fig. 211) compreso nella fase di accesso: la coppia resistente Gr e
la coppia di inerzia C; sono equilibrate, in assenza di attrito, da una forza F
avente direzione perpendicolare alla fenditura e modulo pari a:

2.5

1.

Fig. 210- Accelerazione angolare della croce di Malta in funzione dell'angolo di rotazione .,J della ruota motrice

3.0

2.0

r ~~

1215

r~~~o

l \1
\

l v/~/~~
\'\
/

2o

:-\\

- ', ",

'\

~
-~~
r+-

5"

1.o

~~

12
-15
18

o
o

'\...
10

20

30

r1

sin ?J

Per calcolare il valore della coppia motrice basta ora osservare che la
forza F a sua volta scomponibile in una Fn diretta secondo il raggio PO ed
in una ft a questa ortogonale. La coppia motrice Cm varr pertanto:

o.5=10

= Gr + C; = (Gr + C;) sin r.p

"

40

50

60

70

80

~(o)

Fig. 209- Velocit angolare della croce di Malta in funzione dell'angolo di rotazione
.,J della ruota motrice

284

285

n valore della coppia motrice pu tuttavia essere calcolato usufruendo


semplicemente dell'equazione di equilibrio istantaneo tra le potenze entranti
ed uscenti dal meccanismo. Si avr infatti (sempre nell'ipotesi di attrito trascurabile):

40

30

Cmw =(Gr+ C;)<P


e, indicando con I il momento di inerzia di tutti gli organi ruotanti con la
croce di Malta, si otterr in definitiva:

2o

v
/

L--- r---

l
5

10

15

20

25

Fig. 21? - Angolo di rotazione della ruota motrice corrispondente al massimo valore
di <P<P/w 3

1.5

1.

Fig. 211 - Forze scambiate tra ruota motrice A e croce di Malta M

Come si gi avuto modo di osservare (si veda a questo proposito la


seconda delle (2.163)) la quantit <P/w presenta un massimo, di intensit >./(1>.), in corrispondenza di t'J O, mentre il massimo valore di <P<Pfw3 si verifica
ad un angolo t'J* crescente al crescere del numero di fenditure N della croce di
Malta, cos come illustrato dal grafico della Fig. 212. Tale valore massimo
risulta inoltre inversamente proporzionale al numero di fenditure N ed assume
valori rapidamente crescenti per valori di N decrescenti ed inferiori a 7, cos
come mostrato dalla Fig. 213.

\--~

o.5

Fig. 213- Massimo valore di

1'---.

10

15

20

25

<P<Pfw 3 per un meccanismo a croce di Malta esterna

286

287

7.9 - Meccanismi a croce di Malta interna, sferica e rettilinea


I meccanismi a croce di Malta interna (Fig. 214) presentano un funzionamento del tutto simile a quelli a croce di Malta esterna; l'unica differenza
consiste nel fatto che, nel caso di croce interna, l'angolo descritto dalla ruota
motrice durante la fase corrispondente alla presenza del perno P all'interno
di una delle scanalature maggiore di 180.

Durata di

un~ rotazione della croce di Malta: T= 1r(~; 2)

L'angolo r.p di rotazione della croce di Malta ora dato da:


tgr.p=

r1 sin {}

.
i + r 1 cos {}

{}
= l + sin
cos {}

dove:

=rdi

e di conseguenza la velocit e l'accelerazione angolare della croce di Malta


valgono rispettivamente:

(2.164)

.
.>.(>. + cos {})
r.p= (1+2cos{J+.>. 2

..
(l - .>. 2 ) sin{}
2
r.p =-(l+ 2cos{J + >. 2 ) 2 w

La massima velocit angolare si verifica al solito per {}


valore dato da:

(<p') max

= O ed

il suo

>.w
= l+

La massima accelerazione angolare invece, contrariamente a quanto avviene nei meccanismi a croce di Malta esterna, si manifesta proprio nell'istante
corrispondente all'imbocco del perno nella fenditura (ossia per{}= e) e vale:
Fig. 214- Schema di meccanismo a croce di Malta interna

Procedendo in modo identico a quello esposto nel caso di croce di Malta


esterna, si ricavano per le varie grandezze caratteristiche dell'accoppiamento
le seguenti relazioni.

sermango
r d. 1avoro: <I> = N,
"
1

Interasse: i=~=
sin <I>

e = " (~2 + ..!._)


N

''
sin( 7r /N)

Raggio interno ro della croce di Malta: ,.,



d'1 una go l a: l
Pro fon d1't'a ra d'1a1e mnuma

= tg(n/N)
r1

= 11 [ l - l +cos(n/N)
.
, ]
sm( 7r /.i\)

I meccanismi a croce di Malta sferica sono utilizzati per trasmettere il


moto tra assi ortogonali anzich paralleli (Fig. 215) e funzionano secondo un
principio del tutto identico a quello delle croci di Malta interne ed esterne
prima esaminate.
I meccanismi a croce di Malta rettilinea costituiscono una realizzazione
limite dei meccanismi a croce di Malta esterna quando le dimensioni di quest'ultima tendono ad infinito. Essa si presenta quindi come na banda rettilinea dotata di scanalature perpendicolari al suo asse di traslazione (Fig. 216)
per cui il suo spostamento x, calcolato a. partire dall'istante in cui il perno P
si impegna nella scanalatura, vale:

288

289

mentre la sua velocit data da:

e pertanto, come era facile intuire, il moto realizzato dalla croce di Malta rettilinea altro non che un moto intermittente con semionde di tipo sinusoidale.

7.10 - Meccanismi a camme cilindriche per la generazione di un


moto intermittente

I meccanismi a croce di Malta, di costruzione relativamente semplice e


poco costosa, posseggono per sia l'inconveniente di presentare uno strisciamento relativo fra le varie parti che vengono a contatto, sia una limitazione
intrinseca dovuta al fatto di originare una ben determinata legge del moto.

Fig. 215- Meccanismo a croce di Malta sferica

Fig. 216- Meccanismo a croce di Malta rettilinea

Fig. 217 - Applicazione di un meccanismo a camma cilindrica per il comando di una


piattaforma rotante. a: piattaforma rotante e piattaforma porta-utensili;
b: flangia di montaggio della piattaforma rotante; c: cuscinetto di supporto
della piattaforma rotante; d: camma cilindrica; e: risalto per il collegamento con la ruota porta-rulli; f: foro di passaggio del refrigerante; g:
sezione di un rullo (Ferguson Machine Company, St. Louis, Missouri)

290
Onde superare queste limitazioni, si fatto ricorso nelle applicazioni
tecniche all'uso di sistemi per la trasformazione di un moto continuo in un
moto intermittente basati sull'accoppiamento di una camma cilindrica ad una
ruota sulla quale sono montati rulli cilindrici a contatto col profilo attivo
della camma stessa. In tal modo, durante la rotazione della camma, i rulli
rotolano senza strisciare lungo il profilo di questa, dando luogo perci a piccole
azioni dissipative di attrito, ed inoltre, variando il profilo della camma, si
possono realizzare diversi tipi di diagrammi delle accelerazioni, ottenendo di
conseguenza la legge del moto pi adatta alla particolare applicazione a cui
tale meccanismo deve essere destinato.
Per effetto delle propriet ora descritte, questi meccanismi a camme
cilindriche sono ampiamente usati nel campo delle macchine utensili e particolarmente nei comandi delle piattaforme rotanti delle macchine transfer, dei
quali illustrato nella Fig. 217 un esempio.

8. FRENI ED ARRESTI

8.1 - Definizione e funzione dei freni

Si definiscono comunemente come freni quegli organi meccaniCi la cui


funzione principale consiste nel trasformare l'energia cinetica di un corpo o di
un sistema in calore e nel dissipare poi quest'ultimo nell'ambiente.
I freni possono essere fondamentalmente di tre tipi:
- freni a fluido
- freni ad attrito
- freni elettromagnetici

Questa distinzione si riferisce alla. natura del fenomeno fisico che causa
la trasformazione di energia cinetica in calore e non al tipo di comando del
freno.
Va ora. osservato <;he, qualunque sia. il tipo di freno che si considera, due
sono i-fattori di primaria importanza che stanno alla base del suo dimensionamento, e precisamente: la massima coppia resistente che deve essere realizzata
dal freno e la quantit di calore che questo deve assorbire, e successivamente
dissipare, ad ogni frenatura. Riguardo a quest'ultima caratteristica bene
rammentare che se al sistema da frenare sono applicate forze o coppie, motrici o resistenti, la quantit di calore sviluppata durante la frenatura dipende
anche dalla loro intensit.
Si consideri ad esempio il sistema illustrato nella Fig. 218: in esso un
peso P sostenuto da. un cavo che si avvolge su un tamburo di diametro d.
Sapendo che I il momento di inerzia polare totale delle masse rotanti attorno

293

292
all'asse del tamburo e che il peso P inizialmente in moto con una velocit di
discesa V0 si supponga di voler determinare i valori della coppia frenantt_0,
supposta costante, da applicare all'asse del tamburo e dell'energia .c1 che deve
essere dissipata dal freno per arrestare la discesa del peso P in uno spazio t:.h.
Scrivendo l'equazione di equilibrio alla rotazione del sistema attorno all'asse
del tamburo:

c,+ 1 dw

dt

(p_!:_g dV)~=
O
dt 2

e tenendo conto che w.= 2V/d, si ottiene:


dV
dt

-=-

2g(CJ - Pd/2)
d(P + 4gl fd2)

e x= t:.h) si ottiene per la coppia frenante necessaria ad arrestare il peso P


nello spazio t:.h il valore:

n valore dell'energia dissipata dal freno pu essere facilmente calcolato


utilizzando il teorema dell'energia cinetica. Poich il lavoro compiuto da tutte
la forze e le coppie agenti sul sistema deve essere uguale alla variazione di energia cinetiCa dello stesso, e poich il lavoro delle forze di attrito evidentemente
negativo, si ha:
P

v2

Jw2)

-.C1 +Pt:.h=- ( - - + g 2
2

da cui si ricava in definitiva la relazione:


2

V
.C 1 =Pl:.h+2

(p-+-41)
g

d2

relazione che fornisce il valore dell'energia dissipata. nel freno in funzione del
peso P e dello spazio di frenatura t:.h.

8.2 - Freni ad attrito

Fig. 218 - Frenatura di un carico in moto verticale

Questa equazione differenziale pu ora essere riscritta sotto la forma:


V dV=- 2g(CJ- Pd/2) dx
d( P+ 4gl fd2)

Integrando quest'ultima equazione tra l'istante iniziale (definito dalle


condizioni V= Vo e x= O) e l'istante finale (definito dalle cqndizioni V= O

I freni ad attrito costituiscono la principale categoria di freni impiegato


nelle applicazioni meccaniche. Essi sono in grado di applicare una coppia
resistente sia in condizioni dinamiche che in condizioni statiche.
I freni ad attrito sono costituiti da un elemento mobile, normalmente
rotante, collegato al sistema eh~ deve essere frenato, sul quale viene applicata
l'azione frenante mediante l'ausilio di opportune superfici di attrito.
n materiale di attrito usato nei freni pu essere di varia natu:r:a: in tal uni
casi esso metallico oppure organico, ma in generale costituito da miscele di
gomma, amianto e resine sintetiche impregnate di asfalto e rinforzate mediante
fili di rame, denominate commercialmente ferodi.
Con riguardo al modo in cui si realizza l'accoppiamento tra corpo rotante
e materiale di attrito, i freni vengono normalmente suddivisi in tre categorie
differenti, e precisamente in:

295

294

a) freni a tamburo (o freni a ceppi);


b) freni a disco;
c) freni a nastro;
mentre se si considera il tipo di comando ad essi applicato si possono distinguere freni a comando meccanico, idraulico, pneumatico od elettrico.

8.3 - Distribuzione delle pressioni in un freno

Come si detto nel precedente paragrafo, nei freni ad attrito l'azione


frenante ottenuta grazie alle forze di attrito che si sviluppano nella zona
di contatto tra due elementi in moto relativo tra loro. Per poter valutare
l'entit della coppia resistente fornita da un certo freno quindi necessario
conoscere la distribuzione delle pressioni esistenti nelle superfici a contatto
dell'accoppiamento; solo quando nota. questa distribuzione di pressioni si
infatti in grado di risalire alla rela.tiva distribuzione di azioni tangenziali
di attrito ed ottenere di .conseguenza il valore del momento frenante. La
determinazione in via teorica della distribuzione delle pressioni di contatto in
un freno presenta per notevoli difficolt., e pu essere ottenuta solo in prima
approssimazione sulla base di alcune assunzioni ed ipotesi, cos come si avr
modo di osservare nel seguito.

a)

b)

si consideri ad 'esempio un disco rotante premuto contro un disco fisso ad esso


coassiale (Fig. 219). Quando il disco nuovo ragionevole assumere che la
pressione p si mantenga costante in tutti i punti di contatto tra i due dischi
(Fig. 219-a); dopo un certo periodQ di funzionamento per, si riscontra che il
disco costituito da materiale di attrito risulta pi sottile in corrispondenza del
diametro esterno, cos come indicato nella Fig. 219-b, e questo fenomeno
trova una sua spiegazione introducendo l'ulteriore ipotesi di proporzionalit
tra consumo del materiale d'attrito e lavoro compiuto dalle forze di attrito.
In tal caso infatti, il volume dV di materiale asportato in corrispondenza di
un elemento di area dA in un intervallo di tempo dt esprimibile mediante la:
dV= d6 dA

dove d6 rappresenta lo spessore di mate1:iale asportato nel tempo dt.


n lavoro compiuto nello stesso inter,va1lo .di tempo dalle forze tangenziali
di contatto dovute all'attrito dato d~~.::.< .
d,C1 = J p dA V dt

=' f p w r

dA dt

dove f rappresenta al solito il coefficiente' di' attrito, p la pressione esistente


in un'area infinitesima dA della zona di contatto~ V la velocit relativa tra le
due superfici nel luogo considerato. Ipotizzando ora che dC 1 sia proporzionale
a dV:

C)

dc 1

= kdV

si ottiene in definitiva che:


(2.165)

Fig. 219- Pressioni e consumo in un disco rotante

Volendo determinare in un caso semplice tale distribuzione di pressioni.

Si pu osservare dalla (2.165) che, essendo il coefficiente di attrito f


una quantit pressoch costante per tutti i punti dell'accoppiamento, il consumo unitario d6jdt del materiale di attrito risulta proporzionale alla pressione
p esistente in ciascun punto dell'accoppiamento ed alla distanza r di questo
dall'asse di rotazione. Se ora si suppone, in base a quanto prcedentemente
esposto, che nella fase iniziale del funzionamento (Fig. 219-a) la pressione p
si mantenga costante, evidente che il consumo unitario d6fdt varia esclusivamente al variare del raggio r e cresce al crescere di questo. Tale variazione

296

297

di consumo unitario lungo il raggio durante la fase iniziale di funzionamento


conferisce al disco costituito da materiale di attrito l'aspetto della Fig. 219-b,
e con una tale configurazione della superficie di contatto logico prevedere che
la pressione non si mantenga pi costante in tutti i punti, ma che si presenti
maggiore verso il centro, dove lo spessore del disco maggiore, e minore verso
l'esterno dove lo spessore del disco minore.
Se poi il moto di accostamento del disco rotante nei confronti del disco
fisso , per effetto dei vincoli imposti, una traslazione in direzione assiale,
altrettanto intuitivo supporre che il successivo consumo del materiale di attrito
avvenga in modo pressoch uniforme in tutti i punti e che di conseguenza il
consumo unitario d6jdt si mantenga. pressoch costante per tutti i punti della
zona di contatto (Fig. 219-c). In base a tale assunzione ed alla (2.165) si
osserva pertanto che, per istanti successivi a quelli iniziali, la pressione p varia
in modo inversamente proporzionale al raggio r:
p=

k(djdt)
fwr

e di una traslazione in direzione perpendicolare alla congiungente OA, che


non influenza quindi il consumo del materiale di attrito) si pu in definitiva
supporre che la pressione in un punto generico P dell'accoppiamento valga
p = kx, dove x rappresenta la distanza di P dal punto A. Indicando ora
con b la larghezza dl pattino, con l la sua lunghezza e con a la distanza del

k'

j7

=r

e che quindi essa, a conferma. di quanto in precedenza a.nticipato, risulta tanto


maggiore quanto pi ci si avvicina all'asse di rotazione.
L'ipotesi ora utilizzata di lavoro ,di attrito proporzionale al consumo,
detta ipotesi di Reye, pur non essendo valida in ogni circostanza, comunque applicabile in prima approssimazione in tutti i casi caratterizzati dalla
presenza di attrito secco tra le superfici che vengono a contatto; proprio tale
ipotesi, accoppiata all'informazione concernente il tipo di accostamento realizzato fra le superfici di ~ttrito, consente di determinare la distribuzione teorica
delle pressioni di contatto e di risalire ovviamente da questa a quella delle
azioni tangenziali ed in definitiva al valore del momento frenante.
A titolo di esempio applicativo di tale ipotesi si consideri ora un pattino
piano premuto contro un nastro che trasla ad una velocit V (Fig. 220) e si
supponga di voler calcolare il valore della forza frenante FT una volta noto il
valore della coppia C applicata al pattino.
Poich la velocit relativa tra nastro e pattino costante in tutti i punti
della zona di contatto, evidente che, in base alla (2.165), si pu supporre che
la pressione sia proporzionale al consumo; essendo poi, come si gi avuto
modo di osservare, il consumo funzione del tipo di accostamento, ed essendo
questo una rotazione rigida attorno al punto A (una rotazione attorno al punto
O pu infatti essere considerata come somma di una. rotazione attorno ad A

Fig. 220 - Distribuzione delle presisoni in un pattino piano premuto contro un nastro
che trasla

punto di incernieramento del pattino dall'estremit della superficie frenante


(Fig. 220), si in grado di scrivere l'equazione di equilibrio alla rotazione del
pattino attorno al punto O sotto la forma:
C-

a+l

b P x dx + f

ja+l
a

b p h dx

=O

e da questa, sostituendo a p la sua espressione in funzione di x si ottiene il


'
valore della costante k,_ valore dato da:

(2.166)

La forza tangenziale
data in modulo da:

2[(a + 1) 3

6Cjb
-

a3)- 3 f h[( a+ 1)2 - a2)

FT, che esercita l'azione frenante sul nastro, ovviamente


FT

= f ja a+l b p dx = f b l k .(a + 2'l)

299

298

e sostituendo in questa la (2.166) si ottiene l'espressione desiderata della relazione esistente fra le intensit della coppia C applicata al pattino e della
relativa forza FT originata sul nastro.

8.4- Freni a tamburo (od a ceppi)

I freni a ceppi o a tamburo sono costituiti dall'accoppiamento di un


cilindro rotante (detto tamburo) e di uno o pi ceppi realizzati con materiale
di attrito, che vengono premuti sulla superficie laterale esterna od interna
del tamburo stesso in modo da creare cos un'azione frenante. Si consideri
ad esempio il freno a ceppo esterno della Fig. 221: quando all'estremo H
del ceppo viene applicata una forza S, questo ruota attorno al fulcro E fino a
portarsi a contatto del tamburo, ed in corrispondenza di ogni area infin~esima
di contatto sorgono di conseguenza sia una forza elementare normale d F N, sia
una forza elementare tangenziale dovuta all'attrito di intensit dFT = fdFN,
forza che si oppone al moto relativo tra ceppo e tamburo.

Fig. 221 - Schema di freno a ceppo esterno

Da un'accurata analisi della Fig. 221 nascono ora alcune semplici ma


importanti considerazioni. E' in primo luogo evidente che, qualunque sia la

distribuzione delle forze elementari normali iF N, la. loro risultante necessariamente costituita da una forza radiale che non fornisce alcun momento
rispetto al centro del tamburo, e ci perch ogni singola. [p N possiede direzione radiale. In secondo luogo appare altrettanto evidente che la. risultante
FT di tutte le forze tangenziali elementari dFT in modulo minore della.
somma. dei ~eduli, ossia. che IFTI < I:ldFTI, e che pertanto essa. dovr possedere un braccio rispetto ad O maggiore del raggio R del tamburo, in quanto
devono necessariamente essere uguali tra. loro i valori del momento risultante
rispetto al centro O delle forze tangenziali elementari, a.pplica.te tutte al raggio
R, e del momento rispetto ad O della. loro risultante.
In terzo luogo si constata. che per ogni area. elementare della. superficie
di contatto sussiste la. relazione dFT f dFN, e che perci la. stessa. relazione
deve sussistere tra. le forze risulta:nti; deve cio essere in definitiva.: FT = f FN.
In base a. queste tre semplici considerazioni si pu concludere pertanto
che, comunque siano distribuite le pressioni lungo la. superficie di contatto tra.
ceppo e tamburo, la. loro risultante F R deve passare per un punto I< esterno
al tamburo e che tale risulta.nte deve essere inclinata. di un angolo 9 = a.rctg f
rispetto alla. congiungente J( O. E' chiaro ora che per determinare il valore del
momento frenante realizzato da. un freno a. ceppi occorre in definitiva. conoscere
la posizione del punto J{ di applicazione della. forza. risultante rispetto al centro
di rotazione O del tamburo, e che questa. dipende unicamente dal modo con
cui si distribuiscono le pressioni nella. zona. di contatto tra. ceppo e tamburo.
Per ceppi che ruota.no attorno ad un punto fisso (freni a ceppi ad accostamento rigido) si pu per supporre, in prima. approssimazione, che la.
risultante delle forze scambiate fra ceppo e tamburo passi per il punto medi_o
della. loro zona. di contatto (Fig. 222-a.). Questa. approssimazione, utilizzabile
in tutti i casi in cui si voglia. valutare rapidamente la. coppia resistente fornita.
da. un freno, risulta. tanto pi valida quanto minore l'angolo di apertura. del
ceppo e quanto pi l'angolo compreso tra. la congiungente OE e la. mezzeria.
del ceppo si avvicina. a. 90. Tenuto conto ora. del fatto che le forze F',v e Fr
che il tamburo esercita. sul ceppo sono uguali ed opposte alle forze F N e F T
che il ceppo esercita. sul tamburo, si potr. scrivere la. seguente equazione di
equilibrio alla. rotazione del ceppo attorno al punto E:

S h - Fsb- FTa

da cui si otterr:

=0

301

300

hS
FN=-b+fa

ed il momento frenante, nell'ambito di questa approssimazione, sar in definitiva esprimibile mediante la:
fhrS
MJ =Frr= - - b+fa
a)

b)

Se si vuole ora procedere ad una pi precisa determinazione della posizione del punto di applicazione della risultante delle forze scambiate fra ceppo
e tamburo, occorre, come si gi avuto modo di osservare, ipotizzare una
certa distribuzione delle pressioni di contatto fra i due elementi. A tale scopo
si suppone generalm$:!nte valida l'ipotesi di Reye esposta nel paragrafo precedente; nel caso di freni a ceppi l'assunzione di tale ipotesi, essendo la velocit
relativa tra ceppo e tamburo costante in tutti i punti, equivale ad asserire che
la pressione risulta proporzionale in ogni punto al consumo (vedasi a questo
proposito la (2.165)), il quale a sua volta funzione del tipo di accostamento
realizzato tra le due superfici dell'accoppiamento.
Si consideri allora nuovamente un freno ad accostamento rigido (Fig.
223): il moto del ceppo or costituito da una rotazione attorno al punto E;
questa rotazione pu al solito essere considerata come somma di una rotazione
attorno al centro O del tamburo (che non fornisce alcun contributo al consumo
del materiale costituente il ceppo) e di una traslazione nella direzione perpendicolarE ad OE, che viene di conseguenza usualmente definita come direzione
di accostamento.

Fig. 222 - Schema di freno a ceppo esterno; a) ad accostamento rigido; b) ad accostamento libero

Per un freno in cui il ceppo ruoti attorno ad un punto mobile (freno a


ceppo ad accostamento libero, Fig. 222-b ), invece evidente che la forza che
l'asta !{E esercita sul ceppo deve passare per la cerniera H e poich questa
normalmente molto vicina alla superficie del tamburo, si pu addirittura
supporre che la risultante delle forze scambiate tra ceppo e tamburo passi
proprio per il punto H. In base a questa assunzione si quindi in grado,
ripetendo passo a passo il procedimento visto per il freno ad accostamento
rigido, di determinare in prima. approssimazione l'entit del momento frenante
in funzione dell'intensit S della forza di comando.

Fig. 223 - Direzione di accostamento e consumo in un freno a ceppi ad accostamento


rigido

Il valore del consumo 8, dovuto alla traslazione del ceppo lungo la di-

303

302

rezione di accostamento e realizzato in un certo intervallo di tempo in corrispondenza di un punto generico della superficie. di contatto individuato da un
angolo t? rispetto alla mezzeria del ceppo, dato allora da:
6 = 60 cos(t?- !3)

dove con !3 si indica l'angolo compreso tra la direzione d'accostamento e la


mezzeria del ceppo e con 60 si indica il consumo massimo, ossia il consumo
che si verificato nello stesso intervallo di tempo nel punto intersezione della
retta di accostamento con il tamburo. Poich in questo caso la pressione
proporzionale al consumo, si avr in definitiva una distribuzione delle pressioni
tra ceppo e tamburo definita da una legge del tipo:
p= Po

cos(t?- !3)

con t? variabile da -o:/2 a +o:/2, se co:n o: si indica l 'angolo di apertura del


ceppo.
Nota la distribuzione delle pressioni lungo la superficie di contatto sar
di conseguenza nota la distribuzione delle azioni tangenziali di attrito e si
potr pertanto procedere al calcolo sia dell'intensit della forza risultante F
scambiata tra ceppo e tamburo, sia della. posizione del suo punto di app~
zione M. -~i~~olito ,8 -~-~.ngol~.isG-c-J.!isPfalla mei;eria
~~:.~IP~C.cos~_.am~o~_IJ'!-;J&s>loJ.m:o~nito he- definis-ce, setp.J>re nspetta:al!~~~~~L$gp__po_,_la dir~_zione ..NO_,risJtl!g,~J-e..P:~1~J.orze
elemell~<:ri_norm~genti suU~bu~? (Fig. 224),;tl:ang()!~~Is.ce...la
~un punto. gen~ri_~ risp:!to alla me~~~_:~a -~~ ~-~J?P.Q,_,o: l'angolo
d1 a~.el-C~E:e:::~Jl~. Poich la direzione MO
definisce la direzione della forza normale Fn complessivamente scambiata tra
ceppo e tam~ro,~~somma delle componenti delle singole azioni
elementari d F n in direzione normale alla MO deve essere nulla se con a si
~itainburo, tale condizione espressa dalla:'

+a/2

a Po cos(t?- P),sin(t?- i)7' d t?= O

-n/2

e risolvendo l'integrale sopra scritto si ottiene in definitiva la relazione:


---=--~c=-=--.::C.~~-

(2.167)

s~n o:-\.
o:+smo:

tg;-= tgf]o:~

~--=--------~

Fig. 224 - Determinazione della forza scambiata fra ceppo e tamburo


relazione che consente di determinare la direzione della forza normale scam-

__bata~!'~..l~PPsl e t~~b~r~-~na ;olta ;;t_e Ja direz~-;d~~;;;~~'t"t.~~~Pan

. g<;>~-=~~BSTJ~~4~L...cep.P-:9-:;:; -If""ffi(;ftfl(j--p:~a :rFia normale risultante-


fornito invece dalla somma delle componenti di tutte le forze normali secondo
la direzione MO, per cui si ha in definitiva:
Fn =

+n/2

apo cos( t? -

/3) cos( t? - i )rdt? =

-n/2

(2.168)

~ap 0 r[(o: +sin o:) cos /3 cosi+ (o:- sin o:) sin/3 sin i]

Volendo ora definire la posizione del punto M sulla semiretta uscente da


O ed i~ata dell'angolo ;y rispetto alla niezzeria.del ceppo, baster"riCoraar~
~-il mom~elle forze elem~iliBia""n-ginzT;ili~ risptt~ .:a'dO"lve'""es~e:te
.waf ~afmome'rlto~:.~~fupf" rispetto-d o, _deil~_lQ.r9 forza ris~l_!~t-;;ij~e
fQ.~di?i9ne....riene espressa a<ll.a.J.iticamente medlant~Ja: -. -- . - -
.
.

+n/2

-n/2

fapo cos(t?- f])r 2 dt? = 2fapor 2 sin ~ cos /3 = Ft OM

= f FnOM

305

304
Da quest'ultima relazione e dalle (2.167) e (2.168) si ricava in definitiva
per OM l'espressione:

Analizz.ando ora tale relazione si pu osservare che, una volta fissati il


raggio del tamburo_r_e l'angolo di apertura del ce:~mo a-,jl punto M per cui
passa la risultante delle forze scambiate tra ceppo e tamburo si muove, al
variare della direzione di accostamento, e quindi degli angoli j3 e -y, lungo una
circonferenza r di diametro:
------

- ----"""
.

(2.169)

. b = 4r sin(a/2)\

"----

a- + sin a-/

~-----._____..,..

Questa propriet, caratteristica dei freni a tamburo, stata evidenziata


per la prima volta da A. Romiti, per cui la circonferenza r avente diametro
definito dalla (2.169) viene usualmente denominata circonferenza di Romiti.
~~_risultante Fr delle forze scambiate fra ceppo e tamburo passa dunque
per il punto M ed inclinata di un angoio i-~ispetto all~..Ql\{ 1~sh!ar9_he, una
vorta-dfirutalageometria"del.freno, i(puiit~- 1.1 univoc~mente determinat~;
ci nonostante la risultante Fr pu essere i;;:~iinata dell'angol~ r.p da na parte
o dali 'altra rispetto alla direzioieradiaeo.M a :~ecgnd~ .9,_el Y~_<?. di rotazione.
del t~mb~ro, in qunto hdiza che"il ceppo esercita sul tamburo d~~~ opp-~rsi
Cmoto dei tamburo relativo al ceppo.
Una volta determinata la direzione della forza risultante complessiva Fr,
si pu constatare (Fig. 224) he la sua retta d'azione interseca la circonfere~
_di RomJ!Un u.n punto..E.,_,d.e~~t~di--&~;i",- e ;i-p.u_~~sseryariiUQl1e he
fiiig:~Jo_d:M&_p_g,J:u cp, ]lg!l~e...all'angolo co:mpx~s.o__tra~a_~_nmte
Jn=O~i.i:confer.enz.a_cli_Romiti
significa in definitiva che, a parit
di coefficiente di attrito esistente tra i materiali costituenti le superfici del
ceppo e del tamburo ed a parit di angolo di apertura del ceppo, la posizione
del punto R costante e non varia al variare della direzione d'accostamento.
Solo se si inverte il verso di rotazione del tamburo il punto di Romiti si sposta
lungo la circonferenza r, e precisamente assume una posizione simmetrica alla
precedente rispetto alla mezzeria del ceppo (pu:nto R' nella Fig. 224 ).
Definita cos nel modo pi completo possibile la forza scambiata tra
ceppo e tamburo (sia in direzione. sia in modulo, sia come punto di applicazione) si in grado di ricavare il momento frenante che questa realizza.
opportuno ricordare per che il procedimento ora esposto"procedimento pi

ci

raffinato rispetto a quello di prima approssimazione visto in precedenza, mantiene la sua validit. solo nell'ambito della validit. dell'ipotesi di Reye, sulla
quale si basa per quanto concerne la determinazione delle pressioni di contatto
tra ceppo e tamburo; ove la validit. dell'ipotesi di Reye venisse meno, anche
i risultati qui esposti. necessiterebbero di ulteriori ritocchi ed affinamenti.

8.5 - Tipi di freni a tamburo


Nelle applicazioni pratiche si possono riscontrare sostanzialmente quattro tipi di freni a tamburo: il ceppo ad ess_9 acc()ppiato ~ infatti essere
interno od esterno ed il suo accostamento _p_u essere di tipo rigido o libero.
I due casi di freni a ceppo ad accostamento rlgido-;;nc;-ra,ppresentati nella
Fig. 225: p~_en.tramhi risuLta_nQ!a la direzione di accostamento (normale ad
OE) definit~-d~angol9_; in base alla (2.167)- si pu pertanto determinare,
nell'un caso e nell'altro, il valore dell'angolo 'Y e quindi, mediante la (2.169),
la posizione del punto M; noto poi il valore del coefficiente di attrito, nota
di conseguenza la posizione del punto di Romiti Re la congiungente M con
R fornisce quindi la direzione della forza scambiata tra ceppo e tamburo; il
valore del momento frenante M1 pertanto dato da:

mentre il valore di Fr ricavabile, secondo quanto gi. esposto nel precedente


paragrafo, dalle equazioni di equilibrio del ceppo.
Anche i freni ad accostamento libero (Fig. 226) p~I\Q.eSs,er.e_es.~ni
9 interni: pur essendo in ambedue i casi incognita a priori la direzione di ac-

c=;;=stamento~_u.per_ ~sservare ~~fo~ licate~c.eppo...sLJ.Uilllanq


<i:lli..risultant_deU~. orze ch(lJ#mquro,tp::w~ica,_s,ulc~pY;'j~orza,.c ~ ~

l'asta t::;?-sme.tte..4l~pp,_at.tra~7rso la cerniera --f!~e che pe~ queste due


forze debbono essere uglial!ln direzi_9g_e e Il}~_d_ulo e possedere versi opposti.
Ne consegue dieTa' ri"sultante delle forze scamb~te fra ceppo e tamburo deve
necessariamente passare per la cerniera B; poich essa deve anche passare per
il punto di Romiti R, ovvio che ne resti automaticamente determinata la sua
direzione. L'intersezione della retta BR con la circonferenza di Romiti r individua poi il punto M che, unito al centro O, determina l'ampiezza dell'angolo
'Y e da questo, in base alla (2.167) si in grado di determinare il valore dell'angolo /3, ossia di individuare in definitiva la direzione di accostamento. Al

307

306

questi sono po~ti come illustrato nella f:ig. 227-a, a parit di forze S1 ed S2 , le
forze F\ ed F2 da loro scambiate con il tamburo sono diverse e di conseguenza
i due ceppi presentano una diversa azione frenante (a parit di forza S infatti
il ceppo di destra frena pi di quello di sinistra).

solito poi, imponendo l'equilibrio dell'asta EB, si pu determinare l'intensit


della forza Fn e da questa risalire al valore del momento frenante applicato (\l
tamburo.

a) .

b)

Fig. 225 - Freni a tamburo ad accostamento rigido:


a) ceppo esterno; h) ceppo interno
a)

b)
Fig. 227 - Freno a tamburo a due ceppi esterni

Fig. 226 - Freni a tamburo ad accostamento libero:


a) ceppo esterno; h) ceppo interno
Si verifica sovente nelle applicazioni pratiche, che un tamburo venga
frenato azionando contemporaneamente due ceppi uguali tra loro; se per

Per poter distinguere tra loro i due ceppi invalso l'uso di indicare
come ceppo avvolgente quello in cui un punto del tamburo si muove verso
la cerniera, e c~ceppo_s~e quello in cui -~-n- punto del tambur~- si
allontana dalla cerniera. In base a quanto sopra esposto resta allora evidente
che, a parit di forza di comando S agente sui due ceppi, quello svolgente
risulta, nel caso di ceppi esterni, pi efficiente di quello avvolgente, mentre
l'opposto si verifica nel caso di ceppi interni. Per ottenere una uguale azione
frenante sui due ceppi a parit di forza esterna applicata, si dovr pertanto
adottare una soluzione simile a quella della Fig. 227-b, in cui entrambi i ceppi
si trovano nelle medesime condizioni.
I freni a tamburo presentano talvolta la peculiare caratteristica di essere
autoavvolgenti; ci significa che, una volta che si sia realizzato il contatto tra
tamburo e ceppo, questo, per effetto delle forze che si originano sulla superficie
di contatto, tende a serrarsi sempre pi sul tamburo stesso.

309

308

dimensioni, un momento frenante uguale a quello relativo ai freni a tamburo;


il materiale di attrito che li costituisce deve pertanto essere in grado di sopportare pressioni maggiori di quelle insorgenti in un contatto ceppo-tamburo.
I freni a disco possono essere raggruppati in tre categorie differenti a
seconda del moto di accostamento che il pattino possiede nei confronti del
disco. Si possono ritrovare pertanto freni a disco di tipo:

Una tale situazione potrebbe ad esempio verificarsi nel freno schematizzato nella Fig. 225-b: se il valore del coefficiente di attrito fosse particolarmente alto ed il punto di Romiti fosse di conseguenza spostato verso sinistra,
la congiungente M con R andrebbe infatti ad intersecare la retta m esternamente al segmento OE, ed in tal caso la forza f: che il tamburo esercita sul
ceppo originei:e?be un momento rispetto al punto E tale da serrare il ceppo
sul tamburo. E evidente che un funzionamento del genere , a parte casi
eccezionali, quanto mai indesiderato, per cui occorre sempre assicurarsi che,
adottando una configurazione del freno sul tipo di quella ora indicata, i parametri geometrici ed il coefficiente di attrito siano tali da escludere il verificarsi
di una simile condizione.

a) ad accostamento rigido;
b) ad accostamento semilibero;
c) ad accostamento libero.

n tipo di freno a disco che trova pi frequenti applicazioni nella. tecnica


quello ad accostamento rigido, in cui il moto di accostamento del pattino
frenante consiste in una traslazione rigida in direzione perpendicolare alla superficie del disco (Fig. 229). Volendo calcolare il valore del momento frenante
realizzabile con freni di questo tipo in funzione della loro geometria e dell'intensit d~lla forza normale Fn applicata al pattino, va innanzi tutto osservato
che per essi, una volta superata la fase iniziale del funzionamento, il consumo \
del materiale di attrito in un certo intervallo di tempo si mantiene, in base \
alle considerazioni esposte nel 8.3 del presente capitolo, costante lungo tutta
la superficie di contatto.

8.6 - Freni a disco

I freni a disco sono costituiti dall'accoppiamento di un disco rotante,


solidale al sistema da frenare, e di un pattino rivestito di materiale di attrito
il contatto tra i due organi dell'accoppiamento pu essere esteso a tutta l~
superficie del disco, oppure solo ad una. sua parte, e viene realizzato premendo
su questa il pattino in una direzione ad essa. perpendicolare (Fig. 228).

Fig. 228 - Schema di freno a disco


Fig. 229 - Freno a disco ad accostamento rigido

.
l freni a disco, pur presentando svariati vantaggi rispetto agli altri tipi
d1 freno, e principalmente una maggiore costanza nell'azione frenante, una
minore sensibilit alla contaminazione (da acqua. o da olio) grazie ai valori
molto piccoli del gioco esistente tra le superfici di attrito ed il disco, ed una
ugual capacit frenante in entrambi i versi di rotazione, debbono tuttavia essere sottoposti ad una forza di comando pi intensa per originare, a parit di

Supponendo valida l'ipotesi di Reye si pertanto in grado di asserire


che il prodotto tra i valori della pressione di contatto e della velocit di strisciamento esistenti in ogni punto della superficie di contatto proporzionale,
nel caso di freni a disco ad accostamento rigido, al consumo unitario d5fdt e

_j_

11. JACAZIO-PIOMBO- La trasmissione del moto

310

quindi che:
(dfdt)
k
p= c---=wr
r

Siano ora r; ed r. i raggi interno ed esterno della superficie di contatto


(Fig. 229), a l'angolo di apertura ad essa r-elativo, A il valore della sua area e
'IJ ed r rispettivamente i valori della posizione angolare, riferita alla mezzeria
della superficie di contatto, e del raggio relativi ad un punto generico della
zona di contatto. Poich l'intensit della forza risultante di tutte le azioni di
pressione deve essere pari a quella Fn della forza normale agente sul pattino,
si avr ovviamente che:
(2.170)

Fn

r.

+o:/2

l 1
r,

prd1d'!J

-a:/2

311

I freni ad accostamento libero infine, posseggono, rispetto a quelli ad


accostamento semilibero, un grado di libert in pi. Essi sono infatti costituiti
da un pattino che viene premuto contro il disco con forze di uguale intensit F
originate da due cilindretti che nello schema della Fig. 230 b hanno tracce C 1
e C2 E' chiaro allora che in questo tipo di freno il pattino, oltre a traslare ed a
ruotare attorno all'asse y pu anche ruotare attorno all'asse :z:, perpendicolare
ad y.
a)

b)

---

= ka(re- r;)

ed il momento frenante complessivo, calcolato come somma dei singoli contributi delle azioni tangenziali di attrito agenti in ogni punto del contatto, sar
evidentemente dato da:

Sostituendo in quest'ultima equazione il valore di k ricavabile dalla (2.170) si


otterr in definitiva la relazione voluta:
(2.171)

mentre il valore della massima pressione riscontrabile nella zona di contatto


risulter espresso dalla:

Pmax

k
=- =
r;

Fn
w;( r - r;)

I freni a disco ad accostamento semilibero sono realizzati invece secondo


lo schema della Fig. 230 a: in essi il pattino incernierato all'estremo B
dell'ast: EB e viene premuto contro il disco applicando a quest'ultima una
coppia C. TI moto di accostamento quindi costituito da una traslazione pi
una rotazione.

Fig. 230- Freni a disco ad accostamento semilibero (a) e ad accostamento libero (b)
Poich questi tip! di freno a disco hanno pi gradi di libert la distribuzione di pressione nel freno pi complessa di quella per il freno ad accostamento rigido. Tuttavia, per il calcolo del momento frenante, possibile
utilizzare sempre la (2.171).

8. 7 - Freni a nastro

I freni a nastro sono costituiti da un nastro che porta del materiale di


attrito e da un tamburo solidale al sistema meccanico da frenare; ponendo in
tensione il nastro, questo si serra sul tamburo e, grazie alla presenza delle forze
di attrito che si sviluppano nella zona di contatto, lo sottopone ad un'azione
frenante.

312
J
l

313

per cui l'espressione dell.a coppia frenante realizzata da un accoppiamento sul


tipo di quello indicato in Fig. 231 vale in definitiva:

(2.172)

ad

c,= -F(eff3l)
2c

La distribuzione delle pressioni esistenti fra nastro e tamburo pu essere ricavata scrivendo un'equazione di equilibrio alla traslazione in direzione
radiale di un elemento inf.nitesimo di nastro (Fig. 232). Indicando con b la
larghezza del nastro si ha allora:
[T+ (T+ dT)]

l.

Fig. 231 - Freno a nastro semplice

dt9
2 = p b r d 1J

da cui, trascurando gli infinitesimi di ordine superiore, si ha:

T 2T
p=-=br
bd
La pressione massima si sviluppa pertanto l dove massima la tensione,
e vale:

D tipo pi semplice di freno a nastro schematizzato nella Fig. 231: in


esso n nastro avvolto sul tamburo per un angolo di ampiezza /3 ed n rapporto
tra le tensioni T1 e T2 vale, per il verso di rotazione indicato in figura, ed in
base alla (2.11 ):
TJ.

T2

= eff3

e di conseguenza la coppia frenante agente sul tamburo risulta espressa dalla:

~ove il valore della tensione

T2 dipende evidentemente dall'entit della forza

F applicata all'estremo della leva di comando; dall'equazione di equilibrio alla

rotazione della leva attorno al suo fulcro si ha infatti:


To = F~
c

Fig. 232 - Pressione agente su di un elemento infinitesimo di nastro

Con il freno a nastro semplice illustrato nella Fig. 231 per, l'azione
frenante si manifesta con intensit differente a seconda dei due possibili versi

314
315

di rotazione del tamburo. Se infatti il tamburo ha verso di rotazione antiorario


le tensioni T1 e T2 si presentano scambiate tra loro e la tensione massima sar
ora data da:
T1

Fa

c, =

= c-

2c(ef/3 +l).

e che essa mantiene' inalterato il suo valore per entrambi i versi di rotazione
del tamburo.

mentre la coppia frenante varr di conseguenza:


C1

pertanto si ricava, mediante alcune semplici considerazioni, che in tal caso la


coppia frenante vale:
Fad(ef/3- l)

Fad

=(T1- T2)-2 = -2cef/3


- ( e f 13 -1)
8.8 - Dissipazione dell'energia cinetica nei freni

e pertanto, a parit di forza T agente sulla leva, la coppia frenante agente sul
tamburo per un suo verso di rotazione antiorario risulta ef/3 volte minore di
quella sviluppata nel caso di verso di rotazione orario.

Come si gi avuto modo di osservare all'inizio del presente capitolo,


due sono i fattori principali di cui si deve tener conto nel calcolo di un freno, e
precisamente la massima coppia resistente che esso deve realizzare e la quantit di energia cinetica che esso deve dissipare ad ogni frenatura. Nei precedenti paragrafi si sono ampiamente esaminati i metodi atti a calcolare l'entit
della coppia resistente fornita dai vari tipi di freni; verr invece qui di seguito
analizzato, se pure a grandi linee, il secondo aspetto, ossia la. trasformazione
dell'energia. cinetica in calore e la successiva. dissipazione di quest'ultimo nell 'ambiente circostante.
Una. delle formule approssimate per il calcolo della temperatura. media.
Tm di equilibrio alla. quale si porta un freno durante il suo funzionamento
data. dalla:
(2.173)

Fig. 233 - Freno a nastro con ugual azione frenante per entrambi i versi di rotazione
del tamburo

Per ottenere una ugual azione frenante nei due versi di rotazione. occorre
modificare lo schema del freno a nastro prima. visto ed adottare il tipo. di freno
indicato nella Fig. 233. In esso le distanze dei punti di collegamento degli
estremi del nastro dal fulcro della leva di comando sono uguali tra loro e

Nt
"(
Nt )]
C(Tm- Tl) [ 3600 +l, o l- 3600

EN
=A

dove N rappresenta il numero di cicli di frenatura all'ora, E lq. quantit di


calore in kcal sviluppata. durante una. singola. frenatura, A la. superficie di
scambio termico in m 2 , t la. durata in secondi di ogni frenatura., T 1 la temperatura dell'ambiente e C un coefficiente di scambio termico medio funzione
del materiale costituente il tamburo od il disco e della loro velocit periferica
iniziale. Per un tamburo in ghisa od in acciaio il coefficiente C (espresso in
kcal/h m 20 C) varia in funzione della velocit periferica del tamburo stesso nel
modo indicato dal diagramma della Fig. 234.
Il calcolo della presumibile temperatura di equilibrio raggiungibile all'interno di un freno durante il suo funzionamento assume una notevole importanza in quanto le caratteristiche dei materiali che vengono a contatto

316

317

nell'aCcoppiamento variano al variare della temperatura; esister di conseguenza, per ogni possibile coppia di materiali costituenti il freno, una temperatura massima ammissibile di funzionamento, in quanto al di l di questa
si otterrebbero, per l'accoppiamento in esame, delle prestazioni troppo dissimili da quelle teoricamente previste e pertanto inaccettabili da un punto di
vista applicativo. I valori indicativi della massima temperatura e della massima pressione ammissibile per alcune coppie di materiali usate nei freni sono
riportati nella tabella IV.

nante, V la velocit di strisciamento e k un coefficiente che vale, mediamente,


8, 5 N 2 m per ferodo su acciaio con fun-zionamento intermittente.
cm s
TABELLA I.V - Caratteristiche dei materiali usati nei freni

Materiali di contatto

l - -~
~

15

10

/
5

l
5

15

10

20

25

V(m;s)
Fig. 234 - Coefficiente di scambio termico medio in un freno a tamburo

La Fig. 235 riporta l'andamento del coefficiente di aderenza fa e del coefficiente dj attrito f in funzione della pressione, della velocit di strisciamento
e della temperatura superficiale.
Un metodo approssimato seguito per verificare la capacit del freno di
assorbire una certa quantit di calore senza danneggiarsi consiste nel verificare
che sia soddisfatta la seguente relazione:

dove Ad l'area della superficie di scambio termico, fil coefficiente di attrito,


la pressione media, A1 l'area di contatto lungo la quale avvitene l'azione fre-

Massima
temperatura
ammissibile
(o C)

Massima
pressione
ammissibile
(N/cm 2 )

150
300
250
250
250

50..;- 90
100 ..;- 200
100 ..;- 150
100
150

O, 03 ..;-O, 05

250

100

o, 05 ..;-o, l

o, l ..;- o, 4

500

100

0,05 ..;-o, l

0,170,3

550

200

150
100
100
100

40 ..;- 60
10 ..;- 30
10
10 ..;- 30

bagnate

25

Coefficiente di attrit.o
per superfici

Bronzo su ghisa o acciaio


Ghisa su ghisa
Ghisa su acciaio
Acciaio duro su acciaio duro
Acciaio duro su acciaio duro
con rivestimento di cromo
Bronzo fosforoso su acciaio
duro con rivestimento di
cromo
Poi vere di metallo su ghisa
o acciaio
Polvere di metallo su acciaio
duro con rivestimento di
cromo
Legno su ghisa o <tcciaio
Cuoio su ghisa o acciaio
Sughero su ghisa o acciaio
Fibre vulcanizzate su ghisa
o acciaio
Ferodi su ghisa o acciaio
Grafite su acciaio
Plastiche fenoliche su ghisa
o acciaio

o, 05 ..;-o, 07
o, 05 ..;-o, 08
O, 06 ..;-O, 09
o, 05 ..;-o, 08
O, 03 ..;-O, 06

asciutte

0,15
0,23
0,42

o, 16 ..;-o, 20 o, 35 ..;-o, 65
o, 12 ..;-o, 15 O, 30 ..;-O, 50
o, 15 ..;-o, 25 o, 30 ..;-o, 50
...
o, 30 ..;-o, 50
o, 08 ..;-o, 20
o, 05 ..;-o, 10
o, 10 ..;-o, 15
-

O, 20 ..;-O, 60
0,25
0,25

150 ..;- 400


350 ..;- 550
150

50 ..;- 150
200 ..
70

In applicazioni in cui il freno sia sottoposto ad un funzionamento continuativo e di conseguenza la quantit di energia da esso dissipata nell'unit
di tempo assuma valori molto elevati, o tali comunque da portarlo ad una
temperatura di equilibrio inammissibile, si pu ricorrere ad un processo di
raffreddamento delle superfici dell'accoppiamento, cos come illustrato nella
Fig. 236 per il caso di un freno a dischi con circolazione di refrigerante.

319

318

la.l

0,25

0,20

0,2

'.

0,15

0,05

0,25

0,20

0,15

0,1 5

' ' la
-"-...
l

~10

a)

0,25

~l

L--

o"'-.

0,0

l
o

20 40 60 80 100

p (N/cm 2 )

12

0,05

16 20

0,25

0,2 5

0,25

0,20

0,20

0,1 5

0,15

l!r -r ~- .., .
~./.. -:'_/- .L -~

0,15
0,10

:-"'.: ~ ..).

'<;

0,05

"""'

40

b)

0,1

v~ [5:; ~ .:::,;:

0,05

80 120 160 200

p (N/cm 2 )

16

~lO

0,05

24 32 40

l
0,5

0,5

0,4

0,4

:::

0,3

0,1

- .z

~ ~ V--:

0,2

lZ~
"\
~ ~ ..._

p (N/cm

100 200 300 400 500

c)

0,3
0,2

~ ......

0,3

0,1

40 80 120 160 200


2

_:-..
0,2 ~

~ i:s:: ;::-<:;:: 0,1

o
4

12

V (mis)

-.:

t->-

T(OC)

0,5

la

" '

V (m/s)

laJ
0,4

V (m/s)

laJ
0,20

-v

0,10

In questo freno i ferodi a, solidali al disco collegato al sist~ma meccanico da


frenare, strisciano contro due dischi fissi di rame b, i quali vengono lambiti
dal :fluido refrigerante lungo la faccia opposta a quella a contatto dei ferodi.
n disco che porta i ferodi mobile assialmenteed il disco di rame di destra,
montato su di un supporto d'acciaio, si presenta anch'esso mobile in senso
assiale. In tal modo l'introduzione di aria in pressione nel tubo di neoprene h
provoca lo spostamento assiale dei vari dischi che vengono cos premuti uno
contro l'altro. Tra il tubo di neoprene ed il supporto di acciaio e posto un
elemento intermedio in fibra di vetro g che serve ad ottenere una distribuzione
la pi possibile uniforme della pressione.

16

20

-'

-.::.:: ~

!00 200 300 400 500

T(C)

Fig. 235 - Valori del coefficiente di attrito per: a) acciaio-acciaio, funzionamento lubrificato; b) acciaio-ferodo, funzionamento lubrificato; c) acciaio-ferodo,
funzionamento a secco.
Condizioni di riferimento: p= 100 Njcm 2 ; V= 5 mjs; T= 100 C

.!!.'

'
/l

Fig. 236 - Freno a dischi refrigerato. a) ferodi; b) dischi di rame; c) albero scanalato solidale al sistema rotante; d) anelli Seeger; c) supporti di acciaio; f)
molla di richiamo; g) disco di pressione in fibra di vetro; h) tubo attuatore in neoprene; i) passaggi per l'aria di raffreddamento; j) passaggi per
il refrigerante (Wichita Clutch Company)

____ --;::--_--

321

320
TI fatto che il materiale costituente i due dischi contro cui strisciano i
ferodi sia rame assicura una notevole capacit di trasmissione del calore dalla
superficie di attrito a quella lambita dal refrigerante; il freno viene inoltre
refrigerato sulla superficie esterna con l'ausilio di una opportuna circolazione
di aria ottenuta mediante i passaggi radiali i. Adottando tutti gli accorgimenti
sopra esposti, il freno riesce a dissipare potenza meccanica nella misura di 35
W per ogni cm 2 di superficie di attrito, mentre la portata di refrigerante
approssimativamente di 0,6 1/min per ogni kW di potenza meccanica dissipata
nel freno e la velocit periferica massima t.ra le superfici di attrito non supera
in genere i 30 m/s.

8.9 - Freni elettromagnetici

-,
7

.......~

mentali della SAE, risultati che forniscono, per quindici operazioni successive,
il rapporto tra il valore medio della forza di comando necessario per ottenere
l'arresto di un veicolo viaggiante alla velocit iniziale di 100 km/h, ed il valore
medio della forza corrispondente alla prima frenatura. Come si pu osservare
dal grafico della Fig. 237, il freno a disco, avente una maggiore capacit di
trasmissione del calore, presenta, a conferma di quanto in precedenza esposto,
un aumento di forza necessaria sul pedale minore di quello relativo ad un freno
a tamburo.

Per ottenere la dissipazione dell'energia cinetica di un sistema meccanico


si pu ricorrere, oltre che all'effetto derivante dalla presenza dell'attrito tra due
superfici in moto relativo, ad altri metodi, principalmente di natura elettrica
ed elettromagnetica; questi sono:

l 1\
,/ \

~ 3

::

1 ...,......... ~

/
3

./'

Numero di arresti

- freni a correnti parassite;

\/

- freni ad isteresi;
- freni a particelle magnetiche.

a)

11

13

15

Fig. 237 - Aumento dello sforzo medio sul pedale di un freno per autoveicolo in funzione del numero degli arresti successivi: a) freno a disco; b) freno a tamburo
Come si visto, una buona trasmissione del calore dal freno verso l'esterno, oltre che impedire l'eccessivo aumento di temperatura nel freno e
quindi il suo danneggiamento, serve a far s che il coefficiente di attrito fra i
materiali che strisciano si mantenga costante durante pi frenature successive.
A questo riguardo vengono qui riportati i risultati di una serie di prove speri-

I freni ad isteresi, usati in applicazioni di piccolissima potenza, sono


costituiti da uno sta.tore cilindrico fisso, che porta sulla sua superficie esterna
tanti poli magnetici l'uno di polarit opposta ali 'altro, e da un anello cilindrico
di materiale ferromagnetico, solidalmente collegato al sistema meccanico da
frenare, la cui superficie interna affacciata ai poli dello statore. Quando si
genera un campo magnetico, ogni punto dell'anello rotante incontra in istanti
successivi poli dello statore aventi, come si detto, polarit opposta ed i
fenomeni di isteresi che ne derivano creano di conseguenza una coppia frenante
agente sull'anello stesso. In tali freni la coppia resistente evidentemente
proporzionale all'intensit della corrente che attraversa gli avvolgimenti dello
statore, e questa propriet li rende particolarmente adatti ad applicazioni
speciali quali quelle riguardanti i dinamometri utilizzati per la misura di forze
di piccola intensit.
I freni a correnti parassite consistono essenzialmente di un rotore e di
uno statore coassiali privi di contatto diretto, e lo statore porta un avvolgimento percorso da corrente continua. La presenza del campo magnetico

323

322

dovuto al passaggio della corrente attraverso lo statore genera delle correnti


parassite nel rotore, che ne risulta di conseguenza frenato.
L'intensit della coppia frenante , in tali freni, proporzionale sia alla
velocit angolare relativa fra rotore e statore, sia all'intensit della corrente
che percorre l'avvolgimento e pertanto, poich a rotore fermo si ha ovviamente
coppia resistente nulla, i freni a correnti parassite vengono unicamente utilizzati per creare coppie resistenti al moto e non, ad esempio, per mantenere un
carico in condizioni statiche.
I vantaggi dei due tipi di freno ora descritti consistono principalmente
. nel non presentare superfici striscianti e nel possedere di conseguenza una vita
notevolmente maggiore di quella relativa ad altri tipi di freni.
I freni a particelle magnetiche sono invece costituiti da due dischi magnetici tra i quali interposta una miscela lubrificante contenente delle particelle
magnetiche. Variando la corrente di eccitazione dei due dischi magnetici, si varia di conseguenza il valore del coefficiente di attrito equivalente della miscela
contenente le particelle magnetiche, riuscendo cos a creare coppie resistenti di
intensit variabile da zero fino ad un massimo dipendente dall'intensit della
corrente eccitatrice e dalle dimensioni geometriche del freno.

8.10 - Freni a fluido

- pompe centrifughe
- pompe volumetriche.

Nelle pompe cntrifughe il fluido aspirato viene portato ad elevata velocit da parte di una girante opportunamente sagomata, di solito fornita di un
certo numero di palette, e successivamente, in un diffusore, l'energia cinetica
viene convertita in energia di pressione.

--i::::=:=:::::._..J

I freni a fluido sono dispositivi nei quali la coppia frenante viene fornita
da una pompa che, funzionando, fa circolare un fluido entro un impianto nel
quale viene dissipata quindi l'energia meccanica fornita all'asse della pompa.
Lo schema di base dell'impianto che costituisce un freno a fluido illustrato nella Fig. 238. La pompa collegata meccanicamente all'organo rotante
che deve essere frenato. La pompa, ruotando, fa circolare nell'impianto una
portata di fluido e, in funzione delle caratteristiche della pompa e del circuito
idraulico, si stabilisce alla mandata della pompa una pressione p1 Indicando
con po la pressione del fluido nel serbatoio (pressione di aspirazione della
pompa), con w la velocit angolare della pompa e con 77 il suo rendimento, la
coppia all'asse della pompa :

(2.174)

Le pompe impiegate nei freni a fluido _possono essere:

C= Q(pl- Po)
7]W

.Serbatoio

Fig. 238 - Freno a fluido: schema del circuito

Nelle pompe centrifughe la portata, la pressione e la velocit angolare


della pompa sono mutuamente dipendenti e sono legate tra loro da relazioni
rappresentate da curve caratteristiche del tipo rappresentato nella Fig. 239.
In questa figura sono anche riportate le curve pressione-portata che caratterizzano la resistenza idraulica del circuito al variare dell'area di passaggio
attraverso la valvola (Fig. 238). Al diminuire dell'area di passaggio la resistenza Rv aumenta ed aumenta la pressione richiesta a parit di portata.
Variando l'apertura della valvola quindi possibile ottenere un diverso
punto di funzionamento a parit di velocit angolare, e quindi una diversa
coppia all'asse della pompa.
Nelle pompe centrifughe la separazione fra le zone ad alta e a bassa

. 324

325

pressione ottenuta dal fluido stesso che viene pompato e non da elementi
meccanici, per cui possibile far ruotare la girante della pompa anche con la
mandata completamente chiusa. In questo caso il fluido ricircola nell'interno
della pompa stessa, mantenendo una differenza di pressione fra aspirazione e
mandata.
Pressione
differenziale
(p,- Po)

(2.175)

Q=

D.

-WTJv

271'

C= .D.(pl - Po)
211''1/m

dove: '1/v il rendimento volumetrico della pompa, inferiore a uno a causa dei
trafilamenti interni; '1/m il. rendimento meccanico della pompa, inferiore a uno
a causa degli attriti interni.
n rendimento globale della pompa dato dal prodotto 'T/v'T/m, infatti si
ha:
(2.176)

Caratteristiche della pompa

TJ

Q(pJ - Po)
Cw

= 7]v'1/m

A causa dell'altissimo rendimento volumetrico, le pompe volumetriche


hanno caratteristiche pressione-portata quasi verticali, come riportato nella
Fig. 240.

Portata Q

Fig. 239 - Caratteristiche di un freno fluido con pompa centrifuga

Pressione
differenziale

Nelle pompe volumetriche il fluido viene trasportato in volumi determinati dalla zona di aspirazione {bassa pressione) a quella di mandata (alta
pressione). Nelle pompe volumetriche i trafilamenti interni sono molto piccoli, per cui la portata quasi indipendente dalla pressione, ma funzione
quasi esclusivamente della velocit angolare, nonch delle caratteristiche della.
pompa. A ca.u.sa. dei minimi trafilamenti interni il rendimento delle pompe
volumetriche sempre alto (mediamente O, 9), contrariamente a quello delle
pompe centrifughe che, a seconda delle condizioni di esercizio, varia tipicamente tra O, 5 e O, 7.
Per le pompe volumetriche si definisce cilindrata il volume teorico di
fluido trasportato dalla aspirazione alla mandata per ogni giro della pompa.
Indicando con D. la cilindrata, con p 0 la pressione di aspirazione, con p1
quella di mandata, con Q la portata, con w la velocit angolare della pompa,
con C la coppia richiesta all'asse della. pompa, si hanno le seguenti relazioni:

P1 -Po

Caratteristiche della pompa

Portata Q

Fig. 240 - Caratteristiche di un freno a fluido con pompa volumetrica

327

326

n punto di intersezione fra la caratteristica della pompa e quella del circuito determina il punto di funzionamento, e quindi la pressione differenziale
(p1 - po), nota la quale si pu calcolare la coppia all'asse della pompa in base
alla seconda delle (2.175).
I freni a fluido presentano, rispetto ai freni ad attrito, due incovenienti:
sono pi ingombranti e costosi, e non sono in grado di esercitare una coppia frenante in condizioni statiche. Ci poich l'azione frenante dovuta alla
resistenza al moto di un fluido in un circuito, resistenza che viene quindi a
cessare se la pompa ferma. Un importante vantaggio dei freni a fluido ,
invece, quello di poter regolare con precisione la coppia frenante, operazione
che risulta invece difficoltosa nei freni ad attrito. Per tale ragione i freni a
fluido sono sovente impiegati nei banchi di prova motori, dove occorre generare una coppia frenante regolabile con precisione e mantenibile costante nel
tempo. Inoltre, nei freni a fluido l'energia meccanica trasformata in calore
pu essere facilmente trasmessa all'ambiente esterno facendo passare il fluido
caldo attraverso uno scambiatore di calore.

rotazioni in verso orario, ma non in verso antiorario.


Ad una seconda categoria di arresti appartengono gli arresti ad attrito,
un esempio dei quali riportato nella Fig. 242. n esso la ruota S ed il
nottolino N vengonQ a contatto nel punto H: se S ruota in verso orario, si
osserva che la coppia resistente alla quale essa soggetta molto piccola, in
quanto la forza tangenziale di attrito che si origina al contatto ruota-nottolino
dipende unicamente dall'intensit della piccola forza che la molla M trasmette
al nottolino stesso in modo da mantenerlo leggermente premuto contro la
ruota. Se invece S ruota in verso antiorario, la forza tangenziale di attrito
Fr d luogo ad un momento rispetto al centro del perno del nottolino che
origina un aumento della componente normale della forza scambiata in H ed
un conseguente aumento della forza tangenziale Fr stessa. Si verifica cio un
fenomeno di impuntamento che porta in definitva all'arresto della ruota S.

8.11 - Arresti
Gli arresti altro non sono che particolari meccanismi ai quali viene affidata la funzione di impedire il moto tra due elementi prescindendo all'intervento di un comando esterno. Gli arresti sono
quindi costituiti in prevalenza da meccanismi di
non ritorno, ossia da quei meccanismi che consentono il moto in un dato verso di rotazione,
ma non nel verso opposto.
Una prima categoria di arresti costituita dagli arpionismi (Fig. 241), gi esaminati
nel capitolo riguardante i meccanismi nella loro
qualit di organi atti a trasformare un moto continuo in un moto intermittente, e che qui invece
sono semplicemente costituiti da una ruota dentata, solidale al sistema in moto, e da un nottolino, incernierato nel punto A, che consente
Fig. 241- Arpionismo

Fig. 242- Arresto ad attrito

Una terza categoria di arresti quella costituita dagli arresti a molla


nei quali una molla M viene montata con una certa interferenza su di un albero :fisso (Fig. 243), mentre l'estremit H della molla stessa viene accoppiata
al sistema meccanico che deYe essere arrestato. Se l'estremo H viene mosso

329

328

nel senso indicato dalla freccia continua, chiare che l'interferenza iniziale
della molla viene ad essere interamente recuperata e che- tutto il sistema pu
liberamente ruotare attorno al proprio asse presentando unicamente un piccolissimo fenomeno di attrito. Se invece l'estremo H della molla mosso nel
verso indicato dalla freccia tratteggiata, evidente che la molla viene ulteriormente serrata sull'albero e che il punto H si sposta solo di una distanza molto
piccola, corrispondente all'allungamento elastico della molla, provocando di
conseguenza l'arresto del sistema ad esso collegato.
Se si indicano con E il modulo di elasticit del materiale costituente la
molla, con J il momento di inerzia geometrico della sezione della molla, con r
il suo raggio medio e con ~ro l'interferenza iniziale, il momento Mo che deve
essere applicato per ricondurre l'interferenza a zero, nel caso in cui H si muova
nel verso indicato dalla freccia continua., dato da:
(2.177)

e questo perci il valore del momento resistente incontrato dal sistema durante la rotazione della molla sull'albero.

Fig. 243 - Schema di arresto a molla

Quando invece il sistema tende a spostare H secondo la freccia tratteggiata (Fig. 243), la molla si comporta come un freno a nastro capace di fornire
una coppia frenante massima pari a:
(2.178)

dove M 0 dato dalla (2.177), n il numero di spire della molla ed f il coefficiente di attrito.
Questo tipo di arresto si comporta quindi come tale solo a patto che
non lo si sottoponga ad una coppia di intensit 'maggiore di quella data dalla
(2.178). Oltre quest6 limite infatti la molla, pur continuando a fornire una
coppia resistente di intensit pari a Mmax, striscerebbe sull'albero e l'accoppiamento perderebbe quindi la peculiare caratteristica degli arresti.

9. INNESTI

9.1 - Caratteristiche degli innesti

Gli innesti costituiscono una particolare categoria di accoppiamenti


aventi, come i giunti, lo scopo di trasmettere il moto rotatorio tra due alberi coassiali, ma dotati, al contrario di questi, della possibilit di attivar.e o
disattivare, mediante un opportuno comando, il collegamento da essi realizzato.
opportuno osservare, prima di passare ad una pi dettagliata descrizione dei vari tipi di innesti, che essi presentano la caratteristica di dissipare
sempre, durante la fase del loro inserimento tra due alberi appartenenti ad un
sistema meccanico, una certa quota parte dell'energia meccanica del sistema
stesso, e che l'entit dell'energia dissipata dipende, in generale, sia dalle coppie
agenti sul sistema, sia dalla durata dell'operazione di innesto. Con riferimento
alla Fig. 244, si supponga infatti che l'elemento l dell'innesto sia collegato all'albero motore, che l'elemento 2 sia collegato all'albero condotto e che siano
inoltre w 10 ed w20 i valori delle velocit angolari iniziali dei due elementi (ossia prima dell'inizio dell'operazione d'innesto), WJ il valore comune della loro
velocit angolare al termine dell'operazione stessa, Cm la coppia motrice, Gr
quella resistente, h ed ! 2 i momenti di inerzia delle masse rotanti solidali ai
due alberi e 19 1 e 19 2 i valori generici degli angoli descritti dagli alberi stessi.
La quantit di lavoro .c1 dissipata durante l'operazione di innesto pu
allora essere calcolata applicando il teorema dell'energia cinetica; in base ad
esso si ha infatti:

ed integrando questa operazione per tutta la durata. r dell'operazione di in-

333
332

da cui si ricava in definitiva:

nesto si .ottiene:

c,= ~[Itwi 0 + I2w~o- (ft + I2)w}]+


(2.179)

Cm wl dt -

Crw2dt

ed il lavoro perso durante l'operazione di innesto assume di conseguenza, in


questo caso particolare, l'espressione data da:
(2.180)

9.2 - Innesti a denti

Fig. 244 - Innesto tra due alberi

Quale caso particolare di quello generale ora visto pu considerarsi


quello in cui le coppie agenti sui due alberi siano entramb: n~lle, oppure
Ilo in cui il tempo di innesto sia talmente breve da consenttre dt trascurare
d'
que
li integrali a secondo membro della (2.179). In entrambe queste con JZJOlll
~ lavoro perso durante l'operazione di innesto dato, sempre in base alla
(2.179), da:

c, = ~ [ftwr0 + I2w~o- (It + I2)w]J


mentre la velocit angolare finale del sistema complessivo facilmente ricavabile scrivendo una equazione di equilibrio alla rotazione del sistema stesso,
equazione data: da:
Cm+Cr

dff
= dt

Integrando quest'ultima equazione si avr infatti, nell'ambito delle ipotesi prima esposte:
H;niz

ossia:

= Hfin

Gli innesti a denti rappresentano il tipo pi semplice di innesti realizzato nelle applicazioni pratiche. Rispetto agli innesti ad attrito, ai quali verr
dedicato il paragrafo successivo, essi si presentano, a parit di coppia trasmessa, notevolmente pi piccoli, leggeri ed economici; essi inoltre non richiedono, al contrario di quelli ad attrito, una regolazione periodica per ovviare
al consumo, e la frequenza con la quale possono essere inseriti e disinseriti
estremamente elevata in quanto, essendo i tempi di innesto brevissimi il lavoro
dissipato durante ogni operazione di innesto dato dalla (2.180) e si presenta
pertanto sensibilmente minore di quello relativo ad un innesto ad attrito di
pari caratteristiche.
Gli innesti a denti presentano per diversi inconvenienti, e tra questi
due sono i principali:
a) essi possono essere inseriti solo a velocit molto basse, in quanto in caso
contrario sorgerebbero durante l'operazione di innesto urti di intensita
inaccettabili;
b) essi non possono in genere essere inseriti a velocit nulla; l 'operazione
di innesto infatti deve essere quasi sempre effettuata in presenza di una
piccola velocit angolare relativa tra i due elementi dell'accoppiamento.
Gli innesti a denti si suddividono essenzialmente in tre tipi differenti;
esistono infatti innesti a denti rettangolari, a denti a spirale e a denti trape::oidali.
Gli innesti a denti rettangolari non sono molto diffusi: essi sono utilizzati
generalmente solo per applicazioni a bassa velocit (meno di 100 giri/min) e

334

per essi l'operazione di innesto avviene di norma in un campo di velocit


compreso tra i 2 ed i lO giri/min.
Gli innesti a denti a spirale vengono usati per velocit maggiori di quelle
relative al caso precedente e l'operazione di innesto pu avvenire per essi a
velocit comprese fra i 2 ed i 150 giri/min.
Gli innesti a denti trapezoidali, infine, sono realizzati in genere mediante
molti denti p~sti sulla faccia di due dischi contrapposti, dischi che vengono di
solito inseriti tra loro utilizzando un comando elettromagnetico, e l'operazione
di innesto pu svolgersi, a seconda dei tipi, a velocit comprese tra i 60 ed i
300 giri/min.

335

alberi al termine dello slittamento e la quantit di lavoro dissipato dipendono


sia dal valore della coppia trasmessa per attrito dalla frizione, sia dai valori
delle coppie esterne agenti sui due alberi, da quelli dei loro momenti di inerzia e da quelli delle loro velocit. angolari iniziali. Con riferimento alla Fig. 245

9.3 - Innesti ad attrito

Gli innesti ad attrito, detti comunemente frizioni, costituiscono il tipo


di innesti pi comunemente utilizzato in campo meccanico. Essi sfruttano il
fenomeno dell'attrito esistente tra due superfici a contatto per poter trasmettere una certa coppia fra due elementi rotanti a queste collegati, e possono
pertanto essere utilizzati per operazioni di innesto che debbano avvenire anche
ad alta velocit. ed in presenza di carichi notevoli.
Quando infatti i due elementi della frizione aventi diversa velocit angolar~gono-poFtati-ar-conta@_,_ si ongma nell'accoppiamento una coppia di
a~.a della forza con cui i due elementi vengono premuti l'uJ:!o
contro l'altro, sia della geometria della frizione stessa, sia infine del valore del

c~ffi:cfente dC~ttrito relati~-~l.la_f.QPQia-~-~ateriajT;_--;;-~~V:Osser

vato che, se quest'liftimo costante o comunque diro~o variabile in modo da


poter essere sostituito con buona approssimazione dal suo valor medio, anche
la coppia trasmessa per attrito tra le due superfici della frizione si mantiene
costante.
Una volta che i due elementi della frizione hanno raggiunto la stessa
velocit angolare, si passa da una fase di trasmissione della coppia per attrito dovuto allo strisciamento ad una fase di trasmissione della coppia per
aderenza fra le due superfici, ed ovvio che in queste condizioni la coppia
trasmessa attraverso la frizione pu assumere valori qualsiasi purch questi si
mantengano entro il limite massimo stabilito dalle condizioni di aderenza.
La durata dell'operazione di innesto, la velocit angolare comune ai due

:~h'::~:::,~:~.:
Fig. 245 - IimSto. ad attrito

si considerino infatti i due elementi d~ll~:.frlzione collegati rispettivamente


l'uno all'albero motore, avente velocit inizi~e w 0 , e l'altro all'albero condotto,
inizialmente fermo, e si supponga ad esempio che il motore fornisca una coppia
di intensit costante Cm e che l'utilizzazione origini una coppia resistente di
intensit Cr proporzionale al quadrato della sua velocit angolare. Se si indica
con c, l'intensit della coppia trasmessa per attrito tra i due elementi della
frizione, si allora in grado di scrivere le equazioni di equilibrio dell'albero
motore e di quello condotto, equazioni date rispettivamente dalle:

Cm

-c, - I1 d~1

=O

(2.181)
{

Cf- Cr

-I~ dw2
dt

=O

Poich nell'ambito delle ipotesi assunte Cm e c1 sono costanti, si ricava


dall'integrazione della prima delle (2.181) che la velocit angolare dell'albero
motore, inizialmente pari a w0 , varia durante l'operazione di innesto in fun-

336

337
L'andamento nel tempo delle velocit. angolari dell'albero motore e dell'albero condotto, per il caso di innesto ad attrito precedentemente esaminato
qualitativamente riportato nel grafico della Fig. 246 in cui le curve l, 2 e 3
rappresentano rispettivamente le (2.182), (2.183) e (2.184).

zione del tempo t secondo la:


(2.182)
Dalla seconda delle (2.181), tenendo conto del fatto che Cr = Co+ kwi
e che w2 inizialmente nulla, si ottiene, dopo alcune semplificazioni, l'espressione. che fornisce, in funzione del tempo t, la legge di variazione della velocit.
angolare w 2 dell'albero condotto. Si avr. pertanto:

(2.183)
Uguagliando tra loro la (2.182) e la (2.183) si ricava una equazione nella variabile t che, una volta risolta., fornisce il valore del tempo t relativo all'istante
terminale della fase di innesto, ed ovvio che la corrispondente velocit. angolare w* comune ai due mer,nbri dell'accoppiamento quindi ottenibile ponendo
t= t indifferentemente nella. (2.182) o nella. (2.183).
Una volta terminata la fase di slittamento, gli alberi motore e condotto
posseggono, come si visto, la stessa velocit. e l'equazione del moto del
sistema in esame, per istanti corrispondenti a valori di t maggiori di t,
data da:
~

dw

Cm -Co - kw- - (11 + /2) dt

=O

Procedendo all'integrazione di questa equazione differenziale, e ricordando che per t = t* si ha w = w*, si in grado di ricavare, dopo alcuni
passaggi, che la velocit angolare ~ del sistema complessivo ad un istante t
generico successivo a quello corrispondente al termine della fase di innesto
data da:
(2.184)

l (l
- a (1

w-

+ aw* )e(t-t.)/T - (l - aw)


+ aw)e(t-t)jT- (1- aw)

dove:

a-

= 2jk(Cm- Co)

Fig. 246 - Velocit degli alberi motore e condotto in un innesto ad attrito

La quantit di lavoro dissipata durante l'operazione di innesto della


frizione calcolabile sia mediante la (2.179) sia osservando che, essendo in
questo caso la fonte della dissipazione dovuta unicamente all'effetto dell'attrito
esistente tra gli elementi della frizione stessa, essa vale di conseguenza:

(2.185)

dove al posto di w 1 ed w 2 debbono ssere ovviamente sostituite le rispettive


espressioni fornite dalla (2.182) e (2.183).
Va infine osservato che si finora ipotizza.to di conoscere il valore c1
della coppia trasmessa dall'innesto grazie alla presenza dell'attrito esistente
tra le due superfici a contatto dell'accoppiamento, ma che d'altro canto non
se ne mai fornita una sua espressione esplicita. Nei paragrafi successivi verranno pertanto esaminati diversi tipi di frizioni in modo da poter ricavare per
ciascuno di essi il rispettivo valore della coppia c, trasmessa durante la fase

339

338

di innesto in funzione e delle caratteristiche geometriche dell'accoppiamento


e delle forze ad esso applicate.

9.4 - Frizioni radiali

Dohmen-Leblahc (Fig. 247): esso infatti costituito da quattro pattini P,


solidali all'albero motore, che possono scorrere in direzione radiale; spostando
il collare Gin direzione assiale la molla M viene compressa ed esercita di conseguenza una forza in direzione radiale che serra i quattro pattini dell'innesto
nelle corrispondenti gole ricavate nella campami. E.

Nelle frizioni radiali i due elementi costituenti la frizione vengono portati


a contatto, durante l'operazione di innesto, mediante uno spostamento relativo
tra le rispettive superfici di attrito in direzione radiale. Le frizioni radiali
possono essere a tamburo, ed in tal caso esse hanno un aspetto identico a quello
dei freni a tamburo, oppure a gole, ed in questo caso esse sono costituite da pi
pattini collegati ad un albero ed aventi tutti una superficie esterna sagomata
in modo tale da poter essere inseriti, durante il funzionamento, entro una o
pi gole corrispondenti ricavate sulla superficie interna di un cilindro solidale
all'altro albero dell'accoppiamento.

Fig. 248- Forze agenti sui pattini dell'innesto Dohmen-Leblanc


Si consideri ora uno dei pattini costituenti l'innesto (Fig. 248), e si
supponga che la forza radiale S con la quale viene premuto ogni pattino sia
egualmente suddivisa fra le varie gole che lo costituiscono. Se si indicano con
N la forza agente in direzione radiale in ogni gola e con a l'angolo di apertura
della gola stessa, si ha ovviamente che l'intensit della forza N' scambiata fra
le singole superfici a contatto data da:
Fig. 247- Innesto Dohmen-Leblanc
L'applicazione di questo tipo di frizioni limitato a soluzioni tecniche
implicanti basse velocit di rotazione degli alberi del sistema, in quanto, per
valori elevati della loro velocit angolare le forze centrifughe agenti sui pattini diverrebbero di intensit tale da provocare fenomeni non trascurabili di
disturbo durante l'operazione di disinnesto.
Un tipico esempio di innesto radiale a gole riscontrabile nell'innesto

N= 2N'sin ~
2

Ft

mentre la forza tangenziale di attrito


F

ha un'intensit data da:


!N

= 21 N = sin(a-/2)

dove j3 rappresenta al solito il valore del coefficiente di attrito relativo alla


coppia di materiali costituenti le superfici a contatto dell'innesto.

341

340

Se S l'intensit della forza radiale agente su ciascun pattino (va osservato che S ed N sono uguali solo nel caso che il pattino sia costituito da
un'unica gola), n il numero dei pattini e d il loro diametro medio, l'intensit
della coppia totale c1 trasmessa per attrito dalla frizione risulta in definitva
espressa dalla:
C

accostamento rigido; l'unica differenza consiste nel fatto che nel caso della
frizione la superficie di attrito si estende per l'intero giro e che, sempre nel
caso della frizione, entrambi i dischi costituenti l'accoppiamento sono contemporaneamente in rotazione durante la fase di innesto.

njSd
2sin(a/2)

_ _ _ ,.,.,oferro
Pacco lamellare

mentre la pressione p esistente in un punto generico dell'accoppiamento, nell'ipotesi che essa si distribuisca sulle superfici di contatto, vale:
2N'
b{3d

p=-=

IO

Corpo es1ernu

Corpo tnterno porta-bobina

Bussola

Ghtera O regotazone

Lamelle esterne

Lamelle tnterne

hPO S in olio

acciaio/bronzo
sintenzzato

S
ibd{3 sin( a /2)

dove {3 rappresenta l'angolo di apertura del pattino ed i il numero di gole


presenti in ogni pattino.

Dsco distanziatore

10

Anello collettore

11

Anello tsolante

12

Dtsco sotante

14

Bobtna

9.5 - Frizioni assiali

Le frizioni assiali sono costituite da due o pi dischi che vengono collegati l'uno all'altro in direzione assiale. Nella loro realizzazione pi semplice
esse sono schematizzabili mediante due soli dischi, solidali a.i due alberi da
collegare, uno dei quali porta del materiale di attrito simile a quello utilizzato
nei freni; serrando l'uno contro l'altro i due dischi con l'ausilio di una forza assiale N si ottiene, grazie alla presenza dell'attrito esistente fra le due superfici
a contatto, una coppia di intensit c1 (Fig. 249) all'interno della frizione.

Pacco lamellare

15

Perno d gutda

11

Nollohno d pressone

17

Molla di distacco

18

Lamella anterna schermata

tipo T a secco
acciaio/textar

Fig. 250- Frizione assiale a dischi multipli con comando elettromagnetico (StrornagMarzorati, Milano)

Fig. 249 - Schema di frizione assiale semplice monodisco

Supponendo perci valida l'ipotesi di Reye sul consumo del materiale


per attrito, ed indicando con N il valore della forza assiale che preme le due
superfici di attrito, con fil valore del coefficiente di attrito relativo a.i materiali
a contatto e con r; ed re i raggi interno ed esterno della zona di contatto, si
ha dalla (2.171) che la coppia trasmessa per attrito vale in definitiva:

Una frizione assiale semplice perci identica ad un freno a disco ad


l

12.

JACAZIO~PIO:\IBO-

La trasmissione del moto

343

342
mentre l'intensit della coppia trasmessa per attrito, se
' data a sua volta da:
dente di attrito,
(2.186)
(2.188)

e che la pressione p in un punto generico P dell'accoppiamento situato al raggio


generico r vale:
p

N
= -::----:---..,..
27rr(r e - r;)

= t1rpbd =

tNd

2sina:

al solito il coeffi-

e da questo si vede che se la frizione piana, ossia se a:= 1rj2, si ritrova per
c1 l'espressione fornita dalla (2.186).

Quando si debbono trasmettere coppie elevate, le frizioni assiali, anzich


essere costituite semplicemente da due sole superfici di attrito, sono formate
da numerosi dischi (alcune realizzazioni prevedono addiritura l'impiego di 60
dischi) collegati alternativamente con l'albero motore e con l'albero condotto
(Fig. 250). I dischi, tutti mobili assialmente, a frizione inserita vengono tutti
premuti uno contro l'altro mediante la stessa forza assiale N e pertanto, se
i il numero totale delle superfici di attrito che vengono a contatto durante
l'operazione di innesto, la coppia trasmessa durante l'operazione stessa dalla
frizione ha intensit pari a:
C j=Z'tNr.
+ r;-2

Fig. 251 -Schema di frizione conica

9.6 - Frizioni coniche


Nelle frizioni coniche (Fig. 251) le superfici che trasmettono la coppia
per attrito hanno la forma di un tronco di cono. Si riesce in tal modo ad
ottenere, a parit di forza assiale con la quale vengono serrati .i due elementi
della frizione, una coppia trasmessa per attrito di intensit molto superiore a
quella relativa ad una frizione assiale-semplice.
Se si indicano infatti con d il diametro medio della frizione, con a: l 'angolo
di semiapertura del cono, con p la pressione, supposta uniforme, esistente tra
le due superfici a contatto e con N l'intensit della forza assiale con cui i due
elementi vengono premuti tra loro, si ha:
(2.187)

=1rpbd sin a:

opportuno ora osservare che se N la forza necessaria a mantenere


premuti i due coni della frizione quando si vuole trasmettere la coppia Cf, la
forza N' necessaria ad innestare i due coni risulta maggiore della N stessa.
Quando i due coni vengono premuti uno contro l'altro infatti, danno luogo
ad un moto di strisciamento relativo lungo le loro generatrici di contatto con
conseguente nascita, lungo le generatrici stesse, di azioni tangenziali di attrito
pari in ogni punto a tP (Fig. 252); l'effettiva forza N' necessaria ad innestare
i due coni ha pertanto un'intensit pari a:
N'

=1rbdp(sin a:+ t cosa:)

ossia, in base alla (2.187), essa vale in definitiva:


1Y'

=N(l + tftga:)

344

345

Dall'esame della (2.188) si nota chiaramente, a conferma di quanto in


precedenza anticipato, che le frizioni coniche sono in grado di trasmettere una
coppia molto maggiore, a parit di altre condizioni, di quella trasmissibile
dalle frizioni piane. Ci, pur potendo da una parte costituire un vantaggio,
fa s per che anhe le accelerazioni del sistema, e quindi le relative coppie di
inerzia, siano molto superiori a quelle presenti nelle frizioni piane e proprio
per questo motivo le frizioni coniche, ampiamente usate in passato, sono ora
prevalentemente destinate ad applicazioni implicanti piccole potenze e basse
velocit periferiche.

Ad ogni pattino inoltre collegata una molla che lo assoggetta ad una


forza di richiamo di intensit FM pari a:
FM

= Fo+ kx

Fig. 253 - Frizione a forza centrifuga


Fig. 252 - Forze scambiate tra. le superfici di una frizione conica durante il loro avvicinamento

9. 7 - Frizioni a forza centrifuga

Le frizioni a forza centrifuga sono costituite da un certo numero di pattini rotanti~solidalmente all'albero motore e dotati della possibilit di scorrere
in direzione radiale (Fig. 253). Se m la massa di ogni pattino, h la distanza
in condizioni statiche del baricentro di ogni pattino dall'asse del motore ed x il
suo spostamento rispetto a questa condizione iniziale, il pattino sottoposto,
se l'albero a cui collegato ruota ad una velocit angolare w, ad una forza
centrifuga di intensit pari a:

Fc =m( h+ x)w 2

dove Fo rappresenta al solito il precari co iniziale della molla e k la sua rigidezza,


e pertanto, se a il, gioco radiale iniziale esistente tra la superficie esterna dei
pattini e la superficie interna del cilindro solidale all'albero condotto, l 'operazione di innesto avr inizio ad una velocit angolare w0 dell'albero motore
pari a:
wo

(Fo + ka)
(h+ a)m

mentre per velocit angolari maggiori di wo la frizione trasmetter una coppia


di intensit c1 pari a::

c1 = i~d [m( h+ a)w

(Fo

+ ka)]

dO\e al solito i rappresenta il numero di pattini presenti nella frizione, d il loro


diametro medio ed f il coefficiente di attrito relativo ai materiali a contatto.

346

347

Un altro tipo di innesto a forza centrifuga, sovente denominato innesto


a fluido secco, costituito da tanti elementi centrifughi, realizzati con piccolissime sfere di acciaio, contenuti entro un involucro solidale al motore. Quando
il motore inizia a ruotare, la forza centrifuga sospinge le sferette d'acciaio
verso la periferia del loro involucro in modo da comprimerle tra questo ed un
rotore, costituito da un disco sagomato, solidale all'utilizzatore. La Fig. 254

poso, leggermente sollevata rispetto ai due mozzi A e B solidali rispettivamente


all'albero motore S ed all'utilizzatore. Entrambe le estremit della molla sono
piegate in modo da formare due linguette che vanno ad impegnarsi rispettivamente nel mozzo B e nE'l collare C, collare che costituisce inoltre l'armatura
di un elettromagnet"e il cui avvolgimento E situato nell'involucro fisso ed
alimentato mediante i due cavi H.

Fig. 254- Innesto centrifugo a sferette di acciaio (Dodge, Mfg. Comapny)

illustra per l'appunto una realizzazione pratica di questo particolare innesto a


forza centrifuga, in cui l'albero motore collegato ad un involucro doppio mediante un giunto elastico, mentre l'albero condotto porta due rotori sagomati
che vanno ad alloggiare nelle rispettive gole dell'involucro.
Fig. 255 - Innesto a nastro con comando elettromagnetico

9.8 - Innesti a nastro


Gli innesti a nastro differiscono da quelli sinora esaminati in quanto
presentano la caratteristica di essere unidirezionali, ossia di essere in grado di
funzionare solo per un determinato verso di rotazione.
Nelle versioni pi recenti essi sono costituiti da una molla elicoidale M
(Fig. 255) a sezione rettangolare la cui superficie interna , in condizioni di ri-

Quando l'avvolgimento non percorso da corrente, il collare C risulta


libero e la molla M, le cui spire si avvolgono in parte sul mozzo A ed in parte
.sul mozzo B, si mantiene sollevata rispetto alla superficie dei mozzi stessi.
Poich, come si visto, gli estremi nella molla sono impegnati rispettivamente
nel mozzo B, solidale all'utilizzatore, e nel collare C, ne consegue che, in
mancanza di corrente nell'avvolgimento dell'elettromagnete, tutti e tre questi
elementi ruotano assieme all'utilizzatore, oppure mantengono una posizione
di quiete se quest'ultimo fermo.

348
Se si provvede invece ad alimentare opportunamente gli avvolgimenti
dell'elettromagnete, questo attira verso di s il collare C, portandone la superficie Z a contatto del mozzo A e rendendo di conseguenza il collare C e
la linguetta L della molla solidali all'albero motore. n secondo estremo della
molla d'altro canto sempre solidale al mozzo B, e la molla pertanto in queste
condizioni si allunga, il suo diametro si riduce e le sue spire infine vengono
premute contro le superfici cilindriche dei due mozzi realizzando cos il collegamento tra i due alberi.
La forza che l'elettromagnete deve esercitare evidentemente molto piccola, in quanto essa unicamente quella necessaria a mantenere il collare C
contro il mozzo A mentre la trasmissione della coppia affidata alla presenza
dell'attrito nella zona di contatto tra la molla ed i due mozzi.
Gli innesti a nastro, che possono trasmettere coppie molto elevate, presentano un tempo r di innesto molto inferiore a quello relativo alle frizioni
usuali (ma superiore a quello proprio degli innesti a denti) e tale tempo inoltre non tanto influenzato dall'entit della coppia trasmessa quanto dal valore
della velocit angolare relativa dei due alberi. Gli innesti a nastro, pertanto,
bene si prestano ad essere utilizzati in tutte quelle applicazioni caratterizzate
da un valore del momento di inerzia dell'utilizzatore abbastanza piccolo e nelle
quali si richieda una piccola durata dell'operazione di innesto.
evidente infine che, essendo il contatto tra collare e mozzo dell'albero
motore assicurato dalla forza esercitata dall'elettromagnete E, necessario
alimentare l'avvolgimento dell'elettromagnete stesso anche quando l'innesto
inserito; va per precisato che una tale dissipazione di potenza, pur verificandosi per tutto il periodo di funzionamento dell'innesto, si mantiene entro
limiti accettabili in quanto corrisponde a circa l Watt per ogni Nm di coppia
massima trasmissibile dall'accoppiamento.

9.9 - Innesti elettromagnetici


Gli innesti elettromagnetici sono analoghi ai freni elettromagnetici esaminati nel relativo paragrafo del capitolo precedente e si avranno pertanto:
a) innesti ad isteresi (Fig. 256a);
b) innesti a correnti parassite (Fig. 256b);
c) innesti a particelle magnetiche (Fig. 256c).

349
Gli innesti ad isteresi, adatti alla trasmissione di piccole coppie (da
O, 05 a lO Nm), presentano, come si gi avuto modo di osservare a proposito dei freni dello stesso tipo, la propriet di trasmettere una coppia di
intensit proporzionale alla loro corrente di alimentazione, e grazie a questa
loro caratteristica essi sono pertanto principalmente utilizzati nel campo della
strumentazione e nella realizzazione dei servocomandi.
Elettromagnete

Fig. 256- Innesti elettromagnetici; a) ad isteresi; b) a correnti parassite; c) a particelle magnetiche

Gli innesti a particelle magnetiche sono usati in modo particolare dove


esistano utilizzatori con elevati valori del momento di inerzia e sono in grado
di trasmettere coppie di intensit fino a 1000 Nm.
Gli innesti a correnti parassi te sono caratterizzati essenzialmente da due
propriet: quella di trasmettere una coppia proporzionale alla velocit relativa
tra i due elementi dell'innesto, e quella di possedere una vita praticamente
infinita. Grazie alla prima caratteristica evidente che non mai possibile
ottenere una uguaglianza tra i valori delle velocit angolari dell'albero motore
e dell'albero condotto; questi innesti trovano la loro principale applicazione
come regolatori di velocit. Va osservato infine, che gli innesti a correnti
parassi te sono in grado di trasmettere coppie di intensit anch. elevate, fino
ad un massimo di 15000 Nm.

9.10 - Considerazioni di progetto


Sia nel progetto che nella scelta di un determinato tipo di frizione occorre tenere ben presenti, cos come nei freni, due fa.ttori principali, e cio:
l'entit della coppia che deve essere trasmessa e la quantit di calore generata

350

351

all'interno della frizione ad ogni operazione di innesto.


Per quanto concerne il valore della coppia che pu essere trasmessa dalla
frizione va osservato che esso, a parit di forza di comando, dipende, come
si visto nei precedenti paragrafi, dal valore del coefficiente di attrito e dalle
dimensioni geometriche della frizione stessa. opportuno per ricordare che
il valore del coefficiente di attrito pu variare al variare della velocit relativa
esistente tra le due superfici a contatto, come riportato nella Fig. 235.
In media la coppia trasmissibile da una frizione' in condizioni stati che
di circa il 50% superiore a quella trasmissibile oltre i 5 mjs.
500
kJ/ins,

300

>

fornite, da parte dei costruttori, delle curve sperimentali che riportano, per
ogni tipo di frizione, la quantit di calore massima che si pu generare durante ogni operazione di innesto, in funzione del numero di innesti operati
nell'unit di tempo. il grafico della Fig. 257 riporta per l'appunto la quantit
massima di calore E che si pu generare ad ogni operazione di innesto, in
funzione del numero di innesti all'ora N, per diverse frizioni assiali a dischi
multipli, ciascuna delle quali caratterizzata dal valore della coppia massima
Co trasmissibile in condizioni dinamiche. Le frizioni del diagramma di Fig.
257 hanno lamelle in acciaio-ferodo e funzionano a secco. Per frizioni con
flusso d'olio di raffreddamento la capacit di smaltimento del calore aumenta.
Per queste frizioni la potenza termica dissipa.bile, a frizione fredda, in genere
compresa fra l e 4 \V jmm 2

200
100

9.11 - Innesti di sopravanzo

50

40

30

,2

20

""
'O

10

"'c

-~

5
4

O,

"
'iii

Gli innesti di sopravanzo, detti anche ruote libere, costituiscono quella


particolare categoria di innesti che conse1~tono all'albero condotto di sopravanzare l'albero motore sia quando questo venga. arrestato o fatto ruotare
in verso opposto a quello corrispondente al normale funzionamento dell'accoppiamento, sia quando, per effetto ad esempio di una inversione del carico
agente sull'albero condotto, la velocit di questo aumenti rispetto a quella
dell'albero motore.
Gli innesti di sopravanzo si suddividono, da un punto di vista costruttivo, in tre tipi principali e precisamente in innesti:

<h

i5

0,5
0,4
0,3
0,2
O,l

numero inserzioni z
inserzioni/ora - -

Fig.257 - Dissipazione del calore in frizioni assali a dischi multipli. Funzionamento


a secco. (Stromag-Marzorati, Milano)

Per ci che riguarda la quantit di calore sviluppata invece, sufficiente


assicurarsi che essa non provochi un eccessivo aumento di temperatura nel
materiale d'attrito. Volendo procedere ad una determinazione approssimata
della massima temperatura raggiunta in una frizione, basta rifarsi a quanto
esposto a proposito dei freni. A tale riguardo tuttavia vengono normalmente

a) a rulli;
b) a camme;
c) a molla.

Negli innesti a rulli, un esempio dei quali schematizza.to nella Fig.


258-a, l'albero motore collegato all'anello esterno E, l'albero condotto
solidale alla ruota. dentata I, i cui denti hanno fianchi rettilinei, e tra due
denti successivi della ruota I trovano posto i rulli R che vengono leggermente
premuti contro le superfici della ruota stessa e dell'anello E dall'azione delle
molle M.
Quando l 'anello esterno ruota nel verso indicato dalla figura, esso tende
a far rotolare i rulli R lungo le superfici inclinate della ruota dentata I, com-

352

353

primendoli di conseguenza tra l'elemento motore e l'elemento condotto. Se


si trascura la forza esercitata dalla molla, generalmente di intensit molto
piccola, si pu osservare che ogni rullo si trova soggetto all'azione di due
sole forze, e precisamente quelle che rispettivamente gli trasmettono l'anello
esterno E e la ruota dentata I. Tali forze, indicate con F nella Fig. 258b, devono essere necessariamente uguali ed opposte tra loro, e posseggono

Se poi l'anello esterno E ruota in verso opposto a quello indicato nella


Fig. 258, evidente che esso non tende pi a forzare i rulli R nelle rispettive sedi, e che di conseguenza la rotazione de}l'anello stesso non influenza .
minimamente quella .della ruota dentata interna I, in quanto non esiste pi la
possibilit di trasmettere il moto tra i due organi dell'accoppiamento.

b)
a)

a)

!i..2
l

!
---,--l

Fig. 258 - Ruota libera a rulli

Fig. 259 - Innesti a camme

ciascuna una componente normale di intensit N ed una tangenziale di intensit T. Va ora innanzi tutto osservato che solo se il rapporto T/N= tg (1/J/2)
risulta minore del valore del coefficiente di aderenza relativo ai materiali a
contatto, la trasmissione del moto effettivamente possibile, perch in caso
contrario il rullo striscerebbe rispetto alle superfici dell'anello esterno e della
ruota dentata, alterando di conseguenza il corretto funzionamento dell'innesto. Se si suppone verificata la condizione sopra esposta e se C l'intensit
della coppia trasmessa dall'accoppiamento, la componente normale della forza
scambiata tra ogni rullo e le superfici con le quali a contatto vale ovviamente:

Gli innesti a camme (Fig. 259-a) sono invece costituiti da un anello


esterno E collegato all'albero motore, da un cilindro interno I collegato all'albero condotto, e da una serie di elementi sagomati intermedi S. Se l'anello
esterno E ruota nel verso indicato nella :figura, l'elemento intermedio Stende
a ruotare in verso orario (Fig. 259-b) e quindi, a causa della sua forma, si
impunta tra i due cilindri. Anc}le in questo caso ogni elemento S soggetto
solo all'azione di due forze uguali ed opposte e la componente normale N di
tali forze vale, come per l 'innesto a rulli:

N=__!!!__
2C
- ndtg(1/J/2)
N-

dove n rappresenta il numero dei rulli R e d il diametro della superficie di


contatto dell'anello esterno E.

n d tg rJ

dove C rappresenta al solito il valore della coppia trasmessa, n il numero


degli elementi intermedi e d il diametro della superficie di contatto dell'anello
esterno.

354
Gli innesti di sopravanzo a molla sono invece simili agli arresti a molla
descritti nel capitolo precedente. In essi la molla M (Fig. 243) montata
con una certa interferenza iniziale sull'albero condotto A, e l 'estremo H
comandato dall'albero motore. Se H viene spostato nel senso indicato dalla
freccia tratteggiata, la molla viene ulteriormente serrata sull'albero condotto,
consentendo cos la trasmissione del moto; se invece l'estremo H subisce uno
spostamento nel verso indicato dalla freccia continua, l molla ruota sull'albero
condotto A ed soggetta solo a.lla coppia necessaria ad annullare l'interferenza
iniziale, coppia il cui valore fornito dalla (2.177).

Rispetto agli innesti a. rulli ed a camme, gli innesti di sopravanzo a


molla si presentano pi affidabili e meno costosi; essi sono soggetti tuttavia
all'inconveniente, non sempre a.ccetta.bile, di dar luogo di solito ad una rotazione relativa di alcuni gradi tra. albero motore ed albero condotto durante
l 'operazione di innesto.

10. TRASMISSIONI A FLUIDO

10.1 - Classificazione delle trasmissioni a fluido

Le trasmissioni a fluido sono, come dice il nome, dispositivi in cui la


trasmissione della potenza meccanica avyi~l1e mediante l'interposizione di un
fluido. Nelle trasmissioni a fluido la .Pot,~nz~meccanica viene trasmessa mediante una pompa dall'albero di ingresso a un fluido, e da questo trasmessa
successivamente, mediante una turbina o uri. motore, all'albero di uscita.
Esistono tre tipi diversi di trasmissioni a ffuido, e precisamente:
- trasmissioni idrostatiche;
- trasmissioni idrocinetiche;
- trasmissioni idroviscose.
Le trasmissioni idrostatiche sono fondamentalmente costituite da una
pompa e un motore volumetrici tra i quali circola una portata di fluido determinata dalla velocit angolare e dalla cilindrata della pompa.
Le trasmissioni idrocinetiche sono invece costituite da un pompa centrifuga e da una turbina; la portata di fluido circolante dipende dalle condizioni
di funzionamento di tutta la trasmissione.
Le trasmissioni idroviscose utilizzano le forze tangenziali viscose che
si sviluppano fra due superfici in moto relativo, con fluido interposto, per
trasmettere la potenza meccanica tra un albero di ingresso ed uno di uscita.

356

357

10.2 - Trasmissioni idrostatiche

ll.p

= differenza di pressione tra mandata e aspirazione della pompa


= rendimento meccanico della pompa
= cilindrata della pompa

wp

= velocit angolare della pompa

T/vp

= rendimento volumetrico della pompa.

pp

Le trasmissioni idrostatiche costituiscono un particolare tipo di sistema


di trasmissione della potenza meccanica e sono formate da una pompa, in
cui la potenza viene trasferita da un albero ad un fluido, e da un motore
idraulico, dove avviene il trasferimento inverso di potenza dal fluido ad un
albero rotante. Nelle trasmissioni idrostatiche, a differenza delle trasmissioni
idrocinetiche, che verranno esaminate nei paragrafi 10.3, 10.4, 10.5, la pompa
e il motore idraulico sono di tipo volumetrico (v. par. 8.10).
Lo schema di base di una trasmissione idrostatica rappresentato nella
Fig. 260. Pompa e motore idraulico impiegati nelle trasmissioni idrostatiche
sono generalmente a pistoni, radiali o assiali, e possono essere a cilindrata
fissa e a cilindrata variabile.

Ps
Fig. 260 - Schema di base di una trasmissione idrostatica

=portata

T/mp

In queste relazioni il rendimento meccanico T/mp tiene conto di tutte le


perdite di potenza meccanica interne alla pompa: perdite dovute agli strisciamenti, in presenza di attrito, fra le parti in moto, agli effetti ventilanti
dovuti alla rotazione di un corpo entro un fluido, e alle cadute di pressione
nei passaggi interni della pompa. n rendimento volumetrico T/vp della pompa
tiene invece conto del fluido che ricircola internamente alla pompa tra la zona
ad alta pressione e quella. a bassa pressione, a causa dei trafilamenti interni.
Di conseguenza, di tutto il fluido che viene pompato nell'unit di tempo:
ll.pwp/27r, solo la quota espressa dalla (2.190) utilizzata, mentre la parte
rimanente costituisce una fuga interna.
I rendimenti meccanico e volumetrico dipendono sia dal tipo di pompa
che dalle condizioni di funzionamento. E' evidente che, a parit di altre condizioni, il rendimento volumetrico diminuisce all'aumentare della differenza
di pressione poich aumentano le fughe interne. Invece il rendimento meccanico inizialmente aumenta all'aumentare della differenza di pressione poich
la quota di coppie passive, costanti e indipendenti dalla pressione, conta percentualmente meno rispetto alla coppia totale.
Per le pompe a pistoni assiali, che normalmente hanno i migliori rendimenti, i rendimenti nelle condizioni di progetto sono tipicamente:

Le relazioni fondamentali fra i parametri che caratterizzano il funzionamento delle pompe volumetriche, come gi visto nel paragrafo 8.10, sono:
(2.189)

_ll.p~

27r TJmp
.6.p
Q= _,, WpT)vp
2
P -

(2.190)

dove:
Cp

= coppia applicata all'asse della pompa

7Jmp
{

7)vp

= O, 90- O, 93
= O, 95- O, 97

Per il motore idraulico si hanno relazioni analoghe alle (2.189) e (2.190 ),


solo con i rendimenti che giocano un effetto opposto, per cui, utilizzando le
stesse notazioni delle (2.189) e (2.190) in cui ora il pedice m si riferisce al

359

358

motore, si ha:
(2.191)

.6.,
l 7Jvm
Q= '2;Wm

(2.192)

La differenza di pressione pm disponibile fra ingresso e uscita del motore non , in generale, uguale alla differenza di pressione pp fra mandata e
aspirazione della pompa. Ci poich il moto del fluido nei condotti tra pompa
e motore d luogo a cadute di pressione. Si avr quindi, in generale:
(2.193)

dove

op0

rappresenta le cadute di pressione nelle tubazioni.


Dalle (2.189), (2.191) e (2.193) si ottiene allora la seguente relazione fra
le coppie all'asse della pompa e del motore:
(2.194)

C p -

.6.p

.6.,

C,
---'-"'--+ -6po -.6.p
l)mpT/mm

2;r

T/mp

Dalle (2.190) e (2.192) si ottiene la seguente relazione fra le velocit


angolari:
(2.195)

.6.p

Wm

= ~T/vpT/vmWp
um

Si consideri ora il ca.so ideale di una trasmissione idrostatica priva di


perdite in cui si abbia: T/mp = 7)mm = T/vp = T/vm = l e po = O. In questo caso,
le (2.194) e (2.195) diventano:

c,~
(2.196)
{

:m
.6.p

Cm

p w
W m-~
p

deriva dal fatto che, essendo pompa e motore due macchine volumetriche, la
portata di fluido circolante , a parte le fughe, direttamente proporzionale
alle velocit angolari della pompa e del motore. La presenza delle perdite
(meccaniche e volumetriche) altera leggerment il comportamento della trasmissione idrostatica. rispetto al caso ideale, p1a non ne muta sostanzialmente
le caratteristiche.
Se la pompa e il motore sono a cilindrata fissa, il rapporto .6.p/.6.m fra
le cilindrate evidentemente costante. Se invece, la pompa, o il motore, o
entrambi contengono un dispositivoin grado di farne variare la cilindrata, la
trasmissione idrostatica diventa a rapporto di trasmissione variabile e realizza
di conseguenza un variatore continuo di velocit.
In molte applicazioni la pompa collegata al motore primo che fornisce
la potenza meccanica e ruota a velocit angolare costante, o quasi costante;
facendo variare la cilindrata .6.r della pompa dal massimo fino a zero si ottiene
la possibilit di diminuire la velocit angolare del motore, fino ad annullarla.
Quando la velocit angolare del motore nulla, .6.p/.6., uguale a zero, si
ha pure, nel caso ideale, che Cp = O, indipendentemente dalla coppia agente
sull'asse del motore. Ci significa che, variando la cilindrata della pompa fino a
zero si pu, nel caso ideale, mantenere una coppia all'asse del motore idraulico
senza che venga richiesta potenza alla pompa, e mentre questa continua a
ruotare alla propria velocit angolare.
Anche se, in realt, le perdite meccaniche e volumetriche fanno s che,
a motore idraulico fermo, la pompa debba comunque generare un po' di potenza che viene dissipata a causa dei rendimenti non unitari, le trasmissioni
idrostatiche sono <;omunque estremamente vantaggiose quando si debbono generare coppie e velocit angolari variabili ali 'asse di uscita di una trasmissione
(asse del motore idraulico) mentre l'asse di ingresso (asse della pompa) ruota
a velocit angolare quasi costante.
Il dimensionamento di una trasmissione idrostatica viene normalmente
effettuato nel modo seguente. Nota la massima coppia Cm che deve essere fornita dal motore idraulico, e stabilito il valore massimo di pressione op, al quale
deve lavorare l'impianto idraulico, si ricava, noto il rendimento meccanico del
motore idraulico scelto, la cilindrata del motore .6.,o:

"-'m

Da queste relazioni si vede come una trasmissione idrostatica ideale


costituisca un organo di trasmissione con rapporto di trasmissione pari al rapporto .6.p/ .6.m fra le cilindrate della pompa e del motore. Questa caratteristica

(2.19i)

_ 2;rC,o
mO- 6p,7Jmm

In base alla velocit :..., 0 richiesta al motore idraulico si ottiene la portata

361

360
circolante nell'impianto, dalla (2.192):
Qo

= ~mo
271'

Wmo
7Jm

Conoscendo la velocit angolare wp alla quale deve ruotare l'asse della pompa,
si ottiene, dalla (2.190), la cilindrata massima della pompa:
A

(2.198)

"-"pO -

~mO

Se, come si supposto finora, la cilind~ata, del motore fissa e pari a


al diminuire della coppia rispetto al valore massimo Cmo, diminuisce, in
base alla (2.191), la differenza di pressione 6pm nell'impianto idraulico e, in
base alla (2.194), la coppia Cp richiesta all'asse della pompa.
In certe applicazioni si vuole che, al diminuire della coppia in uscita
della trasmissione, aumenti la velocit angolare. Ci possibile nelle trasmissioni idrostatiche impiegando un motore a cilindrata variabile. Se infatti si
mantiene costante la cilindrata della pompa (che ruota a velocit angolare
costante) si mantiene pure costante la portata circolante nell'impianto. Diminuendo allora la cilindrata del motore idraulico si ha, in base alla (2.192)
un aumento della sua velocit angolare. Poich la cilindrata ~m del motore,
mantenendo costante 6pm, circa proporzionale alla coppia fornita dal motore
idraulico, si ottiene in questo caso una relazione circa iperbolica tra coppia e
velocit angolare del motore idraulico (Fig. 262).
~mo,

Wmo

--- -7]vp7Jvm Wp

Sostituendo ~po nella (2.194) si ottiene il valore della coppia massima richiesta
all'asse della pompa.
Wm

Fig. 261 - Variazione della velocit angolare del motore in funzione della cilindrata
della pompa (wp = costante)

Se ora, ferma restando la velocit angolare wp della pompa, viene fatta


diminuire la cilindrata ~P della pompa, la velocit angolare del motore e la
portata circolante nell'impianto diminuiscono. La velocit angolare del motore
si annulla in corrispondenza di un valore di cilindrata ~pL, che costituisce il
minimo necessario per compensare le fughe interne e mantenere la differenza
di pressione necessaria a equilibrare la coppia agente sull'asse motore in base
alla (2.191).

Fig. 262 - Relazione coppia-velocit angolare di un motore idraulico a cilindrata variabile alimentato a portata costante

Si finora supposto che la pompa della trasmissione idrostatica ruotasse


a velocit angolare costante, o quasi costante. Ci avviene in molte applicazioni, ma in molte altre la velocit angolare della pompa variabile e ci
non modifica, ovviamente, le caratteristiche fondamentali di funzionamento
delle trasmissioni idrostatiche. In certe applicazioni, ad esempio, le trasmis-

363

362

sioni idrostatiche sono usate per produrre, all'asse del motore, una velocit
angolare costante, indipendentemente dalla velocit angolare della pompa e
dalle variazioni di coppia sull'asse del motore. Ci ottenibile associando
alla trasmissione idrostatica un regolatore che misura la velocit angolare del
motore idraulico e fa variare le cilindrate della pompa e del motore in modo
da mantenere costante tale velocit.
Le trasmissioni idrostatiche sono normalmente impiegate per trasmettere potenze comprese fra 5 e 250 kW.

10.3 - Trasmissioni idrocinetiche


Le trasmissioni idrocinetiche sono anch'esse costituite, come le trasmissioni idrostatiche, da un elemento (pompa) che trasmette potenza da un organo
ruotante a un fluido, e da un elemento (turbina) che trasmette potenza dal
fluido a un organo meccanico rotante. Tuttavia, nelle trasmissioni idrocinetiche pompa e turbina non sono pi macchine volumetriche, ma turbomacchine,
in cui la pressione del fluido, la portata. e la velocit angolare della pompa e
della turbina sono legate tra loro in modo pi complesso.
Nelle turbomacchine non si ha una netta separazione meccanica fra la
zona ad alta e a bassa pressione, di conseguenza le trasmissioni idrocinetiche
forniscono un 'ottima protezione in caso di urti della parte meccanica collegata
alla turbina.
Le trasmissioni idrocinetiche sono normalmente disponibili per potenze
comprese fra l e 3000 kW; vi sono tuttavia applicazioni speciali fino a 25000
kW.
Esistono due tipi fondamentli di trasmissioni idrocinetiche:
- giunti idraulici
- convertitori di coppia.

Questi due tipi di trasmissioni verranno esaminati nei successivi paragrafi.

10.4 - Giunti idraulici


Un giunto idraulico (Fig. 263) costituito da una pompa P che, ruotando, accelera il flui~o che entra al suo raggio interno ed esce al suo raggio
esterno. L'energia cinetica cos acquistata dal fluido viene da questo ceduta
ad una turbina T, coassiale alla pompa, all'interno della quale il fluido stesso
rallenta nel passare dal raggio esterno a quello interno. Poich il fluido passa
direttamente dalla pompa alla turbina e viceversa, la coppia che la pompa
trasmette al fluido esattamente uguale, qualunque sia la condizione di funzionamento a regime, a quella che il fluido trasmette alla turbina, e l'entit di
questa coppia dipende dalla portata di fluido e dalla velocit relativa esistente
tra pompa e turbina.

Fig. 263 - Schema di giunto idraulko

Per poter meglio compfendere il funzionamento di un giunto idraulico,


si supponga ad esempio che in una certa condizione pompa e turbina ruotino
alla stessa velocit. In queste condizioni la differenza di pressione del fluido
tra raggio esterno e raggio interno dovuta. al campo di forze centrifughe agenti
su di esso la stessa sia per la pompa che per la turbina; il fluido perci non
circola fra questi due elementi dell'accoppiamento e la coppia trasmessa
di conseguenza nulla. Se invece la turbina ruota ad una velocit angolare
inferiore a quella della pompa, la differenza di pressione creata dalla turbina
minore di quella creata dalla pompa; si origina pertanto una circolazione di

365

364

fluido che al raggio esterno passa dalla pompa alla turbina, mentre al raggio
interno passa dalla turbina alla pompa e si ha di conseguenza un certo valore
non nullo della coppia trasmessa, coppia la cui intensit , a parit di velocit
angolare della pompa, tanto ma.ggiore quanto minore la velocit angolare
della turbina ed , al limite, massima quando la turbina ferma.
Poich, come si visto, la coppia trasmessa funzione della velocit
angolare relativa, allora opportuno introdurre un parametro u, detto scorrimento, definito dal rapporto:
(2.199)

dove wp ed w 1 rappresentano rispettivamente le velocit angolari della pompa


e della turbina.
La coppia trasmessa sar quindi, per ogni tipo di giunto, funzione della
velocit angolare della pompa wp e dello scorrimento u; la Fig. 264 mostra
per l'appunto il tipico andamento della coppia trasmessa in funzione delle
succitate grandezze (le quantit Co ed w0 rappresentano rispettivamente una
coppia ed una velocit angolare di riferimento).

la trasmissione del moto. Si pu innanzi tutto osservare che, qualunque sia il


tipo di carico collegato alla turbina, la coppia resistente incontrata dal motore,
solidale alla pompa, nulla per velocit angolare nulla. Ci consente dunque
al motore di raggiungere una certa velocit prima che la coppia resistente diventi rilevante e questa propriet assume una particolare importanza quando
si interponga ad esempio un giunto idraul~co tra un motore elettrico ed un
utilizzatore, in quanto riduce notevolmente il valore della corrente assorbita
allo spunto. Si pu notare in secondo luogo che, se si verificano durante il
funzionamento rapide variazioni del carico sull'albero condotto, queste non
vengono praticamente risentite dal motore, ma portano come effetto ad una
rapida variazione dello scorrimento e quindi ad una successiva graduale variazione della velocit del motore. Va osservato in terzo luogo che le vibrazioni
e gli urti eventualmente insorgenti durante il funzionamento vengono fortemente smorzati dalla presenza del fluido all'interno del giunto, ed infine va
rilevato che, quando si disponga di pi motori in parallelo collegati ad un solo
utilzzatore, si riesce, inserendo dei giunti idraulici ali 'uscita dei motori, ad
ottenere una effettiva equiparazione del carico agente su di essi. .

100

c
Co

(Nm)r----------65
50

0 ~~==----~~--------~10~0~0----~~~15~0~0~--~n--~
1354 1440
(giri/min)

Wp/W 0

Fig. 265 - Condizioni di funzionamento a regime di una trasmissione dotata di un


giunto idraulico

Fig. 264 - Coppia trasmessa in un giunto idraulico

In base alle caratteristiche dei giunti idraulici ora descritte, si dunque


in grado di rile\'are che essi presentano numerosi vantaggi per.quanto riguarda

Per concludere poi, evidente che, essendovi in un giunto idraulico trasmissione di coppia solo per Yalori non nulli dello scorrimento. il motore e

367

366

l'utilizzatore ad esso collegati non possono mai a.:vere la stessa velocit angolare. A questo proposito la Fig. 265 illustra ad esempio il caso di un motore
elettrico asincrono, avente la caratteristica meccanica indicata dalla curva m
collegato ad un utilizzatore che fornisce una coppia resistente il cui andamento
fornito dalla curva u.
Se il collegamento tra motore ed utilizzatore avvenisse tramite un giunto
od un innesto tradizionali, le condizioni di funzionamnto a regime del sistema
sarebbero evidentemente quelle individuate dal punto I 0 Con l'interposizione
di un gi1;1nto idraulico, giunto che presenta, per un valore dello scorrimento
pari a 0,06, la caratteristica indicata dalla curva g, il punto di funzionamento
a regime del motore si sposta in I m, per cui la coppia da questo fornita vale
C1 = 65 Nm e la sua velocit angolare vale nm = 1440 giri/min. n punto di
funzionamento dell'utilizzatore si sposta d'altro canto da Io ad Iu, per cui la
coppia da esso assorbita vale sempre Ct 65 Nm, ma la sua velocit angolare
vale nu = 1354 giri/min, il che corrisponde proprio ad uno scorrimento u del
giunto pari a (nm - nu)/nm =O, 06.
Poich la pompa e la turbina costituenti il giunto idraulico sono sostanzialmente due macchine centrifughe, valgono evidentemente per esse le leggi
di similitudine delle turbomacchine, per cui la coppia trasmessa dal giunto
pu essere in definitiva espressa sotto la forma:

(2.200)
dove wp rappresenta la velocit angolare della pompa, d il suo diametro esterno
(Fig. 263) e ](A un fattore di accoppiamento, misurato in Ns 2 jm 4 , che assume
lo stesso valore per giunti geometricamente simili e per lo stesso valore dello
scorrimento. E' evidente, in base alle considerazioni prima esposte, che il
fattore di accoppiamento massimo quando lo scorrimento u pari ad l ed
nullo per u O.
Poich inoltre per giunti idraulici geometricamente simili la coppia, e
quindi la potenza trasmessa, sono proporzionali, in base alla (2.200), al diametro alla quinta, altrettanto evidente che la potenza trasmissibile da un
giunto idraulico raddoppia se si aumentano le sue dimensioni del 15%.
n rendimento di un giunto idraulico, definito al solito come rapporto
tra la potenza entrante e quella uscente dal giunto, nullo per scorrimento
unitario, in quanto in tal caso la turbina ferma e tutta la potenza meccanica
fornita dalla pompa viene dissipata sotto forma di calore nel fluido circostante,

ed aumenta al tliminuire dello scorrimento in modo praticamente lineare (Fig.


266); ovvio per che per scorrimento nullo il rendimento del giunto nuovamente pari a zero, in quanto in tali condizioni si annulla il valore della coppia
trasmessa C1
1.0

0.8

0.6

0.4

0.2

o~
o

/
02

0.4

_/ ~

0.6

0.8

1.0

1-cr
Fig. 266- Rendimento di un giunto idraulico in funzione dello scorrimento

Si finora fatto riferimento alle normali condizioni di funzionamento


dei giunti, nelle quali la potenza viene trasmessa, dalla pompa alla turbina,
ma si possono a volte anche verificare temporanee situazioni particolari in cui,
per effetto dei carichi applicati, l 'utilizzatore collegato alla turbina accelera
e raggiunge velocit superiori a quelle del motore. Per funzionamenti caratterizzati da queste sovravelocit della turbina, il fluido circola nel giunto nel
verso opposto a quello normale e la pompa funziona. cos da freno fornendo in
definitiva una coppia frenante tanto maggiore quanto maggiore la differenza
fra le velocit angolari della turbina e della pompa.
Accanto ai giunti idraulici ora esaminati, in cui la quantit di liquido
circolante nel giunto costante, esistono anche giunti idraulici a riempimento
variabile nei quali si pu regolare la quantit di fluido circolante tra pompa e
turbina. Essi posseggono generalmente (Fig. 267) una pompa volumetrica di
riempimento a portata costante, che fa circolare il fluido immettendolo nella
pompa centrifuga solidale all'albero motore, ed un tubo di aspirazione la cui
posizione regolabile e tale da determinare il livello di fluido nella pompa e
nella turbina costituenti l 'accoppiamento.

369

368
10.5 - Convertitori di coppia

Si visto nel precedente paragrafo che i giunti idraulici sono sostanzialmente degli innesti automatici: i convertitori di coppia invece, pur svolgendo
le stesse funzioni dei.giunti idraulici, si differenziano da questi in quanto per
essi il valore della coppia agente sulla turbina diverso da quello della coppia
agente sulla pompa. Per ottenere questa caratteristica i convertitori di coppia
presentano, in aggiunta alla pompa P ed alla turbina T, uno statore S avente
le funzioni di un elemento di reazione (Fig. 268). Poich, in condizioni di
regime, la somma delle coppie agenti sui tre elementi deve essere nulla, si avra
Cp +Ct +C.= O

da cui appare evidente che possibile ottenere una C 1 diversa dalla Cp, a
patto che l'elemento di reazione fornisca una opportuna. coppia di intensit C,
in grado di equilibrare la somma delle prime due.

Fig. 267- Giunto idraulico a riempimento variabile: p: pompa; t: turbina; a: tubo


di aspirazione; u: uscita di fluido verso lo scambiatore di calore; e: leva
di regolazione; m: albero motore; c: albero condotto; Pc: pompa di
circolazione; i: ingresso del fluido di ritorno dallo scambiatore di calore.
(Liquid Drive Corporation)

Se il livello del fluido si abbassa, e. quindi minore la portata di fluido


circolante tra pompa e turbina, la coppia trasmessa, a parit di velocit angolare del motore ed a parit di scorrimento, diminuisce, e pertanto le curve
caratteristiche del funzionamento del giunto idraulico rappresentate nella Fig.
264 conservano lo stesso andamento, ma si appiattiscono tanto pi quanto
minore il livello di fluido presente.

Fig. 268 - Schema di convertitore di coppia: P: pompa; T: turbina; S: elemento


stazionario di reazione

Come per i giunti idra.ulici, anche per i convertitori di coppia si definisce


lo scorrimento O' mediante il rapporto:
O'= Wp- Wt

Wp

371

370

dove wp ed Wt sono rispettivamente le velocit angolari della pompa e della


turbina, ed anche in questo caso la coppia che deve essere fornita dalla pompa
esprimibile come:

Mediant~ queste due curve, ed utilizzando inoltre la (2.201), si in


grado poi di determinare i valori delle coppie agenti sulla pompa e sulla turbina in tutte le altre condizioni di funzionamento. Alla velocit angolare di
riferimento w 0 si avr infatti:

(2.201)

(2.202)

dove al solito d rappresenta una dimensione caratteristica della pompa (normalmente il diametro esterno) e ]{A il fattore di accoppiamento misurato in
N . s2 fm 4 Questo fattore funzione dello scorrimento e del tipo di convertitore ma, per convertitori geometricamente simili ed a parit di scorrimento,
esso indipendente dalle loro dimensioni e dalla velocit angolare della pompa.
Le prestazioni di un convertitore di coppia sono normalmente presentate nel modo seguente: una volta stabilita una certa velocit angolare di
riferimento della pompa w0 , vengono per essa fornite due curve in funzione
del rapporto tra le velocit angolari della turbina e della pompa; la prima
individua l'andamento della coppia fornita dalla pompa (oppure del fattore di
accoppiamento), mentre la seconda caratterizza l'andamento dei rendimento
1J del convertitore (Fig. 269).

Fig. 269 - Coppia fornita dalla pompa e rendimento di un convertitore di coppia ad


una data velocit angolare wo della pompa

per cui dalle curve di Cp e di 1J in funzione di wtfwp si ricava il valore della


coppia Ct agente sulla turbina in quelle condizioni. Dalla (2.201) inoltre, si ha
che la coppia Cp agente sulla pompa ad una certa velocit angolare w diversa
da w0 legata alla coppia Cp 0 agente sulla pompa stessa nelle condizioni di
riferimento dalla:
Cp

= Cpo

(:J

ed una analoga relazione si avr evidentemente per le coppie agenti sulla


turbina. Quest'ultima relazione per non esattamente verificata in corrispondenza della condizione di stallo, ossia quando la turbina ferma, e per
scorrimenti prossimi ad l. Vengono pertanto anche normalmente fornite, in
funzione della velocit angolare wp della pompa, sia la curva che individua il
valore del rapporto esistente tra la coppia C1, agente sulla turbina e la coppia
Cp, agente sulla pompa nelle condizioni di stallo, sia la curva della coppia Cp,
agente sulla pompa nelle stesse condizioni (Fig. 270).

Wp
Fig. 2i0 - Andamenti della coppia agente sulla pompa e del rapporto tra le coppie
agenti sulla turbina e sulla pompa in condizioni di stalle

372

373

Dall'esame della. (2.202) e della. Fig. 269 si possono trarre, per quanto
concerne il comportamento dei convertitori di coppia, alcune importanti conclusioni. In primo luogo si osserva che la coppia agente sulla turbina nulla
quando lo scorrimento nullo, ed crescente all'aumentare di questo; in secondo luogo appare evidente che la curva del rendimento presenta un massimo
per un certo valore dello scorrimento (J che, al contrario di quanto accade per i
giunti idraulici, non sempre prossimo a zero. Sovente infine, viene introdotto
per i convertitori di coppia un parametro detto rapporto di utilizzazione; esso
definito come il rapporto tra. i valori massimo e minimo di wt/wp per cui
il rendimento TJ del convertitore maggiore di O,i, ed esso fornisce di conseguenza un'indicazione sul campo di condizioni normali per non dissipare una
potenza eccessiva.
Accanto al tipo fondamentale
di convertitore di coppia. schema.tizzato nella Fig. 268 e il cui spaccato
riportato nella Fig. 271, ne esistono
nella pratica. molti altri tipi, da questo derivati, e miranti allo scopo di
migliorarne le prestazioni, anche se
con una maggiore complessit di costruzione.
Si hanno, infatti, convertitori
di coppia pluristadio e polifasici.
Si definiscono convertitori di
coppia a pi stadi quei convertitori
che posseggono pi turbine, tutte
solidali all'albero condotto, mentre
si definiscono polifasici quei convertitori di coppia nei qua.li lo statoi'e, o
gli statori, che forniscono la coppia.
di reazione sono collegati a.ll'involucro fisso mediante l 'inserimento di
una o pi ruote libere. In quest'ultimo caso quindi, lo statore effettivamente fisso solo finch la coppia
che il fluido esercita su di esso ha un

ben determinato verso; quando tale coppia cambia di segno, lo statore, collegato come si visto all'involucro mediante una ruota libera, non pu pi
fornire una coppia di reazione ed in queste condizioni un convertirore di coppia ad uno stadio si trasforma evidentemente in un giunto idraulico, in quanto
tutta la coppia agent~ sulla pompa deve essere ad ogni istante equilibrata da
quella agente sulla turbina. In questo senso si dir pertanto che il convertitore
bifasico.

Fig. 272 - Convertitore di coppia monofasico a tre stadi

Fig. 273 - Convertitore di coppia monofasico ad uno stadio

Le Figg. 272 e 273 illustrano gli schemi rispettivamente di un convertitore di coppia monofasico a tre stadi e di un convertitore di coppia. polifasico
ad uno stadio. Si noti per che nel convertitore polifasico della Fig. 2i3 vi
sono in realt due pompe in serie P 1 e P 2 tra le quali posta una ruota libera L.

10.6 - Trasmissioni idroviscose


Fig. 271- Spaccato di convertitore di coppia: c: carcassa; p: pompa; m: albero
motore; t: turbina; u: albero condotto

Le trasmissioni idroviscose (Fig. 27 4) sono costituite da. una. serie di


dischi affacciati, collegati alternativamente all'albero di ingresso e a quello di
uscita, tutti immersi in olio. Indicando con d 2 e d 1 i diametri esterno e interno

13. JACAZIO-PIOl\180- La trasmissione del moto

374

dei dischi, con p. la viscosit del :fluido, con wr la velocit angolare relativa fra
i dischi solidali all'albero di ingresso e a quello di uscita, con h la distanza fra
i dischi, la coppia trasmessa per ogni superficie di disco , in base alla {1.87),
(Vol. I, para. 3.12):

11. CUSCINETTI

M= 11'"J.LWr(d~- di)
32h

(2.203)

La coppia totale trasmessa dipende, ovviamente, dal numero di superfici affacciate.


11.1 - Considerazioni generali
Scambiatore
di calore

ingresso

Serbatoio

Fig. 274- Trasmissione idroviscosa

Poich il rapporto fra coppia e velocit angolare dipende dalla distanza


h fra i dischi, regolando questa variabile possibile mantenere costante la

velocit angolare al variare della coppia trasmessa.


Le trasmissioni idroviscose sono realizzate in un campo di potenze molto
ampio, fra 3 e 1500 kW.

Si definiscono generalmente come cuscinetti tutti quegli organi meccanici aventi sia la funzione di supportare i carichi applicati ad un albero rotante
da parte degli altri elementi della catena cimnematica alla quale questo ap. partiene, sia la propriet di originare nel contempo coppie resistenti di piccola
intensit. I cuscinetti si suddividono poi; in base al principio di funzionamento
che li caratterizza, in due grandi categorie: nella prima, quella dei cuscinetti a
strisciarnento, l'albero ruota entro una boccola cilindrica di diametro leggermente maggiore a quello dell'albero stesso, e nel cui interno viene normalmente
introdotto un opportuno lubrificante; nella seconda categoria invece, e precisamente in quella dei cuscinetti a rotola.rnento, tra l'organo rotante e quello
fisso dell'accoppiamento si interpongono degli appositi elementi intermedi di
rotolamento (quali ad esempio rulli o sfere), riuscendo cos ad ottenere un
moto relativo di rotolamento puro tra i vari componenti dell'accoppiamento
stesso.
La scelta del tipo di cuscinetto da adottare in una generica soluzione
costruttiva evidentemente in:fl.uenzata dalla presenza o meno di numerosi
fattori, che verranno pi avanti esaminati; in linea di massima conviene comunque qui anticipare che:
a) i cuscinetti a rotola.mento sono in grado di sopportare la presenza di
forti carichi sia ad albero fisso che ad albero rotante;
b) i cuscinetti a strisciamento possono in genere sopportare solo carichi
limitati ad albero fermo;
c) la capacit portante dei cuscinetti a strisciamento aumenta in genere
all'aumentare della velocit.

376

377

Qualunque sia il tipo di cuscinetto in esame poi, va osservato che esso


pu essere soggetto o ad un carico radiale (e quindi giacente in un piano
normale all'asse di rotazione), oppure ad un carico assiale (diretto parallelamente all'asse di rotazione), oppure infine ad un carico misto, derivante dalla
contemporanea presenza di un carico radiale e di uno assiale.
Nel presente capitolo verranno pertanto esaminate per ciascun tipo di
cuscinetto, ed iniziando da quelli a rotolamento, sia le principali soluzioni
costruttive sino ad ora realizzate, sia le metodologie di calcolo da seguire onde
poter valutare l'entit. dei carichi massimi sopportabili dal cuscinetto stesso.

Va= Ve+ V1
2

=w r
0

+w;r;
2

mentre, indicando con d il diametro della sfera, si otterr. ovviamente il valore


della velocit angolare w, di quest'ultima mediante la relazione:

11.2 - Principi di funzionamento di un cuscinetto a rotolamento


Un cuscinetto a rotolamento costituito da quattro elementi principali
(Fig. 275): un anello interno I solidale all'albero rotante, un anello esterno
E solidale all'involucro o ad un altro elemento di supporto, degli elementi intermedi
di rotolamento S (sfere nel caso della Fig.
275) ed una gabbia distanziatrice G, la cui
l
funzione, come facile intuire, unicamente
quella di mantenere equidistanziati tra loro
gli elementi di rotolamento S.
Onde determinare le caratteristiche cinematiche di un cuscinetto a rotolamento, si
supponga ora che i due anelli, quello interno
di raggio r;, e quello esterno di raggio r., ruotino rispettivamente alle velocit angolari w;
ed w. (Fig. 276) e che tra essi siano interposte
ad esempio delle sfere: le velocit dei punti
di contatto fra i due anelli ed una qualsiasi
Fig. 275 - Cuscinetto radiale
delle sfere saranno pertanto date da:
rigido a sfere (SKF)

r;w;

e di conseguenza la velocit del centro G di ogni sfera varr:

Fig. 276 - Velocit degli organi caratteristici di un cuscinetto a rotolamento

Si noti infine che la velocit Va del centro della sfera pari alla velocit periferica della gabbia distanziatrice, per cui la velocit angolare n~ di
quest'ultima varr evidentemenete:

n 9

Va

(r;

+ d/2)

= Were +w;r;
2r; +d

Volendo ora valutare l'entit di quella particolare coppia resistente,


agente sull'anello interno, dovuta al rotolamento delle sfere sui due anelli, si
supponga ad esempio che il carico agente in direzione radiale su di una sfera
valga P; in presenza di attrito volvente le forze scambiate tra sfera ed anelli
non passeranno ovviamente pi per i punti geometrici di contatto ma passeranno, nell'ambito della schematizzazione esposta nel paragrafo 3.13 del l o

378

379

volume, per i punti di E ed I spostati rispetto ai punti geometrici di contatto


di una distanza u pari al parametro di attrito volvente (Fig. 277).
TABELLA V - Coefficiente di attrito equivalente nei cuscinetti
a rotolamento

Tipo di cuscinetto

Cuscinetti
Cuscinetti
Cuscinetti
Cuscinetti
Cuscinetti
Cuscinetti
Fig. 277- Effetto della presenza dell'attrito volvente nei cuscinetti a rotolamento

La forza R scambiata tra sfera ed anelli avr pertanto un'intensit approssimativamente eguale a R = P/ cost:, dove t: == arctg(2u/d), e quindi la
forza che la sfera esercita. sull'anello interno possieder una componente in
direzione tangenziale pari a:
2u
T= Ptgt: =-P
d

Ci significa in definitiva che, per contrastare l'effetto dovuto alla presenza dell'attrito volvente, deve essere applicata all'anello interno una coppia
di intensit C; pari a:
2u
C;

=T . r; = dr;P

a sfere o a rulli oscillanti


a rulli cilindrici
reggispinta a sfere
radiali a sfere
a rulli conici e a botte
a rullini

!.
0,0010
0,0011
0,0013
0,0015
0,0018
0,0045

Quella ora valutata non per l'unica fonte di dissipazione di energia


meccanica presente in un cuscinetto a rotolamento; si possono ritrovare infatti anche dissipazioni di energia per effetto delle resistenze di attrito dovute
allo strisciamento delle sfere contro la gabbia distanziatrice, per effetto dei
fenomeni di isteresi nel materiale e per effetto di una resistenza addizionale
al moto dovuta ad una eventuale eccessiva quantit di lubrificante all'interno
del cuscinetto. A causa della complessit e della variet delle singole azioni
presenti, la resistenza complessiva al moto per un cuscinetto a rotolamento
viene di solito espressa introducendo un coefficiente di attrito equivalente fe
che tenga conto di tutte le cause di dissipazione ed il cui valore solitamente
ricavato con metodi sperimentali.
Alcuni valori medi del coefficiente di attrito equivalente riscontrabili nei
principali tipi di cuscinetti utilizzati nella pratica sono riportati nella Tabella
V, ed in base a questi valori si potr calcolare l'entit Gr della coppia resistente
agente sull'anello interno mediante la:

e che, se l'anello interno ruota alla velocit angolare w;, durante il moto di
rotolamento viene dissipata una potenza w, pari a:
dove P1 rappresenta l'intensit del carico radiale agente sul cuscinetto e r; rappresenta al solito il valore del raggio dell'anello interno del cuscinetto stesso.

380

381

11.3 - Tipi di cuscinetti a rotolamento

Le realizzazioni dei cuscinetti a rotola.mento a tutt'oggi esistenti presentano differenti caratteristiche costruttive a seconda del tipo di carico che essi
debbono sopportare (radiale, assiale o misto), dell'entit dE>Jlo stesso, della loro
velocit angolare, dell'ambiente in cui debbono funzionare e dell'accuratezza
di montaggio. Una descrizione particolareggiata di tutti i tipi di cuscinetti a
rotolamento esula dagli scopi del presente volume, per cui ne verranno qui di
seguito analizzati solo i tipi principali.
Cuscinetti radiali rigidi a una corona di sfere. Sono il tipo di cuscinetti rappresentato nella Fig. 275. Essi sono in grado di sopportare un carico assiali
pari a circa il 40 ..;-50% del massimo carico radiale ed ammettono un disallineamento massimo tra gli assi dell'accoppiamento dell'ordine di 0 15'.
Cuscinetti radiali oscillanti a sfere .(Fig. 278-a). Posseggono in genere due
corone di sfere rotolanti e la pista di rotolamento ricavata nell'anello esterno
comune ad entrambe. Grazie a tale accorgimento, questo cuscinetto tollera
piccoli disallineamenti (fino a 230' circa), mentre la sua capacit di carico
assiale pari a circa il 25% di quella radiale.
a)

bJ

tale da presentare la direzione del carico agente sulla sfera obliqua rispetto
all'asse del cuscinetto. Entrambi i tipi sono in grado di sopportare carichi
assiali anche elevati, con la differenza che, mentre il cuscinetto ad una corona
di sfere pu sopportare un carico assiale diretto in un solo verso, il cuscinetto
a due corone di sfere pu sopportare un carico assiale agente in entrambe le
direzioni. In tutti e due i casi infine, i valori del massimo disallineamento
tollerabile dal cuscinetto sono estremamente bassi.
Cuscinetti a rulli cilindrici (Fig. 279-a). Sono cuscinetti adatti a sopportare
elevati carichi radiali ad alta velocit di rotazione. I rulli sono in genere guidati
dai bordini esistenti su uno dei due anelli, mentre l'altro ne normalmente
privo, e ci consente quindi un piccolo spostamento relativo degli anelli in
direzione assiale. Si possono ritrovare nelle applicazioni anche casi di cuscinetti
a rulli cilindrici dotati di bordini di guida su entrambi gli anelli, e tali cuscinetti
possono di conseguenza guidare l'albero in direzione assiale a condizione per
che gli ::;forzi agenti in tal senso siano molto piccoli.
a)

C)

Fig. 279- Cuscinetto a rulli cilindrici (a) e cuscinetto oscillante a rulli (b) (SKF)
Fig. 278- Cuscinetti radiali a sfere oscillanti (a) e cuscinetti obliqui (b e c)

Cuscinetti obliqui a sfere. Possono essere a una (Fig. 278-b) o a due (Fig.
278-c) corone di sfere. In essi le piste di rotolamento sono r~cavate in m od o

Cuscinetti oscillanti a rulli (Fig. 219-b). Sono costituiti da due corone di


rulli che rotolano su una pista sferica comune ricavata nelranello esterno.
Essi possono quindi tollerare un certo disallineamento (fino a l o 30') e possono

382

383

resistere anche a carichi assiali di intensit contenute entro un valore limite


pari a circa il 30% di quella del carico radiale massimo.

a)

Cuscinetti a rulli conici (Fig. 280). Questi cuscinetti vengono usati in tutte
quelle applicazioni caratterizzate dalla presenza di carichi assiali e radiali di
forte intensit; essi sono normalmente montati in coppia in modo da poter
sopportare spinte assiali nei due sensi ed importante osservare che, per
ottenere un funzionamento cinematicamente corretto, le generatrici e l'asse dei
rulli conici debbono necessariamente incontrarsi in uno stesso punto situato
sull'asse del cuscinetto.

Fig. 281- Cuscinetti reggispinta a sfere a semplice effetto ad anelli piani (a) e ad
anelli sferici (b)

a)

b)

Fig. 280 - Cuscinetti a rulli conici

Cuscinetti reggispinta a sfere a semplice effetto. Possono essere ad anelli piani


(Fig. 281-a) oppure ad anelli sferici (Fig. 281-b), ed in quest'ultimo caso
consentono piccoli disallineamenti degli assi dell'accoppiamento. chiaro poi
che entrambi questi cuscinetti possono resistere a spinte assiali dirette in un
solo verso, e che inoltre es.si non sono in grado di sopportare carichi radiali.
Cuscinetti reggispinta a sfere a doppio effetto. Sono simili ai precedenti, ma
posseggono due corone di sfere anzich una e riescono pertanto a sopportare
spinte assiali dirette in entrambi i versi. Anche questi cuscinetti possono avere
anelli piani (Fig. 282-a) od anelli sferici (Fig. 282-b ).
Cuscinetti reggispinta oscillanti a rulli sferici (Fig. 283). Posseggono una corona di rulli posti obliquamente e rotolano su due piste sferiche, presentando

Fig. 282- Cuscinetti regggispint.a a sfere a doppio effetto ad anelli piani (a) e ad
anelli sferici (b)

384

385

cos una elevata capacit di autoallineamento. Questi cuscinetti possono infatti tollerare disallineamenti fino a circa 3 e sono in grado, contrariamente ai
cuscinetti reggispinta precedentemente esaminati, di sopportare anche discreti
carichi radiali.

Cuscinetti a rullini. Sono utilizzati ogni qualvolta vi sia uno spazio limitato
per l'installazione del cuscinetto, e sono costruiti normalmente per sopportare
carichi radiali (Fig. 284-a); esistono tuttavia anche cuscinetti reggispinta a
rullini (Fig. 284-b), ma in essi, contrariamente a quanto accade in tutti gli
altri tipi di cuscinet-ti fin qui esaminati, il moto relativo tra rullini ed anelli
un moto di rotolamento puro solo in corrispondenza di un ben determinato
raggio, mentre in tutti gli altri punti di contatto si in presenza di velocit
relative di strisciamento diverse da zero.

11.4- Vita di un cuscinetto e carico sopportabile durante il funzio-

namento

Fig. 283 - Cuscinetti reggispinta oscillanti a rulli sferici


a)

b)

Fig. 284 - Cuscinetti a radiali (a) e reggispinta (b) ( Torrington Company)

Si consideri ora un generico cuscinetto e si supponga che esso sia sottoposto all'azione di un certo carico: chiaro che tutte le volte in cui un organo
intermedio di rotola.mento (sfera. o rullo) passa nella zona di applicazione del
carico, l 'elemento stesso ed i pun ti degli anelli con i quali esso viene a contatto
sono sottoposti ad una sollecitazione locale.
Gli elementi costituenti il cuscinetto vengono perci sottoposti ad una
serie di sollecitazioni variabili nel tempo per cui il cuscinnetto stesso, dopo una
vita pi o meno lunga a seconda delle sue condizioni di carico e di funzionamento, soggetto ad una rottura per fatica, o ra.ggiunge una usura eccessiva.
Se si analizza. poi un grande numero di cuscinetti uguali tra loro e li
si sottopone tutti ad urta prova di durata effettuata nelle stesse identiche
condizioni, si pu constatare che non tutti i campioni presenteranno rotture
per fatica dopo uno stesso numero di cicli di funzionamento, ma che questo
limite varier molto da esemplare ad esemplare. Ci nonostante si in grado
di effettuare dei calcoli sulla vita di un cuscinetto, in quantG si osservato
che il comportamento dei cuscinetti sottoposti alla prova di durata standard
raffigurabile -mediante il grafico della Fig. 285; in esso Lm rappresenta una
vita media, definita come quel numero di cicli per cui nelle condizioni standard
della prova funziona ancora il 50% dei cuscinetti prima di presentare rotture
per fatica, L rappresenta un valore generico della vita dei cuscinetti stessi e (
la percentuale di questi che ha presentato in corrispondenza ad essa rotture
per fatica. Una volta nota la vita media di un tipo di cuscinetto, si di
conseo-uenza
in oa-rado di ricavare una correlazione fra percentuale di cuscinetti
o

386
rotti per fatica e numero di cicli di funzionamento. Si pu infatti osservare ad
esempio che per una vita L pari a l, 5Lm si sar rotto circa. il68% dei cuscinetti,
mentre solo il 10% degli stessi risulter danneggiato dalla fatica per una vita
pari a 0,2Lm. Proprio quest'ultimo valore, ossia il numero di cicli per cui
pu funzionare il 90% dei cuscinetti prima che inizino ad insorgere evidenti
fenomeni di fatica, viene indicato come vita nominale del cuscinetto in esame
nelle condizioni di funzionamento considerate, ed assunto come durata del
cuscinetto stesso nei calcoli del progetto.

387
cuscinetto radiale, come il carico radiale corris.pondente alla vita nominale di
un milione di cicli nel caso in cui l'anello interno sia rotante, quello esterno
fisso e la direzione del carico sia costante nel tempo; per un cuscinetto reggispinta, invece, il coefficiente di carico C rappresenta pi semplicemente il
valore del carico asSiale corrispondente alla vita nominale di un milione di
cicli del cuscinetto stesso.
In base alla (2.204) si pu allora dedurre che per un carico P, diverso
da C, ma applicato con le stesse modalit, la vita del cuscinetto, espressa in
milioni di cicli, data da:

100

80

60
40
20

/:/

(2.205)

mentre la sua durata Lh, espressa in ore di funzionamento, risulter ovviamente pari a:

(2.206)

1.0

1.5

2.0

L/Lm

2.s

Fig. 285 - Percentuale di cuscinetti danneggiati per fatica in funzione della vita, per
prove effettuate in condizioni sta.nda.rd

Tutte le considerazioni sinora svolte si riferivano ad un ben determinato


tipo di cuscinetto sottoposto all'azione di un ben determinato carico di intensit pari ad esempio a P1. Se poi, nota la vita L1 (in milioni di cicli) di un
cuscinetto sottoposto all'azione del carico P1 , si vuole determinare la vita L2
dello stesso cuscinetto quando venga sottoposto all'azione di un carico pari ad
esempio a P2, si pu utilizzare la relazione espressa da:

dove n rappresenta il valore della velocit angolare relativa tra i due anelli
espressa in giri/min.
Se il carico agente sul cuscinetto applicato secondo le modalit prima
viste, la (2.205) permette di calcolare, in base al valore di P, la vita nominale
del cuscinetto in esame; se per il carico non soltanto radiale od assiale, ma
possiede una componente in entrambe le direzioni, oppure se l'anello esterno
rotante, si deve introdurre al posto di P nella (2.205) un carico equivalente
P, 9 cos definito:
a) Per cuscinetti radiali:

Peq

= X V Pr + Y Pa

dove:
(2.204)

Pr

dove a un coefficiente che assume un valore pari a 3 per i cuscinetti a sfere


e pari a 10/3 per i cuscinetti a. rulli. Per definire la capacit di carico di un
cuscinetto, si introduce pertanto un coefficiente di carico C definito, per un

Pa
X

= carico radiale effettivo costante,


= carico assiale effettivo .costante,
= coefficiente radiale,
= coefficiente assiale,

389

388

= fattore di rotazione;

i coefficienti X and Y dipendono dal tipo di cuscinetto e dal valore del rapporto
Pr 1Pa, mentre V un fattore di rotazione che normalmente viene posto uguale
a 1 per anello esterno fisso e uguale a l, 2 per anello esterno rotante.
b) Per cuscinetti assiali a sfere:

in quanto questi cuscinetti non sono in grado di sopportare alcun carico radiale.

carico equivalente gravante su di esso. Si deve per tenere ancora conto di due
fattori che possono ridurre la durata del cuscinetto, e precisamente: la presenza di urti e vibrazioni durante il funzionamento e la temperatura assoluta
dal cuscinetto durante il funzionamento stesso; Della presenza di eventuali
urti si tiene conto moltiplicando il valore del carico equivalente calcolato in
condizioni di regime per un fattore di carico /d il cui valore dipende dal tipo
di applicazione a cui il cuscinetto destinato. Per macchinari che diano luogo
ad urti di piccola intensit !d varia tra l, 2 e l, 5, mentre per macchinari in cui
insorgono forti urti !d assume valori maggiori, e compresi in genere fra 2 e 3.
Dell'effetto di temperature elevate si tiene conto invece moltiplicando
il coefficiente di carico C per un coefficiente c, minore di l, i cui valori, per
cuscinetti a rotolamento normali, sono ricavabili dal grafico della Fig. 286.

c) Per cuscinetti assiali oscillanti a rulli sferici:

1.0

Peg

= Pa + l,2Pr

In tali cuscinetti tuttavia Pr deve essere sempre inferiore a O, 55 P.


Sovente poi, il carico che a.gisce su di un cuscinetto non ha intensit
costante, ma variabile nel tempo. Se allora Pl> P2, ,Pn sono i carichi di
intensit costante agenti rispettivamente per N 1 , N2, .. ,Nn giri, il carico di
intensit costante Pm equivalente alla successione di carichi variabili dato
da:
Pm

, PfN1 + P?N2 + + P;Nn


N
N1 + N2 + + n

mentre nel caso particolare che la velocit angolare del cuscinetto sia costante
ed il carico vari nel tempo con una legge all'incirca lineare, mantenendo per
invariata la sua direzione, il carico medio equivalente agente sul cuscinetto
approssimabile mediante la:
_ Pmin + 2Pmax
Pm 3

dove Pmin e Pmax indicano rispettivamente i valori minimo e massimo del carico
stesso.
1Iediante i procedimenti ora esposti si dunque in grado di calcolare la
vita del cuscinetto, una volta noti i valori del suo coefficiente di carico e del

Ca.

0.8

--

0.6

-.........

-- r--

-r--

0.4

0.2

40

60

BO

100

120

140

160

180

200

220

240

260

280

TCc)
Fig. 286 - Variazione del coefficiente di carico con la. temperatura

Si considerato finora il caso di un cuscinetto in moto; quando invece


un cuscinetto non ruota. o comunque compie unicamente piccole oscillazioni
attorno ad una posizione di riposo, ovvio che il valore del carico gravante sul
cuscinetto non deve essere tale da produrre eccessive deformazioni nelle piste
di rotolamento, e perci ogni cuscinetto caratterizzato da un coefficiente di
carico statico Cn, che rappresenta per l'appunt.o il massimo valore del carico
sopportabile in condizioni statiche.
A conclusione di quanto ora esaminato, viene qui riportata una tabella.

390

391

originariamente approntata dalla casa costruttrice SKF, indicante i valori della


durata di funzionamento in ore raccomandata per i vari tipi d applicazioni
dei cuscinetti a rotolamento.
TABELLA VI - Durata in ore di funzionamento raccomandata per diversi tipi di applicazioni di cuscinetti a rotolamento

Tipi di macchine

Durata in ore
di funzionamento
Lh

Strumenti ed apparecchi di impiego saltuario:


Apparecchi dimostrativi, meccanismi per manovra di porte
scorrevoli ..................................................

500

Macchine funzionanti per brevi periodi o saltuariamente il cui


arresto accidentale non ha eccessiva importanza:
Utensili a mano, paranchi per officine, macchine a mano in
gene~e, macchine agricole, gru per montaggio, apparecchi domestiCI .....................................................

4000-8000

Macchine ~er funzionamento intermittente il cui arresto accidentale a evitare:


Macchine ausiliarie per produzione di energia, trasportatori
continui, gru per depositi, ascensori, macclme utensili ausiliarie .......................................................

8000-12.000

Macchine per funzionamento intermittente di 8 ore al giorno:


Motori elettrici fissi, ridut.tori in genere .....................

12.000-20.000

.Macchine per funzionamento continuo di 8 ore al giorno:


Macchine per l'industria meccanica in genere, gru parco deposi ti, ventilatori, contralberi ...............................

20.000-30.000

Macchine per funzionamento continuo (24 ore al giorno):


Separatori centrifughi, compressori, pompe, elevatori per miniere, motori elettnci fissi; macchine per funzionamento continuo su navi da guerra .....................................

40.000-60.000

Macchine per~unzionamento continuo di 24 ore al giorno per


le quali si ric .iede assoluta sicurezza di funzionamento:
Macchine per la fabbricazione della cellulosa e della carta,
macchine per la produzione di energia per servizio pubblico,
Rompe per miniere 1 impianti per acque.d_otti, macchine per
unzwnamento contmuo su navi mercant1h ..................

100.000-200.000

11.5 - Cuscirletti a strisciamento


I cuscinetti a strisciamento, secondo quanto si gi avuto modo di
anticipare, altro non sono che semplici supporti, portanti o di spinta, nei
quali, a causa dell'assenza di elementi meccanici intermedi come le sfere od
i rulli dei cscinetti a rotolamento, il moto relativo tra albero e supporto
esclusivamente un moto di strisciamento.
I cuscinetti a strisciamento, pur potendo in talun casi presentare un
funzionamento a secco (ci avviene ad esempio quando le applicazioni cui sono
destinati sono caratterizzate da carichi di modesta entit o da moti relativi a
bassa velocit o intermittenti), funzionano, nella grande maggioranza dei casi,
in presenza di un opportuno lubrificante avente lo scopo percipuo di attenuare
i fenomeni dovuti all'attrito e quindi di diminuire in definitiva i valori della
potenza dissipata dall'accoppiamento.
Tale lubrificante, poi, pu esplicare la sua funzione secondo differenti
modalit, ed a questo proposito vengono di solito distinti nelle applicazioni
pratiche tre tipi di lubrificazione e precisamente:

a) lubrificazione idrostatica;
b) lubrificazione i:drodinamica;
c) lubrificazione limite.
Nella lubrificazione idrostatica il lubrificante (e come tale pu essere
usata anche l'aria) viene introdotto nella zona di carico del cuscinetto ad
una pressione di valore tale da poter mantenere separate le superfici dei due
elementi dell'accoppiamento anche in assenza di moto relativo fra gli elementi
stessi.
Anche nella lubrificazione idrodinamica le due superfici in moto relativo
si trovano separate da uno strato sufficie!ltemente spesso di lubrificante; in
questo caso per lo spessore dello strato non dipende dall'introduzione di
lubrificante a pressione elevata, ma dipende-essenzialmente dal moto relativo
delle due superfici. L'effetto del moto relativo infatti quello d sospingere il
lubrificante in opportune zone a sezione variabile (dette meati) comprese fra
le due superfici dell'accoppiamento, con una velocit sufficientemente elevata
in modo da creare cos la pressione necessaria ad equilibrare il carico esterno
ed a mantenere separati ralbero ed il cuscinetto.
n caso della lubrificazione mista (o limite), infine, quello in cui, per

393

392
effetto di un carico troppo elevato o di una troppo piccola velocit relativa
tra gli elementi dell'accoppiamento, non si possono raggiungere le condizioni
necessarie allo stabilirsi di un regime di lubrificazione idrodinamica, e ci si
ritrova pertanto in presenza di un parziale contatto metallico tra albero e
cuscinetto.
Nei sucessivi paragrafi verranno esaminati per primi i cuscinetti con
lubrificazione idrodinamica, che costituiscono il caso pi comune di cuscinetti
a strisciamento, mentre successivamente verranno esaminati i cuscinetti con
lubrificazione idrostatica e limite.
Nei cuscinetti a strisciamento, la propriet del lubrificante fondamentale, che ne determina le caratteristiche di funzionamento, la viscosit, che
stata definita nel paragrafo 3.6 del volume l.
tuttavia opportuno ricordare che la scelta di un lubrificante non va
effettuata esclusivamente in base aj valori della sua viscosit, ma che vanno
generalmente tenute in conto anche altre sue caratteristiche, quali ad esempio
l'acidit, la resistenza chimica, il punto di ebollizione, la resistenza a formare
schiume, il calore specifico, la conducibilit. termica, e cos via.

g) lo strato .del lubrificante presente tra i d'ue elementi in moto relativo sia
cos sottile da consentire di trascurare la curvatura degli stessi;
ed infine che:
h) in ogni sezione normale alla direzione della velocit del fluido la pressione
si mantenga costante.
Di tutte queste assunzioni, alcune sono pienamente giustificate dal comportamento del fluido in esame, mentre altre, a cominciare dall'ipotesi di viscosit. costante, sono valide solo in prima approssimazione (si tenga ad esempio
presente per quanto concerne la viscosit, che si in generale in presenza di
variazioni di temperatura nel fluido lungo il meato e che di conseguenza varia
anche la viscosit del fluido stesso). Ci nonostante, i risultati teorici ottenuti sulla base delle ipotesi prima elencate sono generalmente abbastanza ben
verificati nella pratica, ed essi pertanto possono fornire una sufficientemente
valida spiegazione dei fenomeni riscontrati.

11.6 - Equazione di Reynolds


Per ottenere in modo semplice una relazione fra le varie grandezze in
gioco nei supporti lubrificati, relazione che torner utile per risolvere numerosi
problemi concernenti la lubrificazione idrodinamica e quella idrostatica, conviene formulare alcune ipotesi semplificative, che, peraltro, sono normalmente
pi che accettabili nei problemi relativi alla lubrificazione.
In particolare, verr supposto che:
a) il lubrificante sia un fluido newtoniano;
b) il lubrificante sia un fluido incompressibile (ossia a densit costante);
c) la viscosit del lubrificante si mantenga costante lungo tutta la zona
interessata deli 'accoppiamento;
d) gli effetti dovuti all'inerzia del fluido siano trascurabili;
e) il peso del lubrificante sia trascurabile;
f) il moto del fluido sia laminare;

(H~dy)~x

~~

l-(P+ ~~

dx)dy

T. d x

il
Fig. '287 - Equilibrio di un elemento di fluido

Si consideri dunque il caso semplice di due elementi in moto relativo


l'uno rispetto all'altro e si supponga ad esempio che le loro superfici non
siano parallele (Fig. 281) e che l 'elemento inferiore trasli con una velocit

395

394

costante V. Se si analizza ora un elemento infinitesimo di fluido di larghezza


unitaria, lunghezza dx e spessore dy, si pu osservare che sulle due facce normali alla direzione del moto agiscono le forze per unit di larghezza p. dy e
- (P+

~~ dx) dy dovute alla pressione, mentre sulle due facce laterali agiscono

le forze per unit di larghezza -Tdx e (T+

~: dy) dx dovute alle azioni tangen-

ziali originate dalla presenza della viscosit. Scrivendo allora una equazione di
equilibrio alla traslazione secondo l'asse x dell'elemento di fluido considerato
si avr:
pdy - (p +

~~ dx) dy -

Tdx

+ (T + ~; dy)

dx

=O

per cui si otterr in definitiva:


(2.208)

l dp
(h- y)
u= - - ( y - h ) y + V - 2p. dx

dove, si noti, l'altezza h di una generica sezione del meato non costante, ma
normalmente variabile lungo l'asse x del moto stesso.
Volendo ora eliminare la variabile u della. (2.208) ed ottenere una relazione tra le sole grandezze note del problema in esame, basta osservare che la
portata in volume di fluido per unit di larghezza del meato in una generica
sezione di altezza h da.ta da.:

da cui si otterr in definitiva:


(2.207)

{)p _

8T

{)x -

{)y

Poich la pressione, sulla. base di una delle ipotesi assunte, si mantiene


costante lungo y, si pu sostituire alla. derivata parziale della. pressione lungo
x la sua. derivata. totale e, sempre dalla (2.207), si otterr. ancora., in base alla
(1.55):
dp
{) 2u
d x =p. {)y2

Integrando ora. questa equazione rispetto a.d y si ha:


8u
l dp
-{)y
= --y+fl(x)
,u dx

ed integrando ancora una volta si a.vr:

dove fl(x) ed h(x) sono due funzioni che dipendono dalle condizioni ai limiti;
nell'ipotesi in cui l'angolo formato tra le superfici in moto relativo sia piccolo,
tali condizioni, relativamente al caso in esame, sono date da:

u= V

per y =O

u=O

per y =h

1
h

u Y

per cui si ricava in definitiva che:


(2.209)

Vh
2

h3 dp
12,u dx

= -.- - - ..

dp _-6,:tV'(.~'=2q)
- 1-dx
h2" ~ . Vh

Questa relazione, che collega tr loro il gradiente di pressione dpfdx esistente nel fluido, la velocit V della. parete mobile, la. portata. in volume q e
l'altezza generica h della sezione a cui queste grandezze si riferiscono, costituisce l'equazione di Reynolds(*) nella sua forma pi semplice, ossia relativa
ad un caso di moto bidimensionale del fluido nel piano xy, ed una espressione simile pu essere ovviamente ricavata nel ca.so pi generale di un moto
tridimensionale.
Nella (2.209) il rapporto 2q/V una. costante poich, essendo per ipotesi
il fluido incompressibile, la portata. q evidentemenete costante in tutte le
sezioni; questo rapporto ha le dimensioni di una. lunghezza e l'equazione di
Reynolds pu perci essere anche scritta. sotto la. forma:
(2.210)

dp
dx

= 6p.~
h-

(1- h*)
h

(*)Fu appunt.o Osborne Reynolds nell886 a derhare la present.e equazione e ad utilizzarla per la
spiegazione dei principali fenomeni riscontrat.i nella lubrificazione.

397

396
dove evidentemente: h

= 2qfV.

11.7- Applicazione dell'equazione di Reynolds ad alcuni casi elementari


Si consideri, quale primo esempio applicativo di quanto finora esposto,
un pattino dotato di uno scalino di spessore e (Fig. 288) che si muove di moto
traslatorio con velocit V relativamente ad una superficie piana, e si supponga
sia ad allungamento infinito, ossia che il rapporto tra la sua larghezza e la sua
lunghezza sia molto grande e tale comunque da consentire di trascurare gli
effetti laterali.

meato costante, la derivata della pressione rispetto a :r costante;


b) poich la pressione a sua volta necessariamente uguale alla pressione esterna (posta a zero) all'inizio ed alla fine del pattino, ne consegue
che all'interno del meato si deve avere un primo tratto a pressione crescente
seguito da un secondo tratto a pressione decrescente;
c) il valore massimo della pressione Pm si otterr in corrispondenza dello
scalino e, in base alla (2.210), esso varr:

(2.211)

d) dovr infine essere ovviamente soddisfatta la condizione geometrica:

(2.212)

Si supponga ora di assegnare il valore dello spessore minimo del meato


h 2 e di voler determinare i valori della massima pressione Pm e del carico totale
P sopportabile dal pattino, nell'ipotesi che la sua larghezza sia. l. Dalle (2.211)

e (2.212) si ricava. dopo alcune semplici operazioni:

6J.LVabe

Pm

= ah~+ b(h2 + e) 3

mentre il carico totale P sar da.to a. sua. volta. da:

l.

Fig. 288 - Pattino piano con gradino

Osservando la Fig. 288 si pu constatare che il pattino forma con la


sede fissa. un mea.to costituito da. due tratti a. spe<;sore costante h1 ed h2 , e ci
conduce alle seguenti considerazioni:
a.) dall'equazione di Reynolds (2.210) si ricava che, se lo spessore h del

P=l

a+b

l
p(x)dx=l-(a+b)pm

e quindi da:
P= 3~Vab(a+b)le
ah 2 + b(h2 + e)3

Quale secondo esempio, si consideri il caso di un pattino piano che formi


un meato a spessore costante h. che avanzi con velocit costante V e nel quale

399

398

venga immessa una portata di fluido per unit di larghezza pari a q (Fig. 289).
Anche in tal caso ancora possibile ottenere lungo il meato un gradiente di
pressione dpjdx diverso da zero, poich le portate di fluido all'interno del
primo e del secondo tratto sono differenti tra loro. Si ha dunque, utilizzando
la (2.209):
Pm
a

= 61tV2

( 1-

{ _Pm
b

= 6J.LV2
h

2ql)
Vh
1- 2q2)
Vh

caso precedente:
P= l

a+b

1
o

p(x)dx

(a+ b)
=1--pm
2

e da questa si otterr la relazione:


6J.Lablq
P
- -h3 -

relazione che fornisce il legame esistente tra il valore del carico P sopportabile
dal pattino ed i valori delle grandezze ca.ra.tteristiche dell'accoppiamento.

ed essendo il fluid<? incompressibile, si avr inoltre:


11.8 - Cuscinetti reggispinta lubrificati

Fig. 289- Pattino piano con immissione intermedia di lubrificante

Cos come i cuscinetti a. rotolamento, anche quelli a strisciamento possono essere di tipo portante e reggispinta, ed in quest'ultimo caso essi sono
realizzati, nella loro versione pi semplice, accoppiando un anello fissso E, che
porta un certo numero di pattini S rettilinei inclinati (Fig. 290), con un anello
rotante R, detto ralla, solidale all'albero e coassiale con quello fisso. Entrambi
gli anelli sono immersi nel lubrificante, e questo viene immesso nel loro interno
utilizzando appositi fori posti nelle scanalature esistenti tra i vari pattini. ll
carico PT, applicato lungo l'asse dell'accoppiamento, viene pertanto ad essere
euiqlibrato dalla risultante delle pressioni originate nel lubrificante dalla presenza dell'effetto idrodinamico dovuto al moto relativo della ralla e dell'anello
fisso.
I cuscinetti reggispinta cos costruiti prendono il nome di cuscinetti Michell e le loro prestazioni vengono generalmente ricavate supponendo che il
carico totale PT sia ugualmente suddiviso fra i vari pattini, ed ipotizzando
inoltre che la distribuzione di pressione lungo ogni pattino sia uguale a quella
realizzata da due elementi rettilinei aventi la stessa geometria e animati di
moto traslatorio con velocit pari alla velocitf periferica media:

Da queste espressioni si ricava facilmente il valore della pressione massima, valore dato da:
l2J.Labq

Pm

= (a+b)h3

Se inoltre il carico totale P e la larghezza del pattino l. si avr, come nel

Ogni pattino pu dunque essere schematizzato secondo quanto indicato dalla


Fig. 291; la lunghezza l che i vi compare sar ovviamente pari a (d 1 : d 2 ),

400

401

dove 1 (Fig. 290) l'angolo di apertura di ogni pattino, mentre la sua larghezza in senso normale alla figura sar data da b (d 2 - d1)/2. n rapporto

Sulla base di questa relazione e ricordando che k9 pari normalmente a circa


0,8, che la pressione media Pm in genere compresa tra 3 e 4 MPa e che
il valore del diametro d 1 solitamente di poco superiore a quello dell'albero
dell'accoppiamento, si potr in definitiva determinare il diametro esterno del
cuscinetto una volta. che sia nota l'entit del carico totale Pr agente su di
esso.

y
Fig. 291 - Schematizzazione di un pattino di un cuscinetto Michell

Fig. 290 - Schema di cuscinetto reggispinta Michell


tra larghezza e lunghezza del pattino prende il nome di allungamento del
pattino stesso, ed naturalmente pari a:

Al_ fin_e_ di _v:a.l_ut_ar~ ora la ~apacit portante di un cuscinetto quando


siano assela~_kue_.ill_m_ensionLecl tlpo -di lubriflc~il:te__im:Qigat!,), si inizi
col co-nsiderare il caso ideale di un.pattino.ad.allungamento infinito, ossia di un
pattino in cui sia sufficientemente grande e tale da consentire di trascurare
le fughe laterali di lubrificante. In questo caso dalla equazione di Reynolds
(2.210) si ha:
(2.213)

Prima di procedere al calcolo della distribuzione delle pressioni lungo


il pattino, conviene soffermarsi su alcune considerazioni utili al dimensionamento di massima dei cuscinetti Michell. Indicando con k9 la frazione di
circonferenza occupata dai pattini, la. pressione media agente su di essi pari

dp= 6,uV ( hl 2

h*)
h dx
3

dove lo spessore h delmeato ora una funzione di x e vale (Fig. 291):


(2.214)

a:
Pm

4Pr
k
(d'
iT g 2 - d')
i

Per ottenere le condizioni al contorno del problema basta osservare che la


pressione esistente nelle sezioni iniziale e finale del pattino, pari alla pressione

402

403

che regna nell'ambiente in cui si trova il cuscinetto, costituisce per l'accoppiamento in esame una pressione di riferimento e che quindi, essendo per ipotesi
il fluido incompressibile, essa pu essere posta pari a zero. Sar pertanto:

ed in base allei (2.215) si otterr:


p= 6ttVb/

(2.216)
p=

{ p=O

per

x= O

per

x= l

Integrando allora la (2.213), dopo aver sostituito in essa il valore di h


dato dalla (2.214), e tenendo conto delle condizioni al contorno sopra scritte,
si ottiene la relazione:
(2.215)

h~

(-1-)
-l

[In

_ 2(( -l)]
. +l

dove non rappresenta altro che il valore del rapporto hl/h 2 L'ascissa x 0 del
punto di applicazione della forza risultante delle azioni di pressione sar a sua
volta data da:

(2.217)

xo

f~ p(x)x dx
J~ p( x) dx

/(( 2 - l- 2(ln()
2((( - l)ln(- 2((- 1)2)
2

mentre la forza tangenziale agente sul pattino e dovuta alla viscosit del fluido
sar evidentemente pari a:

relazione che fornisce l'andamento della pressione all'interno del meato considerato.
In base alle (2.213) e (2.215) il valore massimo della pressione ali 'interno
del fluido viene raggiunto in corrispondenza dell'ascissa:
x

Fr

(2.218)

ed dato da:

3(~-1)

2_!_

_!_

+ l)

h2 h2
Dall'espressione dell'ascissa del punto di pressione massima si pu osservare
che ad a: = O corrisponde x = //2 e che all'aumentare di a: il punto stesso
tende a spostarsi verso ascisse di valori sempre maggiori di 1/2.
In condizioni di equilibrio il carico P agente su ogni pattino deve essere
necessariamente uguale alla risultante delle forze di pressione, per cui sar:

P. _ Ph 2 2(( 2 - l)ln(- 3((- 1) 2


T l
3(( + l)ln(- 6((- l)

Le (2.216), (2.217) e (2.218) sono espressioni abbastanza complesse per


quanto concerne l'uso pratico, e pertanto vengono normalmente riscritte in
modo pi conciso facendo comparire in esse tre coefficienti adimensionali cp, cm
e c1 , funzioni unicamente del rapporto ( = hifh 2 , e pi precisamente esse
appaiono S6tto la forma:
ttVbz2
P =-h2 Cp
'2

(2.219)

P=blp(x)dx

dx
y=O

In questa espressione al valore di 8uj8y pu essere sostituito quello ottenibile


dalla (2.208) per cui si avr in definitiva:

+ad)/
= (h2
2h2 +a:/

ttVI
Pmax = };2
h (h
2

=b lot r(x)dx = btt lo( (~u)


Y

404

405

mentre i valori dei tre coefficienti cp, cm e CJ in funzione di ( sono riportati


nel diagramma della Fig. 292. Si noti ora che dalla terza delle (2.219) si pu
calcolare anche il valore della potenza W dissipata per attrito in ogni pattino,
in quanto essa vale:

0.18
Cp

0.16

0.14

0.12

0.10

0.9

\"

Cj
Cm

0.8

cj_ ~ \

i v b K ---t-r-Z r-- ,_
v

0.6

""'

0.08

""'"

0.0 6
0.0 4 o

0.7

........

e pari a:

Q=Vb~
hl+ h2

Fino a questo punto del calcolo si implicitamente ipotizzato, facendo riferimento alla Fig. 291, che fosse nota l'inclinazione a del pattino, ma gli stessi
ragionamentio effettuati valgono anche nel caso in cui si abbia un cuscinetto
a pattini orienta.bili, ossia un cuscinetto realizzato con pattini incernierati in
un ben determinato punto della loro lunghezza (Fig. 293). In questo caso
l'angolo di inclinazione a del pattino durante il funzionamento s incognito,
ma per contro noto il punto di applicazione della forza agente sul pattino
(cio la cerniera, ed di conseguenza noto il valore di c,; le prestazioni di un
tale tipo di cuscinetto possono pertanto essere ricavate usufruendo dapprima
dei grafici della Fig. 292 ed utilizzando poi le (2.219).

o.s
0.4

'~

0.3

~
9

0.2
10

~=h,/h2

Fig. 292- Coefficienti Cp, Cm e CJ in funzione del rapporto (


pattino ad allungamento infinito

hdh2 nel caso di

Sulla base poi dell'entit della potenza dissipata per attrito, si pu anche
effettuare un calcolo apprssimato dell'aumento ai temperatura subto dal
lubrificante nel passaggio attraverso il pattino. Supponendo infatti che tutta
la -potenza dissipata vada a riscaldare il lubrificante, ed indicando con p la
densit di questo, con c il suo calore specifico e con Q la portata di fluido in
una generica sezione, si ha:
W= pcQ!j,T

dove !j,T rappresenta il valore dell'aumento di temperatura cercato e dove al


valore della portata Q va sostituito quello rica.vabile dali 'equazione di Reynolds

Fig. 293 - Schema di cuscinetto con pattini orientabili

Tutto ci che stato finora esposto si riferiva, per ipotesi, al caso di un


pattino ideale di allungamento infinito; volendo ricavare le caratteristiche di
un pattino ad allungamento finito va innanzi tutto osserva.to che quest certamente peggioreranno rispetto al caso ideale in quanto la pressione deve in tal
caso essere nulla su tutti e quattro i lati del pattino, e di conseguenza essa assume nei vari punti del pattino stesso valori minori di quelli corrispondenti al
caso di pattino ad allungamento infinito. I valori del coefficiente di pressione
cp da introdurre in un caso reale nella prima delle (2.219) per calcolare il carico sopportabile dal cuscinetto sono riportati nella Fig. 294 in funzione di (e
per diversi valori di A; naturalmente, anche gli altri coefficienti che compaiono

14. JACAZIO-PIOMBO - La trasmissione del moto

407

406
0.16

nelle (2.219) variano al variare di >. e la Fig. 295 riporta infatti il valore
del rapporto c1 /cp in funzione di (per diversi valori di >.. Si qui preferito
riportare l'andamento del rapporto c1 /cp in quanto esso direttamente proporzionale al coeffici~nte di attrito equivalente f del cuscinetto; dalla prima e
dalla terza delle (2.219) si ha infatti:

Cp

0.14

0.12

0.10

f=Fr=CJh2

Cp

0.08
1.0
Cm

0.06

0.9

0.04
0.8

l~

0.02

...,...

0.7

o
o

Fig. 294 - Andamento del coefficiente di pressione

6
Cp

10

~~ ::z:L_
;::;-

0.6

nei pattini ad allungamento finito


0.5

30o

200

~\\

't
Cp

100

80
60

30

20

r-""'
f--1.5 \ '\

o(_\

.........

0.7.\""--.. . . . .

-:~

~l
1

--

...--::

-::?::::.-::~
~

-;:::::::::. ~

.....-- ~ ~

l
l

00~

1--

--

........
10 1--- 2
1
4
\
.
8

Fig. 296 - Andamento del coefficiente

f40

0.4

~ ~l
l

~~

l ~~

~~

l
7

l
9

~ 10

Fig. 295 - Andamento del rapporto cJl Cp nei pattini ad allungamento finito

---a_ &

~ .::;:::::- ---=

5
Cm

10

nei pattini ad allungamento finito

In Fig. 296 invece riportato l'andamento, sempre in funzione dei due


parametri adimensionati ( e >., del coefficiente adimensionato cm che individua
la posizione della.forza risultante delle azioni di pressione, mentre in Fig. 297
sono riportati, in funzione di ( e >., due fasci di curve: quello continuo rappresenta l'andamento del rapporto tra. la. portata. Q che entra nel meato e la
portata. caratteristica v'bh 2 (ed in esso la. curva. corrispondente a>.= oo palesemente quella ottenibile direttamente dall'equazione di Reynolds), mentre
quello tratteggiato indica i valori della portata. QL che fuoiiesce lateralmente
dal cuscinetto, sempre riferita alla portata caratteristica, e sempre in funzione
dei parametri ( e >..

Nella Fig. 298, infine, illustrata. la realizzazione costruttiva dell'anello fisso di un cuscinetto Michell progettato dali 'U .I.I. (Ufficio Impianti

409
408

-a)

----b)

2.51---1---+21---+----1f--

Idroelettrici, Milano), realizzato dall'ASGEN {Ansaldo San Giorgio, Genova),


e destinato a sostenere la girante di una delle turbine Kaplan utilizzate nella
centrale idroelettrica di Jupi in Brasile. Tale cuscinetto sopporta carichi di
intensit pari a 2300 t ed in esso i pattini sono dotati di un particolare sistema
di equilibratura idraulico: ciascuno di essi infatti oscilla attorno ad un punto
solidale ad un pistone idraulico e spostato rispetto al baricentro del pattino
stesso; si riesce cos ad avere l'inclinazione voluta della superficie di scorrimento dei pattini, ed ottenere di conseguenza una corretta formazione del
velo d'olio lubrificante. I pistoni idraulici di tutti i pattini sono poi collegati
tra loro mediante un collettore, visibile nella Fig. 298, che assolve la specifica funzione di garantire l 'uniformit della ripartizione del carico gravante
sull'intero cuscinetto.

11.9 - Andamento
divergente

Fig. 297- Portata entrante nel meato (a) e portata uscente dai lati (b) di un cuscinetto ad allungamento finito

della

pressione

in

un

meato

convergente-

Si consideri ora un pattino dota.to di una superficie sagomata in modo


da formare, rispetto ad una sede piana, un meato costituito da due tratti distinti: un primo convergente ed un secondo divergente (Fig. 299); quando il
y

-v

Fig. 299- Andamento della pressione in un meato convergente-divergente

Fig. 298 - Realizzazione costruttiva di un anello fisso di un cuscinetto Michell (U.I.l.,


Milano; ASCE.-,..', Genova)

410

411

pattino e la sede piana sono in moto relativo tra loro, la pressione varia lungo
il meato secondo quanto stabilito dall'equazione di Reynolds (2.209) ed assume l'andamento individuato dalla curva a) della Fig. 299. La curva teorica
delle pressioni dunque una curva antisimmetrica rispetto al punto centrale
del meato, ed una tale distribuzione di pressioni lungo il meato stesso ottenuta integrando l'equazione di Reynolds nell'ipotesi che sia p= Oper x= oo,
condizione questa che prende il nome di ipotesi di Sommerfeld. Essendo la
distribuzione delle pressioni rappresentata da una curva antisimmetrica,
chiaro che, se nel primo tratto del meato esiste una grande pressione positiva,
esister di conseguenza una altrettanto grande pressione negativa nel tratto
divergente del meato stesso. Va ora osservato, che i fluidi lubrificanti possono
essere sottoposti con continuit solo a pressioni negative molto piccole ( ovviamente in riferimento a quella ambiente); ci significa pertanto che, se la
pressione all'interno del tratto divergente tende ad assumere valori negativi
rilevanti, la corrente fluida si rompe e la pressione rimane pressoch costante
ovunque. Ci corrisponde in pratica ad avere all'interno del meato una distribuzione di pressioni simile a quella indicata dalla curva b) della Fig. 299. La
curva b) ancora ottenuta integrando l 'equazione di Reynolds (2.209), ma ponendo delle condizioni aj limiti differenti da quelle ipotizzate da Sommerfeld,
e precisamente assumendo che sia p = O, per x = -oo e che, per x > O, sia p = O
dove dp/dx = O. Questa condizione ai limiti prende il nome di condizione di
Reynolds ed quella che, in definitiva, consente di calcolare una distribuzione
di pressioni pi aderente a quella verificata sperimentalmente.

11.10 Cuscinetto portante completo

Si consideri ora. un cuscinetto portante lubrificato costituito da un albero di raggio r accoppiato ad una. sede circolare (detta boccola) di raggio R
leggermente maggiore di quello dell'albero, e sia di conseguenza. b = R- r il
gioco radiale. Si supponga inoltre che ali 'albero sia applicato un carico costante
chiaro che se l 'albero fermo, esso appoggia, per effetto del carico
applicato, sulla boccola lungo una sua generatrice; se invece l'albero ruota ad
una data velocit angolare w, esso va a disporsi eccentricamente rispetto alla
boccola in modo da formare un rneato ed originare una relativa distribuzione
di pressioni, la cui risultante serve ad equilibrare il carico esterno applicato.

P:

n problema relativo alla determinazione dell'andamento della pressione


lungo il meato nel caso di un cuscinetto completo (ossia di un cuscinetto che si
estende per tutti i 360) stato risolto per la prima volta da Sommerfeld nel
1904 per il caso di cuscinetto ad allungamento infinito, ossia per il cuscinetto
ideale in cui la lungh.ezza del perno molto maggiore del suo diametro.

Fig. 300 - Schema di cuscinetto portante lubrificato completo

Si consideri allora (Fig. 300) un perno di raggio r e centro 01 in posizione eccentrica rispetto ad una boccola di raggio Re centro 0 2 , e si assuma
come origine degli angoli {) quella individuata da.lla semi retta uscente da 01,
congiungente i centri 0 1 ed 0 2 e corrispondente al massimo spessore del meato.
Se si indica con e l'eccentricit, ossi a la distanza esistente fra i centri 01 e 02,
distanza che sempre molto piccola rispetto ai raggi ,. ed R, lo spessore h del
meato in corrispondenza di una generica sezione allora esprimibile mediante
la:
h= 02P2- 02P1

Essendo per:

=R- OzP1 =R- (0' P1- 020')

412

413

e:

= 0 20 1 cos iJ = e cos iJ

0 2 0'
sar anche:

h= R- r+ ecosiJ

=6 + ecosiJ

e, ponendo e::;::; e/6 si otterr in definitiva:


(2.220)

Dalla (2.220) facile osservare che lo spessore h del meato, massimo


per '19 = O e pari a hmax = 6(1 +e:), diminuisce all'aumentare di iJ, raggiunge
un valore minimo hmin
6(1 -e:) per iJ
1r, e quindi torna ad aumentare
per raggiungere di nuovo il valore h hmax per i} 27r. n meato pertanto
proprio del tipo convergente-divergente descritto nel precedente paragrafo, e la
soluzione del problema quindi ottenibile integrando l'equazione di Reynolds
(2.210) scritta ora sotto la forma:

dp
RdiJ

6pV [ 1

= h2 (iJ)

h* ]
- h(iJ)

ed assumendo come condizione ai limiti la condizione di Reynolds, e cio


ipotizzando che sia:
p
{

e che, per

.'!J

(2.221)

= pLRw(R/6)

= e/6;

tale parametro il

-;rP

dove J.L rapp.resenta al solito la viscosit dinamica del lubrificante, L la lunghezza del perno, w la velocit angolare in rad/s e P l'intensit del carico
applicato all'accoppiamento. Esprimendo la velocit angolare in giri/min (n)
si avr:

h= 6(1 +e: cosiJ)

dato allungamento di questo, del solo rapporto e:


numero di Sommerfeld S, ed definito dalla:

=O per iJ =O

> 1r sia p::::: O nel punto in cui dp/ d{} = O.

La risoluzione dell'equazione differenziale sopra scritta, con le condizioni ai limiti imposte, piuttosto complessa, ed ancor pi complessa la
ris9luzione delle equazioni differenziali che descrivono il moto del fluido in un
cu~cinetto ad allungamento finito. Tali problemi vengono quindi prevalentemente affrontati per via numerica ed i risultati ottenuti sono qui di seguito
esposti ricorrendo all'uso di alcuni grafici.
Dalla risoluzione dell'equazione di Reynolds, si in grado di identificare
un parametro adimensionato, caratteristico del cuscinetto e funzione, per un

= pLRn(R/6) 2
30P

Se invece si esprime la velcoit angolare in giri/s (N) si avr:


S

= 2pLRN(R/6) 2
p

E' bene ancora rammentare che i grafici che sono qui riportati dalla
Fig. 301 alla Fig. 30.5 sono validi esclusivamente per un cuscinetto completo
e sono stati ricavati nell'ipotesi che sia p= O per iJ = O; ci presuppone che
l'immissione di lubrificante avvenga in corrispondenza della sezione in cui
il meato ha la massima altezza (iJ = O). In realt questa evenienza non
sempre verificata anche perch, come si pu osservare dalla Fig. 303, l'angolo
<I> compreso tra la direzione del carico e la congiungente dei centri varia al
variare delle condizioni di funzionamento; ci significa in pratica che anche
se l'immissione di lubrificante avviene per iJ = O in una certa condizione di
funzionamento, essa non avverr pii1 in corrispondenza di v= O per un'altra
condizione di funzionamento diversa dalla precedente.
Ci nonostante, l'immissione di lubrificante avviene nella realt sempre
nell'intorno della posizione iJ = O ed un cuscinetto completo poco sensibile
a variazioni anche di 20 rispetto Cf questa condizione. Se per l'immissione
di lubrificante avvenisse in zone molto discoste dalla linea iJ = O, si dovrebbe
considerare il cuscinetto non pi come completo, ma come un cuscinetto parziale, ed il comportamento di quest'ultimo dovrebbe essere analizzato secondo
le modalit che verranno esposte nel paragrafo successivo.

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0.01

0.02

0.04 0.06

0.1

0.2

0.3

0.5

Fig. 301 - Andamento dell'eccentricit relativa


tante lubrificato completo

E:

0.7

10

20

30

50

70

100

in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto por-

Rf

1000
800
600

./

/A TAl

400)

~/6

200)

10 )
8)
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4)

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0.01

0.02

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........
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v_.............

7
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~ ......

.-1

0.04 0.06

0.1

0.2

0.3

0.5

0.7

10

20

30

Fig. 302- Andamento del parametro Rf /6 in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto portante
lubrificato completQ

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'=-"

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O>

cp(")

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80

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70

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60

50

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40

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30
1-

20

10

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0.02

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0.04 0.06
0.1

..L
0.2

0.3

..1...1.-.J..L--- _.J...__
.._
0.5 0.7
1
2

10

20

30

50

70 100

Andamento dell'angolo <l> in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto portante lubrificato
completo

fJmax

jJ

o
9

l'71

r-t-1 -+1.--11~1L1U11 11L:

l l l l Hl

2:=p,~~~~
0,

0.01

0.02

0.04 0.06

1 1 1 1

0.1

0.2

0.3

1 1 1 1 11

0.5

0.7

1 1 1 1 11
5

10

1
20

1 1 1 1 1 l Il
30

50

70

Fig. a04 - Andamento del rapporto Pmax/Po in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto portante
lubrificato complet.o

100

.!:>......
-l

418

419
o
!2

R
o

LO

.....o
Q)

o.
E

o
.....o
u

"'

oM

(2.222)

.....

.:
.....
....
o
Cl..
.....o
.....
Q)

Nella Fig. 302 viene riportato l'andamento della quantit fR/8 in funzione del numero di Sommerfeld S, dove f sta ad indicare un coefficiente di
attrito definito come rapporto tra la coppia resistente Mr, originata dall'accoppiamento, ed il prodotto del carico applicato P per il raggio R:

"'

(2.223)

Q)

!2
,....

1.0

y v ~v

....
Q)

1/

Cl..
1:1)

-;;l

1/

!/

v
l

1.0

l/

77

d
<O

1/

Cl)

....oQ)
E
~

-;;l

-~
:l

'-

....
Q)

Q)

1/

,....

v:>

/
/

=
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u

"'

;:l

-;;l

-;:;

""~

"'
<=
-;;l

>.t:>

:":

co

<O

od

2R

j == Mr

RP

Si noti che la Fig. 302 valida solo fino a quando il cuscinetto funziona
in regime idrodinamico, ossia finch il gioco minimo esistente fra perno e cuscinetto sufficientemente grande e tale da assicurare la presenza di un velo
continuo di lubrificante. Ove questa condizione venisse a mancare, l'attrito fra
perno e cuscinetto si manifesterebbe con modalit di tipo misto, ed a queste
si far riferimento nel paragrafo 11.15 del presente Capitolo.
ll grafico della Fig. 303 riporta i valori deU:angolo <P, angolo compreso
fra la direzione di applicazione del carico e la direzione individuata dalla congiungente i centri del perno e del cuscinetto, in funzione del numero di Sommerfeld S.
Nella Fig. 304 viene riportato il diagramma del rapporto Pmax!Po in funzione del numero di Sommerfeld S, dove Pmax la massima pressione esistente
nell'accoppiamento e p 0 la pressione caratteristica definita come:
p

Po == 2LR

==-

'"'"

;:::
.o

<.;:::

Tornando ora ai grafici che forniscono le prestazioni di un cuscinetto


completo, si pu osservare che la Fig. 301 riporta il valore dell'eccentricit
relativa e ef in funzione del numero di Sommerfeld S e per diversi valori
dell'allungamento >., definito ora come:

.:9
:::..

La Fig. 305 infine riporta, sempre in funzione del numero di Sommerfeld


S, i valori della portata. adimensionata. ii: che fuoriesce dalle estremit laterali
del cuscinetto e definita come:

421

420

dove al solito N rappresenta i numeri di giri al secondo del perno e Q. la


portata effettiva di fluido fluente delle estremit dell'accoppiamneto.

11.11 - Cuscinetto portante parziale

(')

Un cuscinetto parziale (Fig. 306) , come si gi avuto modo di anticipare, un cuscinetto in cui la zona utile dell'accoppiamento ricopre un arco
f3 inferiore ai 360; in generale poi l'angolo /3 nei_ cuscinetti parziali inferiore
anche ai 180. La soluzione delle equazioni differenziali che descrivono il comportamento di un cuscinetto portante parziale ancor pi complicata di quella
relativa ad un cuscinetto completo per il fatto che in questo caso vengono introdotte nel problema due nuove variabili, e precisamente l'ampiezza angolare
f3 del cuscinetto e l'angolo a che individua la posizione del carico rispetto al
cuscinetto stesso. La soluzione delle equazioni relative ad un cuscinetto parziale lubrificato sono qui riportate sotto forma grafica e per il solo caso di
cuscinetto caricato simmetricamente, caso in cui sar ovviamente: a= /3/2.

J
/
/

l l

l vl

l 1/ /v

Fig. 306 - Schematizzazione di un cuscinetto parziale

lv
"'

8)

(')

.,o

V'

"
"'o

1/

(')

...)

l l/ v
Y'

_,

lY

/
1/

Le Figg. 30, 311 e 315 mostrano l 'andamento dell'eccentricit relativa t:


in funzione del numero di Sommerfeld S per angoli di apertura f3 del cuscinetto
pari rispettivamente a 180, 120 e 60.

..,.

/'

o
o

~
C)

"

IO

IO

15. JACAZIO-PIOMBO- La trasmissione del moto

(')

cp ()

"'"
~
~

90

'

80l

-r:~

vv

60

50

40

30

20

70l

___

v ,v

......... v

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v
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0.02

0.04 0.06

0.1

0.2

Fig. 308- Andamento dell'angolo di


con {3 180

0.3

0.5

assetto~

0.'7

10

20

30

50

70

100

in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto parziale

------------

R]
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100 )

80 )
60 )
40

20 )

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8)

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......

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0.2

0.3

0.5

0.7

10

20

30

50

70

100

Fig. 309- Andamento del rapporto Rf /6 in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto parziale con
{3 180'

"'"

,;:..

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q,
2.0

1.8

1.6

1.4

1.2

1.0

0.8

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10

20

30

50

70

100

Fig. 310 - Andamento della portata adimensionale ifz in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto
parziale con (J 180"

f.

1.0

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0.9

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0.8

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0.7

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0.2

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0.5

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10

20

30

50

70

100

Fig. 311 - Andamento dell'eccentricit relativa t: in funzione del numero di Sommerfcld S per un cuscinetto parziale
con (J 120

,;:..

""

01

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t-:>

c/J (")

O>

90

80

70

60

50

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0.2

0.3

0.5 0.7

10

20

30

50

70

100

Fig. 312- Andamento dell'angolo di assetto <I> in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto parziale
con f3 = 120

-------

R]

..

1000
800
600
400

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100l
80l
60l
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0.1

0.2

0.3

0.5

0.7

10

20

30

50

70

100

Fig. 313- Andamento del rapporto RJ /6 in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto parziale con
f3 120

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t-:>

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00

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0.5

0.7

1.0

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~

.............

...........

10

20

30

50

70 100

Fig. 314- Andamento della portata adimensionale if.z in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto
parziale con fJ 120

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10

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"'
7

10

~
20

30

Fig. 315- Andamento dell'eccentricit relativa e in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto parziale
con fJ = 60

-o

""'

t-.:>

<O

""'

~(> __,_rTTTITTI--l'lfTITn~~~J1~~;r.r-fllln

60~

40,___lilWl-4~MfttttHl1Tnlf

50LW+++++hffitmr----mrmr

30

20

IOJd-ittfff[

lllllllll l llllllll l llllllll

o~.0~1~--0~.~0~2--~~0~.0~4~0~.0~6~~0~j----~0~.2~-0~.3~~~~~5~0L.7~L1L------2~--~3--~~5~~7~L1L0----~2~0~~3~0~~~5~0~7~0~~100

Fig. 316- Andamento dell'angolo di assetto <P in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto parziale
con f] 60

.,...~ "-~---- ----~-

Rj
6
1000
800
600

40
20
40

100
80
60

20
10
8
6
4

0.01

0.02

0.04 0.06

0.1

0.2

0.3

0.5

0.7

10

20

30

50

70

100

Fig. 317- Andamento del rapporto RJ /6 in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto parziale con
f] = 60

~
......

432

J
o

!2'
o
,...
o..,

L
v

...

Cf)

,...

IL

~l

..1!

Le Figg. 309, 313 e 317 illustrano, sempre per gli stessi valori dell'angolo
di apertura (3, i diagrammi che riportano i valori del rapporto Rf /6 in funzione
del numer di Sommerfeld S, ed infine le Figg. 310, 314 e 318 riportano, per
(3 rispettivamente pari a 180, 120 e 60, i valori della portata adimensionata
q, che fuoriesce dai lati del cuscinetto in funzione del numero di Sommerfeld

Q)

""~...

s.

Q)

/
1/

8
8
l

"'

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"'

j_

ut:

o.

Q)

:l

Le Figg. 308, 312 e 316 si riferiscono invece all'andamento dell'angolo


cii assetto <P in funzione del numero di Sommerfeld S, sempre per angoli di
apertura rispettivamente pari a 180, 120 e 60.

o
...,
...,

t:

C/)

:e

:l
M

t:

La potenza dissipata in un cuscinetto a strisci amento

Q)

""t:

...o

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__1

J
1\

(2.224)

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W= Mrw =fRPw

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t:

Q)

_l

BA

'\. .....---.. ........ l...-(.)

11.12 - Potenza dissipata in un cuscinetto a strisciamenlQ"::

~: \

.{ '[ y,\,...
.
l'"rl!i"

....o

433

'<t

o o

o.

dove f il coefficiente di attrito equivalente, R il raggio del cuscinetto, P il


carico gravante su di esso ed w la velocit angolare. Questa potenza meccanica
viene trasformata in calore e questo viene poi trasmesso verso l 'esterno sia
per conduzione, sia per convezione, sia per irraggiamento. La valutazione
delle frazioni di quantit di calore che vengono trasmesse in ciascuno dei tre
modi risulta estremamente difficile, e per semplicit si ipotizza normalmente
che tutta la quantit di calore sviluppata venga trasmessa -ai(~~ter~~ per
convezione dall'olio che esce dai due lati del cuscinetto.
Con questa assunzione, la potenza W dissipata deve essere uguale a:
W= pcQ:l::.T

dove p la densit del lubrificante (mediante 850 kg/m 3 ), c il suo calore specifico (mediamente 0,42 kcal/kg C), Q. la portata di lubrificante che fuoriesce
dai lati del cuscinetto e t:. T l 'aumento di temperatura che il lubrificante ha
subto rispetto a quella che possedeva al suo ingresso nel cuscinetto.
Si deve a questo punto osservare che, essendo la Yiscosit del lubrificante funzione della temperatura ed essendo questa variabile lungo il mea.to,
si dovr introdurre nell'espressione del numero di Sommerfeld caraetteristico

434

435

del funzionamento dell'accoppiamento un valo.re della viscosit corrispondente


ad una temperatura intermedia tra quella di ingresso T; e quella di uscita T.
del lubrificante stesso. Dal confronto tra i risultati teorici e quelli sperimentali ricavati a questo riguardo, si riscontrato che, per ottenere una sufficiente
attendibilit dei primi nei confronti dei secondi, occorre considerare una temperatura effettiva Tetr pari a:
Tetr

11.13 - Cuscinetti idrostatici

= 'Fi + 0,8t:.T

ed industriali, compressori, e cos via; in alcuni casi poi, l'azione di portanza


deriva effettivamente dalla presenza di lubrificante in pressione, mentre in altri
la portanza fornita principalmente dalla presenza dell'effetto idrodinamico,
e l'alimentazione mediante olio in pressione viene esclusivamente utilizzata
per aumentare la portata assiale di lubrificante e diminuirne di conseguenza
la temperatura.
D cuscinetto idrostatico elementare riportato nella Fig. 319, in cui h
l'altezza (costante) del meato, P il carico agente sul pattino, Q la portata
immessa nel meato.

I cuscinetti idrostatici (o cuscinetti pressuriz~ati) sono cuscinetti, portanti o di spinta, nei quali si immette all'interno dell'accoppiamento una certa
portata di lubrificante ad una pressione maggiore di quella. ambiente, ottenendo di conseguenza un effetto di portanza indipendentemente dalla presenza
o meno di una velocit relativa tra i due membri dell'accoppiamento stesso.
I cuscinetti idrostatici presentano alcmil vantaggi rispetto ai cuscinetti
idrodinamici. Uno di questi ad esempio consyste nel fatto che, grazie all'effetto
dell'immissione di lubrificante in pressione, l'albero ed il cuscinetto sono sempre separati da uno strato di lubrificante, anche a velocit nulla. Ne consegue
pertanto che, essendo la forza resistente viscosa proporzionale alla velocit,
l'attrito statico in tal caso nullo; proprio questa importante propriet di assenza di attrito statico ha fatto s che i cuscinetti idrostatici venissero e siano
tuttora usati in numerose applicazioni particolari, quali ad esempio i supporti
di installazioni radar e di telescopi (i~itelebre telescopio da 200 pollici di Monte
Palomar per l'appunto montato sJ_ un cuscinetto di spinta idrostatico). __
Una seconda caratteristica peculiare dei cuscinetti idrostatici rappresentata dal fatto che in essi, come si vedr pi avanti, l'altezza del meato in
funzione della radice cubica del carico, mentre in un cuscinetto idrodinamico
essa. dipende (2.219) dalla radice quadrata del carico stesso e che pertanto il
cuscinetto idrostatico risulta pi rigido di quello idrodinamico.
I cuscinetti pressurizzati possono essere di tipi quanto mai diversi e possono anche essere costruiti con scopi assai diversi: oltre che nelle applicazioni
prima citate di cuscinetti di spinta infatti, essi possono anche essere utilizzati
come cuscinetti portanti di macchinari pesanti quali turbine, ingranaggi navali

Fig. 319 - Cuscinetto idrostatico elementare

Indicando con b la larghezza del pattino, e supponendo che questa sia


molto grande rispetto alla lunghezza L (allungamento infinito), si ottiene dalla
equazione di Reynolds (2.210):
12J.L(Q/2)

po

L/2 =

bh3

(2.225)
3J.LLQ

Po

= bh3

da cui risulta che la relazione fra carico applicato e altezza del meato lubrificato :
(2.226)

436

437

La rigidezza del cuscinetto idrostatico nell'intorno di un determinato punto di


funzionamento data da:
(2.227)

k _ (- oP)

ah

= 9tJL
Q
2h 4

Una variante del cuscinetto idrostatico elementare rappresentata nella


Fig. 320, in cui il cuscinetto presenta una cavit centrale nella quale la pressione praticamente costante e pari al valore massimo Po

maggiore portata, e questa la soluzione normalmente adottata nei cuscinetti


idrostatici. I due semplici esempi di cuscinetto idrostatico qui presentati si
riferiscono al caso di moto del fluido unidimensionale; verr ora esaminato il
caso di un cuscinetto reggispinta, alimentato da una portata costante, in cui
il moto del fluido avviene radialmente a partire da una zona centrale.
Si consideri dunque l 'albero sottoposto ad un carico assiale di intensit
p ed il relativo cuscinetto di spinta idrostatico schematizzati nella Fig. 321.
li cuscinetto costituito da una scanalatura circolare di raggio rr. entro la
quale viene immesso l 'olio in pressione, e da un meato di altezza costante h
formante una corona circolare di raggi r1 ed ro.

Fig. 320 - Cuscinetto idrostatico elementare con cavit centrale

In questo caso si ottiene, per la p.resisone massima


identica alla (2.225 ):

p0 ,

una espressione
Fi~.

321 - Schema di cuscinetto idrostatico di spinta con flusso radiale

l
mentre la capacit di carico diventa.:

In base alla (2.209rsi pu osservare che;- se il cuscinetto fermo ( quindiv = O), la portata che passa attraverso una sezione infinitesima di meato di
larghezza rdfJ pari a:
3

dq

(2.229)

h dp
= -12JJ
- -1df}
d7

per cui la portata totale Q data da:


Confrontando la (2.226) e la (2.229) si vede chiaramente come questa
seconda soluzione offra una maggiore capacit di carico, anche se richiede

Q=

1
0

"

7rh .7 dp
dq=--6p d1

438

439

Poich il valore di tale portata costante qualunque sia il valore di r, si ha:


-1rh3

6p

dp

= -Q

-dr
r

11.14 - Cuscinetti idrostatici a pressicme costante


I cuscinetti idrostatici esaminati nel precedente paragrafo erano basati
sul principio di immettere una portata costante d'olio nel cuscinetto, mentre la
pressione massima veniva stabilita di conseguenza in base al carico applicato.
Questa soluzione fornisce grande rigidezza al cuscinetto; tuttavia, in molti
casi, si preferisce adottare, per ragioni pratiche, una soluzione a pressione
costante, in cui la po_rtata che fluisce attraverso il cuscinetto risulta funzione
delle dimensioni geometriche del meato, e quindi anche del carico applicato.

costante

per cui, effettuando l'integrazione, si otterr in definitiva:


7rh3p

- - = -Q In r + costante
6p

Poich al raggio esterno la pression~: pari a quella ambiente, si pu determinare il valore della costante di irttegrazione ponendo p = O per r
ro, e
i/
pertanto sar:

7rh3p

6p

= Q In

7'o
r

Al raggio interno r r 1 la pressione p uguale alla pressione. di alimentazione


Pa che, se il cuscinetto alimentato da una pompa volumetrica a portata
costante, risulter ovviamente
determinabile mediante la:
l
(2.230)

E' chiaro poi che il carico P agente sul cuscinetto deve essere equilibrato dalla
risultante di tutte le forze di pressione, per cui sar:

PA
Fig. 322 - Schema tipico di cuscinetto idrostatico a pressione costante
;i

(
Da questa, dopo opportune semplificazioni; si ricava l:
2

(2.231)

l - (rl/ro)
2
=7rroPa
2 l n (ro/71)

e. introducendo nella (2.231) il valore di Pa espresso dalla (2.230), si otterr


in conclusione:
(2.232)

Un cuscinetto idrosta"tico pressione costante schematizzato nella Fig.


322, in cui la sorgente a pressione costante PA separata dalla camera a
pressione p0 da una resistenza idraulica R.
Si possono avere due casi:
- la resistenza idraulica lineare (caso di moto laminare del fluido);
- la resistenza idraulica non-lineare (caso di moto turbolento del fluido).
Per il caso di moto laminare del fluido, quale quello che si pu ottenere
in tubi lunghi e di piccolo diametro, la relazione fra la portata Q e la differenza

440

441

di pressione PA - Po :

dove cd il coefficiente di efflusso (normalmente compreso fra 0,5 e 0,75 e


mediamente pari a 0,61), A l'area di passaggio dell'orifizio, p la densit del
fluido.
Sostituendo la (2.238) nella (2.228) si trova, dopo alcuni passaggi:

Q= 1rd4 (PA- Po)

(2.233)

128J.t

dove a la lunghezza di un tubo, di diametro d, percorso dal fluido lubrificante.


Tale. relazione sussiste fino a che il numero di Reynolds,

(2.239)

(2.234)

dove:

Po

jl

w=
in cui

la densit del fluido minore di circa di 2300."


La resistenza idraulica R risulta allora:
p

+ 4h 6 pA/W- l
2h6JW
l8J.t 2 L 2l c 2d A 2
pb2

Nota p0 [il carico sopportato dal cuscinetto, per un dato valore dell'altezza h
del
diventa:

m;jto,

_ (PA- Po) _ 128J.ta

R-

;rd4

r----------------------,

Sostituendo la (2.233) nella (2.228) si ottiene:

l
l
l

PA
Po= l+h3jV

(2.235)

dove:

l
4

V= 37rd LI
128ab

(2.236)

l
l

l
l
r---------------

(2.237)

p_

b L1

- Po 2 + Po

bL ~ PAb(Lo

o-

+ Lt/2)

l+ h3JV

_N_ota la pressione di alimentazione PA e nota la geometria del cuscinetto


possibile, con questa relazione, ricavare il valore dello spessore del meato in
funzione del carico applicato. Una volta che sia noto h anche possibile
determinare p 0 e, di conseguenza, la portata Q in base alla (2.233).
Nel caso in cui la resistenza idraulica sia rappresentata da un orifizio, il
moto del fluido risulta turbolento. In questo caso, la portata di fluido lubrificante attraverso l'orifizio esprimibile mediante la relazione seguente:
(2.238)

Strozza tori

n carico sopportato allora dato da:

l
l

,:
l

-
l

l
l

l
l

1--------1

1--------:-,
.--~.----.
-Te--~m-f-,------___,..~,...,..,..___,,_..J
Pompa

l
l

l
l
l
l

Valvola !imitatrice di pressione

~-------------------------~

Fig. 323 - Schema di cuscinetto portante idrostatico con circuito idraulico a pressione
costante

La lubrificazione idrostatica, oltre che per i cuscinetti reggispinta, pu


essere utilizzata per i cuscinetti portanti. Questi sono costituiti, nella loro

443

442
versione pi semplice, da un cuscinetto dotato di quattro gole nelle quali viene
inviata una certa portata di lubrificante in pressione (Fig. 323). Se il arico
agente sul perno nullo, il perno si mantiene centrato rispetto al cuscinetto; se
invece il carico diverso da zero, il perno si dispone eccentricamente rispetto al
cuscinetto, variando cos la distribuzione delle pressioni all'interno del meato
in modo da realizzare l 'uguaglianza tra la forza risultante da tale distribuzione
ed il carico esterno stesso.
Il cuscinetto idrostatico della Fig. 323, che rappresenta un tipico cuscinetto portante per mandrini di macchine utensili, presenta, oltre alle quattro
camere di immissione del lubrificante, anche quattro gole di scarico in cui
il lubrificante r raccolto e inviato al serbatoio. Il cuscinetto
lavora con una
.
pompa a pressione costante che invia l 'olio a quattro strozzatori, i quali dosano
il lubrificante Alle camere pressurizzate del cuscinetto. Per ciascun quarto del
cuscinetto possono essere scritte le. relazioni prima viste, con l'unica avvertenza che ~er il calcolo del carico sopportato dal cuscinetto occorre integrare
le componbti della pressione nella direzione del carico, tenendo conto che
l 'altezza c;l.el meato variabile con l 'angolo.

ll.lS- Lubrificazione limite

:
1

Per tutti i cuscinetti che operano in regime idrodinamico esistono invariabilmente periodi di funzionamento durante i quali non si realizzano le
condizioni atte a mantenere un velo continuo di lubrificante; ci avviene ad
esempio durante le fasi di avviamento e di arresto dell'albero, oppure quando
il carico assume valori troppo elevati o la velocit angolare valori troppo bassi.
In tutti questi casi, le caratteristiche dell'azione resistente dovuta all'attrito
sono determinate da fenomeni differenti da quelli finora esaminati, quali l'assorbimento del lubrificante o lac fcirmizone- di composti chimici dovuti alla
reazione dei componenti del lubrificante stesso con la superficie del cuscinetto.
In generale si pu affermare che il passaggio dalla condizione di lubrificazione idrodinamica a quella. di lubrificazione limite avviene per numeri di
Sommerfeld inferiori a 0,05 e che al di sotto di questo valore il coefficiente di
attrito aumenta fino a raggiungere un valore massimo quando il numero di
Sommerfeld diventa pari a zero.
La capacit portante di un cuscinetto nelle condizioni di lubrificazione
limite viene poi di solito stabilita verificando le condizioni seguenti. Definita

una pressioll1 media Pm mediante la:


p

Pm

= 2RL

dove P al solito il carico agente sul cuscinetto, R il raggio di quest'ultimo e


L la sua lunghezza, necessario che il prodotto della Pm stessa e della velocit
periferica V sia inferiore ad un limite massimo dipendente dal materiale con
cui il cuscinetto realizzato, ed inoltre necessario che, sia la pressione media
_ Pm, sia la velocit periferica V, sia la temperatura T non superino a loro volta
dei rispettivi valori che, pr alcuni tipi di materiali usati nei cuscinetti, sono
elencati nella Tab. VII.

.~

l
TABELLA VII - Caratteristiche d funzionamento di cuscinetti in condi-.
zione di lubrificazione limite

Materiale

Bronzo
Ferro poroso
Resine fenoliche
Nylon
Teflon
Teflon rinforzato
Grafite

(Pm)max
(N/cm 2 )

3000
5500
4000
700
350
1500
400

Tmax
(C)

65
65
95
95
250
250
400 .

. (Pm V)max

Vmax
(m/s)

7)

( cm2
N) ( m

200
200
'50

8
4
12
5
0,5
5
12

10

4
40
50

,:
l

~ lL~6 - Confronto tra cuscinetti a strisciamento ed a 'roto lamento

La scelta di uno dei due tipi fondamentali di cuscinetto, a rotolamento


od a strisciamento, evidentemente influenzata, in ciascuna applicazione tecnica, dalla presenza di numerosi fattori: si pu tutta.via asserire che generalmente questi si suddividono in tre categorie principali, e pi precisamente che
essi sono costituiti:
a) dai requisiti meccanici dell'applicazione a cui il cuscinetto destinato;
b) dalle condizioni ambientali in cui questo dovr funzionare;

445

444

c) dal costo relativo tra i due cuscinetti.


Si ritiene pertanto opportuno qui riportare la Tab. VIII, ripresa da
Bearing Design and Applications (v. bibl.), la quale illustra chiaramente le
propriet dei due tipi principali di cuscinetti relative ai tre ordini di fattori
su esposti.
TABELLA VIII - Caratteristiche dei cuscinetti a rotolamento ed a strisciamento

Fattori
Meccanici

Caratteristiche
Carico
Uni direzionale
Alternato
Di spunto.
Eccentrico
D'urto
Velocit
limitata da:

Tolleranza al
disallineamento

Cuscinetto a
strisci amen t o

Cuscinetto a
rotolamento

Buono
Buono
Scarso
Buono
Discreto

Ottimo
Ottimo
Ottimo
Ottimo
Ottimo

Thrbolenza
Temperatura

Carico centrifugo
Effetti dinamici

Discreta

Scarsa, ad eccezione
di cuscinetti appositamente disegnati, a
scapito per della
capacit di carido

A ftri t o statico

Ingombro
Radiale
Assiale

Grande
Piccolo
(eccetto il caso di lubrifcazione idrostati ca)

Piccolo
Da 1/4 a 2 volte il
diametro

Grande
Da 1/5 a 1/2 del
diametro

Cuscinetto a
rotolamento

Condizioni di
emergenza

Normalmente si pu
avere un funzionamento di emergenza
successivo a una
rottura

Si pu avere un limitato funzionamento dopo rottura per


fatica

Smorzamen to

Buono

Scarso

Tipo di lubrificante

Olio o alt.ro liquido;


grasso; aria o gas

Olio o grasso

Quantit di lubrificante

Grande, eccetto che


per cuscinetti progettati per funzionamento in lubrificazione limite

Molto piccola, ad
eccezione dei casi
in cui si generino
grandi quantit di
calore

Rumorosit

Molto piccola

Pu essere grande;
dipende dal montaggio e da eventuali risonanze

l
Dissipazione di potenza

l'

----

Cuscinetto a
strisci amento

Caratteristiche

Fattori

Ambien.talL.
-

Bassa temperaturaL - - - - . -- --
Scarse
Propriet alla partenza
Alta temperatura
Funzionamento

Economici

w 2 d3 L
Varia con - -

Vita

--

Varia entro un campo molto vasto e


dipende dal tipo di
lubrifcazione. Generalmente minore
che nei cuscinetti a
strisciamento
-

Buone

Limitato dal lubrifica n te

Limitato dal lubrifcante

Illimitata, eccetto
che per carichi cicl ici

Limitata dalla resistenza a fatica del


materiale

446

Fattori

Caratteristiche

Cuscinetto a
strisci amento

Cuscinetto a
roto}amento

Manutenzione

Richiesto lubrificante pulito

Richiesto lubrificante pulito

Costo

Molto piccolo per i


tipi semplici o di
grande produzione

Intermedio per i
tipi standard

Facilit di sostituzione

Dipende dal tipo di


installazione

Dipende dal tipo di


installazione

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t!

Accostamento, direzione di
303
Addendum
77' 78, 134
Albero flessibile
56
Allungamento
41
infinito
396, 401, 435
finito
405-408, 412
77
Altezza del dente
Alzata
220
Angolo
di addendum
78
di apertura
106, 108
di avvolgimento
34
di azione
76
di contatto
214-217
di dedendum
78
di fondo
ii
di inclinazione dell'elica
97
di pressi011e (ingranaggi) 63, 67, 78, 99
~di pressione Tcammey~=
249-251
di pressione. normale
99
di troncatura
77
fra gli assi
70
primitivo
70
Arco
di aderenza
35
di azione
83, 114
di scorrimento
35
ozioso
221
Argano di sollevamento
15
-,--<--

Arpionismo
Arresti
Assortimento
Attrito
nei perni
Azionatori rotativi a ingranaggi

Base motore mobile


Base scorrevole
Ben dix- Weiss, giunto
Buckingham, E.

274-276
326-329
73
24
190-191

38-39
39
16-17
156

Cabestano
Cambio di velocit
164,
Camme
ad accelerazione costante
a fianchi rettilinei
- --~- -~ihnln cb~e ~,~ ---
254-255,

45
185-188
219-256
228-232
236-242
289-290

con braccio oscillante


desmodromica
di traslazione
policentrica
Caratteristica
Cardano, giunto di
Catene
ad anelli separabili
a perni
a rulli

252-254
252
254-255
242-247
73
3-13
47-56
48
48-49
49

- -

~-

--

453

452

a sfere
silenziose
Cedevolezza flessionale
istantanea rotazione
Ceppo avvolgente
Ceppo svolgente
Cerchio di base
Cerchio di riposo
Cicloidale, profilo
Cinghie
a costole

,If

id~ntate

l
l

50
50
21 Centro di

67
309
309
224, 227, 249
227
65
26-47
29
28
46-47
27
29

p1ane
rotonde
Circonferenza
306
di Romiti
fondamentale
65-66
osculatrice
113
primitiva
64-68
primitiva immaginaria
113
Coefficiente di attrito
nei cuscinetti a rotolamento
379
nei cuscinetti
419, 433
Coefficiente di carico
386-387, 389
Cone, S.I.
139
Cono
complementare
111
108, 109 .
fondamentale
primitivo
l06-10i, 109-110
Contatto fra i denti
- i_i2 136
Convertitori di coppia
369-373
Corda
80
Coriolis, accelerazione di
262
Correzione delle ruote dentate
87
Corsa di lavoro
266
Corsa di ritorno
266
Croce di \falt a
2ii-290
esterna
277-285
interna
285-287
'~

rettilinea
sferica
Cuscinetti
a pattini ori en t abili
a rotolamento
a rulli cilindrici
a rulli conici
a rullini
a strisciamento
idrostatici
obliqui a sfere
oscillanti a rulli
portanti completi
portanti parziali
radiali oscillanti a sfere
radiali rigidi a sfere
reggispinta a sfere
reggispinta lubrificati
reggispinta Michell
reggispinta oscillanti

Dedendum
Denti
Dentiera
Dent.iera corretta
Diametro
di fondo
di troncatura
Differenziale
Direzione di accostamento
Doppi~-gi-tinro di Crlano

Eccentricit
relat.iva
Elica media
Elicoide
Energia cinetica
Equazione di Reynolds
Evolvente di una circonferenza

287-289
287-289
375-446
405
375, 390-443
381
382
385
375, 376-390
434-442
380
381
410-420
420-433
380
380
382
399-409
399-409
382-384

77, 78, 134


59
84, 98
87
77
77
177-180
303
11-13

411
419
134
199
323-324
392-399
65-67

79
Faccia di una dentatura
78
Fianco del dente
199-200
Filetto
21-56
Flessibili
21, 37
Flessi bili t
38-42
Forzamento delle cinghie
Forza scambiata
378
nei cuscinetti a rotolamento
151-156
Forze dinamiche fra i denti
247-252
Forze nelle camme
Forze scambiate nei freni a tamburo.
305-306
Forze scambiate nella croce di Malt.a
282-285
Forze scambiate nelle ruote dentat.e
89-90
a denti diritti
104-105
a denti ~licoidali
115
coniche
119-125
coniche ad asse dente curvo
130-131
ad assi sghembi
137-138
a vite
291-326
Freni
293
ad att.rito
308-311
a disco
322-326
a fluido
311-315
a nastro
298-3_08
a tamburo
307
autoavvolgenti
334-348
elettromagnetici
Frizioni
radiali
338-340
340-342
assiali

Gabbia distanziatrice
Gioco
di fondo
normale
trasversale
Giunti
Bendi x- Weiss

376, 377
79
79
79
3-19
16-17

di Cardano
di Hooke
di .Oldham
idraulici
omocinetici
Rzeppa
Glifo oscillante
Graham, scappamento di
Grossezza di un dente
Guida di Fairbairn

. 3-13
3
18-19
362-368
13-17
17-18
266
276
88
266, 280

,;
Hindley

'

139

Ingranaggi
59-157
ad assi concorrenti
69
ad assi paralleli
69
ad assi sghembi
69, 72, 125
a vite
125, 132-139
cilindrici elicoidali ad assi sghembi
l
125-132
conici
106-125
conici ad asse d.ente curvo
116-125
elicoidali
95-106
ellittici
147-150
esterni
72, 81-92
h eli con
146-147
interni
72
i poi di ,:
125, 140-146
parziali.
274, 276
spiroidi
146-147 In-nesti
331-354
a correnti parassite
348-349
ad attrito
333
a denti
333
ad isteresi
348-349
a forza centrifuga
344-346
a nastro
346-348
a particelle magnetiche
348-349
di sopravanzo
351-354
elettromagnetici
348-349

45-!

455

Int.erasse di funzionament.o
Interferenza
In viluppo
Irregolarit periodica

70
80, 84-87
73
9, 53

Larghezza di dentatura
Leggi del moto delle camme
Linea di azione
Linea di contatto
Lubrificazione
idrodinamica
idrostatica
limite
mista

79
23'2-236
75, 76
63, 73, 75
391
391
391, 442-443
392

Manovella
::?64-265
Manovellismo
:?64-366
Meato
391' 409
Meccanismi
257-391
a glifo oscillante
266-269
a rapido ritorno
266-268
articolati
257-264
con punti di precisione
272
di amplificazione degli sforzi
269-270
di Peaucellier
270-271
di Scott-Russell
270
di Watt
272
per la generazione di moto intermittente
274-291
___ _per la gener.azione di un moto ellittico
272-274
Modulare, proporzionamento
80
Modulo
79
assiale
79, 134
normale
79
Moltiplicatori a rotismi ordinari
163
Molt.iplicatori di sforzo con flessibili 21-26
.Momento di inerzia equivalente
161
Moto sferico
109

~umero

di coppie di denti in presa


84, 101, 119
~umero di denti fittizio
103
Numero di denti immaginario
113
~umero minimo di denti
86, 94, 112-114

Oldham, giunto di
Omocinetico, giunto

18-19
13-18

Pantografo
Paranco di sollevamento
Passo
assiale
assiale nelle viti
dell'elica
di una catena
di una dentatura
elicoidale
frontale
normale
trasversale
Pattino piano
Peaucellier, meccanismo di
Piano
dei contatti
generatore
omocinetico
principale
ti
Piede di biella
Pignone
Planetario
Poncelet, formula di
Portatreno
Potenza dissipata
Pressione
in un freno ad attrito
in un freno a disco
in un freno a tamburo
Primitive

273-274
25
79, 134, 131
200
'97
i

48
76
134-135, 200

100
79, 100
79, 100
396-399
270-271
100-101
98
15
132
264
69
165-166
92, 95
165-166
433
294-298
312

302-303
64, 68, 73, 77

Principi di una vite


l
Profili coniugati
Profilo
a evolvente
assiale
cicloidale
dei denti
di lavoro
normale
teorico
trasversale
Puleggia
condotta
motrice
Punt.eria
Punto di riferimento
Punto di Romiti
Punto morto

132, 135, 200-201


51, 63-64
65-67
78
65
65-68. 108
224
78
224
78
30
30
219
304
264

Quadrilatero articolato

258-261

Raccordo
Raggio di curvatura
Raggio di raccordo
Raggio primitivo immaginario
Rapporto di ingranamento
Rapporto di trasmissione
immaginario
nei rotismi epicicloidali
nei rotismi ordinari
... nell' cinghie
nelle ruote dentate
nelle ruote di attrito
Reazioni vincolari
Rendimento
meccanico
nei rotismi epicicloidali
nella vite-madrevite

-----------------------~-------------

78
80
80
113
69
114
167
160
'36'

62, 67, 70, 108,


128, 135, 157

60
10
2, 10
325, 357
175-177
204

nelle cinghie
36
nelle ruote de n t ate
91. 132, 138, 139
nelle vi t.i a circolazione di sfere
218
nelle viti differenziali
211
volumetrico
325, 357
Retta di pressione
63, 61, 214
Reye, ipotesi di
298
Reynolds
condizione di
410
equazione di
392-399
numero di
440
Riduttori
armonici
194-198
a rotismi epicicloidali
I72-1i4
a rot.ismi ordinari
163
cicloidali
191-194
Riduzione dei momenti di inerzia
161
Rigidezza
anelastica
23
elastica
23
Rocchetto
84
Romiti
circonferenza di
304
punt.q di
304
Rotismi epicicloidali
165-191
a ingranaggi conici
177-180, 182
multipli
180-18i
senza portatren o
190-191
Rot.ismi ordinari
159-163
Rullo tenditore
38,41
Ruota a vite
132, 134
---Ruot.a oziosa
160
Ruot.e dentate
51, 59, 60, 69
a scalini
95-97
Bilgram
116
cilindriche a denti elicoidali 95, 97-106
cilindriche elicoidali ad assi sghembi
125-132

cilindriche esterne a denti diritti 84-92


cilindriche interne a denti diritti 92-95

456
coniche
coniche ad asse dente curvo
esterne
Gleason
interne
piano coniche
Ruote di attrito
Ruote libere
Rzeppa, giunto

'

Satellite
Scappamenti
Scappamento di Graham
Scorrimento
arco di
globale
Scott-Russell, meccanismo di
Segmento dei contatti
Solare
Sommerfeld
ipotesi di
numero di
Spessore
di sommit
normale
trasversale
Sterzo dei mezzi cingolati
Superfici
coniugate
di riferimento
primitive
Superficie
ausiliaria
di azione
di fondo
di piede

106-125
116-125
76
116
76
112
59-60
351-354
li-18

165-166
276
276. 277
35
35

di testa
di troncatura

74
74

39-41
Tensione di forzamento
Trasmissione
33-38
a cinghie
355-374
a fluido
44-45
a rapport-o variabile
51-56
con catene
con ruot.e de n tal-e
-62
con ruote di attrito
59-60
fra assi sghembi
125
idrocinetica
355, 362-373
idrostatica
355, 356-362
idroviscosa
355, 373-374
Tredgold, approssimazione di
112

/
'

:no
81-82, 93
165-166
411
410
413, 419
80
78
78
188-189
73
2,3
7
i3
74, 76

i4
i4

Vano
normale
78
t.rasversale
78
Variat.ori continui di velocit
61, 62, 359
Velocit angolare negli ingranaggi
il
Velocit di strisciamento 73, 84, 129, 136
Vit-a di un cuscinetto
385-390
Vit-e
132, 199-218
a circolazione di sfere
211-218
differenziale
209-211
globoidale
139
multipla
211
13'>_ _
senza fine

Wau, meccanismo di
Willis, formula di

22
167

;!

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