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Lultimo orizzonte...
Giacomo Leopardi: A Cosmic Poet and His Testament

edited by Roberto Bertoni

Trauben (Turin) in association with the Department of Italian, Trinity College (Dublin), 1999

CONTENTS

PREFACE

p. 4

Niva Lorenzini
LEOPARDI E LA POESIA COSMICA

p. 5

Pamela Williams
LA GINESTRA: THE LAST WILL AND TESTAMENT OF
A POET AND PHILOSOPHER

p. 25

Roberto Bertoni
NOTE SUL DIALOGO DI CALVINO CON LEOPARDI

p. 52

PREFACE

This publication originates from a study day on Leopardi, organised at Trinity College
(Dublin) by the Italian Department with the generous assistance of the Italian Cultural
Institute and its Director, Laura Oliveti. The study day was held on October 23rd, 1998,
to celebrate the bicentenary of Leopardis death.
This volume has been made possible by a grant provided by the Italian Department,
headed by Corinna Salvadori Lonergan.
Contributors: Roberto Bertoni (Trinity College Dublin); Niva Lorenzini (University of
Bologna); Pamela Williams (University of Hull).

Niva Lorenzini
LEOPARDI E LA POESIA COSMICA

Ogni volta che ci si richiama a Leopardi per analizzarne il sistema di pensiero


inseparabile dalla scrittura poetica, bene ricordare, prima di ogni altra considerazione,
che il poeta del pensiero poetante, come spesso viene definito, si considera
essenzialmente un lirico, e considera la lirica il pi alto, se non lunico genere di poesia.
Gli appunti dello Zibaldone sono al riguardo espliciti: se ne ricorderanno alcuni,
differenziati cronologicamente.1 Il primo del 18 settembre 1820 [245], e suona
perentorio: La lirica si pu chiamare la cima il colmo la sommit della poesia, la quale
la sommit del discorso umano.
Pi dettagliato si dimostra un secondo del 26 agosto 1823 [3269], importante perch vi
si definiscono le caratteristiche del poeta lirico: Il poeta lirico nellispirazione, il filosofo
nella sublimit della speculazione, luomo dimmaginativa e di sentimento nel tempo del
suo entusiasmo, luomo qualunque nel punto di una forte passione [...] vede e guarda le
cose come da un luogo alto e superiore a quello in cui la mente degli uomini suole
ordinariamente consistere. Non a Petrarca, lo si avverte subito, n alla linea di una
poesia stilizzata, attenta soprattutto ai valori formali, come capita spesso nella tradizione
italiana, sta mirando Leopardi. E piuttosto al rapporto poesia-pensiero che si rivolge, con
parole non lontane da quellidea di poesia che il movimento romantico, in particolare
quello tedesco che pure Leopardi non amava, stava imponendo in Europa.

Leopardi consapevole del distacco incolmabile della poesia moderna dai valori,
irrimediabilmente perduti, dellimmaginazione. Gi il Discorso di un italiano intorno alla
poesia romantica (1818) era al riguardo esplicito: la poesia degli antichi poteva cantare la
natura e imitarla, quella dei moderni non pu essere che poesia sentimentale, e cio,
nellaccezione di quello scritto, riflessiva, filosofica (Gli antichi erano natura commenta in proposito il Rigoni analizzando, nel suo volume Il pensiero di Leopardi, la
riflessione di Schiller al riguardo -, i moderni cercano la natura e non la possono cercare e
trovare se non nellideale perch essa, dileguata dallorizzonte sensibile, sopravvive
soltanto nella rappresentazione del concetto). 2
Derivano da qui tutte le aporie e le contraddizioni del poeta lirico nellepoca della
modernit, gi evidenziate, prima che da Leopardi, appunto da Schiller, tra gli altri, nel
saggio Sulla poesia ingenua e sentimentale (1795-1796): il poeta moderno non sente con
immediatezza, ma riflette. E dunque il poeta lirico, di fronte alla condizione storica del
proprio tempo, staccatosi dalla mimesi della natura, richiamato a unidea di poesia
come espressione e creazione della soggettivit, che mette in campo tutte le risorse della
sensibilit e della passione per approdare a una modalit di conoscenza superiore allo
stesso pensiero filosofico.
Laccento posto sulla facolt di percepire simultaneamente (in un sol tratto - dun
sol colpo docchio)3 stimoli diversi, cogliendone le corrispondenze. Da sensista,
Leopardi considera fondamentale la partecipazione del corpo, degli organi sensoriali, al
processo di conoscenza: il poeta lirico giunge in tal modo alla scoperta dei rapporti pi
lontani e segreti,4 proiettando tutto se stesso verso ci che eccede e travolge i limiti della
ragione, verso una sorta di drglement che sar pi tardi Rimbaud, in un contesto

diverso e non assimilabile, quello del simbolismo, a richiamare e portare a conseguenze


estreme, nelle sue Illuminations. Chi non sa - si legge nello Zibaldone in una nota del 56 ottobre 1821 [1855-56] - quali altissime verit sia capace di scoprire e manifestare il
vero poeta lirico, vale a dire luomo infiammato del pi pazzo fuoco, luomo la cui anima
in totale disordine, luomo posto in uno stato febbrile e straordinario (principalmente,
anzi quasi indispensabilmente corporale), e quasi di ubbriachezza?.
La scoperta dei rapporti lontani e segreti si compie cos non solo attraverso
limmaginazione, ma anche attraverso le facolt di un pensiero analogico che si fonda su
associazioni libere, e che sar determinante per lo sviluppo della poesia tra Otto e
Novecento. Quella scoperta cos trascinante da influire, come accade sempre nello
Zibaldone nei momenti di maggiore tensione intellettuale, sulla stessa sintassi e sui modi
di resa espressiva: da qui le frasi ininterrotte, luso dei gerundi e delle relative che
dilatano il periodo, le iterazioni di verbi e avverbi.
Per Leopardi, dunque, il poeta lirico avverte in s la capacit di collegare tra loro
immagini e sensazioni molteplici. Ce lo racconta attraverso il libero procedere di un
pensiero che si affida a un ritmo quasi frenetico, di associazione in associazione:
Ond chegli ed abbia in quel momento una straordinaria facolt di generalizzare [...] e
chegli ladoperi; e adoperandola scuopra di quelle verit generali e perci veramente grandi e
importanti, che indarno fuor di quel punto e di quella ispirazione e quasi mana e furore o
filosofico o passionato o poetico o altro, indarno, dico, con lunghissime e pazientissime ed
esattissime ricerche, esperienze, confronti, studi, ragionamenti, meditazioni, esercizi della
mente, dellingegno, della facolt di pensare di riflettere di osservare di ragionare, indarno,
ripeto, non solo quel tal uomo o poeta o filosofo, ma qualunqualtro [...], anzi pur molti
filosofi [...] e i secoli stessi [...] cercherebbero di scoprire, o dintendere, o di spiegare [...]
[Zibaldone, 3270, 26 agosto 1823].5

Procedendo lungo le fasi di un pensiero che si va facendo, negli anni, sempre pi


complesso e non privo di contraddizioni (ma sono le contraddizioni di chi non vuole

escludere nessuna alternativa, di chi accetta il rischio, interrogandosi senza fine, lontano
in ogni caso da posizioni dogmatiche), si giunge a una pagina del 15 dicembre 1826
[4234] in cui il genere lirico viene riconosciuto primogenito di tutti; [...] vera e pura
poesia in tutta la sua estensione, proprio dogni uomo anche incolto; e ancora
espressione libera e schietta di qualunque affetto vivo e ben sentito dalluomo. Ed
unaffermazione, questa dello spontaneismo e della possibilit, per tutti, di essere poeti,
che suona in stridente contrasto con quanto veniva affermato tre anni prima, l8 settembre
1823 [3384-85], circa la pretesa insensata di credersi filosofi o poeti senza possedere
specifiche competenze tecniche (La ragione si - scriveva - che tutti si credono esser
filosofi, ed aver quanto si richiede ad esser poeti: mentre se non posseggono la tecnica
unita a un impegno rigoroso non sono, chiarir con disprezzo in pi occasioni, che
semplici versificatori).
Il fatto che Leopardi sta da una parte aderendo a unidea di lirica moderna secondo
cui la poesia contenuta in alcune esperienze decisive proprie di ogni uomo: le grandi
passioni, riflesso delle forze cosmiche che condizionano la vita, o la contemplazione della
natura, considerata laspetto sensibile della totalit. Ma sta anche difendendo a oltranza,
dallaltra parte, unidea di lirica messa in crisi dalla modernit, e con essa appunto lo
spazio dellimmaginazione, dei cari inganni. La difende con tanto pi accanimento,
come genere eterno ed universale (29 marzo 1829) - proprio lui che odia gli innatismi e
le generalizzazioni astratte - quanto pi la crisi di quel lirismo si sta facendo ineluttabile.
Soffermiamoci ancora un attimo, prima di verificare le possibilit di incontro tra
questa concezione assoluta di poesia lirica e il tema della poesia cosmica, che concerne il
nuovo, impegnativo confronto scienza-poesia cos decisivo per Leopardi. Ascoltiamone

lestrema perorazione: lessenza della poesia, scrive il 29 marzo sta sempre


principalmente in esso genere [lirico], che quasi si confonde con lei ed il pi veramente
poetico di tutte le poesie, le quali non sono poesie se non in quanto son liriche [4476].
Non passeranno due mesi e Leopardi si trover a contestare lidea di unarmonia
eterna ed universale, o di ci che si applichi indistintamente, come fenomeno di natura,
alluomo in ogni tempo ed in ogni luogo: lo far, lo vedremo, pensando a Rousseau, al
suo ingiustificato ottimismo.
Ma intanto, prima di concludere questa introduzione, va chiarito quale idea di lirica
Leopardi stia davvero difendendo, nel momento in cui il genere sta trionfando anche
presso i romantici. Sta difendendo, di fronte allimpossibilit di una imitazione della
natura che solo agli antichi era consentita, il bisogno di sentire accanto a quello di
conoscere, rivalutando, di fronte alla ragione che spiritualizza e indebolisce la corporeit,
la forza della natura come materia, sostanza fisica: la difende tentando di ricostruire un
colloquio tra lio e il paesaggio, o meglio tra lio e se stesso, che venga sollecitato proprio
da uno stimolo, da una percezione fisica concreta (la siepe dellermo colle, il canto di un
passero, le voci notturne, la luce lunare).
Non pi il rapporto io-paesaggio, convenzionale e stilizzato, come era nel codice
premoderno (petrarchesco). Qui presente lesperienza dellio, che pu anche rinunciare
a un linguaggio aulico e convenzionale, appunto, per rendere quotidiana e circostanziata
loccasione lirica, e insieme attribuire al proprio vissuto di uomo privato un valore
collettivo (luomo in s). Elementi descrittivi ed elementi meditativi si congiungono,
dando origine a una poesia, quella degli Idilli in particolare, in cui le collocazioni spaziali
e temporali delimitano un preciso qui, un preciso ora, un presente cui pu ancorarsi la

memoria, il ricordo, la narrazione dellanima, o da cui si pu muovere verso la vertigine


cosmica, seguendo una percezione visiva, acustica.
E tuttavia mentre difende il canto, ricostruendo la struttura formale dellidillio, il
poeta fa definitivamente vacillare quellidillio. Vediamo Alla luna, dove il tono
confidenziale, colloquiale, ispirato a una tradizione che da Omero e Saffo giunge a
Virgilio, Petrarca, Tasso, si frange ancorandosi ai dimostrativi insistenti (questo colle,
quella selva) che segnalano una distanza irreparabile, una perdita:
O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge lanno, sovra questo colle
io venia pien dangoscia a rimirarti;
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari [...]
[vv. 1-5].

Ora, allora; questo, quella: gli indicatori temporali, spaziali, si sciolgono nel ricordo,
perch la realt inarrivabile. Dallesterno si respinti allinterno, nella tragica
consapevolezza della perdita irrimediabile della natura: una vertigine si spalanca nel
paesaggio dellanima, come nellInfinito (Ma sedendo e mirando, interminati / spazi di l
da quella, e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo [...], vv.
4-7). Lo sguardo non inquadra un oggetto, resta intransitivo: la privazione del mondo,
della possibilit di percepirlo, mentre sembra rafforzare il protagonismo di un io ormai
incapace di armonizzarsi con le cose al punto da doverle reinventare nella vista interiore,
in realt ne distrugge la centralit, ne mette a rischio la consistenza.
Il poeta lirico, si diceva, vuole sentire, non solo conoscere. E sentire significa per
Leopardi seguire limpulso del desiderio, di un piacere che, sorretto dallamor proprio,
punta allassoluta felicit (intesa come infinit materiale) senza poterla raggiungere.

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Deriva di qui lo stretto rapporto tra concetto di infinito e teoria del piacere: 6 perch
linfinito si concepisce a partire da una mancanza, da un desiderio di pienezza,
unaspirazione e inclinazione connaturali non solo alluomo, ma agli animali stessi, e
impossibile da soddisfare se non nellimmaginazione, che resta pur sempre finita di
fronte a un sentire infinito.
Non c pi armonia (quella tradizionale, del pensiero platonico e neoplatonico) tra la
catena ascendente degli esseri, ma perdita di centro, sproporzione. La metafisica
materialistica del Settecento, unita al pensiero scientifico, non consente nessun
abbandono liberatorio, confidente: Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, / silenziosa
luna? [vv. 1-2], con quel che segue nel Canto notturno, testimoniano ben altro che il
tramonto dellidillio petrarchesco. Lio e il mondo si contrappongono, in un contrasto
dialettico, e nel conflitto tra sentimento e immaginazione la natura si rivela luogo della
vertigine, dellorrore, della indifferenza (ben altro dal patetico romantico).
Proviamo a inquadrare questa perdita di centro in base a considerazioni scientifiche
che la frequentazione assidua, da parte del poeta, di testi di astronomia, fisica, filosofia
materialistica consente di illustrare lungo lintero evolversi del suo pensiero e della sua
produzione letteraria. Il lirico Leopardi, il poeta dei grandi interrogativi senza risposta,
del colloquio negato (Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai [...]), ha gi ispezionato da
adolescente il cielo degli astronomi, scrivendo nel 1813 (a quindici anni, dunque) una
Storia dellastronomia che rivelava non solo una precoce curiosit intellettuale, ma anche
una precisa conoscenza dei problemi posti dalla rivoluzione copernicana e dalle scoperte
galileiane. E in quella Storia, corredata da un importante elenco di letture, 7 si apprende
anche il ruolo decisivo, per la formazione leopardiana, dei newtoniani Philosophiae

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naturalis principia mathematica: Keplero fu il precursore di Newton. La natura, che


tanto aveva operato per lui, ripos per elevare il filosofo Inglese. Ma se questi non fosse
stato preceduto da Galilei e da Keplero [...] le sue cognizioni non sarebbon giunte a quel
grado sublime a cui giunsero in effetto. 8
Subito dopo vengono elencate le meravigliose scoperte di Newton, dalla fondazione
di unastronomia nuova, lastronomia fisica, la scienza delle cause, dalle quali risultan
quegli effetti, che per tanti secoli sono stati loggetto delle umane ricerche, alle leggi
sulla gravitazione, alla forza dellattrazione regolatrice dellUniverso, ai problemi
dellottica, della rifrazione della luce. Newton separ la luce dal caos e dissip le tenebre
che offuscavano la filosofia di quei tempi: eccolo dunque gi consacrato, quel Newton
destinato a entrare nellimmaginario poetico dellautore dei Canti ma soprattutto delle
Operette morali. Quel Newton che, attraverso la fondamentale mediazione del Fontenelle
continuamente ricordato da Leopardi, coi suoi - riporto il titolo dagli elenchi di letture
leopardiani - Trattenimenti sulla pluralit dei mondi (gli Entretiens sur la pluralit des
mondes), nonch dellAlgarotti del divulgatissimo Newtonianesimo per le dame, ma
anche dei Dialoghi sopra lottica Neutoniana ricordati negli stessi elenchi, gli suggerir,
nello Zibaldone, le riflessioni pi intense sulla vastit del cosmo e sulla vertigine che ne
consegue. Al punto che quel Newton gli apparir ricco di potenzialit poetiche, e tramite
lui la scienza, lintelletto, gli sembrer competere, a pari grado, con limmaginazione:
La facolt inventiva una delle ordinarie, e principali, caratteristiche qualit e parti
dellimmaginazione. Or questa facolt appunto quella che fa i grandi filosofi, e i grandi
scopritori delle grandi verit. E si pu dire che da una stessa sorgente, da una stessa qualit
dellanimo, diversamente applicata [...] vennero i poemi di Omero e di Dante, e i Principi
matematici della filosofia naturale di Newton [...] Limmaginazione pertanto la sorgente
della ragione, come del sentimento, delle passioni, della poesia [...] Immaginazione e intelletto
tuttuno [Zibaldone, 2133-34, 20 novembre 1821].

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Di questo parleremo tra poco, analizzando alcuni versi di Alla sua donna, del Canto
notturno, della Ginestra. Per ora prendiamo atto che la perdita di centro non riguarda a
questo punto lindividuo soltanto, ma con lui il pianeta terra, nullaltro che un granello di
pulviscolo cosmico: viene a cadere definitivamente ogni pretesa di antropocentrismo.
Luomo leopardiano, che non pi al centro di nulla, pu solo guardare, osservare,
mirare: ma venendo meno ogni punto di riferimento, il suo sguardo, lo si gi visto,
costretto a ripiegare sullio singolo.
Per restare alla poesia cosmica, occorrer introdurre qualche altra informazione utile a
illustrare i modi in cui prende forma il fascino che lo spazio celeste, i globi che lo
popolano, esercitano su Leopardi, gran poeta lunare, secondo Calvino: 9 gi, perch
soprattutto la luna a coinvolgerlo, la sfera per eccellenza delle grandi interrogazioni
destinate a marcare la distanza tra luomo e le conoscenze arcane.
Se non la terminologia scientifica a imporsi nei Canti (sono piuttosto alcune
Operette, come il Dialogo dErcole e di Atlante, il Dialogo della Terra e della Luna, il
Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco e Il Copernico, Dialogo, a trattare di
globi e sfere celesti, di mondo solare e moti, comete, costellazioni, pianeti, mettendo
in scena, ogni volta, una derisione dellantropocentrismo in nome del copernicanesimo),
spetta alla terminologia scientifica costituire, tuttavia, una precisa costellazione semantica
del cielo e del paesaggio notturno che la luna illumina (gli orti, le case, le piagge, i campi,
i deserti...).
A volte i notturni rientrano nellalveo della tradizione classica, sostenuti da un lessico
aulico intriso di citazioni letterarie. Baster ricordare lavvio dellUltimo canto di Saffo
(1822), con gli echi virgiliani che lo percorrono: 10

13

Placida notte, e verecondo raggio


della cadente luna; e tu che spunti
fra la tacita selva in su la rupe,
nunzio del giorno [...]
[vv. 1-4].

O quello, notissimo, de La sera del d di festa (1820 - 21), che rinvia al Monti, al Foscolo
dellOrtis, ma soprattutto allOmero dellIliade [VIII, 555-59], tradotto da Leopardi nel
Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica (S come quando graziosi in cielo /
rifulgon gli astri intorno della luna, / e laere senza vento, e si discopre / ogni cima de
monti ed ogni selva ed ogni torre [...]):11
Dolce e chiara la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna [...]
[vv. 1-4].

O anche il notturno di Bruto minore, rischiarato dal sorgere improvviso della luna:
E tu dal mar cui nostro sangue irriga,
candida luna, sorgi,
e linquieta notte e la funesta
allausonio valor campagna esplori
[vv. 76-79].

Non questa, dellidillio intimamente rielaborato o della imitazione classica cos


influente sulle Canzoni, la poesia cosmica che ora ci interessa considerare. Tanto meno ci
interessa il cosmo definito etra infesto nellInno ai Patriarchi [v. 57], e dominato da un
Dio eterno / degli astri agitator [vv. 3-4]. Anche se il senso di vertigine comunicato
dallaltissimo silenzio della notte sovente si impone qua e l, con suggestioni foniche e
rimiche degne di attenzione anche nella prospettiva che qui stiamo seguendo: cos ne La

14

vita solitaria del 21 (Tien quelle rive altissima quiete, v. 33; e vi si parla di luna
serena / dominatrice delletereo campo, vv. 101-02).
Newton lontano. Ma la sua ricomparsa prossima, come quella di un motivo
inseparabile dallimmaginario poetico di Leopardi, anche se restato a lungo sotterraneo
nella poesia. il 1823 lanno fatidico, quando Leopardi accompagna lelaborazione di
Alla sua donna con appunti di straordinaria importanza per il nostro discorso.
Scrive dunque nello Zibaldone, in data 12 agosto 1823 [3171]:
Niuna cosa maggiormente dimostra la grandezza e la potenza dellumano intelletto [...] che il
poter luomo conoscere e interamente comprendere e fortemente sentire la sua piccolezza.
Quando egli considerando la pluralit dei mondi, si sente essere infinitesima parte di un globo
ch minima parte duno degli infiniti sistemi che compongono il mondo, e in questa
considerazione stupisce della sua piccolezza, e profondamente sentendola e intimamente
riguardandola, si confonde quasi col nulla, e perde quasi se stesso nel pensiero della immensit
delle cose, e si trova come smarrito nella vastit incomprensibile dellesistenza; allora con
questo atto e con questo pensiero egli d la maggior prova possibile della sua nobilt.

Il Pascal delle Penses, che riflette sulla fragilit e insieme sulla grandezza di un
individuo parte di una infinit cosmica (luomo non che una fibra delluniverso...) si
coniuga con Fontenelle e Algarotti, da cui vengono attinti i tecnicismi (globo,
innanzitutto). Con quella scorta Leopardi sta ideando alcuni versi dellultima tra le sue
Canzoni, quellenigmatica Alla sua donna, che lautografo data settembre 1823 (di un
solo mese successiva alla nostra nota, dunque):
O saltra terra ne superni giri
fra mondi innumerabili taccoglie
e pi vaga del Sol prossima stella
tirraggia, e pi benigno etere spiri
[vv. 50-53].

Il neoplatonismo delle armoniche sfere pu uscire disorientato, certo risemantizzato,


da questa prospettiva cosmica che punta alla vastit, alla vertigine (e non si perda di vista

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largomentare di una pluralit di mondi, n lidentificazione tra Dio, o un ente supremo, e


lo spazio, secondo quella prospettiva magniloquente del raptus cosmologico che il
Casini nel saggio su Voltaire divulgatore di Newton considera di diretta derivazione
newtoniana).12 Tanto pi il neoplatonismo esce disorientato se si giunge, procedendo di
poco, allaltra apertura cosmica dellepistola Al conte Carlo Pepoli, del 26, ove larcano
universo e le leggi che lo governano sono sottoposti a spietata disamina:
Con quali ordini e leggi a che si volve
questo arcano universo; il qual di lode
colmano i saggi, io dammirar son pago
[vv. 147-49].

Sono, per Leopardi, gli anni delle riflessioni pi sconsolate sullordine universale, sul
significato e lestensione totalizzante del male, sul conflittto con il concetto di armonia
sostenuto da Leibniz, e sono insieme gli anni in cui la nuova scienza newtoniana si fonde,
nel suo pensiero, col materialismo settecentesco strettamente legato a una visione
meccanicistica della realt (quella, ad esempio, del La Mettrie di Lhomme machine,13 di
cui non si pu attestare, in Leopardi, una conoscenza diretta, ma che pure pare ispirargli
non poche riflessioni per il suo Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco, del tipo:
Vedesi in questo presente mondo un continuo perire deglindividui ed un continuo
trasformarsi delle cose da una in altra [...]).14
Come potranno sopravvivere i notturni in cui si rendevano possibili, da Tasso al primo
Leopardi, i musicali assolo di una voce confidente nella natura, disposta a rivelarle le sue
pene e a cercare conforto in essa, in un cosmo armonizzato, quando lordine, come scrive
Leopardi, associato al male, e ben poco, nel sistema della natura, ha da essere lodato? I

16

versi dellepistola al Pepoli vanno riascoltati accanto a queste pagine dello Zibaldone
[4257-58], datate 21 marzo 1827, per venire pienamente compresi:
Lodasi senza fine il gran magisterio della natura, lordine incomparabile delluniverso. Non si
hanno parole sufficienti a commendarlo. Or che ha egli perchei possa dirsi lodevole? Almeno
tanti mali, quanti beni [...] Dico cos per non offender le orecchie, e non urtar troppo le
opinioni: per altro, io son persuaso, e si potrebbe mostrare, che il male vi di gran lunga pi
che il bene [...] Astenghiamoci dunque dal giudicare, e diciamo che questo un universo, che
questo un ordine: ma se buono o cattivo, non lo diciamo.

Ordine e caso si dividono in egual misura, per Leopardi, le sorti delluniverso.


Lordine che esiste, e senza il quale non si darebbe il mondo, non sarebbe conoscibile,
non risponde a necessit, dal momento che il mondo che noi conosciamo solo uno fra i
tanti, innumerevoli mondi possibili. E tuttavia il radicale contingentismo di Leopardi
(su cui si sofferma lanalisi del Natoli) 15 si unisce a un altrettanto radicale
determinismo, come si pu constatare scorrendo ancora lo Zibaldone [4142-43]: Se
questa natura fosse stata diversa, se le cose dovessero essere altrimenti, altrimenti
sarebbero, n per sarebbero men buone e men bene andrebbero [...] di quel che fanno
ora che sono cos come noi le veggiamo. Anzi allora questo che noi chiamiamo ordine e
che ci pare artifizio mirabile, sarebbe (e se lo potessimo concepire, ci parrebbe) disordine
e inartifizio totale ed estremo.
Ci si sposta in tale modo gradualmente da riflessioni che riguardano il territorio della
fisica, dellastronomia, al piano morale. Mai come qui Leopardi rivela un pessimismo
cosmico, contrapposto in tutto allottimismo di Rousseau, i cui pensieri sul male che si
pu concepire solo nel disordine e resta dunque fuori del sistema della natura che luomo
colpevolmente infrange, vengono aspramente confutati, e a pi riprese (dallaffermazione
appena citata, datata 8 Ottobre 1825, cos perentoria: questo che noi chiamiamo ordine e

17

che ci pare artifizio mirabile, sarebbe [...] disordine e inartifizio totale ed estremo, a
quelle del 16-17 Maggio 1829, che iniziano da una citazione dalle Penses di Rousseau,
per sconfessarla radicalmente). Per tornare al nostro appunto del 27, esso raggiunge nella
conclusione punte di sarcasmo, che suona blasfemo nei confronti di qualsiasi ipotizzata
intelligenza superiore, ordinatrice delluniverso: Ammiriamo dunque questordine,
questo universo: io lammiro pi degli altri: lo ammiro per la sua pravit e deformit, che
a me paiono estreme. Ma per lodarlo, aspettiamo di sapere almeno, con certezza, che egli
non sia il pessimo dei possibili [4258].
Sono gli anni del Canto notturno (1829), le cui interrogazioni estreme andranno rilette
anche in questa luce. Nella prospettiva cio di un universo visualizzato a partire dal
concetto di spazio newtoniano, dilatato infinitamente e retto dalle leggi del movimento,
che lo dirigono con azione continua e invisibile, immateriale e sconosciuta. Ne deriva il
pathos dellinfinito, in cui lordine cosmico precipita: e vien da pensare a tutta una linea
della poesia anglosassone settecentesca che va dal Pope dellEssay on Man (1734)
allAkenside di The Pleasures of the Imagination (1774) o al Thomson, e subisce il
disorientamento di un cosmo esteso oltre il sistema solare, infinitizzato nei confini di un
empyreal waste in cui i cieli emergono fuori dal nulla, nellimmenso vuoto, e in cui
tutto differenziato e mutevole.
Ascoltiamo per tutti Pope, in un luogo dellEssay on Man [I, vv. 23-34] in cui il poeta
si misura con il pathos dellinfinito e dellincommensurabile, avvertendo di conseguenza
la relativit dellesistere:
He who thro vast Immensity can pierce,
see worlds on worlds compose on Universe,
observe how System into System runs,
what other Planets, and what other Suns?

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What varyd Bein peoples evry Star?


May tell, why Heavn has made us as we are.
But of this frame the bearings, and the Ties,
the strong connections, nice dependencies,
gradations just, has thy pervading foul
lookd thro? Or can a Part contain the Whole?
Is the Great Chain that draws all to agree,
and drawn supports, upheld by God, or thee?

Quanto a Leopardi, gi la Storia dellastronomia dimostrava una viva sensibilit


nellaffrontare il senso di mistero legato al mutamento universale, al movimento senza
posa dei fenomeni e delle leggi di natura che li governano. Si pu leggere una pagina
particolarmente importante per il Canto notturno: Noi nasciamo e viviamo col moto, i
suoi fenomeni si cangiano, si succedono, si moltiplicano di continuo intorno a noi. 16
Tocca al filosofo (e al poeta?) considerare gli arcani della natura, e ravvisare nei
meravigliosi fenomeni del mondo i profondi misteri di essa, applicandosi quindi ad
indagarne le cause e a rintracciarne le leggi.17
Ascoltiamo ora i vv. 79 sgg. del Canto notturno. E pura poesia cosmica, introdotta da
uno stacco musicale che sottolinea lattesa di una rivelazione, di un colloquio dellanima.
Interlocutrice , naturalmente, la luna:
Spesso quandio ti miro
star cos muta in sul deserto piano,
che, in suo giro lontano, al ciel confina;
[...]
E quando miro in ciel arder le stelle;
dico fra me pensando:
a che tante facelle?
Che fa laria infinita, e quel profondo
infinito seren? Che vuol dir questa
solitudine immensa? Ed io che sono?
[vv. 79-81 e 84-89].

19

Parole da fisico o da metafisico? Certo non era questa solitudine cosmica a ispirare
lintimismo della lirica petrarchesca. La scienza viene qui direttamente interrogata in
versi che lenjambement prolunga, assecondando quasi lestendersi in figuralit dello
spazio (quel profondo / infinito seren - questa / solitudine immensa). E sono
soprattutto le frasi e i pronomi relativi, come sempre in Leopardi, a dilatare lo spazio: ma
qui il che introduce proprio alla vertigine, con ampio giro musicale sottolineato dalla
rimalmezzo (Star cos muta in sul deserto piano, / che, in suo giro lontano, al ciel
confina). Poi sono le iterazioni a rendersi necessarie (quandio ti miro [...] e quando
miro [...]), esprimendo la tensione e la commozione dellanima, che le tante interrogative
propagano.
Sino allo smarrimento nello spazio cosmico, la cui ricerca di significato (che vuol dir
questa / solitudine immensa [...]) viene rinviata al massimo, in iperbato, perch resti
invece in primo piano il fascino travolgente del moto incessante, infinito, eterno. Si
muove dal Dante del Paradiso per proseguire, soli, nel viaggio interplanetario:
Cos meco ragiono: e della stanza
smisurata e superba,
e dellinnumerevole famiglia;
poi di tanto adoprar, di tanti moti
dogni celeste, ogni terrena cosa,
girando senza posa,
per tornar sempre l donde son mosse;
uso alcuno, alcun frutto
indovinar non so. [...]
[vv. 90-98].

Non stata sufficientemente indagata, da noi, cos esperti di poesia lirica, la struttura
della poesia cosmica: essa - Leopardi lavverte bene - richiede la dilatazione ritmica del
verso, literazione semantica degli elementi che lo costituiscono, attraverso una frenetica

20

tecnica dellelenco, dellenumerazione (di tanto adoprar, di tanti moti - dogni celeste,
ogni terrena cosa; e il ripercuotersi a eco di giro, girare...), per dar voce alla molteplicit.
Occorre respirare forte, prima di lanciarsi tra gli spazi innumerevoli.
Esempio massimo, la Ginestra, ove Leopardi, in versi di tesa concentrazione, riesce a
mettere in scena lavventura della parola che insegue la rappresentazione del vto seren
[v. 166] dilatando al massimo il periodo strofico, ispessendo la sintassi in una ipotassi
esasperata, stipando dimostrativi e congiunzioni, avverbi e formule comparative.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
cha lor sembrano un punto,
e sono immense, in guisa
che un punto a petto lor son terra e mare
veracemente; a cui
luomo non pur, ma questo
globo ove luomo nulla,
sconosciuto del tutto; e quando miro
quegli ancor pi senzalcun fin remoti
nodi quasi di stelle,
cha noi paion qual nebbia, a cui non luomo
e non la terra sol, ma tutte in uno,
del numero infinito e della mole,
con laureo sole insiem, le nostre stelle
o sono ignote, o cos paion come
essi alla terra, un punto
di luce nebulosa; al pensier mio
che sembri allor, o prole
delluomo? [...]
[vv. 167-85].

Unanalisi testuale anche di superficie evidenzia subito luso dellavverbio poi (qui
nellaccezione di poich), orientato verso lo slittamento e la dilatazione spaziale, pi
che temporale. Una dilatazione favorita dallo stesso disseminarsi puntiforme della rima
(appunto, un punto), dalluso del relativo con funzione espansiva (che, di cui),
dallo stesso esibirsi contrappuntistico di coppie ossimoriche (punto-immense) e dalla
tensione massima cui viene sottoposto lendecasillabo, costretto dalle tronche a un ritmo

21

condizionato da attriti fonici (Quegli ancor pi senzalcun fin remoti / nodi quasi di
stelle, abissalmente lontani dalla musicalit del verso petrarchesco, per eccellenza
lirico).
Lafflato lirico dovrebbe pertanto dissolversi in questo disperato inseguimento dello
stile cosmico. Ma sentiamo che non cos, nonostante i tecnicismi che pure occorre
considerare: si sono indicati, da parte di Paolo Rota, giovane studioso di Lune
leopardiane,18 precisi riscontri con Galileo, letto da Leopardi nelledizione padovana del
1744 (in un suo Trattato della sfera ovvero cosmografia, testo di non sicura attribuzione
allo scienziato, ma incluso da Leopardi nellelenco delle sue letture, si legge tra laltro,
circa la piccolezza di ogni stella in paragone al cosmo, che ognuna di loro quasi chun
punto). E sono stati chiamati in causa anche Fontenelle e Algarotti, per quella terra
globo ove luomo nulla (di boule, petite boule parla appunto Fontenelle), 19 e per
la vertigine siderale (lUnivers si grand que je my perds [...]), puntualmente ripresa dal
modello francese nel Newtonianesimo per le dame (Ma qual il numero di questi Soli?
Quali sono i limiti della loro Sfera? Il centro non ne egli per tutto, e la circonferenza in
nessun luogo? [...] Io mi perdo, disse la Marchesa, in tanta infinit di Soli, e di Sistemi
Planetari...).
Sono letture sicure, puntualmente documentate: come sicuro e preciso il rapporto tra
questi versi e un passo della Storia dellastronomia, ove il giovanissimo Leopardi,
parlando di Galileo e manifestando il proprio entusiasmo per linvenzione del telescopio,
scrive: [Galileo] Vide in Venere delle fasi simili a quelle della luna, ed osserv la via
chiamata Lattea, che egli stim un confuso ammasso di stelle20 (nodi quasi di stelle /
cha noi paion qual nebbia [...], [...] un punto / di luce nebulosa [...]).

22

Ma poi, al di l dei riscontri, resta lo stupore dello sguardo contemplante. Uno stupore
che solo gli antichi e i fanciulli, o tutti noi quando ridiventiamo tali, possiamo, secondo
Leopardi, conoscere. E resta la sproporzione, che gi nel 1818 lautore del Discorso di un
italiano intorno alla poesia romantica aveva avvertito, tra lenigma della natura, che
sfugge alle leggi della fisica e della matematica, e il bisogno ineliminabile di penetrare il
mistero delle cose con la forza del pensiero. La cognizione della realt, e del male che la
costituisce, per Leopardi poeta cosmico la vera sfida.
Come lo la percezione kantiana del limite, il sentirsi immerso nel finito da parte di
un poeta-individuo, la cui individuale esperienza rivestita - questa volta davvero in
senso ormai romantico - di valore universale, collettivo e assoluto. Cos il quotidiano,
lindividuale, raggiungono un significato ampio.
Si pu allora comprendere sino in fondo il viaggio nellinfinit degli spazi compiuto,
nella Ginestra, da un pensatore poeta che fissa le proprie coordinate radicandosi nello
spazio fisico, definito, delle falde del Vesuvio (Qui su larida schiena / del formidabil
monte / sterminator Vesevo, vv. 1-3). Solo aderendo alla terra, allora e al qui di un
presente che consente di misurarsi con le morte stagioni, si pu volteggiare tra i globi:
solo premendo il suolo si possono appuntare gli occhi alle luci innumerevoli,
sconosciute, che scintillano per lo vto sereno, e rivelarne un senso - o una assenza di
senso - che riguarda il destino di tutti.

NOTE
1

Le citazioni dallo Zibaldone provengono dalledizione curata da Rolando Damiani, con commento
e revisione del testo critico, per I Meridiani Mondadori (Milano, 1997, 3 voll.).

23

Mario Andrea Rigoni, Il pensiero di Leopardi, Prefazione di Emile M. Cioran, Milano, Bompiani,
1997, pp. 13-14.
3
Zibaldone, 3269, 26 Agosto 1823.
4
Ibid.
5
Secondo Rigoni, il processo di conoscenza si configura allora come risultato del concorso, della
tensione e dellesaltazione di tutte le forze o gli impulsi sensibili dellindividuo, nella loro stessa
opposizione e contrariet (cit., p. 24).
6
Per una dettagliata analisi dellInfinito, in rapporto ai temi qui evidenziati, cfr. Guido Guglielmi,
Il piacere dellinfinito, Il Verri, XLII.2-3, 1997, pp. 7-22.
7
Per la Storia dellastronomia si fa riferimento alledizione Giacomo Leopardi, Tutte le opere, con
Introduzione e a cura di Walter Binni e la collaborazione di Enrico Ghidetti, Firenze, Sansoni, 1983, vol. I.
Nello stesso volume si trovano, a p. 745, gli elenchi di letture utilizzati da Leopardi per la Storia in
questione, e alle pagine 373-78 gli elenchi relativi al periodo giugno 1823 - marzo 1830.
8
Giacomo Leopardi, Storia dellastronomia (cap.IV, Dalla nascita di Copernico sino alla cometa
dellanno 1811), in Tutte le opere, vol. I, cit., p. 681.
9
Italo Calvino, Il rapporto con la luna (1967), in Saggi 1945-1985, a cura di Mario Barenghi, 2
voll., Milano, Mondadori, 1995, p. 228.
10
In particolare per tacita selva, il rinvio, segnalato tra gli altri dal commento leopardiano di
Giuseppe e Domenico De Robertis (Giacomo Leopardi, Canti, Milano, Oscar Mondadori, 1978) e a
Virgilio, Aeneides, VI, 386 e VII, 505.
11
Giacomo Leopardi, Tutte le opere, vol. I, cit., p. 933.
12
Cfr. Paolo Casini, Newton e la coscienza europea, Bologna, il Mulino, 1983. Del Casini va
consultato anche Luniverso macchina. Origini della filosofia newtoniana, Bari, Laterza, 1969.
Sullargomento vedi, per i risvolti in area italiana, Niva Lorenzini, Ugo Foscolo e Angelo Mazza:
sullarmonia, in AA.VV., Tra storia e simbolo, Firenze, Olschki, 1994, pp. 181-205.
13
Lopera di Julien Offray de La Mettrie, LHomme Machine, venne pubblicata a Parigi nel 1784.
Un Eloge de La Mettrie di Federico II compare nellelenco di letture leopardiane dellottobre 1823 (in
Giacomo Leopardi, Tutte le opere, vol. I, cit., p. 374).
14
Giacomo Leopardi, Tutte le opere, vol. I, cit., p. 159.
15
Cfr. Salvatore Natoli e Antonio Prete, Dialogo su Leopardi. Natura, poesia, filosofia, Milano,
Bruno Mondadori, 1998, p. 124 (ma da consultare lintero paragrafo dedicato da Natoli a Lordine e il
caso).
16
Giacomo Leopardi, Tutte le opere, vol. I, cit., p. 681.
17
Ibid., p. 682.
18
Paolo Rota, Lune leopardiane. Quattro letture testuali, Bologna, CLUEB, 1997.
19
Leopardi possedeva, nella biblioteca paterna, le Oeuvres di Fontenelle, Amsterdam, 1742. Per
Algarotti, cfr. Newtonianismo per le Dame, Napoli, Pasquali, 1739, p. 263.
20
Giacomo Leopardi, Tutte le opere, vol. I, cit., p. 683.

24

Pamela Williams
LA GINESTRA: THE LAST WILL AND
TESTAMENT OF A POET AND PHILOSOPHER

Leopardi wrote La ginestra in 1836 at the end of his life and it was published
posthumously as the last poem in the Canti according to the authors wishes. It is a strong
defence of his own vision of the human situation which others had denigrated during his
lifetime. The poem is a restatement of his personal view against those contemporaries
who have shut their eyes to the truth and in addition laugh at those like himself who do
not disguise it. Their systems of thought he claims are based on illusion. Either they do
not see it, or if they do that is worse. If they do not face facts, the rational thought, on
which they pride themselves so much in enlightened times, is no longer worthy of the
name. La ginestra is a poem that in its authors terms states the facts and in this sense,
Leopardi is a philo-sopher, a lover of truth.
In most of the Canti the disappearance of illusions is cause for regret. Il tramonto
della luna (1836-37), the poets last composition, published posthumously like La
ginestra, states the relentless structure of human life: the image represents the
moonlight of illusions in youth - appearances are generally deceptive by the light of the
moon - followed by the darkness of age, of an understanding of life which does not give
even the appearance of purpose. The statement of the truth for Leopardi asserts nothing
positively, it only clarifies what is not in the world. The usual connotation of the words
illusion and truth is generally inverted in the Canti. Ordinarily we think truth positive and

25

illusion negative, but for Leopardi truth reveals nothing of value, it tells us that all that is
valuable in life is illusory.
This contradiction, in terms of the desirability of knowledge, is only apparent.
Leopardi would make a clear distinction between natural illusions and intellectual ones only natural illusions are cause for regret. They give birth to atti e pensieri nobili, forti,
magnanimi, virtuosi, ed utili al bene comune o privato; they are quelle immaginazioni
belle e felici, ancorch vane, che danno pregio alla vita.1 They are beliefs in such ideals
as virtue and justice, not to be judged as morally righteous in themselves because they are
natural, but giving a certain moral vigour and strength to actions; in children they are any
imaginings which bring happiness and joy in this life. Intellectual illusions are questo
continuo presupporre che si fa scrivendo e parlando, certe qualit umane che ciascun sa
che oramai non si trovano in uomo nato, e certi enti razionali o fantastici, adorati gi
lungo tempo addietro, ma ora tenuti internamente per nulla e da chi gli nomina, e da chi
gli ode a nominare.2 To be plain, Leopardi refers here among other things to the
assumption that altruism is inherently human when in fact self-interest, amor proprio, is
the fundamental human motive, and to the belief in gods, including the Christian God.
A widely held view at the beginning of the nineteenth century (and probably to some
degree even today) was that poetry was illusion - its beauty and imagination transported
the reader to another world - and scientific enquiry and explanation centred on facts. At a
famous dinner party in England, in 1817, one year before the composition of the first
poem in the Canti, Keats and Charles Lamb agreed that Newtons experiments with a
prism and light had destroyed all the poetry of the rainbow by reducing it to a spectrum
of colours. Cold philosophy would empty the haunted air and unweave the rainbow

26

and Keats raised a toast that day of confusion to mathematics. The critic and essayist
William Hazlitt noted in a calmer frame of mind that, as a matter of historical fact, it
cannot be concealed that the progress of knowledge and experimental philosophy has a
tendency to circumscribe the limits of the imagination, and to clip the wings of poetry.3
In Ad Angelo Mai (1821), Leopardi has Christopher Columbuss discovery of the New
World symbolise the destruction of imaginative dreams through scientific knowledge
both in the history of the world and in the life of a child. People speak of gain, but so
much is lost. Once the New World is plotted on a map all the myths associated with
distant lands in the west disappear and in this sense, all we gain is nothingness, solo il
nulla saccresce [l. 100]:
Ahi, ahi, ma conosciuto il mondo
non cresce, anzi si scema, e assai pi vasto
letra sonante e lalma terra e il mare
al fanciullin, che non al saggio, appare.
[...]
A noi ti vieta
il vero appena giunto,
o caro immaginar; da te sapparta
nostra mente in eterno; allo stupendo
poter tuo primo ne sottraggon gli anni,
e il conforto per de nostri affanni
[Ad Angelo Mai, ll. 87-90 and 100-05].

In Il Copernico (1827), a prose dialogue between the Sun and Copernicus, Leopardi
brings comedy and a sense of the ridiculous to this essentially tragic view of la nullit
del genere umano.4 The Sun puts forward a point of view that Leopardi elsewhere would
describe as a general development in his own life and in the history of humankind. 5 The
Sun has just got fed up with going round the Earth; it is about time the Earth moved for a
change. Many years ago it was poets with the beauty of their tales about his course
through the skies who made him start to rush madly around un granellino di sabbia; for

27

someone as big and fat as him that was quite a ridiculous thing to do. He was young then,
however, and beauty moved him to action; neither he nor anyone else for that matter
listens to poets now. Only philosophers can make the Earth move, though he has to admit
their explanations help people to understand but they do not generally move them to
action.6 In the end, Copernicus promises to do the best he can to convince the Earth to
move with mathematical calculations and scientific explanations:
La via pi spedita e la pi sicura [di persuadere la Terra a muoversi] di trovare un poeta
ovvero un filosofo [...]. I poeti sono stati quelli che per laddietro (perchio era pi giovane, e
dava loro orecchio), e con quelle belle canzoni, mi hanno fatta fare di buona voglia, come per
un diporto, o per un esercizio onorevole, quella sciocchissima fatica di correre alla disperata,
cos grande e grosso come io sono, intorno a un granellino di sabbia. Ma ora che io sono
maturo di tempo, e che mi sono voltato alla filosofia, cerco in ogni cosa lutilit, e non il bello;
e i sentimenti dei poeti, se non mi muovono lo stomaco, mi fanno ridere. [...] Questa
mutazione in me, come ti ho detto, oltre a quel che ci ha cooperato let, lhanno fatta i
filosofi; gente che in questi tempi cominicata a montare in potenza, e monta ogni giorno pi.
[...] Io dubito che un poeta non sarebbe ascoltato oggi dalla Terra [...] e per sar il meglio che
noi ricorriamo a un filosofo: che se bene i filosofi ordinariamente sono poco atti, e meno
inclinati, a muovere altri ad operare: tuttavia pu essere che in questo caso cos estremo, venga
loro fatta cosa contraria al loro usato. 7

In these same terms the Canti are philosophical - in a sense their subject matter is
beautiful and imaginative illusions, but they are philosophical because they convey what
it is to live in the world without them. In this respect Leopardi is notably different from
other poets of the age. Keats perceiving himself in an embattled position, opposed the
sensuality of his poetry to the unemotional and objective descriptions of cold
philosophy. For Wordsworth the appropriate business of poetry was to treat things not
as they are [...] but as they seem to exist to the senses, and to the passions.8 Leopardis
poetry treats things as they seem to exist to the senses and to the passions - probably the
most characteristic subject matter of poetry at this time was a poets private passions and
imagination - but he would claim for his poetry more truth than the quotation from

28

Wordsworth seems to imply. The Canti can be described in the terms of a pseudoautobiography he intended to write, a story not of remarkable changes of fortune or
extraordinary events, rather the story of one mans soul, i casi del [suo] spirito. 9
Leopardi writes about his personal experience of illusions, what it was like to have them,
to lose them, and what it is like to live in the world without them. He presents himself as
someone who has drawn inspiration from his own heart to represent what it is like for
human beings to live in the modern world, someone who has found philosophical truth in
his own experience. Like his Sappho in Ultimo canto di Saffo (1822), he is a passionate
genius, un animo tenero, sensitivo, nobile, e caldo, who loses his illusions; like her, he
communicates through his own experience, universal statements about human nature. 10 It
seems a contradiction when an exceptional human being claims his experience has
universal insignificance. However, this contradiction, too, is more apparent than real. For
Leopardi describes the illusions he personally has lost, his desire for fame and love, yet
the loss is what is typical.11
Leopardi built a system of thought on the basis of the evidence his experience
provided; in generalising his ideas so constructed, his method was no different from that
of much modern philosophy. Its strength was that it was, to use the terms of Locke in his
Essay Concerning Human Understanding, historical and plain. Historical because
Leopardi, like Locke, thought that ideas are not innate, but arrived at by stages in the
experiment of living, and plain, because the mind is thus untrammelled by received
opinion and prejudice.12 The philosophers and scientists of the Enlightenment had in
Leopardis view, and of course their own, swept away not only the illusions of the
imagination but also rational illusions, which is to say, a good deal of intellectual error

29

and sophistry, including all metaphysics and theology. As the empiricists would have it,
the wise proportion all rationally held beliefs to the evidence: Locke assumed the humble
position of an underlabourer clearing the ground of rubbish in order that others can
build anew more effectively; Hume accepted as knowledge only what he arrived at by
experimental reasoning concerning matter of fact and existence. In these terms
philosophy itself was a more critical approach to the scientific method. The point was to
establish proper procedures as to what philosophy was and what it could do; and by such
means to destroy metaphysical systems systematically. Typically Voltaires contes
philosophiques depict a movement from being philosophical in the sense of being
abstract and logical to being philosophical in the sense of being based on experience
and of coming to terms with reality in the light of that experience. Like Voltaire,
Leopardi judged metaphysical systems were rightly condemned. He built a system of
thought to which he refers all human feeling and from which all human feeling derives its
significance, but it was based firmly on his own experience concerning matters of fact
and existence. It was a science of human feeling and its basis was the sensibility of his
own heart (nel quale principalmente si esamina la natura delluomo e delle cose). 13
La ginestra is an attack on intellectual errors. In the words of the Sun in the Il
Copernico, it is an attack on those men who go on reasoning back to front, who build
systems in spite of the evidence of things. They may know that the Earth is not literally at
the centre of the universe, but they continue to speak as if it were, as if human beings
were supreme among earthly creatures. The intellectual errors then that Leopardi attacks
in La ginestra are quite simply statements about life which defy reality. Physical systems
affect philosophical systems and philosophical systems in their turn affect individuals, the

30

way human beings feel about themselves in the world. If the truth is that the Earth is
insignificant in terms of the cosmos and that Nature is only concerned with the existence
of the Universe but not the well-being of its parts then the conceit of those who say
otherwise flies in the face of the facts. Nature is the only thing that is permanent:
Caggiono i regni intanto, / passan genti e linguaggi: ella non vede / e luom deternit
sarroga il vanto [ll. 294-96]. To consider oneself eternal in the face of all the evidence is
getting things upside down and the wrong way round, because of personal vanity - La
ginestra is a massive indictment of conceit.
La ginestra opens with the image of the slopes of Vesuvius - the volcano represents
Nature both in the sense of forces external to human beings which may overwhelm them,
and of forces within them which are potentially destructive in terms of the
disillusionment they experience during their lives. For Leopardi, the human individual
embodies self-love, the will to live, the desire for ones own good, ones own happiness.
That general desire may become identified with particular objects from time to time but
actually it cannot be specified in that way, and because it outstrips any individual desire it
is unsatisfiable. Individuals then are predestined by their nature to disappointment and
frustration - and that is not to mention the pain they suffer and, in the end, the destruction
of the very life that is willed. An essentially tragic course is programmed into us from the
beginning; it is in the nature of what we are. Suffering then does not just come from the
outside, but we all carry its source within us. 14
Leopardi uses this image of Vesuvius to open the poem so that we may see quanto /
il gener nostro in cura / allamante natura [ll. 39-41]. We see the desolation, but here
things once flourished - and that is true in terms of the images themselves and in relation

31

to all human lives. The structure here is typically Leopardian, interweaving past and
present: seeing the ginestra on the slopes of Vesuvius, he is reminded of the deserted
countryside around Rome, and of the greatness of the Empire and its subsequent
destruction. The fields around Vesuvius covered with ash and lava were once cultivated;
there were palaces, gardens and famous cities, but everything is a ruin now. Nature and
human beings are contrasted so as to make it clear that Nature has the last word. The
point that Leopardi makes in the first stanza is that this is the true context of any
reflection about oneself, E la possanza / qui con giusta misura / anco estimar potr
delluman seme [ll. 41-43]. There are three main themes in La ginestra and stanza 1 is
crucial to them all: Leopardi contrasts his view to those of his contemporaries, he states
the attitude to themselves human beings should adopt to preserve their dignity and, in his
own inimitable way, he justifies human goodness. The opening image of the poem
represents the proper context in which all these matters argued in the text can be properly
assessed.
Leopardis opponents in La ginestra are specifically Christian. They are the revivalist
Christians of the post-Enlightenment, post-Revolutionary period. When Leopardi returns
to the landscape in stanza 4, and reflects on the insignificance of human beings in the
context of the universe, he does not know whether to be moved to pity or laughter by the
presumption of human beings who think they are the centre of the universe, who think of
their gods coming down to Earth for their sake, che te signora e fine / credi tu data al
Tutto [ll. 188-89]. He uses the same phrase, questo oscuro / granel di sabbia [ll. 19091] as the Sun did in Il Copernico (un granellino di sabbia). Copernicus in that dialogue
says that it was reasonable enough when the Earth was thought to be literally at the centre

32

of the universe to fabricate a system that was sustained by such facts. When these facts
are shown to be illusions, to continue to fabricate systems based on them seems to
Leopardi in La ginestra either ludicrous or sad: Non so se il riso o la piet prevale [l.
201]. The epigraph of the poem tells us whom Leopardi has in mind. He quotes a Biblical
text, John 3:19: E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce, which in its
scriptural context contrasts the darkness of sin with the light of Gods grace. In
connection with Leopardis poem it contrasts the darkness of the false hope of Christian
revivalism, with the light, the hopelessness of Leopardis truth. Leopardi never denied
that natural illusions such as hope are of value because of the feelings that accompany
them but that person is deceived who believes hope in the Christian sense is an assurance,
a promise of fulfilment, uno attender certo / della gloria futura as Dante would define it
[Paradiso XXV, 67-68].
Palinodia al marchese Gino Capponi (1835) and La ginestra in the Canti and the
dialogues between Eleandro and Timandro and between Tristano and a friend, are all
works in which Leopardi justifies his vision of life against his contemporaries. Leopardi
attacks the optimism, the pride and complacency of his contemporaries, and defends what
they called his pessimism. Leopardi is not the only writer of his age who cast himself in
the role of lonely hero, hated and outlawed by society and endowed with an ambiguous
gift of sensibility. Goethe, Byron and Shelley all presented their lives as a Promethean
struggle of creative genius and individual emotions against the restraints of society and
social conformity. Leopardis position, summed up by Eleandros memorable phrase in
the Operette morali: il mio cervello fuori di moda, is different from theirs because he

33

does not share their assumption that human beings can be perfected either by striking off
the chains of society as individuals or by forms of social action. 15
He stands full square against what the journals of his day trumpeted optimistically: the
perfectibility of the human race - as Eleandro says: ora non si attende ad altro che a
perfezionare la nostra specie.16 There was almost universal excitement among
intellectuals in the eighteenth and nineteenth centuries about applying the new scientific
methods to all areas of study; writers spoke particularly enthusiastically about their
application to moral, social and political issues. There were few moral and social
theorists, from Hume through to Bentham who did not set out to be the Newton of the
social sciences; human beings were judged suitable objects for scientific study and the
results in terms of classification and statistics determined social and political reform.17 In
La ginestra Leopardi represents his point of view in the opening image; and at the end of
stanza 1 he quotes the words of one of his contemporaries: Dipinte in queste rive / son
dellumana gente / le magnifiche sorti e progressive [ll. 50-52].
In Palinodia, Leopardi targets the utilitarian ideals of his age. Like Leopardi, the
utilitarians assumed that all humans are basically and exclusively motivated by the desire
to gain pleasure and avoid pain. They regarded the morality of actions as entirely
dependent on their promotion of human well-being or the maximisation of pleasure. The
felicific calculus, as Jeremy Bentham called it, played an important role in democratic
and humane political reforms but in some respects it was an easy target for ridicule.
Leopardi mentions the exploitation of the colonies so that Western Europeans could
maximise their pleasure of pepper, sugar cane and cinnamon. He attacks the democratic
aim in so far as it considers the maximisation of pleasure en masse. Unable to make any

34

one human being on Earth happy, the utilitarians forget individuals altogether, and speak
only of a happiness for all:
Ma novo e quasi
divin consiglio ritrovar gli eccelsi
spirti del secol mio: che, non potendo
felice in terra far persona alcuna,
luomo obbliando, a ricercar si diero
una comun felicitade
[Palinodia, ll. 197-202].

In Palinodia Leopardi makes fun of the pride of his contemporaries in the kind of
practical proposals that most industrial economies boast about, like gas lighting, a tunnel
under the Thames, faster channel crossings. He contrasts their confidence in maximising
pleasure in this sense with a broader vision of human endeavour. Nature is described in
Palinodia as a wilful and cruel child playing an evil game, a child who builds a toy with
leaves and twigs only to destroy it immediately because the building materials are needed
for some other game. That is the reality, says Leopardi, and yet his opponents get so
carried away with their optimism that they speak as if all human pain, illness, and death
itself might be conquered [ll. 181-89].
From the point of view of his opponents the lyric was frivolous, self-indulgent, a
purely private activity. Bentham did not deny to poetry a modest hedonistic utility insofar
as it afforded pleasure to some human beings among pleasures of a particular sort,
commonly termed pleasures of the imagination. In general the social reformers who
spoke of utility were opposed to poetry because of the seriousness of their social intent
which they did not attribute to it. In Palinodia, Leopardi refers to his arch opponent,
Niccol Tommaseo, whom he says arrogated to himself the title master of poetry and
teacher and reformer of all arts and sciences and spoke condescendingly about feeling

35

in poetry.18 The poets duty, according to Tommaseo, was to further breakthroughs in


scientific progress and public reforms:
[...] un franco
di poetar maestro, anzi di tutte
scienze ed arti e facoltadi umane,
e menti che fur mai, sono e saranno,
dottore, emendator, lascia, mi disse,
i propri affetti tuoi. Di lor non cura
questa virile et, volta ai severi
economici studi, e intenta il ciglio
nelle pubbliche cose. Il proprio petto
esplorar che ti val? Materia al canto
non cercar dentro te. Canta i bisogni
del secol nostro, e la matura speme
[Palinodia, ll. 227-38].

There is no doubt that a science of human feeling gives ammunition to those who
want to criticise it. Tommaseo categorically denounced Leopardis vision of life by
saying that what may have been true personally for the poet was certainly not true for
everyone. With reference to the Operette morali in particular he branded Leopardis
principles as negative and said they were founded only on some partial observations.
Leopardi gave his response to both criticisms in a letter to his publisher Stella:
Circa il giudizio sopra le Operette morali che Ella mi comunica, che vuol chio le dica? Dir
solo che non mi riesce impreveduto. Che i miei principii sieno tutti negativi, io non me ne
avveggo; ma ci non mi farebbe gran meraviglia, perch mi ricordo di quel detto di Bayle; che
in metafisica e in morale, la ragione non pu edificare, ma solo distruggere. Che poi le mie
opinioni non sieno fondate a ragione ma a qualche osservazione parziale, desidero che sia
vero [Letter to Antonio Fortunato Stella in Milan, Florence, 23 August 1827].

As far as the criticism of negative was concerned Leopardis counter-claim was that
his sistema was no different in this respect from a great deal of modern philosophy - like
the empiricists, Leopardi firmly believed that in the post-empiricism world no
philosopher could pass arbitrary imaginings for reason anymore or give human beings

36

rules of conduct that were different from those gained through reflections on everyday
life and a spontaneous experience of the world. Knowledge of the world takes away what
the imagination naturally fabricates - and experience was a reflection of modern
philosophy in this sense of revealing errors. 19 There is no turning back, no more than
there is in the progress of knowledge, no returning to believing in illusions once you have
recognised them as such. These were the foundations on which Leopardi built his
sistema, his science of human feeling.
Leopardi countered Tommaseos accusation of subjectivity by saying that he only
wished his opinions were merely subjective. As he has Tristano say in defence of his
Operette morali, he never thought anyone would doubt the observations he made. He
thought people might say it was not useful to make them, but he never thought they
would say they were not true. At the beginning of this operetta he speaks in strongly
ironic tones, as he does in Palinodia, pretending to retract everything he has ever written
and join the other side:
Quando scrissi cotesto libro, io aveva quella pazzia in capo [che la vita umana fosse infelice].
E nera tanto persuaso, che tuttaltro mi sarei aspettato fuorch sentirmi volgere in dubbio le
osservazioni chio faceva in quel proposito, parendomi che la coscienza dogni lettore dovesse
rendere prontissima testimonianza a ciascuna di esse. Solo immaginai che nascesse disputa
dellutilit o del danno di tali osservazioni, ma non mai della verit: anzi mi credetti che le mie
voci lamentevoli, per essere i mali comuni, sarebbero ripetute in cuore da ognuno che le
ascoltasse. E sentendo poi negarmi, non qualche proposizione particolare, ma il tutto, e dire
che la vita non infelice, e che se a me pareva tale, doveva essere effetto dinfermit, o daltra
miseria mia particolare, da prima rimasi attonito, sbalordito, immobile come un sasso, e per
pi giorni credetti di trovarmi in un altro mondo [Dialogo di Tristano e di un amico (1832),
Tutte le opere, vol. I, pp. 180-81].

Many people continue to find Leopardis poetry as pessimistic as did Tommaseo. His
poetry and prose is definitely a challenge in this respect. In a way it is too easy to affirm
that the reader does not have to agree with Leopardis vision of life to appreciate his

37

poetry, to say that any judgement of the merit of the poems or prose remains independent
of whether or not his convictions are accepted. There are few writers, whose poems
succeed so fully, for better or worse, in making themselves present to the reader and
evidently what is at issue as far as appreciation is concerned is not agreement with the
poets sentiments but the degree to which the fullness of his experience can be
comprehended and the manner of its expression. However, in generalising his convictions
Leopardi does make a certain claim on the belief of his reader. In view of the sharpness
of his attack on his contemporaries in La ginestra, the challenge that what the reader may
take to be his pessimism is actually realism is part of the poems legacy. What is at issue
here is more than just agreement or disagreement with Leopardi; the distinction between
these two points of view is crucial to understanding the meaning of the poem.
It cannot be denied that Leopardi was a pessimist; there are few writers who are more
so. Of course, his pessimism is logically independent of his philosophy, logically
speaking a statement of value cannot be derived from a description of fact, an is bad
does not follow from an is.20 However, the pessimism is all-pervading in the way the
philosophy is articulated. Leopardi was not content to say that this is what life is like for
him, as in Canto notturno with such resonance, a me la vita male [l. 104], or even to
claim, as the shepherd does, that la vita sventura [l. 55] as far as human beings are
concerned. In his poetry he goes further and states that the ultimate or underlying reality
is evil: he describes Nature in moral terms as wicked, madre di parto e di voler
matrigna [La ginestra, l. 125].
Out of poetry Leopardi would say that if that is how we experience reality then it just
seems more likely to say that there is an evil purpose. No-one can judge whether the

38

universe is ultimately good or bad, but if there is not sufficient data, Leopardi argues,
why is the universe judged more often than not to be good; why not judge on the basis of
human experience that it is bad. The famous entry in the Zibaldone [4174-75, 22 April
1826] which begins Tutto male. Cio tutto quello che , male is sometimes taken to
the summation of Leopardis negative principles as Tommaseo called them, but
Leopardi is actually as modest, as reasonable and as cautious as Locke in stating his
conclusions. As far as the ultimate nature of things is concerned human beings are
restricted to speculation - and speculation about the world is restricted to concepts
acquired through the senses from experience. Leopardi is not substituting tutto male
for tutto bene, or all is for the best in the best of possible worlds, the disrespectful
summation of the metaphysical system of Leibniz, notoriously lampooned by Voltaire in
Candide. All that Leopardi claims in the light of his system of thought is that all is for
the worst is perhaps more sustainable. 21
Questo sistema, bench urti le nostre idee, che credono che il fine non possa essere altro che
il bene, sarebbe forse pi sostenibile di quello del Leibnitz, del Pope, ec. che tutto bene. Non
ardirei per estenderlo a dire che luniverso esistente il peggiore degli universi possibili,
sostituendo cos allottimismo il pessimismo. Chi pu conoscere i limiti della possibilit?
[Zibaldone, 4174, 22 April 1826].

It is always possible for people to agree about the facts but to disagree about how they
are to be evaluated. They may agree about the amount of pleasure and pain in human life,
but disagree as to which determines their attitude to life. In the popular example of the
optimist and the pessimist, the person who judges the glass half full and the person who
judges the glass half empty, they are still in agreement on the facts. What Leopardi says
in La ginestra to justify the charge of pessimism made against him is that his

39

contemporaries are in disagreement with him on the facts. They are, he says, flying in the
face of the facts and in this sense he considers himself a lover of truth and a realist.
In 1825 Leopardi wrote that he had in mind to write several works that would be of
profit to his readers, in which he would try to re-establish the principles which should
form the basis of society: Molti progetti e disegni di opere mi sono passati per la mente,
lo scopo delle quali sarebbe stato di giovare alla societ nel miglior modo possibile,
cercando di rimettere in piedi quei principii, senza i quali la medesima societ
veramente unidea contraddittoria in se stessa [Letter to Karl von Bunsen, 3 August
1825]. Leopardi defines a society, and it is a standard definition, as a community whose
purpose is the common good of the individuals within it. Stanza 3 of La ginestra, the socalled solidarity stanza, fulfils Leopardis stated intention in his own inimitable way.
Leopardi finds that within the framework of his sistema, he can justify a common good, a
benevolent attitude of individuals towards one another that would form the basis of
society in the proper sense of the term. It is not a positive virtue, it is a remedy, a negative
goodness, so to speak, just as the pleasure that results from the release of pain is a
negative pleasure in La quiete dopo la tempesta.
The images of La ginestra represent the framework within which goodness develops.
In the opening stanza Nature and human beings are contrasted so as to make it clear that
Nature has the last word. The picture of the skyscape in stanza 4 tells us that in relation to
the cosmos we are insignificant. The image in stanza 5 of the apple that falls and crushes
the ants beneath tells us that we are also helpless and impotent, for Nature is capricious.
In such a context goodness is mutual compassion, recognising each others insignificance
and helplessness.

40

Leopardi did not think that goodness, any more than knowledge, brought happiness or
perfection, in the sense of making human beings what according to their natures they are
meant to be.22 Most ethical philosophies, and nearly all ancient philosophies, are
teleological: they seek to establish the ultimate purpose of human life, that is to say a
framework in which to work out a priority system of action appropriate to human nature
and its well-being. There is no denying that if there were such a goal, there would be
nothing more helpful or more necessary to us than to see it. 23 According to the different
philosophies there are many different views about what constitutes human happiness:
most ancient philosophies had knowledge or goodness as the ultimate human aim.
Leopardi thought there was so much disagreement among philosophers because
happiness, that purpose of human life on which they did at least all agree, quite simply
did not exist. After all if human beings had ever experienced happiness in this sense there
surely would be no controversy.24 As we have seen knowledge by its very nature in
Leopardis terms destroys illusions, and illusions, though the pleasures they promise are
unreal, are the one thing that can bring happiness. The goodness envisaged in La ginestra
is only a consolation for the futility of life; it does not give purpose or meaning. Without
illusions of purpose human beings are all like the confuso viator in Il tramonto della
luna, the bewildered traveller who loses mta o ragione after youth has ended.
The universal principle which in terms of Leopardis sistema is the foundation for
social cohesion is each individuals capacity for suffering. Leopardi was well aware of
the relativity of suffering, that people suffer for different reasons in different societies and
at different times of their life. Nevertheless the vulnerabilty and precariousness of
existence were universals. And the dangers and the distress individuals experience

41

because of those qualities of human life are enhanced by their universal pointlessness the capriciousness of Nature and the unchanging threat through time she represents. The
fact of being human beings gives us the capacity to feel pain and the desire not to suffer
is shared by all, and it is upon that basis that Leopardi argues we should not harm one
another.
In a letter of 1823, Leopardi wrote that the only thing he was trying to learn now was
how not to suffer.25 Two years later he published his translation of Epictetuss Manual,
Stoic advice on how not to be affected by things not in ones own power. Epictetus had
been a Greek slave, crippled by the sadistic brutality of one of his masters. Leopardi did
not think that happiness could be found in the Stoic doctrine of moral autonomy, but, as
he wrote in the preface to his translation, he had found that Epictetuss advice had helped
him in his life and he sincerely hoped it would help other people. La ginestra can be seen
to be an extension of that endeavour, in a social context; it is an inducement not to harm
other people, and thereby to reduce their suffering. The society Leopardi envisages is one
in which human beings minimise the pain they cause one another by the very fact of
living in society.26 As Leopardi would have it suffering threatens from without through
dangers from the external world, and from within, by the very fact of the human
condition, but human beings also suffer through their relations with others. Hatred and
anger between human beings are pi gravi dogni altro danno [ll. 119-21]. They are a
pointless, a gratuitous extra, and as absurd as turning on ones own side when one is
fighting a war.
Leopardi conceives of goodness in this sense in terms of a social contract, a rationally
agreed form of social organisation. His thoughts are always centred on individuals - we

42

see it in the universal principle of the individual who suffers and of course a contract
implies individual agents who freely associated. This aspect of his thinking distinguishes
him from the thinking on mass of the utilitarian theory he criticised. Social contract
theories can be characterised by the view of human nature they express in terms of what
they call the state of nature, the permanent substratum in human nature unimpaired by
the shifts and changes of individual life and social history. That state of nature then
serves to demonstrate exactly what it is human beings come together for in the first place,
and what they owe to society - most social contract theorists did not think that the state of
nature they referred to had ever existed, it was just meant to explain how things in fact
are.
Perhaps the most famous contract theorist Thomas Hobbes thought that the state of
nature was a condition in which there was continual fear, and danger of violent death;
life was famously solitary, nasty, brutish, and short. It was a war of all against all, other
people were as likely as not to kill, injure or rob you. For Hobbes human nature was
basically aggressive, self-seeking, and not radically altered by society, but rather held in
check by laws; human beings were made moral by constraint. Leopardi thought that
human beings in the state of nature were asocial. He separates his own view firmly from
the traditional one in the Zibaldone: they say, he says, and it is a commonly held view
since Aristotle, that human beings are social animals; Leopardi, on the other hand,
thinks that human beings are the least social of all the species, that is to say the least
likely of all the species to want to work together. 27 It is a special characteristic of
Leopardis conception of the social contract that solitary human beings come together out
of fear of Nature for mutual self-help. The specification of quellorror in stanza 3 [l.

43

147] that first drew human beings together is an important one and sets Leopardis
conception apart from other theories of social contract. Subsequently it is the fear of the
common enemy which has to be maintained in order to uphold the contract, and this is
what we see in the images in stanza 6 of the poem - the fear and dread of Nature are
palpable still. It is more than a thousand and eight hundred years since Pompeii was
buried under lava but the peasant who works the ashy earth still lives in fear for his
family and his livelihood; the excavations at Pompeii, recent in Leopardis time, come
sepolto / scheletro [ll. 271-72], continue to remind the traveller of the terror felt by the
victims buried beneath the lava.
Leopardi thinks of the coming together of human beings in society as grounded in
recognising a common interest against a common enemy. People do not come together to
help one another; they come together because their own self-interest is given common
cause. Leopardi believed amor proprio to be the sole driving force behind every
individuals existence.28 It is born from the sense of ones own being. It makes
individuals what they are: it never leaves them as long as they live and it is the
fundamental feeling of which the rest are only modifications. Being natural it is neither
good nor bad; it only becomes good or bad by accident and according to the
circumstances in which it develops. One pities oneself when one sees ones own
condition realistically, and self-love then develops to good effect in mutual compassion
on the same grounds. The total weakness of human beings vis--vis Nature leads to
solidarity. If a community comes together out of fear of a human enemy, then what may
be natural in the first place is actually the cause of further suffering. And that is one of
the contradictions of nature which Leopardi found so frightening, that is one instance of

44

what he means when he says human beings are involved in a terrifying natural process. 29
The only way for human beings to regain dignity in such a situation is to construct a
social contract against the natural process itself.
Clearly Leopardis vision is utopian, this is a society in which one cannot really think
of oneself as living. But the important thing to note is that in Leopardis terms at least,
human nature does not have to change - all human beings have to do to retain their
dignity is to face up to the fact of the way things are. Leopardi has no desire to construct
another intellectual illusion; his vision is clearly not utopian in the sense of being
completely divorced from reality. He reconciles his ideal with the nature of human beings
as they are. The other-regarding virtues, pity and justice, are united with the requirements
of self-interest; there is no denaturing, no radical transformation of human nature. That is
not to deny that some people will put the interests of other people first sometimes. The
point is that these altruistic virtues are given a rational justification, which is to say that
they are based here on the principle of self-interest, the natural motive of human action.30
It is fundamental to an understanding of stanza 3 to remember that in this anti-Christian
context the meaning of true love, or justice or pity, is determined by the framework in
which they are set. They are not virtues which are a positive source of happiness. True
means only based on a solid foundation of truth. 31 This is not love as in thou shalt love
they neighbour as thyself, which given human nature is impossible. It is only the logical
extension to other people of a feeling about oneself in the circumstances in which one is
asked to live.
In the light of these comments on the solidarity stanza, the description of the ginestra
in stanza 1 gains in significance. In stanza 1 the poet establishes a contrast between the

45

two principal images of the poem: on the one hand there is the barren mountain which
threatens to destroy. On the other the sweet-smelling broom-flower adds a delicate beauty
to the desolate landscape (odorata, l. 6, amante, l. 15, which contrasts with the heavily
sarcastic amante natura, l. 41, compagna, l. 16). It is essentially lonely: cespi solitari
[l. 5]. Its fragrance is quasi / i danni altrui commiserando [ll. 34-35]. The fragrance is
properly described as if it were pitying, but Leopardis idea of pity is perfectly called a
fragrance, the exhalation of a beauty, as it were, deriving from a sense of personal
dignity. And the fragrance consoles the desert [l. 37], just as goodness is no more than a
remedy and a consolation.
When Leopardi returns to the image of the ginestra at the end of the poem, to the
vocative tu and to the landscape setting the ginestra represents the appropriate attitude for
human beings to adopt in the context in which they find themselves and it is a symbol of
moral confrontation. At the beginning of the solidarity stanza there is a simile which tells
us what personal human dignity is in a social context. Just as a poor, weak man in
relation to other human beings if he is noble in spirit does not boast and brag, and claim
that he is other than he is, but to the contrary admits his weakness and poverty, so human
beings have dignity if they do not boast and brag that they are other than they actually are
in relation to Nature. Leopardi is not advocating humility, which would be showing a low
estimate of oneself - what Leopardi says is di sue cose / fa stima al vero uguale [ll. 9697]. The last stanza of the poem conveys the attitude of the ginestra to its fate. It is under
no illusions about the terms on which it has been asked to live. Were Vesuvius to erupt,
then it would bend unresistingly its innocent head [ll. 304-06]. Human beings do not feel
compassion for anothers suffering if they believe it is caused primarily by that persons

46

culpable action. Leopardis point is that human beings do not deserve their fate - and that
belief derives from an acceptance of the way things just are and is fundamental in the
society Leopardi envisages.
In his dialogue between Timandro and Eleandro, Leopardi has Timandro say that it is
dannosissimo e abominevole, to speak of the necessity of misery, the vanity of life, the
smallness of the human race, non pu fare altro frutto che prostrar[e gli uomini]
danimo; spogliarli della stima di se medesimi, primo fondamento della vita onesta, della
utile, della gloriosa.32 Timandro accuses Eleandro of a freakish and wretched ambition to
acquire fame through misanthropy like Timon of Athens the solitary misanthrope who,
when entreated by the Athenians to help them, offers them instead his fig-tree on which
to hang themselves as a refuge from affliction. 33 Leopardi most definitely thought it was
better to live with beautiful and happy illusions in ones head than to live with the truth,
to live as young people as it were all ones life and then to die. The truth is damaging in
that sense, but deliberate blindness and folly destroy all sense of human dignity. As
Leopardi states in a famous entry in the Zibaldone his system of thought does not lead to
misanthropy for he finds that human beings are innocent. The natural processes both
within and without them are the guilty party:
La mia filosofia, non solo non conducente alla misantropia, come pu parere a chi la guarda
superficialmente, e come molti laccusano; ma di sua natura esclude la misantropia, di sua
natura tende a sanare, a spegnere quel mal umore, quellodio, non sistematico, ma pur vero
odio, che tanti e tanti, i quali non sono filosofi, e non vorrebbono esser chiamati n creduti
misantropi, portano per cordialmente a loro simili, sia abitualmente, sia in occasioni
particolari, a causa del male che, giustamente o ingiustamente, essi, come tutti gli altri,
ricevono dagli altri uomini. La mia filosofia fa rea dogni cosa la natura, e discolpando gli
uomini totalmente, rivolge lodio, o se non altro il lamento, a principio pi alto, allorigine
vera de mali de viventi ec. ec. [Zibaldone, 4428, 2 January 1829].

47

Leopardis vision of life remains remarkably constant. The fundamental issue of his
lifes work is what attitude to adopt given the reality. As late as 1832 Leopardi was
comparing himself to his Brutus, and considered that the most characteristic attitude of
his life was a combative stance of defiance, sometimes called titanismo after the giants
who fought against the gods in Greek mythology. Brutuss suicide after Philippi is a
defiant gesture against Fate which has shown him the purposelessness of his life. It is a
stance of proud self-satisfaction in refusing to be comforted by illusions: 34
Mes sentimens envers la destine ont t et sont toujours ceux que jai exprims dans Bruto
minore. a t par suite de ce mme courage, qutant amen par mes recherches une
philosophie dsesprante, je nai pas hsit a lembrasser toute entire; tandis que de lautre
ct ce na t que par effet de la lchet des hommes, qui on besoin dtre persuads du
mrite de lexistence, que lon a voulu considrer mes opinions philosophiques comme le
rsultat de mes souffrances particulires, et que lon sobstine sattribuer mes circonstances
matrielles ce quon ne doit qu mon entendement. Avant de mourir, je vais protester contre
cette invention de la faiblesse et de la vulgarit, et prier mes lecteurs de sattacher dtruire
mes observations et mes raisonnemens plutt que daccuser mes maladies [Letter to Luigi de
Sinner, Florence, 24 May 1832].

When Leopardi confronts his contemporaries in La ginestra, this note of fiera


compiacenza returns [ll. 64-67]: he will not go the grave with shame, he will show the
deep contempt that lies locked in his breast. Such strength, the courage of Brutus, elicits
admiration, but the image of the ginestra is different. The crescendo in syntax at the end
of the poem asserts the last moral statement and returns to polemic: we fight a losing
battle, recognition of the truth about the circumstances of life is the only posture for
human beings. Here the ginestra as a moral symbol confronts the conceit, the pride, the
personal vanity of other systems based on false premises. The ginestra has a proper
estimation of its vulnerability and fragility and in that sense retains its dignity. As an
image of compliancy (lenta ginestra, l. 297) and innocence, the ginestra inspires our

48

compassion - the emotion is thematically appropriate, for the community Leopardi


envisages is one in which human beings will not cause harm to one another because of
mutual compassion.35 The two attitudes, the strength of Brutus and the nobility of the
ginestra, combine in an imaginatively coherent whole in the last poem of the Canti to
convey a poetic character at once proud and tender, weak and at the same time
indomitable.36
The last edition of the Canti in the poets lifetime was the Neapolitan edition of 1835,
which included all the poems we now have except the last two, Il tramonto della luna and
La ginestra. Antonio Ranieri, Leopardis companion in the last years of his life, tells us it
was the poets own wish to have these poems appear in the order we have them. Il
tramonto della luna states emphatically the hopelessness of Leopardis vision: the
darkness of night is followed by the light of day, but no such light follows the
darkness of ones understanding of life. We must not be misled by the epigraph of La
ginestra into thinking that this last poem constitutes uno spiraglio di speranza.
Hopelessness is the light it refers to. This is the legacy, the last will and testament of
Leopardi - and it is against this stunning background of hopelessness that Leopardi
justifies goodness and human dignity.

NOTES
1

Dialogo di Timandro e di Eleandro (1824), Giacomo Leopardi, Tutte le opere, ed. Walter Binni
and Enrico Ghidetti, 2 vols, 5th edition, Florence, Sansoni, 1988, vol. I, p. 165.
2
Dialogo di Timandro e di Eleandro, Tutte le opere, vol. I, p. 163.
3
Meyer Howard Abrams, The Mirror and the Lamp: Romantic Theory and the Critical Tradition,
New York, Oxford UP, 1971, pp. 303-04 and 311. See Keatss Lamia, ll. 229-38.
4
Letter to Luigi De Sinner, 21 June 1832. Cf. Ne miei dialoghi io cercher di portar la commedia
a quello che finora stato proprio della tragedia [Zibaldone, 1393]. Il Copernico as well as Dialogo di

49

Porfirio e di Plotino (1827) first appeared in the Florentine edition of the Operette morali (1845) published
after the authors death.
5
Nella carriera poetica il mio spirito ha percorso lo stesso stadio che lo spirito umano in generale
[Zibaldone, 143, 2 July 1820] (cf. Zibaldone, 1742, 19 September 1821).
6
La filosofia specialmente moderna, non capace per se medesima di operar nulla [Zibaldone,
160, 8 July 1820].
7
Il Copernico, Dialogo (1827), Tutte le opere, vol. I, p. 167.
8
Meyer Howard Abrams, cit., p. 299.
9
Giacomo Leopardi, Tutte le opere, vol. I, cit., p. 365.
10
Giacomo Leopardi, Tutte le opere, vol. I, cit., p. 56.
11
In stanza 2 of La ginestra, fame is a derisory illusion because no-one can earn a reputation for
telling the truth when everyone else turns their back on it [ll. 63-69].
12
John Locke, An Essay Concerning Human Understanding, ed. Kenneth P. Winkler, IndianopolisCambridge, Hackett, 1996, p. 4 [I, i, 2].
13
The entry [Zibaldone, 325, 14 November 1820] refers this comment to one of Leopardis favourite
philosophers in the ancient Greek world, Theophrastus, 3rd century BC.
14
Cf. Bryan Magee, The Philosophy of Schopenhauer, Oxford, Oxford UP, 1983, p. 219.
15
Tutte le opere, vol. I, p. 161. On the various forms of perfectibilism, all of which are rejected by
Leopardi, see John Passmore, Perfectibility of Man, Dictionary of the History of Ideas: Studies of
Selected Pivotal Ideas, 4 vols, ed. Philip P. Weiner, New York, Charles Scribners Sons, 1973, vol. III, pp.
463-76. See entries in the Zibaldone under perfettibilit, perfezionamento and perfezione.
16
Cf. a note by Madame de Stal in the preface of the second edition of De la littrature, Oeuvres
compltes de Madame La Baronne de Stal-Holstein, 3 vols, Paris-Strasbourg, Firmin Didot-Treuttel &
Wrtz, 1836, vol. I, p. 198: Le systme de la perfectibilit de lespce humaine a t celui de tous les
philosophes clairs depuis cinquante ans. Madame de Stal is one of Leopardis favourite authors, even
though he criticised her in this respect (see Zibaldone, 22, undated).
17
The title Descartes first proposed for his Discours de la mthode (1637) was le projet dune
science universelle qui puisse lever notre nature son plus haut degr de perfection. The subtitle of
Humes Treatise of Human Nature (1739) describes it as an attempt to introduce the experimental method
of reasoning into moral subjects.
18
This was an acrimonious dispute on both sides, following an unfavourable review by Leopardi
which prevented publication of an edition of Ciceros works Tommaseo was preparing for Antonio
Fortunato Stella, see Iris Origo, Leopardi: A Study in Solitude, London, Hamish Hamilton, 1953, pp. 17073. See the fragment unpublished during the authors lifetime, Potenze intellettuali: Niccol Tommaseo
(Tutte le opere, vol. I, pp. 994-95), a satirical sketch of Tommaseo which also seeks to set the record
straight as far as the edition of Cicero was concerned.
19
La cognizione del vero non altro che lo spogliarsi degli errori [Zibaldone, 2710, 21 May 1823].
20
Similarly, in the light of present-day knowledge, it may be maintained that Leopardis despairing
view of the world, above all his conviction of the terribleness of existence as such, were in some degree
neurotic manifestations which had their roots in his relationship with his mother. However, his ideas are
logically independent of either the psychological or physiological processes by which they were arrived at.
21
Bertrand Russell concurs with Leopardi that this is the worst of all possible worlds is no more
fantastic than Leibnizs theory, Bertrand Russell, History of Western Philosophy, London, Unwin,
Counterpoint, 1984, p. 571.
22
La perfezione [non ] altro che lessere nel modo conveniente alla propria natura [Zibaldone,
2394, 5 March 1822].
23
Dante describes Aristotle as the maestro di color che sanno [Inferno IV, 131] because he saw the
goal of human life more clearly than any other philosopher. Cf. Convivio IV, xxi, 3.
24
Comparazione delle sentenze di Bruto minore e di Teofrasto vicini a morte, Tutte le opere, vol. I,
p. 208. Theophrastus was one of Leopardis favourite ancient philosophers, because he declared despite his
unpopularity for doing so that the happiness to be found in knowledge and goodness of which Aristotle and
the Stoics spoke, was illusory (cf. Zibaldone, 316-17, 11 November 1820).

50

25

Lart de ne pas souffrir est maintenant le seul que je tche dapprendre [Letter to A. M.
Jacopssen, Recanati, 23 June 1823].
26
Per societ perfetta non intendo altro che una forma di societ, in cui glindividui che la
compongono, per cagione della stessa societ, non nocciano gli uni agli altri, o se nocciono, ci sia
accidentalmente, e non immancabilmente [Zibaldone, 3774, 25-30 October 1823].
27
See the comparison Leopardi makes between societies of human beings and other species
[Zibaldone, 3774-75, 25-30 October 1823].
28
Amor proprio e vita son quasi una cosa [Zibaldone, 2411, 2 May 1822].
29
Contraddizione spaventevole; ma non perci men vera [Zibaldone, 4128, 5-6 April 1825].
30
The argument of La ginestra is consistent with Leopardis statement of ultrafilosofia: la nostra
rigenerazione dipende da una, per cos dire, ultrafilosofia, che conoscendo lintiero e lintimo delle cose, ci
ravvicini alla natura [Zibaldone, 115, 9 June 1820].
31
Lamore universale [] un sogno, non mai realizzabile [Zibaldone, 891, 30 March - 4 April
1821]. As Filippo Ottonieri says: tanto possibile non curarsi delle cose proprie pi che delle altrui,
quanto curarsi delle altrui come fossero proprie [Tutte le opere, vol. I, p. 140].
32
Tutte le opere, vol. I, p. 164.
33
Timon is a rich and noble Athenian of good and gracious nature who, having ruined himself by his
prodigal liberality to friends, flatterers and parasites, turns to the richest of his friends for assistance in his
difficulties, and is denied it, and deserted by whose who had previously frequented him. Cursing the city,
he leaves to live as a hermit in a cave - his tomb is found by the sea-shore, with an epitaph expressing his
hatred of humankind.
34
Cf. the stance of Tristano, his fiera compiacenza, Dialogo di Tristano e di un amico, Tutte le
opere, vol. I, p. 181. There is a similar strength at the end of Amore e morte, the poet is armato, / e
renitente al fato [ll. 110-11]; and at the end of Aspasia his heart is indomito [l. 93], just as Brutus is
indomito [l. 42].
35
La debolezza un grande eccitamento alla compassione. [...] Pochissima o nessuna compassione
pu sperare chi non ha sortito dalla natura o acquistato dalla disgrazia una dolcezza e mansuetudine di
carattere, almeno apparente. E questo deve servir di regola ai poeti ed artisti nel formare i personaggi che si
vogliono compassionevoli. Sebben leroismo, e il disprezzo del male che soffre possa ancora produrre un
buon effetto, contuttoci relativamente al muover la compassione non c miglior qualit dalla sopraddetta
[Zibaldone, 234-35, 9 September 1820].
36
The qualities in Leopardi which Umberto Bosco describes as titanismo and piet are here given
expression together.

51

Roberto Bertoni
NOTE SUL DIALOGO DI CALVINO CON LEOPARDI

Giacomo Leopardi e Italo Calvino affidano alla storia della modernit importanti
lasciti testamentari, diversi luno dallaltro, ma in parte collegati dal dialogo che, in un
contesto di cosmicit, materialismo e enciclopedismo, Calvino instaura con Leopardi
raccogliendone leredit. Dei molteplici aspetti di questo dialogo si esaminano qui
brevemente i seguenti: 1. indefinito e infinito; 2. piacere e desiderio, noia e nulla; 3.
esattezza, rapidit, leggerezza; 4. il fantastico, lapocrifo, lo sperimentale; 5. pensiero e
immaginazione; 6. difficolt dellidillio; 7. morte e apocalisse.

1. Indefinito e infinito
In Lezioni americane, Calvino cita uno dei passi dello Zibaldone [1744-45] sulla
piacevolezza della luce indefinita; e commenta che, secondo Leopardi, poich la mente
umana non riesce a concepire linfinito, [...] non le resta che contentarsi dellindefinito,
delle sensazioni che confondendosi luna con laltra creano unimpressione di illimitato,
illusoria ma comunque piacevole [S, 682].1 una lettura aderente alla constatazione
dello Zibaldone che lanima, non vedendo i confini, riceve limpressione di una specie
dinfinit, e confonde lindefinito collinfinito [472], come accade guardando un filare
dalberi, la cui fine si perda di vista [1430]. Di questa specie dinfinit ci sono ricorsi
nei testi creativi di Calvino: se ne mostrano alcuni qui di seguito.
In Cosmicomiche, un esempio di applicazione della resa dellinfinito per mezzo
dellindefinitezza della distanza il percorso del pallone tra le linee bianche del campo
quali io cercavo dimmaginarmi tracciate in fondo al vortice luminoso del sistema

52

planetario, decifrando i numeri segnati sul petto e la schiena di giocatori notturni


irriconoscibili in lontananza [R, II, 160]. Citazione letterale lultimo orizzonte alle
frontiere della visibilit: nellInfinito [vv. 2-3], E questa siepe, che da tanta parte /
dellultimo orizzonte il guardo esclude; in Cosmicomiche, le galassie una a una
sarebbero scomparse dallultimo orizzonte dei dieci miliardi di anni-luce oltre al quale
nessun oggetto visibile pu pi essere veduto [R, II, 206]. In Palomar, linfinito reso
leopardianamente tramite lindistinto: Un prato non ha confini netti, c un orlo dove
lerba cessa di crescere ma ancora qualche filo sparso ne spunta pi in l, poi una zolla
verde fitta, poi una striscia pi rada: fanno ancora parte del prato o no? Altrove il
sottobosco entra nel prato: non si pu dire cos prato e cos cespuglio [R, II, 899]; e
con dilatazione cosmica: Palomar sta provando ad applicare alluniverso tutto quello che
ha pensato del prato. [...]. Luniverso forse finito ma innumerabile, instabile nei suoi
confini [...] [R, II, 900].
In La fermata sbagliata (uno dei testi di Marcovaldo), il protagonista si perde nella
nebbia, percorre le vie della citt e si ritrova in una situazione surreale: su un aereo
pensando di essere su un autobus. Anche in questo racconto, ci sono riferimenti
allinfinito di Leopardi. Le illusioni ottiche della nebbia sono assimilabili alle immagini
leopardiane di infinito spaziale nato da percezioni ingannevoli dello sguardo:
Marcovaldo ora camminava verso laltro marciapiede, un po pi in l. Invece la
distanza era molto pi lunga [R, I, 1125]. A Marcovaldo il cinema permette di
abbracciare i pi vasti orizzonti [R, I, 1123], con rimandi, di nuovo allultimo
orizzonte, ma anche agli interminati / spazi dei vv. 4-5 dellInfinito; e al vasto
ravvicinato allindefinito (seppure da esso distinto) nello Zibaldone [2053]. Passando

53

dalla dimensione spaziale a quella temporale, in La fermata sbagliata, le figure


apparivano sfocate, come appunto in certe osterie che si vedono al cinema, situate in
tempi antichi [R, I, 1125]: la sensazione dellantico per Leopardi sublime in quanto
indeterminata [Z, 1429]; laggettivo antico tra le parole, poetiche perch indefinite,
elencate da Leopardi [Z, 1789] e citate da Calvino [S, 679]; il passato lo evocano
nellInfinito [v. 12] le morte stagioni. Sul piano metaletterario, la nebbia, cancellando il
mondo intorno [R, I, 1123], consente a Marcovaldo di fantasticare, di sognare a occhi
aperti, per proiettare davanti a s dovunque andasse un film ininterrotto su uno schermo
sconfinato [R, I, 1124], film non difforme dal leopardiano infinito che, restando escluso
il panorama dalla siepe, si produce per via mentale (io nel pensier mi fingo, Infinito, v.
7) col concorso della facolt immaginativa, la quale pu concepire le cose che non sono,
e in un modo in cui le cose reali non sono [Z, 167].
La lettura calviniana di Leopardi memoria letteraria che riconosce la dimensione
spaziotemporale dellinfinito, ma ne eufemizza il romantico naufragar, giocandoci
kafkaniamente e con ironia come in Marcovaldo, proponendo il cosmico in ambiti
scientifici moderni (come negli esempi citati da Cosmicomiche e Palomar) e ibridandosi
con ulteriori modelli letterari: tra questi, nel racconto Ti con zero, si segnala Borges,
presente nella meditazione sulle numerose e contrastanti previsioni possibili del futuro,
scaturite da un istante del tempo che si fermato in un punto spaziotemporale
intermedio duna fase delluniverso [S, II, 311]. Nelle Lezioni americane, Calvino
precisa che i testi di Borges racchiudono un attributo delluniverso: linfinito,
linnumerabile, il tempo, eterno o compresente o ciclico [S, 728]; e cita il borgesiano El
Aleph per linizio cosmico, contenente una serie infinita di cambiamenti

54

nellincesante y vasto universo [S, 739-40], ossia un concetto di infinito che, accostato a
quello di Leopardi, pur risultando diverso nel complesso, omologo nella connotazione
di espansione spaziale conferita dalla vastit.

2. Piacere e desiderio, noia e nulla


Il sondaggio di Calvino nella concezione di infinito di Leopardi penetra anche nelle
giunture tra infinito e esistenza, prospettate dalla teoria del piacere, secondo la quale, in
una formulazione dello Zibaldone [535], il piacere non mai n passato n presente, ma
sempre e solamente futuro. E la ragione , che non pu esserci piacer vero per un essere
vivente, se non infinito. Calvino spiega (parafrasando in parte Zibaldone, 169-70): Per
quelledonista infelice che era Leopardi, lignoto sempre pi attraente del noto, la
speranza e limmaginazione sono lunica consolazione dalle delusioni e dai dolori
dellesperienza. Luomo proietta dunque il suo desiderio nellinfinito, prova piacere solo
quando pu immaginarsi che esso non abbia fine [S, 682].
Esponendo la teoria del piacere nelle Operette morali (nel Dialogo di Torquato
Tasso e del suo Genio familiare), Leopardi insiste sul piacere futuro, lo collega al
desiderio e sottolinea il rapporto tra piacere e noia:
E da poi che tutti i vostri diletti sono di materia simile ai ragnateli; tenuissima, radissima e
trasparente; perci come laria in questi cos la noia penetra in quelli da ogni parte, e li
riempie. Veramente per la noia non credo si debba intendere altro che il desiderio puro della
felicit; non soddisfatto dal piacere, e non offeso apertamente dal dispiacere. Il qual desiderio
[...] non mai soddisfatto; e il piacere propriamente non si trova. Sicch la vita umana, per
modo di dire, composta e intessuta, parte di dolore, parte di noia; dalluna delle quali
passioni non ha riposo se non cadendo nellaltra. E questo non tuo destino particolare, ma
comune di tutti gli uomini [OM, 140].

55

Il concetto di desiderio in relazione con la teoria del piacere attestato dallo Zibaldone:
la speranza infinita come il desiderio del piacere [169]; bench [...] luomo (o
lanimale) non possa vivere senza desiderare [1653]; luomo o il vivente in istato di
desiderio, e quindi [...] in istato di pena [2861], citazione, questultima, in cui
evidenziato il coagulo di desiderio e dolore. Abbiamo insomma un nucleo leopardiano
comprendente piacere, infinito, noia, dolore; elementi a cui vanno aggiunti quelli di nulla
(la nullit di tutte le cose, Z, 140 e 165) e di abisso (abisso orrido, immenso, Canto
notturno di un pastore errante dellAsia, v. 35).
Si vedano alcuni testi calviniani, raffrontandoli ai brani leopardiani citati e partendo
dallidea del piacere con la premessa che pi che del piacere si nota in Calvino una
presenza del desiderio.
In Priscilla (Mitosi), lo stato di desiderio la tensione verso il fuori laltrove
laltrimenti emerso dal sentire solamente il vuoto; e il desiderio, uno stato di
insoddisfacente soddisfazione, si verifica non perch semplicemente manchi qualcosa,
bens perch lo stato di mancanza si sperimenta sempre in contrasto con un precedente
stato di soddisfazione [R, II, 280]. Per Leopardi il presente insoddisfacente e il piacere
futuro non pu essere conseguito, mentre in Calvino la ricerca della soddisfazione del
desiderio si fonda sul ricordo della soddisfazione conseguita e sulla speranza che essa si
possa ripercepire. Attinente alla concezione calviniana del desiderio catapultato sul futuro
non la sfiducia leopardiana, bens la fiducia illuminista nella felicit raggiungibile.
per la sensazione del vuoto nel presente, dellinvivibilit del presente, compatibile con
Leopardi, a avviare il balzo postleopardiano verso il futuro, la tensione verso il progetto
duna societ desiderabile, nel saggio intitolato proprio Letteratura come proiezione del

56

desiderio, del 1969 [S, 243-44]: tensione che verr attenuata dal minimalismo
dellutopia pulviscolare del Calvino degli anni 70-80.
Si riprenda ora da unaltra angolazione il passo citato del Dialogo di Torquato Tasso e
del suo Genio familiare. Si visto che lidea leopardiana di desiderio proiettato nel futuro
e perennemente insoddisfatto connessa con la noia. Calvino nomina la noia,
affiancandola al vuoto (in accordo, del resto, col passo dello Zibaldone, 90, in cui la noia
non altro che il vuoto dellanima) nel Barone rampante, ove si legge di Cosimo: come
se le sue meditazioni a occhi fissi nel vuoto non avessero approdato che a una gran noia e
svogliatezza; e dellAbate: era gi stanco, annoiato, guardava nel vuoto [R, I, 550]. In I
cristalli (uno dei racconti di Ti con zero), la noia si accompagna al nulla: i ricordi del
nulla e dellinappetenza e della noia [R, II, 251]. In Se una notte dinverno un
viaggiatore, il vuoto si raccorda col nulla, linfinito, labisso: il racconto deve sforzarsi
[...] di riferire un dialogo costruito sul vuoto [...]: sotto ogni parola c il nulla [R, II,
691]; il nulla pi forte e ha occupato tutta la terra e il nulla [...] continua gi
allinfinito [R, II, 861]; ogni vuoto continua nel vuoto, ogni strapiombo anche minimo
d su un altro strapiombo, ogni voragine sbocca nellabisso infinito [R, II, 690]. Per
labisso, si potrebbe invocare il gi citato abisso orrido, immenso di Canto notturno, in
cui lidea di infinito implicita nellaggettivo immenso appartenente allarea
dellindefinitezza. Sospesa sullabisso, in Citt invisibili, la vita degli abitanti della
citt-ragnatela Ottavia, che richiama i ragnateli (del Tasso e del suo Genio familiare),
ed costruita sul vuoto, sul niente, legata alle due creste di un burrone con funi e
catene e passerelle [R, II, 421].

57

La costellazione calviniana di noia,2 vuoto, nulla, infinito e abisso, si trova sul


versante passivo del desiderio, cio sul versante opposto al compresente versante attivo
della vitalit, delleros, della proiezione verso il futuro. Aggregando materiali leopardiani
(e di altre origini, anche nichilisti) a quelli di marca propria, Calvino costruisce una
personale concezione dellinterazione tra la negativit dellesistenza e la positivit del
desiderio.
Importa infine, dei leopardiani diletti di materia simile ai ragnateli, lattributo
tenuissima, che rimanda alla leggerezza, indicata tra i valori letterari da Calvino in
Lezioni americane assieme ad altri, tra i quali lesattezza e la rapidit, e che vedremo ora
pi dappresso.

3. Esattezza, rapidit, leggerezza


Quanto allesattezza, Calvino apprezza la ricerca di Solmi, che centra di Leopardi il
nodo della vaghezza sensibile del verso in contrasto col principio della precisione
filologica e intellettuale [S, 1255]; e in Lezioni americane ribadisce lattenzione
estremamente precisa e meticolosa che egli [Leopardi] esige nella composizione dogni
immagine, nella definizione minuziosa dei dettagli, nella scelta degli oggetti,
dellilluminazione, dellatmosfera, per raggiungere la vaghezza desiderata [S, 680]. Se,
da un lato, questi rilievi scavano sotto la superficie della vaghezza, mettendo in luce un
importante aspetto linguistico di definitezza (presente nel linguaggio scientifico della
Storia dellastronomia e, in parte, anche nei Canti), dallaltro c una sovrapposizione
della poetica calviniana su quella leopardiana. Nello Zibaldone, la regolarit
geometrica, lesattezza, chiarezza materiale, precisione della lingua ne favoriscono la

58

diffusione universale, ma questi tratti non hanno niente a che fare con la bellezza
[243]; le voci precise convengono alla scienza e le parole pi vaghe alla letteratura
[1226]; una lingua eminentemente matematica bruttissima [643]; la precisione
moderna incompatibile colla eleganza anche nellitaliano purissimo di Galileo, che
dovunque preciso e matematico quivi non mai elegante [2013] sebbene sia in altri
casi caratterizzato da unassociazione della precisione colleleganza [1312-13]. vero
che, come scrive Calvino sulla base di questultimo reperto, Leopardi ammira la prosa di
Galileo [...] per la precisione e leleganza congiunte [S, 231], e si potr convenire con
lipotesi che la lingua di Galileo fu uno dei modelli della lingua di Leopardi [S, 228],
ma nel contesto degli altri e differenti asserti dello Zibaldone, or ora citati, il tracciato
linguistico da Galileo a Leopardi non va in linea retta. Resta il fatto che Calvino se ne
serve per mettere a punto il proprio linguaggio della determinatezza, nel quale, come si
legge in Palomar, sono da evitare le sensazioni vaghe [R, II, 875]. Partendo da Leopardi
e integrandolo con Galileo, Calvino arriva cos paradossalmente a capovolgere il concetto
leopardiano di vaghezza poetica.
Riguardo alla rapidit, le notazioni di Calvino corrispondono pi da vicino alla poetica
esplicita di Leopardi. Nello Zibaldone [2041] viene difeso lo stile rapido e conciso,
associato per di pi, come nelle Lezioni americane, alla molteplicit: La rapidit e la
concisione dello stile, scrive infatti Leopardi, piace perch presenta allanima una folla
didee simultanee, o cos rapidamente succedentisi, che paiono simultanee. Citando
questo passo nelle Lezione intitolata Rapidit, Calvino trasporta di nuovo Leopardi in
ambito moderno e reitera la propria preferenza per il linguaggio determinato; e facendo
risalire anche la rapidit leopardiana a Galileo, segnala le ascendenze illustri del proprio

59

stile rapido e molteplice: nello specifico leopardiano, attribuisce alle Operette morali il
modello di concisione di Cosmicomiche e Ti con zero [S, 671].
Rispetto alla leggerezza, osserva che Leopardi, pur puntando sulla rappresentazione
del peso del vivere, toglie al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce
lunare [S, 651-52].
Nellintesa tra Calvino e Leopardi a proposito della leggerezza c di pi. La polemica
calviniana (in saggi quali Il midollo del leone e La sfida al labirinto) contro la visceralit
in letteratura assimilabile al rigetto del turgido dei romantici [P, II, 505] e alla scelta
della moderazione psicologica [P, II, 528] del leopardiano Discorso di un italiano
intorno alla poesia romantica. Confrontandosi coi contemporanei, cio, tanto Leopardi
quanto Calvino prendono le distanze da una letteratura di effetti psicolinguistici
ipertrofici e si dichiarano a favore della misura, salvo poi differenziarsi nella direzione
ideativa e negli sviluppi della poetica: sfociata in Leopardi nella poesia lirica [Z, 4234 e
4476], malinconica e sentimentale [Z, 136], e in Calvino nella reticenza rispetto ai temi
dellio.
Il concetto di leggerezza compare, assieme a quello di gioco, nelle Operette morali.
Nel Dialogo dErcole e di Atlante, il mondo fatto cos leggero, che questo mantello
che porto per custodirmi dalla neve, mi pesa di pi [OM, 74]. In Proposta di premi fatta
dallAccademia dei Sillografi, a giudizio di molti savi, la vita umana un giuoco, ed
alcuni affermano che ella cosa ancora pi lieve, e che tra le altre, la forma del giuoco
degli scacchi pi secondo ragione, e i casi pi prudentemente ordinati che non sono
quelli di essa vita [OM, 86]. Lintento di Leopardi satirico, polemico nei confronti
della leggerezza concepita come superficialit e estranea in tale accezione a Calvino.

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Calviniana , sul piano psicologico, la leggerezza del gioco letterario come argine al caos
e allinforme del vissuto. Sul piano tematico, Calvino conserva e elabora il motivo del
gioco astrale. Si veda il gioco leopardiano del Dialogo dErcole e di Atlante (facciamo
insieme alla palla con questa sferuzza, ovvero con la Terra, OM, 76), comparabile ai
calviniani giochi siderali di Qfwfq in Cosmicomiche.

4. Il fantastico, lapocrifo, lo sperimentale


Le Operette morali sono in verit uno dei classici pi letti da Calvino, che in esse
riscontra: la prosa umoristica di notevole pregio stilistico (great style, humour), e di
imagination and profoundity of thought, 3 ossia di invenzione e pensiero [S, 671]; un
rapporto dinterrogazione col mondo [S, 33]; lOperetta come genere settecentesco [S,
1514]; un fantastico di congetture cosmologiche [S, 686], non stregonesco n orrido
[S, 1690]; il gusto per lapocrifo, come nel Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco
e nel Cantico del gallo silvestre [S, 686]. Giudica le Operette e altri testi leopardiani il
vero seme da cui poteva nascere il fantastico italiano per la mente lucida, la
disciplina stilistica [S, 1676], il disincanto e lironia del loro autore [S, 1679]. Mette a
fuoco un Leopardi romanziere [S, 1508] anche in poesia e anche se non ha mai scritto
un romanzo [S, 33].
un contributo critico proiettato sul Novecento sperimentale. Considerando, tra le
posizioni calviniane sulle Operette, quella sullapocrifo, se ne ritrovano le tracce nello
Zibaldone [1788]: il vero letterato (se non mescola alla verit limpostura) non guadagna
mai nulla [...]; uno dei maggiori miracoli dellimpostura si di render fruttuosa la
letteratura. C in nuce, in questo estratto, unanticipazione della concezione

61

novecentesca denominata da Manganelli letteratura come menzogna.4 Si aggiunga che,


come Leopardi compone apocrifi, cos ne creano, in Se una notte dinverno un
viaggiatore, lautore Calvino e i personaggi Marana e Sylas Flannery, il quale ultimo
confessa: la mia vocazione vera era quella dautore dapocrifi [...]; perch non c
certezza fuori della falsificazione [R, II, 802]. Tale ammissione riconduce, ancora una
volta, non solo a Leopardi, ma soprattutto a Borges.
Ci che Calvino rinviene nelle Operette consono alla propria poetica; tanto che, oltre
ad ascriverle esplicitamente a fonte non solo di Cosmicomiche e Ti con zero, come si
accennato, ma anche di Palomar [S, 671], e implicitamente, per la dovizia delle citazioni,
di Lezioni americane,5 arriv a dichiarare, in un momento, forse, di entusiasmo
eccessivo, ma segnalando un modello fondamentale: le Operette morali sono il libro da
cui deriva tutto quello che scrivo. 6 La poetica calviniana non intercomunica con le
Operette solo per mezzo dei gi nominati gioco, leggerezza, apocrifo. Sul piano dei
riferimenti intertestuali, si potrebbe spaziare da consonanze accennate dalla critica, come
quelle tra le Cosmicomiche e la Storia del genere umano, tra Palomar e il Cantico del
gallo silvestre (su cui ci si soffermer pi oltre), o tra il calviniano Fischio del merlo e il
leopardiano Elogio degli uccelli,7 al nesso tra un profumo seducente e il desiderio nel
racconto di Calvino Il nome, il naso in parallelo al paragone tra i piaceri umani e gli
odori nellOperetta Detti memorabili di Filippo Ottonieri [OM, 193] e nello Zibaldone
[1537-38].
Ci che si dir subito che la retorica del fantastico di Calvino somiglia a quella di
Leopardi nellimpiego di elementi quotidiani. tale il bucato nel Dialogo leopardiano
in cui la Terra dice alla Luna: non arrivo a scoprire in te nessun abitante: sebbene odo

62

che un cotal Davide Fabricio, che vedeva meglio di Linceo, ne scoperse una volta certi,
che spandevano un bucato al sole [OM, 108]; in pari modo, nel racconto calviniano Tutto
in un punto, si cucinano tagliatelle prima ancora che nel cosmo si sia formato lo spazio.
Queste strategie testuali indicano una propensione, condivisa dai due scrittori, per ci che
Leopardi delinea come resa del meraviglioso tramite oggetti comuni, preferibili agli
elementi straordinari [P, II, 543].

5. Pensiero e immaginazione
Pi a fondo, uno dei nodi essenziali della poetica calviniana rispetto alle Operette, ma
in realt rispetto a tutto Leopardi, la relazione tra pensiero e immaginazione, tra poesia
e filosofia e tra letteratura e scienza.
La natura della simbiosi tra immaginazione e pensiero in Calvino esplicitata in La
giornata di uno scrutatore, il cui protagonista, Amerigo Ormea, siccome era abituato a
ragionare per immagini, continuava a scegliere nei libri dei pensatori il nocciolo
immaginoso [R, II, 49]. Coerente con questo atteggiamento, Calvino definisce le
Operette straordinarie invenzioni narrative,8 basate sul gi citato binomio invenzione e
pensiero: due componenti che confluiranno nellalveo principale della sua opera.
Il calviniano nocciolo immaginoso dei pensatori ha dei corrispettivi nello Zibaldone
di Leopardi: quanto limmaginazione contribuisca alla filosofia [1650]; chi non ha mai
avuto immaginazione [...] non pu essere un grande, vero, perfetto filosofo [1833]; i pi
profondi filosofi, i pi penetranti indagatori del vero, e quelli di pi vasto colpo docchio,
furono espressamente notabili e singolari anche per la facolt dellimmaginazione
[3245]. Qui, e in altre pagine dello Zibaldone, Leopardi pone laccento sulla filosofia, che

63

nel 1821 reputa in termini di inimicizia con la poesia quando questultima si riduca a
ideologia [1231], in quanto la poesia ha per oggetto il bello e la filosofia ha per oggetto
il vero, pertanto la poesia, quanto pi filosofica, tanto meno poesia [1229]; ma nel
1823 corregge le affermazioni precedenti, sostenendo:
tanto mirabile quanto vero, che la poesia la quale cerca per sua natura e propriet il bello, e
la filosofia chessenzialmente ricerca il vero, cio la cosa pi contraria al bello; sieno le qualit
pi affini tra loro, tanto che il vero poeta sommamente disposto ad esser gran filosofo, e il
vero filosofo ad esser gran poeta, anzi n luno n laltro non pu esser nel gener suo n
perfetto n grande, sei non partecipa pi che mediocremente dellaltro genere, quanto
allindole primitiva dellingegno, alla disposizione naturale, alla forza dellimmaginazione
[3382-83].

Nel 1824, nellOperetta Il Parini, ovvero della gloria, si ha unulteriore precisazione: il


soggetto principale delle lettere la vita umana, il primo intento della filosofia lordinare
le nostre azioni [OM, 155].
Nel saggio Filosofia e letteratura, sostenendo, come il Leopardi del 1821, che queste
due discipline sono in lotta tra di loro, Calvino osserva (in maniera non troppo diversa
dal Parini, ovvero della gloria) che la filosofia cancella lo spessore carnoso del mondo,
riduce la variet dellesistente a una ragnatela di relazioni tra concetti generali, fissa le
regole. Seguendo sintonie non leopardiane, specifica che la letteratura sovverte le
regole del gioco [S, 188-89]. Nello stesso saggio, pur osteggiando gli scrittori troppo
direttamente e pesantemente filosofici, vede con favore una moderna figura di scrittore
philosophe [S, 194], tra i cui ascendenti colloca Voltaire (uno degli interlocutori culturali
di Leopardi) e, accanto a lui, Diderot, Swift, Sterne, Carroll (che considera degustatore
di filosofia come stimolo alla immaginazione, S, 195) e il Leopardi dei Dialoghi:
questultimo perch la vera contestazione della filosofia nellironia lucida [S, 194]. In
definitiva, il contrasto tra filosofia e letteratura, risolto da Leopardi con lammissione

64

della loro affinit per il tramite dellimmaginazione e della ricerca della verit, viene
affrontato in maniera simile da Calvino, con le precisazioni della filosofia in quanto
stimolo allimmaginazione e di quella ironia lucida, formula che compenetra la
leggerezza (ironia)9 e il vero (lucida). Calvino risolve per la contraddizione tra
letteratura e filosofia inserendo un terzo elemento, la scienza, ovvero proponendo un
mnage trois: filosofia letteratura scienza [S, 193], in cui la letteratura sia in grado di
superare tanto le astrazioni teoriche quanto lapparente concretezza della realt [S, 194].
Si visto che Leopardi non estraneo al discorso scientifico, ma lo ritiene distinto da
quello poetico. Calvino fa invece proprio il linguaggio scientifico galileiano e
leopardiano e lo eleva a linguaggio narrativo entro le coordinate di una cosmicit tanto
letteraria quanto scientifica. La linea calviniana Galileo-Leopardi va ampliata con
laggiunta di Newton e Voltaire. Nelle Lezioni americane, le teorie scientifiche di
Newton stanno alla base dellinvenzione letteraria del Micromgas di Voltaire [S, 650]; e
si tenga conto del fatto che Micromgas figura gigante come la Natura nel Dialogo
della Natura e di un Islandese. Il newtoniano Voltaire scrittore philosophe come
Leopardi, della cui Storia dellastronomia Calvino nota: compendia le teorie
newtoniane [S, 651]. Tra le teorie scientifiche newtoniane riferite da Leopardi nella
Storia dellastronomia si distilli quella secondo la quale i corpi celesti pi forti attirano i
pi deboli: Sole, pianeti, comete e satelliti operano [...] scambievolmente gli uni sugli
altri, agiscono e reagiscono, combattono fra loro, ed il pi forte riman vincitore [P, II,
952]; enunciato rispecchiato, nel racconto calviniano La molle luna, dalla frase: la Terra
troppo pi forte: finir per spostare Luna dalla sua orbita e farla girare intorno a s [S,
230].

65

Su un versante inventivo, un altro racconto lunare di Cosmicomiche, La distanza della


luna, indebitato col tentativo (fallito) di raggiungere la luna da un alto monte, ai vv.
208-37 della Satira III di Ariosto.10 Fubini segnala unallusione di Leopardi alla Satira
ariostesca nellOperetta Dialogo della Terra e della Luna, ove il pianeta dice al satellite:
in diversi tempi, molte persone di quaggi si misero in animo di conquistarti esse; e a
questeffetto fecero molte preparazioni. Se non che, salite in luoghi altissimi, e levandosi
sulle punte de piedi, e stendendo le braccia, non ti poterono arrivare [OM, 110]. La
situazione di La distanza dalla luna dunque un richiamo sia ariostesco che leopardiano,
conservato da Calvino nella difficolt, impossibilit o non volont di salire sulla luna alla
fine del racconto; ma rovesciato nella possibilit attuata di raggiungerla: allinizio da
parte di tutti i personaggi, e alla fine, quando la luna si allontana definitivamente dalla
terra, da parte della sola Vhd Vhd (lallunaggio realizzato comunque un ulteriore
aggancio ariostesco, al viaggio di Astolfo nel Furioso).11
Il connubio tra Ariosto e Leopardi, evidenziato nei Saggi da Calvino,12 in realt
problematico. Nel leopardiano Ad Angelo Mai [v.108], Ariosto , positivamente, cantor
vago. Nello Zibaldone criticato per leccessiva lunghezza del Furioso, la successione
di argomenti diversi [4356], le seicensterie [4], e giudicato, assieme a Ovidio, di
immaginazione feconda, in parte positivamente, ma nellinsieme negativamente perch
in contrasto con limmaginazione forte di Omero e Dante [152]; Ariosto infine ottimo
rappresentante del genere immaginativo, tanto da abbagliare, ma meno profondo e
vero dei poeti sentimentali [732]. Nondimeno, si appena visto che Leopardi si rif a
Ariosto nelle Operette; e non pare, in tal senso, troppo peregrina la linea AriostoLeopardi, tracciata nei testi creativi di Calvino principalmente rispetto alla lunarit. 13 La

66

luna, oltre ad essere lelemento di saldatura tra la leggerezza calviniana e leopardiana [S,
651-52], dunque il tratto di unione tra lelemento immaginoso ariostesco-leopardiano e
quello scientifico galileiano-newtoniano-leopardiano di Calvino,14 ma si proietta pi in l
nel fantastico novecentesco: la caduta della luna nei racconti La molle luna e Le figlie
della luna infatti eco del frammento leopardiano Odi Melisso e, tramite Algarotti (come
dichiara Calvino, S, 2976), di Newton, ma, sia perch la luna cade, sia perch, in Le figlie
della Luna, ha un aspetto prosaico (rovinato, rosicchiato, essicato, spugnoso, R, II,
1193), anche accostabile al Racconto del Lupo Mannaro di Landolfi.15
La luna leopardiana poi, in Calvino, emblema della riflessione sulla tecnologia e sui
suoi effetti sul mondo contemporaneo, come nel saggio Rapporto con la luna e nel
Dialogo sul satellite.16 La luna infine veicolo della riflessione leopardiana sulla natura,
della disarmonia tra lio e il mondo e dellirto colloquio tra idillio e antidillio, temi
rilevanti in Calvino e verso i quali ora ci si volge.

6. Difficolt dellidillio
Lincanto (calvinianamente la leggerezza) con cui viene contemplato e descritto il
satellite, in toni apparenti di idillio negli incipit dei testi lunari di Leopardi, si dissolve nel
corso di questi e altri Canti perch il soggetto poetante percepisce una penosa disarmonia
rispetto alla natura: in ci riposta limpossibilit dellidillio esaminata da Anna Dolfi. 17
Dopo gli scritti del primo periodo, la disillusione di Leopardi rispetto alla fiducia
nellarmonia della natura che mira sempre alla felicit degli esseri [Z, 255, 30
settembre 1820] lo porta a esplorare la disarmonia, fino a invertire liniziale ottimismo,
rilevando che la natura essenzialmente regolarmente e perpetuamente persecutrice e

67

nemica mortale di tutti glindividui dogni genere e specie [Z, 4485-86, 11 aprile 1829].
Si pu dire, con Schiller, che siamo orfani della natura; e Leopardi, cosciente che la
natura [...] sparita [Z, 562], ce lo dimostra. O meglio, come suggerisce Ferrucci,
Leopardi mette in rilievo il deserto successivo alla perdita dei miti sullo stato di natura,
alla nostalgia dei quali si relaziona nella consapevolezza che sono scomparsi. 18
Calvino si pone in modo articolato di fronte a questa dinamica leopardiana. Poich
ritiene che il rapporto uomo-natura e io-natura sia essenziale, ammira Leopardi (e, per
la stessa ragione, Stevenson e Melville) [S, 34]. Limmersione nella natura, nei testi
narrativi, presente soprattutto nel Barone rampante, ove il protagonista, Cosimo, si fa
tuttuno con luniverso vegetale; e la foresta primigenia si propaga su spazi mitici di
estensione amplissima. Calvino si cautela, per, dalla caduta nellidillio in quanto
commozione e nostalgia, proponendo in luogo di quelli la coscienza acuta del negativo
[S, 22], che un altro e collegato aspetto della riflessione leopardiana, riscontrabile in
particolare nel mirare intrepidamente il deserto della vita, non dissimularmi nessuna
parte dellinfelicit umana dellOperetta Dialogo di Tristano e di un amico [OM, 282].
Nel prendere le distanze dallidillio, e forse con un riferimento al natio borgo selvaggio
di Ricordanze [v. 30], Calvino precisa che le Recanati [...] non si devono amare, anche
se pur vero che in Italia la grande poesia si sempre fatta a Recanati [S, 1032]. Per
sottolineare i rischi di scivolamenti nellidillio, allude al contrasto leopardiano tra
coscienza del presente e memoria del passato, impiegando il verbo contemplare delle
Ricordanze [v. 1] per Marcovaldo che, nel racconto La pioggia e le foglie, mentre
contempla una pianta, segue dei ricordi designati dallaggettivo leopardiano indistinti.
Nelle Ricordanze [vv. 58-59] lafflato dei ricordi (o meglio dellatto di ricordare dolce

68

per s) ostruito dallavversativa ma con dolor sottentra / il pensier del presente; ed


ecco un analogo ma in La pioggia e le foglie: ma tra questi ricordi saffacciava, pi
chiaro e vicino, quello dei dolori reumatici che lo affliggevano ogni anno [R, I, 1140]. In
questo episodio di Marcovaldo, c sia un riferimento serio alla leopardiana disarmonia
(al mancato idillio) tra passato e presente veicolata dalla percezione del dolore, sia una
presa di distanza dalla commozione della sofferenza spirituale per mezzo della traduzione
parodica in corporale reumatismo.
Permangono, in Calvino, momenti di percezione di una natura consolante, ma
vengono contrapposti alla coscienza della loro marginalit. In La nuvola di smog:
Questo parco, questo fiume, - io pensavo, - possono stare solo in margine, consolarci del
resto; una bellezza antica non pu nulla contro una bruttezza nuova [R, I, 939]. Non a
caso, Calvino intitola Idilli difficili una serie di suoi racconti. In unaltra serie, Amori
difficili, la coscienza acuta del negativo si traduce in consapevolezza delle
contraddizioni: cos, in Avventura di un fotografo, viene respinta una scelta in senso
idillico, apologetico, di consolazione, di pace con la natura la nazione i parenti. Non
soltanto una scelta fotografica, la vostra; una scelta di vita che vi porta a escludere i
contrasti drammatici, i nodi delle contraddizioni, le grandi tensioni della volont, della
passione, dellavversione [R, II, 1100]. La Presentazione del 1966 alledizione scolastica
di Marcovaldo chiarifica che luomo contemporaneo ha perduto larmonia tra s e il
mondo in cui vive, e il superamento di questa disarmonia un compito arduo, le speranze
troppo facili e idilliche si rivelano sempre illusorie. Ma latteggiamento che domina
quello dellostinazione, della non rassegnazione [R, I, 1236]; anchesso consono a quello

69

del Tristano di Leopardi: io non mi sottometto alla mia infelicit, n piego il capo al
destino, o vengo seco a patti [OM, 286].
Se la fermezza dellostinazione, della non rassegnazione simile in Leopardi e
Calvino, restano per distinti i luoghi e i modi di applicazione. Alla coscienza della
nullit dellesistenza e alla polemica di Leopardi contro il progresso tecnologico, Calvino
contrappone il riscontro dellalienazione nella societ industriale e la concomitante
volont di misurarvisi attivamente, nella consapevolezza che tramontata ogni
configurazione di ruralit. Al riguardo, si veda la Presentazione a Marcovaldo:
La posizione di questo libro di fronte al mondo che lo circonda. la nostalgia, il rimpianto
per un idillico mondo perduto? Una lettura in questa chiave, comune a tanta parte della
letteratura contemporanea che condanna la disumanit della civilt industriale in nome dun
vagheggiamento del passato, certamente la pi facile. Ma se osserviamo pi attentamente,
vediamo che qui la critica alla civilt industriale si accompagna a una altrettanto decisa
critica a ogni paradiso perduto. Lidillio industriale preso di mira allo stesso modo
dellidillio campestre: non solo non possibile un ritorno indietro nella storia, ma anche
quellindietro non mai esistito, unillusione. Lamore per la natura di Marcovaldo solo
quello che pu nascere in un uomo di citt [R, I, 1236].

In Calvino la natura [...] sparita non solo, e non tanto, leopardianamente, come
fonte di felicit e di uno stato aureo di perfezione originaria, bens socialmente, come
nella citazione test riferita, e in seguito (nel Calvino degli anni 70 e 80) in una tarda
modernit in cui lartificiale prevale sul naturale. In Se una notte dinverno un
viaggiatore, il narratore di Quale storia laggi attende la fine? cancella il mondo e fa
sparire anche elementi della natura.19 E Palomar si domanda: La natura non esiste? [R,
II, 886]. In Palomar, la natura pu essere solo fenomenologicamente contemplata, come
sopravvivenza di qualcosa che forse non esiste in una societ ormai inevitabilmente
mutata e tale da mettere in questione lo statuto stesso di sopravvivenza della realt
percepita dai sensi.

70

7. Morte e apocalisse
Calvino, si detto, non aderisce alla polemica antiprogressista di Leopardi; non per
questo sposa idee eccessivamente ottimiste. Semmai si muove tra le coordinate della
leopardiana posizione laica e materialista, pessimista [S, 341], contraria a tutte le
illusioni della sua et, le utopie illuministiche e le fantasticherie romantiche. 20 In forza di
ci ritrova, nellapparentemente ottimista Settecento, visioni non provvidenziali del
mondo [S, 897]. Nelle ultime opere, sulla scorta di questo pessimismo acuitosi rispetto
alla poetica precedente, include non di rado la morte e la catastrofe con richiami
leopardiani pi e meno diretti.
Uno di tali richiami il Gallo silvestre. Ivi si legge che tal cosa la vita che, a
portarla, fa di bisogno ad ora ad ora, deponendola, ripigliare un poco di lena, e ristorarsi
con un gusto e quasi una particella di morte [OM, 230]. Similmente, nel calviniano
Come imparare a essere morto, Palomar decide che dora in poi far come se fosse
morto e dovrebbe provare una sensazione di sollievo [R, II, 975], sennonch, a
differenza del precetto di Gallo silvestre, il sollievo (o, leopardianamente, lena e
ristorarsi), Palomar non lo prova, al contrario si accorge che esser morto meno facile
di quel che pu sembrare [R, II, 975].
Si raffronti, poi, la conclusione di Gallo silvestre con il penultimo paragrafo di Come
imparare a essere morto. In Gallo silvestre: Tempo verr, che esso universo, e la natura
medesima, sar spenta [...] e delle infinite vicende e calamit delle cose create, non
rimarr pure un vestigio; ma un silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno lo
spazio immenso. Cos questo arcano mirabile e spaventoso dellesistenza universale,

71

innanzi di essere dichiarato n inteso, si dileguer e perderassi [OM, 231].21 In Come


imparare a essere morto, si arriva al momento in cui sar il tempo a logorarsi e ad
estinguersi in un cielo vuoto, quando lultimo supporto materiale della memoria del
vivere si sar degradato in una vampa di calore, o avr cristallizzato i suoi atomi nel gelo
di un ordine immobile [R, II, 979]. Laffinit generica tra i due passi pare evidente:
troppo illustre questa apocalisse di Leopardi, nellambito della letteratura italiana, per
non essere una ripresa da parte di Calvino. Scendendo pi nel dettaglio, in Calvino non
pi questione di tempo verr che la natura sar estinta: il futuro verr sostituito dal
presente si arriva, e il tempo dal momento. Paiono sostituzioni parafrastiche, segnali
di una citazione volutamente non letterale. Unaltra sostituzione viene operata nelle
modalit della fine del mondo: Calvino aggiorna lo spegnersi e lestinguersi
leopardiano con il concetto scientifico moderno della cristalizzazione degli atomi che,
accompagnata dallimmobilit (ordine immobile), corrisponde, sul piano metaforico,
alla leopardiana quiete.
Sullapocalisse leopardiana, con riferimento alle Operette, lultimo Calvino torna pi
volte. Nel saggio La conoscenza pulviscolare in Stendhal [S, 958], lentropia sar
comunque alla fine la trionfatrice, e delluniverso con tutte le sue galassie non rester che
un vorticare datomi nel vuoto: il segnale leopardiano sembrerebbe qui non rester che,
simile al non rimarr pure del brano sopra citato di Gallo silvestre.22 Nel testo di
Calvino Le fiamme in fiamme, lentropia delluniverso, destinato a decomporsi in una
nube di calore [S, 620] contigua alle fiamme dei pianeti che precipiteranno nel sole o
nelle loro altre stelle dellOperetta Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco [OM,
236]. In una riflessione apocalittica di Se una notte dinverno un viaggiatore, figura la

72

formula genere umano, di ascendenza leopardiana:23 un mondo in cui il genere umano


scomparso e le cose non sanno che parlare della sua assenza [R, II, 664]. Siamo
insomma a un Calvino che sembra vedere il mondo come lultimo Leopardi, il Leopardi
del deserto; ma scopre frattanto elementi e momenti di sopravvivenza nellironia e nella
quotidianit di Palomar.
La sopravvivenza della vita, nellultimo Leopardi, simbolizzata dalla ginestra che,
nellomonimo Canto, si abbarbica alla lava, al deserto. Complanari a questo simbolo sono
quelle minime tracce luminose, contrapposte alla buia catastrofe, che Calvino
riscontra nella poesia di Montale [S, 634]. Non sorprende perci che egli lanci un ponte
tra Leopardi e Montale: Non c messaggio di consolazione e dincoraggiamento in
Montale se non si accetta la consapevolezza delluniverso inospite e avaro: su questa
via ardua che il suo discorso continua quello di Leopardi, anche se le loro voci suonano
quanto mai diverse [S, 1193].
In Casa sul mare di Montale, nelluniverso inospite, si addita una via di fuga, un
varco: Penso che per i pi non sia salvezza, / ma taluno sovverta ogni disegno, / passi il
varco, qual volle si ritrovi. / Vorrei prima di cedere segnarti / codesta via di fuga. 24
Anche nel racconto di Calvino Limplosione, c un varco per sfuggire: Qfwfq sta
sfuggendo la catastrofe del tempo, trova un varco per sottrarsi alla sua condanna, si lancia
attraverso la breccia, sicuro dessersi messo al sicuro, da uno spiraglio del suo rifugio
contempla il precipitare degli eventi da cui scampato, commisera con distacco chi ne
travolto [R, II, 1272]. Calvino propone qui, come Montale (e forse, con quel varco,
tramite Montale), una propria via di salvazione. Nel farlo, cita il distacco con cui
contempla.

73

Contemplare... verbo leopardiano, si visto, come lo mirare... con distacco che


Leopardi, conscio delle disillusioni, in Aspasia [v. 112], giace sullerba e afferma: il mar
la terra e il ciel miro e sorrido. 25

Si impone una chiusa al discorso che si condotto sul dialogo di Calvino con Leopardi
e che si desidera lasciare il pi possibile aperto, assembrando qui solo un numero limitato
di proposizioni.
Di Leopardi, risuonano in Calvino gli aspetti che pi lo coinvolgono in quanto
scrittore. per questo che definisce Leopardi romanziere; mira al suo lato immaginoso
senza sottacerne il pensiero; ne esalta definitezza, rapidit, leggerezza. Si tratta di una
lettura personale, ma criticamente produttiva perch scioglie il ghiaccio dello stato di
pena leopardiano, liberandolo da ogni stasi nichilista e facendone fluire il pessimismo
verso lutopia.
Verificare la presenza massiccia di Leopardi in Calvino significa liberare a sua volta
Calvino dalla possibilit che venga letto come scrittore soltanto della superficie. Sotto la
sua limpidezza, si apposta lansia del vuoto, del nulla, controllata dalla ragione, ossia da
uno degli strumenti con cui Calvino elabora, trasformandola, leredit leopardiana.
Leopardi e Calvino si protendono nellinfinito della complessit.

NOTE
1

Sigle in ordine alfabetico:


OM: Giacomo Leopardi, Operette morali seguite da una scelta dei Pensieri, a cura di Mario Fubini,
Torino, Loescher, (19661), 1988
P, II: Giacomo Leopardi, Tutte le opere di Giacomo Leopardi. Poesie e Prose, vol. II, a cura di
Francesco Flora, Milano, Mondadori, (19401), 1957

74

R, I: Italo Calvino, Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio Milanini, a cura di Mario Barenghi e
Bruno Falcetto, vol. I, Milano, Mondadori, 1991
R, II: Italo Calvino, Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio Milanini, a cura di Mario Barenghi
e Bruno Falcetto, vol. II, Milano, Mondadori, 1992
R, III: Italo Calvino, Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio Milanini, a cura di Mario Barenghi
e Bruno Falcetto, vol. III, Milano, Mondadori, 1994
S: Italo Calvino, Saggi 1945-1985, a cura di Mario Barenghi, 2 voll., Milano, Mondadori, 1995
Z: Giacomo Leopardi, Tutte le opere di Giacomo Leopardi. Zibaldone di pensieri, a cura di Francesco
Flora, 2 voll., Milano, Mondadori, (19371), 1949 (la numerazione delle pagine da noi indicata quella
leopardiana, in grassetto nelledizione a cura di Flora).
2
In Understanding Italo Calvino (Columbia, University of South Carolina Press, 1993, p. 212),
Beno Weiss accenna alla noia leopardiana nellultimo Calvino: in Come imparare a essere morto, Mr
Palomars reaction clearly parallels the noia (ennui) concept of [...] Leopardi, who, incidentally, appears
again and again in many of Calvinos writings.
3
William Weaver, Calvino: An Interview and Its Story (1982), in Franco Ricci, a cura di, Calvino
Revisited, Dovehouse, Ottawa, 1989, p. 30.
4
Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna (1967), nel volume omonimo, Milano,
Adelphi, 1985, pp. 215-23.
5
In un saggio fondamentale per capire non solo le Lezioni americane ma tutto Calvino (Lezioni
americane di Italo Calvino, in Genus italicum. Saggi sullidentit letteraria italiana nel corso del tempo,
Torino, Einaudi, 1997, pp. 753-95), Alberto Asor Rosa afferma , a p. 789, che la figura italiana centrale
del ragionamento di Lezioni americane senza dubbio [...] quella di Giacomo Leopardi. Passione a mio
giudizio pi recente di Italo Calvino, essa tuttavia cresciuta in lui fino al punto di favorire unaffinit che
va al di l di eventuali simpatie stilistiche e tematiche, soprattutto per gli interrogativi cosmici e
esistenziali che pone nelle Operette morali (p. 788); e conclude: Faccio una proposta: se si accostano
luno alle altre Palomar e le Lezioni americane - la forma poetica e quella saggistico-critica ultime della
scrittura calviniana, e se si leggono le due opere come facce di una medesima medaglia [...] -, ci troveremo
di fronte alle nostre Operette morali del XX secolo: protese a scrutare lorizzonte, come quelle leopardiane,
dalla punta aguzza duna vetta isolata, e al tempo stesso ancorate solidamente da uninfinit di gioghi e
colline ad un retroterra sterminato.
6
In una lettera a Antonio Prete, 10-3-1984, Nuova Corrente, XXXIV.100, 1987, p. 419.
7
In La vena cosmogonica di Italo Calvino: appunti su Le cosmicomiche e Ti con zero (Italica,
XLIX.3, 1972, p. 292), Antonio Illiano vede un influsso di Leopardi su Calvino attraverso la lucida
parodia del mito delluomo racchiusa nella Storia del genere umano. Si potr aggiungere che linflusso di
questa Operetta di Leopardi lo conferma anche luso linguistico: Calvino (nei saggi, come pure nella
narrativa, ad esempio in R, II, 50) adotta il sintagma leopardiano genere umano. Il rapporto tra LElogio
degli uccelli e Il fischio del merlo individuato da Martin McLaughlin in Italo Calvino, Edinburgh
University Press, 1998, p. 130, ove pure si rapporta il leopardiano Frammento apocrifo di Stratone da
Lampsaco al testo Locchio e i pianeti di Palomar, con richiami alla segnalazione di Elogio degli uccelli,
Cantico del gallo silvestre e Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco tra le Operette che influiscono
su Palomar in Antonio Prete, Palomar o la vertigine della misura, Nuova Corrente, cit., p. 247; ed anche
allindicazione di un possibile rapporto tra il Dialogo della natura e di un Islandese e Tempesta solare in
Claudio Milanini, Lutopia discontinua. Saggio su Italo Calvino, Milano, Garzanti, 1990, pp. 107-08.
8

Intervista a Italo Calvino (1978), a cura di Guido Almansi, in Nuova Corrente, cit., p. 397.
9
Parlando del Dialogo di Federico Ruysch e delle sue Mummie, Calvino rileva che Leopardi non
sarebbe Leopardi senza la leggerezza dellironia [S, 1674].
10
In Tutte le opere di Ludovico Ariosto, a cura di Cesare Segre, vol. III, Milano, Mondadori, 1984,
pp. 42-43.
11
Si aggiunger che lorigine della scalata ariostesca alla Luna, della Satira III, come nota Cesare
Segre, a sua volta da spostarsi indietro a Alberti (Proemio al VII Libro delle Intercenali). Cfr. Tutte le
opere di Ludovico Ariosto, a cura di Cesare Segre, cit., p. 596.
12
Lungo la linea Ariosto-Galileo-Leopardi [S, 233]; e nellintervista a Almansi, cit., pp. 396-97.

75

13

In Ariosto in Calvino (Nuova Corrente, cit., p. 257), Stefano Verdino, esaminando alcuni dei
riferimenti citati, sostiene che Ariosto non fu mai un autore di Leopardi, il quale ne indic la forte
limitazione, pertanto la linea Ariosto-Leopardi tutta nella mente e nella strategia di Calvino; meno
estrema la nostra posizione, si concorda con laffermazione che il leopardismo di Calvino uno dei pi
sottili e profondi del nostro Novecento.
14
Per dichiarazioni esplicite di Calvino in proposito, cfr. c il filo che collega la luna, Leopardi,
Newton [S, 652]; e la relazione tra la luna dei poeti e quella della scienza cosmonautica, con richiami a
Galileo e a Leopardi [S, 226-28]. Il rapporto tra Calvino, Galileo e Leopardi rispetto alla lunarit
analizzato puntualmente da Paolo Rota in La sfera e la luna. Studio di una figura tra Leopardi, Galileo e
Calvino, in Lune leopardiane. Quattro letture testuali, Bologna, CLUEB, 1997, pp. 39-77. Nellanalisi di
Rota, ci pare particolarmente importante il rilievo che tutti i rimandi agli scritti galileiani citati da Calvino
appartengono alla scelta leopardiana per la Crestomazia, o sono variazioni sopra i temi presenti in essa (p.
65). In Lezioni americane di Italo Calvino (cit., p. 786), accanto alla linea Ariosto-Galileo-Leopardi, Asor
Rosa evidenzia il raccordo Galileo-Dante, in quanto entrambi si ponevano il problema importante per
Calvino di fondare una mappa del mondo; collega inoltre Leopardi ad altri autori citati da Calvino:
Lucrezio, Cyrano, Ponge. In Calvino (Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 107), Silvio Perrella individua una
nuova costellazione scoperta da Calvino nella letteratura italiana: una costellazione che unisce la
lievitante avventurosit di Ariosto, il preciso telescopio linguistico di Galileo, lintensit lirica di Leopardi
e la forza affabulatoria e romanzesca di Nievo.
15
Per il rapporto tra Odi Melisso e i racconti calviniani La molle luna e Le figlie della luna, cfr., tra
gli altri, Martin McLaughlin, cit., p. 93. Per il rapporto tra La molle luna e Landolfi, cfr. Roberto Bertoni,
Intabrigu intubagu. Discorso su alcuni aspetti dellopera di Italo Calvino, Torino, Tirrenia Stampatori,
1993, p. 93; nello stesso volume, altri cenni al rapporto tra Leopardi e Calvino alle pp. 76-77 e 196-97.
16
Martin McLaughlin (cit., p. 80) evidenzia la citazione di Canto notturno di un pastore errante
dellAsia nel Dialogo sul satellite. Il passo che la contiene il seguente: Penso ai tanti che in questo
momento pensano e parlano del satellite come noi: pastori dellAsia centrale, o del Marocco, e disoccupati,
e affamati, e analfabeti, e minatori [R, III, 229]. McLaughlin nota il rapporto del Dialogo sul satellite
anche con Galileo.
17
Anna Dolfi, Leopardi tra negazione e utopia, Padova, Liviana, 1973.
18
Franco Ferrucci, Leopardi e il rimpianto del mito (in Letteratura italiana, vol. V, Le questioni,
Torino, Einaudi, 1986, pp. 541-42): la morte delle favole vissuta come sciagura da Leopardi, che per
mostra di aver abbandonato anche la nostalgia mitologica, il che pone le Operette nella loro giusta
dimensione di invenzione ironica anche se non blasfema.
19
In Lutopia discontinua (cit., p. 164), Milanini definisce di sapore leopardiano proprio un passo
di questa cancellazione della natura: La natura... Ah, ah, non crediate che non abbia capito che anche
quella della natura una bella impostura [R, II, 857].
20
Intervista a cura di Almansi, cit., p. 397.
21
In Lezioni americane, viene citata lultima parte di questo brano: da Cos questo arcano a
perderassi [S, 686].
22
Riferendosi al saggio su Stendhal in generale, in Limmaginazione mitologica. Leopardi e
Calvino, Pascoli e Pasolini (Bologna, Pendragon, 1996), Marco Antonio Bazzocchi osserva che
sembrerebbe uno Stendhal molto vicino a certi enunciati dello Zibaldone (e Leopardi viene esplicitamente
ricordato) o addiritura a forme narrative embrionali e parodiche come le Operette morali (p. 95).
23
Cfr. nota 7.
24
Eugenio Montale, Lopera in versi, a cura di Rosanna Bettarini e Gianfranco Contini, Torino,
Einaudi, 1980, p. 91.
25
In realt il contemplare calviniano riconduce anche a Voltaire: al distacco e allironia
leopardiane corrisponde un modo di osservare il mondo nel Candide, cos descritto in un appunto non
inserito in Lezioni americane: un punto di osservazione da cui poter contemplare la catastrofe senza fine
della storia umana come spettacolo che comunica vitalit nella sua assurdit e nei suoi effetti ridicoli [S,
2971].

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