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ideogramma MON = chiedere, domandare

L’INTERVISTA DI POTENZIAMENTO
di Jacopo Melloni
Con la linea IDEOGRAMMI Mida si propone di pubblicare le sue ricerche,
intese come risultato di studi, pensieri, interpretazioni che gli autori
traggono dalla diretta esperienza sul campo. Ma non solo.
I contributi sono anche frutto del desiderio di raccontare l’approccio
peculiare di Mida alla professione attraverso i suoi stessi protagonisti.

L’INTERVISTA DI POTENZIAMENTO
Counselling breve per la persona
di Jacopo Melloni

Oggi, più che mai, nelle aziende è forte l’esigenza di supportare le


persone in modo che esprimano il meglio di sé e delle loro risorse.
L’intervista di potenziamento è un breve intervento nell’area dello
sviluppo personale e rappresenta un momento di approfondimento
guidato individuale che collega elementi di consapevolezza del sé
alle prospettive del ruolo professionale. Nasce da una lunga
esperienza di incontri brevi mirati allo sviluppo con l’obiettivo di
fare di questi incontri una occasione preziosa.
Dal punto di vista organizzativo l’intervista si può realizzare con un
singolo incontro o essere un momento di attenzione individuale che
fa seguito e completa un'esperienza o un percorso formativo (come
follow up di approfondimento).
In questo scritto illustro le logiche e le modalità di questo tipo di
intervista, molto particolare, che rappresenta una “proposta di
nicchia” che si aggiunge alle differenti possibilità di intervento
mirato per la persona in azienda e fa parte delle iniziative di Mida
legate al tema del potenziamento del sé.
Contesto di riferimento

Veloce, incerto, mutevole sono parole quasi consumate per


definire il contesto nel quale si muovono oggi le aziende; gli
stessi paradigmi organizzativi sono messi continuamente in
discussione. L’unica legge che sembra esistere è quella della
domanda e dell’offerta che, riferita al lavoro oggi, rende più
forte il potere delle organizzazioni rispetto agli individui e, in
sostanza, il potere di chi può dare lavoro.
Ruoli non definiti, aspettative vaghe e contemporaneamente
pressanti creano un sostanziale squilibrio nelle relazioni sul
lavoro. Nello stesso tempo restano determinanti i temi
dell’appartenenza, della fiducia, della passione per la qualità,
della ricerca di eccellenza. La persona è ancora al centro
dell’attenzione delle Aziende ma con equilibri diversi. Le
persone sono chiamate a fidarsi di strutture che da oggi a
domani le potrebbero estromettere dal mondo del lavoro e
di organizzazioni che chiedono sempre di più offrendo come
principali merci di scambio il gusto per la sfida, la
soddisfazione di resistere, le “gioie” della competizione.
Per questo credo che oggi più che mai le persone nelle
aziende hanno bisogno di occuparsi di loro stesse, anche e
indipendentemente dal pressante e vago sistema delle

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attese che si sta delineando. Le persone hanno bisogno di
avere fiducia in loro stesse e di saper proporre ed agire
anche nell’incertezza. Mettere la persona al centro vuole dire
oggi, per le organizzazioni più moderne, dare alla persona
l’occasione di trovare o ritrovare un equilibrio che riconosce
valore all’autonomia individuale, alla capacità delle persone
di capire i contesti e interpretarli facendo riferimento alla
loro energia e, appunto, al loro potenziale.

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Partire da se stessi:
sapersi riconoscersi per riconoscere

Sono convinto, in ottima compagnia, che per muoversi


nell’incertezza è essenziale avere un centro stabile in noi
stessi, che è importante che la persona si fidi di se stessa
comunque, indipendentemente dalle pressioni e dai
condizionamenti esterni. Conoscere e recuperare i propri
valori, le proprie competenze e i propri saperi, è la strada
per dare spazio alle nostre energie, energie che possono
essere anche per gli altri se hanno imparato, innanzi tutto, a
essere per noi.
Il tema del potenziamento del sé, al quale facciamo
riferimento, ha come ottimale premessa psicologica/affettiva
l’accettazione incondizionata di sé come oggetto meritevole
di attenzione e amore.
Credo che i nuovi comportamenti manageriali, e prima
ancora quelli sociali e relazionali, partano da una persona
capace di riconoscere in se stessa a livello mentale ed
emotivo pensieri costruttivi, speranzosi, aperti, flessibili.
Pensieri ed emozioni che cercheranno e troveranno da soli i
metodi e i riferimenti per diventare azioni concrete capaci di
produrre risultati con altri.

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Al valore dell’auto-riconoscimento, alla legittima ricerca di
benessere anche sul lavoro, al potenziamento del sé, temi
cari alla comunità culturale di Mida, si ricollega quindi questo
intervento chiamato “intervista di potenziamento” che
appunto può rappresentare, in un processo più ampio di
crescita, uno stimolo ad un possibile sviluppo della persona
che è lei stessa la prima responsabile della ricerca di
compatibilità fra sé, gli altri e il contesto.

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Mida SpA – L’intervista
Mida di
SpApotenziamento,
– L’intervista di Jacopo
potenziamento,
Melloni di Jacopo Melloni
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Coaching, counselling
e l’intervista di potenziamento

L’intervista di potenziamento si distingue da altri interventi


per la persona per due caratteristiche specifiche: brevità
dell’intervento e centratura sull’autonomia della persona.
In effetti, rispetto al coaching e al counselling che
rappresentano entrambi dei percorsi (il primo più strutturato
e più legato al ruolo e agli obiettivi anche aziendali, il
secondo più vicino alla persona), l’intervista di
potenziamento si caratterizza per essere un incontro singolo
di massimo due ore.
E’ certamente coraggioso affermare che è possibile
instaurare una relazione di aiuto capace di produrre risultati
in così poco tempo, ma a questo viene in soccorso il secondo
carattere distintivo di questo intervento: la centralità della
persona umana e il valore della sua autonomia.
Responsabilità individuale e autonomia decisionale sono
quindi da guida a questo breve intervento dove la figura del
counsellor svolge una operazione di intervista mirata non a
conoscere o giudicare l’altro, ma a “fare emergere” la sua
soggettiva percezione della realtà, di sé e degli altri.

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Domanda, ascolto attivo e restituzione, come meglio
vedremo nei dettagli del metodo, mirano a restituire alla
persona tutti gli elementi di valutazione e di giudizio che
sono già nel panorama della conoscenza e nelle possibilità
del sentire della persona stessa.
Sappiamo che il concetto di insight, la ristrutturazione
percettiva e, più in generale, l’arricchimento di senso nella
lettura della realtà esterna e interna (del proprio sé) non è
una operazione legata al tempo, anzi, è spesso favorita da
“idee improvvise”.
Secondo la psicoanalisi, è “immediata” la capacità di capire
o intuire altre “verità” e questo razionalmente (insight
intellettivo) e/o con la partecipazione affettiva (insight
emozionale).
Dal canto suo Eric Berne, padre fondatore dell’Analisi
Transazionale, parla di intuizione e la definisce come la
conoscenza basata sull'esperienza acquisita, attraverso il
contatto sensoriale con il soggetto, senza che “chi intuisce”
riesca a spiegare esattamente a se stesso o agli altri come è
pervenuto alle sue conclusioni.
Nel nostro caso facciamo anche riferimento alla Psicologia
della Forma e alle ricerche di Wolfgang Kohler che ha
provato come la capacità di risolvere problemi aumenti
quando è possibile cogliere maggiori elementi nello stesso
campo visivo. Per analogia possiamo affermare che le

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Mida SpA – L’intervista
Mida di
SpApotenziamento,
– L’intervista di Jacopo
potenziamento,
Melloni di Jacopo Melloni
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persone possono avere dei fenomeni di insight attraverso
una percezione simultanea e allargata di loro stessi, del
contesto e degli altri e che, attraverso questa percezione più
ampia, è possibile, anche in poco tempo, costruire un nuovo
sistema di relazioni fra questi fondamentali elementi.

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Cosa succede in queste due intense ore?

Iniziamo dagli attori coinvolti, sono due e rigorosamente non


più di due: “l’intervistato” e “l’intervistatore”. La premessa è
che queste due persone collaborino su un piano paritario in
base a un pieno e trasparente mutuo consenso.
Come detto, la conoscenza pregressa fra queste due
persone, di solito legata a un intervento formativo di
sviluppo della persona e il fatto che si sia già stabilita una
relazione, facilita la creazione di un clima di fiducia reciproca
e di non giudizio che è fondamentale per l’autenticità di tutta
l’intervista.

Le caratteristiche professionali dell’intervistatore


comprendono quindi una competenza che va ben oltre il
porre delle domande: riteniamo indispensabile avere
esperienze di coaching o di counselling e una capacità di
particolare attenzione e restituzione legata, appunto, alla
comprensione dell’altro nella relazione di aiuto.
Si può intuire, infatti, che oltre a suscitare una fiducia piena
l’intervistatore/counsellor deve avere delle competenze “ad
ampio spettro” che vanno da una profonda conoscenza dei

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contesti organizzativi e aziendali a una attenta capacità di
ascolto (ascolto attivo, come ben definito da Marianella
Sclavi) e di accoglienza della persona.
Nello stesso tempo all’intervistato si chiede una reale
motivazione: la sua curiosità e volontà di costruire
l’esperienza, sia nel caso che l’intervento sia a seguito di un
momento formativo, sia nel caso che l’intervista rappresenti
un momento di attenzione isolato, richiede una prima scelta
autonoma della persona.
Per questo l’occasione dell’intervista va presentata come un
approfondimento facoltativo e deve essere molto chiaro che
non ci sono referenti aziendali cui dover rendere conto.
Dal momento in cui un capo, o un’organizzazione, decidono
di dare alle “loro” persone questa occasione né
l’organizzazione, né i responsabili sono tenuti a indagare i
risultati con l’intervistato o con l’intervistatore.
E’ opportuno che l’intervista di potenziamento nasca come
“regalo” incondizionato perché, in tal modo, aumentano le
probabilità di successo: entrambi gli interlocutori si possono
sentire liberi dal condizionamento di cosa si aspettano gli
altri o di come potrebbero giudicare i risultati del processo.

Le fasi dell’intervista di potenziamento sono tipicamente


cinque:
1. costruzione della relazione di fiducia,

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2. analisi,
3. connessioni e compatibilità,
4. possibili obiettivi,
5. conclusioni e conseguenze autonome.
La presentazione iniziale di queste fasi rappresenta l’unica
parte “strutturata del processo”.

Eccole nel dettaglio.

1. Costruzione della relazione di fiducia

Vengono chiariti i ruoli e i margini di autonomia.


Nel corso di questa prima fase intervistato e intervistatore
costruiscono un accordo personale, un “contratto”, atipico
appunto per la mancanza di vincoli di controllo esterno e di
aspettative di risultato. Alla base c’è un rapporto di rispetto
e di fiducia che il tempo reciprocamente dedicato possa
produrre un risultato utile per l’intervistato. Di solito gli
intervistati sono piacevolmente sorpresi di uscire dalla logica
del “dover fare” e di avvicinarsi a quella del “poter essere”.
L’intervistatore in particolare chiarisce l’informalità
dell’incontro, il suo ruolo di ascoltatore attento e il suo
obiettivo di “restituzione” e approfondimento sistemico.

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2. Analisi

Si raccoglie il racconto delle persone intervistate.


Questa fase rappresenta l’intervista vera e propria,
l’obiettivo di questo momento di ascolto è quello di fare
emergere alcuni aspetti della persona intervistata e anche
della sua particolare “mappa percettiva” della realtà. Le
principali aree di esplorazione sono:
- la storia personale. Qui l’elemento del racconto,
l’autobiografia della persona, come direbbe Duccio
Demetrio, è particolarmente significativo. La persona
parla di sé, scegliendo liberamente cosa dire, illustra
singoli episodi che ritiene significativi, può parlare
della propria interpretazione del ruolo, delle sue
aspirazioni, dei suoi desideri … Le domande in questa
fase sono di approfondimento, di indagine rispettosa.
Usando la metafora dell’archeologo: si lavora con il
pennello e non con lo scalpello. L’attenzione è quella
di iniziare a connettere i tre aspetti del fare, del
pensare e del sentire della persona in modo da
arricchire l’autoriflessione;
- la percezione del contesto. Emerge dal racconto, dal
vissuto del percorso personale e professionale. Anche
qui la persona è libera di riconoscere valore e
importanza maggiore a un periodo piuttosto che a un

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altro e il tempo dedicato rappresenta già un
indicatore (con la sola attenzione di contenere
eventuali descrizioni iperdettagliate che prendono un
tempo sproporzionato rispetto al tempo totale
dell’incontro);
- la relazione con gli altri. In particolare emerge dal
racconto l’importanza che la persona dà al giudizio
degli altri. A iniziare dai possibili cenni alle figure
genitoriali di riferimento, ai vissuti relativi ai vari capi
avuti, ad un riferito parere dei colleghi o dei clienti.
Molto frequente è l’emergere di comportamenti
condizionati e nel raccontare e nel rispondere alle
domande di approfondimento spesso le persone
danno ad altri un grande potere che riduce di fatto la
loro autonomia decisionale.

Riassumendo queste sono visivamente le tre aree di Analisi:

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3. Connessioni e compatibilità

Pienamente in linea con le metodologie di coaching e di


counselling, e più in generale con le iniziative di
potenziamento, in questa fase il consulente/intervistatore da
un lato restituisce e sintetizza quanto ha ascoltato, dall’altro
sviluppa e favorisce possibili connessioni fra il racconto di
analisi e il “qui e ora” dell’intervistato.
Le connessioni riguardano in particolare gli aspetti positivi
della persona, in una logica di riconoscimento del suo valore
e del suo sapere. E’ proprio grazie ai nostri elementi di
stabilità e alle nostre capacità che oggi siamo questa
persona e siamo in grado di interpretare i nostri differenti
ruoli. Sono momenti che potremmo definire di
“consolidamento” ai quali si aggiunge la possibilità di
individuare nuovi spazi operativi e relazionali attraenti. Si
tratta di cercare con l’intervistato la congruenza dei
comportamenti oggi agiti con i bisogni più autentici della
persona. Le connessioni riguardano in particolare i tre
mondi: del sé, del contesto e gli altri.
Inoltre, esattamente come in un processo di coaching, lo
stimolo all’autoriflessione e alla presa di coscienza della
propria mappa del mondo, unitamente alla riflessione sulla
propria interpretazione del ruolo, fa emergere “il proprio
abituale modo di rispondere” e favorisce la ricerca di un

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allargamento delle opzioni comportamentali praticabili dalla
persona.
E’ in questa fase che possono emergere possibili insight o
più semplicemente “riflessioni utili” su cosa l’intervistato
potrebbe fare di diverso o su come diversamente può vivere
e rispondere alla realtà che oggi percepisce.

4. Possibili obiettivi o temi

Direttamente dalla fase precedente, che riguarda


l’elaborazione cognitiva ed emotiva dei racconti sul “proprio
mondo”, la persona intervistata può individuare, con una
logica di sintesi, uno o più obiettivi che hanno a che fare con
il potenziamento del sé e dunque legati all’allargamento
delle opzioni praticabili. Questo sempre in una logica
positiva di aggiungere e non “combattere”.
In considerazione del tempo a disposizione e nel rispetto
dell’autonomia della persona, si sottolinea che non è
necessario individuare degli obiettivi con le caratteristiche di
oggettività e misurabilità tipiche di un obiettivo (SMART),
ma che è ugualmente utile definire delle aree di attenzione,
dei temi che l’intervistato ritiene importanti per lui e che
saranno, in previsione, oggetto di ulteriore indagine e
sviluppo.

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La verifica che verrà fatta, insieme all’intervistatore,
riguarda l’obiettivo o l’eventuale tema di approfondimento
individuato; entrambi devono essere nell’area
dell’autonomia e della responsabilità della persona. Infatti
sono convinto che gli obiettivi di potenziamento, per essere
tali, partono dalla persona e sono sotto il suo controllo,
anche se naturalmente tengono conto del contesto e delle
altre persone coinvolte.

5. Conclusioni e conseguenze autonome

E’ l’ultima fase che chiude l’incontro e rappresenta il


momento di congedo fra consulente e intervistato e
risponde, in sostanza, a una domanda molto pratica: e
quindi?
In questa fase suggerisco di chiedere all’intervistato di
scrivere le sue conclusioni e di decidere cosa può esserci di
nuovo. E’ un momento legato al distacco dall’esperienza e
anche dalla relazione con il consulente e tutta l’attenzione si
deve riportare sulla persona dell’intervistato e sulla sua
autonomia. Deve essere chiaro che già quanto scritto
appartiene a lui e quindi in questa fase non è prevista
nessuna azione di verifica, né tanto meno di giudizio da
parte dell’intervistatore.
A titolo di esempio, in particolare se si è creata una forte
attesa di giudizio su quanto scritto, suggerisco che il

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consulente non chieda di leggere quanto scritto proprio
come azione dimostrativa ed esempio conclusivo di non
creazione di dipendenza. Così facendo, può ribadire ancora
una volta il valore dell’autonomia e del piacere come principi
attivatori dell’impegno individuale preso.

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Conclusioni sul metodo e riflessione sui tempi

Mi auguro di aver chiarito, nelle sue linee essenziali, cosa


succede durate questo incontro e confermo come legittime
le possibili obiezioni sulla sproporzione fra metodo,
processo, contenuti dell’esperienza da un lato, e tempo
dedicato dall’altro.
Il rischio di creare quella che Eric Berne chiama “aspettativa
magica” sembra essere molto forte. Voglio per questo
ricordare che lo stesso Berne ha iniziato i suoi studi
intervenendo in un contesto militare dove la velocità e
l’esigenza di decisioni rapide erano la regola e, come detto
in premessa, velocità e decisioni rapide sono oggi la regola,
spesso l’ossessione, delle organizzazioni.
E’ anche vero che, rispetto al processo descritto, il tempo
complessivo dedicato può essere distribuito in maniera
irregolare nelle varie fasi e che comunque ogni fase ha, a
mio parere, un senso autonomo.
Logicamente, l’intervista di potenziamento non raggiunge gli
stessi obiettivi di un percorso di coaching o di counselling,
ma risponde ugualmente all'esigenza di favorire un normale
processo di crescita. Un'esperienza significativa, anche se
breve, ha il potere di indurci una diversa consapevolezza di
noi e una parziale ristrutturazione della nostra “mappa del

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mondo”. Da questo punto di vista “l’intervista di
potenziamento del sé” è a pieno titolo un acceleratore di
esperienza, anche grazie al fatto di essere circoscritta ed
intensa.

Concludendo, sono convinto che “una pausa per la persona”


di due ore può essere un'esperienza molto utile e profonda e
che ha valore offrire, alla persona, una occasione diversa di
ascolto e di sperimentazione di quanta energia, pienezza e
“potenza” ognuno di noi possa esprimere.

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Jacopo Melloni

Consulente, formatore, master counsellor Analitico Transazionale.


Dopo una giovane esperienza d'Azienda, da più di venti anni lavoro
con passione e interesse per il benessere e lo sviluppo delle
persone nelle organizzazioni. Ho conosciuto e studiato centinaia di
realtà lavorative, con queste e per loro ho ideato, progettato e
realizzato interventi di formazione, consulenze individuali e
organizzative: in particolare nell'area dell'HR, MKT e Commerciale.
Ho approfondito e sviluppato i temi legati: alla leadership, alla
gestione dei collaboratori, alla negoziazione, alla conoscenza del
cliente, al team-building, alla valutazione del potenziale,
all’interfunzionalità organizzativa, alla creatività e alla formazione
formatori.
Negli ultimi anni ho messo a punto nuovi interventi legati alla
centralità della persona sul lavoro e al tema del benessere e del
potenziamento.
Ho pubblicato un libro ironico sul management e l'organizzazione
aziendale: "Lo zen e l'arte di tirare sera" edito da Demetra. Ho
scritto e pubblicato articoli sui temi della leadership, sulla gestione
del gruppo in apprendimento e sul counselling.

jacopo.melloni@mida.biz

L’intervista di potenziamento by Jacopo Melloni


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midaspace.blogspot.com

In copertina
L’ideogramma MON significa “chiedere, domandare”.
L'elemento semantico è il carattere 口 "bocca" (che indica l'area di
significato "parola", "discorso") e l'elemento fonetico è 門 ("cancello");
inoltre "cancello" può dare anche l'idea di "nascondere", quindi 問 può
anche essere interpretato come "chiedere (con la bocca) ciò che è nascosto
(dietro al cancello)”.

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