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Orazio Ciummo

Altari lignei
nel Molise

Edizioni Il Ponte Italo-Americano


New York

Introduzione

Il Molise può essere considerato una sorta di nobile e ricco ripostiglio, del tutto sconosciuto, per
quanto riguarda gli altari in legno: una notevole produzione, sia per l’originalità di alcuni prototipi,
sia per le molteplici variazioni architettoniche e scultoree che essi offrono.
Si e’ detto altari lignei, ma e’ bene chiarire che, in realtà, si tratta solo dei dossali, associati alle
mense di altari in legno. Gli altari studiati sono quasi tutti inediti, di alcuni e’ stata pubblicata la sola
fotografia. Poche notizie sono state date di altri. Non e’, quindi, possibile utilizzare precedenti
bibliografie nella composizione di una rassegna sugli altari lignei intagliati. Il loro studio e’ stato,
del resto, molto trascurato non solo nel Molise, ma un po’ ovunque, in Italia.
Analoga considerazione vale per le fonti. Se l’ Altare in muratura, eretto come solenne monumento
di marmo o pietra in una chiesa, ha spesso una buona documentazione perchè appare rientrare nell’
architettura dell’edificio, non avviene così quando e’ stato costruito con il meno impegnativo
materiale ligneo.
L’ arte dell’intaglio praticata per statue, pergami, altari, scanni corali, ecc. Ebbe un’eccezionale
fioritura sia nel Molise che nel limitrofo Abruzzo. Il centro di Agnone, ad esempio, non ebbe
minore rigoglio dei vicini centri abruzzesi che, da Pescocostanzo a Sulmona, da Atri alla valle del
Vomano sul versante tramano del Gran Sasso, riuscirono ad imporre uno stile originale pur
gravitando sempre nell’orbita barocca.
Dalla ricognizione fatta nelle chiese molisane si evidenzia che il prevalere di questo stile si sviluppa
tra la metà del Seicento e la metà del secolo successivo, fatta eccezione per un raro altare
privilegiato della famiglia De Regina, datato all’anno 1520 che si può ammirare nella chiesa di San
Nicola di Mira in Macchia Valfortore.
Nello studio degli altari lignei molisani ciò che più colpisce è la grande ricchezza degli impianti
architettonici, la cui realizzazione varia da un intaglio tipicamente artigianale a forme di alta qualità
Stilistica.
Altri fattori portano a molteplici considerazioni storiche e stilistiche : in molti si riscontra
un’importazione di tipologia altoatesina e napoletana; in altri invece, che formano un gruppo a sé, si
rileva la provenienza da officine conventuali dei Frati Cappuccini.
Quest’ultimo fenomeno è comune con il vicino Abruzzo, ove operò, alla metà del Settecento, un
Cappuccino, fra Felice Palombieri. Non minore risonanza ebbe nel Sannio fra Bernardino da
Mentone “ di nazione francese”, autore di opere schiette ed austere, che un documento indica morto
nel 1773.
Pertanto, considerata la vasta tipologia di simili opere e tenendo conto delle varie dedicazioni a
culti, esse vanno da un semplice tabernacolo a fastosi altari baroccheggianti, a colonnine
impreziosite da dipinti o con ricchissime cornici comprendenti immagini di santi.
Si ritiene utile indicare i peculiari caratteri delle singole opere:
Altare reliquiario;
Altare a retablo per sculture o pitture e per sculture e pitture;
Altare a edicola per statua;
Altare a cornice con pittura;
Altare a trittico per sculture e/o pitture;
Altare a colonne per pale dipinte con trabeazione e con fastigio o senza.
Altra caratteristica degli altari molisani e’ quella di racchiudere spesso ottime tele di scuola
napoletana, come ad esempio la manierata tela del Guarino, nella chiesa di Sant’Antonio Abate a
Campobasso.
Per quanto riguarda la diffusione degli altari lignei nell’area molisana, si può agevolmente osservare
che la parte più ricca di elaborate strutture si trova nelle chiese dell’alto Molise, in quelle più
contigue all’Abruzzo, nella città di Isernia, ove troviamo tre altari nell’eremo dei Santi Cosma e
Damiano e due in Santa Chiara e in Venafro un altare di tipo conventuale. Una sensibile rarefazione
ha invece nel versante adriatico, dove troviamo altari solo a Civitacampomarano, Castelmauro e
Casacalenda.
Studiando l’interno dei luoghi di culto molisani, un attento visitatore nota subito la grande
prevalenza degli altari lignei rispetto a quelli marmorei o in muratura. I pochi di marmo intarsiato e
policromo sono tutti del tardo Settecento quando, a spese delle più nobili linee Seicentesche,
s’intese riformare ogni stile precedente passando dal romanico al barocco, per l’insorgere di una
classicità più apparente che reale.
Il proliferare di queste opere nel Molise dovrebbe rilevare motivi più profondi: esse sembrano
esulare da appropriati gusti e modi. Infatti l’arte dell’intaglio fu in questa regione un’ attività
particolare che già ha trovato sicure testimonianze nei laboratori altomedioevali di San Vincenzo al
Volturno.
Il Molise, per la sue particolare economia, ha conservato sempre botteghe a carattere
prevalentemente artigianale e spesso formate da artisti appartenenti alla stessa famiglia.
Qui s’inserisce quella tipologia di altare da assegnare – come è documentato nella chiesa di Sant’
Emidio di Agnone – alla famiglia dei Leonelli di Agnone. In questa città per lungo tempo furono
attive altre scuole di intagliatori che ornarono chiese e conventi anche con suppellettili sacre e
mobili di sagrestia in legno scolpito.
Altre ragione che venne a determinare il prevalere dell’altare ligneo su quello di marmo è nella
minore spesa che questi richiedevano, per il basso costo del materiale e della manodopera. La più
nobile e duratura materia, il marmo, è infatti assente nella regione molisana; già nell’antichità se ne
avvertì la mancanza, cosicchè sono del tutto eccezionali i reperti archeologici di marmo. Ogni
scultura o ornamento architettonico fu sempre tradotto nel più economico calcare locale, che
sostituì, assieme al legno, la rarissima e costosa pietra variegata o bianca reperibile solo nella più
vicina Toscana. Solo nel Settecento si costruirono paliotti e mense d’altare in tarsìa marmorea,
esemplata su prodotti napoletani.
Si spiega così la ragione per cui l’artigianato locale utilizzò la materia ricavata dai grandi boschi che
allora ricoprivano il Molise. Ma non è da escludere che alla scelta abbia concorso anche la
maggiore facilità di lavorazione del legno e l’intimità calda e distesa di questa modesta materia.
A impreziosire gli altari molisani si trova, solo eccezionalmente, una scultura pura, con legno a
vista mentre, nella maggior parte dei casi, si riscontrano sculture ricoperte da doratura o pittura.
Quasi tutti gli altari sono stati eseguiti ad intaglio ed in alcuni punti ampliati da pastiglia in gesso.
Solo rari esemplari sono ad intarsio e rientrano, evidentemente, in altro stile- che potrebbe essere
definito fratino- poichè soltanto quelli eseguiti da fra Bernardino da Mentone presentano tale
caratteristica, come a riecheggiare la piu’ costosa ed elaborata tarsia marmorea settecentesca.
In questa rassegna sugli altari lignei si gradua non solo il livello artistico degli stessi, ma si
considera anche la condizione economica dei committenti; ad esempio, è palese la diversità stilistica
fra il fastoso altare di San Marco in Agnone, che presenta estrose allegorie di volute, puttini, foglie
e ghirigori, tali da ricordare una sorta di barocco latino-americano, e le contenute e modeste forma
d’un altare riquadrato con listelli.
Vi sono in alcune chiese, come a Civitacampomarano o ad Agnone, dei vari monumenti lignei, di
fasto e di tale grandiosità che superano le stesse strutture architettoniche che li racchiudono.
Per l’altare di Civitacampomarano o per altri di Agnone si rileva che, le abusatissime colonne tortili
di discendenza berniniana si sono risolte in un viluppo di due fantastici pitoni attorcigliati, i quali,
con le rispettive code, sorreggono splendidi capitelli corinzi.
Si pensa ad un singolare intreccio di culture, tuttavia all’artista non interessava tanto risolvere il
canone per la struttura portante delle grosse trabeazioni quanto indicare in maniera più veristica-
In risonanza ai rigorosi maestri romanici- che in quegli orribili mostri si condensava la nostra colpa:
quella del peccato originale.
Molti altari presentano colonne e lesene su d’un unico piano, eludono così il problema della
profondità. L’altare del Crocifisso ( secondo della parete destra) nella chiesa di Sant’Antonio Abate
in Campobasso è l’unico che affronta le difficoltà della prospettiva, sia nella obliquita’ reale delle
ante laterali al Crocifisso su cui si sovrappongono targhe non prospettiche, pianella volticina ove
sono intagliati cassettoni disegnati, quasi una lontana reminiscenza, dell’illusionismo prospettico
d’un Bramante in Santa Maria presso San Satiro.
Ognuno di questi altari può ben rappresentare il secolo cui appartiene. Alcuni conservano la
doratura originaria in tutto il suo splendore: sono opere di grande pregio artistico, influenzate dall’
ambiente napoletano; ricordano lo stile spagnoleggiante che impose il suo prestigio anche in altri
prodotti lignei, come in quelli dei cori di Avellino e Monteverde, della colleggiata di San Michele a
Solfora: il Rotili giustamente li indica come “ vanto nella cultura monastica napoletana”.
In tanto palese baroccheggiante di forme si pensi alla purezza castigata dell’impianto
neocinquecentesco che prelude a forme neoclassiche, nel rifacimento dell’altare del Crocifisso
posto nella chiesa di Sant’Emidio di Agnone.
Il centro di Agnone, quasi ai confini con l’Abruzzo, ove tuttora sopravvive l’arte minore dei lavori
in rame, in ferro battuto e l’arte delle campane, con una fonderia che risale al basso medioevo, può
vantare una tradizione dell’ intaglio che ha una certa autonomia rispetto sia all’arte napoletana che
quella abruzzese.
Si può affermare che quest’arte nell’Abruzzo perdurò fino al secolo passato, dalle grandi cattedrali
alle piccole collegiate. Qui divennero giustamente famosi nel Settecento due maestri locali:
Modesto Salvini e Filippo Tenaglia. Di questi si conserva nella chiesa di San Francesco d’Assisi a
Chieti un bel pergamo ligneo, le cui forme accompagnano con pienezza il monumento e lo spirito
della costruzione classica e baroccheggiante.
A questo movimento è da collegare l’arte dell’intaglio di una famiglia di maestri falegnami
agnonesi, i Leonelli, i cui maggiori esponenti furono Giuseppe, Pier Maurizio, Nico e Andrea. Su di
essi, che operarono dal 1711 al 1765, è stato possibile trovare una documentazione inedita: alcuni
atti reperiti negli archivi monastici dalla chiesa Emiliana di Agnone, tempio trecentesco, dal
magnifico portale romanico che accoglie numerosi altari lignei realizzati da questi maestri.
I Leonelli furono scultori certamente modesti. Tra il lavoro di erigere altari e tabernacoli non
disegnarono di restaurare anche tarlati mobili e zoppicanti sedie delle pie Clarisse del convento di
Satna Chiara di Agnone.
Come si nota della documentazione fotografica, la tipologia degli altari dei Leonelli rientra nel tipo
a edicola o a trittico. La caratteristica della impostazione architettonica dell’opera a edicole è
sempre determinata da un alto riquadro al di sopra dei capitelli, che funge da vera e propria
trabeazione con funzioni diverse: oltre a completare armonicamente lo slancio dell’altare, serve
anche alla collocazione in una ricchissima inquadratura di una tela a carattere intimo, come ad
esempio la Sacra Famiglia o il Battesimo di Gesù.
Va notato che l’arte dei Leonelli non esorbita da quella meticolosità propria degli artigiani, nel
senso che, se l’esecuzione è sempre accurata, lo schema nell’insieme ricalca i soliti moduli di un
barocco di provincia. Alla produzione dei Leonelli agnonesi si contrappone quella compiuta,
originale, sapiente nelle forme monumentali e classiche, del frate cappuccino Bernardino da
Mentone.
Egli nulla ha in comune con gli abili stipettai dai modi forzatamente barocchi come si ritrovano
nell’arredamento ligneo delle chiese molisane. Procedeva in maniera anche tecnicamente diversa:
invece di servirsi dell’intaglio e del traforo, di asportare cioè parti di legno con un preordinato
disegno, adottava la tecnica della tarsia che offre una contrapposizione di colori, più vicina alle
policrome superfici del marmo intarsiato che agli altari scalfiti.
Già nel Seicento questa elaborata forma di falegnameria aveva avuto una larga diffusione.In pieno
secolo XVIII, la tarsìa marmorea, almeno nelle chiese molisane, assunse una predominanza in
alcuni elementi architettonici, come paraste, transenne e paliotti.
Di pari passo venne in auge anche la tecnica detta “in falegname”, praticata di solito nei conventi e
perciò conosciuta anche come lavoro “alla certosina”, ove gli elementi dell’ornato hanno forma
regolare e geometrica, connessi in decorazione continua oppure ad intervalli, avvalorando così
nell’effetto anche lo sfondo del legno in cui sono inseriti. Si giocò anche sui vari effetti cromatici
dei legni di diversa qualità, naturali o bruciacchiati.
Tali superfici lisce, determinate non piu’ dall’intaglio ma dall’incavo, al fine d’ospitare tasselli
come nella composizione d’un mosaico riflettente completamente la luce, davano un effetto
suggestivo, forte quasi irreale.
Fra Bernardino da Mentone fu sotto ogni aspetto un vero maestro nella composizione di questo tipo
di altare. E’ facile rilevare dalle fotografie, che egli fu sapiente costruttore di forme architettoniche
pure ed eleganti, benché fosse ancora in auge la declamata arte barocca.
Si hanno degli schemi quasi rinascimentali, mai fine a se stessi, perché ogni altare del Frate è un
prospetto espositivo di determinate opere; insomma una specie di pinacoteca collocata sullo sfondo
della chiesa per narrare vite di santi e martirii di cristiani perseguitati dai pagani, come quelli dei
Santi Nicandro, Marciano e Daria martirizzati sotto Diocleziano e venerati a Venafro.
Ciò per quanto riguarda la tipologia e l’impostazione e non per altro. Il Frate, con l’esecuzione
manuale, raggiunge grande virtuosismo, da far pensare alla cura che un liutaio dedica alla
realizzazione di uno strumento musicale. Tipico esempio è il paliotto dedicato a Santa Maria delle
Grazie in Montefalcone nel Sannio, decorato con cespi di rose, foglie, girali, un vero groviglio
geometrico fitomorfo che non lascia tratti di superficie liscia ed incolore.
Tale tipo di tarsia richiama l’opera di due scultori irpini, Giovanni e Costantino Moscariello.
Questi in un banco di legno di noce intarsiarono, attorno al 1776, una colomba che becca in un
cestello pieno di frutta; una vera e propria pittura, una mirabile natura morta realizzata con
impercettibili colorazioni sul legno anziché sulla tela.
Occorre mettere in risalto un altare ligneo posto nella chiesa di Sant’Antonio da Padova a Fossalto.
Quest’opera, da considerarsi d’importazione essendo datata nel 1680 per Franciscus Serignanus
Tridentinus, è dovuta alla collaborazione di due distinti artisti. Altari molisaniprovengono da scuola
napoletana anziché essere di produzione locale, ma l’altare di Sant’antonio da Padova, importato
dal lontano trentini, è l’unico nel Molise a rappresentare l’antica scuola di ispirazione nordica.
Quest’altare, data la grande lontananza dal centro di produzione rispetto alla chiesa molisana in cui
fu posto, non potè essere rivestito dalla preziosa foglia d’oro che avrebbe potuto subire danni
durante il trasporto. Da un’iscrizione nell’altare si evince che nel 1692 un Antonius Napoletanus,
coadiuvato dal socio Bartolomeo de Core, ne curò la doratura che presenta oggi.
Non si sa per quale ragione il committente Antonio Folchi, che aveva il diritto di patronato della
chiesa di Sant’Antonio, si fosse rivolto ad una bottega così lontana, addirittura in Alto adige,
certamente famosissima per antiche tradizioni artistiche tale da gareggiare per estrosità ed inventiva
con la stessa scuola barocca napoletana.
Quest’altare, al contrario della tradizione meridionale, pur essendo di ottima fattura, nelle sue
forme, denunzia un procedimento in serie, qualche cosa di pianificato.Infatti l’architettura dei
timpani spezzati, delle colonne tortili, dei capitelli corinzi e teste d’angelo non esulano dalla
composizione che troviamo in simili opere in molte chiese italiane.
Dopo questa breve rassegna sugli altari lignei molisani, è opportuna una considerazione circa il
valore artistico e la progressione cronologica in cui detti manufatti furono realizzati.
Pue esistendo altari per i quali è stata proposta una datazione riconducibile al Cinquecento, non
potranno sfuggire, anche sfogliando le fotografie qui pubblicate, una continuità, non certo
occasionale, e una particolare ricchezza per il periodo che va dalla fine del Seicento a tutto il secolo
successivo. Visto l’operoso prevalere di tale periodo sugli altri che lo precedono, si deve ammettere,
anche per la chiara tipologia degli esemplari studiati, che pur nel Molise il barocco e il rococò
trionfarono; ma non si sa con quanta avventatezza e cattivo gusto si è operato nei restauri o nel
rifacimento totale delle austere chiese medioevali che li ospitano. Ne deriva che, per tali
manomissioni, è logico che gli altari molisani siano stati adattati a maniere prevalentemente
barocche quale naturale completamento di modi ora berniniani ora vanvitelliani.
Che poi il Molise sia stato patria di ottimi artigiani, lo suggeriscono gli altari lignei per la
manifattura molto accurata e per l’appropriata scelta del materiale ligneo perfettamente stagionato
che ha permesso la conservazione, senza alcuna incrinatura, di sostegni formati da due fusti avvitati
a giorno. Se l’architettura rispettò canoni comuni a tutta l’arte del meridione, con un barocco
imperante e prepotente, comunque agli altari molisani non si potrà attribuire il denigrante aggettivo
di “teatrale” come una facile critica ha scritto sino a poco tempo fa per tutto ciò che sapeva di
seicentesco.
Si nota, infatti, nella composizione architettonica di essi, un meditato equilibrio delle masse, dei
vuoti, dei pieni, mai fine a se stessi; sposandosi così, facilmente, con architetture chiesastiche, per
cui ne discende un’altra considerazione: la maggior parte di essi furono frutto di committenze
private ove il clero poca parte ebbe almeno dal punto di vista finanziario, in modo da evidenziare
una certa esteriorità religiosa non più dovuta ad esigenze veramente spirituali, ma piuttosto alla
esibizione e di prestigio e di autorità d’una ricca casta allora dominante.
In tal modo l’altare “privilegiato” intarsiato od intagliato fu l’affermazione, la continuità dello
Fus patronatus di medioevale memoria.
In alcuni altari si potrà notare un certo ibridismo di progettazione - specie per quanto riguarda
l’esecuzione in sé rispetto ai fini dell’opera stessa - ma si tratterà certamente di manomissioni, di
restauri di abbellimento avvenuti nel corso degli anni.
A questa breve rassegna potranno seguire rilievi o suggerimenti che saranno bene accetti. Ma
costituisce un primo ed unico catalogo sugli altari lignei molisani. Poiché le fonti reperite sono state
poche, la bibliografia è risultata assai carente. In un’auspicabile riedizione, si potrà ampliare questo
studio che per ora fornisce un contributo, una divulgazione d’una trascurata branca delle arti minori.
Premessa non soltanto alla scultura lignea in genere, ma al vasto orizzonte trascurato dell’ “arte
molisana”.

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