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I PRETI E NOI

di Vittorino Andreoli
Inizia una riflessione sulla figura del prete: ma non in s,
quanto in rapporto a noi, in rapporto alla societ in cui egli
vive. Ovvio infatti che per parlare del sacerdote come tale, ci
sono competenze e responsabilit precise. Noi invece vogliamo
socializzare il discorso, includerci, considerare il profilo del
sacerdote nei risvolti che ci riguardano. il professor Andreoli
stesso, grande studioso della psiche, e oggi acuto osservatore di fenomeni culturali, a
precisare: Non sono credente, ma voglio bene ai preti. Tutti devono voler loro bene.
Sono figure importanti per tutti. E io voglio che siano felici. Questa la chiave di
interpretazione delliniziativa che oggi parte, e sulla quale ci auguriamo un confronto
ampio.
IL SACERDOTE E IL SACRO
Un personaggio della nostra societ
Il sacerdote un personaggio della nostra societ. Figura che ha una sua lunga storia
nella nostra cultura, e che ha assolto compiti diversamente riconosciuti, sovente anche
contrastati. Profilo che cambiato, perch cambiato il contesto in cui si pone. Cos,
pur perseguendo sempre lo stesso obiettivo, legato al ruolo che ricopre, lambiente in
cui vive lo ha in parte modificato, mutando anche la forma esteriore con cui egli si
presenta al popolo. Dalla veste talare lunga e nera, con berretta a punte e pompon o
cappello rigido a larghe tese, lo si vede talora in abito "borghese", in jeans e shirts, non
pi identificabile o immediatamente riconoscibile. E questo lo ha fatto per nascondersi,
quando la sua missione, contrastata, doveva svolgersi in maniera clandestina; oppure
per la convinzione che dovesse essere notato non tanto per labito quanto per il suo
modo di essere e per il suo comportamento, invertendo il detto popolare che labito a
fare il monaco.
un personaggio colto, perch il raggiungimento della sua posizione comporta studi
severi e una lunga preparazione, ma a distinguerlo non il sapere, bens il ruolo, che ha
unorigine nel mistero, una vera consacrazione. Ciononostante, ci sono stati periodi in
cui il suo sapere ne ha caratterizzato il ruolo e la maniera di essere percepito, soprattutto
in situazioni di istruzione sociale carente, come nel nostro passato storico. Rimane
indubitabile che la sua vera caratteristica e funzione tuttavia una e una sola, e si lega a
un ministero che egli acquisisce attraverso il conferimento dellOrdine, che gli
conferisce il munus sacerdotalis. Insomma, una persona che si inserisce nel mistero, e
quindi dentro un credo.
Il mio interesse
E qui subito si accede allanalisi della sua figura per noi, anche se occorre che io mi
chieda perch abbia scelto di farlo. E dica quali sono le motivazioni che, almeno
consapevolmente, mi hanno indotto a farlo, in via del tutto libera.

Innanzitutto il rispetto. questo un atteggiamento che io sento sempre di fronte


alluomo, a ogni uomo. Ho rispetto per tutti, per luomo "rotto", per gli adolescenti che
hanno compiuto azioni riprovevoli e inaccettabili, per i malati di mente a cui ho
dedicato e dedico la maggiore attenzione; ho rispetto per ogni uomo, anche se possiede
caratteristiche diverse dalle mie.
In secondo luogo, la curiosit. La curiosit per una scelta esistenziale che "strana" e
coraggiosa, almeno per questo nostro tempo, in cui si persegue ormai quasi
inconsapevolmente il successo, il bisogno di una identificazione che sia sempre
ammantata di potere, conquistato o rubato. Un potere che nulla ha a che fare con
lautorevolezza e con il valore, e che anzi sembra porsi su coordinate contrapposte, fino
a portare a dire che per il potere serve pi la stupidit che lautorevolezza o il merito. Il
sacerdote, invece del potere, sceglie la povert; invece dellaffermazione del proprio Io,
che si fonda anche sulla sessualit come dominio, sceglie la castit; e invece della
libert, che nel nostro tempo significa licenza, egli sceglie lobbedienza. E non si tratta
di scelte implicite, ma espresse attraverso una rinuncia consapevole et coram populo,
mediante la formula dellimpegno vincolante.
Unaltra motivazione deriva certamente dalla mia professione di psichiatra, di chi si
interroga sempre su come un uomo viva dentro la societ e se i bisogni che si
definiscono umani vengano raggiunti o siano frustrati.
Per esprimere questa mia forza motrice in maniera sintetica, e sapendo che i sacerdoti
devono rispondere al vescovo che il capo della Chiesa locale in cui esercitano la
propria missione, mi pare di poter dire che se il vescovo vuole che i suoi sacerdoti siano
santi, io da psichiatra vorrei che fossero sereni e, almeno alcune volte, felici.
Le condizioni sociali
La mia attenzione cio rivolta alle condizioni sociali del sacerdozio, poich sono i
prolegomeni alla serenit e alla felicit . E mi chiedo se la vita del sacerdote non sia
invece una lotta di resistenza alle frustrazioni che descriverebbe una sorta di masochista,
anche se crede che proprio nella rinuncia al mondo si giunga alla felicit. Se cos fosse,
allora la mia curiosit come psichiatra crescerebbe potentemente, perch mi troverei di
fronte a un uomo che fa scelte-limite, e persino contrarie a ogni teoria psicologica e di
equilibrio della personalit. Insomma, se il prete con le sue rinunce felice, allora devo
rivedere tutta la mia adesione alla psicologia; se un infelice, allora dovrei chiedermi se
la sua missione sia possibile e con quali esiti.
In questo mbito, devo ricordare storie di sacerdoti che hanno avuto o hanno una
dimensione psichiatrica (e di alcuni mi sono occupato professionalmente), storie di cui
parla sovente la cronaca, inaccettabili perch non rispettano i bambini, abusandone,
oppure intrattengono comportamenti che stridono con il ruolo assunto e che la societ si
attende.
Da ultimo devo riferire di una motivazione personale che io considero molto importante
perch d il clima a questa iniziativa. Non potrei parlare della mia infanzia e
adolescenza senza parlare di qualche sacerdote che ha fatto parte dellhabitat umano nel
periodo in cui si svolta la mia crescita. Quando la mia memoria vaga tra i ricordi di
allora, vedo lombra di curati e di monsignori che hanno svolto un ruolo straordinario e
fondamentale per la mia vita. Non potrei parlare di mio padre, di mia madre, di mia
sorella, che mi porto dentro, sepolti nel mio ricordo, se non parlassi del loro

comportamento nei confronti della Chiesa, mediato dal legame con i suoi sacerdoti.
Ecco, forse devo esprimerlo chiaramente con le parole dei sentimenti: io li amo per tutto
questo. S, e non sono credente.
Il sacerdote visto da un non credente
E me la sono posta, la domanda: possiedo io le caratteristiche per arrogarmi questo
diritto a parlare? Non sar uno che affronta un tema senza averne gli strumenti, non
diversamente da come agirei se domani mattina entrassi in sala operatoria e cominciassi
un intervento chirurgico per il quale, pur essendo medico, non sono preparato, non
possedendo nemmeno gli strumenti? E gli strumenti in questo caso non saranno la fede
e il credere, mentre io sono un non credente?
Penso di poter sostenere, almeno per la mia esperienza, che si pu amare anche chi non
appartiene al proprio mondo. E penso pure che, se uno non crede, pu dire che il
sacerdote non gli serve, allo stesso modo per cui non gli serve lidraulico se limpianto
di riscaldamento funziona, o non ha bisogno del dentista se ha i denti sani. Ma ci non
toglie tuttavia che si possa avere stima, e persino amare una professione, come quella
dellidraulico o dellodontoiatra, o per lappunto del sacerdote.
Il non credente non prova fastidio verso i credenti, alla maniera dellateo che li
considera degli illusi quando non degli stupidi perch si affidano a false verit e vivono
di errori. I non credenti sono persone che non hanno avuto un incontro personale con il
Signore, di cui il sacerdote seguace ed esempio. La fede un dono e si lega
allincontro tra Dio e una persona, e la grandezza del cristianesimo stata nel portare la
dimensione del legame di Dio non pi con un popolo eletto ma con ciascun uomo,
grazie a un incontro tra il singolo uomo e Dio stesso. Insomma, la soluzione del Dio
personale. Ebbene, quellincontro nel non credente non avvenuto, ma ci potr essere.
E come diceva Pascal: Non basta voler credere per credere, occorre lesperienza.
Certo la differenza tra uno che crede e uno che non crede enorme, ma la distanza
temporale pu essere di solo un secondo e quella di luogo, addirittura una vicinanza.
Credere, un bisogno delluomo
Ma devessere anche chiaro che il credere, prima che unesigenza indotta da una
religione, un bisogno delluomo. Il bisogno di credere umano, di questa terra.
semmai la risposta specifica, di quel credo, di quella religione che lega al cielo e magari
proviene dal cielo.
Non penso, dunque, che la mancanza di appartenenza a una fede, che significa anche la
mancanza di relazione con il sacerdote nelle sue funzioni sacre, tolga la possibilit di
guardarlo e di cercare di capirlo.
Essendomi dedicato per molti anni alla ricerca scientifica, e quindi allanalisi di alcuni
problemi biologici e il mio interesse era rivolto al cervello ho imparato che ogni
risultato e affermazione hanno valore entro la metodologia che si applicata per
rilevarli e quindi dentro i limiti che tale metodologia ha imposto. Ma ho imparato anche
che i risultati conseguiti sovente non solo sono utili, ma pur nella loro parzialit sono
straordinariamente importanti: penso alla medicina, a cui le mie ricerche erano rivolte.
Insomma, terra e cielo si toccano.

Colui che fa il sacro


Sacerdote la combinazione di sacer (che significa sacro) e di dho-ts (che vuol dire
fare, colui che fa), dunque etimologicamente significa colui che compie cerimonie
sacre. Il fare va proprio inteso come fare il sacro; e in questo senso meno aderente,
alla radice linguistica, la definizione di sacerdote come colui che amministra le cose
sacre.
Io lo intendo proprio come chi fa, opera. Se si guardano altre parole con la stessa radice
si trova sacrare nel senso di rendere sacro, e anche sacert come carattere sacro.
Insomma, sacerdote si coniuga con sacro e quindi si impone un riferimento al sacro.
Sono molto legato a una definizione che ne ha dato un antropologo, Rudolf Otto, nel
1917, che ha dedicato uno studio al tema, Il sacro. Egli sostiene che si tratta di una
categoria della mente umana, intesa proprio nel senso usato da Immanuel Kant: una
forma della mente per percepire il mondo e quindi anche per condizionarne la sua
conoscenza. Esiste la categoria della ragione, con il principio di non contraddizione, che
rappresenta la modalit per vedere il mondo sub specie rationale.
Otto afferma che luomo possiede una struttura mentale che gli permette di percepire
anche il mondo non sperimentabile, quella parte che si definisce il nouminosum e che ha
la caratteristica non del chiaro e distinto, ma del fascinoso, e quindi di attirare e nel
contempo di spaventare. Insomma, il sacro la categoria della mente che permette di
avvicinarsi al mistero, ci che non riducibile esclusivamente a ragione, ma che
appunto entra nella comprensione anche dei sentimenti, e di uno in particolare: quello
capace di attrarre e spaventare.
Il mistero, dimensione dellumano
E straordinaria questa intuizione poich mette nella configurazione della mente, che
sottost a unanatomia del cervello, una capacit fissata nella storia delluomo: quella di
capire il mistero, come se il mistero fosse una componente necessaria, obbligata,
dellesperienza umana, e come se fosse altro rispetto alla pura ragione, nel senso almeno
che appartengono a due domini, a due bisogni distinti.
Ed proprio cos, poich nellesperienza umana ci sono temi che si prestano alla
comprensione razionale, che ha bisogno della sequenzialit, del poter rimandare a temi
da indagare, e quindi che si prestano a soluzioni non immediate, e altri che invece
necessitano di risposte immediate in s concluse. Quando noi ci troviamo in una
esperienza di paura non serve capire razionalmente o scientificamente che cosa sia il
terrore, ma serve essere rassicurati, e allora vale pi un abbraccio di una trattazione di
psicologia.
Ci sono poi temi in cui il numinoso si attiva subito: la morte che ci interroga
drammaticamente sulla fine, la nascita che ci pone la questione del perch lessere
invece del nulla, il male che colpisce un bambino e verso il quale ci si sente impotenti,
anche coloro che dovrebbero proteggerne lesistenza.
Rudolf Otto dice dunque che il sacro una categoria della mente che esprime il bisogno
di avere una risposta immediata, senza rimandare ad altro come sovente accade per la
scienza o il ragionamento .

Sacro e religioso
Da questo richiamo si pone una distinzione netta tra sacro e religioso. Religioso
significa legame (da religio), ed bellissimo poich il legame ha una funzione di
rassicurazione. I sentimenti sono i legami che una persona stabilisce con unaltra, e nel
legame si seda la paura.
Ebbene, la religione la risposta ai bisogni del sacro. Dunque, il sacro umanissimo, ed
esperienza di questa terra; e la religione la risposta totale, senza dubbi, senza
rimandi, affermata persino da unautorit che ha il nome di Dio, dellAssoluto.
Il sacerdote dunque , dal mio punto di vista, un uomo religioso che d risposte
attraverso gesti, liturgie, cerimonie ai bisogni del sacro che ogni uomo prova.
Se il sacro una funzione della mente, e dellessere uomo, e una caratteristica
potremmo dire della sua biologia, allora si capisce bene perch a proposito del sacerdote
si parla anche di una funzione sociale, ossia di un livello squisitamente terreno della sua
funzione.
LA VOCAZIONE
La vocazione ordinaria
Ogni professione richiede di valorizzare le qualit di ciascuno, le sue disposizioni
attitudinali, e la precisa volont di dedicarsi al campo prescelto.
Vocazione viene da vocare, che significa chiamare, invocare. La vocazione dunque
una chiamata, talora addirittura uninvocazione a dedicarsi a un ruolo sociale, una volta
verificate la capacit e la disposizione a svolgerlo. Un riferimento, questo, che suona
oggi stonato, se si pensa a come vanno le cose nel nostro tempo, nel quale il lavoro si
lega piuttosto alle circostanze, a una combinazione del tutto casuale di eventi o di
incontri. triste, come pure mi capitato, andare in taxi da Fiumicino al centro di
Roma, accompagnato da un giovane tassista che racconta di essere un laureato in
filosofia teoretica; oppure trovarsi a pagare il pedaggio autostradale a una persona che
confessa dessere un ingegnere edile. Un vero dolore, che mostra lo spreco di una
societ che prima mette a disposizione strutture e mezzi, peraltro limitati e in ambienti
non certo ideali, per raggiungere delle competenze, e poi si dimentica di programmare
unaccoglienza proporzionata a quellesito.
Mala tempora quando non si riesce a combinare le doti individuali (talenti) con la
preparazione e i bisogni sociali, consentendo cos ai singoli la soddisfazione che
meritano per essersi impegnati nel conseguimento di una precisa professionalit.
Eppure, la vocazione necessita di una cornice di grande rilievo.
Occorre che ciascuno abbia consapevolezza delle proprie capacit, che non sono sempre
evidenti, ma possono emergere durante un processo educativo in cui il singolo scopre
quali funzioni riesce a svolgere bene, provando piacere nelleseguirle. Del resto proprio
a questo scopo si sono sviluppate tecniche di ricerca dei talenti e di orientamento nella
loro applicazione sociale, avendo presente il quadro non solo delle professioni in atto
ma anche di quelle che il mercato del lavoro riesce appena a intravedere, allinterno di
una societ mobile e in forte cambiamento.

Talora la propensione evidente: il caso di una persona che sa disegnare o dipingere,


oppure ha un senso musicale spiccato, o una disposizione alla matematica e alle scienze
fisiche piuttosto che una tendenza alla meditazione e alla elaborazione concettuale del
pensiero, e quindi ad attivit astratte. Ma altrettanto vero che non sempre questo
segnale di disposizione si lega alla felicit di una persona, che magari la esperisce in un
agire pi faticoso e impegnativo rispetto al mestiere "naturale". E il piacere molto
importante, una dimensione che va sempre tenuta presente.
Occorre stare attenti a non illudersi, a non sentire il fascino della professione del proprio
padre o di una persona amata, il mestiere scelto dallamico fidato, perch si tratterebbe
di spinte emotive che sono strumentali: si fondano sulla voglia di stare con qualcuno o
di continuare una certa storia che una professione diversa invece interromperebbe.
In un recente passato si era data molta importanza ai test attitudinali, che per si sono
dimostrati troppo superficiali. Questo non significa affidarsi allora al caso, che sarebbe
un errore antitetico. Bisogna invece stare bene attenti a un processo complesso, che va
valutato da parte del soggetto e dai suoi educatori in maniera continuativa, cos da far
emergere gli elementi utili per capire se questi possa trovarsi a proprio agio in un dato
ambiente sociale. Sta qui il senso delladattamento del singolo allambiente di cui parla
Charles Darwin, e che non va inteso in senso passivo ma, al contrario, come legame
soddisfacente e dunque gratificante dellattivit del singolo in una data comunit.
Nel tema generale delladattamento si inseriscono anche i disturbi mentali e
comportamentali, che sono da intendersi come la difficolt di un soggetto a stare in
societ, e quindi come reazione a cercare di sopravvivervi, con maniere idonee a evitare
le possibili frustrazioni. Se uno si sente fortemente insicuro tende a diminuire i contatti
sociali, a ossessivizzarli, ripetendoli, evitando nuove esperienze che gli si configurano
sempre minacciose. Allo stesso meccanismo si lega la depressione, che una vera fuga
dalla societ nella quale ci si sente inadeguati, fino a convincersi di non essere
compatibili con il vivere comunitario. Ma anche la schizofrenia, che una frattura
dellIo o una sua frammentazione, ha il significato di una rottura di quella unit, essendo
lindividuo in grado di stare allinterno della societ ma ignorandola.
Insomma, la vocazione ordinaria di grandissima importanza per ciascuno di noi.
Ovvio che lo sia ancor pi per il sacerdote, che rappresenta una condizione tutta diversa
dalle altre professioni.
La vocazione sacerdotale
Se il significato della vocazione ordinaria gi quello di una chiamata, tanto pi lo
quella del sacerdote: e infatti si parla di chiamata da parte del Signore a servirlo per la
salvezza delluomo. Chiamata a una missione che ha come obiettivo il raggiungimento
pieno della felicit non in questo mondo, ma nellaltro, in cielo.
Non intendo lambire il senso profondo di questa affermazione, ma opportuno chiarire
che nel caso della vocazione sacerdotale si tratta di qualcosa che si aggiunge e si
specifica, ma non nega nulla di quanto si detto per la vocazione ordinaria. Al di l
infatti del suo senso proprio, la vocazione sacerdotale rimane unattivit delluomo in
mezzo agli altri uomini, per cui risente delle caratteristiche personali come
dellatteggiamento della struttura sociale. Con ci non intendo dal mio punto di vista
escludere pregiudizialmente qualcuno dalla scelta di diventare sacerdote; del resto

basterebbe guardare ai santi per accorgersi di quanto siano tra loro diversi sul piano
delle caratteristiche fisiche, della personalit e dellappartenenza sociale.
Avendo diretto a lungo una divisione clinica, mi sono reso conto che cerano medici che
facevano ugualmente bene il loro lavoro pur con personalit e disposizioni differenti e
talora contrapposte. E dunque che la fatica per raggiungere il comune obiettivo era
evidentemente diversa. Immagino ma qui ho una minore esperienza che qualcosa del
genere si possa dire anche per chi aspira al sacerdozio.
Torno su un concetto gi espresso, e che ritroveremo ancora: quello della serenit e
della felicit. Ho conosciuto sacerdoti che manifestano questi atteggiamenti anche in
momenti obiettivamente difficili, e altri che rivelano uno stato di ansia, di
preoccupazione continua, e temono sempre di non farcela. Ebbene, questo, dal mio
punto di vista, il vero test di adeguamento a un determinato ruolo sociale.
Mi spiego, rifacendomi a quanto si dice parlando della fede intesa come incontro
"personale" del singolo uomo con Dio. Questa daltra parte la caratteristica del
cristianesimo. Non sufficiente conoscere la rivelazione storica, avere letto tutti i libri
del Vecchio e del Nuovo Testamento; certo, questo serve, ma non ancora fede. La fede
sta nellincontro, cio nel Dio che si manifesta al singolo uomo. E questo incontro
trasforma un non-credente nel credente. Mi piace sottolineare che il non-credente, a
differenza dellateo, potrebbe anche essere pronto ad accogliere il Signore, ma bisogna
che questi si riveli. Il che un puro dono.
Io trovo bellissimo che la fede sia legata a unesperienza precisa, per quanto singolare e
indicibile, dal momento che essa per un verso pesca nel mistero, e dunque nel sacro.
Va da s che questo incontro devesserci stato a un certo punto nella vita di chi vuol
diventare sacerdote. Ma di per s non ancora la chiamata, tant vero che non tutti gli
uomini con fede hanno la vocazione a diventare sacerdoti. Occorre per questo che quel
Dio di Ges Cristo, che insieme il Dio personale, abbia invitato a seguirlo, e a seguirlo
in maniera speciale. Quella del ruolo sacerdotale una chiamata di dedizione esclusiva,
un invito damore che sottrae da altre possibilit di amare.
E capisco perfettamente che si tratta di un legame ben pi profondo rispetto a quello di
una presenza comune, perch richiede una dedizione totale. E allora chiaro che un
sacerdote non pu essere al contempo come uno che ha abbracciato una qualsiasi altra
professione.
Trovo veramente strano che talora si voglia ridurre il sacerdote alla stregua di uno che
preso da una serie di preoccupazioni legate a una propria famiglia, a un proprio lavoro.
Si tratta, per lui, di una vita qualitativamente diversa, intensamente diversa, ma non una
vita doppia, intesa come somma di esperienze. E se uno soltanto capisce cosa voglia
dire una chiamata a "lasciare tutto" e a seguirLo, trova assurde le ipotesi del prete
sposato con famiglia, del prete manager o anche soltanto macellaio. Un ruolo quello
del prete che si fonda certo su alcune caratteristiche proprie, ma anche su un legame
speciale con Dio, che non il direttore generale di una grande azienda, bens appunto
Dio. Uno pu negarlo nella propria vita ma non negare che esista nella vita di un
sacerdote, il quale ha inforcato la sua missione rispondendo a una chiamata che viene da
Dio direttamente.
Certo, c anche la posizione dellateo, che nega il sacerdozio perch nega Dio e ritiene

che chiunque vi creda sia un minus habens o un infatuato che vive di illusioni. Ma non
questa la mia posizione, pur non avendo io incontrato il Signore, e dunque non avendo
io ricevuto alcun invito alla sequela, credo che ci possa essere accaduto ad altri, perch
ho rispetto dellaltro e non mi sento di dire che ci che io non ho vissuto non solo non
esiste ma non pu neppure esistere. Non sono mai stato a Bali e non ho certo in
programma di andarci, ma sono sicuro che Bali c, anche se ritengo che sia un luogo
abbastanza al di fuori della mia esperienza da non desiderare affatto di andarci.
La vocazione sacerdotale una vocazione come tutte le altre, se la si considera nella
dimensione dellincontro tra le disposizioni personali e le esigenze della societ, ma in
pi una chiamata speciale che proviene da un incontro personale con Dio, che oltre
quello che si attua per credere. Certo, occorre credere, e quindi avere incontrato il Dio
che c, ma si tratta anche di seguirlo.
IL SEMINARISTA
Una premessa
Se si vuole comprendere il valore di un qualsiasi professionista, utile, forse addirittura
indispensabile, conoscere le scuole che ha frequentato, e sapere quindi quale sia stato il
suo effettivo percorso formativo. Da quel momento, per misurare le sue reali capacit, si
dovranno aggiungere lesperienza pratica e la formazione permanente. Questultima gli
permetter di aggiornarsi sulle nuove conoscenze legate allo sviluppo intrinseco della
sua disciplina e ai cambiamenti della societ, che pone sempre nuove domande.
Questa stessa esigenza si avverte per il sacerdote, pur se la sua una situazione del tutto
particolare, che proprio per questo necessita di istituzioni formative adatte allo scopo.
Se per tutti i cittadini i criteri e i luoghi sono decretati dal Ministero della Pubblica
istruzione, per la formazione del sacerdote essi sono previsti dapprima dalla Chiesa
universale, che fornisce i lineamenti generali, quindi dalle Conferenze episcopali
nazionali, che elaborano gli adattamenti locali. Ferma restando la competenza propria di
ogni vescovo, che il primo moderatore del suo seminario e il primo responsabile nella
formazione permanente del clero. Il seminario, si sa, unistituzione diocesana, ma in
certi casi pu anche essere interdiocesana o regionale.
Dal che si capisce perch, volendo parlare del sacerdote come figura della societ
attuale, si debba partire dal seminarista, che , in un certo senso, un sacerdote in fieri;
anche se la sua crescita va seguita e rispettata in s, quale che sia lo sbocco concreto
della sua vocazione. Per questo ci soffermiamo a capire come funziona un seminario. E
per coglierlo con esattezza, opportuno riferirsi alle norme emanate dalla Conferenza
episcopale italiana. La tentazione di parlare dei seminari per quello che ciascuno di noi
conosce, o crede di conoscere, deve essere vinta infatti dalla necessit di riferimenti
precisi, e in qualche modo ufficiali.
Il documento a cui bisogna oggi riferirsi si intitola:
La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana: orientamenti e norme per i seminari,
promulgato il 4 novembre 2006. Si tratta della terza edizione di un testo pubblicato
dapprima nel 1972 e quindi nel 1980. Uno sforzo di adattamento che nel corso del
Concilio Vaticano II stato raccomandato con il documento Optatam totius (al n.1),
dove si dice: di adattare periodicamente i principi generali della formazione
presbiterale alle particolari circostanze di tempo e luogo, in modo che essi risultino

sempre conformi alle necessit pastorali delle regioni in cui dovr svolgersi il ministero
dei presbiteri (Optatam totius, 1). Quanto al testo Cei, bisogna dire che, in continuit
con le due precedenti edizioni della ratio institutionis sacerdotalis, ha cercato di
recepire le nuove domande poste dal mondo giovanile, di prestare attenzione al mutato
contesto culturale ed ecclesiale (La formazione dei presbiteri Presentazione, 1).
Innanzitutto una precisazione di ordine lessicale: il documento parla di presbitero, noi
qui usiamo prevalentemente il termine sacerdote e po anche la parola prete, che di uso
la pi popolare. Il presbiterato, si sa, un grado del sacramento dellordine che si pone
tra il diaconato e lepiscopato. Prima del Concilio Vaticano II invece si distingueva tra
ordini minori (lettore, accolito, esorcista e ostiario) e ordini maggiori (suddiacono,
diacono e presbitero). Limpianto stato poi riformato e alcune funzioni degli ordini
minori possono essere svolte dai laici anche senza aver ricevuto uno specifico ordine.
Oggi c un unico ordine che ha in s tre gradi: il diaconato, il presbiterato e
lepiscopato.
Il seminario minore
Ai ragazzi e ai giovani che mostrassero segni chiari di vocazione al presbiterato, si
aprono, a seconda dellet, due percorsi propedeutici al seminario maggiore: la
comunit del seminario minore [11-19 anni] e la comunit propedeutica (Ibidem, cap.
II, 1, 34). Dove a colpirmi lattenzione che si pone al fatto comunitario: il seminario
ad ogni livello una comunit e ci rileva che questa una dimensione essenziale per la
formazione sia culturale che propriamente ecclesiale. Il seminario , in se stesso,
unesperienza originale della vita della Chiesa Gi sotto il profilo umano, esso deve
tendere a diventare una comunit compaginata da profonda amicizia e carit cos da
poter essere considerata una vera famiglia che vive nella gioia Il seminario non
dunque solo unistituzione funzionale allacquisizione di competenze teologiche e
pastorali, o un luogo di coabitazione e di studio. anzitutto luogo di vera e propria
esperienza ecclesiale, una singolare comunit di discepoli una comunit educativa in
cammino unautentica scuola di santit (Ibidem, cap. III, 1, 60-63).
Verso il seminario minore ci sono stati atteggiamenti diversi: nella fase immediatamente
successiva al Concilio dominava lidea che le vocazioni "tardive" fossero quelle da
guardare con particolare interesse, poich garantivano una scelta pi consapevole. In
questo caso, il giovane (o anche un adulto) entrava nel seminario maggiore per la
formazione sacerdotale specifica, spesso avendo ottenuto un diploma ordinario o una
laurea. Nella pedagogia allora in voga, qualcuno arrivava a parlare di una impossibilit
di scelta in et infantile e adolescenziale, e riteneva che il seminario minore potesse al
massimo essere una scuola cattolica parificata. Oggi la tendenza cambiata e il citato
documento dei vescovi d nuova importanza ai seminari minori. La Chiesa mette a
disposizione, anche per let della preadolescenza e delladolescenza, una specifica
comunit per liniziale discernimento e accompagnamento delle vocazioni al
presbiterato Offre a ragazzi e adolescenti una proposta di vita al seguito di Ges, in
un contesto comunitario, tenendo conto delle esigenze tipiche dellet Perch il
seminario possa svolgere efficacemente il suo compito ha bisogno di unquipe
educativa stabile e motivata, preparata ad affrontare i problemi delladolescenza
(Ibidem, cap. II, 2, 35.37).
Ed a questo punto che si fa riferimento alle competenze psicopedagogiche. La

formazione umana prevede un prudente ricorso al contributo delle scienze


psicopedagogiche (ibidem, Presentazione, 5). Costante infatti la prudenza manifestata
nei confronti di queste discipline, e anche della psicologia. Al cui riguardo si dir che lo
psicologo un consulente esterno, che non fa parte del gruppo degli operatori interni: il
rettore, il direttore spirituale, gli educatori (talora detti animatori). Ma la cosa pi
interessante che si afferma con nettezza che il protagonista della formazione
anzitutto lo Spirito di Cristo, quindi il Vescovo e poi le quipes educanti stabili
allinterno del seminario.
La comunit propedeutica
La comunit propedeutica raccoglie i soggetti che aspirano al sacerdozio e non hanno
fatto il seminario minore, o lhanno fatto in altri contesti o in altre nazioni. Qui si
fermano in genere un anno, salvo diverse disposizioni, e percorrono "uno specifico
itinerario di introduzione al seminario maggiore (Ibidem, cap. II, 3,47). La Conferenza
episcopale italiana suggerisce che in questo anno il giovane viva in una sede autonoma
anche se allinterno di una comunit propedeutica (potrebbe essere una parrocchia),
sempre allo scopo di verificare i segni oggettivi di un effettivo orientamento al
presbiterato (Ibidem, cap. II, 3,48). A tal fine raccomandato, nel rispetto della
libert di ciascuno, il ricorso allapporto della valutazione psicodiagnostica (Ibidem,
cap. II, 3,50). Questa valutazione intesa a riconoscere nel momento presente gli
elementi che manifestano la disponibilit effettiva della persona (o le eventuali
resistenze conscie e inconscie) a lasciarsi plasmare dalla grazia (Ibidem, cap. II, nota
104).
Questa formula propedeutica lascia intendere indirettamente che la via considerata oggi
migliore (o potremo dire ancora oggi migliore) sia quella della continuit di formazione
che si avvia nel seminario minore, il quale proprio per questo conosce oggi una nuova
rivalutazione.
Il seminario maggiore
Al seminario maggiore occorre comunque essere ammessi, e tra i limiti che possono
fare da ostacolo allingresso c la salute fisica e mentale. Si richiede infatti una
personalit sufficientemente sana e ben strutturata dal punto di vista relazionale: prima
di ammettere un giovane in seminario, occorre accertarsi, eventualmente con lausilio di
unadeguata valutazione psicodiagnostica, che sia immune da patologie psichiche tali da
pregiudicare un fruttuoso cammino seminaristico [occorre che ci sia] lorientamento
alla vita celibataria: lorientamento affettivo del dono totale di s nel carisma verginale
deve essere presente fin da quando un giovane decide di entrare in seminario Per
nessuna ragione, evidentemente, pu essere presa in considerazione la domanda di
coloro che manifestassero tendenze pedofiliche (Ibidem, cap. II, nota 118).
Si tratta di un tempo di vita comune per stare con Ges e con i fratelli una vita
comunitaria, gerarchica in cui i seminaristi stessi sono protagonisti insostituibili della
loro formazione (Ibidem cap. III, 1, 58; 3, 73 ).
Il percorso di studio del seminario maggiore diviso in tre bienni: il primo (biennio
iniziale) ha come meta leffettiva ammissione e le conoscenze e caratteristiche
necessarie. Il secondo biennio si qualifica come specifica iniziazione al sacerdozio,

attraverso lacquisizione nel terzo anno del lettorato e nel quarto dellaccolitato. Il
lettore si lega a un rapporto peculiare con la parola di Dio, con la lectio divina; nel
quarto si stabilisce un rapporto privilegiato con leucaristia. Nel terzo biennio si ha la
preparazione immediata verso lordinazione diaconale che avviene al quinto anno e
lordinazione sacerdotale al sesto. Mentre si acquisiscono queste specificit ecclesiali, si
segue un programma articolato di studi filosofici, teologici e liturgici.
La dimensione psicologica
Nellambito della formazione umana dei seminaristi, pu essere utile lintervento degli
psicologi. Tale intervento non finalizzato direttamente al discernimento della
vocazione, compito che spetta agli educatori del seminario Allinizio del cammino di
formazione, gli psicologi possono coadiuvare gli educatori a individuare nei candidati
eventuali problemi di psicopatologia. Inoltre, durante gli anni del seminario, essi
possono aiutare i seminaristi a raggiungere una maggiore conoscenza di s (Ibidem
cap. III, 3, 76).
Nella scelta degli psicologi di riferimento... necessario verificare che la base su cui si
fonda il loro lavoro sia coerente con la dimensione trascendente della persona e con
lantropologia cristiana della vocazione (cfr. Ibidem, cap. III, 3, 76). opportuno che
la possibilit di unindagine e valutazione psicodiagnostica sulla propria personalit sia
offerta a tutti, nel rispetto della libert di ciascuno, allinizio del percorso formativo
(Ibidem cap. III, 4, 94).
Pur in una cauta apertura, pi volte richiamata nel documento, si avverte una certa
preoccupazione a che le scienze psicologiche possano interferire nel percorso formativo.
Il protagonista principale in seminario lo Spirito di Dio, manifestatosi in Cristo, che
il modello a cui uniformare la propria esistenza.
questo il contesto entro cui i giovani entrano in seminario e acquisiscono la
denominazione di seminaristi.
IL SEMINARIO
Una scelta "precoce"
Si ha la percezione, non so quanto suffragata dai fatti, che sia in atto una rivalutazione
circa il seminario minore. Unopzione che si inquadra nella strutturazione dei nuovi
percorsi formativi del futuro sacerdote, e che potrebbe motivarsi anche per la
dispersione che caratterizza le esperienze infantili e adolescenziali odierne. In altre
parole, potrebbe emergere sempre pi nettamente la volont di promuovere
uneducazione pi stretta, dunque pi raccolta, in ordine alla formazione del sacerdote
"in erba". Il seminario minore diventa in questo caso il luogo in cui si favorisce
lesplicitarsi di una chiamata, in un clima fatto anche di silenzi e di raccoglimento,
invece che di quel baccano del mondo che sembra impedire la coltivazione
dellinteriorit e riduce luomo alla sua superficie cutanea e allapparire.
Se vero che la scuola in generale deve prima di tutto insegnare a vivere, e dunque non
limitarsi alla trasmissione di informazioni tecniche, ne deriva che una vera formazione
condotta in et scolare debba occuparsi anche dei modelli esistenziali, a cui si legano
processi importanti proprio per la maturazione e lequilibrio della personalit.

Se si volesse ricercare un confronto, vengono in mente le scuole militari: ad esempio, la


Nunziatella di Napoli (che ora anche a Milano), in cui si entra in et adolescenziale,
per completare gli studi liceali, e poi passare alle accademie militari, come quella di
Modena per lesercito, nelle quali si conclude la preparazione specifica, che poi
luniversit per gli ufficiali.
Comunque la si voglia vedere, nelle varie tendenze e organizzazioni, let della
adolescenza molto importante ai fini di una formazione rigorosa. Cos anche il
seminario lo , pur con i suoi adattamenti da luogo a luogo: in esso il giovane
seminarista si prepara alla vita ma anche specificamente al sacerdozio, con la
consapevolezza e la maturit che la scelta comporta. Gi, perch questo pu essere per
taluni un problema.
Psicologia, elemento non decorativo
Colpisce, nel documento normativo per formazione al sacerdozio, la prudenza riservata
verso gli strumenti diagnostici e terapeutici, o anche solo analitici, quali sono forniti
oggi dalle psicologie, in un periodo come lattuale nel quale si ricorre abitualmente ad
esse per capire ci che in una persona pu ancora non apparire. Tanto pi che detto
documento, emesso nel 2006 dalla Conferenza episcopale, cita linconscio, e lo fa in
termini certamente corretti, quale istanza che pu incidere su scelte e comportamenti.
Insomma, si avverte unattrazione che nel contempo genera allerta. E questa risente
forse di un passato critico, influenzato dalla teoria freudiana e da alcune esperienze di
psicoanalisi, la quale ? com noto ? si propone unesplorazione della personalit
profonda, senza essere centrata su un problema specifico di personalit o
comportamentale. Bisogna tuttavia dire che taluni comportamenti espressi da sacerdoti
sarebbero stati per tempo individuati, se ci si fosse affidati alle valutazioni psicologiche
o psicoanalitiche (voce disturbi della sfera sessuale).
Una certa cautela la si pu riconoscere anche nella richiesta di prestazioni psicologiche
da parte di professionisti esterni, che se troppo limitate potrebbero risultare anche
scarsamente utili. Pi che il dato di fede o ladesione a determinate scuole, nello
psicologo cercherei unindiscussa professionalit, fatto salvo sempre il rispetto per il
seminarista, la sua scelta e il suo impegno.
La chiamata da parte di Dio
Non si deve mai giungere frettolosamente alla conclusione che lingresso in seminario
sia gi una determinazione a svolgere "quel" particolare ruolo sociale che proprio del
sacerdote. La chiamata di Dio ha bisogno di tempi lunghi per palesarsi ed essere
verificata. Fondamentale tuttavia latteggiamento di fede, e lappartenenza alla fede
stessa.
Ma ci non ancora la vocazione al sacerdozio. Per questo si rende necessaria una fase
lunga di monitoraggio, che avr cura di seguire, oltre alla disposizione individuale,
anche gli effetti della chiamata sulla persona.
In questa sequenza, che dovr rivelare una progressione nella consapevolezza circa la
scelta da compiere, ci sar vicino al seminarista unopera educativa partecipata,
lequivalente di ci che fa il tutor delle scuole inglesi, ma forse ancora pi assidua, e che

punta specificamente alla crescita vocazionale, con attenzione ai segni di cambiamento


che, oltre a essere propri di ogni adolescente, si legano a quellevento particolare che
la vocazione al sacerdozio.
Forse, per comprendere le scelte della Conferenza episcopale occorre passare dal fatto
psicologico, legato alla verifica di doti e attitudini, all"evento" dellincontro con Dio
che coinvolge tutta la persona, nella sua specificit e concretezza.
Due dimensioni di ununica scelta
Il seminario , quindi, il luogo in cui si valutano e si coltivano quelli che a me sembrano
i due versanti della vocazione, quello appena menzionato della chiamata divina e
quello pi legato al ruolo che per il futuro sacerdote si prospetta nella societ.
Queste due dinamiche sembrano evocare, nel tempo presente, competenze e profili
diversi ma chiamati a collaborare in vista della costruzione della stessa personalit: da
una parte il padre spirituale, oltre che gli educatori, dallaltra il psicologo professionista,
nella veste del consulente ipotetico. Una considerazione a cui probabilmente si arrivati
in forza non tanto di valutazioni teoriche ma alla luce di esperienze qua e l accadute.
Per le quali c da dire che quando un tutorato psicologico viene condotto con modalit
di separatezza, pu capitare che, se pur si offre al singolo lopportunit di risolvere
problemi rilevanti della personalit (disturbi) legati sia alla scelta che alla formazione, si
finisce tuttavia per provocare una separazione delle problematiche, e persino una
duplicit di percezione quanto all"essere nel mondo", con la conseguenza di creare
artificiosamente dei problemi.
A parte questo nodo, lintervento psicologico quando richiesto esige colloqui
ripetuti per un tempo che non possibile ipotizzare in via preventiva.
Se ne sono dedotti alla fine una serie di criteri operativi. Ne cito due: il primo quello
di operare delle verifiche molto attente, compreso lo studio di personalit, prima di
inserire un giovane nel seminario maggiore; il secondo, di attivare quando serve la
relazione con uno psicologo esterno, che possa intervenire su casi specifici, o su
richieste precise, prevedendo persino in circostanze rare dei periodi di interruzione del
percorso formativo.
Bisogna aggiungere, infine, che uno screening psicologico esteso a tutti finirebbe per
essere talmente generico e superficiale da non dare n garanzia vocazionale n aiuto ai
singoli seminaristi.
Sempre in riferimento alla psicologia c tuttavia una buona notizia. Nel senso che la
materia ora prevista tra le discipline fondamentali, dove infatti figurano le Scienze
umane. necessario si dice che negli anni della formazione i seminaristi
acquisiscano la capacit di conoscere in profondit lanimo umano, intuirne difficolt e
problemi, facilitare lincontro e il dialogo, ottenere fiducia e collaborazione, esprimere
giudizi sereni e oggettivi. Inoltre, essi devono poter disporre degli strumenti essenziali
per una valutazione delle dinamiche e delle strutture sociali. A tal fine di non poca utilit
sono le cosiddette Scienze delluomo, la psicologia e la sociologia (Cei, Formazione
dei presbiteri nella Chiesa italiana: orientamento e norme per i seminari, cap. IV, 2, 2).
E cos, la psicologia tenuta a bada nella valutazione del dato umano dei chiamati,
acquista un suo peso negli itinerari formativi degli stessi, in vista del ministero.

La "chiamata" annulla il resto?


E qui si pone subito una questione che, per me, ha la consistenza dei principi teorici. La
certezza della vocazione, come chiamata speciale e misteriosa di Dio, rende inutili altre
attenzioni? In altre parole, se uno stato chiamato da Dio, gli serve un
accompagnamento anche per quanto riguarda limpatto con la societ? possibile che
Dio chiami chi al contempo non ha le caratteristiche personali per svolgere il ruolo
sacerdotale?
del tutto probabile che la presenza strutturale degli educatori e in particolare del padre
spirituale, presente di norma nellitinerario di ogni seminarista, abbia in s i requisiti
che rendono secondario ogni altro intervento. tuttavia innegabile che la vicenda di non
pochi sacerdoti sia anche prova che questo criterio da solo pu in certi casi rivelarsi
fragile.
La mia convinzione risente ovviamente dellesperienza clinica, e dunque delle scienze
comportamentali; perci sono persuaso che i risvolti umani debbano essere tenuti in
considerazione. In altre parole, che la vocazione di speciale consacrazione vada iscritta
nella dotazione terrena, che non solo biologica ma anche sociale, perch come s
detto ogni professione risente delle condizioni in cui si svolge, e di conseguenza fare il
sacerdote oggi richiede adattamenti che non urgevano ieri.
Occasione per "volare alto"
La valutazione della chiamata speciale necessaria sempre, e particolarmente quando si
avvicina il momento della ordinazione e dunque delle scelte definitive, che poi significa
anche ladozione di uno stile particolare di vivere in societ. Fino a questo momento
deve essere possibile attendere e anche desistere.
Va da s che non sia prudente spingersi verso lordinazione quando sussiste un dubbio
vocazionale: sarebbe un errore affidarsi, almeno in questo caso, alla speranza. troppo
delicato per il singolo individuo e per la societ che un sacerdote fallisca nella sua
scelta: si determina per lo pi un infelice, una persona che finisce per rappresentare
male la Chiesa, la quale verr a sua volta mal percepita dai fedeli.
Occorre valutare la chiamata di Dio come una gioia, ma mai la non-chiamata alla vita
religiosa come un rifiuto da parte di Dio. Al massimo essa potrebbe voler dire che uno
vivr la propria vita nelle forme ordinarie, impegnandosi in una professione normale,
che a sua volta arricchisce il valore della vita stessa.
Proprio per questo occorre che la vita del seminarista sia tranquilla e serena, impegnata
ma non ossessiva. Egli si avvertir un prescelto da Dio senza per questo ritenersi un
toccato dallonnipotenza. Il che gli permetter di non sentirsi abbandonato o escluso nel
caso che, verificando la vocazione, dovesse concludere che non fatto per il sacerdozio.
LE PROMESSE: CORNICE GENERALE
Le promesse nel contesto dellamore
Nel clima che caratterizza il nostro tempo, difficile che si scorga nei voti sacerdotali
(chiamati con linguaggio pi preciso "promesse" o "impegni", per distinguerli dai voti

che sono emessi negli ordini religiosi o monastici) delle scelte consapevoli e felici,
giacch in una visione terrena o mondana essi appaiono piuttosto come un limite, o
come unimposizione. Al punto da sembrare assurdi, e umanamente inaccettabili.
Per capire come una simile scelta possa invece essere addirittura gioiosa, bisogna partire
dallamore, e se non scandalizza dallamore anzitutto come dimensione
propriamente umana. Considerato il pi sublime dei sentimenti, quale condizione
straordinaria e sognata, se ben valutato lamore la promessa di fare non solo ci che
gradito allamato o allamata, ma anche quello che vuole. E in questo legame, fare ci
che piace allaltro d gioia, non per il gesto in s, ma proprio per leffetto che provoca
nellamato. Lamore ribalta la "logica" di ci che sembra avere o non avere un senso.
una condizione in cui ci che considerato "normale" si trasforma.
Le rinunce damore non di rado sono imponenti, eppure sono pesi portati con la certezza
di arrecare piacere e gioia a colui senza il quale non si riuscirebbe a vivere. E non
nemmeno necessario caricare laltruismo proprio dellamore di significati teorici, basta
analizzare la dinamica dellunione di mente e di corpi, per convincersi che la rinuncia
tende alla soddisfazione dellaltro e a far piacere.
Insomma, lamore insegna che si pu essere felici per un bene o un gesto che si riceve,
ma altrettanto felici per un bene o un gesto che si compie. Oggi viviamo in una societ
irrigidita nelle espressioni altruistiche, e ci a causa di una dominante cultura del
nemico. Le relazioni interumane sono dapprima fredde e sulla difensiva. Ci sfugge
persino la gioia e il piacere che derivano dallessere gentili e generosi, nel fare qualcosa
che laltro apprezza, nel mostrare rispetto, e offrire solidariet, comprensione,
condivisione, cooperazione. bellissimo fare il bene, esattamente come riceverlo. Cos,
la scelta del sacerdote che, vista dallesterno pare una rinuncia, pu essere vissuta
addirittura come gioia. E certamente poter dire alla persona amata, faccio tutto ci che
vuoi, potrebbe sembrare culturalmente un romanticismo depass, mentre
psicologicamente rimane unesperienza vera.
Cos le promesse di ubbidienza, castit e povert, staccate dal contesto in cui si
pongono, finiscono con lacquisire un significato totalmente differente rispetto a quando
le si legge inserite in un legame damore. Le promesse cio fanno parte della scelta
sacerdotale, e quindi rientrano in un legame damore con Cristo e la sua Chiesa. Lette
come rinunce, apparirebbero follie, inserite invece in un contesto damore acquistano un
significato diverso: gi nella dimensione dellamore umano, figurarsi in un rapporto
damore con Dio.
E chi non ha mai vissuto la relazione dellamore teologale deve astenersi dal giudicare
le dinamiche di questa dimensione, per non cadere in un intellettualismo freddo e
arrogante o nellateismo.
Le promesse nella missione sacerdotale
Non nemmeno corretto, parlando del sacerdote, partire dai voti, quando questi hanno
senso se collocati dentro la missione propria del sacerdote, nella prospettiva di una
completa dedizione agli altri, agli ultimi, agli abbandonati.
Si aggiunga poi la facolt di rimettere i peccati. Dove lo scarto tra lessere e il dover

essere genera un senso di colpa che con lEgo te absolvo viene superato, come la pi
preziosa delle terapie.
Al di l del dinamismo sacramentale, questa unoperazione che a suo modo e al suo
livello compie ad esempio anche lo psichiatra. Basti ricordare il rapporto che egli attua
con un ossessivo, con un soggetto cio che gravato dal senso di colpa, fino a vivere
ogni gesto come colpevolezza e quindi come qualcosa che egli avrebbe dovuto evitare.
Sostenuto dallautorit clinica, lo psichiatra gli garantisce che non stato compiuto
nulla di tragico: a quel punto il paziente comincer a respirare, a vivere cio senza la
cappa di piombo che si sentiva addosso. Uscendo dalla patologia, chi non ricorda il
proprio padre che, non approvando un nostro comportamento, tuttavia ci abbracciava e a
suo modo "ci assolveva", raccomandandoci di non ripeterlo pi? O come quando,
ritenendo di aver commesso una mancanza, si ha lannuncio che il timore era
sproporzionato e si viene come liberati da una colpa che in realt non si era commessa.
Naturalmente nella visione cristiana, e in particolare nella dinamica sacramentale, il
senso di colpa si precisa e si identifica nel peccato, inteso come mancanza commessa
nei riguardi della bont e della fedelt di Dio, e dunque nella mancanza verso i fratelli.
E la Confessione atto non comparabile ad altri. Il non credente pu faticare a percepire
il salto di qualit tra una relazione meramente umana e la relazione che lega
personalmente a Dio, ma non gli pu sfuggire che la facolt di sciogliere dal peccato e
dalla colpa, sia un compito straordinario.
Ci sono altri "poteri" che il sacerdote acquisisce con lordinazione: per la spiritualit
cristiana egli allaltare un altro Cristo, mentre per la teologia egli agisce in nome e per
conto di Cristo. Cio, ci sono azioni che sono proprie ed esclusive del sacerdote.
Ebbene, nel quadro di questa identit che si possono leggere e capire le promesse di
povert, ubbidienza e castit, le quali ad di fuori di una simile cornice apparirebbero
come semplici rinunce.
Le promesse nellesperienza della sacralit
Giover ricordare che figure sacerdotali, pur variamente connotate, sono esistite
praticamente in tutte le religioni antiche ed ancora esistono in molte culture animistiche.
In simili contesti, a determinate persone vengono attribuiti dei poteri speciali, che le
contraddistinguono nel comportamento dalla vita ordinaria. Il che significa che gi sul
piano antropologico ha un senso che, per fare certe cose, bisogna non compierne altre. E
ci corrisponde alla necessit di dare una connotazione speciale alluomo sacro, per
riconoscerlo come un rappresentante della divinit. Una simile rappresentazione
carismatica lavevano assunta, nellantichit e in talune tradizioni, anche certi monarchi:
nella cultura egiziana, ad esempio, il re era coincideva con la divinit; di qui le forme
della sua rappresentazione in vita e dopo morte.
So bene che il sacerdozio cattolico una figura non confondibile con altre. un unicum
come Cristo. Tuttavia, a me interessa qui rilevare come non sia un assurdo sul piano
antropologico che vi sia una distinzione di comportamenti da commisurare in taluni casi
sulle dimensioni della sacralit e sulla necessit di comunicare questa.
In ambito cattolico, le promesse che il neo-sacerdote assume al momento

dellordinazione attengono a dei fatti comportamentali, i quali sono a loro volta sono
attinenti allidentit del sacerdote, e al carattere della sua missione. Si pu dire che sono
questi comportamenti la vera tonaca, in senso metaforico, del sacerdote, il segno della
sua distinzione tra il popolo.
Il voto nel comportamento laico
Il voto (da votum = promessa) un impegno solenne fatto a Dio. Il sacerdote esprime in
tal modo limpegno a rimanere povero, ubbidiente e casto. Ma utile ricordare
letimologia poich, in se stesse, le promesse non risultano come atti esclusivamente
riservati al sacerdote. Quelle del sacerdote per sono promesse, oltre che pubblicamente
assunte, espresse anche allinterno della celebrazione di un sacramento.
In questo contesto sar utile ricordare pure come la parola giuramento (juramentum)
contenga la radice jus-juris, che sta per diritto. Giurare una promessa che si basa sul
diritto, e che segue una formula rituale. Ma non altro che una promessa. I soldati
promettono fedelt alla costituzione o alla patria. Gi lo facevano i mercenari che
giuravano davanti al comandante. In tribunale, si giura di dire la verit, di mantenere il
segreto e lo si fa ritualmente, un tempo alzando la mano e recitando una formula
precisa. Dunque, il giuramento richiede una forma data e non pu essere mutata. I
ministri giurano davanti al capo dello stato.
Non un caso che nella storia juramentum si trovi spesso associato a sacramentum. Una
formula presente nei testi antichi Deos jurare, nel senso di chiamare a testimoni gli
dei.
Anche il matrimonio avviene attraverso lo scambio di promesse, dove esplicitato il
desiderio ("vuoi tu ") del legame e la promessa di mantenerlo. Varie sono le promesse
che si esprimono nel corso della propria vita, nei diversi dominii; e promesse si fanno
anche a se stessi, quando ci si impegna a realizzare qualcosa, quando si fa un progetto e
si stabiliscono i termini della sua realizzazione. Insomma, tutta la vita in un certo senso
una promessa. Un altro termine che esprime qualcosa di analogo : contratto
(contractus, participio passato di contrahere), e lo si usa nel senso di contrarre un patto
che ha in s la promessa di mantenere ci che stato stabilito. Anche il matrimonio
nella sua dimensione laica un contratto (mentre nella dinamica religiosa un
sacramento), che ha la valenza di un legame basato sulla promessa di reciproca fedelt,
e un tempo anche di automatica comunanza dei beni (che ora solo una opzione).
Insomma, traspare abbastanza nettamente che lesistenza umana contrassegnata da
promesse, giuramenti e contratti, che hanno una propria liturgia; formule dellesperienza
terrena, che in questo si differenziano dal voto che ha una sua intrinseca connotazione
religiosa. Dal punto di vista psicologico, i voti si pongono nella dinamica tra lIo attuale
e lIo ideale che tende a migliorare il singolo, e lo induce a perseguire i propri obiettivi
attraverso limpegno. Il sacerdote deve raggiungere un suo Io ideale cristianamente
connotato, sullimmagine di Cristo sacerdote: per questo formula tre grandi promesse e
si impegna a realizzarle. Certo, anche il sacerdote pu sbagliare, e talora non riesce a
mantenere le promesse solenni che ha fatto di fronte a Dio e alla comunit. Io per
rimango puntualmente esterrefatto quando, in un mondo in cui non ci sono pi regole e
nessuno sembra pi avvertire il senso di colpa, si riservano invece giudizi tremendi per
le mancanze di un sacerdote.

Personalmente ritengo, ma il mio osservatorio limitato, che il sacerdote sia


profondamente umano anche quando formula il suo impegno a essere povero,
ubbidiente e casto.
LE TRE PROMESSE
La povert
Concettualmente la povert ha almeno due volti, storicamente bene evidenziati in
quellepisodio della vita di frate Francesco che lo raffigura mentre egli va dal vescovo
di Assisi per manifestargli il desiderio di fondare un ordine religioso che si caratterizzi
proprio per la povert. Il prelato gli fa presente che la Chiesa gi povera, e dunque che
non ce nera affatto bisogno. A quel punto Francesco si denuda per mostrare ci che
intende: la rinuncia a tutto, a non possedere nulla, nemmeno lessenziale. Il vescovo ha
dalla sua delle ragioni: la povert il distacco dai beni. Si pu vivere addirittura in un
palazzo, vestito come un principe, ed essere povero. la povert come distacco che
permette di servirsi dei beni senza esserne condizionati. Poi c la povert intesa pi
radicalmente, come mancanza effettiva di ogni bene di questa terra.
Eravamo nel XIII secolo ma la differenza di prospettive era gi chiara. Entrambe nobili,
queste concezioni della povert, ma da una parte c limpegno alla povert pi
rigorosa, che la scelta del monaco o del religioso, che nulla tiene per s e in tutto
dipende dagli altri; dallaltra c la scelta dei sacerdoti diocesani che stanno nel mondo,
vivono nella casa in cui il vescovo li manda per servizio, hanno un corrispettivo al mese
con il quale fanno fronte alle loro necessit, in una misura comunque modesta, cos da
stare al livello del popolo.
La prima povert netta, totale; la seconda relativa ed intesa come distacco dai beni.
Una gradazione che rispecchia una differente chiamata e una differente missione dentro
la comunit.
Nella societ di oggi si discute ancora molto su cosa sia la povert, si prospettano
addirittura degli indici che dovrebbero misurare la distanza della povert dal benessere
sia per il singolo, che per la famiglia, che per lintera comunit. Con il calcolo della
redditivit pro-capite si giunge a definire il grado di povert di una nazione o di un
continente. E si parla pure di nuove povert, estendendole anche oltre gli oggetti di cui
il mondo pieno, cio di povert culturale o anche spirituale. E allora il ricco pu essere
povero e il povero invece eccellere.
Credo sarebbe ancora utile che a dirimere la questione ci fosse un frate, un frate
Francesco che si spogli di tutto e mostri quale debba essere lo status che legittima a
essere ultimi per entrare in contatto con tutti, senza escludere alcuno. Essere ultimo.
A me pare un po ridicolo voler rappresentare la povert attraverso dei numeri, perch
so che lessere ultimi non prevede alcuna quantizzazione. In questa societ, che si
definisce del benessere o addirittura dello spreco, esiste la povert ed esistono gli ultimi,
gli esclusi. Che ci sia qualcuno che volentieri e per missione scende a questi livelli
importante e pu rendere talora la distinzione tra la povert totale e quella intesa come
distacco cos sottile da farla quasi scomparire. Mentre in altre situazioni resta segnata
invece, e da mura anche alte.

Ritengo che la promessa che il sacerdote fa di essere povero gli permetta di stare vicino
agli ultimi della sua comunit. Ed una scelta di campo precisa, la povert come effige
del dolore. In lui non basta unintenzione di distacco, come quella che potrebbe
esprimere anche un Bill Gates, luomo pi ricco del mondo. Nella scelta del sacerdote
c un dato effettuale, concreto. Nella sua scelta circa la povert a me pare che il
sacerdote esprima la promessa di appartenere solo a Dio e di affidarsi alla provvidenza,
che la speranza che il Signore provveda a ci di cui abbisogna.
Non vi dubbio che il legame con Dio su questa terra mediato dalla Chiesa e non si
pu non rilevare che proprio in questa identificazione, letta sul paradigma della povert,
possano emergere delle contraddizioni e persino dei paradossi e una facile critica
sociale; ma io guardo proprio allinterno dellecclesia, dove mi pare di vedere una
povert vissuta come espressione di appartenenza agli ultimi. A questa dimensione va la
mia simpatia. Perch difficile insegnare ad aiutare i poveri se si immersi nel lusso, e
nellinutile che per necessario a un fratello.
Tuttavia bisogna avere il coraggio di dire che la povert non e non pu essere
indigenza, se non altro perch toglierebbe i sacerdoti dallesercizio attivo della missione
cui sono chiamati.
Lubbidienza
Lubbidienza non una espressione in s chiara se non la si coniuga con unautorit. E
dunque diventa ubbidienza a qualcuno. Acquista significato in funzione di colui a cui si
d ubbidienza o, come accade nel rito, a colui cui la si promette.
Nel nostro tempo lubbidienza svalutata, e semmai si apprezza la trasgressione, la
disobbedienza, persino lopposizione. Occorre aggiungere per che sono rare
nellambito della vita sociale figure autorevoli, degne e meritevoli di obbedienza.
Nellambito della famiglia ci sono a volte padri indegni; nella scuola insegnanti che
mercanteggiano un sapere superficiale e una credibilit tenuta con la forza e il ricatto,
oppure con la rinuncia sulla base del laissez faire.
Nel campo politico domina la stupidit e la mobilit, per cui il cambiamento di opinione
regola e la coerenza considerata una debolezza. Il sapere pubblico in mano spesso a
intellettuali, sacerdoti del narcisismo, cantori del potente di turno, che butta loro
briciole sostanziose. Se si individuano delle autorit con carisma e fascino, uomini e
donne credibili e modesti, allora ubbidire un piacere straordinario, e allora si avverte
quel bisogno di autorit che porta a legarsi e a seguirla liberamente.
Ci si meraviglia della promessa di ubbidienza di un sacerdote e si tende a considerarla
una rinuncia alla propria libert, vista come rinuncia a una delle prerogative pi
straordinarie dellumanesimo. E si dimentica che un calciatore ubbidisce totalmente
allallenatore, dal quale dipende se gioca oppure no, se sta in campo due minuti o
unintera partita. Non ci si meraviglia del fatto che i giovani che si ritrovano in un
gruppo, subito creano un leader di riferimento a cui ubbidiscono, che ci sono camarille
che hanno un capo con poteri di vita e di morte ( il caso delle organizzazioni
criminali), che ci sono nel mondo mezzo milione di sette gestite da un capo con cui non
si discute e a cui si pu solo obbedire. Voglio dire che proprio oggi che ci riteniamo
allergici allubbidienza, ci sono tante diverse ubbidienze.

La vera ubbidienza andrebbe insegnata e difesa invece che ridicolizzata, anche se


bisogna che la societ acquisti dignit, e dunque sappia proporre persone autorevoli e
credibili. Ci che manca infatti lautorit in famiglia come nella scuola, ma anche nel
potere pubblico. Dove si pu creare un clima di terrore e di paura, attivato dagli
autoritarismi che sono la patologia dellautorit.
Insomma tra ubbidire al capo di un governo attuale o passato, oppure al Padre eterno c
una differenza abissale anche agli occhi di chi il Padre eterno non lo ha ancora
incontrato. Poi, certo, talora pu aprirsi anche un conflitto tra lubbidienza e la
coscienza. Ma qui si sbaglierebbe a ritenerle due poli oppositivi. La coscienza viene
prima dellautorit; e lubbidienza non c senza coscienza.
La castit
In certa cultura superficiale e volgare, la castit stata ridotta allastinenza dal rapporto
sessuale, nelle sue espressioni pi diverse, legate a una fantasia infinita che include
talora ogni tipo di perversione. A provarlo basta il numero incredibile di siti internet
dedicati al tema, che assommano alla dimensione di alcuni milioni.
La castit ha invece un significato profondo, sta per purezza e rimanda al corpo. Se la
sessualit nella sua visione riduzionistica unattivit di organi, intesa invece in senso
pi ampio unespressione del corpo, che a propria volta parte della persona.
La sessualit riguarda non gli organi genitali, ma la persona, che un insieme di corpo e
di mente, e per il credente anche di anima; e dunque unespressione complessa.
La promessa di castit non si lega, a parer mio, solo alluso degli organi sessuali, che
anzi renderebbe il voto ridicolo, ma la promessa di mantenersi casti e puri, e quindi di
usare il corpo come espressione di quellunit che punta fin dora al cielo, dove il corpo
non ha accesso.
Nellimpegno di castit implicita ovvio la rinuncia ai vizi. Anche al non abusare di
cibo o di alcol o di droghe. La gola, direbbe Freud, una forma di sessualit, anche se
precoce rispetto alla maturazione fisica, e propria della fanciullezza. Alla castit si lega
persino la bellezza che un valore indubbiamente alto, straordinario, anche se non
coincide con i canoni del successo televisivo o dei modelli da velina o del body
building. La castit purezza e bellezza insieme. E nella donna tutto ci che produce
femminilit, che lopposto dellesposizione del corpo come accade in molte vie
notturne delle nostre citt. La castit anche educazione, modo di porsi, rispetto nei
gesti, vittoria sulla volgarit, che va a sua volta intesa come antinomica alla castit.
Nel Dizionario etimologico del Battisti si trova che castit deriva da castus, che vuol
dire conforme alle regole o ai riti, puro, pudico, corretto. Deriva dal sanscrito cistah che
significa istruito, ben educato. termine della lingua religiosa, e perci preso dal latino
cristiano che lo trasmise in forma semidotta anche al romanzo occidentale, e da cui sono
derivate parole come "casta", che vuol dire razza pura, e deriva anche "incesto" (in
castus) nel significato di impuro: una relazione tra parenti stretti, considerata proibita.
Questa dimensione della persona e della dignit umana stata ormai ridotta al
comportamento erotico e la promessa della castit letta esclusivamente come
astensione dagli atti sessuali. Ben diversa la promessa del sacerdotale, che nella

dimensione ampia risulta una condizione del livello di dignit umana che si conf alla
missione dellinviato di Dio. In questa luce difficile vedere la castit come una
rinuncia, semmai come il raggiungimento di una dignit che finisce per mettere in
secondo piano anche il gesto erotico. Non diversamente dal buddismo, per esempio, che
raccomanda il controllo del dolore e del piacere.
In senso generale, ritornando allinsieme delle tre promesse sacerdotali, occorre
ricordare che nel caso non fossero perseguibili o si rivelassero impegni ossessivi e
dunque difficili da seguire, rimane pur sempre la possibilit di seguire Dio nella
condizione del mondo. Del resto il sacerdozio una chiamata nella fede, che si concreta
nel lasciare tutto e seguire Cristo.
SACERDOTE DI CRISTO
Ogni uomo nel corso della sua esistenza subisce, credo, il fascino di un maestro, che per
lui diventa un modello di riferimento.
Non possibile un processo educativo, se non incorporando dei modelli. Non bastano i
princpi: questi infatti non sono ancora un "intervento educativo", se con tale
espressione intendiamo la possibilit di promuovere un comportamento nuovo o di
modificarne uno abituale. E non c dubbio che la crisi delleducazione attuale si leghi
proprio a un chiacchiericcio su regole e criteri cui partecipa anche da chi si configura
come un cattivo esempio, e non ha dunque le caratteristiche di un modello da seguire.
Nella mia vita ho avuto la fortuna di incontrare e seguire dei modelli. Laffermazione
prevede luso del plurale, e dunque di una successione di modelli, giacch non
possibile avere pi maestri contemporaneamente. O sono identici, e allora si tratta di un
eccesso inutile, oppure sono molto differenti, e allora ci si divide tra esempi divaricanti.
Il che non facilita lidentificazione, la quale implica sempre lintroiezione del modello, e
che il suo comportamento diventi legge interiore.
Il mio modello di coerenza e di moralit, oltre che di grande seriet intellettiva, stato
mio padre, a cui poi si aggiunto un modello per il sapere storico e filosofico, il mio
professore di filosofia del liceo, che ho tanto amato e con cui ho continuato a mantenere
un intenso rapporto allievo-maestro fino al termine della sua esistenza. Alluniversit
poi ho incontrato un maestro di umanesimo medico, che era incarnato dal mio
professore di patologia generale.
Non c dubbio che la morte di mio padre, troppo precoce, e avvenuta quando avevo
ancora un bisogno estremo di lui, ha fatto riversare sui maestri incontrati nella vita
extrafamiliare unesigenza compensatoria. Tant che a quel punto incominciata una
vera "religione" del padre, con un rapporto che continuato e continua ancora oggi,
poich egli dentro di me.
Tutto ci per dire che il modello di riferimento unesigenza delleducazione, e pi
ampiamente dellesistenza stessa. Il bisogno di imparare e di migliorare sempre. E chi
non avverte questa necessit da considerare indubbiamente un caso patologico, in
direzione narcisistica oppure maniacale, per la mania cio di sentirsi un "padre eterno",
un riferimento non tanto per s ma per il mondo. E la terra piena di maniacali che non
scorgono nemmeno la propria nullit, anzi la propria stupidit mista a smisurato
orgoglio.
Credo che anche solo dal punto di vista umano ci sia lesigenza di un riferimento
continuo, sicuro. Di uno specchio entro cui vedersi e correggere le proprie azioni, e

persino i propri pensieri che finiscono per esserne il motore.


Tutto questo per dare sostegno allaffermazione che ogni uomo ha bisogno di un Dio,
magari anche solo di un "dio minore" se si lega unicamente a questa terra.
Un maestro del cielo
Insomma, non mi sorprende la figura di chi, come il sacerdote, sceglie nella propria vita
di avere come modello Cristo. E non faccio fatica a capirlo, analizzando la figura di
Ges di Nazareth, sia pure dal solo punto di vista umano. Cristo come figlio Dio
appartiene alla Chiesa, ma come uomo interpella tutti, anche i non credenti. E non vi
dubbio che, pur limitandosi alla solo dimensione mondana, Cristo risulta essere un
grandissimo uomo, che si pone a livello di pochissimi altri, per capirsi di Socrate o di
Tommaso Moro.
Un modello lo si deve vedere, lo si deve poter seguire, pi o meno come devono aver
fatto i primi amici di Cristo, i suoi apostoli, che si chiamavano Pietro, Andrea,
Tommaso Cosa voglio dire? Che la scelta del sacerdote di seguire compiutamente il
modello Cristo ha un fondamento del tutto naturale o comune a tutti.
Viene alla mente LImitazione di Cristo attribuita a Tommaso da Kempis (1379-1471),
che non ha come riferimento un intenso misticismo, ma una quotidianit concreta, che
viene scandita dallesempio di Cristo e da quello che stato il suo comportamento:
lumilt, la carit, il raccoglimento, labbandono, la gioia (chi ama, vola, corre, esulta).
Come si sperimenta la relazione con un modello umano (sia pure transitorio o parziale),
cos il credente e soprattutto il sacerdote interiorizzano Cristo, che non soltanto un
uomo ma Dio. Un Dio che si incarnato e in Cristo si fa dunque modello visibile.
Ebbene, devo ammettere che questa chiave di lettura ha per me una forza straordinaria,
perch sostiene quel fondamento psicologico che prevede il bisogno del modello: prima
per crescere e poi per vivere.
Tuttavia, in un simile scenario, il rapporto potrebbe essere anche solo individuale. Non
diversamente cio da quanto capitato a me di esperire con i miei maestri, che invece
altri miei compagni di liceo e di universit evitavano, considerandoli modesti, e persino
pieni di difetti.
Saremmo in questo caso dentro ad una logica soggettiva, quasi che il rapporto tra un
credente, e in particolare un sacerdote, con il proprio modello, Cristo-Dio, fosse di tipo
individualistico. Ma evidente che non pu essere questa la figura del sacerdote: la sua
vocazione nasce in una comunit, e la sua missione consiste nellannunciare e
testimoniare Cristo a tutti. In altre parole, la dimensione personale necessaria,
intimamente fondante, ma deve diventare una testimonianza aperta a tutti e dunque
comunitaria. E chi a sua volta lapostolo rispetto agli altri? colui che, annunciando
Cristo, ne propone lesempio. E poich oggi Cristo non incontrabile come succedeva
duemila anni fa sulle strade della Giudea o della Samaria, ecco che il sacerdote diventa
a sua volta modello per gli altri. Un modello che rinvia ad un Altro pi grande modello,
ma pur sempre anche lui modello.
Dire allora "sacerdote di Cristo" significa dire, anche per un laico come me, che questo
sacerdote segue in tutto Cristo e diviene a sua volta, nel mondo, un altro Cristo.
Un processo fortemente umano
E un passaggio, vorrei insistere, coerente con la logica della psiche. Ogni uomo ha
bisogno di maestri, di modelli per crescere e vivere; il sacerdote colui che ha scoperto

Cristo quale modello di vita, ed stato da lui chiamato a farsi apostolo, ad essere come
lui si mostrato.
So bene che qui lasse portante quello sacramentale. Tuttavia anche a livello della mia
professione sono indotto a riconoscere che il sacerdote rende presente sulla terra Chi
ormai nel cielo. Imitatore di Cristo, il sacerdote lo rappresenta in questa terra in
maniera visibile, sensibile. E se oggi non si pu mettere, come Tommaso, le dita nelle
ferite del suo costato, si pu per incontrare Cristo attraverso i suoi sacerdoti.
Come questo sia possibile, come cio possa avvenire questa identificazione, rientra in
una dinamica sacramentale sulla quale ho poco da dire. Salvo che c qui un salto
rispetto ad una logica meramente terrena; uno iato che si chiama mistero, per il quale
tuttavia la mente preparata, perch ne possiede la categoria mentale (si ricorder a
questo proposito la prima tappa del nostro viaggio, quella relativa al sacro).
Rispetto al credente, il sacerdote di Cristo colui che stato raggiunto da una chiamata:
"lascia tutto e seguimi", gli ha detto Ges Tu es sacerdos in aeternum: sarai la mia
effige, rivelerai i miei princpi che vivono in te, i quali si storicizzano attraverso di te, e
diventerai cos esempio e modello. Ti ho chiamato per questo.
Il fascino del ruolo sacerdotale
Confesso ancora una volta di essere affascinato da queste prospettive, pur se avverto il
balzo che la mente e la logica non aiutano a sanare, ma forse questo esattamente il
limite proprio del non credente.
Devo dire che amo molto il teatro. Dove lattore colui che assume su di s una figura
che non lui stesso. Cos pu persino capitargli di rappresentare la figura del Cristo; e
sono molte le rappresentazioni realizzate, alcune anche di una forza incredibile, capaci
di porre lo spettatore come se si trovasse di fronte al Cristo della storia. Non
diversamente da quando lattore copre il ruolo dellEnrico IV nellAmleto o nellEdipo
re.
Nulla tuttavia di questo avviene per il sacerdote: egli diventa Cristo, e nel mondo ne
compie le funzioni, con la certezza di essere stato a ci chiamato (la vocazione), e di
aver ricevuto per questo la forza necessaria (la grazia dellordinazione). Insegna la
teologia cattolica che quando il sacerdote compie determinate azioni liturgiche come
se fosse Cristo a farle, in un legame talmente stretto che si giunge a dire (e mi pare
affermazione da far tremare) che Cristo l anche se il sacerdote sbaglia.
Non c dubbio alcuno: il sacerdote una figura straordinaria pur se carica di mistero,
ed ragionevole pensare che vi sia un livello di comprensione tale della missione
sacerdotale che non solo entusiasma ma si fa urgenza, urgenza irrinunciabile.
La dimensione sacerdotale trascende il singolo
Ma proprio a questo punto che bisogna riprendere il filo di un discorso appena
accennato. Giacch tutto questo si situa nel rapporto tra il singolo sacerdote e Cristo, e
poich il sacerdote sempre un uomo speciale, irripetibile, il sacerdozio dunque una
condizione che si colloca e si consuma allinterno di un rapporto individuale con Dio?
Se fosse cos infatti, si dovrebbero ammettere tante variazioni del modello di Cristo
quanti sono almeno i sacerdoti.
Ma cos non , perch il sacerdote al contempo espressione della sua comunit, e
dunque servitore della Chiesa, la quale emana regole di uniformit e di coerenza tali

da legare il sacerdote con la forza dellobbedienza .


Chi non vede che pu sempre insinuarsi qui un potenziale conflitto tra quanto sembra
talora suggerire il maestro interiore e quanto invece richiede la Chiesa, che in taluni
frangenti potrebbe essere addirittura qualcosa di antitetico? Sono i casi in cui pu
capitare di sperimentare le difficolt pi acute in ordine alla promessa dellobbedienza.
avvenuto cos in passato ad esempio con la dolorosa vicenda delle eresie ed
qualcosa che pu accadere anche oggi. E come si risolve? C chi ipotizza, in casi
estremi, una sorta di obiezione di coscienza. Ma questo ha senso per un sacerdote?
SERVITORE DELLA CHIESA
Il sacerdote, che ha un rapporto personale e in qualche modo speciale con Cristo,
esercita la sua missione nella chiesa. Solo astrattamente possibile che un sacerdote
operi sulla base di una sua semplice percezione di Dio. Di fatto egli agisce dentro una
comunit istituzionalizzata da Cristo stesso, la chiesa. Il che gli d garanzia e sicurezza,
ma pu talora generargli anche qualche difficolt.
Litaliano chiesa viene dal latino ecclesia. E questa ha radice nel greco ekklesa, che
vuol dire convocazione, e quindi assemblea. Il greco ekkaleo significa infatti "io
convoco". La chiesa dunque etimologicamente la convocazione o assemblea dei
cristiani. Essa presuppone una sua struttura diciamo organizzativa, che gli funzionale,
e presuppone delle guide gerarchiche. In questo ambito, il sacerdote, che ha per forza a
che fare con l'ecclesa, anche un ecclesiastico. Egli in pratica appartiene allecclesia,
ed essa il suo orizzonte.
Ogni chiesa locale organizzata attorno al vescovo, che ne il capo, e al quale i
sacerdoti devono fare riferimento e obbedire. Non sar blasfemo dire che il muoversi di
ogni chiesa potrebbe richiamare, agli occhi di chi la guarda alla superficie, il sistema di
gestione di unimpresa di grandi dimensioni, nella quale non ci pu non essere ununit
insieme alle diversificazioni, per poter agire con coerenza e flessibilit, nei luoghi
diversi, con popolazioni e in culture differenti.
Le lettere apostoliche, a noi arrivate con il nuovo Testamento, si rivolgono
emblematicamente a singole comunit, ciascuna delle quali ha le sue caratteristiche e
quindi abbisogna di insegnamenti particolari oltre che precisi, e di spinte adeguate alla
situazione.
Una conflittualit possibile
Sul piano psicologico si parla di splitting quando un
soggetto si trova a vivere un dualismo, una divisione, una scissione. Nel caso del
sacerdote un dualismo potrebbe sperimentarsi se c una divaricazione tra il rapporto
individuale con Cristo e il trovarsi allinterno di una struttura gerarchica, dove ci sono
dei superiori che determinano priorit e strategie e persino un certo stile di azione.
Va da s che ogni buona organizzazione deve lasciare spazio alle individualit: cos ad
esempio avviene nel mondo delle imprese, le quali hanno come finalit il reddito e
dunque la produzione di benessere terreno. Si sostiene che un buon management d
spazio ai collaboratori, coordinando le singole operativit in un insieme che attua la
strategia aziendale. Non un caso che oggi i sacerdoti siano in genere ascoltati dai
rispettivi superiori, prima che vengano loro assegnati compiti che li riguarderanno
personalmente. La motivazione non solo di convenienza, trattandosi ormai di ambiti
nei quali le vocazioni sono numericamente diminuite. Gli piuttosto che la migliore

valorizzazione delle risorse, quali che siano, suggerisce un opportuno coinvolgimento


tra i livelli gerarchici e i diversi ruoli.
Il che tuttavia non impedisce che, in alcuni casi, sorgano dei conflitti.
Il conflitto una contraddizione che il singolo vive, e che si traduce nel dover fare ci
che non ritiene giusto, o quanto meno ci che non gli risulta essere la risposta migliore
al problema che vorrebbe risolvere. Il conflitto pu essere di contenuti o di strategia, ma
pu avere radici anche nei sentimenti. Nei legami positivi o di opposizione tra chi d le
disposizioni e chi deve eseguirle.
Questa ipotetica situazione allinterno della Chiesa non deve allarmare: si verificata
anche in passato, nelle varie epoche, e riflette ci che succede in ogni organizzazione
sociale. Si tratta di conflitti che possono generare angosce, frustrazioni, sofferenze. Il
che pu accadere anche nella comunit ecclesiale, dove un pastore, non riconoscendo le
propensioni di un proprio collaboratore, lo utilizza in maniera inappropriata, confidando
magari sulla forza dellobbedienza che in certi casi per attiva frustrazioni. E la
frustrazione un sentimento di malessere che si prova in un dato ambiente e nella
relazione con qualcuno, e che se persiste a lungo causa ansia, somatizzazioni e pu
talora trasformarsi addirittura in malattia.
Capita, in simili circostanze, che un sacerdote si senta infelice, anche perch
lobbedienza una promessa impegnativa, assunta davanti a Dio e allintera comunit.
Disobbedire ad un superiore significa allora andare contro Cristo, in nome del quale il
vescovo agisce. Quando scoppia un conflitto esterno tra sacerdote e superiore, non sar
difficile intravvedere talora dei problemi di natura personale, anche profondi, che
scindono loperare in due parti di s in contrasto. E allora la dissonanza non sar altro
che la rappresentazione esteriore di un problema irrisolto sul piano della propria
personalit.
Il rimando alla condizione dei ruoli ordinari (imprese e uomini non consacrati) stride
ovviamente, ma serve a capire meglio, per chi non sacerdote e magari non neppure
credente, quali siano le caratteristiche del conflitto. Non si pu, daltra parte, in linea di
principio nemmeno negare che possano esistere allinterno della Chiesa delle
contraddizioni, delle posizioni differenti e che in particolare si possano individuare nel
presbiterio dei comportamenti inaccettabili.
Tre riferimenti principali
Dal mio punto di vista, scorgo una figura di sacerdote che nelle le sue scelte tre
riferimenti principali: il Cristo personalmente esperito e con cui egli intesse un rapporto
diretto che la condizione per essere anzitutto un credente; il vescovo che pastore
della sua Chiesa e che provvede al bene delle parrocchie di quel territorio, e la propria
coscienza, quale bussola che orienta linteriorit e attiva sensazioni non solo di disagio,
ma talora addirittura di colpa: si tratta del proprio mondo ideale e della rappresentazione
di come uno vorrebbe essere. Ebbene, questi tre poli referenziali possono essere
perfettamente unificati, ed ci che capita alla pi parte immagino dei sacerdoti. Ma
pu succedere anche che siano invece scissi e che il singolo si senta interpellato ora dal
suo rapporto con Cristo, ora da quello con il vescovo, ora dagli imperativi della propria
coscienza che magari, detto alla maniera di Kant, si riducono alla "legge morale dentro
di me". In altre parole, il conflitto pu attivarsi a seguito di una richiesta del superiore,
che pu non essere vissuta in sintonia con quanto egli avverte come un bene per s. Un
intreccio complesso sul piano psicologico, una condizione di grave disagio e di sicura
angoscia e di infelicit. Insomma, lopposto dei miei sogni, quelli di vedere preti sereno
se non addirittura felici.

La chiesa come terapia


Mi accorgo di evidenziare in questa mia rassegna soprattutto le difficolt e di
privilegiare ci che le pu ingenerare: penso che questo sia in qualche modo fatale,
essendo il mio un punto di vista medico. Non mi sfugge tuttavia la grande risorsa che la
chiesa-comunit rappresenta. Come mi rendo conto del valore di supporto che viene dal
legame con gli altri come dal privilegio di avere un vescovo che ascolta, che si mostra
attento alle esigenze di ognuno, sia pure in una visione generale dei bisogni
dellecclesia. Lorganizzazione cio ha anche la funzione di rassicurare e di offrire
condizioni migliori per affrontare e svolgere la missione del sacerdote. Non mi sfugge
nemmeno la grandezza di quel concetto di corpo mistico che fa dei credenti in Cristo,
quelli in terra e quelli in cielo, un "insieme inseparabile" a cui sono legate le promesse
del Signore. Ora, voi siete il corpo di Cristo e sue membra, ognuno secondo la propria
parte. E Dio ne ha stabilite diverse nella chiesa (1Cor 12,27). Cristo capo della
chiesa, del cui corpo egli il Salvatore (Ef 5,23). In altra parte del Nuovo Testamento,
la chiesa descritta come sposa di Cristo: E voi mariti, amate le vostre mogli, come
Cristo am la chiesa ed ha sacrificato se stesso per lei, per santificarla perch questa
chiesa potesse comparirgli davanti gloriosa senza macchia, n ruga, n altro di simile,
ma santa e irreprensibile (Ef 5,25-26).
C la certezza di fede che Cristo a custodire e a proteggere la chiesa. Perch il
tempio del Dio vivente siamo noi stessi, come disse Dio: "Abiter con loro e fra di loro
camminer; io sar il loro Dio e essi saranno il mio popolo"(2Cor 6,16). Del resto
Cristo che conquista la chiesa con il proprio sangue: Vegliate quindi su voi stessi e su
tutto il gregge, sul quale lo Spirito Santo vi ha costituiti Vescovi per pascere la chiesa
del Signore che egli si acquistata col suo proprio sangue(At 20,28).
non mi dispiace affatto anzi il termine di servitore della chiesa, poich c una
dimensione del servire che collima con il piacere e con la consapevolezza che il proprio
contributo andr a fondersi con il contributo di tutti gli altri. In quel Chi pi grande
tra voi sia come colui che serve sta la segreta grandezza di porsi a disposizione di chi
nel bisogno.
Ovvio che non possiamo per dimenticare nemmeno il delirio che la nostra societ
registra sul termine "libert", proprio mentre si dilata lincapacit a vivere anche solo
per poco tempo nel silenzio e dentro se stessi. Una libert che ha bisogno dellaltro, e
che necessita di regole, dove le regole sono il fondamento del legame e dei sentimenti.
E persino lobbedienza una premessa alla libert .
In questa atmosfera, la comunit che la chiesa si presenta come uninsieme capace
persino di sedare i conflitti.
Ma non si pu dimenticare che talora questi conflitti possono realmente venire
promossi. Essi per, pur concorrendo alla missione speciale del sacerdote, non devono
interferire con la serenit e la gioia di vivere quel ruolo.
Una serenit che si presenta come la base umana per aiutare i fedeli a vincere il male
nella lotta per la vita e la salvezza.
I conflitti non sono evitabili in maniera totale, ma allora ad essi bisogna che i sacerdoti
vengano preparati cos da saperli elaborare, limitandone gli effetti.

L'IDENTIT, UNA E TRINA


Lidentit personale: lIo
Ciascun uomo, nella sua unit, formato da tre identit che si acquisiscono
progressivamente. La prima lidentit individuale, data dal percepirsi come un Io ben
distinto, separato da ogni altro, capace di autonomia. Dalla psicologia della crescita
sappiamo che lindividualit il risultato non di un processo biologico automatico, ma
di esperienze relazionali che si svolgono fin dallet infantile. Essa si costituisce proprio
perch si legati ad altre persone, di solito i familiari, dai quali riusciamo ad un certo
punto a distinguerci. Da un processo simbiotico con la madre, il bambino riesce a
separarsi, a riconoscerla come altro da s, e in questo processo si staglia quel s che
una individualit differenziata. Insomma, lindividualit personale il risultato del
percepire laltro come distinto. In altre parole, laltro mi aiuta a individuarmi.
Questa identit fondamentale, e sta alla base delle altre: sempre occorre che uno si
chieda se, nel corso della sua vita, lha realizzata. Se ci non fosse accaduto, ne deriva
limpossibilit di vivere autonomamente, ossia il non saper fare nulla se non dentro una
relazione, giacch lidentit in questo caso non legata al proprio esserci, ma al
legame con laltro. Questa situazione definita propriamente come dipendenza, e
coincide con il non saper fare nulla senza laltro, il non sapersi definire se non in
rapporto allaltro.
Una dipendenza da troncare
Ci pu essere una dipendenza materna (il mammismo) che si esprime nel bisogno del
riferimento alla madre come condizione per fare qualunque cosa. E paradossalmente, la
dipendenza pu essere diretta, per cui uno fa ci che gli viene detto di fare e senza
quella indicazione non agisce; ma pu anche essere una dipendenza oppositiva: il caso
in cui si sente la necessit di riferirsi allaltro ma per fare esattamente lopposto di
quello che gli viene chiesto di fare. Un rapporto di opposizione, obbligato fino al punto
da verificare che un certo comportamento non lo si sarebbe mai assunto se la madre, ad
esempio, non avesse indicato lopposto. Mi ha chiesto di non farmi tatuaggi, ma io,
anche se non mi piace, mi sono inciso sul braccio un drago fiammeggiante. Avere la
percezione della propria identit personale fondamentale, poich ci si potrebbe trovare
a fare scelte che sono condizionate da un forte bisogno di dipendenza. Cos si pu
arrivare a scegliere il legame con una donna, o la donna con un uomo, in base al
bisogno di stabilire una dipendenza. Allo stesso tempo, si potrebbe scegliere uno status
o una professione solo perch questa ha come sua propria fisionomia quella di
dipendere e ubbidire.
La scelta di fare il sacerdote, sotto questo profilo, potrebbe ridursi a una condizione di
difesa: si sceglie una comunit protetta, un padre carismatico che diventa il riferimento
non solo possibile, ma obbligato (dipendenza), proprio in nome dellubbidienza la quale
rientra tra le caratteristiche del sacerdozio cattolico. Insomma, la promessa di
obbedienza, quando perseguita da una persona con un Io ben individuato, ha un
significato totalmente diverso da quella emessa sulla base della necessit di dare
risposta a una identit mancata o carente (confusa), da ricondurre a un bisogno di
dipendenza.

Il narcisismo
Lidentit personale si collega con il narcisismo, che la percezione di s e di un s che
ha valore. Siamo abituati a vedere il narcisismo unicamente come una patologia, e lo
riferiamo subito al mito di Narciso che, nella versione aneddotica, un bel giovane, il
quale specchiandosi nellacqua del lago si innamora di s fino a tentare di abbracciarsi e
morire annegato. Dal che, la sindrome del Narciso vista come la condizione di chi
guarda solo a se stesso, e non si mescola con gli altri; laltro gli serve solo per essere
ammirato e riconosciuto come uno splendore. Il "narciso", dunque, come uno che non sa
amare, e nemmeno stabilire legami di amicizia e di solidariet, tanto da diventare un
misantropo che vede solo s e realizza dentro di s tutti i propri bisogni.
Questa dimensione, certamente patologica, identifica un narcisismo "cattivo", ma essa
non esclude che con lo stesso termine si indichi una valenza positiva, anzi addirittura
necessaria. Il narcisismo buono (o sano) si correla necessariamente allidentit singola,
e dunque con un Io che deve essere sostenuto da una energia o da una forza che
coincide con la convinzione del valore proprio e specifico. Senza questo
apprezzamento, lIo tenderebbe a nascondersi, a chiudersi in una timidezza estrema, che
porta il singolo a non esporsi mai, a non mostrare le proprie capacit in quanto le
svaluta totalmente.
Se esiste un narcisismo malato, non bisogna dimenticare che un narcisismo buono
essenziale per dare valore al proprio Io, e quindi alla propria identit. Se anche questo
venisse percepito come negativo, si finirebbe con lostacolare la propria autonomia, e
quindi a non volerla mai raggiungere. Ogni Io ha dunque un proprio narcisismo: la
percezione di esistere e poter fare in senso positivo. Il che significa trasporre il proprio
Io dalla fase di possibilit alla sua attualizzazione.
Questo punto un passaggio critico nel caso del sacerdote, e del sacerdote in
formazione, poich si potrebbero scontrare da un lato il narcisismo buono e quindi la
consapevolezza di un valore positivo, e dallaltro il bisogno di contenere lorgoglio, per
non doversi magnificare o incensare. In altre parole, la ricaduta sul piano umano che il
Discorso delle Beatitudini ha nella vita di una persona non deve ostacolare il suo
narcisismo positivo. Interessante semmai diventa parlo sempre per la professione che
esercito seguire le Beatitudini proprio nel contesto di un Io formato e
"narcisisticamente" sostenuto, poich solo in questo caso le Beatitudini diventano una
scelta positiva anche nel loro aspetto di rinuncia.
Lidentit di genere
La seconda identit si lega allappartenenza in senso biologico e psicologico al
genere maschile o femminile. Si tratta di una qualificazione dellIo che gi si formato,
e che si specializza ora in senso maschile o femminile. Non esiste una gerarchia tra
queste due possibilit, n una contrapposizione, ma semplicemente una diversit
sostanziale, che in parte si lega allanatomia e alla funzionalit biologica e in parte alla
dimensione psicologica. questa una tappa importante nello sviluppo di ogni individuo,
e lo anche e soprattutto per chi scelga la via del sacerdozio, la quale richiede il
controllo totale delle proprie pulsioni libidiche e sessuali, come condizione per
limpegno alla castit. Una scelta, questa, che possibile fare con consapevolezza e su
una precisa identit sessuale, poich si esprime e si estrinseca con richiami chiari e con
tendenze ben esplicite. questa la base per impostare strategie che consentano una
decisione comportamentale che, dal punto di vista terreno, contro i richiami legati alle
pulsioni della sfera sessuale.

Ovviamente legittima, e persino piena di significati aggiuntivi di tipo umano e


religioso, la rinuncia a esprimere la propria sessualit come espressione dellidentit
maschile o femminile, ma per farlo e farlo coerentemente indispensabile che lidentit
di genere sia ben precisa, e se ne abbia una indubbia percezione.
Le difficolt che altrimenti si incontrano sono date, prima ancora delluso della
sessualit interdetta allinterno di una scelta di castit, che attiva comunque dei conflitti,
dalle colpevolizzazioni che procurano un senso di indegnit e rendono inadeguati al
comportamento sacerdotale. E si devono aggiungere le deviazioni indirette.
Le deviazioni di genere
Una prima deviazione costituita dagli equivalenti sessuali: si riesce s a mantenersi
casti, ma si sposta la sessualit su azioni o oggetti che abitualmente o socialmente sono
neutri sotto il profilo sessuale, eppure vengono caricati di questo significato.
E a tale proposito occorre accennare al tema del bambino come "oggetto" spostato di
una sessualit deviata. La grande attenzione che, nella religione cristiana, data al
bambino Ges, e agli stessi angioletti, pu favorire questo spostamento, mostrando
come possibili in oggetti onorificati dal culto dei sostitutivi di una sessualit diretta,
non permessa dalla posizione sacerdotale.
Occorre inoltre fare attenzione anche alle sublimazioni che spostano la sessualit, la
quale non prendendo cos i canali abituali finisce per esprimersi su immagini sacre o
addirittura su feticci teologici.
Lidentit sociale
La terza identit ci porta per via diretta dentro la societ. E lidentit sociale pu
definirsi anche identit di ruolo. La si considera realizzata quando una persona ha chiari
i compiti che le competono e gli strumenti per realizzarli.
Ovvio che lidentit sociale qualcosa che non dentro il singolo, ma si pone nella
relazione tra singolo e societ. Non nemmeno conseguenza soltanto di una data
societ, poich il singolo a sua volta importante, e questi coniugandosi agli altri riesce
a imprimere un corso speciale al suo operare. Per convincersene, basta pensare a una
stessa azione con valenza sacra, ma dapprima svolta da chi ha un forte carisma e quindi
sa coinvolgere altri in un legame e poi, di contro, da chi questa operazione la segue
quasi meccanicamente. Sul piano tecnico, loperazione identica, ma leffetto e il senso
li distanzia enormemente. Il carisma in questo caso va inteso come una dote della
personalit, e rientra quindi allinterno dei dati psicologici, senza il bisogno di riferirsi
necessariamente al fattore trascendente.
Lidentit sociale deve essere prima di tutto ben percepita, immediatamente dopo deve
essere accettata, anzi si deve sentire il bisogno di svolgerla e quindi di attivarsi per
farlo ricevendo di rimando il piacere di averla svolta.
Un lavoro incomparabile
La situazione del sacerdote in questo non difforme da quella di altre "professioni", ma
certo il tipo di "lavoro" a cui chiamato ha un valore del tutto specifico e
incomparabile. Occorre amare questa "funzione" che richiede un preciso operare, con
"strumenti" specifici, e allora nasce il piacere di fare comunit. Ritengo che il piacere
debba essere avvertito e che si deve provare soddisfazione. Insomma, un discorso
analogo almeno in parte a quanto si detto per il narcisismo, perch un sostegno

allagire futuro e alla sicurezza di avere i mezzi per farlo, e lesperienza per farlo in
maniera utile socialmente. E il sacerdote deve a sua volta provare questa soddisfazione e
questo piacere, che rappresentano i prolegomeni per la sua stessa forza operativa.
Ecco perch se il vescovo chiede ai propri sacerdoti di essere santi, io vorrei che fossero
felici, e sono sicuro che le due dimensioni, la felicit umana e la santit spirituale, non
sono in contraddizione, ma una fa da prolegomeno allaltra. Insomma, un prete deve
essere felice perch attrae di pi chi ha bisogno della sua opera.
IL BISOGNO DI SACERDOTE
Dopo aver parlato del sacerdote in s e delle fasi della sua formazione quale testimone e
servo di Cristo nel tempo presente, entriamo ora nel campo della sua missione. Se la
prima parte poteva dirsi di scoperta e quasi di "costruzione" del sacerdote, quella che
iniziamo ora si riferisce a come questa figura ben scolpita opera nel mondo. Pi
precisamente a come questa stabilisce relazioni con gli uomini: sia nel senso di portare
loro la parola del maestro, Ges Cristo, sia nel senso di entrare in empatia con il popolo
per comprenderne al meglio i bisogni.
Il che presuppone che da una parte ci sia un bisogno di sacerdoti e dallaltra che nella
loro funzione questi siano disposti ad interessarsi agli altri e quindi a legarsi a loro.
Motivazione che non pu essere formale, bens di sostanza. E la pi profonda anche,
poich le esigenze cui i sacerdoti rispondono riguardano niente meno che il senso della
vita, e dunque nulla vi l di superficiale.
E qui si impone subito, per quel che capisco, una precisazione: il sacerdote deve
occuparsi di tutto il gregge, e quindi dei credenti, che saranno i suoi fedeli, ma anche dei
non credenti, ossia i non fedeli. E basterebbe la parabola del buon pastore, che lascia le
tante pecore che gli sono accanto per cercare chi non presente nel gregge, per evocare
quelli che sono gli orizzonti irrinunciabili della missione sacerdotale. Non solo, dunque,
egli devessere disposto a incontrare il non credente, ma dovrebbe andarlo a cercare.
Non posso nascondere che questa ricerca non mi sembra oggi molto perseguita, o
almeno non lo quanto io vorrei: mi pare domini piuttosto la tendenza a rinchiudersi
con i propri fedeli nel tempio o in agapi esclusive, serene e certo anche proficue, ma che
si svolgono come se i non credenti non esistessero. O come se fosse demandata a loro la
prima mossa, quella di cercare il sacerdote. Un atteggiamento che finisce per tenere
separati i due gruppi, i credenti e no, e addirittura disperdere coloro che parrebbero
resistere alla chiamata, quasi fossero colpevoli e per ci stesso dei reprobi. Un
atteggiamento che, laddove sia consapevole, potrebbe configurare una sorta di razzismo
religioso, per usare un termine forte e, lo confesso, un tantino provocatorio.
Lateismo infatti non necessariamente unideologia di radicale opposizione a Dio e ai
suoi fedeli, quasi si fondasse per forza su un credo assoluto che Dio non esiste,
arrivando di conseguenza a definire in errore colui che gli crede: personalmente non
condivido per nulla una simile posizione. Il non credente invece per me colui che non
ha avuto ancora lincontro con Dio, a cui manca cio lesperienza di quel "dono" che
anzitutto una chiamata, la quale pu o no giungere domani o fra un anno o dieci anni, e
se ci accadesse allora il non credente diventerebbe semplicemente parte del gregge.
Unesperienza, questa, che quando capita sconvolgente, nel senso che cambia la vita.
E dunque in qualche modo vero che tra credente e non credente c un abisso. Ma per
il sacerdote? Consapevole che egli stesso pu farsi tramite di quella esperienza, e che

pu sensibilizzare allattesa e impedire che una sistematica disattenzione distolga


irreparabilmente dai segni che Cristo pu inviare? Il non credente una pecora da
cercare, per accogliere eventualmente nel gregge.
Per paradosso si potrebbe dire che il sacerdote deve operare in particolare per coloro che
non credono, specie se in ricerca. E i fedeli dovrebbero essi stessi preoccuparsi di essere
di esempio, in particolare e proprio agli occhi dei non credenti. La grandezza e
loriginalit del cristianesimo quella di predicare non un Dio che ha creato il mondo
per poi lasciarlo al suo destino, ma un Dio creatore e salvatore.
C un ateismo che non ammette nemmeno che luomo abbia una percezione del sacro,
il che rappresenta un limite che induce per a chiedersi il perch dellessere invece del
nulla, il perch della voglia di verit in mezzo a tanto relativismo. In sostanza, da simili
percezioni si ricava che il bisogno del sacerdote in tutti gli uomini che, immersi nel
mistero della vita, credono nella vita stessa. Ecco la parola chiave: credere. Credere che
se innegabile che luomo abbia oggi poteri enormi, quali lo sviluppo scientifico e
tecnologico rivelano, altrettanto vero che tutto questo non toglie dallindigenza un
uomo che muore. La morte, anche se si riducesse al nulla, riconduce lagire delluomo
al vanitas vanitatum et omnia vanitas dellEcclesiaste.
Per paradosso, ha pi bisogno del sacerdote il non credente che colui che crede e
dunque ha gi degli strumenti per orientarsi tra le miserie del mondo. Il tipo poi di
relazione che si intesse con il sacerdote cambia se questi si pone con chi crede come chi
non crede. Seppur ci non toglie che il sacerdote sia necessario a entrambi.
I bisogni dei non credenti
Ho bisogno di dire che il sacerdote una presenza che mi appartiene, e di sapere che
nella sua funzione egli mi considera. Che sa cio chi sono e che mi ama per come sono.
E me lo dimostra se mi fa sentire che mi invita al tempio non per sfidarmi, ma per
mostrarmi il volto del sacro e la bellezza di appartenergli.
Ho bisogno che nel tempio egli promuova delle attivit per i non credenti, per ascoltarli,
per sentire in quale modo egli possa fare qualcosa per noi. Un atteggiamento, questo,
per il quale riesce egli stesso ad avvertire i dubbi e gli ostacoli al credere. Nella mia
immaginazione, sono arrivato a ipotizzare persino un monastero dei non credenti,
poich anche i non credenti hanno bisogno di silenzio e di meditazione, e forse del
silenzio come disvelatore del senso. Ho bisogno di sedermi a tavola con lui per godere
di unamicizia gratuita, per il gusto di un incontro che magari non ha nemmeno un
programma. Un incontro in cui il non credente sente raccontare del tempio, della
Chiesa, e di questi luoghi privilegiati per incontrare a sua volta Dio.
Io non credente ho bisogno di liturgia, ho bisogno anche di ritualit, ho bisogno di
conoscere quello che Cristo ha detto di fare agli apostoli. Uno dei limiti pi gravi dei
non credenti di trovarsi ad ignorare molto di ci che appartiene al credere e
allesperienza diretta di Dio e della vita con lui. Una presunzione che arriva a farsi
certezza se manca il dialogo con chi sa spiegare e arricchire di notizie e fatti. Lo devo
proprio confessare: straordinario ci che sto scoprendo mentre mi occupo del prete e
dei rapporti che questi ha con noi mondani. Questo viaggio attorno al sacerdote, per
tentare di intuire quello che egli si porta dentro, s, lo sto percorrendo io per primo. So
bene che pu rivelarsi fin troppo facile rinchiudersi nella presunzione del non credente,

di colui cio che pensa di sapere gi tutto sulla storia di Dio con lumanit, dunque delle
scritture e della chiesa. Per questo serve il sacerdote che parli, che mostri, e lo faccia
senza arroganza. Non mi meraviglia che i laici dicano cose grossolane, e si comportino
talora con sfacciataggine come se fossero a casa loro: in realt, sono dentro una
presunzione, una sorta di solipsismo dal quale faticano talora ad uscire proprio perch
manca attorno a loro un sacerdote che abbia a cuore il destino dei non credenti.
Ho bisogno che lo stesso Pontefice, quando scrive le sue encicliche, e talune, penso alla
Spes salvi ma anche alla Deus caritas est, sono veramente piene di riflessioni
straordinarie per la vita di ogni uomo, e non soltanto per quella dei fedeli, le indirizzi
dunque anche ai non credenti poich questi hanno per lo pi un destino identico ai
credenti.
Ritengo che in questo modo si avvicinino i non credenti ai credenti e che persino i
credenti possano trarre da chi non crede stimoli utili alla propria fede, poich la fede
stessa uno status non definito una volta per sempre, e si concreta in un avvicinarsi e
allontanarsi continuamente da Dio con la paura di perderlo. Non diversamente forse da
ci che capita in un amore terreno, quando lamato teme sempre di perdere lamata,
senza la quale ormai pensa di non poter pi vivere. E magari lui stesso ad
allontanarsene per una gelosia insopportabile. Cos pu succedere al credente di ritenere
Dio come una esclusiva "propriet" che non va nemmeno mostrato a chi non crede,
quasi che questo non ne fosse degno.
Lo voglio dire con tutta la passione che mi anima: provo rabbia talora di fronte a quei
credenti che mostrano disinteresse per chi non crede e che anzi si ergono a privilegiati
del Signore. Ho bisogno cio di essere riconosciuto come non credente, seppur pieno di
desiderio di credere, e quindi mi piacerebbe essere talora invitato al convito sacro,
anche se andr ad occupare un posto nascosto da questa o quella colonna del tempio.
Da anni ormai per la settimana santa mi reco a Parigi, e l in particolare seguo le vicende
della passione di Cristo, che il capitolo che pi mi affascina di Dio: il gioved santo a
Sainte Etienne au Mont, il venerd santo a Saint Severin, infine la notte di Pasqua a
Notre Dame. Vado Oltralpe perch nelle chiese nostrane mi sentirei osservato dai fedeli,
e magari guardato persino come uno che "espropria" un terreno che non gli appartiene.
Invece, "quel" sacerdote un po anche il mio sacerdote, proprio come succede con un
sindaco che io forse non ho votato, ma che, una volta eletto, mi rappresenta, e io lo
rispetto proprio per il suo ruolo nellamministrazione della citt dove vivo e dove hanno
risieduto svariate generazioni della mia famiglia prima di me.
Ho bisogno di un sacerdote, dello stesso tipo a cui ricorrevano mio padre e mia madre e
mia sorella prima che lasciassero questo mondo: un prete di famiglia si occupa
realmente di tutti, senza fare differenze o test di appartenenza alla fede.
Sono affascinato peraltro dal sapere di essere dentro la preghiera di molti che credono.
Mi spingono, costoro, a non sottolineare continuamente la distinzione tra credenti e no,
che io tuttavia ricordo solo per onest, e per il timore di finire male interpretato.
Ho bisogno di essere amato da chi dichiara di amare Dio e di essere in contatto con lui:
forse si tratta di una mediazione necessaria o quanto meno utile per entrare a mia volta

in rapporto con Colui che non mi si ancora dato.


Non sopporto quei cristiani e quei sacerdoti che si ergono a giudici e con distacco mi
guardano e guardano i non credenti, come coloro a cui spetter la pena eterna. Sono
insopportabili e talora penso che non siano neppure tanto credenti, e magari solo dei
parassiti della fede.
Come nella societ civile tutti devono essere accettati e aiutati a vivere nella comunione
sociale, in maniera ancora pi forte ci deve accadere nella comunit che si riunisce e
opera nel nome di Cristo e della pace in terra, in attesa di quella celeste.
L'UOMO DELLA SPERANZA
Religioso trova la propria etimologia in religio, che significa legare insieme, e quindi
"religioso" chi stabilisce legami. Nella consuetudine si circoscrive luso del termine
religioso o religiosi a tutti coloro che appartengono ecclesia: oltre al sacerdote, ci sono
le sorelle (suore) e i fratelli (frati), e ci sono i monaci. Ognuno di questi ruoli
meriterebbe una menzione approfondita. Ma questo termine appartiene in qualche modo
anche ai fedeli: a tal proposito nel linguaggio comune si soliti dire "io sono (o non
sono) religioso", nel senso di appartenere a questa o quella religione, a questa o quella
fede.
La parola "religioso" racchiude in s dunque anche dei legami affettivi: un sodalizio che
certo non mira, come nei contratti commerciali o nelle joint venture, al profitto. E nel
legame che ha un contenuto affettivo la finalit principale la sicurezza: vincere la
paura, sostenere con laiuto dellaltro la propria fragilit, e contemporaneamente,
attraverso la propria, sostenere la fragilit dellaltro, fino a fare di tale legame
addirittura un tema sacro. E ce ne accorgiamo non appena riflettiamo sulle forme
dellaffetto: lamore, lamicizia, la solidariet.
Lamore sacro, e basterebbe scorrere nel ricordo le poesie damore o i sacrifici
damore, non solo di coppia ma anche del singolo padre o della singola madre per i
propri figli, per notare come si giunga ad espressioni, prima, di devozione e poi di
sacrifico anche estremo.
I sentimenti coinvolgono, dunque, la figura del sacerdote proprio perch egli stabilisce
legami, e quindi forma un tuttuno con i fedeli. E come avviene in una rete, un nuovo
nodo modifica e rafforza anche tutti gli altri. il concetto stesso di corpo: non a caso,
una metafora molto efficace della chiesa. La chiesa come corpo mistico, corpo che non
si vede, che dunque misterioso ma reale, dove ognuno presente con la propria
individualit, ma anche frammento del corpo totale, quello appunto che non si vede.
Ebbene, in forza di questo gioco dei legami si giunge alla societ, e addirittura ci si
potrebbe allargare a tutta la terra e parlare di una sola grande comunit: la comunit
umana, che diventa come un unico corpo ideale. Basta infatti pensare al cumulo di
divisioni e guerre prodotto dalla storia, per rendersi conto come questa dimensione della
comunit non possa non avere appunto un forte valore ideale, fino a configurarsi come
un sogno.
Il sacerdote, insomma, uno che unisce la comunit cristiana. E ad un tempo punta a

unire anche la comunit degli uomini. Ed interessante considerare come un dato


territorio ricada sotto una duplice giurisdizione, quella politico-amministrativa e quella
religioso-ecclesiastica. Come a dire che luomo ha per costitutive due dimensioni e che
rientra in due appartenenze, da nessuna delle quali si pu esonerare. La classe politicoamministrativo gestisce il governo della comunit civile, seguendo una logica e delle
competenze che sono di questo mondo; la classe religiosa invece segue rispetto alla
prima logiche diverse, talora anche molto differenti, perch risponde a bisogni specifici.
Organizzazioni e strutture diverse, ma anche atteggiamenti e stili differenti. Il solo
modo per mantenere separate nella correttezza queste due reti relazionali, che non
manchi mai la chiarezza nella distinzione.
Sar bene precisare che i due poteri devono essere realmente e concretamente divisi.
Sarebbe errato che il governatore di una regione entrasse nel merito della Santissima
Trinit, o che esprimesse la propria opinione a favore o contro il purgatorio o linferno;
ma altrettanto sbagliato sarebbe che le autorit religiose entrassero nellallestimento
delle leggi o nella gestione delle risorse economiche, interferissero in materia di politica
estera o nelle scelte fiscali. E perch questo non accada, ecco che viene sancita la
"sovranit" e lindipendenza di ciascun ordine rispetto allaltro.
Mi piacerebbe insomma che la chiesa si occupasse del cielo e di come raggiungerlo, che
contribuisse a trovare il senso della vicenda umana, che aiutasse la costruzione di un
umanesimo che non si rende possibile senza includervi anche la morte.
Ma voglio ritornare ai legami religiosi, a quella solidariet, a quella appartenenza che
servono per vincere la paura del mistero e della fine, che poi il dramma della morte.
Ognuno ha bisogno di dare una risposta a questo limite, a questo destino che resta
avvolto nel mistero anche nel caso in cui la soluzione annunciata si ritenesse capace di
sedarla. Ma insieme e oltre la morte, si sa, c la paura del giudizio e la paura della
pena. Oltre a queste paure esistenziali, luomo ha a che fare con le delusioni del
quotidiano, con i problemi della propria salute, con lo status sociale che angustia il
futuro, in particolare di quello dei figli.
questo il clima complessivo della vicenda esistenziale e della fatica del vivere: che
passa attraverso quella di nascere, poi di crescere, fino alla vecchiaia, sulla soglia ormai
del redde rationem.
E non bastano qui le risposte sociali e politiche, che al massimo affrontano il problema
nella sua immediatezza e urgenza, e riescono forse a sedare le angosce ma per un tratto,
senza mai giungere a quel futuro che va oltre il limite terreno. Per affrontare questa
dimensione, e dunque la paura nella sua identificazione pi precisa, serve la speranza. E
il sacerdote colui che offre un legame di speranza. Parla di speranza, ma vive egli
stesso dentro la speranza.
Nessun uomo daltra parte pu vivere senza la speranza: sarebbe avvolto solo di paura e
ogni rimedio alla paura gli farebbe ulteriore paura.
Nellenciclica Spe salvi, Benedettto XVI parla di piccole speranze e della grande
speranza. E in questa distinzione, che ben interpreta la psicologia umana, si riconosce
limportanza ai piccoli problemi e alla loro soluzione, poich tutto ci consente di
vivere, ma poi si richiama la grande speranza che , nelle parole del Papa, Cristo Ges:
speranza che si tinge di salvezza, e di salvezza eterna. E se possibile sperare in una
simile salvezza, a che cosa valgono le attese minori, quelle solamente storiche?
Il bisogno della salvezza dentro il cuore di ciascun uomo, anche se vi si dar una
connotazione di volta in volta differente. Cos come la grande speranza risposta ad una
grande paura e al timore di non riuscire a compiere ci che solo quieterebbe lanimo

umano. Quella inquietudine che cos bene esplicita Agostino nellinquieto il mio
cuore finch non riposa in te.
Ma se il sacerdote rende presente Cristo oggi nel mondo, allora il sacerdote diventa
luomo della speranza, il distributore della speranza, intesa non come mera
consolazione, ma addirittura come impegnativo gesto sacramentale e liturgico. Il quale
, ogni volta che si rinnova, unazione di speranza. Ed questa infatti, secondo me,
lessenza del prete, quella che luomo di oggi ha bisogno di sentire e di conoscere.
Molto significativo per un cristiano il profilo del sacerdote come colui che pu
rimettere i peccati, ma collegato a questo ancor pi significativo mi appare il profilo di
uomo della speranza. Colui che sa indicare al disperato la fonte del futuro che non una
parola vuota, ma realt che il sacerdote vive, poich lui lincarnazione della speranza.
Quando un mio paziente esprime paura, spesso senza parole poich si fa attonito, statua
pietrificata dal terrore, io non spiego cosa la paura e attraverso quali meccanismi e
dinamiche si attivi, ma lo stringo a me, gli prendo la mano e gli dico che anchio ho
avuto paura, che anchio sono fragile e consideri che ora sono con lui per affrontarla e
possibilmente risolverla. Non posso fare di pi, non sono io capace di gesti liturgici che
mi permetterebbero di veicolare la grande speranza. Ma il sacerdote s pu, e in questo
egli pi dotato di me.
Un uomo spaventato, sottomesso alla tecnologia, ansioso di successo, piegato dal timore
di essere un "signor nessuno" sul piano dei ruoli sociali: ecco da una parte langoscia
della frustrazione e dallaltra la voglia di visibilit. Perch c una morte sociale, quella
dellirrilevanza, che oggi pi sentita addirittura dellaltra morte, quella fisica. Perch
quella dellirrilevanza la si esperimenta ogni momento, una morte che sembra
continuamente annunciata. E quella che la riguarda, lunica agonia oggi ancora
percepita. Mentre lagonia reale, ossia la fine della propria esperienza terrena, si pu
fingere di dimenticarla, fingere che non ci sia.
Dicevamo del bisogno di speranza. Il sacerdote luomo della speranza: non
limbonitore che sa suggestionare, ma piuttosto lexemplum del Cristo che si fatto
speranza per tutti gli uomini. Di quel Cristo che ha detto io sono la via, la verit, la
vita.
Qui si recupera in tutta la sua essenzialit il significato di legame, di cui dicevamo
allinizio. Non certo un mettersi insieme per vezzo, o per le piccole speranze sociali, ma
un unirsi del sacerdote allumanit di oggi, mettendo al centro la speranza, la grande
speranza, quella che almeno un poco sa calmare la paura, la paura per quel senso
ulteriore della vita che non facile trovare. Ebbene, questo senso arduo da reperire lo si
pu intravedere in chi, come il sacerdote, sa dare fiducia allinterno di un rapporto
disinteressato sul piano terreno ma interessato invece su quello del cielo. Ed proprio l
che la grande speranza si compie: sulla terra invece si reperiscono al massimo soluzioni
per le piccole speranze.
S, con la speranza possibile vivere bene, anche tra affanni e limitazioni. Si pu vivere
bene anche se si sta male. E qui il pensiero corre alla depressione, che non a caso
potrebbe essere definita la malattia della speranza. Meglio, la depressione c quando la
speranza appare solo unillusione, solo una chimera.

ATTRARRE NEL TEMPIO


Ritengo che siano diverse le tipologie umane compatibili con la missione del sacerdote,
anche se poi ogni persona incontrer delle difficolt proprie e avr delle sfide specifiche
da superare per modificare ad esempio un dato carattere e meglio orientare certe
tendenze. E di per s questo non neppure un discorso che riguarda esclusivamente i
sacerdoti. chiaro infatti che un temperamento ribelle dovr fare uno sforzo maggiore
per sottostare alle regole che determinate professioni comportano. Maggiore, rispetto a
chi o a che cosa? Rispetto ad esempio a chi spontaneamente tende ad obbedire, a
chiedere consigli, a meditare prima di agire.
Una premessa, questa, che se nasce dallesperienza e dallosservazione empirica, induce
anche a ricercare la personalit ideale, o meglio linsieme di caratteristiche che
teoricamente sembrano preferibili per affrontare una data professione, in un certo
momento storico. Il che, con le dovute distinzione, vale anche per il sacerdote.
Mi propongo qui di indicare alcune dimensioni della personalit che, sulla scorta della
mia sensibilit e della mia personale esperienza, mi sembrano particolarmente
importanti per la missione sacerdotale. Va da s che esse, per essere comprovate, hanno
bisogno di incrociare il portato di esperienza di chi, per ruolo, segue la formazione dei
(futuri) sacerdoti.
evidente, peraltro, che lefficacia di una funzione sociale come il felice svolgimento
di un ruolo dipender, oltre che dalla personalit dellindividuo, anche dallambiente in
cui questi si cala. Poich il comportamento dato dallinsieme tra la persona e
lambiente; dove lambiente inteso non tanto, come s gi detto, in senso geografico
ma anche come intreccio relazionale.
Il sacerdote un apostolo di Cristo, e quindi si presenta al mondo imitando il suo
Signore e portando di questi il messaggio. Infatti va alla ricerca delluomo per attirarlo
al suo Dio. Se nel passato era la gente che andava al tempio, ora bisogna che il
sacerdote esca e richiami chi sordo o disattento ad entrare. Bisogna che egli si
proponga. Per questa funzione, il sacerdote deve possedere una buona dose di quello
che ho chiamato narcisismo positivo (cfr. puntata n. 9, del 9 aprile scorso), che gli
deriva dallintensit delle sue convinzioni di fede, ma anche da una propensione a
provarsi, a mettersi in gioco, a proporsi. E per potenziare questa facolt, egli deve
prepararsi a comunicare in maniera efficace per essere in grado di interessare,
incuriosire, attrarre. Si parla a questo proposito di carisma, cio di un insieme di
caratteristiche e di qualit che dipendono dalla persona. Carisma che s una dotazione
naturale, ma che in parte si pu anche acquisire. Da notare che la stessa comunicazione
ha assunto oggi i caratteri di una vera disciplina scientifica, e dunque la si pu
apprendere, ad fine di disporre dei linguaggi verbali come pure di quelli non verbali.
Siccome il sacerdote ha per obiettivo non di piacere agli altri, ma di portarli l dove
lattenzione si centra su Cristo, egli deve dedicarsi alla causa del Signore in modo che
sia attraente. Cio, il sacerdote deve sapere attrarre individualmente ma curare ad
esempio anche il tempio, che a sua volta deve affascinare. Alloccorrenza infatti, egli
deve poter accompagnare in chiesa o negli ambienti che ad essa sono legati e mostrare il
loro decoro, e persino il gusto con cui sono predisposti, e le caratteristiche finalizzate al
compito che svolge e che riguarda lo spirito.
Ecco, cosa sintende per narcisismo: la voglia di attirare lattenzione per infine
"proporre" la figura del Cristo. Questo il centro, il resto funge da contorno, la stessa
sacralit delle cose e degli ambienti la cornice che deve valorizzare per il punto

focale, il Santo di Dio.


Il paragone non disturbi: se uno vende saponette deve poter richiamare lattenzione sulla
pulizia, sulla decontaminazione, sul profumo. Chi d risposte al bisogno di sacro, deve
saper ridestare e rendere avvertito questo stesso bisogno, che oggi pi di ieri pu finire
sovrastato e addirittura nascosto da altri desideri.
Le tecniche, lo ribadiamo, hanno una loro importanza. Giacch il sacerdote propone
Cristo salvatore, che una dimensione che sfonda sulleterno, naturale che per rendere
il discorso convincente si cerchi di mostrare anche a cosa si riduca la vita senza Cristo.
Gli antichi predicatori si adoperavano per evocare anche un po di paura paura
dellinferno, della morte eterna, delle pene in vita e dopo morte ma non bisogna
esagerare perch se no il rischio che il problema venga semplicemente rimosso e si
tenti di vivere come se non ci fosse. La chiesa della paura non attrae pi, anche se ci
sono stati tempi in cui questo era il messaggio pi convincente per legare il popolo al
sacerdote.
comunque importantissimo il legame del sacerdote con il tempio, e diventa difficile
capire come egli possa assolvere realmente al proprio compito staccandosene, o
limitandosi a mostrare s piuttosto che s nel tempio. A tale proposito, il territorio
italiano mostra degli evidenti vantaggi: ledificio chiesa sovente carico di storia e di
oggetti di grandissimo valore culturale. E dunque verrebbe subito da dire che tutto una
carta potente da giocare. Ma occorre stare attenti: il fatto che le chiese siano cos belle
da essere state ridotte quasi a musei, pu portare ad un loro uso come se Dio non ci
fosse, mentre c un meraviglioso Tiziano o un Giovanni Bellini, per richiamare solo
due dei grandi maestri delle pittura veneta del quattro-cinquecento. Il tempio finisce per
dare cos una sensazione strana, di mancanza di sacralit. Ma per un simile uso il
sacerdote non serve, e il suo potenziale ruolo appare nascosto.
E che si tratti di un simul-museo lo si evidenzia, in alcuni casi, quando bisogna
acquistare un biglietto, oppure infilare un euro per attivare lilluminazione dellaltare e
cos ammirare la splendida pala che vi sovrapposta. A mio giudizio, una tale bellezza
va fatta valere per quello che , come dotazione del tempio. Non si tratta infatti, in
questo caso, di bellezze darte acquistate ad unasta miliardaria, ma di opere che si
inseriscono in una tradizione importante di fede, e sono ad essa strettamente legate. Una
tradizione in cui centra, e come, il Dio cristiano, quel Dio che a tuttoggi
rappresentato dal sacerdote che mi sta introducendo in chiesa, che mi accoglie e mi
mostra le ricchezze di quel tempio, ma anche di quella lunga fila di testimoni di cui egli
lultimo anello.
Quando vado a visitare un amico, che magari anche ricco, ovvio che egli mi mostri
le cose di valore che tiene a casa propria, e il fatto di poterle ammirare aiuta me a capire
qualcosa del personaggio che mi ospita, mi svela un po del suo gusto, della sua storia,
mi racconta del perch quel capolavoro giunto su quella parete.
Trovo invece che sovente la ricchezza del tempio non abbia nulla a che fare con il
sacerdote che l in cura pastorale, come se si trattasse di due dimensioni parallele. Al
punto da invitare a non entrare in chiesa se si svolge una celebrazione. Per carit, si
capisce che i visitatori non debbono distrarre troppo, e tuttavia bisogna evitare che
quella dotazione arrivi a sembrare un ostacolo, un orpello marginale rispetto alla vera
funzione del tempio. Come se la celebrazione fosse vera quando priva di qualunque
contenuto artistico. Ora, certo una Messa non ha bisogno delle opere darte, ma dove
queste ci sono devono poter servire alla preghiera e alla celebrazione, perch cos si
pregato in passato e questo pensiero pu aiutare anche la preghiera dei fedeli di oggi.

Insomma, il tempio e la sua funzione sono dissociate, come talora lo il sacerdote e il


tempio stesso. Ma la prima casa del sacerdote la chiesa, questo il luogo dellincontro
durante le cerimonie e fuori anche dalla liturgia, un luogo in cui il sacerdote l in
servizio riesce ad attrarre anche grazie alle suppellettili darte che la storia e la fede gli
consegnano.
A me, lo confesso, appare come spreco un certo modo di trattare i templi di Cristo,
bellissimi ma freddi e chiusi, oppure aperti e bui, quasi si volesse nasconderne la
bellezza. Lo so, c la paura dei furti, delle persone che possono approfittare di luoghi
abbandonati, ma ecco il punto: perch sono abbandonati? Se fossero luoghi di vita, se
arrivo a dire il sacerdote vivesse la chiesa, allora sarebbe pi facile entrarvi, accogliere
le persone, amici e discepoli, che assaporando un certo clima finirebbero per percepire
che bello, e d gioia, stare nella casa del Padre, al cui servizio egli sta dedicando la
vita.
Occorre una diversa strategia della bellezza dei templi, ma ad occuparsene non deve
essere chi gi si occupa di musei, e vive tra uffici e archivi, ma i preti che amano stare
con il popolo di Dio, sia i credenti sia i non credenti.
Naturalmente so bene che non tutti i sacerdoti esercitare la propria missione in chiese
darte. In generale, la situazione sotto questo profilo nel nostro paese vantaggiosa, ma
sono molti i casi in cui la chiesa disadorna. La storia non lha beneficiata, oppure si
tratta di un edificio recente, innalzato in economia. Bisogna allora saper rendere belle
queste chiese lo stesso, ordinate e linde, anche grazie agli stili dellarchitettura moderna
e degli arredi contemporanei. Non detto peraltro che non ci siano enti e fondazioni
sensibili, che possono aiutare. Insomma, voglio dire, chiedendo scusa di impicciarmi io,
non credente, di queste cose, che bisogna avere la consapevolezza non tanto del nostro
fascino ma del fascino che il Signore ha esercitato lungo il tempo, e di cui spesso le
niostre chiese sono testimonianza. Per me, lasse sacerdote-tempio a fornire lunit di
due parti coessenziali, e in cui luna in qualche modo espressione dellaltra e la
richiama. Entrando nel tempio viene spontaneo chiedersi dov il sacerdote, perch
questi titolato a dire dove il Signore.
ovvio che la bellezza del tempio non rimane fine a se stessa, ed da mettere in
rapporto con la liturgia perch questa si svolga dentro una cornice che la valorizza e la
rende ancora pi eloquente. Allora verr voglia, pare a me, di stare un po di pi in
chiesa, dove tra laltro c spazio per il canto sacro, che a sua volta non poco aiuta al
raccoglimento e alla preghiera.
Faccio notare che qui s parlato di arte, non di lusso o sfarzo, orpelli inutili anche se
diventati ormai simbolo di ricchezza. Ma larte riporta al bello e mai al denaro. Nella
mia vita ho visitato tante chiese come anche tanti musei, ma mai, nemmeno una volta,
mi sono fermato al valore economico di ci che vi si trovava esposto. Di fronte al lusso
sono sempre indignato e non lo sopporto in nessuna casa, tanto meno in quella di Dio e
del sacerdote.
DONARSI SENZA APPARTENERE
Nel tentativo di tracciare quello che, secondo me, il profilo della personalit ideale del
sacerdote, ci troviamo ora a descrivere una caratteristica veramente difficile, legata al
tipo di relazioni alle quali il sacerdote si dedica, che riguardano tutte le persone del
territorio di cui ha la cura danime. Tutte, perch sarebbe errato pensare che si debba

rivolgere soltanto ai fedeli, dovendo tenere conto, e chiss se in misura maggiore, anche
dei non praticanti, e poi dei non credenti, che essendo potenziali credenti, rientrano
dunque nella missione contrassegnata dall"andate e predicate a tutte le gent".
La caratteristica a cui ci riferiamo riguarda il tipo di legame che ha per cornice il
comandamento dellamore (la prima enciclica di Benedetto XVI si intitola Deus caritas
est): il figlio di Dio, Ges Cristo, s incarnato, morto e risorto per amore.
Sembrer un paradosso, ma il sacerdote deve amare sfuggendo alla percezione comune
dellamore, alla relazione che porta Caia a legarsi a Caio in un rapporto stretto, quello
proprio dellamore umano, sanguigno, di questa terra. Il sacerdote deve amare tutti, non
appartenendo a nessuno. Che un modo non comune, che non rientra in una percezione
standard. Si tratta piuttosto di un amore che prevede il darsi senza ricevere qualcosa di
simmetrico. Che come trovarsi dinanzi ad una divaricazione innaturale, giacch
lamore prevede nella dinamica umana la partecipazione simultanea. Io ti amo perch
mi ami, e sento di doverti amare sempre pi, perch tu mi possa voler bene ancora di
pi.
Quello del sacerdote invece un amore gratuito, che manca della parte corrispettiva
proveniente dallaltro. E per questo egli giunge ad amare anche chi non lo ama, chi lo
ignora, persino chi lo detesta. Si tratta di un paradosso, dicevamo, che per ha un suo
paradigma, rappresentato da Cristo. Dunque, si pone lontano dalle consuetudini, in
modo altro rispetto alla condizione della coppia che genera figlioli, e ha il compito
naturale di proteggerli ed educarli.
Questa condizione sociologicamente non unesclusiva del sacerdozio cattolico. Per
dire, un tempo agli insegnanti era imposto di vivere dentro i collegi e gli antichi collegi
di Cambridge e di Oxford tengono ancora stanze per i docenti che vogliono vivere
allinterno del college, come se linsegnamento richiedesse di donarsi completamente a
tutti gli allievi; e dunque, per analogia, come se il sacerdote a sua volta dovesse
insegnare ma non tanto una data materia, quanto a vivere, e ci non permettesse di
dedicarsi a un proprio figlio o a una propria famiglia.
altrettanto indubbio che storicamente gli apostoli, che sono il primo nucleo della
Chiesa, e anzi ne sono i pilastri, non avevano imposto questo limite, infatti la decisione
del celibato si radicher solo nel Medioevo. La Chiesa cio per alcuni secoli ha
ammesso il matrimonio dei presbiteri, e la decisione di non procedere si basa su
unesperienza che complessivamente deve aver mostrato sul piano empirico molte
difficolt per il perseguimento della missione. Un legame di natura familiare
condizionava i comportamenti del pastore e poneva spesso in essere delle
differenziazioni che non permettevano di onorare al meglio il mandato.
Sempre sul piano pragmatico ci sono argomenti che afferiscono alle implicanze
economiche, che poi sono quelle della giustizia: nella successione ereditaria il presbitero
a quel tempo maritato finiva per distribuire ai figli anche beni che non erano nella sua
disponibilit personale. Inoltre, generando propri figli era fatalmente portato a
prepararne il futuro, impiegando per questo contatti e risorse del suo lavoro
ecclesiastico. Il che a lungo andare non poteva non far riflettere. Ma pi ancora
dellaspetto economico, devono aver pesato i problemi psicologici che lessere padre e
marito comportano: un trattamento verso le figure familiari che fosse diverso da quello
riservato a tutti gli altri, non pu non indurre anche inconsapevolmente a situazioni di

disagio, addirittura a proteste ed allontanamenti.


Il legame con una donna poi finisce per far sentire unappartenenza forte ed esclusiva,
con momenti che si fanno totali, e dunque implicano quasi sempre il disinteresse o
lallontanamento dal bisogno di tutti gli altri componenti la comunit a cui il sacerdote
deve dedicarsi.
Queste considerazioni, che hanno un carattere generale, mostrano ancora degli strascichi
dal momento che un sacerdote, pur non generando figli e non potendo avere discendenti
diretti, tuttavia legato alla famiglia naturale con padre e madre, fratelli e dunque nipoti
e pronipoti. E accade che nei loro riguardi talora il sacerdote usi attenzioni di particolare
generosit, anche economica, e dunque investendo talora risorse che dovrebbero avere
altre destinazioni. Si creano evidenti relazioni di favore che condizionano il suo agire, e
nulla pi deleterio delle preferenze evidenti, e dunque delle differenziazioni ingiuste,
per allontanare i fedeli.
Daltra parte, i legami naturali, quelli che si chiamano di sangue, non possono essere
condannati, perch costituiscono la base stessa del legame matrimoniale che il sacerdote
non solo accetta ma benedice nella celebrazione degli sposi. A rappresentare leccezione
proprio lui, nellambito di una condizione esistenziale che si lega alla sua missione.
Deve dunque amare tutti e non essere amato, almeno nella maniera espressa o nella
forma dellamore umano, da nessuno. E deve essere attento che il suo amore sia rivolto
alle persone che gli sono affidate senza distinzione e senza ingiustizie. E il matrimonio
gi di fatto le porrebbe come inevitabili.
Il matrimonio ammesso in altre chiese cristiane, ad esempio (ma non solo) in quella
anglicana o in quella scozzese. Ebbene, senza entrare in valutazioni puntuali, non si pu
tuttavia non sottolineare come il rapporto tra sacerdote e fedeli in quelle comunit sia
radicalmente diverso da quello nel nostro Paese, non tanto per i contenuti teologici o
liturgici, quanto proprio per il tipo di relazione che la gente stabilisce con il pastore
protestante. Nel protestantesimo domina un rapporto uomo-Dio non mediato (o non cos
fortemente) dal sacerdote o attraverso santi e angeli presenti nel tempio, come invece
capita nella chiesa cattolica. In quel contesto il pastore un ministro che opera solo
alcune liturgie, che ha solo alcune attivit, e dunque gli potrebbe essere richiedere anche
un tempo parziale, per il quale la vita coniugale non un ostacolo.
A me pare, stando ad una lettura delle cose di questa terra, che la scelta del celibato
sacerdotale sia una condizione praticamente indispensabile. Lo dico per quel che sono
da un punto di vista religioso, ossia un non credente, e dal punto di vista professionale,
per le cose insomma che misuro con labilit che la vita mi ha dato.
Credo che la scelta celibataria sia richiesta anche dai bisogni che i fedeli esprimono al
loro prete. E dunque che nella societ attuale continui a presentarsi come
particolarmente opportuna. Ma al di l delle questioni pratiche, lamore a non potersi
riversare in un recipiente solo, per non svuotare gli altri, o riempirli solo a met. Ma non
per questo lamore deve essere meno vero o farsi sentire poco. Gli affetti non possono
essere mascherati, perch si sentono, e si avverte la distanza abissale tra comportamenti
allapparenza identici. Non vi dubbio che questa condizione damore difficile, ma il
sacerdote anche consapevole di potersi fondare sulla forza di un amore ideale, di un
amore verso Dio. La parola "ideale" probabilmente inadatta, ma interpreta il concetto
psicologico di sublimazione dellamore umano verso qualcosa di trascendente. Una
dimensione che nel sacerdote raggiunge per espressioni concrete (incarnate), perch il

Dio a cui si lega parla, quel Dio presente, quel Dio vive con lui quotidianamente.
importante infatti che tutto ci sia reale e non una congettura, non un semplice
spostamento, e neppure solo una sublimazione, che rimanderebbe sempre al problema
della mancanza damore umano. Insomma, i meccanismi di difesa non permettono mai
di risolvere il bisogno damore di cui il sacerdote deve essere consapevole, ed egli
sperimenter anche che lamore che riceve dalla comunit e da Dio valgono la rinuncia
insita nella scelta sacerdotale. Cristo, del resto, s dato tutto ai fratelli, sostenuto
dallamore grandissimo del Padre.
In questa epoca storica, il problema dellamore terreno nel sacerdozio si riaperto
poich si sono evidenziati comportamenti che hanno rivelato come anche per il
sacerdote lamore terreno pu ritornare con una forza che finisce per trascinarsi
appresso tutto. In un tale clima, si rileggono magari i vangeli apocrifi, che parlano di un
Cristo sposato addirittura con la Maddalena, il che per qualcuno darebbe forza a quella
vicenda di sacerdoti che hanno abbandonato il ministero proprio per una storia damore
vissuta umanamente, disobbedendo alla promessa del celibato.
comunque anche tempo di allargare il senso della parola amore: per dargli un valore
che vada oltre a quello della coppia. Allargarlo allamore tra padre e figlio, ma anche
verso le persone che sono sole e chiedono di essere notate, di avere senso agli occhi di
qualcuno, di esserci. Lamore per gli ultimi, per i bambini abbandonati. Scappare dalle
strette di una societ che attorno a certo amore di coppia ha creato un mercimonio e
addirittura la possibilit di fare affari fino a trasformare il matrimonio stesso in un
contratto di vantaggi e perdite. Lamore qualche cosa che si contrappone alla morte.
Come una forza che fa sentire vivi e utili, che d la sensazione forte di esserci, di avere
appunto un senso. Occorre scappare da una societ in cui lamore viene ridotto a corpo e
sesso. Lesistenza ben pi che un corpo e i suoi impulsi. Bisogna che lessere
sacerdote torni a parlare di cose dello spirito, a far volare con lui in alto, altro che il
sacerdote con moglie e figli e suocera. Anchio sono sposato, ho figli, ho avuto una
suocera. Ho apprezzato e apprezzo tutto, ma quando incontro un prete non desidero che
mi dia limpressione di incontrare un simpatico collega di lavoro, con cui si fanno
quattro chiacchiere in allegria. Se il sacerdote colui che fa cose sacre, saremmo a un
livello troppo basso se tutto si ancorasse alla salute della signora o ai risultati scolastici
del primo o del secondogenito. E non voglio fare accenni alla gelosia che per, lo
ricordo, un sentimento di questo mondo e fa parte dei conflitti di appartenenza.
Io so che un tempo chi si dedicava alla vita militare non poteva sposarsi, se non altro per
il rischio di lasciare vedove le signore, dato il mestiere, sempre in pericolo di vita; e so
anche che ora i militari si sposano. Un tempo i professori, lo abbiamo ricordato,
rimanevano celibi per darsi totalmente allinsegnamento e alleducazione dei loro
allievi, e che fra laltro vivevano in collegio, dunque lontano dalle famiglia di origine,
sostituite per il periodo di studi; e che adesso si sposano. So tutto questo e su una simile
scansione qualcuno potrebbe magari augurarsi di vedere presto un prete con la moglie o
con la fidanzata, ma io ritengo invece che sul piano della sua scelta egli debba amare
tutti, e non essere amato in maniera speciale da qualcuno. Con leccezione dellamore di
Dio che ha promesso a chi lo segue che sar remunerato il centuplo quaggi, e poi la
vita eterna.

IL PIACERE DI FARE DEL BENE


Fare del bene pu, a prima vista, apparire un desiderio universale, il primo nella scala
dei valori di ciascuno uomo, e invece non affatto cos. Prevale, in realt, il piacere di
dominare, di mostrare il proprio potere, di essere riconosciuti come forti, almeno pi del
proprio interlocutore, o del gruppo o del luogo in cui ci si trova in quel momento.
Insomma, il piacere si lega di pi alla potenza, al gusto di fare semplicemente perch si
pu. Nella forma attuale, il potere si esprime attraverso il denaro posseduto, che
permette di comperare tutto, e allora il potere lo si esibisce attraverso simboli visibili,
che ostentano anche senza dovere spiegare. I simboli del potere vanno dal modo di
abbigliarsi, tutto griffato, allauto con cui si arriva, allatteggiamento, al portamento.
Presenza insomma che si impone. Tra i simboli del potere, c anche il modo di parlare,
con un certo sussiego, e certamente la dimostrazione di saper comandare. Questo modo
di essere si contrappone a chi invece ama fare del bene, manifestarlo, distribuendo
sorrisi, apprezzamenti, senza paura di mescolarsi con chi troppo lontano dalla propria
posizione sociale, e dunque senza la preoccupazione di mantenere le distanze
gerarchiche.
La contrapposizione tra il potere che non ha bisogno di nessuno, in cui anzi laltro
serve per mostrarsi attraverso gesti di forza che lo rendono succube o gregario, e la
fragilit, che una condizione esistenziale in cui si ha bisogno dellaltro, e dunque si
mandano segnali di benevolenza, di voglia di dare ma anche di ricevere, poich il fragile
sa di non poter fare conto solo su se stesso. Il fragile disposto a dare e a ricevere aiuto.
La fragilit ha la stessa formula che permette lamore, e dunque il bisogno di legarsi
allaltro, perch da soli si perduti, bisognosi sempre di un supporto umano. Questo
dualismo particolarmente leggibile nella cultura dominante, la quale appare
allinsegna del nemico, per cui fino a prova contraria chi si avvicina pu fare del
male, pu inserirsi negativamente nel proprio dominio con il progetto di scalzarlo. La
cultura del nemico sostiene la lotta e, se si passa dal singolo ai gruppi e alle nazioni, la
guerra. Mentre chi ama fare il bene segue la cultura della cooperazione, che vuol dire
operare insieme e sincronicamente per uno scopo comune, non antitetico n in
antagonismo.
veramente incredibile lignoranza che domina sul bene e sul fare del bene. Proprio
perch si pensa che si tratti di una posizione prescelta dai deboli, da chi timoroso. E
cos si ignora la felicit che se ne ottiene, la gioia che si prova nel fare un sorriso e nel
riceverlo proprio da chi invece, sentendosi guardato in cagnesco, dovr mostrare tutta la
sua capacit di difesa e di offesa. incredibile constatare come le relazioni individuali
cambierebbero se la bont ne diventasse il motore principale, e dunque se si ritenesse
che, fino a prova contraria, chi si avvicina viene per portare gioia e per riceverla. E non
si tratta di un atteggiamento ingenuo, di chi si immola sul piano della bestialit umana,
credendo di trovarsi in un paradiso terrestre, e non in una valle di odio e di vendetta.
ampiamente dimostrato che la serenit e la bont hanno maggiore efficacia sul piano
delle relazioni rispetto alla lotta, che lascia sovente rancori e voglia di vendicarsi: un
circolo perverso che continua a caricarsi sempre pi di energia negativa, che si fa
nemica. In una etnia dellAmazzonia, gli Yanomami (popolo in via di estinzione), ha
dominato per molto tempo la crudelt come elemento di distinzione e di forza. Colui
che poteva esibire nel proprio curriculum di aver ammazzato di pi, era ritenuto capace
di dare sicurezza, e di conseguenza era particolarmente desiderato dalle donne. Quindi
poteva scegliere tra le donne pi forti, che avrebbero assicurato anche una prole

resistente, e dunque la costituzione di una comunit guerriera. Mentre chi mancava di


simili requisiti era emarginato. lesempio di una popolazione in cui luccidere era
segnale del potere per eccellenza, e dal quale dipendeva lo status sociale.
Ma ci sono anche esempi in cui si mostra il contrario, uomini che si sono imposti come
giganti e maestri di bont: Cristo naturalmente, ma anche Socrate, Tommaso Moro, e
Ghandi. Esempi che ritornano, che attestano come sia possibile non colpire mai e come
il gesto di amore e di bont sia sempre vincente.
Ebbene, il sacerdote non pu non collocarsi tra coloro che, invece di una sberla, con la
stessa mano preferiscono fare una carezza, che invece di urlare preferiscono bisbigliare,
e invitare a capirsi e a volersi bene. Il sacerdote non pu non essere un campione di
bont, quella semplice e genuina, quella che viene dallesempio di Cristo. Ma il
sacerdote fa quello che fa non solo perch conosce i dettami della sua religione, ma per
lesperienza della gioia, perch lessere buono significa anche sentirsi bene ed essere
persino felice. E allora mi sembra utile ricordare che, almeno per la mia percezione
forse non precisa o troppo personale, nella religione cristiana dominano troppo i termini
del dolore, del peccato, e della pena che segue il giudizio divino. Una religione che
appare talora mossa dalla paura, dal male sempre in agguato, in una corsa ad
accaparrarsi lassistenza di santi e beati che possano aiutare in una estenuante lotta
terrena. Lotta contro il demonio e lotta contro le tentazioni, avendo presente la
sofferenza e quella morte in croce che Cristo ha subto per causa nostra. Una religione
insomma nella quale a sovrastare talora il senso della lotta, la paura, il timore e il
tremore, quando non lo sconforto, e lossessione del male. Eppure, c anche la
prospettiva della gioia, della gioia di essere insieme con il Padre, una gioia che nel
sacerdote ha la forma del dare quello che ha ricevuto dal Signore, quindi anche oltre le
possibilit umane. I sacerdoti allora devono spandere gioia, devono darla copiosamente,
nella consapevolezza tra laltro che la stessa gioia affascina. Soprattutto in un mondo in
cui, per conseguire un traguardo, bisogna fare lo sgambetto e atterrare chi ti sta
superando, magari per meriti oggettivi.
Dunque, il sacerdote come inviato del bene. E qui si riaccende il grande tema del
contrasto tra bene e male, che un giorno interess autori come Dostoevskij, o Tolstoj,
ma che continua a intrigare, interrogandoci sul perch del male e sul suo legame con il
bene: c tutto, infatti, dentro un uomo che sa fare luno e laltro. Viene qui in mente
Hanna Arendt che un giorno scopr la banalit del male. E a me sovvengono i casi di
cronaca di cui mi sono professionalmente occupato, dove erano stati uccisi i genitori o i
fratelli, o anche soltanto persone qualunque, colpevoli semplicemente di vivere, e di
essere un giorno nate. Casi in cui qualcuno si comportato da mostro: ma solo per un
poco, perch tornato poi a vivere lontano dal piacere di uccidere, e addirittura senza
riuscire a darsi ragione della pena che ormai doveva affrontare. Giovani, ad esempio,
che hanno ucciso e poi sono andati in discoteca, o sono rientrati a casa per prepararsi
allinterrogazione in programma per lindomani a scuola. La banalit del male, appunto,
che diventa cos comune e quotidiana da non fare neppure notizia, a meno che non arrivi
a livelli in cui la vittima fatta a pezzi, e il cadavere disperso in qualche maniera
orribile. E dire che si arrivati persino ad esporre pezzi di corpo umano lungo una
autostrada, per simulare una sorta di esposizione dellorrore, sculture di carne spaccata.
Il sacerdote portatore di bene. rappresentante del Bene, e di un Bene che spande
gioia, che distribuisce fiducia, che fa sentire buoni perch almeno in quel momento si
allenta la stretta che impugna il coltello. La bont genera speranza, fa trasparire che
possibile un mondo totalmente diverso, di cui il sacerdote con la sua dottrina e

soprattutto con il suo stile esempio.


E a me, scusate se insisto, torna sempre in mente suor Maria Laura che, chiamata al
telefono alle 10 e mezza di sera da una ragazza che le raccontava di essere incinta e di
aver assoluto bisogno di aiuto, senza chiedere nullaltro si fa indicare dove si trova, e la
raggiunge. Ma proprio l tre ragazze la uccidono con un pugnale. Appartenevano a una
setta satanica. E mentre sta morendo tra le fitte delle pugnalate, trova il tempo e le
parole per perdonare. Cio, anche in quel momento di straziante, inimmaginabile
dolore, il dolore di un corpo lacerato a morte, suor Maria Laura trova listinto del bene e
del perdono, indicando la via del riscatto.
Come ogni persona consacrata, il sacerdote deve essere luomo del bene: non solo per
principio o per dovere, ma per gioia, perch prova piacere nel fare il bene, essendo
incapace di fare il male. Anzi, se lo facesse, lo sentirebbe prima di tutto contro se stesso,
in quanto uomo, e ancor pi in quanto uomo di Dio.
Io mi fermo a questa dimensione, che poi la dimensione di questo mondo, e per essa
luomo che fa il bene, in quanto uomo, sperimenta una gioia sconfinata. Il che una
prova per affermare che gli umanesimi sono possibili, anche in un tempo travagliato.
Non posso entrare invece in quella dimensione ulteriore che viene dalla fede, e in
particolare dalla ordinazione. Tuttavia so che se un sacerdote non raggiunge anche sul
piano umano lesperienza del bene, e non sperimenta la gioia stessa del bene, non potr
essere un buon sacerdote. Rischia di fare il burocrate che contabilizza, ma non contagia.
Se invece il bene diventa fonte della gioia vissuta, allora lo si compir anche in maniera
gioiosa. E una simile esperienza si far epidemica, poich trasmettendo il bene,
aumenter la voglia di farlo. Quanto bello poter fare il bene senza una ragione,
semplicemente perch il bene paga al bene stesso, perch meraviglioso farlo. Ecco
chi il sacerdote: un uomo vero che vuole il bene vero, un uomo che si perde per la
felicit degli altri.
LA RESISTENZA ALLE FRUSTRAZIONI
Le frustrazioni sono strettamente correlate alla societ in cui si vive: quanto maggiore
la complessit dellassetto sociale, tanto maggiori saranno le occasioni di frustrazione.
La frustrazione un sentimento di malessere (mal dessere) che uno prova quando si
trova inadeguato in un determinato ambiente fisico o nella relazione con una persona o
con un gruppo.
In passato, quando il rapporto tra individuo e societ era sporadico o ripetitivo, il
singolo soggetto si abituava a ci che doveva accadere, e riusciva a prevedere come
sarebbe andato un incontro o una determinata esperienza. Ora i rapporti sociali sono
aumentati di numero, ma soprattutto nella loro imprevedibilit. La nostra societ,
inoltre, si basa su un imperativo, il successo, che favorisce la tendenza a ricercare in
maniera ossessiva lapprovazione e il protagonismo. Ma quanto pi si lotta per il
successo, tanto pi aumenta il rischio di fallimento. O almeno lo spostamento del
traguardo per raggiungerlo. Il che comporta frustrazione, perch il successo oggi
conseguente non tanto allimpegno profuso o ad un programma che si abbraccia, quanto
ad un evento che allimprovviso accade. E che pu cambiare lesistenza.
, questo, un tratto caratteristico della societ odierna, la quale coglie il sacerdote in una
condizione particolare: egli non distribuisce successo, perch il suo orizzonte non di

questo mondo. Cos come il traguardo puntato sul paradiso non ha certo le sembianze
del successo che si persegue su questa terra. Anzi, per chi predilige una simile visione, il
solo sentir parlare di paradiso, per quanto decantato come meraviglioso ed eterno, ha il
sapore della mera consolazione, che finisce per deprimere, distogliendo dal perseguire
in maniera ancor pi caparbia la strada del successo. Che non una chimera indefinita,
ma una dimensione precisa e misurabile attraverso, ad esempio, la quantit di denaro
che si ottiene o che si in grado di realizzare. E come il successo non mai abbastanza,
cos accade per il denaro, che ne simbolo e attestato.
In un simile scenario, il sacerdote potrebbe apparire un "fallito", residuato di un mondo
destinato a scomparire; del resto lui lo sa: persino scritto che il regno per il quale
lavora non di questo mondo. E che anzi la povert, non la ricchezza, a favorire
lingresso in quellaltro mondo. Se a questo si aggiunge che oggi linteresse per lo
spirito alquanto debole, e spesso solo di facciata, si pu comprendere come il
sacerdote non sia sempre visto con grande simpatia, neppure da chi talora, per
appartenenza religiosa, dovrebbe riconoscerlo come pastore. La dimensione psicologica
dei credenti freddi, come dei non praticanti, lo avverte associato ad una sorta di
richiamo della coscienza, che mette a disagio. Nel qual caso, la sua situazione non
appare delle migliori. E le occasioni di frustrazione sono veramente notevoli. Per questo
assolutamente necessario che il sacerdote sappia farvi fronte.
C da osservare che i singoli individui si differenziano tra loro per il livello di
percezione della frustrazione: fino a non percepirla affatto, dato che una frustrazione
non percepita come se non ci fosse. E dunque, non attiva alcun senso di malessere. Un
discorso analogo lo si pu fare per le gratificazioni: ciascuno di noi infatti deve superare
un certo livello per accorgersi e godere di una gratificazione, di un complimento, di un
apprezzamento, di una promozione. Ci sono individui che sono sensibilissimi alle
gratificazioni e finiscono in forza di queste per sentirsi importanti, anzi insostituibili.
Altri invece che hanno una percezione di s tale da non avvertire mai un apprezzamento
o una gratificazione, perch magari tendono a obiettivi considerati un nulla. Facciamo
qualche esempio: uno per essere un "buon" politico deve non avvertire le frustrazioni
oppure dimenticarsene subito, mentre nel contempo si ricorder delle gratificazioni e le
gonfier in modo che funzionino come corazze di fronte al prossimo insuccesso. noto
il caso di quel politico che, mentre stava per essere rimosso per averne combinate di
tutti i colori, compreso il non aver fatto nulla di ci che avrebbe dovuto (i peccati di
omissioni), si sentiva cos necessario al paese da affermare di essere criticato proprio
per il suo valore e per il fatto che stava cambiando le cose in Italia. Un altro era
convinto di fare tutto bene, e di fronte a certe sciocchezze evidenti, negava di esserne
lattore e affermava invece che la responsabilit era dei suoi nemici e predecessori.
Insomma luno e laltro si sentivano gratificati persino in situazioni di frustrazione.Per
non dire degli intellettuali, categoria dal cervello fine, che quando gli viene detto che i
loro pensieri sono idioti o folli, si difendono attaccando i loro critici, che sarebbero loro
a non aver capito.
Ma torniamo al sacerdote. Questi si pone sul versante opposto perch la sua condizione
tale da doversi considerare sempre poco per non peccare di superbia, mentre deve
essere ipersensibile alle critiche perch la sua missione richiede che egli possa stare con
tutti e quindi che venga capito da ciascuno. Insomma, non ama le gratificazioni "per
mestiere", mentre sente le frustrazioni come mancanze e quindi come segni di poco
valore e talora di incapacit a svolgere degnamente, come vorrebbe, la sua missione.
Egli poi per convinzione, per fede, compie sempre peccati, e dunque si frustra da solo;
del resto se pensasse di non averne commessi, proprio per questo cadrebbe nel peccato
della superbia. Ma al di l di casi particolari, la condizione del sacerdote difficile

poich il gioco delle frustrazioni e delle gratificazioni non lo aiuta molto, anzi tende a
farlo sentire un inadeguato alla funzione. Insomma, il sacerdote si trova in una
posizione limite per le regole della psicologia umana, che gli competono ovviamente
perch innanzitutto un uomo.
Le frustrazioni si accumulano e generano violenza che si esprime in qualche maniera e
non sempre nei confronti di chi le ha promosse. Si accumulano e, raggiunto un certo
livello, hanno bisogno di liberarsi, generalmente contro qualcuno, e allora la violenza
eterodiretta, oppure verso se stessi e allora autodiretta e in questo caso se ne pagano
anche gli effetti. Una delle modalit per diminuirne laccumulo proprio il bilancio con
le gratificazioni. certo che tra gratificazioni e frustrazioni si pu fare un bilancio
giornaliero e che una gratificazione pu diminuire o annullare la forza di accumulo e di
potenziale violenza che contiene. Ci d ragione del fatto che una vita senza frustrazioni
non facile, mentre possibile organizzarla in modo da dare spazio a comportamenti
piacevoli che in quanto tali sono gratificanti.
Nel sacerdote c il rischio di un accumulo eccessivo di frustrazioni, con un compenso
minimo di gratificazioni proprio per la resistenza a porsi, a sentirsi soddisfatto, a godere.
Il sacerdote di oggi risente ancora di unatmosfera in cui il piacere visto come
lanticamera del male, e questo mi appare come un terribile errore perch solo se una
vita gioiosa, serena, e con momenti di felicit, si pu far fronte alle frustrazioni. Ecco
perch vorrei che questo mio viaggio entro la figura del sacerdote producesse felicit:
un sacerdote contento, felice naturalmente di essere sacerdote. Insomma, il problema
delle gratificazioni di fondamentale importanza perch, lo abbiamo gi ricordato, le
promesse, attraverso le privazioni che comportano, possono produrre tante frustrazioni.
Ma in questo bilancio vanno inserite le gratificazioni proprie dello status, dellessere
sacerdote, scelto da Dio. Penso che dellessere sacerdote, che significa scelto da Dio,
derivi una gratificazione persino continua. Penso che dalla Eucarestia, che significa
Cristo dentro di me, debba derivare una grande forza che nessun processo psicologico
pu sostituire. Questi vissuti e queste verit della fede, dosate sulla singola esperienza di
vita del sacerdote, vanno lette come gratificazioni, anche se non hanno nulla del
successo e della ricchezza tipicamente sociali. E dunque un sacerdote deve trovare nei
rapporti celesti una serie di rimandi positivi per azzerare o almeno bilanciare un poco
una condizione umane che come abbiamo detto fatta di frustrazione.
Occorre menzionare due possibilit limite, due letture speciali di questi temi,
gratificazione e frustrazione, rapportati al sacerdote e alla sua fede. Si pu giungere a
dire che anche lessere trattati male parte strutturale dellessere sacerdote. Come di un
demone che attacca proprio chi diretto verso la strada della salvezza. Come si trattasse
di una condizione in cui la frustrazione si riduce a unazione del demonio e pertanto, a
una strategia del male e non a qualcosa che attiene al sacerdote singolo in quanto tale. E
se il demonio tenta segnale che uno forte nella fede. Se ne fosse facile preda,
andrebbe a cercare un altro.
Laltro riferimento alla provvidenza: ci che succede, anche un errore diventa volont
di Dio, e dunque va visto come qualcosa che Egli vuole, e se lo vuole non pu che
essere a fin di bene. In questo modo o attraverso Dio o attraverso il demonio, scompare
lIo del sacerdote e dunque anche la possibilit di avvertire la frustrazione, che sempre
una ferita allIo. Certo diminuiscono anche le gratificazioni poich tutto va attribuito al
Signore, perch ha agito direttamente o attraverso doni, che comunque non sono
conquiste del singolo. Il sacerdote come instrumentum Dei totalmente
deresponsabilizzato in maniera misteriosa, dal padre celeste. In questo caso, allora la
psicologica umana veramente inadeguata a entrare dentro la figura del prete come

essere del cielo fin dora e dunque come una eccezione ad ogni regola della terra,
compresa la comprensione di un uomo qualunque e di uno psichiatra.

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