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Jean Baudrillard

La societ dei consumi

Universale Paperbacks il Mulino 42

In questo saggio, Baudrillard fa un'analisi precisa e acuta dei sistema di consumo nelle moderne societ industriali,
prendendo in considerazione diversi suoi aspetti: mezzi di comunicazione di massa, personalit individuale, sesso,
tempo libero, alienazione, anomia. Riprendendo tesi gi sviluppate nel Sistema degli oggetti l'autore vede il
consumo come un processo di comunicazione in cui gli oggetti perdono le loro connotazioni oggettive (valore d'uso)
per diventare segni di un codice sociale (valore di scambio), di un linguaggio che instaura una classificazione e una
differenziazione sociale. Nuove gerarchie sociali prendono cos il posto delle vecchie differenze di classe. Il
consumatore vive le sue scelte come libere, ma gli sfugge che il processo di differenziazione essenzialmente
coattivo e che egli stesso nel nuovo ordine di consumo non pi persona ma un oggetto tra gli altri, una pura
differenza . Il sistema di consumo, nonch ridurre le disuguaglianze sociali, finisce per accrescerle, subordinato
com' al sistema di produzione industriale che presuppone, oltre alla crescita dei bisogni, una eccedenza perpetua dei
bisogni in rapporto ai beni.
Jean Baudrillard, nato nel 1929, ha collaborato dal 1960 al 1963 come critico letterario a Temps Modernes . Dal
1967 insegna sociologia all'Universit di Nanterre. autore di due stimolanti saggi, tradotti anche in italiano: Il
sistema degli oggetti (Bompiani, 1968), Per una critica dell'economia politica dei segno (Mazzotta, 1974). Altre
sue opere: le Miroir de la production (1973), L'echange symbolique et la mort (1976).

JEAN BAUDRILLARD
SOCIETA' DEI CONSUMI
I suoi miti e le sue strutture

IL MULINO

Edizione originale: La socit de consommation. Ses mytes ses structures, Paris, Gallimard, 1974. Traduzione di
Gustavo Gozzi e Piero Stefani. Copyright 1970 by E.P. Denol. Copyright 1976 by Societ editrice il Mulino,
Bologna. CL 27-0972-4

PRESENTAZIONE
La societ dei consumi stata in questi ultimi anni uno tra gli argomenti preferiti della macrosociologia. Non solo:
l'argomento ha superato i confini di una specifica disciplina accademica per diffondersi in quella stessa societ che
prende in considerazione, e, almeno per quanto riguarda la maggioranza degli orientamenti teorici, esamina
criticamente. La critica alla societ dei consumi, in altri termini, diventata, in questi ultimi anni, oggetto di consumo.
Eppure si tratta di una critica tutt'altro che recente. Gi Ferdinand Tnnies, nella sua famosa opera Comunit e
societ (1887, trad. it., Milano, Comunit, 1963) scriveva che l'interesse dei capitalisti e degli industriali anticipa tutti i
bisogni, incitando a gara ai pi svariati impieghi del denaro (p. 294). E Simmel gli faceva seguito affermando, in
termini anche pi simili a quelli delle critiche attuali, che, il venditore deve sempre cercare di sviluppare bisogni
nuovi e differenziati nel cliente che attrae . (La metropoli e la vita mentale, 1903, trad. it. in A. Izzo, Storia del
pensiero sociologico, II, I classici, Bologna, Il Mulino, 1975, p. 83). Thorstein Veblen gi nel 1899, nella sua opera pi
nota, La teoria della classe agiata, trad. it., Milano, Il Saggiatore, 1969) aveva condotto una critica sistematica alla
societ in cui il consumo vistoso diventa norma di vita come unico tentativo di distinzione dagli altri. Si potrebbero
portare molti altri esempi, da Ortega y Gasset, che lamenta l'irrompere delle masse, dapprima latenti, nel mondo dei
consumi (cfr. La ribellione delle masse, 1930, trad. it., Bologna, Il Mulino, 1962), ai famosi esponenti della cosiddetta
Scuola di Francoforte, che vedono il consumo come un aspetto inevitabile dell'econorma della societ
capitalistico-industriale e pongono l'accento sul fatto che ci conduce, attraverso meccanismi non controllabili dalla
coscienza e dalla volont dell'individuo, a una totale integrazione e a una totale accettazione della struttura economica
e politica in atto. Il consumo, essi dicono, non abolisce certo le differenze di classe, ma ne impedisce la presa di
coscienza creando un'illusione superficiale di uguaglianza. La violenza della societ industriale - scrivono Adorno e
Horkheimer - opera negli uomini una volta per tutte. I prodotti dell'industria culturale possono contare di essere
consumati alacremente anche in stato di distrazione. Ma ciascuno di essi un modello del gigantesco meccanismo
economico che tiene tutti sotto pressione fin dall'inizio, nel lavoro e nel riposo che gli assomiglia . (Dialettica
dell'Illuminismo, trad. it., Torino, Einaudi, 1973, p. 137).
Non vi dubbio che Jean Baudrillard, in questo volume dedicato appunto a La societ dei consumi (1970) si riallacci,
anche se per lo pi implicitamente, agli autori ora ricordati, oltre che a molti altri. N si pu dire che gli argomenti
trattati siano nuovi. Egli insiste, per esempio, e con bella incisivit, sul finto carattere personale delle scelte individuali,
su una differenziazione individuale dei consumi, che, essendo coatta, nega di per s questa possibilit di scelta
personale. Tratta dei mezzi di comunicazione di massa, che creano l'illusione della partecipazione alla totalit degli
eventi, ma che in realt riducono questa totalit a un insieme di messaggi appiattiti e resi uniformi dal mezzo. E qui
esplicito l'influsso di MacLuhan. Anche il corpo ridotto a oggetto di consumo, diventa un segno esteriore del proprio
valore di scambio, cosche l'individuo non lo considera pi fonte di godimento o di sofferenza reali, ma solo nella sua
apparenza, nel duplice significato del termine. Il tempo libero non che la parvenza di un'autentica libert,
essendo continuamente sollecitato al consumo. L'arte, per esempio l'arte Pop, si adatta a una funzione di ripetizione
sostanzialmente acritica del sistema culturale prevalente, ed a esso omogenea, ha perso ogni trascendenza - il
riferimento a Marcuse - nei confronti dell'ordine costituito.
Nella societ dei consumi tutto sembra essere concesso, ma si tratta di una libert fittizia, anch'essa fondata su
precise esigenze economiche, la quale, appunto in quanto a sua volta costrizione sociale, comporta reazioni violente.
Ma mentre le reazioni violente delle societ precedenti si opponevano a specifiche proibizioni, ora la violenza diventa
assurda e selvaggia , perch le costrizioni che essa contesta sono anch'esse non formulate, inconscie, illeggibili:
sono le stesse della 'libert', dell'accesso controllato alla felicit, dell'etica totalitaria dell'opulenza . E cos per la
stanchezza, una forma di violenza indefinita contro se stessi. La conclusione che la logica della merce si
generalizzata, in quanto oggi regola non solamente i processi di lavoro e i prodotti materiali ma anche l'intera cultura,
la sessualit, le relazioni umane, fino ai fantasmi e alle pulsioni individuali .

Fin qui, come si diceva, il discorso per lo pi noto. L'innovazione di Baudrillard consiste nel metodo, nel tentativo di
analizzare i problemi della societ dei consumi in termini di semantica. Sulla base di ci che era gi stato abbozzato
nella sua precedente opera Il sistema degli oggetti (1968, trad. it., Milano, Bompiani, 1972), e come si ritrova in Per
un'economia politica del segno (1972, trad. it., Milano, Mazzotta, 1974), l'autore in questo libro esamina la societ dei
consumi in modo da dimostrare che in essa tutto ridotto a mero segno, o, meglio, a un sistema integrato di segni
dietro cui non si nasconde pi nulla, perch gli oggetti e i loro significati sono annullati da questo sistema. Baudrillard
vuole dimostrare, contro un'opinione corrente ma a suo parere erronea, che nella societ dei consumi non vi affatto
un livellamento generale dei vari tenori di vita, ma che anzi, in questa societ le stesse differenziazioni economiche
tendono semmai ad accentuarsi. Non solo. Fin qui, infatti, siamo sul terreno delle differenze economiche sostanziali.
Nella societ in questione, la motivazione inconscia dell'azione individuale non tanto quella del bisogno diretto verso
oggetti determinati, ma piuttosto, quella, inappagabile, di differenziazione. La prassi consumistica apparentemente
imperniata, orientata sull'oggetto e sul godimento, risponde in effetti a finalit del tutto diverse: l'espressione
metaforica o deviata del desiderio, la produzione, attraverso i segni differenziali, di un codice sociale di valori . Il
sistema del consumo non fondato in ultima analisi sul bisogno e sul godimento ma su un codice di segni (di
oggetti/segni) e di differenze . La societ dei consumi costituisce un sistema culturale [il corsivo nell'originale] che
viene a sostituire un ordine sociale di valori e di sistemazione al mondo contingente dei bisogni e dei godimenti e
all'ordine naturale e biologico .
Qui si potrebbe riscontrare una prima difficolt, in quanto qualsiasi societ umana si costituisce e si perpetua solo
attraverso un sistema culturale, un'interpretazione della realt sulla base di attribuzioni di significati. Questa
affermazione, che va fatta risalire per lo meno allo storicismo tedesco, non sembra seriamente contestabile. Ma
Baudrillard vuol dire di pi. Come si gi accennato, egli intende dire che nella societ dei consumi non solo - e
questo inevitabile in ogni societ - la realt interpretata attraverso un insieme di segni convenzionali, ma che la
realt stessa vanificata fino a coincidere totalmente con questi segni. L'esempio pi facile forse quello della
televisione. La nostra immagine - si pensi al riferimento, nelle ultime pagine del libro, al film Lo Studente di Praga finisce con il coincidere totalmente con la nostra realt. E ci avviene in quanto noi non possiamo vendere solo la
nostra esteriorit, vendiamo in realt noi stessi, siamo totalmente ridotti all'interno del sistema di segni della societ
dei consumi.
Un appunto molto comune a molti critici della societ consumistica, e soprattutto a quelli di origine francofortiana,
che essi finiscono con il condannare tutto il progresso tecnologico e con il rimpiangere un immaginario paradiso
perduto. L'accusa, nei confronti degli esponenti della Scuola di Francoforte, nonostante alcune loro ambiguit
terminologiche, non appare fondata, in quanto costoro hanno sempre ed esplicitamente sostenuto la possibilit di una
liberazione attraverso la tecnologia, anche se si tratta di una possibilit storica ostacolata dalla struttura del potere
neo-capitalistico o del capitalismo di stato. Baudrillard, tuttavia, sembra andare oltre queste affermazioni ed essere
meno cauto quando scrive che sono le nostre societ industriali e produttivistiche a essere dominate dalla scarsit,
dall'ossessione della scarsit caratteristica dell'economia di mercato . L''imprevidenza' e la 'prodigalit' collettiva,
caratteristiche delle societ primitive, sono il segno dell'abbondanza reale. Noi non abbiamo altro che i segni
dell'abbondanza (I corsivi sono nell'originale). Qui, effettivamente, il discorso rischia di diventare non solo nostalgico
nei confronti di un primitivismo abbastanza improbabile, ma anche totalmente culturologico . Sembra che l'autore,
completamente preso da esso, dimentichi le reali condizioni economiche in cui vivono - e sono vissuti anche nel
passato pre-industriale per cui esse non sono attribuibili solo al sottosviluppo come aspetto necessario dello sviluppo alcune societ primitive . Infatti parlare di societ primitive in genere troppo vago. Baudrillard rischia di
dimenticare lebbra e mortalit infantile elevata, per esempio. Sono questi i pericoli di una nostalgia tutta culturologica
di un mitico passato.
Baudrillard compie un'analisi acuta e minuziosa della nostra vita quotidiana in cui difficile non riconoscersi; un'analisi
in cui non vi aspetto di questa vita che sfugga alla sua attenzione e che non venga esaminato come segno del
sistema consumistico. In accordo con molti altri critici della societ dei consumi e li pessimista. Dal nulla del sistema
di segni in cui realt s risolve non sembra si possa riemergere. Nei confronti della societ dei consumi non sembra
esservi un rimedio possibile. Eppure, in proposito, la conclusione dell'autore che giungeranno irruzioni brutali , e
disgregazioni improvvise , le quali, in maniera tanto imprevedibile, ma certa, quanto il maggio del 1968,
manderanno in frantumi questa messa bianca . Con questa frase il libro si chiude. Le condizioni economiche,
strutturali, di questa disgregazione della societ dei consumi, non sono tuttavia chiarite, mentre, a pochi anni di
distanza dalla data di pubblicazione del libro gi appaiono, non tanto nella ribellione individuale, ridotta - come
Baudrillard all'inizio aveva osservato giustamente - anch'essa a consumo, ma piuttosto nella crisi economica
mondiale, i sintomi del tramonto, o almeno dell'instabilit storica, di un sistema che sembrava insuperable.
ALBERTO IZZO
INDICE

PARTE PRIMA: LA LITURGIA FORMALE DELL'OGGETTO


I.
Introduzione
Il.
Lo statuto miracoloso del consumo
III.
Il circolo vizioso della crescita
PARTE SECONDA: TEORIA DEL CONSUMO
I
La logica sociale del consumo
II.
Per una teoria del consumo
III.
La personalizzazione o la minor differenza
marginale (MDM)

p. 15
p. 25
p. 33
p. 55
p. 85
p. 113

PARTE TERZA: MASS-MEDIA, SESSO E TEMPO LIBERO


I
La cultura dei mass-media
Il.
Il pi bell'oggetto di consumo il corpo
III.
Il dramma del tempo libero: o dell'im possibilit di perdere il proprio tempo
IV.
La mistica della sollecitudine
V.
L'anomia nella societ opulenta

p. 135
p. 183
p. 219
p. 233
p. 257

CONCLUSIONE
Dell'alienazione contemporanea o la fine del patto col diavolo

p. 279

Dategli tutte le soddisfazioni economiche in modo tale che non abbia altra preoccupazione che dormire, mandar gi
brioches e darsi da fare per prolungare la storia universale, riempitelo di tutti i beni della terra, e immergetelo nella
felicit fino alla radice dei capelli: alla superficie di questa felicit, come su quella dell'acqua, scoppieranno delle
piccole bolle,
Dostoievski
PARTE PRIMA
LA LITURGIA FORMALE DELL'OGGETTO

CAPITOLO PRIMO
INTRODUZIONE
Vi oggi attorno a noi una specie di evidenza fantastica del consumo e dell'abbondanza, costituita dal moltiplicarsi
degli oggetti, dei servizi, dei beni materiali, e che costituisce una sorta di mutazione fondamentale dell'ecologia della
specie umana. Per essere sinceri gli uomini dell'opulenza non sono pi circondati, come sempre avvenuto, da altri
uomini, bens da oggetti. Il loro rapporto quotidiano non pi quello coi loro simili, ma, statisticamente secondo una
curva crescente, con la recezione e la manipolazione di beni e di messaggi, dall'organizzazione domestica molto
complessa e dalle sue dozzine di schiavi tecnici fino al mobile urbano e a tutti i meccanismi materiali delle
comunicazioni e delle attivit professionali, fino allo spettacolo permanente della celebrazione dell'oggetto nella
pubblicit e nelle centinaia di messaggi giornalieri trasmessi dai mass media, dal formicolio meno appariscente dei
gadgets vagamente ossessivi fino agli psicodrammi simbolici che alimentano gli oggetti notturni che ci vengono a
tormentare fin dentro ai sogni. I concetti di situazione e di ambiente sono senza dubbio cos diffusi solo da
quando viviamo, in fondo, meno in prossimit degli altri uomini, della loro presenza, dei loro discorsi, che non sotto lo
sguardo muto di oggetti obbedienti e allucinanti che ci ripetono sempre Io stesso discorso, quello del nostro
sbalorditivo potere, della nostra potenziale abbondanza, della nostra assenza gli uni nei confronti degli altri. Come il
bambino lupo diviene lupo a forza di vivere con essi, cos noi stessi diveniamo funzionali. Viviamo il tempo degli
oggetti: voglio dire che viviamo al loro ritmo e secondo la loro incessante successione. Al giorno d'oggi siamo noi che
li vediamo nascere, completarsi e morire, mentre in tutte le civilt precedenti erano gli oggetti, gli strumenti, o i
monumenti perenni a sopravvivere alle generazioni umane.
Gli oggetti non costituiscono n una flora n una fauna. Tuttavia danno l'impressione di una vegetazione proliferante e
di una giungla, dove il nuovo uomo selvaggio dei tempi moderni fatica a ritrovare i riflessi della civilt. Sono questa
fauna e questa flora prodotte dall'uomo che, come nei cattivi romanzi di fantascienza, ritornano poi a circondarlo e a

investirlo, che occorre tentare di descrivere rapidamente cos come le vediamo e le viviamo - non dimenticandoci mai
che, nel loro fasto e nella loro profusione, sono il prodotto di un'attivit umana e che sono dominate non dalle leggi
ecologiche naturali ma dalle leggi del valore di scambio.
Nelle pi affollate vie di Londra i negozi si serrano gli uni contro gli altri e dietro i loro occhi di vetro senza sguardo si
espongono tutte le ricchezze dell'universo: scialli indiani, revolver americani, porcellane cinesi, busti di Parigi, pellicce
russe e spezie tropicali; ma tutti questi articoli che hanno visto tanti paesi hanno davanti fatali etichette biancastre su
cui sono scritte cifre arabe seguite da laconici caratteri - L, s, d, (sterlina, scellino, penny). Questa l'immagine offerta
dalla merce quando entra in circolazione 1.
La profusione e la panoplia
L'accumulo, la profusione sono evidentemente i tratti descrittivi pi stupefacenti. I grandi magazzini con la loro
abbondanza di scatolame, di abiti, di prodotti alimentari e di confezioni, sono come il paesaggio primario e il luogo
geometrico dell'abbondanza. Ma tutte le strade con le loro vetrine ingombre, sfavillanti (la luce, senza la quale le merci
non sarebbero quel che sono, infatti il bene pi diffuso), con la loro ostentazione di salumi, con tutta la festa
alimentare e di abiti che metto no in mostra, tutte stimolano la salivazione fiabesca. Nell'accumulo vi qualcosa di pi
della semplice somma dei prodotti: e cio l'evidenza del surplus, la negazione magica e definitiva della penuria, la
presunzione materna e lussuosa del paese di Bengodi. I nostri mercati, le arterie commerciali, i nostri Superprisunic,
mimano cos una natura ritrovata, prodigiosamente feconda, sono le nostre vallate di Canaan dove, invece di latte e
miele, scorrono le onde del neon sul ketchup e sulla plastica, ma che importa! L c' la violenta speranza non solo
che ce ne sia a sufficienza, ma troppo, troppo per tutti: voi portate via la piramide pericolante di ostriche, carni, pere o
asparagi in scatola, comprandone una piccola porzione. Comprate la parte per il tutto. E questo discorso metonimico,
ripetitorio, della materia consumabile, della merce, ridiviene, mediante una grande metafora collettiva, l'immagine del
dono, della prodigalit inesauribile e spettacolare tipica della festa.
Al di l del mucchio, che la forma pi rudimentale, ma anche pi pregnante, dell'abbondanza, gli oggetti si
organizzano in panoplia, o in collezione. Quasi tutti i negozi di abbigliamento, di elettrodomestici, ecc., offrono una
gamma di oggetti differenziati, che si chiamano, si rispondono, e si declinano l'un l'altro. La vetrina dell'antiquario il
modello aristocratico lussuoso di questi insiemi che non invocano pi una sovrabbondanza di sostanza bens un
ventaglio di oggetti selezionati e complementari, abbandonati alla scelta, ma anche alla reazione psicologica a catena
del consumatore, che li percorre, li cataloga, li coglie come categoria totale. Pochi oggetti sono al giorno d'oggi offerti
soli, senza un contesto di oggetti che li ponga in risalto. E la relazione del consumatore coll'oggetto ne modificata:
egli non si riferisce pi a quell'oggetto nella sua utilit specifica, ma ad un insieme di oggetti nella loro significazione
totale. Lavatrici, frigoriferi, lavastoviglie, ecc., hanno un altro senso presi assieme che considerati singolarmente come
utensili. La vetrina, l'annuncio pubblicitario, la ditta produttrice e la marca, che qui gioca un ruolo essenziale, ne
impongono la visione coerente, collettiva, come di un tutto quasi indissociabile, come di una catena, che non pi un
concatenamento di singoli oggetti ma un concatenamento di significanti, nella misura in cui essi si significano l'un
l'altro come superoggetto pi complesso e attraggono il consumatore verso una serie di motivazioni pi complesse. Si
noti che gli oggetti non si offrono mai al consumo in un disordine assoluto; in certi casi essi possono, per meglio
sedurre, mimare il disordine, ma sempre si accordano per aprire delle vie direttrici, per orientare l'impulso
annacquaste verso delle reti di oggetti, per sedurlo e condurlo, secondo la propria logica, fino all'investimento
massimo, fino ai limiti del suo potere economico. I vestiti, gli apparecchi, i prodotti da toeletta costituiscono casi delle
trafile di oggetti, che suscitano presso il consumatore delle costrizioni di inerzia: egli andr logicamente da un oggetto
allaltro. Sar preso da un calcolo di oggetti - il che tutto diverso dalla vertigine dell'acquisto e dell'appropriazione
che nasce dalla profusione stessa delle merci.
Il drugstore
La sintesi della profusione e del calcolo il drugstore. Il drugstore (o i nuovi centri commerciali) realizzano la sintesi
delle attivit consumatrici, le minori delle quali non sono certo lo shopping, il flirt con gli oggetti, il vagare ludico e le
possibilit combinatorie. A questo titolo il drugstore pi specifico in relazione al consumo moderno dei grandi
magazzini, dove la centralizzazione quantitativa dei prodotti lascia meno margine all'esplorazione ludica, dove la
giustapposizione dei reparti, dei prodotti impone un cammino pi utilitario, e che conservano qualcosa dell'epoca in
cui sono nati, che fu quella dell'accesso di larghe classi ai beni di consumo corrente. Il drugstore ha tutt'altro senso,
esso non giustappone delle categorie di merci, esso pratica l'amalgama dei segni, di tutte le categorie di beni
considerate come campi parziali di una totalit consumatrice di segni. Il centro culturale vi diviene parte integrante dei
centro commerciale. Non intendiamo dire che la cultura vi sia prostituita , sarebbe troppo semplice. Essa vi
culturalizzata. Simultaneamente la merce (vestiario, drogheria,, ristorante, ecc.) viene anch'essa culturalizzata; infatti
trasformata in sostanza ludica e distintiva, in accessorio di lusso, in elemento tra gli altri della panoplia generale dei
beni di consumo. Una nuova arte di vivere, una nuova maniera di vivere - dicono le pubblicit - la quotidianit sulla
cresta dell'onda: poter fare un piacevole shopping in un ambiente ad aria condizionata, acquistare in una volta sola,
mentre il marito e figli guardano un film, le provviste alimentari, gli oggetti destinati all'appartamento e alla casa di
campagna, i vestiti, i fiori, l'ultimo romanzo, o l'ultimo gadget, e poi mangiare tutti insieme sul posto, ecc.. Caff,
cinema, libreria, auditorium, ninnoli, vestiti e molte altre cose in questi centri commerciali: il drugstore pu recuperare

tutto in modo caleidoscopico. Se il grande magazzino offre lo spettacolo da fiera della merce, il drugstore offre il
sofisticato recital del consumo, in cui tutta l' arte consiste precisamente nel giocare sull'ambiguit di segno degli
oggetti, e nel sublimare il loro stato di utilit e di merce in un gioco d'ambiente: neocultura generalizzata in cui non
c' pi differenza tra un'elegante drogheria e una galleria d'arte, tra Play-Boy e un Trattato di paleontologia. Il
drugstore si va modernizzando fino ad offrire della materia grigia : vendere dei prodotti non ci interessa in s, vi
vogliamo mettere un po' di materia grigia... Tre piani, un bar, una pista da ballo, e dei punti di vendita. Ninnoli, dischi,
pocketbook, libri impegnati - un po' di tutto. Ma non si cerca di adulare la clientela. Le si propone veramente qualcosa.
Al secondo piano funziona un laboratorio di linguaggi. Tra i dischi e i vecchi libri si trovano le grandi correnti che
risvegliano la nostra societ. Musica di ricerca, volumi che spiegano la nostra epoca. la materia grigia che
accompagna i prodotti. Dunque un drugstore, ma in un nuovo stile, con qualcosa in pi, forse un po' di intelligenza e
un po' di calore umano .
Il drugstore pu diventare un'intera citt: Parly 2, con il suo shopping-center gigante, dove le arti e i divertimenti si
mescolano alla vita quotidiana , dove ciascun gruppo residenziale ruota attorno alla propria piscina club che ne
diviene il polo di attrazione. Chiesa circolare, campi da tennis ( il minimo che si possa fare ), eleganti boutique,
biblioteca. La pi piccola stazione di sport invernali riprende questo modello universalistico del drugstore: tutte le
attivit sono riassunte, sistematicamente combinate e focalizzate attorno al concetto fondamentale di ambiente .
Cos Flaine-le-Prodigue vi offre in una sola volta un'esistenza totale, polivalente, combinatoria: ... Il nostro monte
Bianco, le nostre foreste di abeti rossi - le nostre piste olimpiche, il nostro plateau per i bambini - la nostra architettura
cesellata, incisa, levigata come un'opera d'arte la purezza dell'aria che respiriamo - l'ambiente raffinato della nostra
piazza (sull'esempio delle citt mediterranee... l che fiorisce la vita al ritorno dalle piste di sci. Caff, ristoranti,
boutique, piste di pattinaggio, night-club, cinema, centro di cultura e di svago sono riuniti nella piazza per offrire, al di
l dello sci, una vita particolarmente ricca e varia) - la nostra televisione a circuito chiuso - il nostro avvenire su scala
umana (presto saremo classificati monumento d'arte ad opera del ministero degli Affari culturali).
Siamo al punto in cui il consumo comprende tutta la vita, in cui tutte le attivit si concatenano nello stesso modo
combinatorio, dove il canale delle soddisfazioni tracciato in anticipo, ora per ora, dove l' ambiente totale,
completamente condizionato, ordinato, culturalizzato. Nella fenomenologia del consumo, questo condizionamento
generale della vita, dei beni, degli oggetti, dei servizi, dei comportamenti e delle relazioni sociali rappresentano lo
stadio completo, sommo, in un'evoluzione che va dall'abbondanza pura e semplice, attraverso le reti articolate di
oggetti, fino al condizionamento totale degli atti e dei tempi, fino alla rete d'ambiente inscritta sistematicamente nelle
citt future e cio i drugstore, i Parly 2 o i moderni aereoporti.
Parly 2
Il pi grande centro commerciale di Europa .
Magazzini Printemps, il B.H.V., Dior, Prisunic, Lanvin, Frank e Figli, Hdiard, due cinema, un drugstore, un,
supermercato, Suma, cento altre boutique, raggruppate in un sol posto!
Per la scelta dei commerci dalla drogheria all'alta moda, due imperativi: il dinamismo commerciale e il senso
dell'estetica. Il famoso slogan il brutto si vende male qui superato. Potrebbe essere sostituito da la bellezza del
quadro la prima condizione della felicit di vivere .
Struttura a due piani... organizzata attorno al Mail centrale, arteria principale e via principale a due livelli.
Riconciliazione del piccolo col grande commercio... riconciliazione del ritmo moderno coll'antico bighellonare.
il confort mai conosciuto di bighellonare a piedi tra negozi che offrono le loro tentazioni sullo stesso nostro livello
senza neppure lo schermo della vetrina, sul Mail, in una sola volta rue de la Paix e Champs-Elysee abbellita da giochi
d'acqua, alberi minerali, chioschi e panchine, totalmente salvaguardata dalle stagioni e dalle intemperie: infatti un
eccezionale sistema di climatizzazione, che ha bisogno di ben tredici chilometri di condotti per il condizionamento
dell'aria, vi fa regnare una perpetua primavera.
Non solo vi si pu comprare di tutto, da un paio di stringhe a un biglietto d'aereo, trovarvi compagnie di assicurazione,
cinema, banche e servizio medico, club di bridge, esposizione d'arte, ma per di pi non si schiavi dell'ora. Il Mail, al
pari di tutte le strade, infatti accessibile sette giorni su sette, di giorno come di notte.
Naturalmente il centro ha instaurato per chi vuole il modo pi moderno di pagamento: la carta di credito . Essa vi
esenta dagli assegni e dal denaro liquido... e persino dalla fine dei mesi difficili... Ormai per pagare basta che
mostriate la vostra carta e facciate segnare la fattura. , tutto. Ciascun mese riceverete la nota del conto che potete
pagare tutto in una volta oppure a rate mensili.
In questo sposalizio tra il confort, la bellezza, l'efficienza, i parlysiani scoprono le condizioni materiali della felicit,
negate loro dalle nostre caotiche citt.
Siamo nella casa del consumo come organizzazione totale della quotidianit, omogeneizzazione totale, in cui tutto
recuperato e sorpassato nella facilit, nella translucidit di una felicit astratta, definita unicamente dalla scomparsa
delle tensioni. Il drugstore allargato alle dimensioni del centro commerciale e della citt futura, il sublimato di tutta la
vita reale, di tutta la vita sociale oggettivata, dove vengono aboliti non solo il lavoro e il denaro, ma anche le stagioni lontana vestigia di un ciclo che da ultimo viene anche lui omogeneizzato! Lavoro, tempo libero, natura, cultura, tutto
ci, un tempo disperso e generatore di angoscia e di complessit nella vita reale, nelle nostre citt anarchiche e
arcaiche , tutte queste attivit lacerate e pi o meno irriducibili le une alle altre - tutto questo infine mescolato,
manipolato, condizionato, omogeneizzato nello stesso travelling di uno shopping perpetuo, tutto questo infine

asessuato nello stesso ambiente ermafrodito della moda! Tutto questo infine digerito e reso materia fecale
omogenea (ovviamente sotto il segno appunto della scomparsa del denaro liquido , simbolo ancora troppo visibile
della fecalit reale della vita reale e delle contraddizioni economiche e sociali che la pervadevano un tempo) - tutto
questo finito: la fecalit controllata, lubrificata, consumata ormai passata nelle cose, diffusa ovunque
nell'indistinzione delle cose e dei rapporti sociali. Come nel Pantheon romano coesistevano sincreticamente gli dei di
tutte le nazioni, in un immenso digesto , cos nel nostro Super-Shopping Center, che il nostro Pantheon, il nostro
Pandemonium, si riuniscono tutti gli di, tutti i demoni del consumo, vale a dire tutte le attivit, tutti i lavori, tutti i
conflitti e tutte le stagioni, aboliti in una stessa astrazione. Nella sostanza della vita cos unificata, in questo digesto
universale, non vi pu pi essere senso: ci che faceva il lavoro del sogno, il lavoro poetico, e quello del senso, cio
i grandi schemi dello spostamento e della condensazione, le grandi figure della metafora e della contraddizione, che si
fondano sull'articolazione vivente di elementi distinti, non pi possibile. Sola regna l'eterna sostituzione di elementi
omogenei. Non esiste pi funzione simbolica, ma un'eterna combinatoria di ambiente in una perpetua primavera.
NOTE AL CAPITOLO PRIMO
1

J. Baudrillard, Le systme des objets, Paris, Gallirnard, 1968, trad. it., Il sistema degli oggetti, Milano, Bompiani,
1972, p. 249.
2
K. Marx, Per la critica dell'economia politica, Roma, Editori Riuniti, 1969 3.
CAPITOLO SECONDO
LO STATUTO MIRACOLOSO DEL CONSUMO
Gli indigeni della Melanesia erano rapiti alla vista degli aerei che sfrecciavano in cielo. Ma mai questi oggetti
discendevano fin verso di loro. I bianchi riuscivano invece a catturarli. E questo perch essi, a terra, disponevano, in
certi determinati spazi, di oggetti simili capaci di attrarre gli aerei volanti. Perci gli indigeni pensarono di costruire, con
rami e liane, un simulacro di aereo; delimitarono poi un terreno, che illuminavano accuratamente durante la notte, e si
misero ad attendere pazientemente che i veri aerei vi si posassero.
Senza voler tacciare di primitivismo (e perch no?) i cacciatori-raccoglitori che ai nostri giorni vagano per la giungla
delle citt, in quanto esposto si potrebbe vedere un apologo del consumo. Il miracolato del consumo mette in mostra
tutto un dispositivo di oggetti-simulacri, di segni caratteristici di felicit, e poi attende (disperatamente direbbe un
moralista) che la felicit vi si posi.
Non questione di vedervi un principio di analisi. Si tratta semplicemente della mentalit consumatrice privata e
collettiva. Ma a questo livello assai superficiale si pu arrischiare un confronto: un pensiero magico che regola il
consumo, una mentalit miracolosa che regola la vita quotidiana; come la mentalit primitiva viene considerata
fondata sulla credenza nell'onnipotenza dei pensieri, cos qui c' la credenza nell'onnipotenza dei segni. L'opulenza,
l' affluenza non in effetti che l'accumulazione dei segni della felicit. Le soddisfazioni che conferiscono gli oggetti
stessi sono equivalenti agli aerei-simulacri, i modelli ridotti dei melanesiani, vale a dire il riflesso anticipato della
grande soddisfazione virtuale, dell'opulenza totale, dell'ultimo giubilo dei definiti vi miracolati, la cui folle speranza
alimenta la banalit quotidiana. Queste minori soddisfazioni non sono altro che delle pratiche di esorcismo, dei mezzi
per catturare, per accattivarsi il benessere totale. la beatitudine.
Nella pratica quotidiana i benefici del consumo non sono vissuti come il risultato di un'opera o di un processo di
produzione, sono vissuti come miracolo. C' certo una differenza tra l'indigeno melanesiano e il telespettatore che si
siede davanti al proprio apparecchio, spinge il bottone, e attende che le immagini del mondo intero discendano verso
di lui: e consiste nel fatto che generalmente le immagini obbediscono, mentre gli aerei non accondiscendono mai ad
atterrare a motivo dell'ingiunzione magica. Ma questo successo tecnico non sufficiente a dimostrare che il nostro
comportamento sia di ordine reale e quello degli indigeni di ordine immaginario. Infatti la stessa economia psichica fa
s che da un lato la fiducia magica degli indigeni non venga mai meno (se essa non funziona perch non si fatto
quel che si doveva fare) e che, d'altro lato, il miracolo della TV sia perpetuamente realizzato senza cessare di essere
un miracolo - e questo grazie alla tecnica che cancella per la coscienza del consumatore il principio stesso della realt
sociale, il lungo processo sociale di produzione che conduce al consumo delle immagini. Per questo il telespettatore,
come l'indigeno, vive l'appropriazione come una captazione in virt di una modalit di efficacia miracolosa.
Il mito del Cargo
I beni di consumo si propongono come una potenza carpita, non come prodotti del lavoro. E pi in generale la
profusione dei beni sentita, una volta privata delle sue determinazioni oggettive, come una grazia della natura, come
una manna e un beneficio del cielo. I melanesiani - ancora loro - hanno sviluppato a contatto coi bianchi un culto
messianico, quello del Cargo: i bianchi vivono nella profusione mentre essi non hanno nulla, questo perch i bianchi
sanno catturare o sviare le merci che sono spedite a loro, i neri, dai loro antenati ritiratisi ai confini del mondo. Un
giorno, una volta posta in scacco la magia dei bianchi, i loro antenati ritorneranno col carico miracoloso ed essi non

conosceranno pi il bisogno.
Cos i popoli sottosviluppati considerano l' aiuto occidentale come qualcosa di atteso, di naturale, e che era loro
dovuto da lungo tempo. Come una medicina magica, senza rapporto con la storia, la tecnica e il progresso continuo e
lo sviluppo mondiale. Ma se vi si guarda un po' pi da vicino, i miracolati occidentali dello sviluppo non si comportano
collettivamente allo stesso modo? La massa dei consumatori non vive la profusione come un effetto della natura,
circondata com' dai fantasmi del paese di Bengodi e persuasa dalla litania pubblicitaria che tutto le sar dato
d'avanzo e che ha sulla profusione un diritto legittimo e inalienabile? La buona fede nel consumo un elemento
nuovo; le nuove generazioni sono ormai delle eredi: esse non ereditano pi solamente dei beni, ma anche il diritto
naturale all'abbondanza. Cos in Occidente rivive il mito del Cargo mentre esso declina in Melanesia. Infatti anche se
l'abbondanza si fatta quotidiana e banale, essa resta vissuta come un miracolo quotidiano nella misura in cui essa
appare non come prodotta, strappata e conquistata al termine di uno sforzo storico e sociale, ma come dispensata da
parte di un'istanza mitologica benefica di cui siamo i legittimi eredi: la tecnica, il progresso, la crescita, ecc.
Questo non vuol dire che la nostra societ non sia oggettivamente e in maniera decisiva innanzi tutto una societ di
produzione, un ordine di produzione, dunque il luogo di una strategia economica e politica. Ma questo vuol dire che vi
si inserisce un ordine del consumo, che un ordine della manipolazione dei segni. In questa misura si pu tracciare
un parallelo (senza dubbio avventuroso) col pensiero magico: infatti l'uno e l'altro vivono di segni e al riparo dei segni.
Sempre un maggior numero di aspetti fondamentali delle nostre societ contemporanee fanno capo a una logica delle
significazioni, a un'analisi dei codici e dei sistemi simbolici - dovendosi quest'analisi articolare su quella del processo
della produzione materiale e tecnica come suo prolungamento teorico.
La vertigine consumata della catastrofe
La pratica dei segni sempre ambivalente, essa ha sempre la funzione di scongiurare nella doppia accezione del
termine: far sorgere per accattivarsi attraverso dei segni la forza, il reale, la felicit, ecc., ed evocare qualcosa per
negarla e respingerla. Si sa che il pensiero magico nei suoi miti mira a scongiurare il mutamento e la storia. In un
certo modo il consumo generalizzato di immagini, di fatti, di informazioni, mira anch'esso a scongiurare il reale nei
segni del reale, a scongiurare la storia nei segni del mutamento, ecc.
Il reale lo consumiamo mediante l'anticipazione o retrospettivamente, in ogni caso a distanza, distanza che quella
del segno. Esempio: allorch Paris-Match ci ha mostrato il corpo di guardia incaricato della protezione del
generale De Gaulle allenarsi col mitra negli scantinati della prefettura, quest'immagine non venne letta come
informazione , vale a dire rinviando al contesto politico e alla sua chiarificazione: per ciascuno di noi essa
comportava la tentazione di un attentato superbo, di un prodigioso avvenimento di violenza, l'attentato avr luogo,
esso sta per aver luogo, l'immagine ne un precorrimento e godimento anticipato, tutte le perversit si compiono. lo
stesso effetto, ma capovolto, dell'attesa della profusione miracolosa del Cargo. Il Cargo o la catastrofe sempre un
effetto di vertigine consumata.
Si pu dire vero che sono i nostri fantasmi che vengono a significarsi nell'immagine e a consumarvici. Ma
quest'aspetto psicologico ci interessa meno di quel che viene rappresentato dall'immagine per esservi sia consumato
che respinto: il mondo reale, l'avvenimento, la storia.
Quel che caratterizza la societ del consumo l'universalit del fatto diverso nel consumo di massa. Ogni
informazione politica, storica, culturale recepita sotto la stessa forma - nel contempo anodina e miracolosa - del fatto
diverso. Essa completamente attualizzata vale a dire drammatizzata in modo spettacolare - e completamente
inattualizzata vale a dire distanziata per mezzo della comunicazione e ridotta a segni. Il fatto diverso non una
categoria tra le altre bens la categoria cardinale del nostro pensiero magico, della nostra mitologia.
Questa mitologia s'inarca sull'esigenza sempre pi vorace della realt, della verit , dell' oggettivit . Ovunque
c' il cinema-verit, il reportage in diretta, il flash, la foto-choc, la testimonianza-documento, ecc. Ovunque quel che si
cerca il cuore dell'avvenimento , il cuore della bagarre , l'avvenimento dal vivo, il faccia a faccia - la
vertigine di una presenza totale all'avvenimento, il grande brivido del vissuto vale a dire ancora una volta il miracolo,
poich la verit della cosa vista, ripresa dalla televisione, registrata su nastro magnetico, precisamente che io non
c'ero. Ma il pi vero del vero che conta, in altre parole il fatto di esserci senza esserci, in altri termini il fantasma.
Quel che ci offrono le comunicazioni di massa non la realt ma la vertigine della realt. O ancora, senza gioco di
parole, una realt senza vertigine, giacch il cuore dell'Amazzonia, il cuore del reale, il cuore della passione, il cuore
della guerra, questo cuore , che il luogo geometrico delle comunicazioni di massa e ne fa la sentimentalit
vertiginosa, precisamente l dove non accade nulla. il segno allegorico della passione e dell'avvenimento, e i
segni sono rassicuranti.
Viviamo cos al riparo dei segni e nella negazione del reale. Sicurezza miracolosa: quando guardiamo le immagini del
mondo, chi distinguer questa breve irruzione della realt dal profondo piacere di non esserci? L'immagine, il segno, il
messaggio, tutto quel che consumiamo , la nostra quiete, suggellata dalla distanza dal mondo e che addormenta,
pi che compromettere, la stessa violenta allusione al reale.
Il contenuto dei messaggi, i significati dei segni sono largamente indifferenti. Non vi siamo impegnati e i media non ci
rinviano al mondo, essi ci danno da consumare i segni in quanto segni, attestati tuttavia dalla cauzione del reale. qui
che si pu definire la prassi del consumo. La relazione del consumatore col mondo reale, con la politica, con la storia,
con la cultura, non quella dell'interesse, dell'investimento, della responsabilit impegnata - e non pi neppure
quella della indifferenza totale - quella della curiosit. Secondo lo stesso schema si pu affermare che la dimensione

del consumo cos come l'abbiamo qui definita, non quella della conoscenza del mondo, ma neppure pi quella
dell'ignoranza totale: quella del disconoscimento.
Curiosit e disconoscimento designano uno stesso comportamento d'assieme di fronte al reale, comportamento
generalizzato e sistematizzato dalla pratica delle comunicazioni di massa e dunque caratteristico della nostra
societ dei consumi : la negazione del reale sulla base di una cattura avida e multiforme dei suoi segni.
Per lo stesso motivo possiamo definire che il luogo del consumo la vita quotidiana. Quest'ultima non solamente la
somma dei fatti e dei gesti quotidiani, la dimensione della banalit e della ripetizione, un sistema d'interpretazione.
La quotidianit la dissociazione di una prassi totale in una sfera trascendente, autonoma e astratta (del politico, del
sociale, del culturale) e nella sfera immanente, chiara ed astratta, del privato . Lavoro, tempo libero, famiglia,
relazioni: l'individuo riorganizza tutto questo in un modo involutivo, al di qua del mondo e della storia, in un sistema
coerente fondato sul recinto del privato, sulla libert formale dell'individuo, sull'appropriazione rassicurante
dell'ambiente, e sul disconoscimento. La quotidianit , allo sguardo oggettivo della totalit, povera e residuale, ma
essa del resto trionfante ed euforica nel suo sforzo di autonomizzazione totale e di reinterpretazione del mondo a
uso interno . l che si situa la collusione profonda, organica, tra la sfera della quotidianit privata e le
comunicazioni di massa.
La quotidianit come clausura, come Verborgenheit, sarebbe insopportabile senza il simulacro del mondo, senza
l'alibi di una partecipazione al mondo. Essa deve alimentarsi colle immagini e coi segni di questa trascendenza. La
sua tranquillit ha bisogno, l'abbiamo visto, della vertigine della realt e della storia. La sua tranquillit per esaltarsi ha
bisogno dell'eterna violenza consumata. oscenit a se stessa. ghiotta di avvenimenti e di violenza, purch
quest'ultima le venga servita all'interno di. una stanza. In modo caricaturale il telespettatore rilassato di fronte alle
immagini della guerra del Vietnam. L'immagine della TV, come una finestra inversa, d innanzitutto su una stanza e, in
questa stanza, l'esteriorit crudele del mondo diviene intima e calda, di un calore perverso.
A questo livello vissuto il consumo fa dell'esclusione massima dal mondo (reale, sociale, storico) l'indice massimo
di sicurezza. Esso si rivolge a questa felicit per difetto, come allo scioglimento delle tensioni. Ma si imbatte in una
contraddizione: quella tra la passivit implicata da questo nuovo sistema di valori e le norme di una morale sociale
che, per l'essenziale, resta quella del volontarismo, dell' azione , dell'efficienza, e del sacrificio. Di qui l'intimo senso
di colpa che connesso a questo nuovo stile di condotta edonistica e l'urgenza, chiaramente definita dagli strateghi
del desiderio , di far apparire non colpevole la passivit. Per milioni di persone senza storia, e felici di esserlo,
occorre rimuovere il senso di colpa connesso colla passivit. qui che interviene la drammatizzazione spettacolare
attraverso i mass-media (il fatto diverso/catastrofe come categoria generalizzata di tutti i messaggi): perch sia risolta
questa contraddizione tra morale puritana e morale edonistica, occorre che questa quiete della sfera privata appaia
come un valore sospeso, costantemente minacciato, circondato da un destino di catastrofe. Occorrono la violenza e
l'inumanit del mondo esterno perch non solo la sicurezza sia messa alla prova in quanto tale (questo nell'economia
del godimento) ma anche perch si senta in ciascun istante giustificata di scegliersi in quanto tale (questo
nell'economia morale della salvezza). Occorre che attorno alle zone preservate fioriscano i segni del destino, della
passione, della fatalit per far s che questa quotidianit recuperi la grandezza, il sublime di cui propriamente il
contrario. La fatalit dunque dappertutto suggerita, significata, perch la banalit venga a pascervisi, a trovarvi
grazia. La straordinaria redditivit che gli incidenti stradali hanno alla televisione, sulla stampa, nel discorso privato
e in quello nazionale, l a provarlo: la pi bella trasformazione della fatalit quotidiana e, se sfruttata con tale
passione, perch ricopre una funzione collettiva essenziale. Alla litania della morte sulle strade tiene testa solo la
litania delle previsioni metereologiche: queste due formano una coppia mitica - l'ossessione del sole e la litania della
morte sono inseparabili.
La quotidianit offre cos questo curioso miscuglio di giustificazione euforica per lo standing e la passivit e di
godimento moroso per le possibili vittime del destino. Tutto ci forma una mentalit o piuttosto una
sentimentalit specifica. La societ dei consumi vuole essere come una Gerusalemme accerchiata, ricca e
minacciata, la sua ideologia. 1
NOTA AL CAPITOLO SECONDO
1

Questa situazione pressoch idealmente realizzata da una citt come Berlino. Ma del resto quasi tutti i romanzi di
fantascienza tematizzano questa situazione di una grande citt razionale e opulenta minacciata di distruzione da
qualche grande forza ostile, esterna o interna.
CAPITOLO TERZO
IL CIRCOLO VIZIOSO DELLA CRESCITA
Spese collettive e ridistribuzione
La societ dei consumi non caratterizzata solamente dalla rapida crescita delle spese individuali. Ad essa si
accompagna infatti anche la crescita delle spese compiute da terzi (soprattutto dall'amministrazione) a beneficio dei

privati e di cui una parte mira a ridurre l'ineguaglianza della distribuzione delle risorse.
Questa porzione delle spese collettive che soddisfano i bisogni individuali passa in Francia dal 13% del consumo
totale nel 1959 al 17% nel 1965.
Nel 1965 la frazione dei bisogni coperti da terzi di:
- 1 % per l'alimentazione e l'abbigliamento ( sussistenza )
- 13% di spese per la casa, le infrastrutture per i trasporti e le comunicazioni ( quadro di vita ).
- 67% nel settore dell'insegnamento, della cultura, dello sport, della salute (protezione e miglioramento della
persona).
Si osserva dunque che le spese collettive vertono maggiormente sull'uomo che sui beni e sulle attrezzature materiali
messi a sua disposizione. Allo stesso modo le spese pubbliche sono attualmente pi importanti nei posti destinati a
crescere pi rapidamente. Ma interessante notare, con E. Lisle, che precisamente in questo settore, in cui la
collettivit assume la maggior parte delle spese e che essa ha tanto potentemente sviluppato, che scoppiata la crisi
del maggio del 1968.
In Francia il bilancio sociale nazionale ridistribuisce pi del 20% del prodotto nazionale-lordo (l'Educa
zione nazionale da sola assorbe la totalit dell'imposta sul reddito delle persone fisiche). La violenta disparit,
denunciata da Galbraith, tra il consumo privato e le spese pubbliche, appare molto pi tipica degli Stati Uniti che dei
paesi europei. Ma il problema non questo. Il vero problema di sapere se questi crediti assicurano un oggettivo
livellamento delle possibilit sociali. Ora pare chiaro che questa ridistribuzione non ha, a tutti i livelli, che pochi
effetti sulla discriminazione sociale. Quanto alla disuguaglianza dei livelli di vita il confronto delle due inchieste sui
bilanci familiari fatte nel 1956 e nel 1965 non mette in evidenza alcuna riduzione dei dislivelli. Si conoscono le
irriducibili disparit sociali di fronte alla scuola: l dove giocano altri meccanismi pi sottili dei meccanismi economici
la sola ridistribuzione economica equivale molto largamente a rafforzare i meccanismi di inerzia culturale. In Francia il
tasso di scolarizzazione a 17 anni del 52% cos suddiviso: 90% per i figli dei quadri superiori, dei liberi professionisti
e dei membri del corpo insegnante, meno del 40% per i figli degli agricoltori e degli operai. All'universit le possibilit
di accesso per i ragazzi della prima categoria sono pi di un terzo, e solo dall'1 % al 2 % per quelli della seconda.
Nel dominio della salute gli effetti ridistributivi non sono chiari: tra la popolazione attiva potrebbe esservi l'assenza di
ridistribuzione, come se ciascuna categoria sociale compisse il minimo sforzo per recuperare le proprie quote.
Fiscalit e sicurezza sociale: seguiamo su questo punto l'argomento di E. Lisle: I consumi collettivi crescenti sono
finanziati dallo sviluppo della fiscalit e della parafiscalit: al solo titolo della sicurezza sociale il rapporto tra le quote
sociali e la massa degli oneri salariali passata dal 23,9% nel 1959 al 25,9% del 1967. La sicurezza sociale costa
cos ai salariati delle imprese un quarto delle loro risorse, in quanto i contributi sociali detti dei datori di lavoro
possono essere legittimamente considerati come un prelievo alla fonte sul salario sottola veste di un'imposta
forfettaria del 5%. La massa di questi prelievi supera largamente quella che operata a titolo di imposta sul reddito.
Questa progressiva, mentre i contributi sociali e il versamento forfettario sono tutto sommato regressivi: l'effetto
netto della fiscalit e della parafiscalit diretta regressivo. Se si ammette che la fiscalit indiretta, essenzialmente la
TVA, proporzionale al consumo, si pu concludere che le imposte dirette e indirette e i contributi sociali pagati dai
nuclei familiari e assai largamente adibiti al finanziamento dei consumi collettivi, non hanno nell'insieme alcun effetto
riduttivo dell'ineguaglianza o ridistributivo.
Per quanto concerne l'efficacia dei servizi pubblici le inchieste disponibili mostrano un frequente "slittamento" delle
intenzioni dei pubblici poteri. Quando si concepiscono questi servizi a favore dei pi bisognosi si constata che a poco
a poco la "clientela" si diversifica, provocando questa apertura il rigetto effettivo (per ragioni pi psicologiche che
finanziarie) dei poveri. Quando i servizi vogliono essere aperti a tutti, l'eliminazione dei pi deboli si compie fin
dall'inizio. Lo sforzo per rendere possibile l'accesso a tutti si traduce generalmente in una segregazione che riflette le
gerarchie sociali. Questo tenderebbe a mostrare che in una societ fortemente inegualitaria le azioni politiche miranti
ad assicurare un'eguaglianza formale d'accesso non fanno per la maggior parte delle volte che raddoppiare la
disuguaglianza (Commissione del Piano: Consumo e modo di vita ).
La disuguaglianza di fronte alla morte rimane molto grande.
Una volta di pi le cifre assolute non hanno senso, e l'accrescimento delle risorse disponibili, via libera data
all'abbondanza, deve essere interpretato nella sua logica sociale reale. In particolare devono essere rimesse in
discussione la ridistribuzione sociale e l'efficacia delle azioni pubbliche. Si deve vedere in questa devianza della
redistribuzione sociale , in questa restituzione delle diseguaglianze sociali ad opera di ci che dovrebb
e
Consumo elargito dalle famiglie.

Funzioni d consumo raggruppate

Consumi individuali
Consumi collettivi
Somma
Milioni di F Ripartizione. Milioni di F Ripartizione. Milioni di F Ripartizione.
per funzione
per funzione
per funzione
in %
in %
in %

l. Bisogni elementari
Bisogni
alimentari,
alberghi,
bar,
ristoranti.
Bisogni
d'abbigliamento.
Bisogni di cure personali, beni diversi
157.503
2. Bisogni relativi al quadro di vita
93.753
3. Spese di abitazione (attrezzatura,
alloggio).
Prodotti per manutenzione, affitti,
riparazioni, energia e oneri
50.225
4.
Altre
(distrazioni,
divertimenti,
trasporti individuali e collettivi, servizi
diversi, sicurezza)
43.528
5. Bisogni di formazione e di
salvaguardia della persona
21.298
6. Insegnamento e cultura
12.160
7. Sport e salute
9.138
8. Consumo intermedio globale
Totale
272.554

99,1
86,7

1.485
14.392

0,9
13,3

158.988
108.145

89,1

6.138

10,9

56.363

84,1

8.254

15,9

51.782

32,7
36,3
29,0

43.735
21.318
22.417
3.210
62.822

67,3

65.033
33.478
31.555
3.210
335.376

8l,3

71,0
100,0
18,7

Fonte: Credoc, Consumo individuale e consumo collettivo (primo sondaggio), marzo 1969. Documento redatto dal
gruppo Consumo e modo di vita .
eliminarle, un'anomalia provvisoria dovuta all'inefficienza della struttura sociale? O al contrario si deve formulare la
radicale ipotesi secondo cui i meccanismi di ridistribuzione, che tanto bene riescono a preservare i privilegi, sono in
effetti parte integrante, elemento tattico dei sistema di potere - complici in ci del sistema scolare e di quello
elettorale? Non serve a nulla deplorare il rinnovato scacco di una politica sociale: occorre constatare al contrario che
essa adempie perfettamente alla sua funzione reale.
Incidenza sul ventaglio dei redditi: rapporti dei redditi medi delle categorie estreme.
Redditi primari
Redditi primari
meno prelevamento fiscale diretto
pi trasferimenti
Redditi finali

8,8

9,8

10,0

8,7
5,2
4,9

10,2
5,2
5,0

10,1
5,0
4,6

Malgrado certi risultati, l'apprezzamento dell'effetto dei trasferimenti, tanto per la ridistribuzione che per l'orientamento
dei consumi, deve essere molto sfumato. Se l'effetto globale dei trasferimenti ha permesso di ridurre della met il
ventaglio dei redditi finali, in un lungo periodo, la relativa stabilit di questa ridistribuzione dei redditi finali stata
acquisita solo a prezzo di un accrescimento molto forte delle somme ridistribuite.
Mortalit per categorie socio-professionali: numero di sopravvissuti a 70 anni per 1000 persone vive a 35 anni.
Insegnanti delle scuole pubbliche
Professioni liberali, quadri dirigenti
Clero cattolico
Tecnici del settore privato
Quadri medi del settore pubblico
Quadri medi del settore privato
Caporeparto e operai qualificati del settore pubblico
Coltivatori diretti
Impiegati del settore pubblico
Industriali e commercianti
Impiegati del settore privato
Caporepartii e operai qualificati del settore privato
Operai specializzati del settore pubblico
Operai specializzati del settore privato
Salariati agricoli
Manovali
Media nazionale della Francia (inclusi i gruppi non considerati dall'inchiesta)
Fonte: tudes et conjoncture , novembre 1965.

732
719
692
700
664
661
653
653
633
631
623
585
590
576
565
498
586

Gli svantaggi*
I progressi dell'abbondanza, cio della disponibilit dei beni e delle attrezzature individuali e collettive sempre pi
numerosi, hanno per contropartita degli svantaggi sempre pi numerosi - conseguenza, da un lato, dello sviluppo
industriale e del progresso tecnico e, dall'altro, delle strutture stesse del consumo.
Degradazione del quadro collettivo mediante le attivit economiche: rumore, inquinamento dell'aria e dell'acqua,
distruzione del paesaggio, perturbazione delle zone residenziali per l'installazione dei nuovi servizi (aereoporti,
autostrade, ecc.). L'intasamento automobilistico ha per conseguenza un colossale deficit tecnico, psicologico e
umano: ma non importa, visto che la superattrezzatura infrastrutturale, le spese supplementari per la benzina, le
spese di cura per le vittime degli incidenti stradali, ecc., tutto questo sar quanto meno catalogato come consumo,
vale a dire diventer, rientrando nel prodotto nazionale lordo e nelle statistiche, esponente di crescita e di ricchezza!
La fiorente industria delle acque minerali sanziona un surplus reale di abbondanza dal momento che essa
sopperisce largamente alla mancanza dell'acqua potabile urbana, ecc., non si finirebbe mai di recensire tutte le attivit
produttrici e consumatrici che non sono altro che palliativi agli svantaggi interni del sistema di crescita. Il surplus di
produttivit, una volta raggiunta una certa soglia, pressoch del tutto prosciugato, divorato da questa terapia
omeopatica della crescita per la crescita.
Ben inteso gli svantaggi culturali dovuti agli avvenimenti tecnici e culturali della razionalizzazione e della
produzione di massa sono del tutto incalcolabili. Del resto i giudizi di valore impediscono qui di definire dei criteri
comuni. A differenza di quanto avviene per l'inquinamento dell'acqua non si in grado di misurare oggettivamente il
danno di un complesso edilizio triste e sinistro o di un cattivo film di infimo livello. Solo un ispettore amministrativo,
come accaduto in un recente congresso, poteva proporre, nello stesso tempo, la creazione di un ministero per
l'aria pura , la protezione della popolazione contro gli effetti della stampa scandalistica e la creazione di un delitto di
oltraggio all'intelligenza! Ma si pu con fondamento ammettere che questo genere di svantaggi crescono al ritmo
stesso dell'abbondanza.
E al bilancio si pu aggiungere tutto quel che segue: l'obsolescenza accelerata dei prodotti e delle macchine, la
distruzione delle strutture antiche che assicuravano certi bisogni, la moltiplicazione delle false innovazioni, senza
sensibili benefici per il modo di vivere.
Forse ancora pi grave del declassamento dei prodotti e delle apparecchiature il fatto segnalato da E. Lisle secondo
cui il costo del rapido progresso della produzione la mobilit della manodopera, e dunque l'instabilit dell'impiego
. Rinnovamento, riciclaggio degli uomini che ha per risultato costi sociali molto pesanti, ma soprattutto un'ossessione
generalizzata di insicurezza. Per tutti la pressione psicologica e sociale della mobilit, dello status, della competizione
a tutti i livelli (reddito, prestigio, cultura, ecc.) si fa pi pesante. Occorre un tempo pi lungo per ricrearsi, per riciclarsi,
per recuperare e compensare l'usura psicologica e nervosa causati dai molteplici svantaggi: tragitto casa/posto di
lavoro, sovrappopolazione, aggressioni e stress continui. In definitiva il costo maggiore della societ dei consumi il
sentimento di insicurezza generalizzata da essa generato .
Questo conduce a una specie di autodistruzione del sistema: In questa crescita rapida che genera inevitabilmente
delle tensioni inflazionistiche... una porzione non trascurabile della popolazione non ne riesce a sostenere il ritmo.
Questi divengono degli emarginati. Coloro che rimangono in corsa e riescono ad adeguarsi al modo di vivere proposto
come modello lo fanno solo a prezzo di uno sforzo tale da lasciarli sminuiti. Sicch la societ si vede costretta ad
ammortizzare i costi sociali della crescita ridistribuendo una parte crescente del prodotto nazionale lordo a favore
degli investimenti sociali (educazione, ricerca, sanit) definiti innanzitutto per servire alla crescita (E Lisle). Queste
spese private o collettive destinate a far fronte alle disfunzioni piuttosto che ad accrescere le soddisfazioni positive,
queste spese di compensazione, sono addizionate, in tutte le contabilit, all'elevazione del livello di vita. Senza
parlare del consumo di droga, di alcool e di tutte le spese compensatorie e d'ostentazione, senza parlare dei bilanci
militari, ecc. Tutto questo la crescita, cio l'abbondanza.
Il numero sempre crescente delle categorie a carico per la societ, senza essere uno svantaggio (la lotta contro le
malattie e la procrastinazione della morte costituendo uno degli aspetti dell'abbondanza, una delle esigenze del
consumo), ipoteca sempre pi pesantemente il processo stesso. Al limite, dice j. Bourgeois-Pichet, si potrebbe
immaginare che la popolazione la cui attivit dedicata a mantenere il paese in buona salute diviene pi importante
della popolazione effettivamente impegnata nella produzione .
In breve ovunque si giunge ad un punto in cui la dinamica della crescita diviene circolare e si ripiega su se stessa, e in
cui sempre pi il sistema si esaurisce nella sua riproduzione. Un terreno di slittamento dove tutto il surplus della
produttivit rivolto a conservare le condizioni di sopravvivenza del sistema stesso. Il solo risultato oggettivo allora
la crescita cancerosa delle cifre e dei bilanci, ma, per l'essenziale, si ritorna propriamente allo stadio primitivo, quello
dell'assoluta penuria, quello dell'animale o dell'indigeno, in cui tutte le forze si esauriscono nella pura sopravvivenza.
O ancora di quelli, secondo Daumal, che piantano delle patate per poter mangiare delle patate, per poter poi di
nuovo piantare delle patate, ecc. . Ora un sistema inefficiente quando il suo costo superiore o uguale al suo
rendimento. Non siamo a questo punto. Ma vediamo profilarsi, attraverso gli svantaggi e i correttivi sociali e tecnici a
questi svantaggi, una tendenza generale a un funzionamento interno tentacolare del sistema - i consumi
disfunzionali , individuali o collettivi, aumentano pi in fretta dei sistemi funzionali : il sistema in fondo si paralizza
da se stesso.

La contabilizzazione della crescita o la mistica del PNL


Parliamo a questo punto del pi straordinario bluff collettivo della societ moderna, di un'operazione di magia bianca
sulle cifre che cela in realt la magia nera di un sortilegio collettivo. Parliamo della ginnastica assurda delle illusioni
contabili, delle contabilizzazioni nazionali. In esse non rientra nulla tranne i fattori visibili e misurabili secondo i criteri
della razionalit economica - tale il principio di questa magia. A questo titolo non rientrano n il lavoro domestico
femminile, n la ricerca, n la cultura - per contro possono figurarvi, per il solo fatto di essere misurabili, certe cose
che non hanno nulla a che vedere. In pi queste contabilit hanno questo in comune col sogno, che esse non
conoscono il segno negativo, addizionando sempre svantaggi ed elementi positivi nell'illogicit pi totale (ma non del
tutto innocente).
Gli economisti addizionano il valore di tutti i prodotti e dei servizi di tutti i tipi - senza distinzione tra servizi pubblici e
servizi privati. Gli svantaggi e i loro palliativi vi figurano allo stesso titolo della produzione di beni oggettivamente utili.
La produzione di alcool, di fumetti, di dentifricio... e di missili nucleari, sostituisce l'assenza di scuole, strade, piscine
(Galbraith).
Gli aspetti deficitari, la degradazione, l'obsolescenza non vi figurano - e se vi figurano lo fanno positivamente! Cos le
spese di pendolarit sono contabilizzate come spese di consumo. il risultato cifrato logico della finalit magica della
produzione di per se stessa: ogni cosa prodotta sacralizzata per il fatto stesso di essere prodotta. Ogni cosa
prodotta positiva, ogni cosa misurabile positiva. Il calo, in cinquant'anni, del 30% della luminosit dell'aria
avvenuto a Parigi residuale e inesistente agli occhi del contabile. Ma se questo calo si ripercuote su una maggiore
spesa per l'energia elettrica, le lampadine, gli occhiali, ecc., allora esso esiste come un surplus di produzione e di
ricchezza sociale. Ogni attentato restrittivo o selettivo al principio sacro della produzione e della crescita
provocherebbe l'orrore del sacrilegio ( Non intaccheremo questo meccanismo di concordia! ). Ossessione collettiva
consegnata ai libri contabili, la produttivit ha prima di tutto la funzione sociale di un mito, e per alimentare questo mito
tutto buono, persino l'inversione delle realt oggettive che lo contraddicono in cifre che lo sanzionano.
Ma in quest'algebra mitica della contabilit vi pu essere una verit profonda, la verit del sistema economico-politico
della societ della crescita. Ci pare un paradosso che il positivo e il negativo siano addizionati insieme alla rinfusa. Ma
forse semplicemente logico. Infatti la verit che forse sono proprio i beni negativi , gli svantaggi compensati, i
costi interni di funzionamento, i costi sociali dell'autoregolazione disfunzionale , i settori secondari della prodigalit
inutile che giocano in questo insieme il ruolo dinamico di locomotiva economica. Questa verit latente del sistema ,
certamente, celata dalle cifre la cui magica addizione vela questa ammirabile circolarit di positivo e di negativo
(vendita d'alcool e costruzione di ospedali, ecc.); cosa che spiegherebbe l'impossibilit, malgrado tutti gli sforzi a tutti i
livelli, di estirpare questi aspetti negativi: il sistema vive di questo e non potrebbe farne a meno. Ritroveremo. questo
problema a proposito della povert, questo volano di povert che la societ della crescita si trascina dietro
come propria tara, e che in effetti uno dei suoi svantaggi pi gravi. Occorre ammettere l'ipotesi che tutti questi
svantaggi entrino da qualche parte come fattori positivi, come rilancio della produzione e del consumo. Nel
diciottesimo secolo Mandeville, nella Favola delle api, sosteneva la teoria (sacrilega e libertina gi alla sua epoca) che
la societ si equilibra a causa dei suoi vizi non delle sue virt, che la pace sociale, il progresso e la felicit degli uomini
si conseguono attraverso l'immoralit istintiva che fa loro continuamente infrangere le regole. Egli, ben inteso, parlava
della morale. ma possiamo intendere tutto ci anche nel senso sociale ed economico. a motivo delle sue tare
nascoste, dei suoi equilibri, dei suoi svantaggi, dei suoi vizi nei confronti di un sistema razionale che il sistema reale
prospera. Si tacciato Mandeville di cinismo: l'ordine sociale, l'ordine della produzione ad essere oggettivamente
cinico1.
Lo spreco
Si sa quanta parte dell'abbondanza delle societ ricche sia legata allo spreco. Infatti si potuto parlare di una
societ della pattumiera e persino progettare una sociologia della pattumiera : Dimmi cosa butti via e ti dir chi
sei. Ma la statistica della rovina e del detrito non interessante in se stessa: essa non che un segno ridondante del
volume dei beni offerti e della profusione. Non si comprende n lo spreco, n le sue funzioni se non vi si vede che il
residuo di quel che era fatto per essere consumato e che invece non stato consumato. Ancora una volta abbiamo
qui una definizione semplicistica del consumo - definizione morale fondata sull'utilit imperativa dei beni, e che
permette a tutti i nostri moralisti di partire all'attacco contro la dilapidazione della ricchezza: dal privato che non
rispetta pi questa sorte di legge morale interna dell'oggetto che sarebbe il suo valore d'uso e la sua durata, che getta
i suoi beni o li cambia secondo i capricci dello standing o della moda, ecc., fino a uno spreco su scala nazionale e
internazionale, e persino fino a uno spreco in qualche modo planetario, costituito dalla specie umana nella sua
economia generale e nello sfruttamento delle ricchezze naturali. In breve lo spreco considerato sempre come una
sorta di follia, di demenza, di disfunzione dell'istinto, che fa bruciare all'uomo le sue riserve e compromettere, con una
pratica irrazionale, le sue condizioni di sopravvivenza.
Questa visione tradisce almeno il fatto che noi non siamo in un'era di abbondanza reale, che attualmente ciascun
individuo, gruppo o societ, e persino la specie in quanto tale posta sotto il segno della scarsit. Ora questi
moralisti sono in generale gli stessi che sostengono il mito dell'inevitabile avvento dell'abbondanza e che deplorano
lo spreco, legato al minaccioso spettro della scarsit. In ogni modo questa visione morale dello spreco come

disfunzione da riconsiderarsi secondo un'analisi sociologica che far apparire le sue vere funzioni.
Tutte le societ hanno sempre sprecato, dilapidato, speso e consumato al di l dello stretto necessario, per la
semplice ragione che nel consumo di un'eccedenza, di un surplus, che l'individuo, come la societ, si sentono non
semplicemente esistere ma anche vivere. Questo consumo pu giungere fino alla consumazione, alla distruzione pura
e semplice che assume allora una specifica funzione sociale. Cos nel potlatch *, la distruzione competitiva dei beni
preziosi che suggella l'organizzazione sociale. I Kwakiutl sacrificano delle coperte, delle canoe, dei rami lavorati, che
bruciano o gettano in mare, per sostenere il loro rango , per affermare il loro valore. ancora (mediante) la
wasteful expenditure (prodigalit inutile), che ha attraversato tutte le epoche, che le classi aristocratiche hanno
affermato la loro preminenza. La nozione di utilit, di origine razionalistica ed economicistica, dunque da rivedere
secondo una logica sociale molto pi ampia in cui lo spreco, lungi dall'essere un residuo irrazionale, assume una
funzione positiva, sostituendo l'utilit razionale in una funzionalit sociale superiore, e anzi, al limite, appare come la
funzione essenziale - il surplus di spesa, il superfluo, l'inutilit virtuale della spesa per nulla divengono il luogo
della produzione dei valori, delle differenze e del senso - tanto sul piano individuale che su quello sociale. In questa
prospettiva si profila una definizione del consumo come consumazione, vale a dire come spreco produttivo prospettiva inversa a quella dell' economico , fondata sulla necessit dell'accumulazione e del calcolo, in cui la
spesa precede in valore (se non nel tempo) l'accumulazione e l'appropriazione.
Shakespeare nel Re Lear dice: Oh! non ragionatemi di "bisogno", i nostri pi poveri mendichi han qualcosa, la pi
meschina, che ad essi rimane superflua: non concedere alla natura pi di quel che alla natura strettamente
necessario, e la vita dell'uomo vale quella della bestia 2. Per essere c' bisogno di un qualcosa di troppo!
In altri termini uno dei problemi posti dal consumo il seguente: gli esseri si organizzano - in funzione della loro
sopravvivenza, o in funzione del senso. individuale o collettivo, che essi danno alla loro vita? Ora questo valore di
essere , questo valore strutturale pu implicare anche il sacrificio dei valori economici. E questo problema non
metafisico, , invece, al centro del consumo, e forse si pu tradurre nel modo seguente : l'abbondanza non ha forse in
fondo senso solo nello spreco?
Si deve definire l'abbondanza, come fa Valry, sotto il segno della previsione e della provvista? Contemplare dei
mucchi di cibo conservabile non equivale forse a vedere un futuro garantito e degli atti risparmiati? Una cassa di
biscotti tutto un mese di pigrizia e di vita. Dei barattoli di carne conservata e dei cesti pieni di semi e di noci sono un
tesoro di quiete, tutto un inverno tranquillo in potenza nel loro profumo... Robinson fiutava la presenza dell'avvenire
nelle casse e nelle scatole della sua cambusa. Dal suo tesoro sprigionava dell'ozio; emanava della durata come da
certi metalli emana un intensissimo calore... L'umanit non si lentamente elevata che sul cumulo di quel che dura.
Previsioni, provviste, a poco a poco ci siamo svincolati dalle strette costrizioni dei nostri bisogni. Lo suggeriva la
natura: essa ha fatto s che avessimo con noi di che resistere per qualche tempo all'instabilit degli avvenimenti: il
grasso che sulle nostre membra, la memoria che rimane vigile nello spessore della nostra anima, sono i modelli per
le risorse tenute in serbo che la nostra operosit ha imitato .
Questo il principio economico, a cui si oppone la visione nietzschiana (e di Bataille), del vivente che va avanti
spendendo tutta la sua forza . I fisiologi dovrebbero riflettere prima di porre listinto di conservazione" quale istinto
base di ogni essere organico. Il vivente va avanti spendendo tutte le sue forze: la "conservazione" non che una delle
conseguenze. Attenti ai principi teleologici superflui! E il concetto di istinto di conservazione" uno di questi principi...
La lotta per l'esistenza" - questa formula denota l'eccezione, la regola piuttosto la lotta per la potenza, l'ambizione di
avere "di pi'' e "meglio" e "pi in fretta" e "pi spesso" (Nietzsche, La volont di potenza).
Quel qualcosa in pi , attraverso cui si afferma il valore, pu diventare il qualcosa in proprio . Questa legge del
valore simbolico, che fa s che l'essenziale sia sempre al di l dell'indispensabile, si illustra nella spesa e nella perdita,
ma essa pu anche verificarsi nell'appropriazione purch questa abbia la funzione differenziale del surplus, del
qualche cosa in pi . Ne testimone l'esempio sovietico: operaio, dirigente, ingegnere, membro del partito hanno un
appartamento che non appartiene loro; in affitto o vitalizio, un alloggio in funzione dello status sociale del lavoratore,
del cittadino attivo, non della persona privata. Questo bene un servizio sociale, non un patrimonio e ancora meno un
bene di consumo . Al contrario la seconda casa, la dacia di campagna col giardino, questa appartiene loro. Questo
bene non vitalizio, n revocabile, pu sopravvivere loro e diventare ereditario. Da cui l'entusiasmo individualistico
che vi si connette: tutti gli sforzi si orientano verso l'acquisto di questa dacia (a scapito dell'automobile che gioca un
po' lo stesso ruolo che in Occidente ha la seconda casa). Valore di prestigio e valore simbolico di questa dacia: il
qualcosa in pi .
In un certo modo avviene la stessa cosa nell'abbondanza: perch questa divenga un valore occorre non che se ne
abbia abbastanza, ma troppo - occorre che sia mantenuta e si manifesti una differenza significativa tra il necessario e
il superfluo: la funzione dello spreco a tutti i livelli. Ed illusorio volerlo riassorbire, pretendere di eliminarlo, giacch,
in qualche modo, lo spreco che orienta tutto il sistema. Del resto non lo si pu definire o circoscrivere pi di quanto
non lo si possa fare per qualche gadget (dove finisce l'utile, dove comincia l'inutile?). D'altronde ogni produzione e
ogni spesa che va al di l dello stretto necessario pu essere tacciata di spreco (non solamente la moda e la
pattumiera alimentare, ma anche i supergadgets militari, la bomba atomica, la superattrezzatura agricola di certi
contadini americani, e le industrie che rinnovano ogni due anni il loro assortimento di macchine invece di
ammortizzarle: non solamente il consumo ma anche la produzione obbedisce largamente ai processi di ostentazione senza contare la politica). Gli investimenti redditizi e gli investimenti superflui sono dovunque inestricabilmente
collegati. Un industriale dopo aver investito 1000 dollari in pubblicit dichiarava: So che una met ne andr perduta,

ma non so quale . sempre cos in uneconomia complessa: non si potrebbe isolare l'utile e voler sottrarre il
superfluo. Del resto la met perduta (economicamente) non forse quella che, a lungo termine e in modo pi
sottile, acquista meno valore nella sua stessa perdita .
cos che bisogna leggere l'immenso spreco della nostra societ dell'abbondanza. esso che definisce la rarit e
che esprime contradditoriamente l'abbondanza. lo spreco nel suo principio e non l'utilit ad essere lo schema
psicologico, sociologico ed economico direttivo dell'abbondanza.
Che si possa gettar via il contenitore di vetro, non gi l'et dell'oro?
Uno dei grandi temi della cultura di massa, analizzato da Riesman e da Morin, illustra tutto ci in modo epico: quello
degli eroi del consumo. Almeno in Occidente le biografie esaltanti gli eroi della produzione cedono oggi dappertutto a
quelle esaltanti gli eroi del consumo. Le grandi vite esemplari dei self made men , dei fondatori, dei pionieri, degli
esploratori e dei coloni, che erano succedute a quelle dei santi e dei grandi della storia, hanno ceduto il posto a quelle
delle stelle del cinema, dello sport, di alcuni principi dorati o feudatari internazionali, in breve ai grandi protagonisti
dello spreco (anche se per contro l'imperativo impone spesso di mostrarli nella loro semplice vita quotidiana, mentre
fanno una passeggiata, ecc.). Tutti questi grandi dinosauri fan parlare di s le riviste e la TV: sempre la loro vita per
eccesso e la virtualit delle spese mostruose a venir esaltate in essi. La loro qualit sovraumana e il loro profumo di
potlatch. Cos essi svolgono una funzione sociale ben precisa: quella della spesa di lusso inutile, smisurata. Essi
svolgono questa funzione per procura, per tutto il corpo sociale, come i re, gli eroi, i preti e i grandi parvenus delle
epoche precedenti. Come questi del resto essi non sono mai cos grandi come quando, al pari di James Dean,
pagano questa dignit colla loro vita. La differenza essenziale che nel nostro sistema attuale questa dilapidazione
spettacolare non ha pi il significato simbolico e collettivo che aveva nelle feste e nel potlatch primitivi. Questo
consumo prestigioso si anch'esso personalizzato ed divenuto anch'esso mass-media. Esso ha per funzione il
rilancio economico del consumo di massa, che si definisce in confronto ad esso come sottocultura laboriosa. La
caricatura dell'abito sontuoso che la vedette indossa una sola sera lo slip di carta che, 80% viscosa e 20%
acrilico, si mette al mattino e si butta via alla sera e non si lava. Soprattutto questo spreco di lusso, questo spreco
sublime proposto dai mass-media non fa che raddoppiare sul piano culturale uno spreco molto pi fondamentale e
sistematico direttamente integrato nei processi economici, uno spreco funzionale e burocratico, prodotto dalla
produzione contemporaneamente ai beni materiali, incorporato in essi e dunque obbligatoriamente consumato come
una delle qualit e delle dimensioni dell'oggetto di consumo: la loro fragilit, la loro obsolescenza calcolata, la loro
condanna all'effimero. Quel che al giorno d'oggi viene prodotto non in funzione del suo valore d'uso o della sua
possibile durata, ma al contrario in funzione della sua morte, la cui accelerazione non eguagliata se non
dall'inflazione dei prezzi. Questo da solo sarebbe sufficiente per mettere in discussione i postulati razionalistici di
tutta la scienza economica nei confronti dell'utilit, dei bisogni, ecc. Ora si sa che l'ordine della produzione non
sopravvive che a prezzo di questo sterminio, di questo suicidio calcolato perpetuo del parco degli oggetti; si sa
che questa produzione si basa sul sabotaggio tecnologico o sulla desuetudine organizzata sotto il segno della moda.
La pubblicit realizza questo prodigio di un considerevole bilancio consumato per il solo scopo non di incrementare
bens di diminuire il valore d'uso degli oggetti, di diminuire il loro valore/tempo assoggettandolo al loro valore/moda e
al rinnovamento accelerato. Non parliamo delle colossali ricchezze sociali sacrificate nei bilanci militari e in altre spese
statali o burocratiche di prestigio; questa sorta di prodigalit non ha pi nulla assolutamente del profumo simbolico del
potlatch, essa una soluzione disperata, ma vitale, di un sistema economico-politico in perdita. Questo consumo
al pi alto livello fa parte della societ dei consumi allo stesso titolo della sete tetanica di oggetti presso i privati. Le
due cose assicurano congiuntamente la riproduzione dell'ordine di produzione. E bisogna distinguere lo spreco
individuale e collettivo come atto simbolico di spesa, come rituale di festa e forma esaltata di socializzazione, dalla
sua caricatura funebre e burocratica esistente nelle nostre societ, in cui il consumo-spreco divenuto un obbligo
forzato e di cui spesso non si neppure consapevoli, come nel caso delle imposte indirette, una partecipazione a
freddo alla costruzione dell'ordine economico.
Rompete la vostra auto, l'assicurazione far il resto! L'auto del resto senza dubbio una delle fonti privilegiate
dello spreco quotidiano e a lungo termine sia privato che pubblico. Non solamente per il suo valore d'uso
sistematicamente ridotto, per il suo coefficiente di prestigio e di moda sistematicamente rafforzato, per le somme
smisurate che vi sono investite, ma pi profondamente senza dubbio per il sacrificio collettivo spettacolare di lamiera,
di meccanica, di vite umane che rappresenta l'incidente - happening gigantesco, il pi bello della societ dei consumi,
perch nella distruzione rituale della materia e della vita, si d la prova della sovrabbondanza (prova inversa, ma ben
pi efficace, per l'immaginazione profonda, della prova diretta attraverso l'accumulazione).
La societ dei consumi per essere ha bisogno dei suoi oggetti e pi precisamente ha bisogno di distruggerli. L uso
degli oggetti non conduce che alla loro lenta perdita. Il valore creato molto pi intenso nella sua perdita violenta. Per
questo la distruzione resta l'alternativa fondamentale alla produzione: il consumo non che un termine che funge da
intermediario tra questi due estremi. Vi una tendenza profonda nel consumo a superarsi, a trasfigurarsi nella
distruzione. l che esso assume il suo senso. La maggior parte del tempo, nella quotidianit attuale, resta
subordinato, in quanto consumativit diretta, all'ordine della produttivit. Ecco perch per la maggior parte del tempo
gli oggetti sono l per difetto, e perch la loro stessa abbondanza significa paradossalmente la loro penuria. Lo stock
la ridondanza della mancanza, il segno dell'angoscia. Solo nella distruzione gli oggetti sono l per eccesso, e
testimoniano, nella loro scomparsa, la ricchezza. In ogni caso evidente che la distruzione, sia sotto la forma violenta
e simbolica (happening, potlatch, acting out distruttivo, individuale e collettivo) sia sotto la forma di distruttivit
sistematica e istituzionale, votata a divenire una delle funzioni preponderanti della societ postindustriale.

NOTE AL CAPITOLO TERZO


* Il potlatch un rituale di dono di prestigio in uso, presso gli Kwakiutl dell'America del Nord. divenuto sinonimo di
spesa ostentata, di sacrificio o di distruzione di beni o di valori, nella provocazione o nella festa [N.d.T].
1

Vi in questo senso una differenza assoluta tra lo spreco della nostra societ dell'abbondanza , spreco che non
che uno svantaggio integrato nel sistema economico, che uno spreco funzionale , non produttore di valore
collettivo, e la prodigalit distruttiva praticata da tutte le societ dette della penuria , nelle loro feste e nei loro riti e
sacrifici, spreco per eccesso , in cui la distribuzione dei beni era fonte di valori simbolici collettivi. Gettare via come
rottami le macchine fuori moda, bruciare il caff nelle locomotive non ha nulla della festa, una distruzione
sistematica, deliberata per dei fini strategici. Cos per le spese militari (solo forse la pubblicit ... ). Il sistema
economico, preso com' dalla propria pretesa razionalit , non pu superarsi in uno spreco festivo. Al contrario non
pu che divorare, in qualche modo vergognosamente, il proprio surplus di ricchezza, praticando una distruttivit
calcolata complementare al calcolo della produttivit.
2
W. Shakespeare, Re Lear, Atto II, Scena IV.

PARTE SECONDA
TEORIA DEL CONSUMO

CAPITOLO PRIMO
LA LOGICA SOCIALE DEL CONSUMO
L'ideologia egualitaria del benessere
Ogni discorso sui bisogni si basa su di un'antropologia ingenua: quella della propensione naturale alla felicit. La
felicit, incisa a lettere di fuoco sulla pi banale pubblicit per le Canarie o sui sali da bagno, il riferimento costante
della societ dei consumi: l'esatto equivalente della salvezza. Ma che cos' questa felicit che invade la civilt
moderna con una tale forza ideologica?
Bisogna riesaminare, anche a questo riguardo, ogni concezione spontanea. Il concetto di felicit non deriva la sua
forza ideologica da una inclinazione naturale di ciascun individuo a realizzarla per lui stesso. Gli deriva,
sociostoricamente, dal fatto che il mito della felicit quello che raccoglie e incarna nelle societ moderne il mito
dell'uguaglianza. Tutte le suggestioni politiche e sociologiche di cui questo mito carico dalla Rivoluzione industriale e
dalle rivoluzioni del XIX secolo in poi si sono trasferite sulla felicit. Il fatto che la felicit abbia anzitutto questo
significato e questa funzione ideologica implica delle conseguenze importanti circa il suo contenuto: per essere il
tramite del mito egualitario, bisogna che la felicit sia misurabile. Bisogna che sia un benessere misurabile in base ad
oggetti e a segni, un confort , come diceva Tocqueville che notava gi questa tendenza delle societ democratiche
ad un sempre maggior benessere, come riassorbimento delle casuali differenze sociali e livellamento di tutti i destini.
La felicit come godimento totale o interiore, quella felicit indipendente da segni che potrebbero manifestarla agli
occhi degli altri e ai nostri, quella felicit che non ha bisogno di prove dunque decisamente bandita dall'ideale del
consumismo, in cui la felicit soprattutto esigenza d'uguaglianza (o ben inteso di distinzione) e deve perci
significarsi sempre con riguardo a criteri visibili. In questo senso, la felicit anche pi lontana da ogni festa o
esaltazione collettiva, poich, alimentata da un'esigenza egualitaria, si fonda sui principi individualistici, sanciti dalla
Carta dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino, che riconoscono esplicitamente a chiunque (a ciascun individuo) il diritto alla
felicit.
La rivoluzione del benessere l'erede, l'esecutrice testamentaria della rivoluzione borghese o semplicemente di
ogni rivoluzione che innalza a principio l'uguaglianza degli uomini, senza potere (o senza volere) realizzarla fino in
fondo. Il principio democratico trasferito allora da una uguaglianza reale, delle capacit, delle responsabilit, delle
possibilit sociali, della felicit (nel senso pieno del termine) ad una uguaglianza davanti all'oggetto e agli altri segni
evidenti del successo sociale e della felicit. la democrazia della posizione sociale, la democrazia della televisione,
dell'automobile e del canale stereo, democrazia apparentemente concreta, ma in realt formale, che risponde, al di l
delle contraddizioni e disuguaglianze sociali, alla democrazia formale proclamata dalla Costituzione. Entrambe, l'una

come alibi dell'altra, si coniugano in una ideologia democratica globale, che maschera la democrazia assente e
l'uguaglianza introvabile.
La nozione di bisogni legata a quella di benessere nella mistica dell'uguaglianza. I bisogni descrivono un
universo rassicurante di fini, e questa antropologia naturalistica fonda la promessa di una uguaglianza universale. La
tesi implicita la seguente: Tutti gli uomini sono. uguali davanti al bisogno e davanti al principio di soddisfazione,
perch tutti gli uomini sono uguali davanti al valore d'uso degli oggetti e dei beni (mentre sono disuguali e divisi
davanti al valore di scambio). Poich il bisogno ancorato al valore d'uso, si instaura una relazione di utilit obiettiva
o di finalit naturale davanti alla quale non vi pi disuguaglianza sociale o storica. Al livello della bistecca (valore
d'uso) non esistono n proletari n privilegiati.
Cos i miti complementari del benessere e dei bisogni hanno una potente funzione ideologica di riassorbimento e di
eliminazione delle determinazioni oggettive, sociali e storiche, della disuguaglianza. Tutto il gioco politico del Welfare
State e della societ dei consumi consiste nel superare le loro contraddizioni accrescendo il volume dei beni, nella
prospettiva di un livellamento automatico grazie alla quantit e di un risultato finale di equilibrio, che sarebbe quello
del benessere totale per tutti. Anche le societ comuniste parlano in termini di equilibrio, di bisogni individuali o sociali
naturali , armonizzati , svincolati da ogni differenziazione sociale o connotazione di classe - passando cosi da
una soluzione politica a una soluzione definitiva in termini di abbondanza e sostituendo l'uguaglianza formale dei beni
alla trasparenza sociale degli scambi. Cos si vede che anche nei paesi socialisti la rivoluzione del benessere
sostituisce la rivoluzione sociale e politica.
Se questo modo di vedere l'ideologia del benessere giusta (cio che essa la traduzione del mito dell'uguaglianza
formale secolarizzata nei beni e nei segni), allora chiaro che l'eterno problema: La societ dei consumi fonte
di uguaglianza o di disuguaglianza? Rappresenta la democrazia realizzata o in via di realizzazione, oppure all'inverso,
ristabilisce le differenze e le strutture sociali precedenti? , un falso problema. Che si arrivi o meno a provare che le
potenzialit di consumo sono le stesse (livellamento dei redditi, redistribuzione sociale, un'identica moda per tutti, gli
stessi programmi televisivi, tutti insieme al club Mditerrane), non significa nulla, poich porre il problema in termini
di uguaglianza consumistica, gi sostituire la ricerca sugli oggetti e sui segni (livello sostitutivo) ai veri problemi e
alla loro analisi logica e sociologica. Andando pi a fondo, analizzare l' abbondanza non significa andarla a
verificare nelle cifre, le quali sono mitiche come i miti, ma significa cambiare radicalmente punto di vista ed esaminare
il mito dell'abbondanza con una logica diversa dalla sua propria.
Certamente l'analisi impone che si constati l'abbondanza attraverso le cifre, il bilancio del benessere. Ma le cifre non
parlano di se stesse e non si contraddicono mai. Soltanto le interpretazioni parlano, talvolta senza contrasto, talvolta
contraddicendo le cifre. Diamo loro la parola.
La pi vivace, la pi ostinata, la versione idealista:
- la crescita abbondanza;
- l'abbondanza democrazia.
Davanti all'impossibilit di inferire l'imminenza di questo benessere totale (sia pure a livello delle cifre), il mito si fa pi
realista , la variante ideal-riformista: le grandi disuguaglianze della prima fase della crescita ,si fanno pi esigue,
scompare la legge di bronzo , i redditi tendono ad equipararsi. Certamente l'ipotesi di un progresso continuo e
regolare verso una progressiva uguaglianza smentita da certi fatti (l' Altra America : 20% di poveri , ecc.). Ma
questi fatti indicano una disfunzione provvisoria e una malattia infantile. La crescita, oltre a certi effetti di
disuguaglianza, implica una democratizzazione d'insieme e a lungo termine. Cos, secondo Galbraith, il problema
della uguaglianza/disuguaglianza non pi all'ordine del giorno. Era legato a quello della ricchezza e della povert,
mentre ora le nuove strutture della societ opulenta hanno riassorbito il problema, malgrado una redistribuzione
disuguale. Sono poveri (il 20%) coloro che rimangono, per una ragione o per l'altra, fuori del sistema industriale,
estranei alla crescita. Il principio della crescita, in s, salvo; omogeneo e tende a omogeneizzare tutto il corpo
sociale.
La questione fondamentale che si pone a questo livello quella di questa povert . Per gli idealisti
dell'abbondanza, essa residuale e sar assorbita da un surplus di crescita. Tuttavia essa sembra perpetuarsi da
una generazione post-industriale all'altra, tutti gli sforzi (in particolare negli USA, con la Great Society ) per
eliminarla sembrano scontrarsi con qualche meccanismo del sistema che la riproduce funzionalmente in ciascuno
stadio dell'evoluzione, come una sorta di volano d'inerzia della crescita, come una specie di molla indispensabile alla
ricchezza globale. Bisogna credere a Galbraith quando imputa questa povert residuale e inesplicabile alle disfunzioni
del sistema (priorit data alle spese militari e inutili, al ritardo dei servizi collettivi sui consumi privati, ecc.) o bisogna
rovesciare il ragionamento e pensare che la crescita, nella sua stessa logica, che si. fonda su questo squilibrio?
Galbraith , al riguardo, molto contraddittorio: tutte le sue analisi finiscono in un certo modo col dimostrare
l'implicazione funzionale dei vizi nel sistema della crescita, ma tuttavia egli indietreggia davanti alle conclusioni
logiche che metterebbero in causa il sistema stesso e riaggiusta ogni cosa in un'ottica liberale.
In generale, gli idealisti si attengono a questa constatazione paradossale: nonostante tutto e per una inversione
diabolica dei suoi fini (che non possono che essere, come tutti sanno, benefici), la crescita produce, riproduce,
ristabilisce la disuguaglianza sociale, i privilegi, gli squilibri, ecc. Si ammetter, come Galbraith ne La societ opulenta
1
, che alla base c' l'aumento della produzione che sostituisce la redistribuzione ( Pi ce ne sar... Finir per
essercene a sufficienza per tutti . Ora, questi principi che ricordano la fisica dei fluidi non sono mai veri in un contesto
di relazioni sociali, dove essi sono - lo vedremo pi oltre - esattamente l'inverso). Se ne desume d'altronde un
argomento ad uso dei sotto-privilegiati : Anche coloro che sono in fondo alla scala sociale hanno pi da

guadagnare da un accrescimento accelerato della produzione che da ogni altra forma di redistribuzione . Ma tutto ci
specioso: perch se in assoluto la crescita inaugura l'accesso di tutti ad un reddito e ad un volume di beni superiore
in assoluto, ci che sociologicamente caratteristico il processo di distorsione che si instaura proprio all'interno
della crescita, il tasso di distorsione che sottilmente struttura e d il suo vero senso alla crescita. tanto pi
semplice limitarsi alla scomparsa spettacolare di certe forme di miseria estrema o di certe disuguaglianze secondarie,
giudicare dell'abbondanza con cifre e quantit globali, con crescite assolute e prodotti nazionali lordi, che non
analizzare in termini di struttura! Strutturalmente il tasso di distorsione ad essere significativo. Esso indica a livello
internazionale la distanza crescente tra paesi sottosviluppati e nazioni soprasviluppate, ma anche, in seno a queste,
la perdita di velocit dei bassi salari sui redditi pi elevati, dei settori che registrano una flessione sui settori di
punta, del mondo rurale sul mondo urbano e industriale, ecc, L'inflazione cronica permette di mascherare questa,
pauperizzazione relativa, spostando tutti i valori nominali verso l'alto, quando il calcolo delle funzioni e dei mezzi
relativi farebbe apparire delle regressioni parziali sul fondo del grafico e, in ogni modo, una distorsione strutturale su
tutta l'estensione del quadro. Non serve a nulla addurre sempre il carattere provvisorio o congiunturale di questa
distorsione quando si vede il sistema riprodursi in essa secondo la sua propria logica e farvi consistere la sua finalit.
Tutt'al pi si pu ammettere che si stabilizza attorno ad un certo tasso di distorsione, cio che include, quale che sia il
volume assoluto delle ricchezze, una disuguaglianza sistematica.
In effetti il solo modo di uscire dall'impasse idealistica di questa triste constatazione delle disfunzioni. ammettere che
qui all'opera una logica sistematica. anche il solo modo di superare la falsa problematica dell'abbondanza e della
scarsit che, come il problema della fiducia nello strumento parlamentare, ha la funzione di soffocare tutti i problemi.
Infatti non ci sono, e non ci sono mai state, societ dell'abbondanza n societ della miseria , giacch ogni
societ, quale che essa sia e qualunque sia il volume dei beni prodotti o della ricchezza disponibile, si articola tanto su
una eccedenza strutturale quanto su una penuria strutturale. L'eccedenza pu essere la parte di Dio, la parte del
sacrificio, la spesa suntuaria, il plusvalore, il profitto economico o i bilanci del prestigio. Comunque sia questo
prelievo destinato al lusso che definisce la ricchezza di una societ e nello stesso tempo la sua struttura sociale,
poich sempre l'appannaggio di una minoranza privilegiata e ha per funzione proprio la riproduzione del privilegio di
casta o di classe. Sul piano sociologico non c' equilibrio. L'equilibrio il fantasma ideale degli economisti, che
contraddice se non la logica stessa dello stato di societ, certo l'organizzazione sociale ovunque riscontrabile. Ogni
societ produce differenze, discriminazione sociale, e questa organizzazione strutturale si fonda (tra l'altro)
sull'utilizzazione e la distribuzione delle ricchezze. Il fatto che una societ entri in una fase di crescita, come le nostre
societ industriali, non cambia nulla di questo processo, al contrario: in un certo senso, il sistema capitalistico (e
produttivistico in generale) ha raggiunto l'apice di questo dislivello funzionale, di questo squilibrio,
razionalizzandolo e generalizzandolo a tutti i livelli. Le spirali della crescita si ordinano attorno allo stesso asse
strutturale. A partire dal momento in cui si abbandona la finzione del PNL come criterio dell'abbondanza, bisogna
constatare che la crescita n ci allontana n ci avvicina all'abbondanza. Essa ne logicamente separata da tutta la
struttura sociale che qui l'istanza determinante. Un certo tipo di rapporti sociali e di contraddizioni sociali, un certo
tipo di disuguaglianza che si perpetuava un tempo nell'immobilismo si riproduce oggi nella e attraverso la
crescita2.
Tutto ci impone un'altra visione della crescita. Noi non diremo pi come chi ne entusiasta: La crescita produce
abbondanza, dunque uguaglianza , noi non assumeremo neppure il punto di vista estremo ed opposto: La crescita
produttrice di disuguaglianza . Rovesciando il falso problema: la crescita fonte di uguaglianza o di
disuguaglianza? noi diremo che la crescita stessa ad essere funzione della disuguaglianza. la necessit per
l'ordine sociale inegualitario , per la struttura sociale del privilegio, di conservarsi, che produce e riproduce la
crescita come suo elemento strategico. Ovvero l'autonomia interna della crescita (tecnologica, economica) debole e
secondaria rispetto a questa determinazione da parte della struttura sociale.
La societ della crescita risulta nel suo insieme da un compromesso tra principi democratici egualitari, che possono
sostenersi col mito dell'abbondanza e del benessere, e l'imperativo fondamentale del mantenimento di un ordine di
privilegio e di dominazione. Non il progresso tecnologico che la fonda: questa visione meccanica quella stessa
che alimenta la visione ingenua dell'abbondanza futura. al contrario questa doppia determinazione contraddittoria
che fonda la possibilit del progresso tecnologico. di nuovo essa che comanda le emergenze, nelle nostre societ
contemporanee, di certi processi egualitari, democratici, progressisti . Ma bisogna ben comprendere che essi vi
emergono a dosi omeopaticbe, distillate dal sistema in funzione della sua sopravvivenza. La stessa uguaglianza, in
questo processo sistematico, una funzione (secondaria e derivata) della disuguaglianza. Proprio come la crescita.
La tendenza al livellamento dei redditi, ad esempio (perch soprattutto a questo livello che gioca il mito egualitario),
necessaria all'interiorizzazione dei processi di crescita che, abbiamo visto, si accompagna tatticamente alla
conservazione dell'ordine sociale, il quale una struttura di privilegio e di potere di classe. Tutto ci designa alcuni
sintomi di democratizzazione come alibi necessari alla vitalit del sistema.
Del resto questi sintomi sono essi stessi superficiali e sospetti. Galbraith si compiace del regresso della
disuguaglianza come problema economico (e dunque sociale) - non perch sia scomparsa, ma perch la ricchezza
non porta pi i vantaggi fondamentali (potere, piacere, prestigio, distinzione) che essa implicava un tempo. Finito il
potere dei proprietari e degli azionisti: sono gli esperti e i tecnici organizzati che l'esercitano, cio gli intellettuali e gli
scienziati! Finito lo spreco vistoso dei grandi capitalisti e altri Citizen Kane, finite le grandi fortune: i ricchi si fanno
quasi una legge del sottoconsumo (under-consumption). In breve, senza volerlo, Galbraith mostra bene che se c'
della uguaglianza (se la povert e la ricchezza non sono pi un problema), proprio perch essa non ha pi una

importanza reale. Non pi questo il problema: i criteri del valore sono altrove. La discriminazione sociale, il potere,
ecc., che continuano a rimanere l'essenziale, non sono pi nel reddito o nella ricchezza pura e semplice. Importa
poco, in queste condizioni, che tutti i redditi al limite siano uguali, e anche il sistema pu concedersi il lusso di fare un
gran passo in questa direzione, perch non pi l la determinazione fondamentale della disuguaglianza . Il
sapere, la cultura, le strutture di responsabilit e di decisione, il potere: tutti questi criteri, sebbene largamente
complici della ricchezza e del livello del reddito, li hanno ampiamente relegati, cos come i segni di status, nell'ordine
delle determinanti sociali del valore, nella gerarchia dei criteri del potere . Galbraith, ad esempio, confonde il
sotto-consumo dei ricchi con l'abolizione dei criteri di prestigio fondati sul denaro. Certo, l'uomo ricco che guida la
sua 2CV non abbaglia pi, pi sottile: si superdifferenzia, si sovradistingue per il modo di consumare, per lo stile.
Mantiene assolutamente il suo privilegio passando dall'ostentazione alla discrezione (super-ostentata),
dall'ostentazione quantitativa alla distinzione, dal denaro alla cultura.
In effetti, anche questa tesi che si potrebbe chiamare della caduta tendenziale del tasso di privilegio economico va
presa con cautela. Infatti il denaro si trasforma sempre in privilegio gerarchico, in privilegio di potere e di cultura. Si
pu ammettere che non pi decisivo (lo mai stato?). Ci che non vedono pi Galbraith e gli altri, che il fatto che
la disuguaglianza (economica) non rappresenti pi un problema costituisce in s un problema. Constatando un po'
troppo rapidamente l'attenuazione della legge di bronzo in campo economico, si limitano ad essa senza cercare
n di elaborare una teoria pi ampia di questa legge n di vedere come essa si sposti dal campo dei redditi e del
consumo , ormai benedetti dall' abbondanza , verso un campo sociale molto pi generale, in cui, divenuta pi
sfuggente, si fa pi irreversibile.
Sistema industriale e povert
Allorch si riprende cos obiettivamente, al di l della liturgia della crescita e dell'abbondanza, il problema del sistema
industriale nel suo insieme, si constata che due opzioni fondamentali riassumano tutte le possibili alternative:
l. L'opzione di Galbraith (e di tanti altri) idealistico-magica, consiste nel respingere al di fuori del sistema, come
certamente deplorabili ma residuali, accidentali, e prima o poi correggibili, tutti i fenomeni negativi: disfunzioni,
svantaggi, povert - e nel preservare cos l'orbita incantata della crescita.
2. Considerare che il sistema vive sullo squilibrio e sulla penuria strutturale, che la sua logica, e ci non
congiunturalmente bens strutturalmente, totalmente ambivalente: il sistema non si sostiene che producendo la
ricchezza e la povert, che producendo tanto soddisfazioni che frustrazioni, tanto svantaggi che progressi . La sua
sola logica la sopravvivenza, e la sua strategia in questo senso di mantenere la societ umana fuori sesto, in
continuo deficit. noto che il sistema si tradizionalmente e potentemente aiutato colla guerra per sopravvivere e per
resuscitare. Oggi i meccanismi e le funzioni della guerra sono integrati nel sistema economico e nei meccanismi della
vita quotidiana.
Se si ammette questo paradosso strutturale della crescita, da cui derivano le contraddizioni e i paradossi
dell'abbondanza, ingenuo e mistificante confondere coi poveri (il 20% di sotto-privilegiati e di emarginati ) i
processi logici del sotto-sviluppo sociale. Questi non sono localizzabili in persone reali, in gruppi reali. Essi non sono
pi esorcizzabili a colpi di miliardi di dollari con cui si irrorano le classi disagiate e a colpi di ridistribuzioni massicce
per scacciare la povert e eguagliare le possibilit (orchestrando tutto ci come la nuova frontiera 3, ideale
sociale per commuovere le folle). A volte bisogna riconoscere che i great-societistes vi credono essi stessi, ma in
tale caso il loro smarrimento di fronte allo scacco del loro sforzo accanito e generoso non che pi comico.
Se la povert, se gli svantaggi sono irriducibili, perch essi si trovano dovunque tranne che nei quartieri poveri, non
negli slums o nelle bidonville, ma nella struttura socio-economica. Ma appunto ci che bisogna nascondere, ci che
non si deve dire: per mascherare tutto ci neppure dei miliardi di dollari sono troppi (cos le pesanti spese mediche e
farmaceutiche possono essere necessarie per non dire che il male altrove, di ordine psichico per esempio - un
processo di misconoscimento ben conosciuto). Una societ come un individuo pu cos rovinarsi per sfuggire
all'analisi. vero per che in questo caso l'analisi sarebbe mortale per il sistema stesso. Non dunque pagare un
prezzo troppo alto sacrificare dei miliardi inutili nella lotta contro ci che non che il fantasma visibile della povert se
con ci si salva il mito della crescita. Bisogna andare ancora pi lontano, e riconoscere che questa povert reale un
mito con cui si esalta il mito della crescita, fingendo di accanirsi contro la povert e risuscitandola suo malgrado per
le proprie finalit segrete.
Detto ci non bisogna credere che perch siano deliberatamente sanguinari e odiosi che i sistemi industriali e
capitalisti risuscitano di continuo la povert o si identificano nella corsa agli armamenti. L'analisi moralistica (a cui non
si sottraggono n i liberali n i marxisti) sempre un errore. Se il sistema potesse equilibrarsi o sopravvivere su basi
diverse dalla disoccupazione, dal sotto-sviluppo, dalle spese militari, certo lo farebbe. Lo fa all'occasione; allorch pu
suggellare la sua potenza grazie a degli effetti sociali benefici, grazie all' abbondanza , non manca di farlo. Non a
priori contro le ricadute sociali del progresso. Fa del benessere dei cittadini e della forza nucleare
indifferentemente e nello stesso tempo, il suo obiettivo; il fatto che per esso in fondo le due cose sono uguali come
contenuti, la sua finalit altrove.
Semplicemente, a livello strategico, si constata che, per esempio, le spese militari sono pi sicure, controllabili ed
efficienti di quelle per l'educazione - l'automobile pi dell'ospedale, la TV a colori pi dei parchi giochi, ecc. Ma questa
discriminazione collettiva non si fonda sui servizi collettivi in quanto tali - ben pi grave, il sistema non conosce che
le condizioni della propria sopravvivenza e ignora i contenuti sociali e individuali. Ci ci deve prevenire contro alcune

illusioni (tipicamente social-riformistiche): quelle consistenti nel credere di cambiare sistema modificandone i contenuti
(trasferire il bilancio delle spese militari all'educazione, ecc.). Il paradosso del resto che tutte queste rivendicazioni
sociali sono lentamente, ma sicuramente, assunte e realizzate dal sistema stesso, che si sottrae cos alle critiche di
coloro che ne fanno una piattaforma politica. Consumo, informazione, comunicazione, cultura, abbondanza: tutto
questo oggi messo in piazza, scoperto e organizzato dal sistema stesso, come delle nuove forze produttive, per la
sua maggior gloria. Anch'esso si riconverte (relativamente) da una struttura violenta a una struttura non violenta e
sostituisce l'abbondanza e il consumo allo sfruttamento e alla guerra. Ma nessuno gliene sar grato: infatti non per
questo fine che cambia e del resto in questo cambiamento non obbedisce che alle proprie leggi.
Le nuove segregazioni
Non solamente l'abbondanza ma gli svantaggi stessi sono riassorbiti nella logica sociale. L'influsso dell'ambiente
urbano e industriale fanno comparire delle nuove rarit: lo spazio e il tempo, l'aria pura, il verde, l'acqua, il silenzio...
Certi beni un tempo gratuiti e disponibili a profusione divengono dei beni di lusso accessibili solo ai privilegiati, mentre
i beni fabbricati e i servizi sono offerti in massa.
L'omogeneizzazione al livello dei beni di prima necessit si sdoppia dunque in uno slittamento dei valori e in una
nuova gerarchia dell'utilit. La distorsione e l'inuguaglianza non sono ridotte, sono trasferite. Gli oggetti di consumo
corrente divengono sempre meno significativi del rango sociale e i redditi stessi, nella misura in cui le grandi disparit
vanno attenuandosi, perdono il loro valore come criterio distintivo. possibile anche che il consumo (assunto nel
senso di spesa, di acquisto, e di possesso di oggetti visibili) perda a poco a poco il ruolo eminente che ha attualmente
nella geometria variabile dello status, a vantaggio di altri criteri e di altri tipi di condotta. Al limite, il consumo sar
l'appannaggio di tutti allorch non significher pi nulla.
Si vede fin da ora che la gerarchia sociale si inscrive in criteri pi sottili: il tipo di lavoro e di responsabilit, il livello di
educazione e di cultura (questa pu essere una specie di bene raro al pari della maniera di consumo dei beni
correnti), la partecipazione alle decisioni. Il sapere e il potere sono o stanno per diventare i due grandi beni rari della
nostra societ dell'abbondanza.
Ma questi criteri astratti non impediscono di leggere fin da oggi una discriminazione crescente in altri segni concreti.
La segregazione dell'habitat non nuova, ma sempre pi legata a una studiata penuria e a una speculazione cronica,
essa tende a diventare decisiva, tanto per la segregazione geografica (centro delle citt e periferia, zone residenziali,
ghetti di lusso e quartieri-dormitorio, ecc.) che nello spazio abitabile (interno ed esterno dell'alloggio), nello
sdoppiamento della seconda casa, ecc. Gli oggetti hanno oggi minore importanza dello spazio e della connotazione
sociale degli spazi. L'habitat costituisce cos forse una funzione inversa rispetto a quella degli altri oggetti di consumo.
Funzione omogeneizzante di questi ultimi, funzione discriminante del primo in relazione ai rapporti di spazio e di
localizzazione.
Natura, spazio, aria pura, silenzio: l'incidenza della ricerca di questi beni rari e del loro prezzo elevato che si legge
negli indici differenziali delle spese tra le categorie estreme. La differenza tra operai e ceti superiori solamente da
100 a 135 in relazione ai prodotti di prima necessit, ma da 100 a 245 per l'arredamento dell'abitazione, da 100 a
305 per i trasporti; e da 100 a 390 per gli svaghi. Non bisogna leggere qui una graduazione quantitativa in uno spazio
di consumo omogeneo, attraverso le cifre bisogna leggere la discriminazione sociale, legata alla qualit dei beni
ricercati.
Si parla molto di diritto alla salute, di diritto allo spazio, di diritto alla bellezza, di diritto alle vacanze, di diritto al sapere,
di diritto alla cultura. E man mano che emergono questi nuovi diritti, nascono simultaneamente i ministeri della Sanit,
del Turismo - e perch no, della bellezza e dall'Aria Pura! Tutto questo, che sembra tradurre un progresso individuale
e collettivo generale, che verrebbe a sanzionare il diritto all'istituzione, ha un senso ambiguo e si pu in qualche modo
leggervi l'inverso: non si ha diritto allo spazio che dal momento in cui non c' pi spazio per tutti e dove lo spazio e il
silenzio sono il privilegio di alcuni a scapito degli altri. Come non si avuto il diritto alla propriet che dal momento in
cui non si avuta terra per tutti, non si avuto il diritto al lavoro che quando il lavoro diventato, nel quadro della
divisione del lavoro, una merce scambiabile, cio non appartenente pi in proprio agli individui. Ci si pu domandare
se il diritto al tempo libero non segni allo stesso modo il passaggio dall'ozio, come un tempo dal lavoro, allo stadio
della sua divisione tecnica e sociale, e dunque in effetti alla fine stessa del tempo libero.
La comparsa di questi nuovi diritti sociali, branditi come slogan, come manifesto democratico della societ
dell'abbondanza, dunque in realt sintomatica del passaggio degli elementi in gioco al rango di segni distintivi e di
privilegi di classe (o di casta). Il diritto all'aria pura significa la perdita dell'aria pura come bene naturale, il suo
passaggio allo stato di merce e la sua disuguale ridistribuzione sociale. Non bisognerebbe assumere per progresso
sociale oggettivo (l'iscrizione come diritto nelle tavole della legge) ci che progresso del sistema capitalistico cio trasformazione progressiva di tutti i valori concreti e naturali in forme produttive, cio in fondi:
1) di profitto economico,
2) di privilegio sociale.
Un'istituzione di classe
Il consumo non rende omogeneo il corpo sociale pi di quanto la scuola faccia per le possibilit culturali. Esso ne

accresce persino le disparit. Si tentati di porre il consumo, la partecipazione crescente agli stessi (?) beni e agli
stessi (?) prodotti materiali e culturali, come un correttivo alla disparit sociale, alla gerarchia e alla discriminazione
sempre maggiore del potere e della responsabilit. In effetti l'ideologia del consumo, come quella della scuola, svolge
bene questo ruolo (vale a dire la rappresentazione di un'uguaglianza totale di fronte al rasoio elettrico o all'automobile
- come quella che si ha di un'uguaglianza totale di fronte alla scrittura e alla lettura). Ovviamente tutti oggi sanno
virtualmente leggere e scrivere, tutti hanno (o avranno) la stessa lavatrice e acquistano gli stessi pocket-books. Ma
questa uguaglianza del tutto formale: pur fondandosi sul pi concreto, essa in effetti astratta. Ed al contrario
proprio su questa base omogenea astratta, su questa democrazia astratta dell'ortografia e dell'apparecchio TV che
pu operare, e meglio di prima, il vero sistema di discriminazione.
In effetti non neppure vero che i prodotti di consumo, i segni di questa istituzione sociale, instaurano questa
piattaforma democratica primaria: infatti in s e presi uno per uno (l'auto, il rasoio, ecc.), non hanno senso: la loro
costellazione, la loro configurazione, il rapporto con questi oggetti e con la loro prospettiva sociale d'insieme che
soli hanno un senso. E l c' sempre un senso distintivo. Essi stessi ripercuotono nella loro materialit di segni (la loro
sottile differenza) questa determinazione strutturale - non si vede del resto per quale miracolo essi ne potrebbero
essere liberi. Essi, come la scuola, obbediscono alla stessa logica sociale delle altre istituzioni, fin dall'immagine
opposta che essi ne danno.
Il consumo, al pari della scuola, un'istituzione di classe: non solo c' di fronte agli oggetti una disuguaglianza in
senso economico (l'acquisto, la scelta, l'uso ne sono regolati attraverso il potere di acquisto e il grado di istruzione a
propria volta in funzione dell'ascendente di classe, ecc.) - in breve non tutti hanno gli stessi oggetti, come non tutti
hanno le stesse possibilit scolari - ma pi in profondit c' una discriminazione radicale nel senso in cui solo certi
accedono a una logica autonoma, razionale, degli elementi dellambiente (uso funzionale, organizzazione estetica,
realizzazione culturale); essi non hanno a che fare con degli oggetti e propriamente parlando non consumano - gli
altri essendo votati ad un'economia magica, alla valorizzazione degli oggetti in quanto tali, e di tutto il resto in quanto
oggetti (idee, tempo libero, sapere, cultura): questa logica feticista propriamente l'ideologia del consumo.
Allo stesso modo il sapere e la cultura non sono, per coloro che non ne hanno la chiave, vale a dire il codice che ne
permette l'uso legittimo, razionale ed efficace, che l'occasione di una segregazione culturale pi
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acuta e pi sottile, poich il sapere e la cultura non appaiono allora, ai loro occhi e all'uso che essi ne fanno, che
come un mana supplementare, come una riserva di potere magico, invece di essere l'opposto cio un tirocinio e una
formazione oggettiva4.
Una dimensione di salvezza
Per il loro numero, la loro ridondanza, la loro superfluit, la loro prodigalit di forme, per il gioco della moda, per tutto
quello che in essi eccede la funzione pura e semplice, gli oggetti non fanno altro che simulare l'essenza sociale - lo
status - questa grazia di predestinazione che non mai data se non per nascita e che la maggioranza, a causa di
un'opposta destinazione, non potr mai conseguire. Questa legittimit ereditaria (sia di sangue o di cultura) al fondo
stesso del concetto di status, concetto che orienta tutta la dinamica della mobilit sociale. Al fondo di tutte le
aspirazioni c' questo fine ideale di uno stato di nascita, di grazia e di eccellenza. Esso assilla ugualmente il mondo
degli oggetti. esso che suscita questo delirio, questo mondo forsennato dei soprammobili, dei gadgets, dei feticci,
tutti tendenti a sottolineare l'eternit di un valore e a fornire la prova di una salvezza attraverso le opere in mancanza
di una salvezza per grazia.
Da cui il prestigio molto particolare dell'oggetto antico che segno di eredit, di valore infuso, di grazia irreversibile.
, una logica di classe che impone la salvezza attraverso gli oggetti, che una salvezza attraverso le opere: principio
democratico opposto al principio aristocratico della salvezza per grazia ed elezione. Ora, nel consenso universale,
la salvezza per grazia prevale sempre in valore sulla salvezza attraverso le opere. un po' quello a cui si assiste nelle
classi inferiori e medie, in cui la prova attraverso l'oggetto , la salvezza attraverso il consumo, nel suo processo
senza fine di dimostrazione morale, si sforza senza speranza di raggiungere uno stato di grazia personale, di dono, di
predestinazione, che in ogni caso resta quello delle classi superiori, le quali forniscono altrove, attraverso l'esercizio
della cultura e del potere, la prova della loro eccellenza.
Differenziazione e societ della crescita
Tutto questo ci rinvia dunque, al di l della metafisica dei bisogni e dell'abbondanza, a una vera e propria analisi della
logica sociale del consumo. Questa logica non affatto quella dell'appropriazione individuale del valore d'uso dei beni
e dei servizi - logica della profusione ineguale, avendo alcuni diritto al miracolo, mentre gli altri hanno diritto solo agli
scarti del miracolo - non una logica della soddisfazione, una logica della produzione e della manipolazione dei
significati sociali. In questa prospettiva il processo del consumo pu essere analizzato in due aspetti fondamentali:
1 In quanto processo di significazione e di comunicazione, fondato su un codice in cui le pratiche di consumo vengono
ad inscriversi e ad assumere il loro senso. Il sistema qui un sistema di scambio, l'equivalente del linguaggio. A

questo livello a poterlo affrontare l'analisi strutturale. Ne riparleremo in seguito.


2. In quanto processo di classificazione e di differenziazione sociale, in cui gli oggetti questa volta si ordinano non
semplicemente come differenze significative di un codice, ma anche come valori. di status di una gerarchia. Qui il
consumo pu essere l'oggetto di un'analisi strategica che determina il proprio peso specifico nella distribuzione dei
valori di status (in connessione con altri significanti sociali: sapere, potere, cultura, ecc.).
Il principio dell'analisi rimane questo: non si consuma mai l'oggetto in s (nel suo valore d'uso) - si manipolano sempre
gli oggetti (nel senso pi ampio) come segni che vi distinguono, sia affiliandovi al vostro gruppo preso come
riferimento ideale, sia deprezzando il vostro gruppo in confronto a un gruppo di status superiore.
Tuttavia questo processo di differenziazione di status che un processo sociale fondamentale, per cui ciascuno si
inscrive nella societ, ha un aspetto vissuto e un aspetto strutturale, l'uno conscio l'altro inconscio, l'uno etico ( la
morale dello standing, della competizione di status, della scala di prestigio), l'altro strutturale: l'iscrizione permanente
in un codice le cui regole, le cui esigenze di significazione - come quelle del linguaggio sfuggono per l'essenziale agli
individui.
Il consumatore vive tutto ci come libert, come aspirazione, come scelta delle sue condotte distintive, non lo vive
come costrizione di differenziazione e di obbedienza a un codice. Differenziarsi sempre nello stesso tempo
instaurare l'ordine delle differenze, che fin dal principio il fatto della societ totale e supera ineluttabilmente
l'individuo. Ciascun individuo, segnando dei punti nell'ordine delle differenze, per ci stesso lo ricostruisce e si
condanna di per se stesso a non esservi mai iscritto se non relativamente. Ciascun individuo vive i suoi guadagni
differenziali come guadagni assoluti, egli non vive la costrizione strutturale che fa si che le posizioni si scambino e che
rimanga invece l'ordine delle differenze.
tuttavia questa costrizione di relativit ad essere determinante nella misura in cui in riferimento ad esso che
l'iscrizione differenziale non avr mai fine. Solo esso pu rendere ragione del carattere fondamentale del consumo,
del suo carattere illimitato - dimensione inesplicabile per ogni teoria dei bisogni e delle soddisfazioni, poich calcolati
in bilancio calorico, energetico o in valore d'uso, molto presto ci si dovrebbe aspettare una soglia di saturazione. Ora
molto evidente che stiamo assistendo all'operazione inversa: all'accelerazione delle cadenze consumatrici, a un
forcing della domanda che fa si che si approfondisca lo scarto stesso tra una produttivit gigantesca e un consumo
ancor pi affollato (l'abbondanza intesa come la loro armoniosa equazione indietreggia indefinitivamente). Questo si
pu spiegare solo se si abbandona radicalmente la logica individuale della soddisfazione per concedere alla logica
sociale della differenziazione la sua importanza decisiva, e se si distingue, inoltre, questa logica della differenziazione
dalle semplici determinazioni coscienti di prestigio; infatti queste sono ancora delle soddisfazioni, il consumo di
differenze positive, mentre il segno distintivo sempre sia positivo che negativo - appunto ci a far s che esso rinvii
indefinitivamente ad altri segni, e rinvii il consumatore ad una definitiva insoddisfazione 5.
Lo sbalordimento degli economisti e degli altri pensatori idealisti del benessere di fronte all'evidenza dell'impossibilit
del sistema dei consumi di stabilizzarsi, di fronte al suo imballarsi e alla sua illimitata fuga in avanti, sempre
molto istruttivo. Esso caratteristico della loro visione in termini di crescita di beni e di redditi - e in termini di relazione
e di differenziazione per mezzo dei segni. Cos Gervasi: La crescita si accompagna all'introduzione costante di
nuovi prodotti man mano che l'incremento dei redditi estende le possibilit di consumo . La tendenza ascendente
dei redditi apporta non solamente una corrente di beni nuovi, ma anche una proliferazione delle qualit dello stesso
bene (Perch? Quale rapporto logico v'?). L'incremento dei redditi conduce al progressivo miglioramento della
qualit . Vi sempre implicita la stessa tesi: Pi si guadagna, pi si vuole e sempre qualcosa di meglio - questo
vale indistintamente per tutti e per ciascuno, mirando ciascuno ad un optimum razionale del benessere.
Molto generalmente del resto, il campo del consumo per essi un campo omogeneo (attraversato al massimo da
qualche disparit di reddito o da disparit culturali ), che si ripartisce statisticamente attorno a un tipo medio: il
consumatore . Visione indotta dalla rappresentazione della societ americana come di un'immensa classe media e
sulla quale si allinea grosso modo anche la sociologia europea. Il campo del consumo al contrario un campo sociale
strutturato, in cui non solamente i beni ma anche gli stessi bisogni, come i diversi tratti culturali, passano da un gruppo
modello, da un'lite direttrice alle altre categorie sociali di pari passo con la relativa promozione di queste ultime.
Non c' alcuna massa di consumatori e nessun bisogno emerge spontaneo dal consumatore di base; non c' la
possibilit che esso appaia nello standard package dei bisogni a meno che non sia gi passato attraverso il selected
package. La trafila di bisogni come quella degli oggetti e dei beni dunque fin dall'inizio socialmente selettiva: i
bisogni e le soddisfazioni filtrano verso il basso (trickling down) in virt di un principio assoluto, di una specie di
imperativo sociale categorico che il mantenimento della distanza e della differenziazione per mezzo dei segni.
questa legge che condiziona tutta l'innovazione degli oggetti come materiale sociale distintivo dall'alto verso il basso
e non, all'inverso (dal basso in alto verso l'omogeneit, totale) l'ascendenza dei redditi.
Ogni prodotto ha delle possibilit di essere serializzato, ogni bisogno ha delle possibilit di essere soddisfatto
massicciamente solo se non fa gi pi parte del modello superiore e vi gi stato rimpiazzato da qualche altro bene o
bisogno distintivo - in modo che sia preservata la distanza. La divulgazione non si attua se non in funzione
dell'innovazione selettiva al vertice. E questa, ovviamente, si attua in una societ della crescita in funzione del tasso
decrescente di rendita distintiva degli oggetti e dei beni. Anche qui bisogna rivedere certe nozioni: la divulgazione ha
la sua meccanica propria (i mass-media, ecc.), ma essa non ha una logica propria del contenuto. al vertice, e per
reagire alla perdita dei segni distintivi precedenti, che si introduce l'innovazione, al fine cio di ripristinare la distanza
sociale; tanto che i bisogni delle classi medie ed inferiori sono sempre, come gli oggetti, passibili di un ritardo, di uno

scatto di tempo e di uno scarto culturale in rapporto a quelli delle classi superiori, e questa non una delle forme
minori di segregazione in una societ democratica .
Una delle contraddizioni della crescita che essa produce s nello stesso tempo dei beni e dei bisogni, tuttavia essa
non li produce allo stesso ritmo - il ritmo della produzione dei beni infatti in funzione della produttivit industriale ed
economica, mentre il ritmo della produzione dei bisogni in funzione della differenziazione sociale. Ora la mobilit
ascendente e irreversibile dei bisogni liberati dalla crescita (cio prodotti dal sistema industriale secondo la propria
esigenza logica interna6) ha la propria dinamica peculiare, diversa da quella della produzione dei beni materiali e
culturali destinati, a quanto dicono, a soddisfarli. A partire da una certa soglia di socializzazione urbana, di
concorrenza di status e di take-off psicologico, l'aspirazione irreversibile e illimitata, e cresce secondo il ritmo di una
socio-differenziazione accelerata, e di una interrelativit gerarchizzata, da cui scaturiscono i problemi specifici
connessi a questa dinamica differenziale del consumo. Se le aspirazioni fossero semplicemente concorrenti alla
produttivit, subordinate ad essa, non ci sarebbe problema. In effetti esse costituiscono, al pari della loro logica, che
una logica della differenza, una variabile incontrollabile - non una variabile in pi nel calcolo economico, non una
variabile socio-culturale di situazione o di contesto, ma una variabile strutturale decisiva che ordina tutte le altre.
Bisogna certo ammettere (con le diverse inchieste fatte su questo punto, in particolare sui bisogni culturali) una certa
inerzia sociologica dei bisogni. Cio una certa indicizzazione dei bisogni e delle aspirazioni sulla situazione sociale
acquista (e nient'affatto, al contrario di quanto pensano i teorici del condizionamento, sui beni offerti). Si ritrovano a
questo livello gli stessi processi tipici della mobilit sociale. Un certo realismo fa s che le persone, in questa o in
quella situazione sociale, non aspirino mai molto al di l di quello a cui possono ragionevolmente aspirare. Mirando un
po' al di l delle loro possibilit oggettive esse interiorizzano le norme ufficiali di una societ della crescita. Aspirando
un po' al di l esse interiorizzano le norme reali di espansione di questa societ (malthusiana nella sua stessa
espansione) che sono sempre al di qua dei possibili. Meno si ha e meno si aspira (almeno fino ad un certa soglia in
cui l'irrealismo totale compensa l'indigenza). Cos lo stesso processo di produzione delle aspirazioni inegualitario,
poich la rassegnazione in basso alla scala, l'aspirazione pi libera in alto vengono a raddoppiare le oggettive
possibilit di soddisfazione. Tuttavia anche qui bisogna cogliere il problema Del suo insieme; quanto mai possibile
che le aspirazioni propriamente consumistiche (materiali e culturali), le quali rivelano un tasso di elasticit molto pi
alto delle aspirazioni professionali e culturali, compensino infatti per certe classi le gravi dfaillances in materia di
mobilit sociale. La compulsione del consumo compenserebbe la mancata realizzazione delle aspirazioni relative alla
scala sociale. Nello stesso tempo in cui l'espressione di un'esigenza di status, l'aspirazione superconsumistica
(in particolare delle classi inferiori) sarebbe anche l'espressione dello scacco vissuto di questa esigenza.
Resta il fatto che i bisogni e le aspirazioni messe in moto dalla differenziazione sociale e dall'esigenza di status,
hanno tendenza, nella societ della crescita, ad andare sempre un po' pi in fretta dei beni disponibili o delle
possibilit oggettive. E, del resto, il sistema industriale stesso, che suppone la crescita dei bisogni, suppone anche
una perpetua eccedenza dei bisogni in rapporto all'offerta dei beni (proprio allo stesso modo in cui specula su un
volano di disoccupazione per massimalizzare il profitto che ricava dalla forza-lavoro: si ritrova qui l'analogia
profonda tra i bisogni e le forze produttive 7.) Speculando su questa distorsione tra beni e bisogni il sistema tuttavia si
scontra con una contraddizione: la crescita non solamente implica la crescita dei bisogni, e un certo squilibrio tra i
beni e i bisogni, ma implica anche la crescita di questo stesso squilibrio tra crescita dei bisogni e crescita della
produttivit. Onde la depauperizzazione psicologica e lo stato di crisi latente, cronica, in s funzionalmente legata
alla crescita, ma che pu condurre a una soglia di rottura, a una contraddizione esplosiva.
Il confronto tra la crescita dei bisogni e la crescita della produzione torna a mettere in evidenza la variabile
intermedia decisiva, che la differenziazione. dunque tra la differenziazione crescente dei prodotti e la
differenziazione crescente della domanda sociale di prestigio che si deve stabilire la relazione 8. Ora la prima
limitata, la seconda no. Non ci sono limiti ai bisogni dell'uomo in quanto essere sociale (cio produttore di senso e
relativo agli altri in valore). L'assorbimento quantitativo del cibo limitato, il sistema digestivo limitato, ma il sistema
culturale del nutrimento indefinito. Ancora un sistema relativamente contingente. Il valore strategico e nel
contempo l'astuzia della pubblicit precisamente questa: di toccare ciascuno in funzione degli altri, nelle sue velleit
di prestigio reificato. Mai essa si rivolge all'uomo preso da solo, essa lo prende di mira nella sua relazione differenziale
e anche quando essa pare afferrare le sue motivazioni profonde essa lo fa sempre in modo spettacolare, cio
convoca sempre i vicini, il gruppo, l'intera societ gerarchizzata nel processo di lettura e di interpretazione, nel
processo di sfruttamento da essa instaurato.
In un gruppo ristretto i bisogni, al pari della concorrenza, si possono senza dubbio stabilizzare. La scalata dei
significanti di status e del materiale distintivo vi meno forte. Lo si pu vedere nelle societ tradizionali o nei
microgruppi. Ma in una societ come la nostra di concentrazione industriale e urbana, di densit e di promiscuit
molto pi grandi, l'esigenza di differenziazione cresce ancor pi in fretta della produttivit materiale. Allorch tutto
l'universo sociale s'urbanizza, allorch la comunicazione si fa totale, i bisogni crescono secondo un asintoto verticale non per appetito ma per concorrenza.
Di questa scalata, di questa reazione a catena differenziale, che sanziona la dittatura totale della moda, la citt il
luogo geometrico. (Ora il processo rafforza di rimando la concentrazione urbana attraverso la rapida acculturazione
delle zone rurali o marginali. Dunque irreversibile. Ogni velleit di frenarlo ingenua). La densit umana in s
affascinante, ma soprattutto il discorso della citt, la concorrenza stessa: impulsi, desideri, incontri, stimoli, verdetti
incessanti degli altri, erotizzazione continua, informazione, sollecitazione pubblicitaria: tutto questo compone una sorte
di destino astratto, su uno sfondo reale di concorrenza generalizzata.

Come la concorrenza industriale si fa manifesta in una produzione sempre accresciuta di beni, cos la concentrazione
urbana risulta in un accrescimento illimitato di bisogni. Ora per quanto i due tipi di concentrazione siano
contemporanei, essi hanno tuttavia la loro propria dinamica e non coincidono nei loro risultati. La concentrazione
urbana (dunque la differenziazione) va pi in fretta della produttivit. qui il fondamento dell'alienazione urbana.
Tuttavia in ultimo finisce per stabilirsi un equilibrio nevrotico a beneficio dell'ordine pi coerente della produzione - la
proliferazione dei bisogni infatti viene a rifluire nell'ordine dei prodotti per integrarvisi sia in bene che in male.
Tutto ci definisce la societ della crescita come l'opposto di una societ dell'abbondanza. Grazie a questa costante
tensione tra i bisogni concorrenziali e la produzione, grazie a questa tensione relativa alla penuria, a questa
depauperizzazione psicologica , l'ordine della produzione si accorda per non far sorgere e per non soddisfare che i
bisogni ad esso adeguati. Nell'ordine della crescita secondo questa logica, non ci sono, non ci possono essere, dei
bisogni autonomi, non ci sono che i bisogni della crescita. Nel sistema non c' posto per le finalit individuali, c' posto
solo per le finalit del sistema. Tutte le disfunzioni segnalate da Galbraith, Bertrand de Jouvernal, ecc., sono logiche.
Le automobili e le autostrade sono bisogni del sistema, questo abbastanza chiaro, ma lo anche la formazione
universitaria dei quadri medi - dunque la democratizzazione dell'universit allo stesso titolo della produzione
automobilistica 9. Poich il sistema non produce che per i propri bisogni, si trincera sempre pi sistematicamente
dietro l'alibi dei bisogni individuali; da cui la gigantesca escrescenza del consumo privato rispetto ai servizi collettivi
(Galbraith). Questo non un caso. Il culto della spontaneit individuale e della naturalit dei bisogni carico
dell'opzione produttivista. Persino i bisogni pi razionali (istruzione, cultura, salute, trasporti, tempo libero),
accompagnati dalla loro reale significazione collettiva, sono recuperati allo stesso titolo dei bisogni derivati dalla
crescita nella prospettiva sistematica di questa crescita.
Del resto in un senso ancor pi profondo che la societ della crescita il contrario della societ dell'abbondanza. Ed
che prima di essere una societ di produzione di beni una societ di produzione di privilegi. Ora c' una relazione
necessaria, definibile sociologicamente, tra il privilegio e la penuria. Non vi potrebbe (in qualsiasi societ) esservi
privilegio senza penuria. Le due cose sono strutturalmente legate. Dunque la crescita, attraverso la propria logica
sociale, si definisce paradossalmente attraverso la riproduzione di una penuria strutturale. Questa penuria non ha pi
lo stesso senso della penuria primaria (la scarsit di beni): quest'ultima poteva essere considerata come provvisoria,
ed in parte riassorbita nella nostra societ, ma la penuria strutturale che vi si sostituita definitiva, infatti essa
sistematizzata come funzione di rilancio e di strategia di potere nella logica stessa dell'ordine della crescita.
In conclusione diremo che vi in ogni modo una contraddizione logica tra l'ipotesi ideologica della societ della
crescita, che l'omogeneizzazione nel pi alto grado, e la sua logica sociale concreta fondata su una differenziazione
strutturale - quest'insieme logicamente contraddittorio fonda infatti una struttura globale.
E infine insisteremo ancora una volta sull'illusione maggiore, sulla mitologia cardinale di questa falsa societ
dell'abbondanza: l'illusione della ripartizione secondo lo schema idealista dei vasi comunicanti . Il flusso dei beni e
dei servizi non si equilibra come il livello dei mari. L'inerzia sociale, all'opposto dell'inerzia naturale, conduce a uno
stato di distorsione, di disparit e di privilegio. La crescita non la democrazia. La profusione in funzione della
discriminazione. Come potrebbe esserne il correttivo?
Il paleolitico o la prima societ dell'abbondanza
Dobbiamo abbandonare l'idea preconcetta che abbiamo della societ dell'abbondanza come di una societ nella
quale tutti i bisogni materiali (e culturali) sono facilmente soddisfatti, dato che quest'idea fa astrazione da ogni logica
sociale. Bisogna invece pervenire all'idea, ripresa da Marshall Sahlins nel suo articolo sulla prima societ
dell'abbondanza 10, secondo la quale sono le nostre societ industriali e produttiviste ad essere dominate dalla
scarsit, dall'ossessione della scarsit caratteristica dell'economia di mercato. Pi si produce pi si sottolinea, nel
senso stesso della profusione, l'irrimediabile allontanamento dal termine finale, cio dall'abbondanza - definita come
l'equilibrio tra la produttivit umana e le finalit umane. Poich quel che soddisfatto in una societ della crescita, e
sempre pi man mano che cresce la produzione, sono i bisogni stessi dell'ordine di produzione, e non i bisogni
dell'uomo, sul cui disconoscimento riposa al contrario tutto il sistema, chiaro che l'abbondanza indietreggia
indefinitamente, o meglio essa irrimediabilmente negata a vantaggio del regno organizzato della scarsit (penuria
strutturale).
Per Sahlins erano i cacciatori-raccoglitori (trib nomadi primitive dell'Australia, del Kalahari, ecc.) che conoscevano la
vera abbondanza malgrado la loro assoluta povert . I primitivi non possiedono nulla in proprio, essi non sono
ossessionati dagli oggetti, che essi gettano via uno dopo l'altro per spostarsi meglio. Non vi l'apparato produttivo n
di lavoro : essi cacciano e raccolgono, si potrebbe dire a piacere e dividono tutto tra loro. La loro prodigalit
totale: essi consumano tutto subito, non vi calcolo economico, non vi sono stocks. Il cacciatore-raccoglitore non ha
nulla dell'homo oeconomicus di invenzione borghese. Egli non conosce i fondamenti dell'economia politica. Rimane
sempre al di qua dell'energia umana, delle risorse naturali e delle effettive possibilit economiche. Dorme molto. Ha
fiducia - ed questo che fa andare avanti il suo sistema economico - nella ricchezza delle risorse naturali, mentre il
nostro sistema contraddistinto (e sempre di pi col perfezionamento della tecnica) dalla disperazione di fronte
all'insufficenza dei mezzi umani, da un'angoscia radicale e catastrofica che l'effetto profondo dell'economia di
mercato e della concorrenza generalizzata.
L' imprevidenza e la prodigalit collettiva, caratteristiche delle societ primitive, sono il segno dell'abbondanza

reale. Noi non abbiamo altro che i segni dell'abbondanza. Noi andiamo alla ricerca, sotto un gigantesco apparato
produttivo, dei segni della povert e della scarsit. Ma la povert non consiste, dice Sahlins, n in una scarsa quantit
di beni, n semplicemente in un rapporto tra fini e mezzi: essa innanzitutto un rapporto tra gli uomini. Quel che
fonda la fiducia dei primitivi, e fa s che essi vivano nell'abbondanza persino nella fame alla fin fine la
trasparenza e la reciprocit dei rapporti sociali. il fatto che nessuna manipolazione, qualunque essa sia, della
natura, dei suolo, degli strumenti o dei prodotti del lavoro , viene a bloccare gli scambi e a istituire la scarsit. Non
c' accumulazione che sempre fonte di potere. Nell'economia del dono e dello scambio simbolico, una quantit
debole e sempre finita di beni sufficiente a creare una ricchezza generale, poich essi passano costantemente dagli
uni agli altri. La ricchezza non fondata sui beni ma sullo scambio concreto tra le persone. Essa dunque illimitata,
perch il ciclo dello scambio senza fine persino tra un numero limitato di individui, ciascun momento del ciclo di
scambio si somma infatti al valore dell'oggetto scambiato. questa dialettica concreta e relazionale della ricchezza
che ritroviamo capovolta come dialettica della penuria e del bisogno illimitato, nel processo di concorrenza e di
differenziazione caratteristico delle nostre societ civilizzate e industriali. Mentre nello scambio primitivo, ciascuna
relazione incrementa la ricchezza sociale, nelle nostre societ differenziali invece ciascuna relazione sociale
incrementa una mancanza individuale, poich ogni cosa posseduta relativizzata in rapporto alle altre, mentre nello
scambio primitivo essa valorizzata dalla relazione stessa con gli altri.
Non dunque paradossale sostenere che nelle nostre societ opulente , l'abbondanza perduta e che essa non
sar restituita da una sovrabbondanza di produttivit a perdita d'occhio, o dalla liberazione di nuove forze produttive.
Poich la definizione strutturale dell'abbondanza e della ricchezza nella organizzazione sociale, solo una rivoluzione
dell'organizzazione sociale e dei rapporti sociali potrebbe modificarla. Ritorneremo un giorno, al di l dell' economia di
mercato, alla prodigalit? Al posto della prodigalit abbiamo il consumo forzato a vita, fratello gemello della scarsit.
la logica sociale che ha fatto conoscere ai primitivi la prima (e sola) societ dell'abbondanza. la nostra logica
sociale a condannarci a una penuria lussuosa e spettacolare.
NOTE AL CAPITOLO PRIMO
1

Mlano, Etas Kompass, 1968.


Il termine disuguaglianza improprio. L'opposizione uguaglianza/disuguaglianza, ideologicamente legata al
sistema dei valori democratici moderni, non ricopre pienamente che le differenze economiche, e non pu valere che in
un'analisi strutturale.
3
O la Great Society , recentemente importata in Francia.
2

83
4

Su questo punto cfr., pi avanti, La Minima comune cultura, e I Minimi comuni multipli.
P, ovviamente al livello 2 (sistema di differenziazione sociale) che il consumo assume questa dimensione illimitata. Al
livello 1 (sistema di comunicazione e di scambio), in cui lo si pu assimilare al linguaggio, un materiale finito di beni e
di servizi (proprio come il materiale finito di segni linguistici) pu essere largamente sufficiente, come si vede nelle
societ primitive. La lingua non prolifera perch essa non si colloca a questo livello di ambivalenza del segno, la quale
fondata sulla gerarchia sociale e sulla doppia determinazione simultanea. Per contro un certo livello della parola e
dello stile diviene luogo della proliferazione distintiva.
6
Su questo punto cfr., pi avanti, Il consumo come emergenza delle forze produttive.
7
l' esercito di riserva dei bisogni .
8
Questa differenziazione crescente non significa per forza una distanza crescente tra l'alto e il basso della scala, ma
una discriminazione crescente, una moltiplicazione dei segni distintivi aIl'interno stesso di una gerarchia ristretta nei
suoi estremi. Una omogeneizzazione, una democratizzazione relativa si accompagnano a una competizione di
status sempre pi forte.
9
In questo senso, la distinzione tra bisogni reali e bisogni artificiali anch'essa un falso problema. Ovviamente
i bisogni artificiali mascherano la mancata soddisfazione dei bisogni reali (la televisione al posto dell'istruzione).
Ma questo secondario in rapporto alla determinazione generalizzata della crescita (la riproduzione allargata del
capitale) rispetto a cui non c' n naturale , n artificiale . E ancora: questa opposizione naturale/artificiale, che
implica una teoria della finalit umana, anch'essa una produzione ideologica della crescita. Essa riprodotta dalla
crescita a cui funzionalmente legata.
10
Les Temps modernes , ottobre, 1968.
5

CAPITOLO SECONDO
PER UNA TEORIA DEL CONSUMO

L'autopsia dell' homo oeconomicus


C' un racconto: C'era una volta un uomo che viveva nella scarsit. Dopo molte avventure e un lungo viaggio
attraverso la scienza economica incontra la societ dell'abbondanza. Essi si sposano e ne nascono molti bisogni .
La bellezza dell'homo oeconomicus, diceva A.N. Whitehead, stava nel fatto che sapevamo esattamente ci che egli
ricercava . Questo fossile dell'et dell'oro, nato nell'era moderna dal felice congiungimento della natura umana e dei
diritti dell'uomo, dotato di un intenso principio di razionalit formale che lo porta:
l. A ricercare senza ombra di esitazione la propria felicit.
2. A dare la preferenza agli oggetti che possono dargli il massimo di soddisfazione.
Tutto il discorso, scientifico o profano, sul consumo, articolato su questa sequenza che quella mitologica di un
racconto: un uomo dotato di bisogni che lo portano verso degli oggetti capaci di soddisfarlo. Poich l'uomo
non mai soddisfatto (del resto glielo si rimprovera), la stessa storia si ripete indefinitivamente, colla defunta evidenza
delle vecchie fiabe.
Presso alcuni affiora la perplessit: I bisogni sono quello che vi di pi ostinatamente sconosciuto tra le incognite di
cui si occupa la scienza economica (Knight). Ma questo dubbio non impedisce alla litania dei bisogni di essere
fedelmente recitata da tutti i sostenitori delle discipline antropologiche da Marx a Galbraith, da Robinson Crusoe a
Chombart de Lauwe. Per l'economista l' utile il desiderio di un bene specifico al fine di consumarlo, cio di
distruggerne l'utilit. Il bisogno dunque gi finalizzato dai beni disponibili, dalla preferenza orientata attraverso la
variet dei prodotti offerti sul mercato: in fondo la domanda solvibile. Per lo psicologo la teoria motivazionale ,
un po' pi complessa, meno object-oriented e pi instinct oriented, dotata di una mal definita sorta di necessit
preesistente. Per i sociologi e gli psicosociologi, gli ultimi arrivati, entrano in gioco fattori socio-culturali . Non si
rimette in dubbio il postulato antropologico di un essere individuale dotato di bisogni e portato dalla natura a
soddisfarli, n che il consumatore sia un essere libero, cosciente, che si ritiene sappia quel che vuole (i sociologi
diffidano delle motivazioni profonde ), ma, sulla base di questo postulato idealista, si ammette che ci sia una
dinamica sociale dei bisogni. Si fanno entrare in gioco dei modelli di conformit e di concorrenza (Keep up with the
joneses 1) derivati da un contesto di gruppo, oppure i grandi modelli culturali che si riconnettono alla societ globale o
alla storia.
Grosso modo si individuano tre posizioni:
Per Marshall i bisogni sono interdipendenti e razionali.
Per Galbraith (ci ritorneremo in seguito), le scelte sono imposte dalla persuasione.
Per Gervasi (e altri) i bisogni sono interdipendenti e risultano da un apprendistato (pi. che da un calcolo razionale).
Gervasi: Le scelte non sono fatte per caso, ma socialmente controllate, e riflettono il modello culturale in seno al
quale sono fatte. Non si producono n si consumano dei beni qualsiasi: essi devono avere un qualche significato in
rapporto a un sistema di valori . Questo introduce a una prospettiva sul consumo in termini di integrazione: Lo
scopo dell'economia non la massimizzazione della produzione a vantaggio dell'individuo, ma la massimizzazione
della produzione in connessione col sistema di valori della societ (Parsons).
Duensenberry dir nello stesso senso che la sola scelta in fondo di variare i beni in funzione della propria posizione
sulla scala gerarchica. Infine la differenza delle scelte da una societ all'altra e la loro somiglianza all'intemo di una
stessa societ che ci impone di considerare il comportamento del consumatore come un fenomeno sociale. C' qui
una sensibile differenza con gli economisti: la scelta razionale di questi ultimi diventata la scelta conforme, la
scelta della conformit. I bisogni non mirano pi tanto ad oggetti quanto a valori, e la loro soddisfazione ha dapprima il
senso di un'adesione a questi valori. La scelta fondamentale, inconscia, automatica, del consumatore di accettare lo
stile di vita di una societ particolare (non dunque pi una scelta! - e la teoria dell'autonomia e della sovranit del
consumatore smentita da se stessa).
Questa sociologia culmina nella nozione di standard package, definito da Riesman come l'insieme dei beni e dei
servizi che costituisce la specie di patrimonio base dell'americano medio. In regolare aumento, indicizzato sui livelli
della vita nazionale, un minimum ideale di tipo statistico, modello conforme delle classi medie. Superato dagli uni,
sognato dagli altri, un'idea in cui si riassume l'american way of life2. Qui lo standard package non designa tanto la
materialit dei beni (TV, stanza da bagno, automobile, ecc.) quanto l'ideale di conformit.
Tutta questa sociologia non ci fa progredire di molto. A parte il fatto che la nozione di conformit non ha nascosto mai
altro che un'immensa tautologia (qui l'americano medio definito per mezzo dello standard package, il quale a sua
volta si definisce, per la media statistica dei beni consumati - o, sociologicamente, un certo individuo fa parte di un
certo gruppo in quanto consuma certi beni e consuma certi beni in quanto fa parte di quel certo gruppo -) il postulato
di razionalit formale che abbiamo visto all'opera presso gli economisti nel rapporto degli individui cogli oggetti qui
semplicemente trasferito nel rapporto dell'individuo col gruppo.
87

La conformit e la gratificazione sono solidali: lo stesso adeguamento di un soggetto a degli oggetti, o di un


soggetto a un gruppo, posti come separati, secondo un principio logico di equivalenza. I concetti di bisogno e di
norma sono, rispettivamente, l'espressione di questo miracoloso adeguamento.
Tra l' utilit degli economisti e la conformit dei sociologi, vi la stessa differenza di quella stabilita da Galbraith tra

i comportamenti di profitto, la motivazione pecuniaria caratteristica del sistema capitalistico tradizionale , e i


comportamenti di identificazione e d'adattamento specifici dell'era dell'organizzazione e della tecnostruttura. La
questione fondamentale che risulta assai bene tanto presso gli psicosociologi della conformit quanto presso
Galbraith, e che non appare (e a ragione) presso gli economisti, per i quali l'individuo rimane un individuo idealmente
libero nel proprio calcolo finale razionale, quella del condizionamento dei bisogni.
Dopo Persuasori occulti3 di Packard e La strategia del desiderio 4 di Dichter (e qualche altro libro ancora), il tema del
condizionamento dei bisogni (in particolare attraverso la pubblicit) diventato il tema favorito del discorso sulla
societ dei consumi. L'esaltazione dell'abbondanza e la grande lamentela sui bisogni artificiali o alienati
alimentano insieme la stessa cultura di massa e persino la dotta ideologia sull'argomento. Essa in generale si radica
in una vecchia filosofia morale e sociale di tradizione umanistica. Presso Galbraith essa si fonda su una riflessione
economica pi rigorosa. Ci rifaremo dunque a quest'ultimo muovendo dai suoi due libri: La societ opulenta e Il nuovo
stato industriale 5.
Riassumendo brevemente diciamo che il problema fondamentale del capitalismo contemporaneo non pi la
contraddizione tra la massimizzazione dei profitti e la razionalizzazione della produzione (al livello
dell'imprenditore), ma tra una produttivit virtualmente illimitata (al livello della tecnostruttura) e la necessit di
smerciare i prodotti. In questa fase per il sistema diviene vitale non solamente il controllo dell'apparato produttivo ma
anche quello della domanda del consumo, non solamente il controllo dei prezzi ma anche quello di ci che sar
domandato a questo prezzo. L'effetto generale, sia attraverso dei mezzi anteriori all'atto stesso della produzione
(sondaggi, studi di mercato), sia successivi (pubblicit, marketing, condizionamento) di togliere all'acquirente presso cui impossibile controllarlo - il potere di decisione per trasferirlo all'impresa, in cui pu invece essere
manipolato . Pi in generale: L'adattamento del comportamento dell'individuo nei confronti del mercato e in
generale quello degli atteggiamenti sociali nei confronti dei bisogni del produttore e degli obiettivi della tecnostruttura,
dunque una caratteristica naturale del sistema (si potrebbe dir meglio caratteristica logica). La sua importanza
cresce collo sviluppo del sistema industriale . quel che Galbraith chiama la trafila inversa, in opposizione alla
trafila classica , in cui l'iniziativa si ritiene appartenere al consumatore, e si ripercuote attraverso il mercato
sull'impresa di produzione. Qui, al contrario, l'impresa di produzione che controlla i comportamenti di mercato, che
dirige e modella i comportamenti sociali e i bisogni; almeno tendenzialmente vi la dittatura totale dell'ordine di
produzione.
Questa trafila inversa distrugge - dotata almeno di questo valore critico - il mito fondamentale della trafila
classica secondo cui, nel sistema economico, l'individuo ad esercitare il potere. Questo accento posto sul potere
dell'individuo contribuiva largamente a sanzionare l'organizzazione: tutte le disfunzioni, i danni, le contraddizioni
inerenti all'ordine di produzione sono giustificate, poich esse allargano il campo in cui si esercita la sovranit del
consumatore. chiaro, all'opposto, che tutto l'apparato economico e psicosociale degli studi di mercato, di
motivazione, ecc., per cui si pretende di far regnare sul mercato la domanda reale e i bisogni profondi del
consumatore, esiste al solo scopo di incanalare questa domanda verso gli sbocchi voluti, pur ma scherando di
continuo questo processo mettendo in scena il processo inverso. L'uomo diventato un oggetto di scienza solo dal
momento in cui le automobili sono diventate pi difficili da vendere che da fabbricare .
Cos Galbraith denuncia ovunque la sovratensione della domanda ad opera degli acceleratori artificiali , messi in
opera dalla tecnostruttura nella sua espansione imperialista, e che rendono impossibile ogni stabilizzazione della
domanda 6 . Reddito, acquisto di prestigio e superlavoro formano un circolo vizioso e affollato, la ronda infernale del
consumo, fondata sull'esaltazione dei bisogni detti psicologici , che si differenziano dai bisogni fisiologici in
quanto apparentemente si fondano sul reddito discrezionale e sulla libert di scelta e in tal modo divengono
manipolabili a piacere. La pubblicit gioca qui evidentemente un ruolo capitale (altra idea divenuta convenzionale).
Essa pare accordata coi bisogni degli individui e coi beni, ma in effetti, dice Galbraith, essa in accordo col sistema
industriale: Essa d tanta importanza ai beni solo per darne al sistema, sostenendo cos l'importanza e il prestigio
della tecnostruttura dal punto di vista sociale . Per mezzo di essa il sistema che capta a proprio vantaggio gli
obiettivi sociali e che impone i propri obiettivi come obiettivi sociali: Quel che bene per la Generai Motors....
Ancora una volta non si pu che essere d'accordo con Galbraith ( e con altri) ed ammettere che la libert e la
sovranit del consumatore non sono che mistificazioni. Questa mistica ben alimentata (e in primo luogo dagli
economisti) della soddisfazione e della scelta individuali, in cui culmina tutta una la civilt della libert , l'ideologia
stessa del sistema industriale, ne giustifica l'arbitrio e tutti gli svantaggi collettivi: sporcizia, inquinamento,
deculturazione - di fatto il consumatore sovrano in una giungla di bruttezza, in cui gli si imposta la libert di scelta.
La trafila inversa (cio il sistema del consumo) completa cos ideologicamente e si alterna al sistema elettorale. Il
drugstore e la cabina elettorale, luoghi geometrici della libert individuale, sono anche le due fonti di nutrimento del
sistema.
Abbiamo esposto lungamente quest'analisi del condizionamento tecnostrutturale dei bisogni e del consumo perch
essa oggi onnipotente, perch costituisce, tematizzata in tutte le maniere nella pseudo-filosofia dell'alienazione, una
vera rappresentazione collettiva che fa essa stessa parte del consumo. Ma essa soggetta a obiezioni fondamentali,
che rinviano tutte ai suoi postulati antropologici idealisti. Per Galbraith, i bisogni dell'individuo sono stabilizzabili. C'
nella natura dell'uomo qualcosa di simile a un principio economico che gli farebbe, se non fosse per l'azione degli

acceleratori artificiali , imporre dei limiti ai propri obiettivi e ai propri bisogni nello stesso tempo in cui li impone al
propri sforzi. In breve, una tendenza alla soddisfazione non pi massimale, bens armoniosa , equilibrata sul piano
individuale, e che dovrebbe invece di impegnarsi nel circolo vizioso delle soddisfazioni sovramoltiplicate descritte qui
sopra, potersi articolare su unorganizzazione sociale anch'essa armoniosa dei bisogni collettivi. Tutto ci
perfettamente utopistico!
1. A proposito del principio delle soddisfazioni autentiche o artificiali , Galbraith insorge contro il ragionamento
specioso degli economisti: Nulla prova che una donna spendacciona ricavi da un nuovo vestito la stessa
soddisfazione provata da un operaio affamato nel mangiare un hamburger ma nulla prova il contrario. Dunque il suo
desiderio deve essere messo sullo stesso piano di quello dell'affamato . Assurdo! dice Galbraith. Non affatto
vero (e qui gli economisti classici hanno quasi ragione contro di lui. Semplicemente essi si situano per tracciare
questa equivalenza al livello della domanda solvibile, eludendo cos il problema). Resta tuttavia che dal punto di vista
della soddisfazione propria del consumatore, nulla permette di tracciare il limite del fittizio . Il godimento della TV o
di una seconda casa vissuto come una libert vera , nessuno lo vive come un'alienazione, solo l'intellettuale pu
affermarlo dal fondo del suo idealismo moraleggiante ma questo al pi, designa proprio lui come moralista
alienato.
2. Sul principio economico Galbraith dice: Quel che si chiama lo sviluppo economico consiste largamente
nell'immaginare una strategia che permetta di vincere la tendenza degli uomini a imporre dei limiti ai propri obiettivi di
reddito, e dunque ai loro sforzi . E cita l'esempio degli operai filippini della California: La pressione dei debiti, unita
all'emulazione relativa al vestiario, trasform rapidamente questa razza felice e svogliata, in una moderna forza di
lavoro . E lo stesso capita in tutti i paesi sottosviluppati, in cui la comparsa dei gadgets occidentali costituisce la
miglior carta vincente di stimolo economico. Questa teoria che si potrebbe chiamare dello stress o
dell'addestramento economico al consumo seducente. Essa fa apparire l'acculturazione forzata verso i processi di
consumo come la conseguenza logica, nell'evoluzione del sistema industriale, dell'addestramento orario e gestuale, in
atto dal XIX secolo, dell'operaio ai processi di produzione industriale 7. Detto ci bisognerebbe spiegare perch i
consumatori abboccano all'amo, perch sono vulnerabili a questa strategia. Non c' una tendenza naturale pi forte
nei confronti della svogliatezza di quanta non ce ne sia nei riguardi del forcing. Quel che Galbraith non vede e che lo
obbliga a mettere in scena gli individui come pure vittime del sistema - tutta la logica sociale della differenziazione,
sono i processi distintivi di classe o di casta, fondamentali nella struttura sociale, e che giocano appieno nella societ
democratica . In breve qui manca tutta una sociologia delle differenze, dello status, ecc. in funzione della quale tutti
i bisogni si organizzano secondo una domanda sociale oggettiva dei segni e delle differenziazioni e che fonda il
consumo non pi come una funzione di soddisfazione individuale armoniosa (dunque limitabile secondo delle
norme ideali di natura ) ma come un'attivit sociale illimitata. Torneremo in seguito su questo punto.
3. I bisogni sono in realt il frutto della produzione , dice Galbraith, non credendo di dire proprio questo. Infatti sotto
l'aria demistificatoria e lucida, questa tesi, nel senso in cui egli la intende, non altro che una versione pi sottile dell'
autenticit naturale di certi bisogni e dell'ammaliamento ad opera dell' artificiale . Galbraith vuol dire che senza il
sistema produttivo non esisterebbero un gran numero di bisogni. Egli intende che producendo tali beni o servizi le
imprese producono nello stesso tempo anche tutti i mezzi di suggestione capaci di farli accettare, e dunque in fondo
producono i bisogni loro corrispondenti. Vi qui una grave lacuna psicologica. I bisogni vi sono strettamente
specificati in anticipo attraverso una relazione cogli oggetti finiti. Non c' bisogno che di un tale o tal'altro oggetto e la
psiche del consumatore non in fondo che una vetrina o un catalogo. anche vero che assumendo questa
semplicistica visione sull'uomo, non si pu pervenire che a questo schiacciamento psicologico : i bisogni empirici
sono riflessi peculiari degli oggetti empirici. Ora, a questo livello, la tesi del condizionamento falsa. noto che i
consumatori resistono a tale ingiunzione precisa, essi infatti ridistribuiscono i loro bisogni sull'intera gamma degli
oggetti; noto anche che la pubblicit non onnipotente e induce a volte a delle reazioni inverse, tali sostituzioni si
operano da un soggetto all'altro in funzione dello stesso bisogno , ecc. In breve a livello empirico il mondo della
produzione attraversato da tutta una complicata strategia di tipo psicologico e sociologico.
Quel che vero non che i bisogni sono il frutto della produzione , ma che il sistema dei bisogni il prodotto del
sistema di produzione. Questo tutt'altra cosa. Per sistema dei bisogni, intendiamo che i bisogni non sono prodotti a
uno a uno, in relazione ai rispettivi oggetti, ma sono prodotti come forza consumatrice, come disponibilit globale nel
quadro pi generale delle forze produttive. E in questo senso che si pu dire che la tecnostruttura estende il suo
dominio. L'ordine della produzione non copia a proprio vantaggio l'ordine del godimento (propriamente parlando ci
non ha senso). Essa nega l'ordine del godimento e vi sostituisce riorganizzandolo completamente un sistema di forze
produttive. Si pu seguire lungo la linea della storia del sistema industriale questa genealogia del consumo:
l. L'ordine della produzione produce la macchina/forza produttiva, sistema tecnico radicalmente differente dall'utensile
tradizionale.
2. Esso produce il capitale/forza produttiva razionalizzata, sistema di investimento e di circolazione razionale,
radicalmente differente dalla ricchezza e dai modi di scambio precedenti.
3. Produce la forza lavoro salariata, forza produttiva astratta, sistematizzata, radicalmente differente dal lavoro
concreto dell' opera tradizionale.
4. Cos produce i bisogni, il sistema dei bisogni, la domanda/forza produttiva come un insieme razionalizzato,
integrato, controllato, complementare agli altri tre in un processo di controllo totale delle forze produttive e dei processi
di produzione. I bisogni in quanto sistema sono essi stessi radicalmente differenti dal godimento e dalla soddisfazione.
Essi sono prodotti come elementi del sistema, e non come rapporto di un individuo con un oggetto (allo stesso modo

in cui la forza di lavoro non ha pi nulla a che vedere col lavoro concreto e nega persino il rapporto dell'operaio col
prodotto del suo lavoro - allo stesso modo in cui il valore di scambio non ha pi nulla a che vedere collo scambio
concreto e personale, n la forma/merce coi beni reali, ecc.).
Ecco ci che non vede Galbraith e con lui tutti gli alienisti del consumo, che si ostinano a dimostrare che il
rapporto dell'uomo cogli oggetti, il rapporto dell'uomo con se stesso truccato, mistificato, manipolato consumando
questo mito nello stesso tempo degli oggetti - poich ponendo l'eterno postulato di un soggetto libero e cosciente (per
poterlo far risorgere alla fine della storia come happy end), essi non possono che imputare tutte le disfunzioni da
essi rivelate a una potenza diabolica - in questo caso la tecnostruttura armata della pubblicit, delle pubbliche
relazioni e degli studi motivazionali. Pensiero magico, ammesso che ne esista. Essi non vedono che i bisogni non
sono nulla, presi uno per uno, che c' solo un sistema dei bisogni, o piuttosto che i bisogni non sono nulla se non
nella forma pi avanzata della sistematizzazione razionale delle forze produttive al livello individuale, in cui il
consumo assume il ritmo logico e necessario della produzione.
Tutto ci pu spiegare un certo numero di misteri inspiegabili per i nostri pii alienisti . Essi, per esempio, deplorano
che in piena era dell'abbondanza non sia stata abbandonata l'etica puritana, che una moderna mentalit di
godimento non abbia sostituito l'antico malthusianesimo morale e autorepressivo. Tutta La strategia del desiderio di
Dichter mira cos a capovolgere e a sovvertire dal di sotto queste vecchie strutture mentali. Ed vero: non si
avuta rivoluzione di costumi; l'ideologia puritana sempre di rigore. Nell'esame del tempo libero vedremo come
impregni tutte le pratiche apparentemente edonistiche. Si pu dire che l'etica puritana con tutto quel che implica di
sublimazione, di superamento e di repressione (in una parola, di morale) assilla il consumo e i bisogni. essa che lo
spinge dall'interno e gli d questo carattere compulsivo e illimitato. E l'ideologia puritana essa stessa riattivata per
mezzo dei processi di consumo: appunto ci che fa di quest'ultimo quel potente fattore di integrazione e di controllo
sociale di cui ben si sa. Ora tutto questo resta paradossale e inesplicabile nella prospettiva del consumo-godimento.
Tutto invece si spiega se si ammette che i bisogni e il consumo sono in effetti un'estensione organizzata delle forze
produttive: nulla di sorprendente dunque che anch'essi partecipino all'etica produttivistica e puritana che fu la morale
dominante dell'era industriale. L'integrazione generalizzata del livello privato individuale ( bisogni , sentimenti,
aspirazioni, pulsioni) come forze produttive non pu che accompagnarsi a un'estensione generalizzata a questo livello
degli schemi di repressione, di sublimazione, di concentrazione, di sistematizzazione, di razionalizzazione (e ben
inteso di alienazione ) che hanno regolato per secoli, ma soprattutto a partire dal XIX secolo, l'edificazione del
sistema industriale.
Dipendenza degli oggetti - Dipendenza dei bisogni
Fin qui tutta l'analisi del consumo si fonda sull'antropologia ingenua dell'homo oeconomicus o meglio dell'uomo psicoeconomico. Nel prolungamento ideologico dell'economia politica classica, una teoria dei bisogni, degli oggetti (nel
senso pi ampio) e delle soddisfazioni. Non una teoria. un'immensa tautologia: acquisto questo perch ne ho
bisogno equivale al fuoco che brucia a causa della sua essenza flogistica. Abbiamo mostrato altrove 8, come tutto
questo pensiero empiristico/finalistico (l'individuo preso come fine e la sua rappresentazione cosciente presa come
logica degli avvenimenti) sia della stessa natura della speculazione magica dei primitivi (e degli etnologi) sulla nozione
di mana. A questo livello non possibile nessuna teoria del consumo: l'evidenza spontanea, come la riflessione
analitica in termini di bisogni, non liberer mai se non un riflesso consumato della consumazione.
Questa mitologia razionalista sui bisogni e sulla soddisfazione tanto ingenua e disarmata quanto la medicina
tradizionale di fronte ai sintomi isterici o psicosomatici. Spieghiamoci: fuori dal campo della sua funzione oggettiva, in
cui insostituibile, fuori dal campo della sua denotazione, l'oggetto diviene sostituibile in maniera pi o meno illimitata
nel campo delle connotazioni, in cui assume valore di segno. Cos la lavatrice serve come utensile e recita come
elemento di confort, di prestigio, ecc. propriamente quest'ultimo campo quello del consumo. Qui tutti i tipi di oggetti
si possono sostituire alla lavatrice come elemento significativo. Nella logica dei segni, come in quella dei simboli, gli
oggetti non sono pi legati a una funzione o a un bisogno definiti. Precisamente perch essi rispondono a tutt'altra
cosa, cio sia alla logica sociale che a quella del desiderio, a cui essi servono da campo mobile e inconscio di
significazione.
Tenuto conto delle differenze, gli oggetti e i bisogni sono qui sostituibili come i sintomi della conversione isterica o
pscosomatica. Essi obbediscono alla stessa logica dello slittamento , del transfert, della convertibilit illimitata e
apparentemente arbitraria. Quando il male organico, c' una relazione necessaria del sintomo coll'organo (allo
stesso modo in cui nella sua qualit di utensile, c' una relazione necessaria tra l'oggetto e la sua funzione). Nella
conversione isterica o psicosomatica, il sintomo, come il segno, arbitrario (relativamente). Emicrania, colite,
lombaggine, angina, spossatezza generalizzata: c' una catena di significati somatici lungo la quale i sintomi
trapassano - proprio allo stesso modo in cui vi un concatenamento tra oggetti/segni o tra oggetti/simboli lungo il
quale trapassa non pi il bisogno (che sempre legato alla finalit razionale dell'oggetto), bens il desiderio, e
qualche altra determinazione ancora, che quella della logica sociale inconscia.
Se si localizza il bisogno in un punto, vale a dire se lo si soddisfa prendendolo alla lettera, prendendolo per quel che si
autorappresenta (cio il bisogno di tale oggetto), si compie lo stesso errore che applicando la terapia tradizionale
all'organo in cui si localizza il sintomo. Non appena guarisce qui, rispunta da un'altra parte.
Il mondo degli oggetti e dei bisogni sarebbe cos quello di un'isteria generalizzata. Allo stesso modo in cui tutti gli
organi e tutte le funzioni del corpo divengono nella conversione un gigantesco paradigma che declina il sintomo, cos

gli oggetti nel consumo divengono un vasto paradigma in cui si declina un altro linguaggio, in cui parla qualcos'altro. E
si potrebbe dire che quest'evanescenza, questa continua mobilit tale che diviene impossibile definire una
specificit oggettiva del bisogno, proprio allo stesso modo in cui impossibile definire nell'isteria una specificit
oggettiva del male, per la semplice ragione che essa non esiste - si potrebbe dire che questa fuga da un significante
ad un altro non che la realt superficiale di un desiderio che insaziabile perch si fonda sulla mancanza, e che
questo desiderio mai realizzabile che si significa localmente negli oggetti e nei bisogni successivi. Sociologicamente
(ma sarebbe assai interessante e fondamentale articolare i due livelli) si pu avanzare l'ipotesi che - eterno ed
ingenuo smarrimento di fronte alla fuga in avanti, il rinnovamento illimitato dei bisogni, inconciliabile in effetti colla
teoria razionalista secondo cui un bisogno soddisfatto crea uno stato di equilibrio e di risoluzione delle tensioni - se si
ammette invece che il bisogno non mai tanto un bisogno di un oggetto specifico, quanto il bisogno di differenza
(il desiderio del senso sociale), allora si comprender come non possa mai esserci soddisfazione realizzata, n quindi
definizione del bisogno.
Alla dipendenza dal desiderio si aggiunge dunque (ma c' metafora tra esse?) la dipendenza dai significati
differenziali. Tra queste due i bisogni puntuali e limitati non hanno senso se non come sedi successive di convenzione
- nella loro stessa sostituzione che hanno significato, pur nascondendo nello stesso tempo le vere sfere del
significato, quelle della mancanza e della differenza, che travalicano da tutte le parti.
Negazione del godimento
L'accaparramento di oggetti senza oggetto (objectless craving presso Riesman). La prassi consumistica
apparentemente imperniata, orientata sull'oggetto e sul godimento, risponde in effetti a finalit del tutto diverse:
l'espressione metaforica o deviata del desiderio, la produzione, attraverso i segni differenziali, di un codice sociale di
valori. Dunque ad essere determinante non la funzione individuale di interesse attraverso un corpus di oggetti, ma
quella, immediatamente sociale, di scambio, di comunicazione, di distribuzione di valori attraverso un corpus di segni.
La verit del consumo che essa in funzione non del godimento, bens della produzione - e dunque proprio al pari
della produzione materiale una funzione non individuale, ma immediatamente e totalmente collettiva. Senza questo
rovesciamento dei dati tradizionali non possibile nessuna analisi teorica: checch si faccia si ricade sempre nella
fenomenologia del godimento.
Il consumo un sistema che assicura l'ordinamento dei segni e l'integrazione del gruppo: dunque sia una morale
(un sistema di valori ideologici) che un sistema di comunicazione, una struttura di scambio. su ci, e sul fatto che
questa funzione sociale e quest'organizzazione strutturale sorpassano di molto gli individui e si impongono ad essi
secondo un obbligo sociale inconscio, che si pu fondare un'ipotesi teorica che non sia n un recital di cifre n una
metafisica descrittiva.
Secondo quest'ipotesi, e per quanto paradossale ci possa apparire, il consumo si definisce come preclusione del
godimento. Come logica sociale, il sistema del consumo s'instaura sulla base di una negazione del godimento. Il
godimento non appare pi assolutamente come finalit, come fine razionale, bens come razionalizzazione individuale
di un processo i cui veri fini si trovano altrove. Il godimento definirebbe il consumo in funzione di se stesso, autonomo
e finale. Ora il consumo non mai questo. Si gode per s, ma quando si consuma non lo si fa mai da soli ( l'illusione
del consumatore, accuratamente mantenuta da tutto il discorso ideologico sul consumo), si entra invece in un sistema
generalizzato di scambio, di produzione di valori codificati, in cui, a dispetto di se stessi, tutti i consumatori vi sono
reciprocamente implicati.
In questo senso il consumo un ordine di significati, al pari del linguaggio, o come il sistema di parentela nelle societ
primitive.
Un'analisi strutturale?
Riprendiamo qui il principio levi-straussiano: quel che conferisce al consumo il suo carattere di fatto sociale, non
quel tanto che apparentemente conserva della natura (la soddisfazione, il godimento), ma al contrario il processo
essenziale attraverso cui se ne separa (ci che lo definisce come codice, come istituzione, come sistema
organizzativo). Allo stesso modo in cui il sistema di parentela non fondato in ultima analisi sulla consanguineit e
sulla filiazione, cio su un dato naturale, bens su un ordinamento arbitrario della classificazione, cos il sistema del
consumo non fondato in ultima analisi sul bisogno e sul godimento ma su un codice di segni (di oggetti/segni) e di
differenze.
Le regole di matrimonio rappresentano altrettanti modi di assicurare la circolazione delle donne in seno al gruppo
sociale, vale a dire di sostituire un sistema di relazioni consanguinee di origine biologica con un sistema sociale
d'alleanze - cos le regole di matrimonio e i sistemi di parentela possono essere considerati come una sorta di
linguaggio, vale a dire un insieme di operazioni destinate ad assicurare, tra gli individui e i gruppi, un certo tipo di
comunicazione. Avviene la stessa cosa per il consumo: a un sistema biofunzionale e bioeconomico dei beni e dei
prodotti (livello biologico del bisogno e della sussistenza) viene a sostituirsi un sistema sociologico di segni (livello
proprio del consumo). E la funzione fondamentale della circolazione regolata degli oggetti e dei beni la stessa che
per le donne o le parole: assicurare un certo tipo di comunicazione:
Torneremo sulla differenza di questi diversi tipi di linguaggio : essi attengono essenzialmente al modo di
produzione dei valori scambiati e al tipo di divisione del lavoro che vi si connette. I beni sono evidentemente prodotti,

ci che non avviene per le donne, e lo sono in modi diversi dalle parole. Resta il fatto che al livello della distribuzione i
beni e gli oggetti, come le parole e un tempo le donne, costituiscono un sistema globale, arbitrario, coerente di segni,
un sistema culturale che viene a sostituire un ordine sociale di valori e di sistemazione al mondo contingente dei
bisogni e dei godimenti e all'ordine naturale e biologico.
Non si tratta di negare che vi siano dei bisogni, delle utilit naturali, ecc. - si tratta di vedere che il consumo, come
concetto specifico delle societ contemporanee, non l. Quel che per noi sociologicamente significativo, e che
caratterizza la nostra epoca sotto il segno del consumo, precisamente la riorganizzazione generalizzata di questo
livello primario in un sistema di segni che si rivela uno dei modi specifici, forse il modo specifico, della nostra epoca in
relazione al passaggio dalla natura alla cultura.
La circolazione, l'acquisto, la vendita, l'appropriazione dei beni e degli oggetti/segni differenziati costituiscono oggi il
nostro linguaggio, il nostro codice, per cui l'intera societ comunica e si parla. Questa la struttura del consumo, la
sua lingua rispetto alla quale i bisogni e i godimenti individuali non sono che effetti di parola.
Il Fun-System o l'obbligo del godimento
Una delle migliori prove del fatto che il principio e la finalit del consumo non il godimento, che quest'ultimo oggi
istituzionalizzato non come diritto o come piacere, ma come dovere del cittadino.
Il puritano considerava se stesso, considerava la propria persona come un'impresa da far fruttare per la maggior
gloria di Dio. Le sue qualit personali , il suo carattere , alla cui produzione era dedicata tutta la vita, erano un
capitale da investire opportunamente, da amministrare senza speculazioni o sprechi. All'opposto, ma nella stessa
maniera, l'uomo-consumatore si considera investito del dovere di gioire, si considera come un'impresa di godimento e
di soddisfazione. Ha il dovere di essere felice, innamorato, adulante/adulato, seducente/sedotto, impegnato, euforico
e dinamico. il principio di massimalizzazione dell'esistenza attraverso la moltiplicazione dei contatti, delle relazioni,
mediante l'uso intensivo dei segni, degli oggetti, tramite lo sfruttamento sistematico di tutte le virtualit del godimento.
Non si tratta per il consumatore, per il cittadino moderno, di sottrarsi a quest'obbligo di felicit e di godimento, che
l'equivalente nella nuova etica dell'obbligo tradizionale di lavorare e di produrre. L'uomo moderno trascorre una parte
sempre minore della sua vita nella produzione, nel lavoro, ma dedica sempre pi tempo alla produzione e
all'innovazione continua dei propri bisogni e del proprio benessere. Egli deve vigilare per mobilitare costantemente
tutte le sue virtualit, tutte le sue capacit consumatrici. Se se ne dimentica gli si ricorder gentilmente ma
immediatamente che egli non ha il diritto di non essere felice. Non dunque vero che sia passivo, anzi svolge, deve
svolgere, un'attivit continua. Altrimenti corre il rischio di accontentarsi di quel che ha e di divenire cos asociale.
Onde la reviviscenza di una curiosit universale (concetto da esplorare) in materia di cucina, di cultura, di scienza, di
religione, di sessualit, ecc. Try Jesus , afferma uno slogan americano. Provate dunque [con] Ges . Bisogna
provare tutto: infatti l'uomo del consumismo assillato dalla paura di perdere qualcosa, un godimento qualsiasi.
Non si sa mai se tale o tal'altro contatto, tale o tal'altra esperienza (Natale alle Canarie, anguilla al whisky, il Prado,
l'LSD, l'amore alla giapponese) non provocher in noi una sensazione . Non pi il desiderio e neppure il gusto
o l'inclinazione specifica ad essere in gioco, una curiosit generalizzata mossa da un assillo diffuso - la funmorality, da cui l'imperativo di divertirsi, di sfruttare a fondo tutte le possibilit, di provare emozioni, di gioire, di
gratificarsi.
Il consumo come emergenza e controllo di nuove forze produttive
Il consumo dunque solo apparentemente un settore anomico, perch esso pare, secondo la definizione di
Durkheim, retto non da regole formali, ma abbandonato all'eccesso e alla contingenza individuali dei bisogni. Esso
non assolutamente, come lo si immagina di solito (ed per questo che alla scienza economica in fondo ripugna
parlarne), un settore marginale di indeterminazione in cui l'individuo, altrove ovunque costretto da regole sociali,
recupera infine, nella sfera privata , lasciato a se stesso, un margine di libert o di gioco personale. Esso invece
una prassi attiva e collettiva, un obbligo, una morale, un'istituzione. Esso tutto un sistema di valori, con tutto ci
che questo termine comporta come funzione integrativa del gruppo e di controllo sociale.
La societ dei consumi cos la societ dell'apprendistato del consumo, dell'addestramento sociale al consumo - cio
un modo nuovo e specifico di socializzazione in rapporto all'emergenza di nuove forze produttive e alla ristrutturazione
monopolistica di un sistema economico ad alta produttivit.
Il credito gioca qui un ruolo determinante anche se non gioca che parzialmente sui bilanci delle spese. La concezione
esemplare, perch, sotto l'aspetto della gratificazione, della facilit di accesso all'abbondanza, della mentalit
edonistica e liberata dai vecchi tab del risparmio, ecc., il credito in effetti un addestramento socioeconomico
sistematico al risparmio forzato e al calcolo economico per generazioni di consumatori che altrimenti sarebbero
sfuggite, limitandosi alla propria sussistenza, alla pianificazione della domanda e sarebbero state non sfruttabili come
forza consumatrice. Il credito un processo disciplinare di estorsione del risparmio e di regolamentazione della
domanda - proprio allo stesso modo in cui il lavoro salariato fu un processo razionale di estorsione della forza-lavoro e
di moltiplicazione della produttivit. L'esempio citato da Galbraith dei filippini dei quali si fatto, da persone passive e
svogliate, una forza-lavoro moderna spingendoli a consumare, una prova clamorosa del valore tattico del consumo

regolato, forzato, istruito, stimolato, nell'ordine socioeconomico moderno. E ci, come mostra Marc Alexandre in La
Nef (La socit de consommation) con l'addestramento mentale delle masse, attraverso il credito (la disciplina e gli
obblighi di bilancio che impone), al calcolo previsionale, all'investimento e al comportamento capitalistico di base .
L'etica razionale e disciplinare che, secondo Weber, fu all'origine del moderno produttivismo capitalistico, investe in
questo modo un dominio che finora le era sfuggito.
Ci si rende conto solo scarsamente di come l'addestramento attuale al consumo sistematico e organizzato sia
l'equivalente e il prolungamento, nel secolo XX, del grande addestramento, avvenuto nel corso del XIX secolo, della
popolazione rurale al lavoro industriale. Lo stesso processo di razionalizzazione della forza produttiva che ha avuto
luogo nel XIX secolo nel settore della produzione trova il suo sbocco nel XX secolo nel settore del consumo. Il sistema
industriale, avendo socializzato le masse come forza-lavoro, doveva andare pi lontano per realizzarsi e socializzarle
(cio controllarle) come forza-consumo. I piccoli risparmiatori o consumatori anarchici dell'anteguerra, liberi di
consumare o di astenersi dal consumo, non hanno pi nulla da fare in questo sistema.
Tutta l'ideologia del consumo ci vuol far credere che siamo entrati in una nuova era e che una rivoluzione umana
decisiva separa l'et dolorosa ed eroica della produzione dall'et euforica del consumo, in cui infine resa giustizia
all'uomo e ai suoi desideri. Non affatto cos! Produzione e consumo - si tratta di un solo grande processo logico di
riproduzione allargata delle forze produttive e del loro controllo. Questo imperativo che quello del sistema passa
nella mentalit, nell'etica, nell'ideologia quotidiana - qui sta l'enorme astuzia - sotto la sua forma inversa, sotto forma
di liberazione dai bisogni, come fioritura dell'individuo, di godimento, di abbondanza, ecc. I temi della spesa, del
godimento, del non-calcolo ( Comprate ora, pagherete in seguito ) si sono sostituiti ai temi puritani del risparmio, del
lavoro, del patrimonio. Ma non si tratta che in apparenza di una rivoluzione umana: in effetti la sostituzione, ad uso
interno, nel quadro di un processo generale e di un sistema immutato nell'essenziale, di un sistema di valori ad un
altro divenuto (relativamente) inefficace. Quel che poteva essere una nuova finalit diventata, svuotata dal suo reale
contenuto, mediazione forzata della riproduzione del sistema.
I bisogni e le soddisfazioni dei consumatori sono delle forze produttive, oggi costrette e razionalizzate al pari delle
altre (forza-lavoro, ecc.). Da tutte le parti in cui l'abbiamo (appena) esplorato, il consumo ci dunque apparso,
all'opposto dell'ideologia vissuta, come una dimensione di costrizione:
1. Dominata dalla costrizione del significato, al livello dell'analisi strutturale.
2. Dominata dalla costrizione della produzione e del ciclo della produzione nell'analisi strategica (socio-economicopolitica).
Abbondanza e consumo non sono l'utopia realizzata. Essi sono una nuova situazione oggettiva, retta dagli stessi
processi fondamentali, ma sovradeterminata dalla nuova morale - il tutto corrisponde a una nuova sfera delle forze
produttive in vista della reintegrazione controllata dello stesso sistema allargato. In ci non c' progresso oggettivo
(n a fortiori rivoluzione ): molto semplicemente la stessa cosa e nel contempo qualcosa d'altro. Il che risulta nel
fatto, del resto sensibile al livello stesso della quotidianit, dell'ambiguit totale dell'abbondanza e del consumo: essi
sono contemporaneamente vissuti come mito (di assunzione della felicit al di l della storia e della morale), e
sopportati come processo oggettivo di adattamento a un nuovo tipo di condotta collettiva.
Sul consumo come obbligo civico, Eisenhower 1958: In una societ libera, il governo incoraggia al massimo la
crescita economica allarghi incoraggia lo sforzo degli individui e dei gruppi privati. Lo stato non spender mai cos
bene il denaro come lo avrebbe fatto il contribuente, una volta liberato dal fardello delle imposte . Tutto avviene come
se il consumo senza essere un'imposizione diretta possa sostituirsi efficacemente all'imposta in quanto prestazione
sociale: Con i 9 miliardi abbonati loro dal fisco - aggiunge la rivista Time - i consumatori sono andati a cercare la
prosperit in due milioni di commerci al minuto... Essi hanno compreso che era in loro potere far crescere l'economia
sostituendo il vecchio ventilatore col condizionatore d'aria. Essi hanno assicurato il boom del 1954 acquistando cinque
milioni di televisori miniaturizzati, e un milione e mezzo di tritacarne elettrici, ecc. In breve essi hanno compiuto il
loro dovere civico. Thrift is unamerican , diceva Whyte: Economizzare non americano :
I bisogni come forza produttiva sono equivalenti ai giacimenti di mano d'opera dell'epoca eroica. Pubblicit per il
cinema pubblicitario: Il cinema vi promette, grazie ai suoi schermi giganti, di presentare il vostro prodotto nella giusta
situazione: colore, forma, confezione. Nelle 2500 sale, tre milioni e mezzo di spettatori alla settimana. Il 67% dei quali
di et compresa tra i 15 e i 35 anni. Questi sono i consumatori all'apice dei loro bisogni, che vogliono e possono
comprare... . Esattamente sono degli esseri all'apice della forza (-lavoro).
Funzione logistica dell'individuo
L'individuo serve il sistema industriale non gi apportandogli le sue economie o fornendogli il suo capitale, ma
consumandone i prodotti. Non c' del resto nessun'altra attivit, religiosa, politica o morale, a cui lo si prepari in
maniera cos completa, dotta e costosa (Galbraith).
Il sistema ha bisogno degli uomini in quanto lavoratori (lavoro salariato), in quanto risparmiatori (imposte, prestiti,
ecc.), ma soprattutto in quanto consumatori. La produttivit del lavoro sempre pi devoluta alla tecnologia e
all'organizzazione, l'investimento sempre di pi alle imprese stesse 9 - dove invece l'individuo in quanto tale oggi
richiesto e praticamente insostituibile in quanto consumatore. Si possono dunque predire dei bei giorni e un futuro
apogeo al sistema dei valori individualistici - il cui centro di gravit si sposta dall'imprenditore e dal risparmiatore

individuale, figure di punta del capitalismo concorrenziale, al consumatore individuale, allargandosi nel contempo alla
totalit degli individui - nella misura stessa dell'estensione delle strutture tecnoburocratiche.
Allo stadio concorrenziale il capitalismo si sosteneva ancora alla meno peggio su un sistema di valori individualistici
frammischiati ad altruismo. La finzione di una moralit sociale altruistica (ereditata da tutta la spiritualit tradizionale)
veniva ad attenuare l'antagonismo dei rapporti sociali. La legge morale risultava dagli antagonismi individuali
allo stesso modo in cui la legge di mercato derivava dai processi concorrenziali: essa preservava la finzione di un
equilibrio. La salvezza individuale nella comunit di tutti i cristiani, il diritto individuale limitato dal diritto degli altri - vi si
creduto a lungo. impossibile oggi: allo stesso modo in cui il libero mercato virtualmente scomparso a
vantaggio del controllo monopolistico, stabile e burocratico, anche l'ideologia altruistica non pi sufficiente a
restituire un minimum d'integrazione sociale. Nessun'altra ideologia collettiva venuta a sostituire questi valori. Solo
l'obbligo collettivo dello stato viene a soffocare l'esacerbazione degli individualismi. Da cui la contraddizione profonda
della societ civile e politica quando diventa societ dei consumi : il sistema forzato a produrre sempre pi
individualismo consumistico, ma nello stesso tempo obbligato a reprimerlo sempre pi duramente. Questo non pu
che risolversi in un surplus di ideologia altruistica (essa stessa burocratizzata: lubrificazione sociale attraverso la
sollecitudine, la ridistribuzione, il dono, la gratuit, tutta la propaganda caritativa e delle relazioni umane 10); ma
rientrando essa stessa nel sistema del consumo ci non potr mai essere sufficiente ad equilibrarlo.
Il consumo dunque un potente elemento di controllo sociale (mediante l'atomizzazione degli individui consumatori),
ma per ci stesso comporta la necessit di una costrizione burocratica sempre pi forte sui processi del consumo - la
quale di conseguenza sar esaltata con sempre maggior energia come il regno della libert. Non se ne uscir.
L'automobile e la circolazione sono l'esempio chiave di tutte queste contraddizioni: promozione senza limiti del
consumo individuale, appelli disperati alla responsabilit collettiva e alla moralit sociale, obblighi sempre pi pesanti.
Il paradosso il seguente; non si pu ripetere all'individuo che il livello del consumo la giusta misura del merito
sociale e nel contempo esigere da lui un altro tipo di responsabilit sociale, infatti nel suo sforzo di consumo
individuale egli assume gi pienamente questa responsabilit sociale. Ancora una volta il consumo un lavoro
sociale. Il consumatore richiesto e mobilitato come lavoratore anche a questo livello (al giorno d'oggi tanto quanto al
livello della produzione ). Non bisognerebbe comunque domandare al lavoratore del consumo di sacrificare il
proprio salario (le proprie soddisfazioni individuali) per il bene della collettivit. I milioni di consumatori, in virt di
qualche parte del loro subcosciente sociale, hanno una specie di intuizione pratica di questo nuovo stato del
lavoratore alienato, essi quindi traducono spontaneamente come mistificazione l'appello alla solidariet pubblica, e la
loro tenace resistenza su questo piano non fa che tradurre un riflesso di difesa politica. L' egoismo forsennato del
consumatore, anche grosso modo il sospetto di essere, a dispetto di tutto il pathos sull'abbondanza e il benessere, il
nuovo sfruttato dei tempi moderni. Questa resistenza e questo egoismo conducono il sistema a delle
contraddizioni forzate, il che non fa che confermare che il consumo un gigantesco campo politico, la cui analisi,
dopo e insieme a quella della produzione, ancora da compiere.
Tutto il discorso sul consumo mira a fare del consumatore l'uomo universale, l'incarnazione generale, ideale e
definitiva della specie umana, e del consumo la primizia di una liberazione umana che si compir in luogo e
malgrado lo scacco della liberazione politica e sociale. Ma il consumatore non ha nulla di un essere universale: lui
stesso un essere politico e sociale, una forza produttiva - e, a questo titolo, rilancia i problemi storici fondamentali:
quelli della propriet dei mezzi di consumo (e non pi dei mezzi di produzione), quello della responsabilit economica
(responsabilit quanto al contenuto della produzione), ecc. Ci sono qui in nuce delle profonde crisi e delle nuove
contraddizioni.
L'Ego consumans
Fino ad ora da nessuna parte o quasi, tranne qualche sciopero delle casalinghe americane e la sporadica distruzione
dei beni di consumo (maggio 1968 - il No Bra Day in cui le donne americane bruciarono pubblicamente i loro
reggiseni), queste contraddizioni non sono mai apparse consciamente. E bisogna dire che tutto va all'opposto. Cosa
rappresenta il consumatore nel mondo moderno? Nulla. Cosa potrebbe essere? Tutto o quasi tutto. In quanto rimane
solo accanto a milioni di consumatori solitari, alla merc di tutti gli interessi 11. E bisogna dire che l'ideologia
individualistica svolge qui un ruolo molto importante (anche se abbiamo visto che vi sono latenti contraddizioni). Lo
sfruttamento per mezzo dell'espropriazione (della forza-lavoro) poich tocca un settore collettivo, quello del lavoro
sociale, si rivela (a partire da una certa soglia) solidarizzante. Esso conduce a una (relativa) coscienza di classe. Il
possesso diretto di oggetti e di beni di consumo , invece, individualizzante, desolidarizzante, destoricizzante. In
quanto produttore, e per il fatto stesso della divisione del lavoro, il lavoratore postula gli altri: lo sfruttamento quello
di tutti. In quanto consumatore l'uomo ritorna solitario, o cellulare, al massimo gregario (la TV in famiglia, il pubblico
dello stadio o del cinema, ecc.). Le strutture del consumo sono nel contempo molto fluide e molto chiuse. Si pu forse
immaginare una coalizione di automobilisti contro il bollo di circolazione? O una contestazione collettiva della
televisione? Ciascuno dei milioni di telespettatori si pu singolarmente opporre alla pubblicit televisiva, questa
tuttavia continuer ad esserci. Il fatto che il consumo innanzi tutto orchestrato come un discorso a s, e tende ad
esaurirsi con le sue soddisfazioni e le sue delusioni, in questo scambio minimo. L'oggetto di consumo isola. La sfera
privata senza negativit concreta, perch essa si sofferma sui suoi oggetti, che non ne hanno. Essa strutturata
dall'esterno, attraverso il processo di produzione la cui strategia del desiderio (e questo a livello non pi ideologico,
bens sempre politico) investe questa volta la materialit della nostra esistenza, la sua monotonia e le sue distrazioni.

Allora l'oggetto di consumo distingue, come abbiamo visto, una stratificazione di status: non isola pi, esso differenzia,
assegna collettivamente i consumatori a un codice, senza suscitare per questo (anzi avviene il contrario) una
solidariet collettiva.
Grosso modo dunque i consumatori sono, in quanto tali, inconsapevoli e non organizzati, come potevano esserlo gli
operai all'inizio del XIX secolo. a questo titolo che essi sono dovunque esaltati, blanditi, decantati dai buoni apostoli
come l' opinione pubblica , realt mistica provvidenziale e sovrana. Come il popolo esaltato dalla democrazia a
patto di rimaner tale (cio di non intervenire sulla scena politica e sociale), cos si riconosce ai consumatori la
sovranit ( Powerful consumer , secondo Katona), a patto che essi non cerchino di giocare in quanto tali sulla
scena sociale. Il popolo
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sono i lavoratori a patto che rimangano disorganizzati. Il pubblico, l'opinione pubblica, sono i consumatori purch si
accontentino di consumare.
NOTE AL CAPITOLO SECONDO
1 Non lasciatevi distanziare dai Jones.
2 Nell'inchiesta condotta da Selection du Reader's Digest (A. Piatier, Structures et perspectives de la consummation
europenne) lo schema che ne risulta non quello di un'immensa classe media come per gli USA, ma quella di una
minoranza, di un lite consumatrice (gli A ), che serve da modello a una maggioranza che non dispone ancora di
questo equipaggiamento di lusso (auto sportiva, canale stereofonico, seconda casa) senza di cui non c' europeo
degno di questo nome.
3 Torino, Einaudi, 1964.
4 Milano, Garzanti, 1964.
5 Torino, Einaudi, 1968.
6 l'azione anticoagulante della pubblicit (Elgozy).
7 Cfr. pi avanti: Il consumo come emergenza e controllo di nuove forze produttive.
8 La gense idologique des besoins, in Cahiers internationaux de sociologie , 1969, vol. 47.
9 Cfr. Paul Fabra, Les superbnficies et la monopolisation de l'epargne par les grandes entreprises, in Le Monde ,
26 giugno 1969.
10 Su questo punto cfr., pi avanti, La mistica della sollecitudine.
11 Cfr. Le cooprateur , 1965.

CAPITOLO TERZO
LA PERSONALIZZAZIONE 0 LA MINOR DIFFERENZA MARGINALE (MDM)
To be or not to be myself
Non c' donna tanto esigente che non riesca a soddisfare i propri gusti e i desideri della propria personalit con una
Mercedes-Benz. Dal colore del cuoio, dal rivestimento e dal colore della carrozzeria fino ai fregi cromati e alle mille e
una comodit che offrono gli accessori standards o opzionali. Quanto all'uomo, per quanto pensi soprattutto alle
qualit tecniche e alle prestazioni della propria vettura, esaudir volentieri i desideri della propria compagna, infatti
sar ugualmente fiero di sentirsi complimentare per il suo buon gusto. Secondo il vostro gusto potete scegliere la
vostra MercedesBenz tra 76 differenti colori e 697 assortimenti degli accessori interni...
Avere trovato la propria personalit, saperla affermare, scoprire il piacere di essere veramente se stessi. Spesso
basta poco. Ho a lungo cercato e mi sono accorta che una leggera sfumatura chiara nei miei capelli era sufficiente a
creare una perfetta armonia colla mia carnagione, col colore dei miei occhi. Questo biondo l'ho trovato nella gamma
dello shampoo colorante Rcital..., con questo biondo Rcital, talmente naturale, non mi sono cambiata: sono pi che
mai me stessa .
Questi due testi (tra i tanti) sono tratti il primo da Le Monde , il secondo da un piccolo settimanale femminile. Il
prestigio e lo standing che essi mettono in gioco non ha alcun parametro comune: tra la lussuosa Mercedes 300 SI, e
la leggera sfumatura chiara dello shampoo Rcital, c' in mezzo tutta la gerarchia sociale, le due donne messe in
scena nei due testi non si incontreranno senza dubbio mai (tranne forse al Club Mdterrane, chiss?). Tutta la
societ le separa, ma lo stesso obbligo di differenziazione, di personalizzazione le riunisce. L'una A l'altra
non-A , ma lo schema dei valori personali lo stesso per l'una e per l'altra, e per tutti noi che ci apriamo la nostra
strada nella giungla personalizzata della mercanzia opzionale , cercando disperatamente il fondo tinta che
riveler la naturalit del nostro viso, il trucco che illustrer la nostra profonda idiosincrasia, la differenza che ci far
essere noi stessi.

Tutte le contraddizioni di questa tematica, fondamentale per il consumo, compaiono nella disperata acrobazia del
lessico che la esprime, nel perpetuo tentativo di un'impossibile sintesi magica. Se si qualcuno, si pu trovare la
propria personalit? Se si se stessi che bisogno c' di esserlo veramente ? O allora se si sdoppiati in un
falso se stessi , sufficiente una leggera sfumatura chiara per restituire l'unit miracolosa dell'essere? Che
cosa vuol dire questo biondo talmente naturale? Lo s o no? E se sono me stesso come posso esserlo pi che
mai ? Dunque ieri non lo ero completamente? Posso dunque elevarmi alla seconda potenza, posso dunque
inscrivermi in valore aggiunto a me stesso, come una specie di plusvalore nell'attivo di un'impresa? Si troverebbero
facilmente migliaia di esempi di questo illogicismo, di questa contraddizione interna che corrode tutto quel che, al
giorno d'oggi, ha attinenza colla personalit. Ora, dice Riesman, quel che i pi chiedono oggi non n una
macchina, n una fortuna, n un lavoro: una personalit . Il colmo di questa litania magica raggiunto
dall'espressione seguente: Personalizzate voi stessi il vostro appartenere a voi stessi!
Questa formula superriflessa (personalizzare se stessi... in persona, ecc.!) segna la parola conclusiva della storia.
Quel che dice tutta questa retorica, che si dibatte nell'impossibilit di dirlo, precisamente che non c' pi nessuna
persona. La persona in valore assoluto, coi suoi tratti irriducibili e il suo peso specifico, cos come l'ha forgiata tutta
la tradizione occidentale come mito organizzatore del soggetto, colle sue passioni, colla sua volont, col suo carattere
o... colle sue banalit, questa persona assente, morta, spazzata via dal nostro universo funzionale. Ed questa
persona assente, questa istanza perduta che s'intende personalizzare . questo essere perduto che si intende
ricostruire in astratto, mediante la forza dei segni, nel ventaglio moltiplicato delle differenze, della Mercedes, nella
leggera sfumatura chiara , nei mille altri segni aggregati, sparpagliati, per ricercare un'individualit di sintesi, e in
fondo per esplodere nell'anonimato pi totale, perch la differenza per definizione ci che non ha nome.
La produzione industriale delle differenze
La pubblicit tutta non ha senso, essa non porta che dei significati. I suoi significati (e la condotta a cui fanno appello)
non sono mai personali, essi sono tutti differenziali, marginali e combinatori. Vale a dire che danno spicco alla
produzione industriale delle differenze - con cui si definirebbe, credo, con maggior forza il sistema del consumo.
Le differenze reali che contraddistinguevano le persone facevano di esse degli esseri contradditori. Le differenze
personalizzanti non oppongono pi gli individui gli uni agli altri, esse si gerarchizzano tutte su una scala indefinita,
e convergono in modelli, a partire dai quali esse sono sottilmente prodotte e riprodotte. Differenziarsi significa
precisamente affiliarsi a un modello, qualificarsi in riferimento a un modello astratto, a una figura combinatoria di
moda, e dunque per questo privarsi di ogni differenza reale, di, ogni singolarit che non pu manifestarsi che nella
relazione concreta, conflittuale cogli altri e col mondo. qui il miracolo e il tragico della differenziazione. cos che
tutto il processo di consumo comandato dalla produzione dei modelli artificialmente duplicati (come le marche dei
detersivi), in cui la tendenza monopolistica la stessa di quella che vige negli altri settori della produzione. C' una
concentrazione monopolistica della produzione delle differenze.
Formula assurda: monopolio e differenza sono logicamente incompatibili. Se possono essere congiunti, perch
propriamente le differenze non ci sono, e invece di contraddistinguere un essere singolarmente, contraddistinguono la
sua obbedienza a un codice, la sua integrazione rispetto a una scala mobile dei valori.
C' nella personalizzazione un effetto simile a quello di naturalizzazione che si ritrova ovunque all'opera
nell'ambiente e che consiste nel restituire la natura come segno dopo averla distrutta nella realt. cos che si
abbatte una foresta per costruirvi un complesso urbanistico chiamato Citt verde , dove si ripianter qualche albero
che far natura. Il naturale che assilla tutta la pubblicit cos un effetto di make-up: Ultra-Beauty vi
garantisce un maquillage vellutato, liscio, duraturo, che dar alla vostra carnagione quello splendore naturale da voi
sempre sognato Di sicuro mia. moglie non si trucca Ecco questo velo di belletto invisibile ma presente . Allo
stesso modo la funzionalizzazione di un oggetto un'astrazione coerente che si sovrappone e dovunque si
sostituisce alla sua funzione oggettiva (la funzionalit non valore d'uso, valore/segno).
La logica della personalizzazione la stessa: essa contemporanea della naturalizzazione, della funzionalizzazione,
della acculturazione, ecc. Il processo generale pu definirsi storicamente: la concentrazione monopolistica
industriale che, abolendo le differenze reali tra gli uomini, omogeneizzando le persone e i prodotti, inaugura
simultaneamente il regno della differenziazione. Avviene qua un po' come nei movimenti sociali e religiosi: sul
riflusso della loro pulsione originaria che si stabiliscono le istituzioni e le chiese. Anche qui nella perdita delle
differenze che si fonda il culto della differenza 1.
La produzione monopolistica moderna non mai dunque solamente la produzione dei beni, sempre anche la
produzione (monopolistica) delle relazioni e delle differenze. Una profonda complicit logica lega dunque il megatrust
e il microconsumatore, la struttura monopolistica della produzione e quella individualistica del consumo, poich la
differenza consumata di cui si nutre l'individuo anche uno dei settori chiave della produzione generalizzata. Nello
stesso tempo, sotto il segno del monopolio, una omogeneit molto grande lega oggi i diversi contenuti della
produzione/consumo: beni, prodotti, servizi, relazioni, differenze. Tutto questo, un tempo distinto, oggi prodotto sotto
la medesima modalit, e dunque tutto ugualmente destinato ad essere consumato.
C' anche qui nella personalit combinatoria un eco della cultura combinatoria che abbiamo evocato in precedenza.
Allo stesso modo in cui questa consisteva in un riciclaggio collettivo attraverso i mass-media sulla MCC (Minima
Comune Cultura), cos la personalizzazione consiste in un riciclaggio sulla MDM (Minima Differenza Marginale):
ricercare le minime differenze qualitative per mezzo delle quali si evidenziano lo stile e lo status. Cos fumate una

Kent: L'attore la fuma prima di entrare in scena, il pilota prima di infilarsi il casco, il pittore prima di firmare la propria
tela, il giovane padrone prima di dire di no al suo principale azionista (!) ... Non appena la sigaretta ha smesso di
fumare nel portacenere l'azione incomincia, precisa, calcolata, irreversibile . Oppure fumate una MarIboro come quel
giornalista il cui editoriale atteso da due milioni di lettori . Avete una compagna di gran classe e un'Alfa-Romeo
2600 Sprint? Ma se utilizzate Green Water come acqua da toeletta, allora sar la trinit perfetta del grande standing,
voi avrete tutti i quattro quarti di nobilt postindustriale. O allora nella vostra cucina abbiate almeno le stesse piastrelle
di maiolica di Franoise Hardy o lo stesso fornello a gas di Brigitte Bardot. Oppure usate un tostapane capace di fare
dei toast colle vostre iniziali, o ancora per il vostro barbecue impiegate del carbone di bosco aromatizzato alle erbe di
Provenza. Ovviamente le stesse differenze marginali sono sottomesse a una sottile gerarchia. Dalla banca di lusso
con cassaforti Luigi XVI riservate a 800 clienti scelti (americani che devono avere nel loro conto corrente al minimo
25.000 dollari) fino alla scrivania del P-D.G. *, che sar antica o Primo Impero, mentre ai quadri superiori sufficiente
una scrivania moderna anche se di un certo tono, dal prestigio arrogante della villa dei nuovi ricchi fino alla
noncuranza dei vestiti di classe, tutte queste differenze marginali scandiscono, secondo una legge generale di
distribuzione del materiale distintivo (legge che si ritiene nessuno ignori, e ancor meno di quella del codice penale), la
pi rigorosa discriminazione sociale. Non tutto permesso, e le infrazioni a questo codice delle differenze, che pur
essendo mobile ugualmente un rituale, vengono represse. Lo testimonia questo divertente episodio di un
rappresentante di commercio che, avendo acquistato la stessa Mercedes del suo padrone, si visto licenziare da
quest'ultimo. Avendo fatto appello, egli fu indennizzato dai probiviri, ma non reintegrato nel suo impiego. Tutti sono
uguali di fronte agli oggetti in quanto valore d'uso, ma non tutti sono uguali di fronte agli oggetti in quanto segni e
differenze che sono profondamente gerarchizzate.
Metaconsumo
importante cogliere che questa personalizzazione, questa ricerca di status e di standing si fonda su dei segni, cio
non su degli oggetti o dei beni in s, ma su delle differenze. Solo questo ci permette di spiegare il paradosso dell'
underconsumption o dell' inconspicuous consumption , cio il paradosso della superdifferenziazione di prestigio,
che non si manifesta precisamente pi attraverso l'ostentazione conspicuous , secondo Veblen), ma attraverso la
discrezione, la rinunzia e la modestia, che non sono altro se non un lusso di pi, un surplus di ostentazione che si
tramuta nel suo contrario, e dunque una differenza pi sottile. La differenziazione pu assumere allora la forma di
rifiuto degli oggetti, di rifiuto del consumo e questo ancora il massimo di finezza del consumo.
Se siete un grande borghese non andate alle Quatre-Saisons... Lasciate le Quatre-Saisons alle giovani coppie
esasperate per i soldi che non hanno, agli studenti, alle segretarie, alle commesse, agli operai che ne hanno
abbastanza di vivere nella sporcizia... a tutti coloro che vogliono dei mobili piacevoli perch la bruttezza stancante,
ma che vogliono anche dei mobili semplici perch hanno orrore degli appartamenti pretenziosi . Chi risponder a
questo perverso invito? Forse qualche grande borghese, o qualche intellettuale preoccupato di declassarsi. Al livello
dei segni non c' ricchezza o povert assoluta, n opposizione tra i segni della ricchezza e i segni della povert: non
sono che i diesis e i bemolle sulla tastiera della differenza. Signore da X che sarete le meglio spettinate del
mondo! Questo vestito molto semplice cancella le tracce dell'alta moda .
C' cos tutta una sindrome molto moderna di anticonsumo, che in fondo metaconsumo e che gioca come
esponente culturale di classe. Le classi medie hanno piuttosto la tendenza, ereditata dai grandi dinosauri
capitalistici del XIX e dell'inizio del XX secolo, a consumare con ostentazione. , in questo che sono culturalmente
ingenue. Inutile dire che c' dietro tutta una strategia di classe: Una delle restrizioni di cui soffre il consumo
dell'individuo nobile, dice Riesman, la resistenza che le classi elevate oppongono agli arrivisti mediante una
strategia di sottoconsumo ostentatorio: quelli che sono gi arrivati hanno cos la tendenza a imporre i loro limiti a quelli
che vorrebbero diventare loro pari . Questo fenomeno, sotto le molteplici forme che assume, capitale per
l'interpretazione della nostra societ. Infatti si potrebbe rimanere impigliati in questa inversione formale dei segni ed
assumere per un effetto di democratizzazione ci che non che una metamorfosi della distanza di classe. sulla
base del lusso che si consuma la semplicit perduta - e questo effetto lo si ritrova a tutti i livelli: sulla base della
condizione borghese che si consumano il miserabilismo e il proletarismo intellettuali, come, su un altro piano,
sulla base di un passato eroico perduto che gli americani dei nostri giorni partono in viaggio di piacere collettivo per
cercare l'oro nei fiumi del West. Ovunque questo esorcismo degli effetti inversi, della realt perduta, dei termini
contradditori segnala un effetto di consumo e di superconsumo che ovunque si integra con una logica della
distinzione.
L'importante cogliere una volta per tutte questa logica sociale della differenziazione come fondamentale dell'analisi,
e che propriamente sul bando del loro valore d'uso (e dei bisogni che vi si riconnettono) che si instaura lo
sfruttamento degli oggetti come differenziali, come segni - livello che solo definisce specificatamente il consumo. Le
preferenze in materia di consumo, riconosce Riesman, non sono un perfezionamento delle facolt umane capace di
stabilire dei rapporti coscienti tra l'individuo e quest'oggetto culturale. Esse rappresentano un mezzo per entrare
vantaggiosamente in contatto cogli altri. Insomma gli oggetti culturali hanno perduto ogni significato umano: per il loro
possessore sono in effetti in qualche modo dei feticci che gli permettono di sostenere un determinato atteggiamento .
Questo (la priorit del valore differenziale) che Riesman applica agli oggetti culturali (ma a questo proposito non
c' differenza tra oggetti culturali e oggetti materiali ) era illustrato in una maniera sperimentale coll'esempio di
una citt mineraria nel Qubec in cui, ci racconta il reporter, a dispetto della vicinanza della foresta e dell'utilit

pressoch nulla dell'automobile, ogni famiglia ha tuttavia la propria automobile davanti alla porta: Questo veicolo
lavato, pieno di accessori, a cui si fa fare ogni tanto qualche chilometro lungo la deviazione stradale della citt (non ci
sono altre strade), un simbolo del livello di vita americano, il segno di appartenere alla civilt meccanica (e l'autore
accosta queste suntuose limousines a una bicicletta perfettamente inutile trovata nella savana senegalese presso un
ex-sottufficiale negro tornato a vivere nel proprio villaggio). Meglio ancora: lo stesso riflesso dimostrativo, ostentatorio,
fa s che le classi agiate si facciano costruire a proprie spese degli chalet in un raggio di dieci miglia attorno al centro
residenziale. In questo agglomerato spazioso, aerato, in cui il clima salubre, la natura ovunque presente, non vi
nulla di pi inutile di una seconda casa! Vediamo dunque entrare in gioco qui la differenziazione di prestigio allo stato
puro - e come le ragioni oggettive per il possesso di un'automobile o di una seconda casa non sono, in fondo, che
alibi per una determinazione pi fondamentale.
Distinzione o conformit?
La sociologia tradizionale non fa, in generale, della logica della differenziazione un principio d'analisi. Essa individua
un bisogno per l'individuo di differenziarsi , cio un bisogno di pi nel repertorio individuale e che essa mette in
alternativa col bisogno inverso di conformarsi. I due si accordano al livello descrittivo psicosociologico, nell'assenza di
una teoria e nell'illogicismo pi totale, che si ribattezzer dialettica di uguaglianza e di distinzione , o dialettica del
conformismo e della originalit , ecc. Si mescola tutto. necessario invece vedere che il consumo non si ordina
sull'individuo coi suoi bisogni personali indicizzati in seguito, secondo un'esigenza di prestigio o di conformit, su un
contesto di gruppo. C' innanzi tutto una logica strutturale della differenziazione, che produce gli individui come
personalizzati , cio come differenti gli uni dagli altri, ma secondo dei modelli generali e secondo un codice a cui,
nell'atto stesso di individualizzarsi, essi si conformano. Lo schema singolarit/conformismo, posto sotto il segno
dell'individuo, non essenziale: il livello vissuto. La logica fondamentale invece quella della
differenziazione/personalizzazione, posta sotto il segno del codice.
In altri termini la conformit non l'uguaglianza degli status, l'omogeneizzazione cosciente del gruppo (ciascun
individuo che si allinea sugli altri), invece il fatto di avere in comune lo stesso codice, di condividere gli stessi segni
che vi fanno differenti tutti insieme rispetto a qualche altro gruppo. la differenza coll'altro gruppo che fa la parit
(piuttosto che la conformit) dei membri di un gruppo. differenzialmente che si fonda il consenso e l'effetto della
conformit non che una conseguenza. Ci capitale, infatti implica il trasferimento di tutta l'analisi sociologica
(particolarmente in materia di consumo) dallo studio fenomenico del prestigio, dell' imitazione , del campo
superficiale della dinamica sociale o cosciente, all'analisi dei codici, delle relazioni strutturali, dei sistemi di segni e di
materiale distintivo, il passaggio infine a una teoria del campo incosciente della logica sociale.
Cos la funzione di questo sistema di differenziazione va ben al di l della soddisfazione dei bisogni di prestigio. Se si
ammette l'ipotesi enunciata in precedenza, si vede che il sistema non gioca mai su delle differenze reali (singolari,
irriducibili) tra delle persone. Quel che lo fonda come sistema precisamente il fatto di eliminare il contenuto proprio,
l'essere proprio di ciascuno (forzatamente differente) per sostituirvi la forma differenziale, industrializzabile e
commercializzabile come segno distintivo. Il sistema elimina ogni qualit originale per non conservare che lo schema
distintivo e la sua produzione sistematica. A questo livello le differenze non sono pi esclusive: non solamente esse si
implicano logicamente tra loro nel combinatorio della moda (come i differenti colori giocano tra loro), ma anche
sociologicamente: lo scambio delle differenze che suggella l'integrazione del gruppo. Le differenze cos codificate
lungi dal dividere gli individui diventano al contrario materiale di scambio. questo un punto fondamentale per cui il
consumo si definisce:
1) non pi come pratica funzionale degli oggetti, possesso, ecc.,
2) non pi come semplice funzione di prestigio individuale o di gruppo,
3) ma come sistema di comunicazione e di scambio, come codice di segni continuamente emessi e ricevuti e
reinventati, come linguaggio.
Le differenze di nascita, di sangue, di religione un tempo non si scambiavano: esse non erano differenze di moda ma
riguardavano invece l'essenziale. Esse non erano consumate . Le differenze attuali (di vestito, di ideologia, persino
di sesso) si scambiano in seno a un vasto consorzio di consumo. uno scambio socializzato di segni. E se tutto cos
si pu cambiare sotto la forma di segno, non in virt di qualche liberalizzazione dei costumi; ci avviene invece
perch le differenze sono sistematicamente prodotte secondo un ordine che le integra tutte come segni di
riconoscimento, e essendo sostituibili non c' tra esse pi tensione o contraddizione di quanto non ce ne sia tra l'alto e
il basso, o tra la destra o la sinistra.
Cos si vede in Riesman che i membri del gruppo dei pari socializzano delle preferenze, scambiano degli
apprezzamenti e, attraverso la loro continua competizione, assicurano la reciprocit interna e la coesione narcisistica
del gruppo. Essi concorrono al gruppo attraverso la concorrenza , o piuttosto attraverso ci che non pi una
concorrenza aperta e violenta, quella del mercato e della lotta, ma, per essere filtrata attraverso il codice della moda,
un'astrazione ludica della concorrenza.
Codice e rivoluzione
Si coglier meglio cos la funzione ideologica capitale del sistema del consumo nell'ordine sociopolitico attuale.
Questa funzione ideologica attuale si deduce dalla definizione del consumo come istituzione di un codice

generalizzato di valori differenziali, e dalla funzione di sistema di scambio e di comunicazione che abbiamo appena
determinata.
I sistemi sociali moderni (capitalistico, produttivistico, postindustriale ) non fondano il loro controllo sociale, la
regola ideologica delle contraddizioni economiche e politiche che li travagliano , sui grandi principi egualitari e
democratici, su questo sistema dei valori ideologici e culturali ovunque diffuso, ovunque all'opera. Anche seriamente
interiorizzati attraverso la scuola e l'apprendistato sociale, questi valori egualitari coscienti, di diritto, di giustizia, ecc.,
restano relativamente fragili, e non sarebbero mai sufficienti a integrare una societ di cui essi contraddicono troppo
visibilmente la realt oggettiva. Diciamo che a questo livello ideologico, le contraddizioni possono sempre esplodere di
nuovo. Ma il sistema fa affidamento molto pi efficacemente su un dispositivo inconscio di integrazione e di
regolazione. E quest'ultimo, al contrario dell'eguaglianza, consiste precisamente nell'implicare gli individui in un
sistema di differenze, in un codice di segni. Tale la cultura, tale linguaggio, tale il consumo nel senso pi
profondo del termine. L'efficacia politica non consiste nel fare in modo che, dove c'era contraddizione, ci sia
uguaglianza e equilibrio, ma piuttosto che, dove c'era contraddizione, ci sia la differenza. La soluzione della
contraddizione sociale non la parificazione, la differenziazione. Non c' rivoluzione possibile al livello di un codice o allora, esse hanno luogo tutti i giorni, sono le rivoluzioni della moda , sono inoffensive ed eludono le altre.
Anche qui vi un errore nell'interpretazione del ruolo ideologico del consumo presso gli esponenti dell'analisi classica.
Non sommergendo gli individui sotto il confort, la soddisfazione, lo standing che il consumo smorza la virulenza
sociale (ci legato alla teoria ingenua dei bisogni e non pu rinviare che all'assurda speranza di rendere le persone
pi misere per vederle ribellarsi); questo risultato al contrario si raggiunge addestrandoli alla disciplina inconscia di un
codice, e di una cooperazione competitiva al livello di questo codice, quindi non a motivo della maggiore facilit, ma
all'opposto facendoli entrare nelle regole del gioco. cos che il consumo pu sostituirsi da solo a tutte le ideologie, e
alla lunga assumere da solo l'integrazione di tutta una societ, come nelle societ primitive facevano i rituali gerarchici
o religiosi.
I modelli strutturali
Quale madre di famiglia non ha mai sognato una lavatrice concepita appositamente per lei? , si chiede una
pubblicit. In effetti quale madre di famiglia non l'ha mai sognata? Sono dunque milioni ad aver sognato la stessa
lavatrice concepita appositamente per ciascuna di loro.
Il corpo da voi sognato, il vostro . Questa ammirabile tautologia, il cui scopo evidentemente di propagandare
questo o quest'altro reggiseno, riassume tutti i paradossi dei narcisismo personalizzato . accostandovi al vostro
ideale di riferimento, nell'essere veramente voi stessi , che obbedite al massimo grado all'imperativo collettivo e
che vi adeguate sempre di pi a questo o a quest'altro modello imposto . Astuzia diabolica o dialettica della cultura
di massa?
Vedremo come la societ dei consumi si pensa come tale e si riflette narcisisticamente nella sua immagine. Questo
processo diffuso al livello di ciascun individuo non cessa ugualmente di essere una funzione collettiva, il che spiega
perch non contraddica assolutamente il conformismo, anzi, come mostrano abbondantemente gli esempi di cui
sopra, avviene proprio il contrario. Il narcisismo dell'individuo nella societ dei consumi non godimento della
singolarit, all'opposto rifrazione dei tratti collettivi. Tuttavia sempre dato come investimento narcisistico di se
stessi attraverso le MDM.
Dovunque l'individuo invitato innanzitutto a piacersi, a compiacersi. S'intende che col piacere a se stessi che si
hanno tutte le possibilit di piacere agli altri. Al limite persino la compiacenza e l'autoseduzione possono soppiantare
totalmente le finalit seduttrici oggettive. L'impresa seduttrice si ripiega su se stessa, in una specie di consumo
perfetto, ma il suo referente resta l'istanza dell'altro. Semplicemente piacere diventata un'impresa in cui la
considerazione della persona a cui piacere solo secondaria. Un discorso ripetuto della marca nella pubblicit.
soprattutto sulla donna che si esercita questo invito alla compiacenza. Ma questa pressione si esercita sulla donna
attraverso il mito della donna. La donna come modello collettivo e culturale di compiacimento. velyne Sullerot dice
bene: Si vende la donna alle donne... credendo di curarsi, di profumarsi, di vestirsi, in una parola di "crearsi", la
donna si consuma . E questo nella logica del sistema: non solamente la relazione cogli altri, ma anche la relazione
con se stessi diviene una relazione consumata, che non bisogna confondere col fatto di piacere a se stessi sulla base
di qualit reali, di bellezza, di charme, di gusto, ecc. Ci non ha nulla a che vedere, in questo caso non c' consumo,
c' una relazione spontanea e naturale. Il consumo si definisce sempre mediante la sostituzione a questa relazione
spontanea di una relazione mediata attraverso un sistema di segni. All'occorrenza se la donna si consuma, perch
la sua relazione con se stessa oggettivata e alimentata da segni, segni che costituiscono il modello femminile, che
costituisce il vero oggetto di consumo. questo che la donna consuma personalizzandosi . Al limite la donna non
pu ragionevolmente fare affidamento al fuoco del suo sguardo, n alla dolcezza della sua pelle: quel che le proprio
non le conferisce nessuna certezza (Bredin, in La Nef ). Vi una totale differenza tra il valere per delle qualit
naturali e lo sfruttarsi attraverso la propria adesione a un modello e secondo un codice costituito. Si tratta in
quest'ultimo caso di femminilit funzionale, in cui tutti i valori naturali di bellezza, di charme, di sensualit scompaiono
a vantaggio dei valori esponenziali di naturalit (sofisticata), di erotismo, di linea , di espressivit.
Allo stesso modo la violenza2, la seduzione e il narcisismo sono sostituiti da modelli, industrialmente prodotti dai
mass-media e fatti di segni individuabili (perch tutte le giovani possano considerarsi Brigitte Bardot bisogna che i.
capelli, la bocca, o qualche tratto del vestito le distingua, cio qualcosa che necessariamente lo stesso per tutte).

Ciascuna trova la propria personalit nella realizzazione di questi modelli.


Modello maschile e modello femminile
Alla femminilit funzionale corrisponde la mascolinit o virilit funzionale. In modo del tutto naturale i modelli si
abbinano per due, non derivano per dalla natura differenziata dei sessi, bens dalla logica differenziale del sistema.
La relazione del maschile e del femminile cogli uomini e colle donne reali relativamente arbitraria. Sempre di pi al
giorno di oggi gli uomini e le donne vengono indifferentemente a significarsi su i due registri, ma i due grandi termini
dell'opposizione significante non valgono al contrario che per la loro distinzione. Questi modelli non sono descrittivi:
essi ordinano il consumo.
E modello maschile quello dell'esigenza e della scelta. Tutta la pubblicit maschile insiste sulla regola deontologica
della scelta in termini di rigore, di minuzia inflessibile. L'uomo moderno di qualit esigente. Non si permette alcuna
dfaillance. Non trascura alcun dettaglio. Eletto , egli non lo passivamente, o per grazia naturale, bens in virt
dell'esercizio di una selettivit (che questa selettivit sia orchestrata da altri diversi da lui, un'altra questione). Non
questione di lasciarsi andare o di compiacersi, ma di distinguersi. Il saper scegliere senza correre rischi equivale qui
alle virt militari e puritane: intransigenza, decisione, virt ( virtus ). Queste virt saranno quelle dell'ultimo figurino
che si veste da Romoli o da Cardin. Virt competitive o selettive: in questo consiste il modello maschile. Molto pi
profondamente, la scelta, segno dell'elezione (chi sceglie, chi sa scegliere, scelto, eletto tra tutti gli altri) nelle
nostre societ il rito analogo a quello della sfida e della competizione nelle societ primitive: anch'esso infatti
classifica.
Il modello femminile ingiunge molto di pi alle donne del semplice piacere a se stesse. Non pi la selettivit,
l'esigenza, ad essere di rigore, bens la compiacenza e la sollecitudine narcisistica. In fondo si continua a invitare gli
uomini a giocare al soldato, le donne a giocare alle bambole con se stesse.
Persino al livello della pubblicit moderna, c' dunque sempre segregazione tra i due modelli maschile e femminile, e
la sopravvivenza gerarchica della preminenza maschile ( qui, al livello dei modelli, che si legge l'inamovibilit del
sistema di valore: poco importa la mescolanza delle condotte reali , infatti la mentalit profonda sancita dai
modelli - e l'opposizione maschile/femminile, come quella tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, non mutata).
Bisogna introdurre questa opposizione strutturale in termini di superiorit sociale.
1. La scelta maschile antagonistica : , per analogia colla sfida, la condotta nobile per eccellenza. l'onore
ad essere in gioco, o la Bewhrung (fare le proprie esperienze), virt ascetica e aristocratica.
2. Quel che si perpetua nel modello femminile, al contrario, il valore derivato, il valore per procura ( vicarious status
, vicarious consumption , secondo Veblen). La donna non impegnata a gratificarsi che per meglio entrare come
oggetto di competizione nella concorrenza maschile (piacersi per meglio piacere). Ella non mai in competizione
diretta (se non colle altre donne nei riguardi degli uomini). Se bella, cio se questa donna donna, sar scelta. Se
l'uomo uomo sceglier la propria donna tra gli altri oggetti/segni (la sua auto, la sua donna, la sua acqua da
toeletta). Sotto l'aspetto dell'autogratificazione, la donna (il modello femminile) relegata, in un adempimento di
servizio , per procura. La sua determinazione non autonoma.
Questo status illustrato a livello narcisistico dalla pubblicit, ha altri aspetti anch'essi reali al livello della attivit
produttiva. La donna destinata ai beni parafernali (agli oggetti domestici), svolge non solamente una funzione
economica ma anche una funzione di prestigio, derivata dall'ozio aristocratico e borghese delle donne che
testimoniavano con ci il prestigio del loro padrone: la donna di casa non produce, essa non ha incidenza nelle
contabilit nazionali, non recensita come forza produttiva, destinata quindi a valere come forza di prestigio, in
nome della sua inutilit ufficiale, in nome del suo status di schiava mantenuta . Ella rimane un attributo, regnando
sugli attributi secondari che sono gli oggetti domestici.
Oppure, nelle classi medie e superiori, si dedica ad attivit culturali , anch'esse gratuite, non contabilizzabili,
irresponsabili vale a dire senza responsabilit. Ella consuma cultura, ma non in nome proprio: cultura decorativa.
la promozione culturale che, dietro a tutti gli alibi democratici, risponde sempre a questa stessa costrizione di
inutilit. In fondo la cultura qui un effetto suntuario al pari della bellezza - cultura e bellezza sono molto meno
valori propri, esercitati per se stessi, di quanto non siano una funzione sociale alienata (esercitata per procura).
Ancora una volta si tratta qui di modelli differenziali, che non bisogna confondere coi sessi reali, n colle categorie
sociali. C' ovunque diffusione e contaminazione. L'uomo moderno (lo si vede dappertutto nella pubblicit) invitato
anche lui a compiacersi. La donna moderna invitata anche lei a scegliere, a concorrere, ad essere esigente .
Tutto ci secondo l'immagine di una societ in cui le rispettive funzioni sociali, economiche e sessuali sono
relativamente mescolate. Tuttavia la distinzione dei modelli maschili e femminili resta totale (del resto la stessa
mescolanza di compiti e di ruoli sociali e professionali in fin dei conti debole e marginale). Forse su certi punti
l'opposizione strutturale e gerarchica tra maschile e femminile si persino rafforzata. Cos l'apparizione pubblicitaria
dell'efebo nudo di Publicis (pubblicit Slimaille) ha segnato l'estremo punto di contaminazione. Non ha per mutato
nulla rispetto ai modelli distinti e antagonisti, ha soprattutto messo in evidenza l'emergenza di un terzo modello
ermafrodito, ovunque legato all'esigenza dell'adolescenza e della giovent, ambisessuato e narcisistico, ma molto pi
vicino al modello femminile della compiacenza che al modello maschile dell'esigenza.
Ci a cui oggi si assiste in modo molto generale all'estensione in tutto il campo del consumo del modello femminile.
Ci che abbiamo detto della donna in rapporto ai valori di prestigio, del suo status per procura , vale virtualmente e
assolutamente in generale anche per l'homo consumans - uomini e donne senza distinzione. Ci vale per tutte le

categorie destinate pi o meno (ma sempre di pi secondo la strategia politica) ai beni parafernali , ai beni
domestici e ai godimenti per procura . Delle intere classi sono destinate, ad immagine della donna (che resta come
donna-oggetto emblematica del consumo), a funzionare come consumatrici. La loro promozione di consumatori sar
cos la realizzazione del loro destino di servi. A differenza tuttavia delle donne di casa la loro attivit alienata, lungi
dallo sprofondare nell'oblio, fa oggi la prosperit della contabilit nazionale.
NOTE AL CAPITOLO TERZO
* P.-D.G. = Prsident - Directeur - Gnral. Sta per dirigente ad alto livello o manager [N.d.T.].
1

Lo stesso vale per la relazione: il sistema si instaura sulla base di una liquidazione totale dei legami personali, delle
relazioni sociali concrete. , in questa misura che diviene necessariamente e sistematicamente produttore di relazioni
(pubbliche, umane, ecc.). La produzione di relazioni divenuta una delle branche capitali della produzione. E poich
esse non hanno pi nulla di spontaneo e poich esse sono prodotte, queste relazioni sono necessariamente
destinate, come tutto ci che prodotto, ad essere consumate (i rapporti sociali invece, essendo il prodotto inconscio
del lavoro sociale e non il risultato di una deliberata e controllata produzione sociale, non sono consumati, sono al
contrario il luogo delle contraddizioni sociali).
Sulla produzione e il consumo delle relazioni sociali, cfr., pi avanti, La mistica della sollecitudine.
2
Cfr., pi avanti, La violenza

PARTE TERZA
MASS-MEDIA, SESSO E TEMPO LIBERO
CAPITOLO PRIMO
LA CULTURA DEI MASS-MEDIA

Il neo - o la resurrezione anacronistica


Marx a proposito di Napoleone III affermava: capita nella storia che gli stessi avvenimenti si producano due volte: la
prima hanno una reale portata storica, la seconda non ne sono che l'evocazione caricaturale, la trasformazione
grottesca, che vive di un riferimento leggendario. Cos il consumo culturale pu essere definito come il tempo e il
luogo della resurrezione caricaturale, dell'evocazione parodistica di quel che non c' pi, di quel che consumato
(consomm) nella prima accezione del termine (terminato e compiuto). Quei turisti che partono in pullman verso il
grande Nord per rivivere le gesta della corsa all'oro, ai quali si noleggia un bastone e una tunica esquimese per fare
colore locale, consumano: consumano sotto la forma rituale quel che fu un avvenimento storico, riattualizzato
forzatamente come leggenda. In storia questo processo si chiama restaurazione: un processo di negazione della
storia e di resurrezione fissistica dei modelli precedenti. Il consumo anch'esso completamente impregnato di questa
sostanza anacronistica: la Esso vi offre, nelle sue stazioni invernali, il suo fuoco di legna e il suo barbecue: esempio
caratteristico - sono i magnati della benzina, i liquidatori storici del fuoco di legna e di tutto il suo valore simbolico,
a riproporvelo come neo-fuoco di legna Esso. Quel che viene consumato qui il piacere simultaneo, misto, complice,
dell'automobile e dei prestigi defunti di tutto quel di cui l'automobile significa la morte - e tutto questo resuscitato
proprio dall'automobile! Non bisogna vedere in ci una semplice nostalgia del passato: attraverso questo livello
vissuto , la definizione storica e strutturale del consumo esaltare i segni sulla base di una negazione delle cose e
del reale.
Abbiamo visto come l'ipocrisia patetica del diverso , attraverso le comunicazioni di massa, esalti con tutti i segni
della catastrofe (morti, omicidi, stupri, rivoluzioni) la quiete della vita quotidiana. Ma questa ridondanza patetica dei
segni leggibile ovunque: esaltazione dei giovanissimi e dei vecchissimi, emozione da prima pagina per i matrimoni
di sangue blu, inno dei mass-media al corpo e alla sessualit - ovunque si assiste alla disgregazione storica di certe
strutture che festeggiano in qualche modo, sotto il segno del consumo, sia la loro scomparsa reale che la loro
resurrezione caricaturale. La famiglia si dissolve? La si esalta. I bambini non sono pi bambini? Si sacralizza
l'infanzia. I vecchi sono soli, fuori gioco? Ci si commuove collettivamente sulla vecchiaia. E ancora pi chiaramente si
magnifica il corpo nella misura stessa in cui le sue reali possibilit si atrofizzano e in cui sempre pi braccato dal
sistema di controllo e dalle costrizioni urbane, professionali, burocratiche.

Il riciclaggio culturale
Una delle dimensioni caratteristiche della nostra societ in materia di sapere professionale, di qualificazione sociale,
di traiettoria individuale il riciclaggio. Esso implica per ognuno, a patto di non voler essere relegato, distanziato,
squalificato, la necessit di riaggiornare le proprie conoscenze, il proprio sapere, in una parola il proprio bagaglio
operazionale sul mercato del lavoro. Questa nozione riguarda attualmente particolarmente i quadri tecnici, e da un
po' di tempo anche gli insegnanti. Essa vuole essere dunque scientifica e fondata sul continuo progresso delle
conoscenze (nelle scienze esatte, nella tecnica, nella tecnica di vendita, nella pedagogia, ecc.), a cui si dovrebbero
normalmente adeguare gli individui, per rimanere al passo . In effetti il termine riciclaggio pu ispirare qualche
riflessione: esso evoca irresistibilmente il ciclo della moda: anche l ognuno deve essere sempre al corrente e
riciclarsi annualmente, mensilmente, stagionalmente, nei suoi vestiti, nei suoi oggetti, nella sua auto. Se non lo fa non
un vero cittadino della societ dei consumi. Ora in questo caso evidente che non si tratta di un progresso
continuo: la moda arbitraria, mutevole, ciclica e non aggiunge nulla alle qualit intrinseche dell'individuo. Essa ha
tuttavia un carattere profondamente costrittivo e per sanzione la riuscita o la relegazione sociale. Ci si pu chiedere se
il riciclaggio delle conoscenze , sotto l'apparente scientificit, non nasconda lo stesso tipo di riconversione
accelerata, obbligata, arbitraria della moda e non faccia entrare in gioco al livello del sapere e della persona la stessa
obsolescenza comandata che il ciclo della produzione e della moda impone agli oggetti materiali. In questo caso
avremmo a che fare non con un processo razionale di accumulazione scientifica, ma con un processo sociale, non
razionale, di consumo, solidale con tutti gli altri.
Riciclaggio medico: il check up. Riciclaggio corporale, muscolare, fisiologico: il President per gli uomini; le diete, le
cure di bellezza per le donne; le vacanze per tutti. Ma si pu applicare (si deve applicare) questa nozione a dei
fenomeni pi vasti: la riscoperta stessa del corpo un riciclaggio corporale, la riscoperta della natura (sotto la
forma di campagna ridotta a stato di incantesimo , inquadrata dappertutto in immensi tessuti urbani, spezzettata e
servita in camera sotto la forma di spazi verdi, di riserve naturali per decorare la seconda casa) in effetti un
riciclaggio della natura. Vale a dire non pi una presenza originale, specifica, in opposizione simbolica colla cultura,
ma un modello di simulazione, un concentrato di segni di natura rimessi in circolazione, in breve una natura
riciclata. Se non si ancora giunti a questo punto, questa rimane pur sempre la tendenza attuale. Che lo si chiami
vincolo, lottizzazione o ambiente si tratta pur sempre di riciclare una natura condannata nella sua esistenza propria.
La natura come l'avvenimento, come il sapere regolata in questo sistema per mezzo del principio d'attualit. Essa
deve mutare funzionalmente come la moda. Essa ha valore d'ambiente, dunque sottomessa al ciclo del
rinnovamento. lo stesso principio che al giorno d'oggi invade il campo professionale, dove i valori di scienza, di
tecnica, di qualificazione e di competenza cedono il posto al riciclaggio, vale a dire alle costrizioni della mobilit, dello
status, del profilo della carriera 1.
Questo principio organizzativo regola oggi tutta la cultura di massa . Quello a cui hanno diritto tutti gli acculturati (e
al limite neppure i colti vi sfuggono o vi sfuggiranno) non la cultura Bens il riciclaggio culturale. Hanno diritto a
partecipare al colpo , a sapere quel che si fa , a riaggiornare, tutti i mesi, o tutti gli anni, la propria panoplia
culturale, a subire questa costrizione di breve ampiezza, perpetuamente mutevole al pari della moda, e che l'inverso
assoluto della cultura concepita come:
l. Patrimonio ereditario di opere, di pensieri, di tradizioni;
2. Dimensione continua di una riflessione teorica e critica - trascendenza critica e funzione simbolica.
Entrambe le proposizioni sono ugualmente negate dalla sottocultura ciclica, fatta di ingredienti e di segni culturali
obsolescenti, dall'attualit culturale, che va dall'arte cinetica alle enciclopedie a fascicoli settimanali - cultura riciclata.
Si constata quindi che il problema del consumo della cultura non legato propriamente parlando a contenuti culturali,
n a un pubblico culturale (l'eterno falso problema della divulgazione dell'arte e della cultura, di cui sono
vittima sia gli esponenti della cultura aristocratica che i campioni della cultura di massa). Quel che decisivo non
che solamente qualche migliaio o dei milioni di persone partecipino a tale opera, quel che decisivo che tale
opera, come l'automobile dell'anno, come la natura degli spazi verdi, sia condannata a non essere che un segno
effimero, in quanto prodotta, deliberatamente o no, in una dimensione, oggi universale, della produzione: la
dimensione del ciclo e del riciclaggio. La cultura non pi prodotta per durare. Essa si mantiene certamente come
istanza universale, come riferimento ideale, e questo tanto pi quanto perde il suo senso sostanziale (allo stesso
modo in cui non si mai esaltata tanto la natura come da quando la si ovunque distrutta), ma, nella sua realt, al
pari del suo modo di produzione, essa sottomessa alla stessa vocazione d'attualit dei beni materiali. E questo,
ancora una volta, non riguarda la diffusione industriale della cultura. Non c'entra nulla che Van Gogh sia esposto nei
grandi magazzini o che si vendano duecentomila copie di Kierkegaard. Quel che mette in gioco il senso dell'opera
che tutti i significati siano diventati ciclici, vale a dire che sia loro imposta attraverso lo stesso sistema di
comunicazione una modalit di successione, di alternanza, una modulazione combinata che quella stessa della
lunghezza delle gonne e delle trasmissioni televisive 2. cos che a partire di l, la cultura, come lo pseudoavvenimento nell' informazione , come lo pseudo-oggetto nella pubblicit, pu essere prodotta (essa lo
virtualmente) a partire dal medium stesso, a partire dal codice di riferimento. Si raggiunge qui la procedura logica dei
modelli di simulazione 3 o quella che si pu vedere all'opera nei gadgets che non sono altro che giochi sulla forma
e sulla tecnologia. Al limite non vi pi differenza tra la creativit culturale (nell'arte cinetica, ecc.) e quella
combinatoria ludico/tecnica. Non pi differenza tra la creazione di avanguardia e la cultura di massa .

Quest'ultima combina piuttosto dei contenuti (ideologici, sentimentali, morali, storici), dei temi stereotipati, mentre
l'altra combina delle forme e dei modi di espressione. Ma l'una e l'altra giocano innanzitutto su un codice, e su un
calcolo d'ampiezza e di ammortamento. del resto curioso vedere come, in letteratura, il sistema dei premi letterari,
correntemente biasimato per la sua decrepitezza accademica - in effetti stupido premiare un libro all'anno in
confronto all'universale - ha ritrovato una vitalit sorprendente adattandosi al ciclo funzionale della cultura moderna.
La loro regolarit, in altri tempi assurda, ridiviene compatibile col riciclaggio congiunturale, coll'attualit della moda
culturale. Un tempo segnalavano un libro alla posterit ed era grottesco; oggi segnalano un libro all'attualit ed
efficace. Hanno trovato la loro seconda vita.
Il Tirlipot e il Computer o la Minor Comune Cultura (MCC)
La meccanica del tirlipot: in linea di principio l'esplorazione attraverso domande della definizione del verbo (tirlipoter:
equivalente a coso , significante fluttuante a cui sostituire, per ricostruzione selettiva, il significante specifico).
Dunque in linea di principio, un apprendimento intellettuale. Ma in effetti ci si accorge che, salvo rare eccezioni, i
partecipanti si trovano nell'incapacit di porsi delle vere domande: interrogare, esplorare ed analizzare li impaccia.
Essi partono dalla risposta (cio dal verbo che hanno in testa) per dedurne la domanda, che in effetti non altro che il
porre in forma interrogativa la definizione del dizionario (esempio: vero che tirlipoter significa mettere fine a
qualche cosa? . Se l'animatore del gioco dice: S in un certo senso , o anche semplicemente forse... a che cosa
pensate? . Risposta automatica: Finire o terminare ). il processo stesso di chi si ingegna a fare lavoretti
domestici, che prova una vite dopo l'altra per vedere se l'apparecchio funziona, metodo esplorativo rudimentale
d'aggiustaggio per tentativi ed errori senza indagine razionale.
Il computer: stesso principio. Nessun apprendimento. Un mini-ordinatore vi pone delle domande e per ogni
domanda una scheda con cinque risposte alternative. Dovete scegliere la risposta giusta. Il tempo ha la sua
importanza: se rispondete istantaneamente otterrete il massimo punteggio; siete campioni . Non dunque un
tempo di riflessione, ma di reazione. Non sono i processi intellettuali che l'apparecchio mette in gioco bens i
meccanismi di reazione immediati. Non bisogna soppesare le risposte proposte, n deliberare; occorre vedere la
risposta giusta, registrarla come uno stimolo secondo lo schema ottico-motorio della cellula fotoelettrica. Sapere
significa vedere (cfr. il radar riesmaniano, che permette di aggirarsi in mezzo agli altri mantenendo e troncando il
contatto, selezionando immediatamente le relazioni positive e negative). Soprattutto non ci vuole assolutamente
riflessione analitica: essa penalizzata dal basso punteggio dovuto al tempo perduto.
Se non dunque una funzione d'apprendimento (sempre proposta dagli animatori del gioco e dagli ideologi dei massmedia), qual la funzione di questi giochi? Nel tirlipot chiaro che la partecipazione: il contenuto non ha alcuna
importanza. Per il partecipante il piacere di essere intervenuto per venti secondi nella trasmissione, sufficienti per far
passare la sua voce, mescolare la propria voce con quella del conduttore del gioco, trattenere quest'ultimo
impegnandolo in un breve dialogo con lui e, attraverso di lui, entrare in un magico .contatto con quella moltitudine
calda e anonima che il pubblico. chiaro che la maggior parte non del tutto delusa dal fallimento delle loro
risposte: essi hanno ottenuto ugualmente quello che volevano, cio una comunione - o piuttosto questa forma
moderna, tecnica e asettica di comunione che la comunicazione, il contatto . Quel che contraddistingue la
societ dei consumi, non in effetti la deplorata assenza di cerimonie: il gioco radiofonico cerimonia allo stesso
titolo in cui nelle societ primitive lo erano la messa e il sacrificio. Ma che la comunione cerimoniale qui non passa
attraverso il pane e il vino, che sarebbero la carne e il sangue, ma attraverso i mass-media (che non sono
semplicemente i messaggi, ma anche il dispositivo di emissione, la stazione di emissione, i posti riceventi e, ben
inteso, i produttori e il pubblico). In altre parole, la comunione non passa pi attraverso un supporto simbolico, bens
attraverso un supporto tecnico: l che diventa comunicazione.
Quel che viene condiviso allora non pi una cultura : il corpo vivente, la presenza attuale del gruppo (tutto quel
che faceva la funzione simbolica e metabolica della cerimonia e della festa) - non neppure un sapere nel senso
proprio del termine, uno strano corpus di segni e di riferimenti, di reminiscenze scolastiche e di segni intellettuali di
moda, tutto ci che si chiama cultura di massa e che si potrebbe chiamare MCC (Minor Comune Cultura), nel
senso dei minor comune denominatore in aritmetica - nel senso anche dello standard package che definisce la pi
piccola comune panoplia di oggetti che deve possedere il consumatore medio per poter accedere al titolo di cittadino
di questa societ dei consumi - cos la MCC definisce la minor comune panoplia di risposte giuste che l'individuo
medio tenuto a possedere per accedere al livello di cittadino culturale.
La comunicazione di massa esclude la cultura e il sapere. Non si tratta di far entrare in gioco degli autentici processi
simbolici o dialettici, in quanto ci significherebbe compromettere la partecipazione collettiva che il senso di queste
cerimonie - partecipazione che non pu realizzarsi se non per mezzo di una liturgia, un codice formale di segni
accuratamente svuotati di ogni contenuto di senso.
Si vede che il termine cultura carico di malintesi. Questo concentrato culturale, questo digest/repertorio di
domande/risposte codificate, questa MCC sta alla cultura come l'assicurazione sulla vita sta alla vita: essa fatta per
scongiurare i rischi e, sulla base della negazione di una cultura vivente, esaltare i segni ritualizzati della
culturalizzazione.
Nutrendosi di un meccanismo di risposte automatizzate questa MCC ha per contro molte affinit colla cultura
scolastica. Tutti questi giochi hanno d'altronde come molla l'archetipo dell'esame. E questo non un caso. L'esame
la forma vivente della promozione sociale. Ciascuno vuole superare gli esami, sia pur sotto una forma radiofonica

ibrida, perch al giorno d'oggi essere esaminato un elemento di prestigio. Vi dunque un processo d'integrazione
sociale potente nell'infinita moltiplicazione di questi giochi. Al limite si pu immaginare un'intera societ integrata a
questa giostra di mass-media, in quanto l'intera organizzazione sociale si basa sulla loro sanzione. Nella storia una
societ ha gi conosciuto un sistema totale di selezione e di organizzazione basato su esami: la Cina dei mandarini.
Ma quel sistema non riguardava che un'lite colta. Qui invece sarebbero masse intere mobilitate in un'incessante
lascia o raddoppia , in cui ciascuno si conquisterebbe o metterebbe in gioco il proprio destino sociale. In tal caso si
attuerebbe l'economia degli ingranaggi arcaici del controllo sociale, infatti il miglior sistema di integrazione sempre
stato quello della competizione ritualizzata. Non siamo a questo punto. Per il momento constatiamo la fortissima
aspirazione alla situazione di esame - duplice, poich ciascuno pu esservi esaminato, ma anche vi si integra come
esaminatore, come giudice (in quanto piccola parte dell'istanza collettiva chiamata pubblico). Sdoppiamento da sogno,
propriamente da fantasma; essere sia l'uno che l'altro. Ma anche operazione tattica di integrazione per delega del
potere. Quel che definisce la comunicazione di massa dunque la combinazione del supporto tecnico e della MCC (e
non l'effettivo della massa partecipante). Il computer anch'esso mass-medium, anche se il gioco sembra
individualizzato. In questa macchina a gettoni in cui la destrezza intellettuale si illumina di punti luminosi e di segnali
sonori ammirabile sintesi del sapere coll'elettrodomestico - ancora l'istanza collettiva che vi programma. Il medium
computer non che la materializzazione tecnica del medium collettivo, di quel sistema di segnali minimi comuni
culturali che prescrive la partecipazione di tutti a ciascuno e di ciascuno a se stesso.
Ancora una volta inutile e assurdo porre a confronto la cultura erudita colla cultura dei mass-media. L'una ha una
sintassi complessa, l'altra una combinazione di elementi che pu sempre dissociarsi in termini di stimolo/reazione, di
domanda/risposta. Quest'ultima trova cos la sua illustrazione pi viva nel gioco radiofonico; ma questo schema
regola, ben al di l di questo spettacolo rituale, il comportamento del consumatore in ciascuno dei suoi atti, nella sua
condotta generalizzata, che si organizza come una successione di risposte a degli stimoli variati. Gusti, preferenze,
bisogni, decisioni: in materia di oggetti come di relazioni, il consumatore perpetuamente sollecitato, pressato e
invitato a rispondere. L'acquisto in questo contesto assimilabile al gioco radiofonico: attualmente meno un atto
originale dell'individuo in vista della concreta soddisfazione di un bisogno, di quanto non sia anzitutto una risposta a
una domanda - risposta che impegna l'individuo nel rituale collettivo del consumo. un gioco nella misura in cui
ciascun oggetto sempre offerto secondo una gamma di varianti, tra le quali l'individuo costretto a scegliere - l'atto
di acquisto la scelta, la determinazione di una preferenza - esattamente come tra le diverse risposte proposte dal
computer - in questo che il consumatore gioca, rispondendo a una domanda che non mai quella diretta,
fondata sulla utilit dell'oggetto, ma quella indiretta basata sul gioco delle varianti degli oggetti. Questo gioco e
la scelta che lo sanziona caratterizzano il compratore/consumatore in contrapposizione agli utenti tradizionali.
I Minimi Comuni Multipli (MCM)
La MCC (la Minima Comune Cultura) delle trasmissioni, radiofoniche o delle riviste pi diffuse ha anche attualmente
una filiale artistica. la moltiplicazione delle opere d'arte, di cui la Bibbia (essa stessa moltiplicata e data in pasto alla
folla sotto la forma di fascicoli settimanali) offre il prototipo miracoloso nella celebre moltiplicazione dei pani e dei
pesci nei pressi del lago di Tiberiade.
Un gran vento democratico ha soffiato sulla Gerusalemme celeste della cultura e dell'arte. L'arte contemporanea
da Rauschenberg a Picasso, da Vasarely a Chagall e ai pi giovani, fa la sua vernissage ai magazzini Printemps (
vero, all'ultimo piano, per non compromettere il reparto Decorazione del secondo piano, coi suoi porti di mare e i
suoi soli al tramonto). L'opera d'arte sfugge alla solitudine dove la si era relegata per secoli, come oggetto unico e
momento privilegiato. I musei, come noto, erano ancora dei santuari. Ma ormai la massa subentrata al possessore
solitario e all'ammiratore illuminato. E non solamente la riproduzione industriale a fare la delizia della massa.
l'opera d'arte contemporaneamente insieme unica e collettiva: il Multiplo. Felice iniziativa: Jacques Putman ha
appena impresso sotto l'egida dei magazzini Prisunic, una collezione di stampe originali a un prezzo molto accessibile
(100 franchi)... Nessuno trova pi anormale acquistare una litografia o un'acquaforte nello stesso tempo in cui
compera un paio di calze o una sedia da giardino. La seconda "Collezione Prisunic" ha appena terminato di essere
esposta alla galleria L'Oeil ed ormai in vendita presso i propri magazzini. Non una vendita promozionale, n una
rivoluzione (!). La moltiplicazione dell'immagine risponde fatalmente alla moltiplicazione del pubblico che fatalmente (!)
determina dei luoghi di incontro con quest'immagine. La ricerca sperimentale non ha pi come esito la schiavit della
potenza e del denaro: l'amatore benefattore cede il posto al cliente partecipante... Ciascuna stampa, numerata e
firmata, ha una tiratura di 300 copie... Vittoria della societ dei consumi? Forse. Ma che importa visto che la qualit
salva?... Quelli che oggi non vogliono comprendere l'arte contemporanea sono coloro che si sono intestarditi a non
volerlo fare .
finita l'arte speculazione fondata sulla rarit del prodotto. Con il multiplo illimitato l'arte penetra nell'epoca
industriale (per si scopre che questi multipli, essendo tuttavia limitati nella loro tiratura, ridivengono un po'
dappertutto oggetto di un mercato nero e di una speculazione parallela; scaltra ingenuit dei produttori e degli
ideatori!). L'opera d'arte in salumeria, la tela astratta in fabbrica... Non dite pi: l'arte che cos'? Non dite pi, l'arte
troppo cara... Non dite pi: l'arte non fa per me: Leggete Le Muse .
Sarebbe troppo facile dire che una tela di Picasso in fabbrica non abolir mai la divisione di lavoro, e che mai la
moltiplicazione dei multipli, foss'anche completamente realizzata, non abolir la divisione sociale e la trascendenza
della cultura. L'illusione degli ideologi del multiplo (non parliamo degli speculatori coscienti o incoscient che, artisti o

trafficanti, sono di gran lunga i pi numerosi in tale affare) e pi in generale della diffusione o della promozione
culturale, tuttavia istruttiva. Il loro nobile sforzo per democratizzare la cultura, o presso i designers di creare degli
oggetti per il pi gran numero possibile di persone destinato visibilmente a fallire, o, ci che conduce allo stesso
punto, a una tale riuscita commerciale da diventare sospetto. Ma questa contraddizione non che apparente: essa
sussiste perch queste anime belle si ostinano a prendere la cultura per un universale, volendola tutta elargire sotto
la forma di oggetti finiti (siano essi unici o moltiplicabili per mille). Essi non fanno che dare alla logica del consumo
(vale a dire alla manipolazione dei segni) certi contenuti o certe attivit simboliche che fino ad ora non vi erano
comprese. Moltiplicare l'opera non implica in s alcuna volgarizzazione n perdita di qualit : quel che avviene
che le opere cos moltiplicate divengono effettivamente, in quanto oggetti in serie, omogenei al pari delle calze e
delle sedie da giardino e assumono il loro senso in rapporto a queste. Esse non si oppongono pi in quanto opere e
sostanza di senso, in quanto significazione aperta, agli altri oggetti finiti, esse sono diventate esse stesse oggetti finiti,
e rientrano nella panoplia, la costellazione di accessori per cui si definisce lo standing socio culturale del cittadino
medio. Questo nel migliore dei casi, in cui l'accesso fosse effettivamente aperto a tutti. Per il momento pur cessando
di essere opere, queste pseudo-opere restano ancora degli oggetti rari, economicamente o psicologicamente
inaccessibili alla maggioranza, e alimentanti di nuovo, come oggetti distintivi, un mercato parallelo un poco allargato
della cultura.
forse pi interessante - ma lo stesso problema vedere che cos' consumato nelle enciclopedie a fascicoli
settimanali: La Bibbia , Le Muse , Il milone , nelle edizioni musicali e artistiche a grande tiratura, I maestri
del colore , I grandi musicisti . Si sa che il pubblico interessato qui virtualmente assai vasto: e cio tutti gli strati
medi scolarizzati (o i cui figli sono scolarizzati) a livello secondario o tecnico, impiegati, quadri piccoli e medi.
Occorre aggiungere a queste grandi pubblicazioni recenti quelle che, da Science et Vie a Historia , ecc.,
alimentano da lungo tempo la domanda culturale delle classi promuovibili . Che cosa cercano in questa
frequentazione della scienza, della storia, della musica, del sapere enciclopedico? Vale a dire delle discipline istituite,
legittimate, il cui contenuto, a differenza di quello diffuso dai mass-media, ha un valore specifico? Cercano un
apprendimento, una reale formazione culturale, o un segno di promozione? Cercano nella cultura un esercizio o un
bene di appropriazione, un sapere o uno status? Ritroviamo qui un effetto di panoplia che, come abbiamo visto
designa - come segno tra i segni - l'oggetto di consumo?
Nel caso di Science et Vie (ci riferiamo qui a un'inchiesta sui lettori di questa rivista analizzata dal Centro di
sociologia europeo), la domanda ambigua: vi l'aspirazione camuffata, clandestina, alla cultura classica
attraverso l'accesso alla cultura tecnica. La lettura di Science et Vie il risultato di un compromesso: aspirazione
alla cultura privilegiata, ma con contro-motivazione difensiva, sotto forma di rifiuto del privilegio (vale a dire nello
stesso tempo: aspirazione alla classe superiore, e riaffermazione della posizione di classe). Pi precisamente questa
lettura gioca come segno d'adesione. A che cosa? Alla comunit astratta, al collettivo virtuale di tutti coloro che
animano la stessa esigenza ambigua, di tutti coloro che leggono anche loro Science et Vie (o Le Muse , ecc.).
Atto testimone di ordine mitologico: il lettore immagina un gruppo di cui consuma in astratto la presenza attraverso la
sua lettura: relazione irreale, massiva, che propriamente l'effetto della comunicazione di massa . Complicit
indifferenziata, che fa tuttavia la sostanza profondamente vissuta di questa lettura - valore di riconoscimento, di
adesione, di partecipazione mitica (si pu del resto riscontrare lo stesso processo tra i lettori del Nouvel Observateur
: leggerlo significa affiliarsi ai lettori di questo giornale, significa servirsi di un'attivit culturale come emblema di
classe).
Certo la maggior parte dei lettori (sarebbe meglio dire degli adepti ) di queste pubblicazioni a grande tiratura,
veicoli di una sottocultura, pretendono, e in buona fede, di applicarsi ai contenuti stessi e di mirare a un sapere. Ma
questo valore d'uso culturale, questa finalit oggettiva largamente posta in secondo piano dal valore di
scambio sociologico. a questa domanda ancorata a una sempre pi viva competizione di status, che risponde
l'immenso materiale culturizzato delle riviste, delle enciclopedie, delle collane tascabili.. Tutta questa sostanza
culturale consumata nella misura in cui il suo contenuto non alimenta una pratica autonoma, ma una retorica
della mobilit sociale, una domanda che mira ad un oggetto diverso dalla cultura,o piuttosto non mira a questa che
come elemento codificato dello status sociale. Vi dunque un ribaltamento, e il contenuto propriamente culturale non
appare qui che come connotazione, che come funzione secondaria. Diciamo allora che consumato allo stesso modo
in cui anche la lavatrice oggetto di consumo, dal momento in cui essa non pi utensile, ma elemento di confort e di
prestigio. Sappiamo allora che essa non ha pi presenza specifica e che molti altri soggetti le possono essere
sostituiti - e tra gli altri precisamente la cultura. La cultura diviene oggetto di consumo nella misura in cui,
indirizzandosi verso un altro discorso, diviene sostituibile e omogenea (sebbene gerarchicamente superiore) ad altri
oggetti. E questo non vale solamente per Science et Vie , ma anche per l' alta cultura, la grande pittura, la
musica classica, ecc... Tutto ci pu essere venduto assieme al drugstore o nelle maisons de la presse. Ma non ,
propriamente parlando, una questione di luoghi di vendita, n di volume della tiratura, n di livello culturale del
pubblico. Se tutto questo si vende, e dunque si consuma insieme, vuol dire che la cultura sottomessa alla stessa
domanda concorrenziale di segni di qualsiasi altra categoria di oggetti, e che essa prodotta in funzione di questa
domanda.
In questo momento essa cade sotto la stessa modalit di appropriazione degli altri messaggi, oggetti, immagini che
compongono l' ambiente della nostra vita quotidiana: sotto la modalit della curiosit - che non forzatamente
quella della leggerezza della disinvoltura, pu essere una curiosit appassionata in particolare nelle categorie in via
di acculturazione - ma che suppone la successione, il ciclo, la costrizione del rinnovamento della moda, e sostituisce

cos alla pratica esclusiva della cultura come sistema simbolico di significati una pratica ludica e combinatoria della
cultura come sistema di segni. Beethoven, formidabile!
Al limite ci a cui sono soggetti gli individui per mezzo di questa cultura - che esclude sia l'autodidatta, eroe marginale
della cultura tradizionale, che l'uomo colto, profumato fiore umanistico in via di estinzione - e il riciclaggio culturale,
un riciclaggio estetico che uno degli elementi della personalizzazione generalizzata dell'individuo, dello
sfruttamento culturale in una societ concorrenziale, e che equivale, salvo restando tutte le proporzioni, allo
sfruttamento dell'oggetto per mezzo del condizionamento. L'estetica industriale - il design - non ha altro scopo che
dare agli oggetti industriali, duramente toccati dalla divisione del lavoro e marcati dalla loro funzione, questa
omogeneit estetica , questa unit formale o questo lato ludico che li relegher tutti in una specie di funzione
seconda della situazione , dell' ambiente . Cos fanno i designers culturali al giorno d'oggi all'opera ovunque:
essi cercano in una societ in cui gli individui sono duramente segnati dalla divisione del lavoro e dal loro compito
parcellare, di ridisegnarli mediante la cultura ., di integrarli sotto una stessa apparenza formale, di facilitare gli
scambi sotto il segno della promozione culturale, di mettere la gente nell' ambiente in modo analogo a quello che il
design attua per gli oggetti. Non bisogna del resto perdere di vista che questo condizionamento, questo riciclaggio
culturale, al pari della bellezza che l'estetica industriale fornisce agli oggetti, incontestabilmente un argomento
di mercato come dice Jacque Michel. un fatto oggi assodato che un ambiente piacevole, dovuto all'armonia
delle forme e dei colori, e, certo, alla qualit dei materiali (!), esercita un benefico influsso sulla produttivit 4. Ed
vero: gli uomini acculturati come gli oggetti disegnati sono socialmente meglio integrati e professionalmente meglio
sincronizzati , pi compatibili . Il funzionalismo della relazione umana trova nella promozione culturale uno dei
suoi terreni preferiti l'human design si congiunge qui colla human engineering.
Occorrerebbe possedere un termine che stia alla cultura nella stessa relazione in cui l' estetica (intesa nel senso di
estetica industriale, di razionalizzazione funzionale delle forme, di gioco di segni) sta alla bellezza come sistema
simbolico. Non abbiamo il termine per designare questa sostanza funzionalizzata di messaggi, di testi, di immagini, di
capolavori classici o di striscie disegnate, questa creativit e recettivit codificate che hanno rimpiazzato
l'ispirazione e la sensibilit. questo lavoro collettivo rivolto ai significati e alla comunicazione. questa culturalit
industriale che bazzica alla rinfusa con tutte le culture di tutte le epoche, e che continuano, per mancanza di termine
migliore, a chiamare cultura , a prezzo di tanti malintesi e sognando sempre, nell'iperfunzionalismo della cultura
consumata, l'universale, i miti in grado di decifrare la nostra epoca senza essere gi delle superproduzioni
mitologiche, un'arte capace di decifrare la modernit senza annullarvisi.
Il kitsch
Una delle categorie pi importanti dell'oggetto moderno, oltre al gadget, il kitsch. L'oggetto-kitsch comunemente
tutta quella massa di oggetti senza gusto , in stucco, fasulli, di accessori, di ninnoli folkloristici, di souvenir, di
abat-jour o di maschere negre, tutto il museo di paccottiglia che prolifera dappertutto, con una preferenza per i luoghi
di vacanza e di divertimento. Il kitsch l'equivalente del clich nel discorso. E questo deve farci comprendere che,
proprio al pari del gadget, si tratta di una categoria, difficilmente definibile, ma che non bisogna confondere con tale o
tal'altro oggetto reale. Il kitsch pu essere dappertutto, nel dettaglio di un oggetto come nel piano di un grande
complesso, nel fiore artificiale come nel fotoromanzo. Si definir di preferenza come pseudo-oggetto, vale a dire come
simulazione, copia, oggetto artificiale, stereotipo, come povert di significato reale e sovrabbondanza di segni, di
riferimenti allegorici, di connotazioni disparate, come esaltazione del dettaglio e saturazione per mezzo dei dettagli. Vi
del resto una stretta relazione tra la sua organizzazione interna (sovrabbondanza inarticolata di segni) e la sua
comparsa sul mercato (proliferazione di oggetti disparati, affastellamento di serie). Il kitsch una categoria culturale.
Questa proliferazione del kitsch, che risulta dalla moltiplicazione industriale, dalla volgarizzazione, al livello degli
oggetti, dei segni distintivi chiesti a prestito a tutti i registri (il passato, il neo, l'esotico, il folkloristico, il futurista) e da un
rilancio disordinato di segni bell'e fatti, ha il suo fondamento, al pari della cultura di massa, nella realt sociologica
della societ dei consumi. Questa una societ mobile: larghi strati di popolazione procedono lungo la scala sociale,
accedono a uno status superiore e nello stesso tempo alla domanda culturale, che non altro se non la necessit di
manifestare questo status attraverso dei segni. A tutti i livelli della societ, la generazione dei parvenus vogliono la
loro panoplia. Inutile dunque accusare la volgarit del pubblico, o la tattica cinica degli industriali che vogliono
piazzare la loro paccottiglia. Per quanto questo aspetto sia importante esso non capace di spiegare la crescita
cancerosa del parco degli pseudo-oggetti . Occorre per questo una domanda, e questa domanda funzione della
mobilit sociale. In questo senso non c' kitsch senza mobilit sociale: un parco limitato di oggetti di lusso sufficiente
come materiale distintivo di una casta privilegiata. Persino la copia di un'opera d'arte ha ancora un valore autentico
all'epoca classica. Per contro sono le grandi epoche della mobilit sociale che vedono fiorire l'oggetto sotto altre
specie: la borghesia in ascesa del Rinascimento e del XVII secolo che fa emergere la ricercatezza e il Barocco che,
pur non essendo gli antenati del kitsch, testimoniano gi l'esplosione e l'escrescenza del materiale distintivo in una
congiuntura di pressione sociale e di relativa mescolanza delle classi superiori. Ma soprattutto con Luigi Filippo e, in
Germania, coi Grnderjahre (1870-1890), e, in tutte le societ occidentali, dalla fine del XIX secolo e dall'era dei
Grandi Magazzini , che l'universale chincaglieria diventata una delle manifestazioni maggiori dell'oggetto e uno dei
settori pi fecondi del commercio. Quest'era senza fine perch le nostre societ sono, questa volta, virtualmente in
fase di mobilit continua.
Il kitsch rivalorizza evidentemente l'oggetto raro, prezioso, unico (la cui produzione pu diventare anch'essa

industriale). Il kitsch e l'oggetto autentico organizzavano cos da soli il mondo dei consumo, secondo la logica di
un materiale distintivo oggi sempre in movimento e in espansione. Il kitsch ha un povero valore distintivo. ma questo
scarso valore legato a un rendimento statistico massimo: classi intere se lo accaparrano. A questo si oppone la
qualit distintiva massima degli oggetti rari, legata al loro corpus limitato. Non si tratta qui di bellezza : si tratta di
distintivit, e questa una funzione sociologica. In questo senso tutti gli oggetti si classificano, secondo la loro
disponibilit statistica, il loro corpus pi o meno limitato, gerarchicamente come valori. Questa funzione definisce in
ciascun istante, per tale stato della struttura sociale, la possibilit per una certa categoria sociale di distinguersi, di
denotare il proprio status per mezzo di una certa categoria di oggetti o di segni. L'accesso di strati pi numerosi a una
certa categoria di segni obbliga le classi superiori a distanziarsi attraverso altri segni ristretti di numero (sia a motivo
della loro origine, come per i dipinti o gli oggetti antichi autentici, sia perch sistematicamente limitati, come le edizioni
di lusso e le fuoriserie ). In questa logica della destinazione il kitsch non si rinnova mai: esso si definisce per il suo
valore derivato e povero. Questa valenza debole a sua volta una delle ragioni della sua, illimitata moltiplicazione. Si
moltiplica in estensione, mentre, al vertice della scala, gli oggetti di classe si demoltiplicano in qualit e si
rinnovano rarefacendosi.
Questa funzione derivata anche in questo caso legata alla sua funzione estetica o antiestetica. All'estetica della
bellezza e della originalit, il kitsch oppone la sua estetica della simulazione: dovunque esso riproduce gli oggetti pi
piccoli o pi grandi dei naturale, imita i materiali (stucco, plastica, ecc.), scimmiotta le forme o le combina in modi
disparati, ripete la moda senza averla la vissuta. In tutto ci omologo al gadget sul piano tecnico: il gadget
anch'esso una parodia tecnologica, questa escrescenza delle funzioni inutili, questa simulazione continua della
funzione senza alcun reale riferimento pratico. Questa estetica della simulazione profondamente legata alla
funzione socialmente assegnata al kitsch di tradurre l'aspirazione, l'anticipazione sociale di classe, l'affiliazione
magica una cultura, alle forme, ai costumi e ai segni della classe superiore 5, un'estetica dell'acculturazione che si
manifesta in una sottocultura dell'oggetto.
Il gadget e il ludico
La macchina fu, l'emblema della societ industriale. II gadget l'emblema della societ post-industriale. Non ci sono
rigorose definizioni del gadget. Ma se si ammette di definire l'oggetto di consumo attraverso la relativa scomparsa
della sua funzione oggettiva (utensile) a vantaggio della sua funzione di segno, se si ammette che l'oggetto di
consumo si caratterizza per una specie di inutilit funzionale (quel che si consuma precisamente qualcosa di diverso
dall' utile ), allora il gadget proprio la verit dell'oggetto nella societ dei consumi. E a questo titolo tutto pu
diventare gadget e tutto lo potenzialmente. Quel che definirebbe il gadget sarebbe la sua inutilit potenziale e il suo
valore combinatorio ludico6. Gadgets sono sia i simboli, che hanno avuto il loro momento di gloria, sia Venusik ,
cilindro di metallo liscio, perfettamente puro e inutile (se non come ferma carte, ma questa precisamente la
funzione a cui si destinano tutti gli oggetti che non servono a nulla!). Amatori della bellezza formale e dell'inutilit
potenziale, il famoso Venusik arrivato .
Ma anche - dove inizia infatti l'inutilit oggettiva? - quella macchina da scrivere che pu scrivere in tredici caratteri
diversi a seconda che scriviate al vostro banchiere, al vostro notaio, a un cliente molto importante o a un vecchio
amico. il gioiello esotico di poco prezzo, ma anche il block-notes IBM: Immaginate un piccolo apparecchio di 12
cm. per 15, che vi accompagna dappertutto, in viaggio, in ufficio, durante il week-end. Lo prendete in una sola mano,
un colpo di pollice e gli bisbigliate le vostre decisioni, gli dettate le vostre direttive, gli proclamate le vostre vittorie.
Tutto quello che dite consegnato nella sua memoria... Siate a Roma a Tokyo a New York, il vostro segretario non
perder una sola sillaba... . Nulla di pi utile, nulla di pi inutile: l'oggetto tecnico stesso diviene gadget, allorch la
tecnica ridotta a una pratica mentale di tipo magico o a una pratica sociale di moda.
In un'automobile le cromature, i tergicristalli a due velocit, i vetri comandati elettricamente sono tutti gadgets? S e
no, essi hanno una qualche utilit riguardo al prestigio sociale. La connotazione sprezzante che entra nel termine
deriva semplicemente da una prospettiva morale sull'utilit degli oggetti: alcuni sarebbero ritenuti servire a qualcosa,
altri a nulla. In funzione di quali criteri? Non vi oggetto, persino il pi marginale e decorativo, che non serva a
qualcosa, non foss'altro che perch non serve a niente e ridiviene cos segno distintivo 7. E inversamente ogni oggetto
per qualche rispetto inutile (vale a dire serve a qualcosa di differente dalla sua destinazione). Non se ne uscir a
meno di non definire come gadget ci che esplicitamente votato a delle funzioni secondarie. Cos non solo le
cromature, ma anche il posto di guida e l'intera automobile sono gadgets se entrano nella logica della moda e del
prestigio o in una logica feticista. E la sistematica degli oggetti li spinge, attualmente tutti in questa direzione.
L'universo dello pseudo-ambiente, dello pseudo-oggetto, fa la delizia di tutti i creatori funzionali . Lo testimonia
Andr Faye tecnico dell'arte del vivere , che costruisce mobili Luigi XVI dove dietro a uno sportello in stile, si
scopre la superficie levigata e brillante di un giradischi, o gli amplificatori di un apparecchio ad Hi-Fi... I suoi oggetti
si muovono come i mobili di Calder: essi servono a concepire degli oggetti utili, e sono delle vere opere d'arte, la cui
messa in movimento coordinata con le proiezioni cromofoniche delineeranno sempre pi da vicino lo spettacolo totale
a cui egli aspira... Mobili cibernetici, bureau a orientamento e a geometria variabile, telescrivente calligrafica...
Telefono divenuto infine parte integrante dell'uomo e che gli permette di chiamare New York o di rispondere a
Honolulu dai bordi di una piscina o dal fondo di un parco . Tutto questo per Faye rappresenta un asservimento
della tecnica all'arte di vivere . E tutto questo evoca irresistibilmente il concorso Lpine. Tra il bureau videofono e il
sistema di riscaldamento ad acqua fredda immaginato da un illustre inventore quale differenza c'? Una differenza

tuttavia c'. Ed che la vecchia buona trovata artigianale era un'escrescenza curiosa, la poesia un po' delirante di una
tecnica eroica. Il gadget invece fa parte di una logica sistematica che coglie tutta la quotidianit sotto la modalit dello
spettacolo e, per contraccolpo, rende sospetto di artificialit, di trucco e di inutilit tutto l'ambiente degli oggetti e, per
estensione, tutto l'ambiente delle relazioni umane e sociali. Nella sua accezione pi larga il gadget tenta di superare
questa crisi generalizzata della finalit e dell'utilit rifacendosi alla modalit ludica. Ma non raggiunge, n pu
raggiungere, la libert simbolica che per il bambino ha il giocattolo. Esso povero, un effetto di moda, una sorte di
acceleratore artificiale degli oggetti, preso in un circuito dove l'utile e il simbolico si risolvono in una sorta di inutilit
combinatoria, come in quegli spettacoli ottici totali , in cui la festa stessa gadget, vale a dire pseudo-avvenimento
sociale - un gioco senza giocatori. La risonanza peggiorativa che il termine ha preso oggi ( Tutto ci non altro che
gadget ) riflette senza dubbio, nello stesso tempo un giudizio morale e l'angoscia che provoca la scomparsa
generalizzata del valore d'uso e della funzione simbolica.
Ma vero anche l'inverso. Vale a dire che al new look combinatorio del gadget si pu apporre - e questo per qualsiasi
oggetto, fosse esso stesso gadget - l'esaltazione della novit. La novit in qualche modo il periodo sublime
dell'oggetto e in certi casi pu raggiungere l'intensit, se non la qualit, dell'emozione amorosa. Questo stadio quello
di un discorso simbolico in cui non gioca n la moda n il riferimento agli altri. su questa modalit di relazione
intensa che il bambino vive i suoi oggetti e i suoi giocattoli.. E pi tardi non uno charme minore quello di un'auto
nuova, di un libro nuovo, di un vestito nuovo o di un gadget che ci rituffa in un'infanzia assoluta. la logica inversa di
quella del consumo.
Il gadget si definisce in effetti per la pratica che se ne ha, che non n di tipo utilitaristico, n di tipo simbolico, bens
ludico. il ludico che regola sempre di pi i nostri rapporti cogli oggetti, colle persone, colla cultura, col tempo libero,
talvolta col lavoro e anche colla politica. il ludico a divenire, la tonalit dominante del nostro habitus quotidiano, nella
misura precisamente in cui qui tutto, oggetti, beni, relazioni, servizi, diviene gadget. Il ludico corrisponde a un tipo di
investimento molto particolare: non economico (oggetti inutili), non simbolico (l'oggetto-gadget non ha anima ),
esso consiste in un gioco di combinazioni, in una modulazione combinatoria - gioco sulle varianti o virtualit tecniche
dell'oggetto, gioco con le regole del gioco nell'innovazione, gioco colla vita e colla morte come combinazione ultima
nella distruzione. Qui i nostri gadgets domestici si ricongiungono colla macchina a gettoni, coi tirlipots, coi giochi
radiofonici culturali, col computer dei drugstores, col cruscotto dell'automobile, e con tutto l'assorbimento tecnico
serio , dal telefono al calcolatore, che costituisce l' ambiente moderno del lavoro - con tutto ci con cui noi
giochiamo, pi o meno consciamente, affascinati dal funzionamento, dalla scoperta infantile, dalla manipolazione,
dalla curiosit vaga o appassionata per il gioco dei meccanismi, il gioco dei colori, il gioco delle varianti: l'anima
stessa del gioco-passione, ma generalizzata e diffusa, e per ci stesso meno pregnante, privata del patetico e
ricaduta nella curiosit - qualcosa tra l'indifferenza e l'attrattiva e che si definirebbe per opposizione alla passione. La
passione si pu comprendere come relazione concreta con una persona totale, o con qualche oggetto assunto come
persona. Essa implica un investimento totale e assume un valore simbolico intenso; mentre la curiosit ludica non
che interesse - anche se violento - per il gioco degli elementi.
Si guardi al flipper: il giocatore si assorbe nel rumore, nelle scosse, nei lampeggiamenti della macchina. Gioca
coll'elettricit. Appoggiandosi sui bottoni ha coscienza di scatenare influsso e correnti attraverso un universo di fili
multicolori altrettanto complicato quanto un sistema nervoso. Vi nel suo gioco un effetto di partecipazione magica
alla scienza. Per convincersene basta guardare in un bar la folla raccolta che osserva l'operaio addetto alla
riparazione dal momento in cui scoperchia il flipper. Nessuno comprende quelle connessioni e quelle reti, ma tutti
accettano questo mondo strano come un dato primario e indiscutibile. Nulla di comune con il rapporto tra il cavaliere e
il suo cavallo, o tra l'operaio e il suo utensile, o tra l'appassionato e l'opera d'arte: qui il rapporto tra l'uomo e l'oggetto
propriamente magico, vale a dire incantato e manipolatorio.
Questa attivit ludica pu assumere l'andamento di una passione. Ma essa non mai una passione. Essa consumo,
qui manipolazione astratta di segni luminosi, di flipper, di cronassie elettriche; altrove manipolazione astratta di segni
di prestigio nelle varianti di moda. Il consumo investimento combinatorio: esclude dunque la passione.
La Pop: un'arte del consumo?
La logica del consumo, come abbiamo visto, si definisce come una manipolazione di segni. I valori simbolici di
creazione, la relazione simbolica d'interiorit sono assenti: essa tutta nell'esteriorit. L'oggetto perde la sua finalit
oggettiva, la sua funzione, esso diviene il termine di una combinatoria molto pi vasta, di un insieme di oggetti in cui il
suo valore di relazione. Peraltro perde il suo senso simbolico, il suo statuto antropomorfico millenario e tende ad
esaurirsi in un discorso di connotazioni, anch'esse relative le une alle altre nel quadro di un sistema culturale
totalitario, vale a dire capace di integrare tutti i significati quale che ne sia la provenienza.
Finora ci siamo basati sull'analisi degli oggetti quotidiani. Ma c' un altro discorso sull'oggetto, quello dell'arte. Una
storia dell'evoluzione dello statuto degli oggetti e della loro rappresentazione in arte e in letteratura sarebbe di per s
sola rivelatrice. Dopo aver ricoperto in tutta l'arte tradizionale il ruolo della comparsa simbolica e decorativa, l'oggetto
ha cessato nel XX secolo di ancorarsi ai valori morali, psicologici, esso ha cessato di vivere per procura all'ombra
dell'uomo e ha cominciato ad assumere un'importanza straordinaria come elemento autonomo di un'analisi dello
spazio (cubismo, ecc.). In tal modo gli oggetti sono esplosi fino all'astrazione. Avendo festeggiato la loro resurrezione
parodistica nel Dada e nel Surrealismo, distrutti e volatilizzati dall'Astratto, eccoli apertamente riconciliati colla loro

immagine nella Nuova Figurazione e nella Pop Art. qui che si pone il problema del loro status contemporaneo: esso
ci imposto del resto da questa repentina salita dagli oggetti allo znith della figurazione artistica.
In breve: la Pop Art la forma d'arte contemporanea di questa logica dei segni e del consumo di cui parliamo, oppure
non altro se non un effetto di moda, e dunque essa stessa un puro oggetto di consumo? Le alternative non sono
contraddittorie. Si pu ammettere che la Pop Art trasponga un mondo-oggetto pur approdando di per se stessa
(secondo la propria logica) a oggetti puri e semplici. La pubblicit partecipa alla stessa ambiguit.
Formuliamo la questione in altri termini: la logica del consumo elimina lo statuto sublime tradizionale della
rappresentazione artistica. A rigore non vi pi privilegio d'essenza o di significato dell'oggetto sull'immagine. L'uno
non pi la verit dell'altra: essi coesistono in ampiezza e nello stesso spazio logico in cui essi giocano
ugualmente come segni 8 (nella loro relazione differenziale, reversibile, combinatoria). Mentre tutta l'arte fino alla Pop
si fonda su una visione del mondo in profondit 9, la Pop vuole essere omogenea a quest'ordine immanente di
segni: omogenea alla loro produzione industriale e seriale, e dunque al carattere artificiale, fabbricato, di tutto
l'ambiente, omogenea alla saturazione in estensione allo stesso tempo che all'astrazione culturalizzata di questo
nuovo ordine di cose.
Riesce la Pop Art a rendere questa secolarizzazione sistematica degli oggetti, a rendere questo nuovo
ambiente segnaletico tutto in esteriorit - in modo tale da non far rimanere nulla della luce interiore che fece il
prestigio di tutta la pittura precedente? essa un'arte del non-sacro, vale a dire un'arte della pura manipolazione?
essa stessa un'arte non sacra, vale a dire non creatrice bens produttrice di oggetti?
Alcuni diranno (compresi gli stessi esponenti dell'arte Pop): le cose sono molto pi semplici; fanno questo perch ne
hanno voglia, in fondo essi si divertono, essi si guardano attorno, dipingono quello che vedono, un realismo
spontaneo, ecc. Tutto ci falso: la Pop significa la fine della prospettiva, la fine dell'evocazione, la fine della
testimonianza, la fine del creatore gestuale e, elemento non meno importante, la fine della sovversione del mondo e
della maledizione dell'arte. Essa mira non solamente all'immanenza del mondo civilizzato , ma anche alla sua
integrazione totale con questo mondo. Vi un'ambizione folle: quella di abolire i fasti (e i fondamenti) cultura, quella
della trascendenza. Vi forse anche molto semplicemente un'ideologia. Sbarazziamoci di due obiezioni: un'arte
americana - nel suo materiale di oggetti (ivi compresa l'ossessione delle stars and stripes, nella sua pratica
empiristica, pragmatistica, ottimistica, nell'infatuazione incontestabilmente sciovinista di certi mecenati e collezionisti
che vi si sono riconosciuti , ecc. Per quanto questa obiezione sia tendenziosa, rispondiamo oggettivamente: se
tutto questo l'americanit, i Pop secondo la loro propria logica, non possono che assumerla. Se gli oggetti fabbricati
parlano americano , perch essi non hanno altra verit che questa mitologia che li sommerge - e il solo processo
rigoroso di integrare questi discorsi mitologici e di integrarvisi. Se la societ dei consumi insabbiata nella propria
mitologia, se essa sprovvista di prospettiva critica su se stessa, e se giustamente l la sua definizione 10, non pu
esservi arte contemporanea se non compromessa, complice, nella sua esistenza stessa e nella sua pratica, con
questa evidenza opaca. Proprio per questo gli artisti Pop dipingono gli oggetti secondo la loro apparenza reale,
perch cos, come segni bell'e fatti, fresh from the assembly line , che questi funzionano mitologicamente. , per
questo che essi dipingono di preferenza le sigle, le marche, gli slogan impressi sugli oggetti e al limite possono
dipingere solo quelli (Robert Indiana). E ci non per gioco, n. per realismo : riconoscere l'evidenza della societ
di consumo, cio che la verit degli oggetti e dei prodotti la loro marca. Se l' americanit questa, allora l'
americanit la logica stessa della cultura contemporanea, n si pu accusare gli artisti Pop di metterla in
evidenza. Non pi di quanto si possa rimproverar loro il loro successo commerciale e il fatto di accettarlo senza
vergogna. Il peggio sarebbe maledire l'arte Pop reinvestendola cos di una funzione sacra. logico per un'arte che
non contraddice il mondo degli oggetti, ma ne esplora il sistema, rientrare essa stessa nel sistema. la fine
contemporanea di un'ipocrisia e di un illogicismo radicale. In opposizione alla pittura precedente (dalla fine del XIX
secolo in poi), la cui genialit e trascendenza non le impedivano di essere un oggetto firmato e commercializzato
appunto in funzione della firma (gli Espressionisti astratti hanno portato all'apice questa genialit trionfante e questo
vergognoso opportunismo), gli artisti Pop riconciliano l'oggetto della pittura e la pittura-oggetto. Coerenza o
paradosso? Mediante la sua predilezione per gli oggetti, attraverso questa figurazione indefinita di oggetti marcati
e di materia commestibile - come attraverso il suo successo commerciale - l'arte Pop la prima a esplorare il suo
proprio statuto di arte-oggetto firmato e consumato .
Tuttavia quest'impresa logica, che non si pu che approvare fino alle sue estreme conseguenze, per quanto queste
possano contravvenire alla nostra morale estetica tradizionale, si accompagna a un'ideologia in cui prossima a
soccombere. Ideologia della natura, del risveglio (wake up) e dell'autenticit, che evoca i momenti migliori della
spontaneit borghese.
Questo radical empiricism, incompromising positivism, antiteleologism (Mario Amaya, Pop as Art) riveste talora un
andamento pericolosamente iniziatico. Oldenburg: Vagavo un giorno per la citt in compagnia di Jimmy Dine. Per
caso passammo per Orchard Street - dai due lati un'infilata di piccoli negozi. Mi ricordo di aver avuto una visione del
"Negozio". Vidi in immaginazione un ambiente totale basato su questo tema. Mi sembrava di aver scoperto un mondo
nuovo. Mi misi a girare tra i negozi - dappertutto e di tutti i tipi come se fossero dei musei. Gli oggetti esposti nelle
vetrine e sui banchi mi parevano come delle preziose opere d'arte . Rosenquist: Allora improvvisamente mi pareva
che le idee affluissero verso di me dalla finestra. Tutto quello che avevo da fare era di coglierle al volo e di mettermi a
dipingere. Tutto prendeva spontaneamente il suo posto - l'idea, la composizione, le immagini, i colori, tutto si metteva
spontaneamente al lavoro . Come si vede sul tema dell' ispirazione gli artisti Pop non sono in nulla inferiori alle
generazioni precedenti. Ora, questo tema sottintende, dopo Werther, l'idealit di una natura a cui sufficiente rimaner

fedeli per essere veri. Occorre semplicemente risvegliarla, rivelarla. Si legge in uno scritto di John Cage, musicista e
teorico ispiratore di Rauschenberg e di Jasper Johns: L'arte dovrebbe essere un'affermazione della vita non un
tentativo di portare ad altro... ma semplicemente un modo di risvegliarsi alla vera vita che stiamo vivendo, che cos
eccellente una volta che si pongano in libert la propria mente e i propri desideri, e si lasci che essa agisca in accordo
con se stessa . Questo assenso a un ordine rivelato - l'universo delle immagini e degli oggetti fabbricati trasparendo
in fondo come una natura - sbocca in professioni di fede mistico-realistiche: Una bandiera era proprio una bandiera,
un numero era semplicemente un numero (Jasper Johns). O ancora John Cage: Dobbiamo metterci a scoprire un
significato che faccia s che i suoni siano se stessi . Affermazione che suppone un'essenza dell'oggetto, un livello di
realt assoluta che non mai quello dell'ambiente quotidiano e che costituisce in rapporto a quest'ultimo una
surrealt. Wesselmann parla cos della superrealt di una banale cucina.
In breve si in piena confusione, e ci si ritrova di fronte a una specie di behaviourismo fatto di una giustapposizione di
cose viste (qualcosa come un impressionismo della societ dei consumi) accompagnata da una vaga mistica zen o
buddista della rinuncia all'Io e al Superio per ritrovare l'Id del mondo circostante. In questo curioso miscuglio c' anche
dell'autenticit.
Ma c' soprattutto un grande equivoco e una grave incoerenza. Infatti non mostrando il mondo circostante per quello
che , vale a dire innanzi tutto un campo artificiale di segni manipolabili, un artefatto culturale totale in cui entrano in
gioco non la sensazione o la visione, ma la percezione differenziale e il gioco tattico dei significati - mostrandolo come
natura rivelata, come me essenza, l'arte Pop assume una duplice connotazione: innanzi tutto come ideologia di una
societ integrata (societ attuale = natura = societ ideale - ma abbiamo visto che questa collusione fa parte della
sua. Logica); d'altra parte essa restaura tutto il processo sacro dell'arte, annullando cos il suo obiettivo fondamentale.
La Pop vuole essere arte del banale ( anche per questo che si chiama arte popolare): ma che cos' il banale, se non
una, categoria metafisica, versione moderna della categoria del sublime? L'oggetto non banale se non nel suo uso,
nel momento in cui serve (il transistor in funzione in WesseImann). L'oggetto cessa di essere banale dal momento
in cui diviene significante: ora abbiamo visto che la verit dell'oggetto contemporaneo non pi servire a
qualcosa, ma di significare, non pi di essere manipolato come strumento, bens come segno. Ed la riuscita della
Pop, nel migliore dei casi, a mostrarcelo come tale.
Andy Warbol, il cui procedere il pi radicale, anche colui che riassume meglio la contraddizione teorica
dell'esercizio di questa pittura e le difficolt per questa di individuare il suo vero oggetto. Egli afferma: Il quadro un
oggetto assolutamente quotidiano, allo stesso titolo di una sedia o di questo manifesto (Sempre questa volont di
assorbimento e di riassorbimento dell'arte, in cui si ritrova sia il pragmatismo americano - terrorismo dell'utile, ricatto
dell'integrazione - che un'eco della mistica del sacrificio). Egli aggiunge: La realt non ha bisogno di intermediari,
occorre semplicemente isolarla dall'ambiente e portarla sulla tela . Ora tutto il problema qua: infatti la quotidianit di
questa sedia (o di questo hamburger, parafango d'automobile o volto di pin-up) propriamente il suo contesto, e
singolarmente il contesto seriale di tutte le sedie simili, o leggermente dissimili, ecc. La quotidianit la differenza
nella ripetizione. Isolando la sedia sulla tela le si toglie tutta la quotidianit e, allo stesso tempo, si toglie alla tela tutto
il carattere di oggetto quotidiano (per cui i essa doveva, secondo Warhol, rassomigliare assolutamente alla sedia).
Quest'impasse ben nota: l'arte non pu n assorbirsi nella quotidianit (tela = sedia) n pu cogliere la quotidianit
in quanto tale (sedia isolata sulla tela = sedia reale). Immanenza e trascendenza sono ugualmente impossibili: sono i
due aspetti dello stesso sogno.
In breve non c' essenza del quotidiano, del banale, e dunque non c' arte del quotidiano: un'aporia mistica. S
Wharol (e altri) lo credono, perch essi si ingannano sullo statuto stesso dell'arte e dell'atto artistico - ci che non
affatto raro presso gli artisti. Del resto si riscontra la stessa nostalgia mistica al livello dell'atto, del gesto produttivo:
Vorrei essere una macchina dice Andy Warhol, che in effetti dipinge per mezzo di sagome forate o in serigrafia, ecc.
Ora, non c' orgoglio peggiore per l'arte di quello di porsi come meccanica, n maggior affettazione per colui che
svolge, lo voglia o no, il ruolo di creatore, che dedicarsi all'automatismo seriale. Tuttavia non si potrebbe accusare
Warhol o gli artisti Pop di malafede: la loro esigenza logica si scontra con uno statuto sociologico e culturale dell'arte
contro cui non possono nulla. proprio questa impotenza ad essere - rispecchiata dalla loro ideologia. Proprio
quando essi cercano di dissacrare la loro pratica, la societ li sacralizza sempre pi E si giunge al punto in cui il loro
tentativo - il pi radicale tra tutti -- di secolarizzare l'arte, nei suoi temi e nella sua pratica, sfocia in un'esaltazione e in
un'evidenza mai vista del sacro nell'arte. Molto semplicemente gli artisti Pop dimenticano che perch il quadro cessi di
essere un super-segno sacro (oggetto unico, firma, oggetto di un traffico nobile e magico) non sufficiente n il.
contenuto n l'intenzione dell'autore: a decidere sono le strutture di produzione della cultura. Al limite, solo la
razionalizzazione del mercato della pittura, come di un qualsiasi altro oggetto industriale, potrebbe dissacrarla e far
diventare il quadro un oggetto quotidiano 11. Ci non forse n pensabile, n possibile, n auspicabile. Chiss? In tutti
i casi questa la condizione limite: giunti l, si smette di dipingere oppure si continua a prezzo di un regresso verso la
mitologia tradizionale della creazione artistica. E a motivo di questa pecca si recuperano i valori pittorici classici:
fattura espressionista in Oldenburg, stile alla maniera dei Fuaves e di Matisse in Wesselmann, stile moderno e
calligrafia giapponese in Lichtenstein, ecc. Che bisogno abbiamo di queste risonanze leggendarie ? Che bisogno
abbiamo di questi effetti che fanno dire che l c' quanto meno-della pittura ? La logica degli artisti Pop altrove,
non in un computo estetico, n in una metafisica dell'oggetto.
Si potrebbe definire la Pop come un gioco, e una manipolazione, dai differenti livelli di percezione mentale: una specie
di cubismo mentale che cercherebbe di diffrangere gli oggetti non secondo un'analitica spaziale, ma secondo le
modalit di percezione elaborate nel corso dei secoli da tutta una cultura a partire dalla sua attrezzatura intellettuale e

tecnica: realt oggettiva, immagine riflessa, sa, figurazione disegnata, figurazione tecnica (la foto), schematizzazione
astratta, enunciato discorsivo, ecc. D'altra parte l'uso dell'alfabeto fonetico e le tecniche industriali hanno imposto gli
schemi di divisione, di sdoppiamento, di astrazione, di ripetizione (gli etnografi riferiscono lo sbigottimento dei
primitivi allorch scoprono pi libri assolutamente simili: tutta la loro visione del mondo ne messa a soqquadro). Si
possono vedere in questi diversi modi le mille figure di una retorica della designazione, del riconoscimento. Ed l
dove la Pop entra in gioco: essa opera sulla differenza tra questi differenti livelli o modi, e sulla percezione di queste
differenze. Cos la serigrafia di un linciaggio non un'evocazione: essa presuppone questo linciaggio trasmutato in
fatto di cronaca, in segno giornalistico in virt della comunicazione di massa - segno ripreso ancora ad un altro livello
per mezzo della serigrafia. La stessa foto ripetuta presuppone la foto unica, e, al di l di essa, l'essere reale di cui
essa il riflesso: questo essere reale potrebbe del resto figurare nell'opera senza farla esplodere - non sarebbe che
una combinazione in pi.
Allo stesso modo che nella Pop Art non c' ordine di realt, bens livelli di significazione, neppure lo spazio reale vi
trova posto - il solo spazio quello della tela, quello della giustapposizione dei differenti elementi-segni e della loro
relazione - e non pu rientrarvi neppure il tempo reale - il solo tempo quello della lettura, quello della percezione
differenziale dell'oggetto e della sua immagine, di una certa immagine e della stessa ripetuta, ecc., il tempo
necessario alla correzione mentale, all'adattamento all'immagine, all'artefatto nella sua relazione coll'oggetto reale
(non si tratta di una reminiscenza ma della percezione di una differenza locale, logica). Questa lettura non sar
neppure la ricerca di un'articolazione e di una coerenza, bens un percorso in estensione, una costatazione di
successione.
Come si vede l'attivit imposta (ancora una volta nella sua vigorosa ambizione) dall'arte Pop lontana dal nostro
sentimento estetico . La Pop un'arte cool: non esige n l'estasi estetica, n la partecipazione affettiva o simbolica
(deep involvement), ma una sorta di abstract involvement, di curiosit strumentale. La quale conserva pure qualcosa
di una curiosit infantile, di un incantamento ingenuo per la scoperta. E perch no? Si pu vedere la Pop anche come
delle immagini di pinal, o come un Breviario del consumo; tuttavia essa mette soprattutto in gioco dei riflessi
intellettuali di svelamento, di deciframento, ecc., quelli di cui abbiamo appena parlato.
Per farla breve, La Pop Art non un'arte popolare. Giacch l'ethos culturale popolare (ammesso che esista ancora)
riposa precisamente su un realismo senza ambiguit, sulla narrazione lineare (e non sulla ripetizione o la diffrazione
dei livelli), sull'allegorico e il decorativo (questo non appartiene alla Pop Art, perch queste due categorie rinviano a
un'altra cosa d'essenziale), e sulla partecipazione emotiva legata alla peripezia morale 12 . a un livello veramente
rudimentale che l'arte Pop pu essere presa come arte figurativa : una rappresentazione colorata, una cronaca
ingenua della societ dei consumi, ecc. vero che gli artisti Pop si sono compiaciuti anche di pretenderlo. Il loro
candore immenso, la loro ambiguit anche. Quanto al loro umorismo, o a quello che loro si attribuisce, ci troviamo
ancora di fronte a dei confini tutt'altro che fissi. A questo titolo sarebbe istruttivo registrare le reazioni degli spettatori. A
molti le loro opere provocano riso (o almeno la velleit di un riso) moralistico e osceno (queste tele sono oscene nei
riguardi del classico). Poi un sorriso di derisione, da cui non si capisce se stanno giudicando gli oggetti dipinti o la
pittura stessa. Sorriso che si fa volentieri complice: Questo non molto serio, ma non vogliamo scandalizzarci, e in
fondo forse... . Il tutto pi o meno contratto nella desolazione vergognosa di non sapere come prenderla. Detto ci, la
Pop Art contemporaneamente un'arte piena di umorismo e priva di esso. Conseguentemente non ha nulla a che
vedere coll'umorismo sovversivo, aggressivo, collo scontro di oggetti surrealisti. Non si tratta pi propriamente di
cortocircuitare gli oggetti nella loro funzione, ma di giustapporli per analizzarne le relazioni. Questo processo non
terroristico 13, esso comporta tutt'al pi degli effetti che risentono piuttosto del disorientamento culturale. In effetti si
tratta di altra cosa. Non dimentichiamoci, riportandoci al sistema descritto, che un certo sorriso fa parte dei segni
obbligati del consumo: esso non costituisce pi un umorismo, una distanza critica, ma solamente il ricordo di questo
valore critico trascendente, al giorno d'oggi materializzato nella strizzatina d'occhio. Questa falsa distanza ovunque
presente: nei film di spionaggio, in Godard, nella pubblicit moderna, che l'utilizza continuamente come allusione
culturale, ecc. Al limite in questo sorriso cool non si pu pi distinguere il sorriso pieno di umorismo da quello pervaso
di complicit commerciale. proprio questo quel che accade nell'arte Pop - e il suo sorriso in fondo riassume tutta la
sua ambiguit: non quello della distanza critica, il sorriso della collusione.
L'orchestrazione dei messaggi
TV, radio, stampa, pubblicit: un discontinuum di segni e di messaggi dove tutti gli ordini si equivalgono.
Sequenza radiofonica presa a caso:
una pubblicit del rasoio Remington,
un sommario delle agitazioni sociali degli ultimi quindici giorni,
una pubblicit dei pneumatici Dunlop SP-Sport,
un dibattito sulla pena di morte,
una pubblicit per gli orologi Lip,
un reportage sulla guerra in Biafra,
e una pubblicit per il detersivo Crio.
In questa litania in cui si alternano la storia del mondo e la figurazione di oggetti (l'insieme costituisce una specie di
poema alla Prvert, con pagine nere alternate a pagine rosa - quelle pubblicitarie evidentemente) il tempo forte
apparentemente quello dell'informazione. Ma anche quello, paradossalmente, della neutralit, dell'impersonalit: il

discorso sul mondo non vuole interessare. Questa bianchezza contrasta colla forte valorizzazione del discorso
sull'oggetto - brio, esaltazione, vibrato - tutto il patetico del reale, della peripezia, della persuasione, trasferito
sull'oggetto e sul discorso che lo concerne. Questo accurato dosaggio del discorso d' informazione e del discorso
di consumo , a profitto emozionale esclusivo di quest'ultimo, tende ad assegnare alla pubblicit una funzione di
sfondo, di rete litanica di segni, dunque, rassicurante, dove vengono ad inscriversi, come intermezzo, le vicissitudini
del mondo. Queste ultime, neutralizzate dall'operazione di montaggio cadono allora anch'esse sotto i colpi del
consumo simultaneo. Il giornale radio, non e il pot-pourri che sembra: la sua alternanza sistematica impone un unico
schema ricettivo, che uno schema di consumo.
E ci non tanto perch la valorizzazione tonale pubblicitaria suggerisce che in fondo la storia del mondo indifferente
e che gli oggetti di consumo sono i soli di cui val la pena occuparsi. Questo e secondario. L'efficacia reale pi
sottile: consiste nell'imporre attraverso la successione sistematica dei messaggi l'equivalenza a livello semiotico della
storia e dei fatti di cronaca, dell'avvenimento e dello spettacolo, dell'informazione e della pubblicit. il vero effetto del
consumo e non nel discorso pubblicitario diretto. nell'operazione di montaggio, grazie ai supporti tecnici, ai media
tecnici della TV e della radio, l'avvenimento e il mondo. reale in messaggi discontinui, successivi, non contraddittori segni giustapponibili e combinabili ad altri segni nella dimensione astratta dell'emissione. Quello che conosciamo non
dunque quello spettacolo o quell'immagine in s: la virtualit della successione di tutti gli spettacoli possibili - e la
certezza che la legge di successione e di suddivisione dei programmi far s che nulla rischi di emergere se non come
spettacolo e segno tra gli altri.
Medium is Message
Qui, e almeno in questo senso, occorre ammettere come tratto fondamentale nell'analisi del consumo la formula di
McLuhan: Il medium il messaggio . Ci significa che l'autentico messaggio che trasmettono i media, TV e radio,
quello che decifrato e consumato inconsciamente e profondamente, non il contenuto manifesto dei suoni e
delle immagini, ma lo schema costrittivo, connesso all'essenza tecnica stessa di questi media, di disarticolazione del
reale in segni successivi ed equivalenti: la transizione normale, programmata, miracolosa, dal Vietnam al music-hall,
sulla base di un'astrazione totale dell'uno come dell'altro.
E c' come una legge di inerzia tecnologica che fa s che pi ci si avvicini al documento-verit, al in diretta con , pi
si va a caccia del reale con il colore, il rilievo, ecc., pi si approfondisce, di perfezionamento tecnico in
perfezionamento tecnico, l'assenza reale nei confronti del mondo, pi si impone questa verit della TV o della radio
che consiste nel fatto che ciascun messaggio ha innanzi tutto la funzione di rinviare ad un altro messaggio, il Vietnam
alla pubblicit, questa al giornale-radio, ecc. - essendo proprio la loro giustapposizione sistematica la modalit
discorsiva del medium, il suo messaggio, il suo senso. Ma parlando in questo modo, bisogna ben accorgersi che esso
impone tutto un sistema di suddivisione e di interpretazione del mondo.
Questo processo tecnologico delle comunicazioni di massa trasmette un certo tipo di messaggio molto imperativo:
messaggio di consumo del messaggio, di suddivisione e di spettacolarizzazione, di misconoscimento del mondo e di
valorizzazione dell'informazione in quanto merce, di esaltazione del contenuto in quanto segno. In breve, una funzione
di condizionamento (nel senso pubblicitario del termine - in questo senso, la pubblicit per eccellenza il medium di
massa , i cui schemi impregnano tutti gli altri media) e di misconoscimento.
Questo vero per tutti i media, e persino per il medium-libro, la literacy di cui McLuhan fa una delle maggiori
articolazioni della sua teoria. Egli sostiene che la comparsa del libro stampato stata una svolta capitale della nostra
civilt, non tanto per i contenuti che ha trasmesso di generazione in generazione (ideologici, informativi, scientifici,
ecc.) quanto per la costrizione fondamentale di sistematizzazione che esso esercita attraverso la sua essenza
tecnica. Egli sostiene che il libro innanzitutto un modello tecnico e che l'ordine della comunicazione che vi regna (la
suddivisione visualizzata, lettere, parole, pagine, ecc.) un modello pi pregnante, pi determinante a lungo termine
di qualsiasi altro simbolo, idea o fantasma che in effetti il discorso manifesta: Gli effetti della tecnologia non si fanno
vedere al livello delle opinioni e dei concetti, ma alterano continuamente e inconsciamente i rapporti sensibili e i
modelli di percezione .
Quel che segue evidente: la maggior parte delle volte il contenuto ci nasconde la reale funzione del medium. Esso si
offre come messaggio, mentre il messaggio reale, nei cui confronti il discorso manifesto non pu essere che una
connotazione, il mutamento strutturale (di scala, di modelli, di habitus) operato in profondit sulle relazioni umane.
Grosso modo il messaggio della ferrovia, non il carbone o i viaggiatori che trasporta, una visione del mondo,
un nuovo statuto delle agglomerazioni, ecc. Il messaggio della TV, non sono le immagini trasmesse, sono i nuovi
modi di relazione e di percezione da essa imposti, i mutamenti delle tradizionali strutture della famiglia e del gruppo.
Ancora pi a fondo, nel caso della TV e dei mass-media moderni, quel che ricevuto, assimilato, consumato ,
meno quel preciso spettacolo di quanto non sia la virtualit di tutti gli spettacoli.
La verit dei media di massa dunque la seguente: essi hanno per funzione quella di neutralizzare il carattere
vissuto, unico, fattuale del mondo, per sostituirvi un universo multiplo di media omogenei gli uni agli altri, i quali si
significano e si rinviano l'un l'altro. Al limite, essi divengono il contenuto o reciproco gli uni degli altri - ed l il
messaggio totalitario di una societ dei consumi.
Quel che trasmette il medium TV, , attraverso la sua organizzazione tecnica, l'idea (l'ideologia) di un mondo
visualizzabile a piacere, suddivisibile a piacere, leggibile per immagini. Esso trasmette l'ideologia dell' onnipotenza di
un sistema di lettura su di un mondo divenuto un sistema di segni. Le immagini della TV vogliono essere

metalinguaggio di un mondo assente. Allo stesso modo in cui il pi piccolo oggetto tecnico, il pi piccolo gadget
diviene promessa di un'assunzione tecnica universale, cos le immagini/segni sono supposizioni di un'immagine
esaustiva del mondo, di un'assunzione totale del mondo reale nell'immagine che ne sarebbe come la memoria, la
cellula di lettura universale. Dietro al consumo di immagini si profila l'imperialismo di un sistema di lettura: sempre
di pi non tender ad esistere se non ci che pu essere letto (ci che deve essere letto: il leggendario ). E non
sar pi questione allora della verit del mondo e della sua storia, ma solamente della coerenza interna del sistema di
lettura. cos che a un mondo confuso, conflittuale, contraddittorio, ciascun medium impone la propria logica pi
astratta, pi coerente, si impone, lui, medium, come messaggio secondo l'espressione di McLuhan. Ed la sostanza
del mondo spezzettata, filtrata, reinterpretata secondo questo codice insieme tecnico e leggendario , che noi
consumiamo. Tutta la materia del mondo, tutta la cultura trattata industrialmente in prodotti finiti, in materiale
semiotico, in cui svanito ogni valore fattuale, culturale o politico.
Se si considera il segno come l'articolazione di un significante e di un significato, si possono definire due tipi di
confusione. Nel bambino, nel primitivo , il significante si pu eclissare a favore del significato ( il bambino che
scambia la propria immagine per un essere vivente, o i telespettatori africani che si domandano da dove passato
l'uomo che appena scomparso dallo schermo). Inversamente nell'immagine centrata su se stessa, o nel messaggio
centrato sul codice, il significante diviene il suo proprio significato, vi confusione circolare dei due a favore del
significante, abolizione del significato e tautologia del significante. Proprio l risiede ci che definisce il consumo,
l'effetto di consumo sistematico al livello dei mass-media. Invece di andare verso il mondo attraverso la mediazione
dell'immagine, l'immagine che fa ritorno su se stessa per mezzo del mondo ( il significante che designa se stesso
dietro l'alibi del significato).
Si passa dal messaggio centrato sul significato - messaggio transitivo - a un messaggio centrato sul significante. Nel
caso della TV, per esempio, si passa, attraverso l'immagine dagli avvenimenti significati dall'immagine al consumo
dell'immagine in quanto tale (vale a dire precisamente in quanto differente da questi avvenimenti, in quanto sostanza
spettacolare, culinaria direbbe Brecht, che si esaurisce nella durata stessa del suo assorbimento e non rinvia mai
al di l). Differente anche nel senso in cui essa non d n a vedere n a comprendere gli avvenimenti nella loro
specificit (storica, sociale, culturale), ma li mette in circolazione tutti indistintamente reinterpretati secondo lo stesso
codice, che contemporaneamente una struttura ideologica e una struttura tecnica - vale a dire, nel caso della TV, il
codice ideologico della cultura di massa (sistema di valori morali, sociali e politici) e il modo di suddividere, di
articolare del medium stesso, che impone un certo tipo di discorsivit, la quale neutralizza il contenuto multiplo e
mutevole dei messaggi e vi sostituisce la propria costrizione imperativa di senso. Questa discorsivit profonda del
medium , al contrario del discorso manifesto delle immagini, decifrata inconsciamente dallo spettatore.
Il medium pubblicitario
In questo senso la pubblicit forse il mass-medium pi notevole della nostra epoca. Mentre parla di un oggetto li
glorifica tutti, almeno virtualmente, mentre parla d quell'oggetto o di quella marca essa parla in effetti della totalit
degli oggetti e di un universo totalizzato mediante gli oggetti e le marche - mentre guarda a un consumatore mira in
realt a tutti gli altri e viceversa, simulando cos una totalit consumatrice, ritribalizzando i consumatori, nel senso
attribuito al termine da McLuhan, cio facendo ricorso a una complicit, a una collusione immanente, immediata al
livello del messaggio, ma soprattutto al livello del medium stesso e del codice. Ciascuna immagine, ciascun annuncio
impone un consenso, quello di tutti gli individui virtualmente chiamati a decifrarla, cio, mettendo in chiaro il
messaggio, ad aderire automaticamente al codice in cui stata codificata.
La funzione di comunicazione di massa della pubblicit non le deriva dunque dai suoi contenuti, dai suoi modi di
diffusione, dai suoi obiettivi manifesti (economici-psicologici) n le deriva dal suo volume o dal suo pubblico reale (per
quanto tutto questo abbia la sua importanza e serva da supporto), ma dalla sua logica stessa di medium
automatizzato, vale a dire non rinviante a degli oggetti reali, a un mondo reale, a un referenziale, bens da un segno
all'altro, da un oggetto all'altro, da un consumatore all'altro. Allo stesso modo il libro diviene mezzo di comunicazione
di massa se rinvia colui che lo legge a tutti coloro che lo leggono (la lettura allora non ne sostanza di senso, ma
puro e semplice segno di complicit culturale), o se l'oggetto/libro rinvia agli altri della stessa collezione, ecc. Si
potrebbe analizzare come il linguaggio stesso, sistema simbolico, ridivenga mass-medium al livello della marca e del
discorso pubblicitario. Dovunque la comunicazione di massa si definisce per questa sistematizzazione al livello del
medium tecnico e del codice, per la produzione sistematica dei messaggi, non a partire dal mondo, bens dal medium
stesso14,15.
Pseudo-avvenimento e neo-realt
Entriamo qui nel mondo dello pseudo-avvenimento, della pseudo-storia, della pseudo-cultura, di cui ha parlato
Boorstin nel suo libro L'image. Vale a dire di avvenimenti, di storia, di cultura, di idee prodotte non a partire da
un'esperienza mobile, contraddittoria, reale, ma prodotti come artefatti a partire da elementi del codice e dalla
manipolazione tecnica del medium. questo e null'altro ci che definisce ogni significato, qualunque esso sia, come
consumabile. questa generalizzazione della sostituzione del codice al referenziale che definisce il consumo dei
mass-media.
L'avvenimento puro e semplice scambio, non materiale di scambio. Non diviene consumabile se non filtrato,

spezzettato, rielaborato mediante tutta una catena industriale di produzione, i mass-media, allorquando cio diviene
prodotto finito, materiale di segni finiti e combinati - analoghi agli oggetti finiti della produzione industriale. la stessa
operazione svolta dal maquillage sul viso: sostituzione sistematica dei tratti reali ma disparati, con una rete di
messaggi astratti, ma coerenti, a partire da elementi tecnici e da un codice di significati imposti (il codice della
bellezza ).
Bisogna guardarsi dall'interpretare questa gigantesca impresa di produzione di artefatto, di make-up, di pseudooggetti, di pseudo-avvenimenti che invade la nostra esistenza quotidiana come snaturamento o falsificazione di un
contenuto autentico. Per tutto quello che stato appena detto, vediamo che ben al di l della reinterpretazione
tendenziosa del contenuto che si ritrova lo sviamento del senso, la spoliticizzazione della politica, la
deculturalizzazione della cultura, la desessualizzazione del corpo nel consumo soggetto ai mass-media. nella forma
che mutato tutto: vi dovunque sostituzione, in luogo e al posto del reale, di un neoreale completamente
prodotto a partire dalla combinazione degli elementi di codice. Su tutta l'estensione della vita quotidiana, ha luogo un
immenso processo di simulazione ad immagine dei modelli di simulazione su cui lavorano le scienze operazionali
e cibernetiche. Si fabbrica un modello combinando dei tratti o degli elementi del reale, si fa recitar loro un
avvenimento, una struttura o una situazione da venire, e se ne traggono delle conclusioni tattiche a partire dalle quali
si opera sul reale. Questo pu essere uno strumento d'analisi in un procedimento scientifico controllato. Nelle
comunicazioni di massa, questo procedimento prende forza di realt: quest'ultima abolita, volatizzata a favore della
neo-realt del modello materializzato dal medium stesso.
Ma, ancora una volta, diffidiamo del linguaggio che parla automaticamente di falso , di pseudo , di artificiale .
E ritorniamo con Boorstin alla pubblicit per cercare di cogliere questa nuova logica, che anche una nuova pratica e
una nuova mentalit .
Al di l del vero e del falso
La pubblicit uno dei punti strategici di questo processo. per eccellenza il regno dello pseudo-avvenimento. Essa
fa dell'oggetto un avvenimento. Infatti lo costruisce come tale sulla base dell'eliminazione delle sue caratteristiche
oggettive. Lo costruisce come modello, come fatto di cronaca spettacolare. La pubblicit moderna venne alla luce il
giorno in cui l'annuncio pubblicitario non fu pi un annuncio spontaneo, ma divenne una "notizia fabbricata" ( per
questo che la pubblicit diviene omogenea alle notizie anch'esse sottomesse alla stessa operazione mitica :
pubblicit e notizie costituiscono cos una stessa sostanza visuale, scritta, fonica e mitica, la cui successione e
alternanza al livello di tutti i mass-media ci pare naturale - esse suscitano la stessa curiosit e lo stesso
assorbimento spettacolare/ludico 16). Giornalisti e agenti pubblicitari , sono operatori mitici, essi immaginano un
intreccio in cui situare l'oggetto o l'avvenimento per metterlo cos in scena. Essi Io diffondono reinterpretato - al limite
lo costruiscono deliberatamente. Bisogna se si vuole giudicarli oggettivamente, applicar loro le categorie del mito:
quest'ultimo non n vero n falso, e il problema non di credervi o di non credervi. Di qui i falsi problemi
continuamente dibattuti:
l. Gli agenti pubblicitari credono a quel che fanno? (sarebbero perdonati a met).
2. I consumatori, in fondo, non credono alla pubblicit? (essi sarebbero salvi a met).
Boorstin avanza cos l'idea che bisogna discolpare gli operatori pubblicitari - la persuasione e la mistificazione
derivano molto meno dalla loro mancanza di scrupoli che dal nostro desiderio di essere ingannati: essi procedono
meno dal loro desiderio di sedurre che dal nostro desiderio di essere sedotti. Egli prende l'esempio di Barnum, il cui
genio fu di scoprire non gi quanto sia facile approfittare del pubblico, ma piuttosto quanto il pubblico ami essere
ingannato . Ipotesi seducente ma falsa: l'insieme non si basa su qualche perversit reciproca - manipolazione cinica
o masochismo collettivo, che ruoti attorno al vero e al falso. La verit che la pubblicit (e ci vale anche per gli altri
mass-media) non ci inganna: essa al di l del vero e del falso, come la moda al di l del brutto e del bello, come
l'oggetto moderno, nella sua funzione di segno, al di l dell'utile e dell'inutile.
Il problema della veridicit della pubblicit da porsi nel modo seguente: se gli operatori pubblicitari mentissero
veramente, sarebbero facilmente smascherabili - ma essi non ci provano - e se essi non ci provano, questo non
perch siano troppo intelligenti - ma perch l'arte pubblicitaria consiste soprattutto nell'invenzione di esposizioni
persuasive che non sono n vere n false (Boorstin). Per la buona ragione che non vi pi n l'originale n il
referenziale reale e che, come tutti i miti e le parole magiche, la pubblicit si fonda su un altro tipo di verifica - quella
della selffulfilling prophecy (la parola che si realizza nel suo stesso proferirsi). L'agente pubblicitario che ha
successo il maestro di una nuova arte: l'arte di rendere le cose vere affermando che esse lo sono. un adepto della
tecnica delle profezie che si adempiono da s .
La pubblicit una parola profetica nella misura in cui essa non invita a comprendere o ad apprendere, ma a sperare.
Quel che essa dice non suppone una verit anteriore (quella del valore d'uso dell'oggetto), ma una conferma ulteriore
mediante la realt del segno profetico che essa emette. L la sua modalit efficace. Essa fa dell'oggetto uno
pseudo-avvenimento che diviene l'avvenimento reale della vita quotidiana attraverso l'adesione del consumatore al
suo discorso. Come si vede il vero e il falso sono qui inafferrabili - tutto avviene come nei sondaggi elettorali, dove non
si sa pi se il voto reale non fa che convalidare i sondaggi (e allora non pi un avvenimento reale, ma solo il
succedaneo dei sondaggi che, da modelli di simulazione indiziali, sono divenuti agenti determinanti della realt) o se

sono i sondaggi a riflettete l'opinione pubblica. Vi l una relazione inestricabile. Come la natura imita l'arte, cos la
vita quotidiana finisce per essere la replica da modello.
La modalit della selffulfilling prophecy, la modalit tautologica. La realt non altro che il modello che parla a se
stesso. Cos per la parola magica, cos per i modelli di simulazione, cos per la pubblicit che, tra le altre maniere di
discorso, gioca, e di preferenza, sul discorso tautologico. Tutto in essa metafora di una sola e stessa cosa: la
marca. Le espressioni una birra migliore (e di che?), Lucky Strike, una sigaretta trattata (indubbiamente: lo
sono tutte!) non rinvia che a un'evidenza che si ripiega su se stessa. Quando Hertz (maggior noleggiatore mondiale di
automobili) afferma in conclusione di un lungo annuncio: Siate logici. Se non trovaste da noi qualcosa di pi, non
saremmo mai arrivati alla posizione che occupiamo... E sarebbe forse qualcun'altro a mettere in circolazione un simile
annuncio , cos'altro c' qui se non semplice tautologia, una prova mediante la semplice esistenza? Ovunque cos
la ripetizione stessa che fa la causalit efficace. Come in certi laboratori si effettua la sintesi artificiale delle molecole,
cos qui si opera la sintesi artificiale del vero a partire dalla parola efficiente. Persil-Iava-pi-bianco non una
frase, il discorso Persil. Questo e gli altri sintagmi pubblicitari non spiegano, n propongono un senso, essi non sono
dunque n veri n falsi - ma eliminano precisamente il senso e la prova. Essi vi sostituiscono un indicativo senza frasi,
che un imperativo ripetitivo. E questa tautologia del discorso, come nella parola magica, cerca di indurre la
ripetizione tautologica attraverso l'avvenimento. Il consumatore per mezzo del suo acquisto non far che consacrare
l'avvenimento del mito.
Si potrebbe spingere pi a fondo in questa direzione l'analisi del discorso pubblicitario, ma anche allargare
quest'analisi ai differenti media moderni, per constatare che dovunque, secondo un'inversione radicale della logica
tradizionale del significato e dell'interpretazione, fondata sul vero e sul falso, qui il mito (o il modello) a trovare il suo
avvenimento, secondo una produzione della parola ormai industrializzata allo stesso titolo della produzione dei beni
materiali.

NOTE AL CAPITOLO PRIMO


1
Se la bellezza nella linea , la carriera nel profilo . Il lessico ha delle connivenze significative.
2
Cfr. pi avanti, Medium is Message.
3
Cfr. pi avanti, Pseudo-avvenimento e neo-realt.
4
Cfr. Le Monde , 28 settembre 1969.
5
Vi in questo senso una qualche relazione tra il kitsch e lo snobismo. Ma lo snobismo piuttosto legato al processo
di acculturazione aristocratico-borghese, mentre H kitsch deriva, essenzialmente, dall'ascesa delle classi medie
nell'ambito della societ borghese industriale.
6
Ma non un giocattolo, in quanto il giocattolo ha per il bambino una funzione simbolica. Tuttavia un giocattolo new
look , un giocattolo alla moda, ridiviene per ci stesso gadget.
7
Il gadget puro, definito dalla totale inutilit sotto qualsiasi aspetto, sarebbe un non senso.
8
Cfr., Boorstin, L'image, Paris, Julliard, 1963.
9
I cubisti: ancora l' essenza dello spazio che essi cercano, la rivelazione della geornetria segreta , ecc. Dada
o Duchamp o i Surrealisti: si strappano gli oggetti alla loro funzione (borghese), li si dispone nella loro banalit
sovversiva, in un ricordo dell'essenza perduta e di un ordine dell'autenticit che si evoca mediante l'assurdo. Ponge:
nel suo cogliere l'oggetto nudo e concreto, vi ancora una coscienza o una percezione poetica in atto. In breve,
poetica o critica, tutta l'arte senza cui le cose non sarebbero che quel che sono si alimenta (prima della Pop) alla
trascendenza.
10
Cfr., oltre, Il consumo del consumo.
11
In questo senso la verit della Pop sarebbe il salario e il posto destinato all'affissione dei manifesti, non il contratto o
la galleria d'arte.
12
L'arte popolare non si connette mai agli oggetti, ma sempre innanzitutto all'uomo e ai gesti. Essa non
dipingerebbe mai i salumi o la bandiera americana, ma un-uomo-che-mangia o un-uomo-che-saluta-la-bandieraamericana.
13
In effetti noi vi leggiamo spesso quest'umorismo terroristico , ma ci va imputato alla nostra nostalgia critica.
14
facile vedere come in questo senso si possa consumare il linguaggio. A partire dal momento in cui il
linguaggio. invece di essere veicolo di senso, si carica di connotazioni di appartenenza, si muta in lessico di gruppo, in
patrimonio di classe o di casta (lo stile snob. il gergo intellettuale, il gergo politico di partito e di gruppuscolo), a partire
dal momento in cui il linguaggio, da mezzo di scambio, diviene materiale di scambio, a uso interno del gruppo o della
classe - divenendo la sua funzione reale, dietro l'alibi dei messaggio, funzione di connivenza e di riconoscimento - a
partire dal momento in cui invece di far circolare il senso, circola esso stesso come parola d'ordine, come
oggetto/distintivo, in un processo di tautologia del gruppo (il gruppo parla a se stesso), allora il linguaggio diviene
oggetto di consumo, feticcio.
Esso non pi praticato come lingua, vale a dire come sistema di segni distinti di denotazione, ma consumato come
sistema di connotazione, come codice distintivo.
15
Lo stesso processo avviene per il consumo medico . Si assiste a una inflazione straordinaria della
domanda/salute in stretta relazione colla elevazione del livello di vita. Vien meno il confine tra la domanda fondata
(e dei resto su quale definizione dei minimum vitale e dell'equilibrio biopsicosomatico la si pu fondare?) e la

compulsione consumatrice di prestazioni mediche, chirurgiche, odontoiatriche. La pratica medica si muta in pratica del
medico stesso, e questa pratica suntuaria, ostentatoria dei medico/oggetto, del medicamento/oggetto si congiunge
con la seconda casa e l'automobile nella panoplia dello standing. Anche in questo caso nelle classi pi agiate il
medicamento, e soprattutto il medico (Balint: La medicina pi frequentemente utilizzata in medicina generale il
medico stesso ) da medium che erano della salute considerata come bene finale, divengono essi stessi il termine
della domanda finale. Essi sono allora consumati, secondo lo stesso schema di sviamento della funzione pratica
oggettiva verso una manipolazione mentale, verso un calcolo di segni di tipo feticista.
Per dire il vero bisogna distinguere due livelli di questo consumo : la domanda nevrotica dei dono della
medicina, della sollecitudine medica riduttrice di angoscia, e questa domanda tanto oggettiva quanto quella relativa
ad un'affezione organica, tuttavia essa introduce a un consumo nella misura in cui, al livello di questa domanda, il
medico non ha pi un valore specifico, ma riducibile, in quanto riduttore di angoscia e istanza di sollecitudine, a
qualsiasi altro processo di regressione parziale: alcool, shopping, collezione (il consumatore colleziona il medico e
le medicine). li medico consumato in quanto segno-tra-gIi-altri (allo stesso titolo della lavatrice in quanto segno di
confort e di status).
In ultima istanza dunque quel che istituisce il consumo medico , attraverso la logica nevrotica degli individui, una
logica sociale di status che integra il medico - al di l di ogni prestazione oggettiva e al pari di qualsiasi altro attributo
di valore - come segno di un sistema generalizzato. Si vede che sull'astrazione (la riduzione) della funzione medica
che si istituisce il consumo medico. Dovunque si ritrova questo schema di sviamento sistematico come il principio
stesso dei consumo.
16
Per questa ragione tutte le resistenze all'introduzione della pubblicit in TV o altrove non sono che reazioni
moralistiche o arcaiche. Il problema si situa infatti al livello dell'insieme del sistema di significazione.

CAPITOLO SECONDO
IL PIU' BELL'OGGETTO DI CONSUMO:
IL CORPO

Nella panoplia del consumo vi un oggetto pi bello, pi prezioso, pi splendente di tutti - ancora pi ricco di
connotazioni dell'automobile - che tuttavia li riassume tutti: il corpo. La sua riscoperta, dopo una millenaria era di
puritanesimo, sotto il segno della liberazione fisica e sessuale, la sua onnipresenza (e specificatamente del corpo
femminile, bisogner vedere il perch) nella pubblicit, nella moda, nella cultura di massa il culto igienico, dietetico,
terapeutico di cui lo si circonda, l'ossessione della giovinezza, dell'eleganza, della virilit/femminilit, le cure, le diete,
le pratiche sacrificali che vi si ricollegano, il mito del piacere che lo avvolge - tutto oggi testimonia che il corpo
diventato oggetto di salvezza. Esso si letteralmente sostituito all'anima in questa funzione morale e ideologica.
Una propaganda incessante ci ricorda, secondo i termini del cantico, che non abbiamo che un corpo e che occorre
salvarlo. Per secoli ci si ostinati a convincere le persone che esse non avevano un corpo (esse del resto non si
lasciarono mai realmente convincere), oggi ci si ostina sistematicamente a convincerle del loro corpo. C' l qualcosa
di strano. Il corpo non l'evidenza stessa? Sembra di no: lo statuto del corpo un fatto di cultura. Ora, in qualunque
cultura, il modo di organizzazione della relazione col corpo riflette il modo di organizzazione della relazione colle cose
e quello delle relazioni sociali. In una societ capitalistica, lo statuto generale della propriet privata si applica
ugualmente al corpo, alla pratica sociale e alla rappresentazione mentale che se ne ha. Nell'ordine tradizionale,
presso il contadino per esempio, non ce investimento narcisistico, non c' percezione spettacolare del proprio corpo,
bens una visione strumentale/magica indotta dal processo di lavoro colla natura.
Quel che vogliamo mostrare che le strutture attuali della produzione/consumo inducono presso il soggetto una
duplice pratica, legata a una rappresentazione discontinua (ma profondamente solidale) del proprio corpo: quella del
corpo come capitale, quella del corpo come feticcio (o oggetto di consumo). Nei due casi quel che importa che il
corpo, lungi dall'essere negato o omesso, sia deliberatamente investito (nei due sensi: economico e fisico del
termine).
Le chiavi segrete del vostro corpo
Un bell'esempio di questa riappropriazione guidata del corpo ci fornita da Elle, in un articolo intitolato Le chiavi
segrete del proprio corpo - quelle che aprono la strada a una vita senza complessi.
Il vostro corpo sia il vostro limite che il vostro sesto senso, il testo comincia cos, e si d un'aria seria formulando
la psicogenesi romanzata del corpo e della propria immagine: Verso i sei mesi avete cominciato, ancora molto
oscuramente, a percepire di avere un corpo distinto. Un'allusione allo stadio dello specchio ( gli psicologi chiamano
questo ... ), un'allusione frettolosa alle zone erogene (Freud dice che, ... ), e si passa all'essenziale: Vi sentite bene
nella vostra pelle?. Subito dopo, B.B. lei sta bene nella propria pelle. In lei tutto bello, la schiena, il collo, le

reni Il segreto di B.B.? che essa abita veramente il proprio corpo. come un grazioso animale che aderisce
perfettamente alla propria pelle, [Abita il proprio corpo o la veste? Qual la residenza secondaria, il corpo o la
veste? Esattamente: lei porta il proprio corpo come una pelle, il che in questo contesto rinvia il termine abitare a un
effetto di moda, di panoplia, a un principio ludico rafforzato ancor di pi dall'allusione al grazioso animale].
Se un tempo era l'anima ad avvolgere il corpo , oggi ad avvolgerlo la pelle, ma non la pelle come irruzione ,della
nudit (e dunque del desiderio), ma la pelle come vestito di prestigio e residenza secondaria, come segno e come
referenza di moda (e dunque sostituibile al vestito senza mutar di senso, come ben si vede nell'attuale sfruttamento
della nudit nel teatro e altrove, dove essa appare, a dispetto di un falso patetismo sessuale, come un termine in pi
nel paradigma del vestito di moda).
Ritorniamo al nostro testo. Bisogna essere presenti a se stessi, imparare a leggere il proprio corpo (altrimenti siete
anti-B.B.). Stendetevi al sole, aprite le braccia. E seguite molto lentamente col pollice della mano destra quella linea
invisibile che sale dall'anulare per tutto il braccio fino al gomito, fino all'ascella. Una linea uguale c' nelle vostre
gambe. Sono linee di sensibilit. la vostra mappa della tenerezza. Esistono altre linee di tenerezza: lungo la colonna
vertebrale, sulla nuca, sul ventre, sulle spalle... Se voi non le conoscete allora nel vostro corpo si produce, cos come
avviene nella vostra psiche, una rimozione... I territori del corpo che la vostra sensibilit non abita, che il vostro
pensiero non visita, sono delle terre disgraziate... La circolazione vi stenta, esse mancano di tono. O ancora la
cellulite (!) tende a istallarvisi definitivamente... In altri termini: se non fate le vostre devozioni corporali, se peccate
per omissione, sarete puniti. Tutto quello di cui soffrite dipende da irresponsabilit colpevole verso voi stessi (verso la
vostra salvezza). Un singolare terrorismo morale soffia su questa mappa della tenerezza (e che equivale al
terrorismo puritano, se non che qui non pi Dio a punirvi, il vostro stesso corpo - istanza all'improvviso malefica,
repressiva, che si vendica se non siete teneri con lui). Ben si vede come questo discorso, col pretesto di riconciliare
ciascuno col proprio corpo, reintroduce appunto, tra il soggetto e il corpo oggettivato come doppio minaccioso, le
stesse relazioni della vita sociale, le stesse determinazioni dei rapporti sociali: ricatto, repressione, sindrome di
persecuzione, nevrosi coniugale (quelle donne che leggono queste righe leggeranno qualche pagina dopo: Se non
siete carine con vostro marito, porterete la responsabilit del fallimento del vostro matrimonio ), astraendo dunque da
questo terrorismo latente che si rivolge, in Elle , pi specificatamente alle donne, la cosa interessante la
suggestione di involvervi nel vostro corpo e di rivestirlo narcisisticamente dall'interno , non certo per conoscerlo in
profondit, bens, secondo tutta una logica feticista e spettacolare, per costituirlo, verso l'esterno, come oggetto pi
liscio, pi perfetto, pi funzionale. Questa relazione narcisistica, ma di un narcisismo guidato, tale da operare sul
corpo come in un territorio vergine e colonizzato, tale da esplorare teneramente il corpo come un giacimento
da sfruttare per farne scaturire i segni visibili della felicit, della salute, della bellezza, dell'animalit trionfante sul
mercato della moda, questa relazione .trova la sua espressione mistica nelle seguenti confessioni di lettrici:
Scoprivo il mio corpo. La sensazione mi afferrava in tutta la sua purezza . Meglio ancora: ... Ci fu come un
abbraccio tra me e il mio corpo. Mi sono messa ad amarlo. E, amandolo mi sono voluta occupare di lui, con la stessa
tenerezza che avevo per i miei figli . Significativa questa involuzione regressiva dell'affettivit verso il
corpo/bambino, il corpo/ninnolo - metafora inesauribile di un pene coccolato, cullato... e castrato. In questo senso il
corpo, divenuto il pi bell'oggetto della sollecitudine, monopolizza a proprio vantaggio tutta l'affettivit detta normale
(nei riguardi di altre persone reali), senza per questo assumere un valore proprio, poich, in questo processo di
sviamento affettivo, qualsiasi altro oggetto pu, secondo la stessa logica feticista, svolgere questo ruolo. Il corpo non
che il pi bello di questi oggetti psichicamente posseduti, manipolati, consumati.
Ma l'essenziale che questo reinvestimento narcisistico, orchestrato come mistica della liberazione e del
compimento, in effetti sempre simultaneamente un investimento di tipo efficace, concorrenziale, economico. Il corpo
cos riappropriato , lo a tutta prima in funzione di obiettivi capitalistici : in altre parole se investito solo per
farlo fruttare. Questo corpo riappropriato non lo secondo le finalit autonome del soggetto, ma secondo un principio
normativo di godimento e di resa edonistica, secondo una costrizione strumentale direttamente ancorata sul codice e
sulle norme di una societ di produzione e di consumo guidato. In altri termini si gestisce il proprio corpo, lo si
amministra come un patrimonio, lo si manipola come uno dei molteplici significanti dello status sociale. La donna di
cui sopra che dice di occuparsi di lui colla stessa tenerezza che ha per i propri figli , aggiunge anche: Ho
cominciato a frequentare gli istituti di bellezza... Le persone che mi hanno visto dopo questa crisi mi hanno trovata pi
felice, pi bella... Recuperato come strumento di godimento e esponente di prestigio, il corpo dunque l'oggetto di
un lavoro di investimento sollecitudine ossessione) che, dietro al mito della liberazione con cui lo si vuole coprire,
costituisce senza dubbio un lavoro pi profondamente alienato dello sfruttamento del corpo nella forza lavoro 1.
La bellezza funzionale
In questo lungo processo di sacralizzazione del corpo come valore esponenziale, del corpo funzionale, vale a dire che
non pi n carne come nella visione religiosa, n forza-lavoro, come nella logica industriale, ma ripreso nella
sua materialit (o nella sua idealit visibile) come oggetto di culto narcisistico o elemento tattico o di rituale sociale, i
due maggiori leitmotiv sono costituiti dalla bellezza e dall'erotismo.
Essi sono inseparabili e costituiscono da soli questa nuova etica della relazione col corpo. Validi sia per l'uomo che
per la donna essi si differenziano per in un polo femminile e in un polo maschile. Frineismo e atletismo; con questi
termini si potrebbero definire i due modelli contrastanti, i cui dati essenziali, del resto, si scambiano. Il modello
femminile detiene tuttavia una specie di priorit, un po' lo schema direttivo della nuova etica, e non un caso se in

Elle che si trova il tipo di documentazione analizzata in precedenza 2.


La bellezza diventata per la donna un imperativo assoluto, religioso. Essere belle non pi un effetto di natura, n
un sovrappi delle qualit morali. la qualit fondamentale, imperativa di colei che cura il proprio viso e la propria
linea come se fosse la sua anima. Segno di elezione al livello del corpo, cos come lo la riuscita al livello degli affari.
Del resto bellezza e riuscita ricevono nelle loro rispettive riviste lo stesso o fondamento mistico: presso la donna la
sensibilit che esplora ed evoca dall'interno tutte le parti del corpo - presso l'imprenditore l'intuizione adeguata di
tutte le possibilit del mercato. Segno di elezione e di salvezza; l'etica protestante non lontana. E in verit la
bellezza un imperativo cos assoluto solo perch una forma del capitale.
Andiamo pi a fondo in questa stessa logica: l'etica della bellezza, che coincide con quella della moda, si pu definire
come la riduzione di tutti i valori concreti, i valori d'uso del corpo (energetico, gestuale, sessuale) a un solo
valore di scambio funzionale che riassume da solo, nella sua astrazione, l'idea del corpo glorioso, completo, l'idea
del desiderio e del godimento - e con ci stesso ovviamente li nega e li dimentica nella loro realt per esaurirsi in uno
scambio di segni. Infatti la bellezza non nient'altro che un materiale di segni che si scambiano. Essa funziona come
valore/segno. Ecco perch si pu dire che l'imperativo della bellezza una delle modalit dell'imperativo funzionale
valido per gli oggetti come per le donne (e gli uomini) - infatti l'estetista che ciascuna donna diventata per se stessa
l'omologo del designer e dello stilista nell'industria.
Del resto se si considerano i principii dominanti dell'estetica industriale - il funzionalismo - si vede che essi si
applicano tout court alla mappa della bellezza: B.B. che sta bene nella sua pelle o che aderisce perfettamente
alla sua veste , lo stesso schema di congiunzione armoniosa della funzione e della forma .
L'erotismo funzionale
Insieme alla bellezza cos come l'abbiamo appena definita, e la sessualit che oggi orienta ovunque la riscoperta
e il consumo del corpo. L'imperativo della bellezza, che l'imperativo dello sfruttamento del corpo mediante
l'espediente di un reinvestimento narcisistico, implica l'erotico come sfruttamento sessuale. Bisogna distinguere
chiaramente l'erotico come dimensione generalizzata dello scambio nelle nostre societ, dalla sessualit
propriamente detta. Bisogna distinguere il corpo erotico, supporto dei segni di scambio del desiderio, dal corpo luogo
del fantasma e ricettacolo del desiderio. Nel corpo/pulsione, nel corpo/fantasma predomina la struttura individuale del
desiderio. Nel corpo o erotizzato a predominare la funzione sociale dello scambio. In questo senso, l'imperativo
erotico, che, come la gentilezza o tanti altri rituali sociali, passa per un codice strumentale di segni, non (come
l'imperativo estetico della bellezza) che una variante o una metafora dell'imperativo funzionale.
Il calore della donna di Elle quello stesso dell'arredamento moderno: un calore di ambiente . Non
discende pi dall'intimit, dalla sensualit. ma dal Significato sessuale calcolato. La sensualit calore. Questa
sessualit calda e fredda, come il gioco dei colori caldi e freddi di un interno funzionale . Ha la stessa
bianchezza delle forme avvolgenti degli oggetti moderni stilizzati e eleganti . In realt, a differenza di quanto
di solito si dice, non pi neppure una frigidit , infatti la frigidit sottintende ancora una risonanza sessuale dello
stupro. L'indossatrice non frigida: un'astrazione.
Il corpo dell'indossatrice non . pi oggetto di desiderio, ma oggetto funzionale, insieme di segni dove si mescolano la
moda e l'erotico. Non pi una sintesi di gesti, anche se la fotografia di moda dispiega tutta la sua arte per ricreare
attraverso un processo di simulazione 3 il gestuale e il naturale, non pi propriamente parlando un corpo, bens una
forma.
su questo punto che tutti i censori moderni si ingannano (o vogliono ingannarsi): il fatto che nella pubblicit e nella
moda, il corpo nudo (della donna o dell'uomo) si rifiuta come carne, come sesso, come finalit del desiderio,
strumentalizzando al contrario le singole parti del corpo 4 in un gigantesco processo di sublimazione, di scongiuro del
corpo nella sua stessa evocazione.
Come l'erotico nei segni, mai nel desiderio, cos la bellezza funzionale delle indossatrici nella linea , mai
nell'espressione. L'indossatrice persino e soprattutto assenza di espressione. La irregolarit o la bruttezza farebbero
risorgere un senso: esse sono escluse. Infatti la bellezza tutt'intera nell'astrazione, nel vuoto, nell'assenza e nella
trasparenza estatica. Questa disincarnazione si riassume al limite nello sguardo. Questi occhi affascinati/ affascinanti,
nell'abisso, questo sguardo senza oggetto - insieme super - significazione del desiderio e assenza totale del desiderio
- sono belli nella loro vuota erezione, nell'esaltazione della loro censura. la loro funzionalit. Occhi di Medusa, occhi
sbalorditi, segni puri. Cos lungo tutto il corpo svelato, esaltato, in questi occhi spettacolari, disegnati dalla moda e non
dal piacere, il senso stesso del corpo, la verit del corpo che si annulla in un processo ipnotico. in questa misura
che il corpo, soprattutto quello femminile, e pi in particolare quello del modello assoluto che l'indossatrice, si
costituisce come oggetto omologo ad altri oggetti asessuati, funzionali, messi in circolazione dalla pubblicit.
Principio di piacere e forza produttiva
Inversamente il pi piccolo degli oggetti investiti implicitamente sul modello del corpo/oggetto della donna, si feticizza
nella stessa maniera. Di qui l'impregnazione generalizzata di tutto il dominio del consumo ad opera dell'erotismo.
E questa non una moda nel senso lato del termine, ma la logica propria e rigorosa della moda. Corpi e oggetti

costituiscono di segni omogenei che possono sulla base dell'astrazione di cui si appena parlato, scambiare i loro
significati ( propriamente l il loro valore di scambio ) e sfruttarsi reciprocamente.
Questa omologia del corpo e degli oggetti introduce ai meccanismi profondi del consumo in quanto diretto. Se la
riscoperta del corpo sempre quella del corpo/oggetto nel contesto generalizzato degli altri oggetti, si vede come
facile, logico e necessario, il passaggio dall'appropriazione funzionale del corpo all'appropriazione dei beni e degli
oggetti nell'acquisto. noto del resto che l'erotica e l'estetica moderna del corpo ruotano in un ambiente copioso di
prodotti, di gadgets, di accessori, sotto il segno della totale sofisticazione. Dall'igiene al maquillage, passando per
l'abbronzatura, lo sport, e le molteplici liberazioni della moda, la riscoperta del corpo passa, innanzi tutto
attraverso gli oggetti. Sembra anzi che la sola pulsione veramente liberata sia la pulsione d'acquisto. Citiamo, ancora
una volta, la donna che avendo avuto il colpo di fulmine per il proprio corpo, si precipita verso l'istituto di bellezza. Il
caso inverso d'altronde ancor pi frequente, il caso di quelle donne che si dedicano alle lozioni, ai massaggi, alle
cure, nella speranza di riscoprire il proprio corpo . L'equivalenza teorica del corpo e degli oggetti come segni
permette infatti l'equivalenza magica: Comprate e vi troverete a vostro agio nella vostra pelle .
L tutta la psicofunzionalit analizzata qui sopra assume tutto il suo senso economico e ideologico. Il corpo fa
vendere. La bellezza fa vendere. L'erotismo fa vendere. E non questa la minore delle ragioni che, in ultima analisi,
orientano il processo storico di liberazione del corpo . Avviene per il corpo come per la forza-lavoro. Bisogna che
sia liberato, emancipato per poter essere sfruttato razionalmente per dei fini produttivi. Come e necessario che si
mettano in moto la libera determinazione e l'interesse personale - principi formali della libert individuale del
lavoratore - perch la forza-lavoro si possa trasformare in domanda salariale e in valore di scambio, ugualmente
necessario che l'individuo possa riscoprire il proprio corpo e investirlo narcisisticamente - principio formale del piacere
- perch la forza del desiderio si possa mutare in domanda di oggetti/segni manipolabili razionalmente. Occorre che
l'individuo si assuma lui stesso come oggetto, come il pi bello degli oggetti, come il pi prezioso materiale di
scambio, perch si possa istituire al livello del corpo distrutto, della sessualit distrutta, un processo economico di
redditivit.
Moderna strategia del corpo
Tuttavia questo obiettivo produttivistico, questo processo economico di redditivit per cui, al livello del corpo, si
generalizzano le strutture sociali di produzione, senza dubbio ancora secondario in rapporto alle finalit di
integrazione e di controllo sociale messe in atto per mezzo di tutto il dispositivo mitologico e psicologico centrato sul
corpo.
Nella storia delle ideologie, quelle relative al corpo hanno avuto per lungo tempo valore critico di contestazione delle
ideologie di tipo spiritualistico, puritano, moraleggiante, centrate sull'anima o su qualche altro principio immateriale.
Fin dal Medio Evo, tutte le eresie hanno qualche modo un orientamento di rivendicazione carnale, di resurrezione
anticipata dei corpi nei confronti del rigido dogma delle Chiese ( la tendenza adamitica sempre risorgente,
sempre condannata dal l'ortodossia). Dal XVIII secolo le filosofie sensiste, empiriste, materialiste hanno battuto in
breccia i dogmi spiritualisti tradizionali. Sarebbe interessante analizzare da vicino il lento processo di disgregazione
storica di questo valore fondamentale chiamato anima, attorno al quale si organizzava tutto lo schema individuale
della salvezza e ovviamente anche tutto il processo di integrazione sociale. Questa lunga desacralizzazione e
secolarizzazione a favore del corpo ha attraversato tutta l'era occidentale: i valori del corpo furono valori sovversivi,
sede della pi acuta contraddizione ideologica. Che ne oggi di questi valori che hanno diritto di cittadinanza e si
sono imposti come una nuova etica (ci sarebbe molto da dire a questo proposito, siamo piuttosto in una fase di
scontro tra l'ideologia puritana e quella edonistica, che mescolano il loro discorso a tutti i livelli)? Vediamo che il corpo,
oggi apparentemente trionfante, invece di costituire ancora un'istanza viva e contraddittoria, un istanza di
demistificazione , ha semplicemente interpretato il mutamento del nostro tempo come m'e istanza mitica, come
dogma e come schema di salvezza. La sua scoperta che fu per lungo tempo una critica del sacro, verso una maggior
libert, verit ed emancipazione, in breve una lotta per l'uomo contro Dio, si attua al giorno d'oggi sotto il segno della
risacralizzazione. Il culto del corpo non pi in contraddizione con quello dell'anima: semplicemente gli succede
ereditando cos la sua funzione ideologica. Come ha detto Norman Brown: conviene non lasciarsi fuorviare
dall'antinomia assoluta tra il sacro e il profano e non interpretare come una "secolarizzazione" quella che una
metamorfosi del sacro 5.
L'evidenza materiale del corpo liberato (ma lo si visto: liberato come oggetto/segno e censurato nella sua realt
sovversiva del desiderio tanto nell'erotismo quanto nello sport e nell'igiene) non ci deve ingannare - essa segna
semplicemente la sostituzione di un'ideologia scaduta, quella dell'anima, inadeguata rispetto a un sistema produttivo
evoluto e ormai incapace di assicurare l'integrazione ideologica, con una ideologia moderna pi funzionale, che per lo
pi conserva il sistema di valori individualistico e le strutture sociali ad esso legate. Anzi li rafforza persino, dando loro
una base pressoch definitiva, in quanto sostituisce l'immanenza totale, l'evidenza spontanea del corpo alla
trascendenza dell'anima. Ora questa evidenza falsa. Il corpo quale lo istituisce la mitologia moderna non ha un
carattere pi materiale dell'anima. Al pari di questa un'idea o piuttosto, poich il termine idea non vuol dire un
granch: un oggetto parziale ipostatizzato, un doppio privilegiato, e investito in quanto tale. diventato cio quello
che a suo tempo era l'anima, il supporto privilegiato dell'obiettivazione, il mito guida di un'etica del consumo. Si

constata il corpo strettamente legato alle finalit della produzione come supporto (economico), come principio di
integrazione (psicologica) diretto dell'individuo, e come strategia (politica) del controllo sociale.
Il corpo il femminile?
Ritorniamo al problema anticipato all'inizio: quello del ruolo devoluto alla donna e al corpo della donna, come veicolo
previlegiato della bellezza, della sessualit, del narcisismo in quanto diretto. Infatti evidente che questo processo di
riduzione del corpo a valore di scambio estetico/erotico riguarda sia il maschio che la femmina - abbiamo proposto per
questo due termini: atletismo e frineismo, il frineismo essendo grosso modo definito dalla donna di Elle e dalle
riviste di moda - l'atletismo maschile trovando il suo modello pi ampio nell' atletismo dei quadri (superiori), cos
come proposto dappertutto dalla pubblicit, dal cinema, dalla letteratura di massa: occhio vivo, spalle larghe, agilit
muscolare, automobile sportiva. Questo modello atletico ingloba l'atletismo sessuale: l'alto dirigente tecnico dei piccoli
annunci di Le Monde anche l'uomo di Lui . Ma infine qualunque sia qui la parte spettante al modello maschile
6
o ai modelli ermafroditi di transizione, i giovani costituiscono una specie di terzo sesso. luogo di una sessualit
polimorfa e perversa 7 - tuttavia la donna che orchestra, o piuttosto sulla quale si orchestra, questo grande mito
estetico/erotico. Bisogna trovare di ci una ragione diversa da quelle, archetipe, del tipo: la sessualit la donna,
perch la natura, ecc. . vero che nell'era storica che ci riguarda, la donna si trovata confusa colla sessualit
malefica e condannata come tale. Ma questa condanna morale/sessuale completamente sottesa da una schiavit
sociale: la donna e il corpo hanno condiviso la stessa schiavit, la stessa segregazione lungo tutta la storia
occidentale. La definizione sessuale della donna di origine storica: la repressione del corpo e lo sfruttamento della
donna sono posti sotto lo stesso segno secondo cui ogni categoria sfruttata (dunque minacciosa) prende
automaticamente una definizione sessuale. I negri sono sessualizzati per la stessa ragione, non perch essi
sarebbero pi vicini alla natura , ma perch essi sono servi e sfruttati. La sessualit rimossa, sublimata, di tutta una
civilt si congiunge forzatamente con le categorie la cui repressione sociale, la cui soggezione costituisce la base
stessa di questa cultura.
Ora se la donna e il corpo furono solidali nella schiavit, anche l'emancipazione della donna e l'emancipazione del
corpo sono logicamente e storicamente legati. (Per delle ragioni simili l'emancipazione dei giovani loro collegata).
Ma vediamo che questa emancipazione simultanea si attua senza che sia in alcun modo abolita la confusione
ideologica fondamentale tra la donna e la sessualit - l'ipoteca puritana fa sentire ancora tutto il suo peso. O meglio
solo oggi essa assume tutta la sua ampiezza, poich la donna un tempo asservita in quanto sesso, oggi liberata
in quanto sesso. Sicch si nota un approfondimento, sotto tutte le forme, di questa confusione ormai pressoch
irreversibile, poich nella misura in cui si libera la donna si confonde sempre pi col proprio corpo. Ma abbiamo
visto in quali condizioni: di fatto, la donna apparentemente liberata si confonde col suo corpo apparentemente liberato.
Si pu dire delle donne, come del corpo, dei giovani e di tutte le categorie la cui emancipazione costituisce il leitmotiv
delle moderne societ democratiche: tutto ci nel cui nome sono emancipati - l'erotismo, la libert sessuale, il
gioco, ecc. - si istituzionalizza in un sistema di valori di tutela . Valori irresponsabili , che orientano nello stesso
tempo i comportamenti consumistici e la segregazione sociale - l'esaltazione stessa l'eccesso di onore impedendo la
reale responsabilit economica e sociale.
La donna, i giovani, il corpo, la cui emergenza dopo millenni di schiavit e di oblio costituisce in effetti la virtualit pi
rivoluzionaria, e dunque il rischio pi serio per qualunque ordine costituito, sono integrati e recuperati come mito di
emancipazione . Si d da consumare la Donna alla donna, i Giovani al giovani, e, in questa emancipazione formale e
narcisistica, si riesce a scongiurare la loro liberazione reale. O ancora, assegnando i giovani alla rivolta (giovani =
rivolta) si prendono due piccioni con una fava: si scongiura la rivolta diffusa in tutta la societ assegnandola a una
categoria particolare, e si neutralizza questa categoria circoscrivendola in un ruolo particolare: la rivolta. Mirabile
circolo vizioso dell'emancipazione diretta che si ritrova anche nel caso delle donne: confondendo la donna colla
liberazione sessuale, si neutralizza l'una per mezzo dell'altra. La donna si consuma attraverso la liberazione
sessuale, la liberazione sessuale si consuma attraverso la donna. Non un gioco di parole. Uno dei processi
fondamentali del consumo questa autonomizzazione formale dei gruppi, delle classi, delle caste (e dell'individuo) a
partire dall'autonomizzazione formale di sistemi di segni e di regole, e in virt di questa.
Non si tratta di negare l'evoluzione reale dello status delle donne e dei giovani come categorie sociali: in effetti
essi sono pi liberi, votano, acquistano dei diritti, lavorano di pi e pi presto. Allo stesso modo sarebbe vano negare
l'importanza oggettiva attribuita alcorpo, alle sue cure e ai suoi piaceri, il supplemento di corpo e di sessualit di
cui beneficia oggi l'individuo medio. Siamo lontani dalla liberazione sognata di Rimbaud, ma infine, ammettiamo
che in tutto questo ci sia una pi grande libert di manovra e una maggiore integrazione positiva delle donne, dei
giovani, dei problemi del corpo. Quel che vogliamo dire che questa relativa emancipazione concreta, infatti essa non
che l'emancipazione della donna, dei giovani, del corpo in quanto categorie immediatamente ancorate a una pratica
funzionale, si duplica in una trascendenza mitica, o meglio si sdoppia in una trascendenza mitica, in una
obiettivazione come mito. L'emancipazione di certe donne (e, perch no, quella relativa di tutte) non in qualche
modo che il beneficio secondario, la ricaduta, l'alibi di questa immensa operazione strategica che consiste nel
circoscrivere nell'idea della donna e del suo corpo tutto il pericolo sociale della liberazione sessuale , nel circoscrivere
nell'idea della liberazione sessuale, (nell'erotismo ) il pericolo della liberazione della donna, nello scongiurare nella
Donna/Oggetto tutti i pericoli della liberazione sociale delle donne 8.

Il culto della medicina: la forma


Dalla relazione attuale col corpo, che meno una relazione col corpo vero e proprio di quanto non sia una relazione
col corpo funzionale e personalizzato , si deduce la relazione colla salute. Quest'ultima si definisce come funzione
generale di equilibrio del corpo allorch essa mediata da una rappresentazione strumentalistica del corpo. Mediata
da una rappresentazione del corpo come bene di prestigio, essa diviene esigenza funzionale di status. A partire da
questo punto essa entra nella logica concorrenziale e si traduce in una domanda virtualmente illimitata di servizi
medici, chirurgici, farmaceutici - domanda compulsiva, legata all'investimento narcisistico del corpo/oggetto (parziale),
e domanda di status legata ai processi di personalizzazione e di mobilit sociale - domanda che, in ogni modo, ha
solo un lontano rapporto con il diritto alla salute , moderna estensione dei diritti dell'uomo, complementare al diritto
alla libert e alla propriet. La salute ai nostri giorni meno un imperativo biologico legato alla sopravvivenza di
quanto non sia un imperativo sociale legato allo status. meno un valore fondamentale di quanto non sia uno
sfruttamento. la forma, nella mistica dello sfruttamento, che si congiunge immediatamente alla bellezza. I loro segni
si scambiano nel quadro della personalizzazione, questa manipolazione ansiosa e perfezionista della funzione/segno
del corpo. Questa sindrome corporale dello sfruttamento, che collega il narcisismo col prestigio sociale, si pu leggere
assai chiaramente anche in un senso inverso, nel fatto attuale, molto generalizzato, e che si deve considerare uno
degli elementi essenziali dell'etica moderna: qualsiasi delusione in relazione al prestigio, qualsiasi rovescio sociale o
psicologico viene immediatamente somatizzato.
dunque superficiale pretendere che oggi la pratica medica (la pratica del medico) si sia dissacrata , che le
persone, perch vanno pi spesso, pi liberamente dal loro medico, perch usano e abusano senza complesso (ci
che del resto non neppur vero) di questa prestazione sociale democratizzata, si avvicinano a una pratica
oggettiva della salute e della medicina. La medicina consumata democraticamente non ha perduto nulla della
sua sacralit e della sua funzionalit magica. Ma evidentemente non pi quella, tradizionale, che si applicava, nella
persona del medico-sacerdote, dello stregone, dei guaritore, all'operazione del corpo pratico, del corpo considerato
come strumento insidiato da fatalit estranee, cos come appariva ancora nella visione contadina e primaria, in cui il
corpo non interiorizzato come valore personale, non personalizzato. Attraverso il corpo non si attua la propria
salute, non si firma il proprio status sociale. Il corpo uno strumento di lavoro e un mana, vale a dire forza efficiente.
Se si guasta, il medico restituisce il mana al corpo. Questo tipo di magia e lo status corrispondente del medico
tendono a scomparire. Ma non lasciano posto nella visione moderna, a una rappresentazione oggettiva del corpo.
Lasciano il posto a due modalit complementari: investimento narcisistico e sfruttamento: dimensione psichica e
dimensione di status sociale. in questo senso che si rielabora la posizione del medico e della salute. soltanto ora,
attraverso la riscoperta e la sacralizzazione individuale del corpo, che la medicina assume tutta la sua portata (allo
stesso modo in cui fu con la cristallizzazione mitica di un' anima individuale che la clericit come istituzione
trascendente aveva preso tutto il suo slancio).
Le religioni primitive non conoscevano sacramenti , conoscevano una pratica collettiva.
coll'individualizzazione del principio di salvezza (principalmente nella spiritualit cristiana) che si istituiscono i
sacramenti e gli officianti ad essi preposti. coll'individuazione anche pi spinta della coscienza che si istituisce la
confessione individuale, il sacramento per eccellenza. Fatte salve tutte le differenze e consapevoli dei rischi
dell'analogia, avviene lo stesso anche per noi nei confronti del corpo e della medicina: con la somatizzazione (nel
senso pi largo, e non clinico, del termine) individuale generalizzata, con il corpo divenuto oggetto di prestigio e di
salvezza, valore fondamentale, che il medico diviene confessore , assolutore , officiante , e che la classe
medica si installa nel superprivilegio sociale che attualmente suo.
Sul corpo privatizzato, personalizzato, convergono sempre pi ogni sorta di condotta sacrificale, di autosollecitudine e
di congiura maligna, di gratificazione e di repressione - tutto un fascio di consumi secondari, irrazionali , senza
finalit terapeutiche e che giungono fino alla trasgressione degli imperativi economici (la met degli acquisti di
medicine si fa senza ricetta, persino da parte degli assicurati delle mutue): a che cosa obbedisce questa condotta se
non al pensiero profondo secondo cui occorre (ed sufficiente) che si paghi qualcosa perch in cambio sia data la
salute: consumo rituale, sacrificale pi che cura medica. Domanda compulsiva di medicine nelle classi inferiori ,
domanda del medico nelle classi agiate; il fatto poi che il medico sia per queste ultime piuttosto lo psicoanalista del
corpo , e per le prime piuttosto dispensatore di beni e di segni materiali, non toglie che in tutti i modi medico e
medicina hanno una virt culturale pi che una funzione terapeutica, e che sono consumati come mana virtuale .
Ci secondo un'etica dei tutto moderna la quale, all'opposto dell'etica tradizionale secondo cui il corpo doveva servire,
ingiunge a ciascun individuo di mettersi al servizio del proprio corpo (cfr. l'articolo di Elle ). Si ha il dovere di curare
se stessi cos come si ha quello di diventar colti, in qualche modo un tratto di rispettabilit. La donna moderna
contemporaneamente la vestale e la manager del proprio corpo, ella vigila per custodirlo bello e competitivo. Il
funzionale e il sacro si mescolano qui in modo inestricabile. E il medico associa nella propria persona la riverenza

dovuta all'esperto a quella dovuta al sacerdote.


L'ossessione della snellezza: la linea
Si pu comprendere l'ossessione di conservare la linea alla luce dello stesso imperativo categorico. Ovviamente
(basta gettare uno sguardo alle altre culture) bellezza e snellezza non hanno alcuna affinit naturale. Il grasso e
l'obesit furono, altrove e in altre epoche, segni di bellezza. Ma questa bellezza imperativa, universale e democratica,
inscritta come un diritto e un dovere universale sulla facciata della societ dei consumi, indissociabile dalla
snellezza. La bellezza non potrebbe essere grassa o snella, pesante o slanciata come lo poteva essere nella
definizione tradizionale basata sull'armonia delle forme. Essa non pu essere che snella e slanciata secondo la
definizione attuale della logica combinatoria dei segni, retta da quella stessa economia algebrica che propria della
funzionalit degli oggetti o dell'eleganza di un diagramma. Essa sar anzi piuttosto magra e disincarnata nel profilo
delle modelle e delle indossatrici, che sono nello stesso tempo la negazione della carne e l'esaltazione della moda.
Il fatto pu apparire strano: infatti se definiamo il consumo, tra l'altro, come generalizzazione dei processi combinatori
della moda, sappiamo che la moda pu giocare su tutto, sui termini inversi, indifferentemente sull'antico e sul nuovo,
sul bello e sul brutto (nella loro definizione classica), sul morale e sull'immorale; ma essa non pu giocare
sulla grassezza e sulla snellezza. Ha l un limite assoluto. Forse in una societ del superconsumo (alimentare), la
snellezza diviene un segno distintivo in s? Anche se la snellezza gioca come tale in rapporto a tutte le culture e le
generazioni anteriori, in rapporto alle classi contadine e inferiori , si sa che non ci sono segni distintivi in s, ma
solo segni formali inversi (l'antico e il nuovo, il lungo e il corto [delle gonne], ecc.) che si danno il cambio come segni
distintivi e si alternano per rinnovare il materiale, senza che nessuno di essi soppianti definitivamente l'altro. Ora nel
dominio della linea , dominio per eccellenza della moda, paradossalmente il ciclo della moda non ha pi alcun
ruolo da svolgere. Bisogna che vi sia qualcosa di pi fondamentale della distinzione, e che deve essere legato al
modo stesso di complicit con il proprio corpo che abbiamo visto istituirsi nell'era contemporanea.
La liberazione del corpo ha per effetto quello di costituirlo come un oggetto di sollecitudine. Ora, come tutto quello,
che riguarda il corpo e la relazione col corpo, questa sollecitudine ambivalente, mai solamente positiva, ma anche
negativa. Il corpo sempre liberato come oggetto simultaneo di questa doppia sollecitudine 9. Di conseguenza
l'immenso processo di sollecitudine gratificante che abbiamo descritto come istituzione moderna del corpo si sdoppia
in un investimento uguale e anch'esso considerevole di sollecitudine repressiva.
appunto questa sollecitudine repressiva che si esprime in tutte le ossessioni collettive relative al corpo. L'igiene
sotto tutte le sue forme, con i suoi fantasmi di sterilit, di asepsi, di profilassi, o, al contrario, di promiscuit, di
contaminazione di polluzione - che tendono a esorcizzare il corpo organico e in particolare le funzioni di
escrezione e di secrezione - mira a una definizione del corpo negativa, per eliminazione, come oggetto levigato,
senza difetto, asessuato, salvaguardato da ogni aggressione esterna e perci protetto contro se stesso. L'ossessione
dell'igiene non tuttavia l'erede diretta della morale puritana. Questa negava, riprovava, reprimeva il corpo. In modo
pi sottile, l'etica contemporanea lo santifica nella sua astrazione igienica, in tutta la sua purezza di significante
disincarnato - da cosa?, dal desiderio dimenticato, censurato. Questo spiega perch la compulsione igienica (fonica,
ossessiva) sempre vicina. Nell'insieme tuttavia, la preoccupazione igienica non fonda un'etica del pathos, ma una
morale ludica: essa elude i fantasmi profondi a vantaggio di una religione del corpo, superficiale, cutanea.
Prendendosi amorevolmente cura di esso, previene ogni collusione del corpo e del desiderio. Essa, tutto
sommato, si avvicina di pi alle tecniche sacrificali di preparazione del corpo presso le societ primitive, tecniche
ludiche di controllo e non di repressione, che non all'etica repressiva dell'era puritana.
Ben pi che nell'igiene, nell'ascesi delle diete alimentari che si scorge la pulsione aggressiva verso il corpo,
pulsione liberata contemporaneamente al corpo stesso. Le societ antiche avevano le loro pratiche rituali del
digiuno. Pratiche collettive legate alla celebrazione delle feste (prima o dopo - digiuno prima della comunione - digiuno
dell'Avvento - Quaresima dopo il Marted grasso), esse avevano la funzione di drenare e riassorbire nell'osservanza
collettiva tutta questa pulsione aggressiva diffusa verso il corpo (tutta l'ambivalenza del rapporto con gli alimenti e il
consumo). Ora queste varie istituzioni del digiuno e della mortificazione sono cadute in disuso come tanti arcaismi
incompatiIili con la liberazione totale e democratica del corpo. La nostra societ dei consumi non sopporta
evidentemente pi, anzi esclude per principio, ogni norma restrittiva. Ma, liberando il corpo in ogni sua virtualit di
appagamento. ha creduto di liberare un rapporto di armonia naturalmente preesistente nell'uomo, tra lui e il suo corpo.
C' qui un errore fantastico. Tutta la pulsione aggressiva antagonista liberata allo stesso tempo, e ormai non pi
canalizzata dalle istituzioni sociali, rifluisce oggi nella profondit stessa della sollecitudine universale per il corpo.
essa che anima quell'autentica impresa di autorepressione che oggi affligge un terzo delle popolazioni adulte dei
paesi supersviluppati (e il 50% delle donne: inchiesta americana; 300 adolescenti su 446 seguono una dieta).
questa pulsione che, al di l delle determinazioni della moda (ancora una volta incontestabili), alimenta questo
accanimento autodistruttivo insopportabile, irrazionale, in cui la bellezza e l'eleganza, che erano i motivi originali, non
sono pi che un alibi per un ossessionante esercizio disciplinare quotidiano. Il corpo diviene, in un rovesciamento
totale, questo oggetto minaccioso che bisogna sorvegliare, ridimensionare, mortificare per fini estetici , gli occhi
fissi su le modelle scheletriche, spolpate di Vogue , in cui si pu decifrare tutta l'aggressivit inversa di una societ
dell'abbondanza contro il proprio trionfalismo del corpo, tutte le veementi negazioni dei propri principi.

Questo congiungimento della bellezza e della repressione nel culto della linea (in cui il corpo, nella sua materialit e
nella sua sessualit, non ha in fondo pi nulla a che vedere, ma gioca come supporto di due logiche del tutto differenti
da quella della soddisfazione: l'imperativo di moda principio dell'organizzazione sociale, e l'imperativo di morte,
principio di organizzazione psichica) uno dei grandi paradossi della nostra civilt. La mistica della linea, il fascino
della snellezza, funzionano cos profondamente solo perch sono delle forme di violenza, solo perch il corpo vi
propriamente sacrificato, ad un tempo irrigidito nella sua perfezione e violentemente vivificato come nel sacrificio.
Tutte le contraddizioni di questa societ sono riassunte qui al livello del corpo.
Scandi-Sauna vi dar per la sua azione efficace: giusto giro di vita - giusta circonferenza di anche giuste
circonferenze di cosce - giusta circonferenza di polpaccio - ventre piatto - tessuti rigenerati - carni rassodate - pelle
liscia - silhouette nuova .
Dopo tre mesi di utilizzazione di Scandi-Sauna... ho perduto i miei chili superflui, e per lo stesso motivo ho
guadagnato una forma fisica e un equilibrio psichico rimarchevoli .
Negli Stati Uniti gli alimenti poveri di calorie , gli zuccheri artificiali, i burri senza grassi, le diete propagandate da un
grande lancio pubblicitario fanno la fortuna dei loro inventori e dei loro fabbricanti. Si stima che 30 milioni di americani
siano obesi o si ritengano tali.
Il Sex Exchange Standard
Sessualizzazione automatica degli oggetti di prima necessit.
Che l'articolo da catapultare nello spazio commerciale sia una marca di pneumatici o un modello di bara, sempre
nello stesso punto che si cerca di raggiungere l'eventuale cliente: al di sotto della cintura. L'erotismo per l'lite, la
pornografia per la grande massa (Jacques Sternberg).
Teatro nudo (Broodway: Ho Calcutta). La polizia ha autorizzato la rappresentazione a condizione che sulla scena non
vi siano n erezioni n penetrazioni.
Prima fiera della pornografia a Copenhagen: Sex 69 . A differenza da quanto annunciato dai giornali si tratta di una
fiera , non di un festival - vale a dire di una manifestazione essenzialmente commerciale destinata a permettere ai
fabbricanti di materiale pornografico di proseguire la conquista dei mercati... Sembra che i dirigenti di Christiansborg
pensando generosamente di togliere ogni mistero in questo campo, e dunque molta della sua attrattiva, abbiano
sottovalutato l'aspetto finanziario dell'affare. Persone informate, alla ricerca di fruttuosi investimenti, non hanno tardato
a comprendere che quella poteva essere per loro un'inaspettata fortuna, la possibilit di sfruttamento intensivo di
questo settore di consumo appartenente ormai al libero commercio. Cos, essendosi prontamente organizzati, stanno
facendo della pornografia una delle industrie pi redditizie della Danimarca (i giornali).
Non un millimetro di zona erogena lasciato in disparte (J.F. Held).
Dappertutto vi l' esplosione sessuale , la scalata dell'erotismo . La sessualit sempre in prima pagina
nella societ dei consumi, determinando in modo spettacolare tutto il significante delle comunicazioni di massa. Tutto
quello che dato a vedere e a intendere assume ostensibilmente il rilievo sessuale. Tutto ci che offerto al consumo
affetto dall'esponente sessuale. Nello stesso tempo ovviamente, la sessualit stessa che data da consumare. Vi
qui la stessa operazione che abbiamo indicato a proposito della giovent e della rivolta, delle donne e della
sessualit: ancorando sempre pi sistematicamente la sessualit agli oggetti e ai messaggi commercializzati e
industrializzati, si privano questi ultimi della loro razionalit oggettiva e si priva quella della sua finalit esplosiva. La
mutazione sociale e sessuale si compie cos secondo delle strade aperte in cui l'erotismo culturale e pubblicitario
risiede sul terreno sperimentale.
Certo questa esplosione, questa proliferazione contemporanea a dei mutamenti profondi che avvengono nei rapporti
reciproci tra i sessi, nel rapporto individuale col corpo e col sesso. Essa traduce ancor pi l'urgenza reale, sotto
parecchi aspetti nuova, dei problemi sessuali. Ma non neppure sicuro che questo manifesto sessuale della
societ moderna non sia un gigantesco alibi per questi stessi problemi, e che, ufficializzandoli sistematicamente,
non dia loro un'evidenza ingannevole di libert che ne maschera le contraddizioni profonde.
Sentiamo che questa erotizzazione smisurata e che questa mancanza di misura ha un suo senso. Traduce
semplicemente una crisi di desublimazione, di decompressione dai tab tradizionali? In tal caso si potrebbe pensare
che, una volta raggiunta la soglia della saturazione, una volta placata questa frenesia degli eredi del puritanesimo, la
sessualit liberata ritrova il suo equilibrio, divenuta autonoma e svincolata dalla spirale industriale e produttivistica. Si
pu pensare che la scalata cos innescata continui sempre come quella del PNL, come quella della conquista dello
spazio, come quella del rinnovamento in materia di moda e di oggetti, e per le stesse ragioni (J.F. Held): in questa
prospettiva la sessualit definitivamente implicata nel processo illimitato di produzione e di differenziazione
marginale, perch la logica stessa di questo sistema che l'ha liberata in quanto sistema erotico e in quanto
funzione, individuale e collettiva, del consumo.
Respingiamo ogni specie di censura moralistica: non si tratta qui di corruzione e, del resto, sappiamo che la
peggior corruzione sessuale pu essere segno di vitalit, di ricchezza, di emancipazione: essa diviene allora
rivoluzionaria e manifesta la fioritura storica di una classe cosciente della sua vittoria - tale fu il Rinascimento italiano.
Questa sessualit segno di festa. Ma non pi quella, il suo spettro che risorge sul declino di una societ in
segno di morte. La decomposizione di una classe o di una societ finisce sempre per la dispersione individuale dei
suoi membri e (tra le altre cose) per un vero contagio della sessualit come impulso individuale e come ambiente
sociale: tale fu la fine dell'Ancien Rgime. Sembra che una collettivit gravemente dissociata, in quanto recisa dal suo

passato e priva di speranze per l'avvenire, rinasca a un mondo quasi puro dalle pulsioni, mescolando nella stessa
febbrile insoddisfazione le determinazioni immediate del profitto e quelle del, sesso. Lo scombussolamento dei
rapporti sociali, questa collusione precaria e questa concorrenza accanita che costituiscono l'ambiente del mondo
economico si ripercuotono sui nervi e sui sensi, e la sessualit, cessando d essere un fattore di coesione e di
esaltazione comune, diventa una frenesia individuale di profitto. Essa isola ciascuno ossessionandolo. E, tratto
caratteristico, esacerbandosi, diviene ansiosa di se stessa. Non sono pi l'onta, il pudore o la colpevolezza a pesare
su di essa, segni dei secoli e del puritanesimo: questi scompaiono a poco a poco insieme alle norme e agli interdetti
ufficiali. invece l'istanza individuale di repressione, la censura interiorizzata a sanzionate questa liberazione
sessuale. La censura non pi istituita (religiosamente, moralmente, giuridicamente) in opposizione formale alla
sessualit, essa affonda ormai nell'inconscio individuale e si alimenta alle stesse fonti della sessualit. Tutte le
gratificazioni sessuali che ci circondano portano in se stesse la loro propria continua censura. Non c' pi (c' meno)
repressione, ma la censura diventata una funzione della quotidianit.
Nous implanterons une dbauche inoue diceva Rimbeau nelle Villes. Ma la scalata dell'erotismo, la liberazione
sessuale non hanno pi nulla a che vedere con la sfrenatezza di tutti i sensi . La sfrenatezza orchestrata e
l'angoscia sorda che la impregna, lungi dal mutare la vita , compongono proprio un ambiente collettivo, in cui la
sessualit diviene in effetti un affare privato, vale a dire ferocemente cosciente di se stessa, narcisistica e annoiata di
se stessa - l'ideologia stessa di un sistema che essa corona nei costumi e di cui essa un ingranaggio politico. Infatti
al di l degli operatori pubblicitari che giocano sulla sessualit per far vendere meglio, c' l'ordine sociale esistente
che gioca sulla liberazione-sessuale (anche se la condanna moralmente) contro la minacciante dialettica della
totalit.
Simboli e fantasmi della pubblicit
Questa censura generalizzata che definisce la sessualit consumata, non va minimamente confusa con una censura
morale. Essa non sanziona i comportamenti sessuali coscienti in nome di imperativi coscienti: in questo campo, il
lassismo apparente di rigore, tutto lo provoca e lo incoraggia, persino le perversioni possono liberamente espletarsi
(tutto questo relativo certamente, ma le cose stanno andando proprio in questa direzione). La censura istituita dalla
nostra societ nella sua iperestesia sessuale pi sottile: essa gioca al livello dei fantasmi stessi e della funzione
simbolica. Contro di essa tutte le azioni militanti nei confronti della censura tradizionale non possono nulla: esse
combattono un nemico desueto, allo stesso modo in cui le forze puritane (ancora virulente) brandiscono, con la loro
censura e la loro morale, delle armi desuete. Il processo fondamentale si svolge altrove, e non al livello cosciente e
manifesto delle suggestioni, benefiche o malefiche, del sesso. Vi in proposito una terribile ingenuit, presso gli
avversari cos come presso i difensori della libert sessuale, di destra come di sinistra.
Prendiamo qualche esempio pubblicitario sullo champagne Henriot (J.F. Held). Una bottiglia e una rosa. La rosa
prende colore, si dischiude, avanza verso lo schermo, si ingrandisce, diviene turgida; il battito amplificato di un cuore
che batte riempie la sala, accelera, si fa febbrile, folle; il turacciolo comincia a uscire dal collo lentamente,
inesorabilmente, si ingrandisce, si avvicina all'obiettivo, le sue intelaiature in fili di acciaio cedono una ad una. Il cuore,
batte, batte, la rosa si gonfia, ancora il turacciolo - ah! e all'improvviso il cuore si ferma, il turacciolo salta via, il fiotto di
champagne cola in piccole pulsazioni lungo il collo, la rosa impallidisce e si richiude, la tensione va descrescendo .
Ricordiamoci anche di quella pubblicit di rubinetteria, in cui una vamp, inquadrata sempre pi in primo piano, mimava
contorcendosi l'orgasmo progressivo con delle leve e delle tubature, tutto un macchinario fallico e spermatico - e delle
migliaia di esempi simili in cui, gioca a fondo la sedicente persuasione occulta, quella che manipola cos
pericolosamente le nostre pulsioni e i nostri fantasmi e che senza dubbio alimenta molto di pi la cronaca
intellettuale che l'immaginazione dei consumatori. Lancinante e colpevolizzante, la pubblicit erotica provoca in noi dei
moti cos profondi... Una bionda tutta nuda con delle bretelle nere, ed fatta, la partita vinta, il commerciante di
bretelle ricco. E persino se constata che sufficiente alzare verso il cielo il pi anodino ombrello per farne un
simbolo fallico Held non mette in dubbio n che si tratti di un simbolo, n l'efficacia di questo simbolo in quanto tale
sulla domanda solvibile. Pi avanti egli confronta due progetti pubblicitari per la biancheria Weber: i fabbricanti hanno
scelto il primo e hanno avuto ragione perch, egli dice, il giovane svenuto come immolato. Per una donna, grande
la tentazione di essere dominatrice... ma anche una tentazione che fa paura... Se Ia giovane-sfinge e la sua
vittima fossero diventate l'immagine della marca Weber, la colpevolezza ambigua delle eventuali clienti sarebbe stata
cos forte da spingerle a scegliere reggiseni meno compromettenti .
Cos gli analisti si immergono dottamente, con un brivido delizioso, nei fantasmi pubblicitari, in ci che vi in essi di
oralit divorante, di anale o di fallico - tutto questo inserito sull'inconscio del consumatore che non aspettava che
questo per farsi manipolare (questo inconscio ovviamente lo si suppone gi esistente, dato in anticipo, poich l'ha
detto Freud - un'essenza nascosta il cui alimento preferito il simbolo o il fantasma). Tra l'inconscio e i fantasmi esiste
la stessa circolarit viziosa che un tempo al livello della coscienza vi era tra soggetto e oggetto. Si indicizza l'uno
sull'altro, si definisce l'uno per mezzo dell'altro, un inconscio stereotipato come funzione individuale e dei fantasmi
liberati come prodotti finiti dalle agenzie pubblicitarie. Si eludono con ci tutti i veri problemi posti dalla logica
dell'inconscio e dalla funzione simbolica, materializzandoli spettacolarmente in un processo meccanico di
significazione e di efficacia dei segni: C' l'inconscio e dopo ecco dei fantasmi che l'afferrano, e questa congiunzione
miracolosa fa vendere . una ingenuit identica a quella degli etnologi che credono ai miti riferiti loro dagli indigeni e
li assumono alla lettera, insieme alla superstizione indigena nell'efficacia magica di questi miti e di questi riti - e tutto

ci al fine di conservare a se stessi il loro mito nazionalista della mentalit primitiva . Si comincia a mettere in
dubbio l'impatto diretto della pubblicit sulle vendite: sarebbe tempo di mettere radicalmente in questione anche
questa ingenua meccanica fantasmatica - alibi sia degli analisti che degli operatori pubblicitari.
Grosso modo il problema il seguente: vi veramente li dentro della libido? Cosa c' di sessuale e di connesso alla
libido nell'erotismo ostentato? La pubblicit (ma anche tutti gli altri sistemi di mass-media) una vera scena
fantasmatica? Questo contenuto simbolico e fantasmatico manifesto in fondo da prendere pi alla lettera del
contenuto manifesto dei sogni? E l'ingiunzione erotica non ha in fondo pi valore ed efficacia simbolica di quanto
l'ingiunzione commerciale diretta non abbia potere commerciale? Di che cosa dunque si parla?
In tutta questa faccenda si in realt di fronte a una mitologia di secondo grado, che si ingegna a far prendere per
fantasma quel che non che fantasmagoria, a intrappolare gli individui, attraverso una simbolica truccata, al mito del
loro inconscio individuale, per investirlo come funzione di consumo. Bisogna che la gente creda di avere un
inconscio, che quest'inconscio sia l, proiettato, oggettivato, nella simbolica erotica pubblicitaria - prova che esiste,
che hanno ragione di credervi, e dunque di volerlo assumere dapprima al livello di lettura dei simboli e in seguito
attraverso l'appropriazione dei beni designati da questi simboli e caricati da questi fantasmi.
In effetti in tutto questo festival erotico non c' n simbolo, n fantasma, e tacciando tutto ci di strategia del
desiderio si combatte contro dei mulini a vento. Anche se i messaggi fallici o di altra natura non sono ironizzati, con
una strizzatina d'occhio , come chiaramente ludici, si pu ammettere, senza rischio di errore, che tutto il materiale
erotico che ci circonda totalmente culturalizzato. Non un materiale n fantasmatico, n simbolico, un materiale di
ambiente. Non vi entra n il desiderio n l'inconscio, vi solo della cultura e della sottocultura psicoanalitica scaduta a
luogo comune, a repertorio, a retorica da fiera. Vi affabulazione di secondo grado, propriamente vi allegoria.
L'inconscio non parla affatto, ma rinvia molto semplicemente alla psicoanalisi cos come istituita, integrata e
recuperata oggi nel sistema culturale, ovviamente non alla psicoanalisi come prassi analitica, ma alla funzione/segno
della psicoanalisi, culturalizzata, estetizzata, riassorbita, filtrata dai mass-media, Non bisognerebbe confondere una
combinatoria formale e allegorica dei temi mitologizzati col discorso dell'inconscio pi di quanto non bisognerebbe
confondere il fuoco di legna artificiale col simbolo del fuoco. Nulla di comune tra questo fuoco significato e la
sostanza poetica del fuoco analizzata da Bachelard. Questo fuoco di legna un segno culturale, nulla di pi, e non ha
che un valore di riferimento culturale. Cos tutta la pubblicit, l'erotica moderna sono fatti di segni e non di sensi.
Non bisogna lasciarsi prendere dalla scalata erotica della pubblicit (non pi che dalla scalata dell' ironia
pubblicitaria, del gioco, della distanza, della contropubblicit che, significativamente, va di pari passo con essa):
tutti questi contenuti non sono che dei segni sovrapposti, che culminano tutti nel super-segno che la marca, che il
solo, vero messaggio. Nessuna parte vi ha il linguaggio e soprattutto l'inconscio: per questo che sono possibili i
cinquanta sederi femminili pedantemente sovrapposti da Airborne in una recente pubblicit (Ehi tutto l... lui il
nostro primo terreno di studio, e in tutti gli atteggiamenti in cui ha l'obbligo di porsi... infatti pensiamo con M.me de
Svigne , ecc.) e ben altri ancora - essi non attentano a nulla e non risvegliano assolutamente nulla in profondit .
Essi non sono che connotazioni culturali, un metalinguaggio di connotazioni: parlano il mito sessualista di una cultura
nel vento , e non hanno nulla a che vedere coll'analit reale - appunto per questo che sono inoffensivi - e
immediatamente consumabili come immagini
Il vero fantasma non rappresentabile. Se potesse essere rappresentato sarebbe insopportabile. La pubblicit delle
lamette Gillette che rappresenta due labbra vellutate di donna incorniciate da una lama di rasoio guardabile solo
perch realmente non esprime il fantasma del tagliatore di vagine a cui fa allusione , fantasma insopportabile, e
perch si limita ad associare dei segni svuotati della loro sintassi, dei segni isolati, di repertorio, che non suscitano
alcuna associazione inconscia (che al contrario elude sistematicamente), ma solamente delle associazioni culturali
. il museo Grevin dei simboli, una vegetazione pietrificata di fantasmi/segni, che non conserva pi nulla del lavoro
pulsionale.
Riassumendo, fare un processo alla pubblicit per manipolazione affettiva, farle un onore. Ma senza dubbio questa
gigantesca mistificazione in cui fanno a gara censura e difesa ha una funzione ben precisa, quella di far dimenticare il
vero processo, cio l'analisi radicale dei processi di censura che giocano molto efficacemente dietro tutta questa
fantasmagoria. Il vero condizionamento a cui siamo sottoposti dal dispositivo erotico pubblicitario, non la
persuasione abissale , la suggestione inconscia, al contrario la censura del senso profondo, della funzione
simbolica dell'espressione fantasmatica in una sintassi articolata, in breve dell'emanazione viva dei significati sessuali.
tutto questo a venir radiato, censurato, abolito in un gioco di segni sessuali codificati, nell'opaca evidenza della
sessualit ovunque ostentata, ma in cui la sottile distruzione della sintassi non lascia posto che a una manipolazione
chiusa e tautologica. in questo terrorismo sistematico che gioca al livello stesso del significato che ogni sessualit
viene a vuotarsi della sua sostanza e diviene materiale di consumo. qui che ha luogo il processo di consumo, e
questo ben pi grave dell'esibizionismo ingenuo, del fallismo da fiera e dal freudismo da vaudeville.
La bambola sessuata
un nuovo giocattolo. Ma i giocattoli che vengono destinati ai bambini a partire dai fantasmi dell'adulto impegnano
tutta una civilt. Questa nuova bambola testimonia la generalit del nostro rapporto col sesso, come con ogni altra
cosa, nella societ dei consumi, la quale retta da un processo di simulazione e di restituzione. Il suo principio una

vertigine artificiale di realismo; la sessualit qui confusa con la realt oggettiva degli organi sessuali.
Se vi si guarda da vicino accade la stessa cosa del colore alla televisione, della nudit del corpo nella pubblicit o
altrove, come della partecipazione nelle fabbriche o di quella organica e attiva degli spettatori nello spettacolo
totale del teatro di avanguardia: dappertutto si tratta della restituzione artificiale di una verit o di una totalit
, della restituzione sistematica di una totalit sulla base della divisione preliminare del lavoro o delle funzioni.
Nel caso della bambola sessuata (equivalente del sesso come giocattolo, come manipolazione infantile): bisogna aver
dissociata la sessualit come totalit, nella sua funzione simbolica di scambio totale, per poterla circoscrivere nei
segni sessuali (organi genitali, nudit, attributi sessuali secondari, significato erotico generalizzato di tutti gli oggetti) e
assegnarli all'individuo come propriet privata o come attributi.
Le bambole tradizionali assolvevano pienamente alla loro funzione simbolica (e dunque anche sessuale).
Il porre in risalto il segno sessuale specifico, significa in qualche modo annullare questa funzione simbolica e
restringere l'oggetto a una funzione spettacolare. Questo non affatto un caso particolare: questo sesso aggiunto alla
bambola come attributo secondario, come affabulazione sessuale e in effetti come censura della funzione simbolica,
l'equivalente, al livello del bambino, dell'affabulazione nudista e erotica, dell'esaltazione dei segni del corpo da cui
siamo ovunque circondati.
La sessualit una struttura di scambio totale e simbolica:
l. La si destituisce come simbolo sostituendole i significati realisti, evidenti, spettacolari del sesso e i bisogni sessuali
.
2. La si destituisce come scambio (ci fondamentale) individualizzando l'Eros, assegnando l'individuo al sesso e il
sesso all'individuo. questo lo sbocco della divisione tecnica e sociale del lavoro. Il sesso diviene una funzione
parcellare e, nello stesso momento, affidato all'individuo come propriet privata (la stessa cosa vale per
l'inconscio).
Si vede che in fondo si tratta di una sola identica cosa: la negazione della sessualit come scambio simbolico, vale a
dire come processo totale al di l della divisione funzionale (cio come elemento sovversivo).
Una volta smantellata e perduta la sua funzione simbolica e totale di scambio, la sessualit cade nel duplice schema
valore di uso/valore di scambio (che sono entrambi caratteristici della nozione di oggetto). Essa si oggettivizza come
funzione separata, insieme:
1. Valore d'uso per l'individuo (attraverso il proprio sesso, la propria tecnica sessuale e i propri bisogni sessuali infatti questa volta si tratta di tecnica e di bisogni non di desiderio).
2. Valore di scambio (non pi simbolico, ma sia economico-commerciale - prostituzione sotto tutte le forme - che, cosa
oggi molto pi significativa, valore/segno di ostentazione - lo standing sessuale).
Sotto l'aspetto di giocattolo progressista la bambola sessuata ci dice tutto questo. Allo stesso modo di un sedere
nudo di una donna offerto in premio per la pubblicit di un giradischi o dell'Air-India. questo sesso bambolesco
un'aberrazione logica. tanto grottesco quanto un reggiseno indossato da una bambina impubere (lo si pu vedere
sulle spiagge). Sotto apparenze inverse vi del resto lo stesso senso. Uno vela l'altra svela , ma entrambi
mostrano uguale affettazione e un uguale puritanesimo. Nell'uno e nell'altro caso c' una censura che opera
attraverso l'artefatto, attraverso la simulazione ostentatoria, sempre fondata su una metafisica del realismo - il reale
essendo qui il reificato e l'inverso del vero.
Pi si aggiungono dei segni/attributi del reale, pi si perfeziona l'artefatto, pi si censura la verit deviandone la carica
simbolica verso la metafisica culturale del sesso reificato. In tal modo tutto - e non solo le bambole - sar oggi
artificialmente sessualizzato per meglio esorcizzare la libido e la funzione simbolica. Ma questo caso particolare
particolarmente rimarchevole, perch qui sono i genitori, in buona fede (?) e sotto l'apparenza dell'educazione
sessuale, a operare sul bambino una vera e propria castrazione, attraverso una esposizione eccessiva di segni
sessuali l dove questi non hanno nulla a che fare.
NOTE AL CAPITOLO SECONDO
1

Cfr. ancora questo testo esemplare di Vogue : Soffia nella bellezza un vento nuovo, pi libero, pi sano, meno
ipocrita. Quello della fierezza del corpo. Non la pretenzione che volgare, ma l'onesta coscienza che vai la pena di
accettare il nostro corpo, di amarlo e di curarlo per poterlo ben utilizzare. Siamo felici che le nostre ginocchia siano pi
flessibili, ci rallegriamo della lunghezza delle nostre gambe, dei nostri piedi pi leggeri (utilizziamo, per essi, una
maschera come per il viso... Massaggiamo le nostre dita con una crema straordinaria, scoviamo un buon pedicure... si veda il modo a p. 72 -). Siamo entusiasti dei nuovi profumi che ricoprono come un velo il corpo fino alla punta dei
piedi. A sinistra, pantofole in piume di struzzo dell'Africa del sud, orlate da Lamel (Christian Dior) , ecc.
2
L'equivalente maschile del testo di Elle , la pubblicit per Le Prsident : Nessuna piet per i quadri
dirigenti? (Testo ammirabile che riassume tutti i temi analizzati [narcisismo, rivalsa del corpo trascurato, attrezzatura
tecnica, riciclaggio funzionale] - se non che qui il modello maschile centrato sulla forma fisica e la riuscita
sociale, mentre il modello femminile era centrato sulla bellezza e la seduzione). Quarant'anni: la civilt moderna gli
ordina di essere giovane... La pancia un tempo simbolo di riuscita sociale, attualmente simbolo di decadenza, di
emarginazione. I suoi superiori, i suoi dipendenti, sua moglie, la sua segretaria, la padrona di casa, i suoi figli, la
ragazza in minigonna con cui chiacchiera in un caff parlando del pi e del meno... Tutti lo giudicano sulla qualit e lo
stile del suo vestito, sulla scelta della sua cravatta, del suo dopobarba, sulla scioltezza e sveltezza del suo corpo.

obbligato a vigilare su tutto: piega dei pantaloni, collo della camicia, gioco di parole, i suoi piedi quando balla, la
sua dieta quando mangia, il suo respiro quando sale le scale, le sue vertebre quando fa uno sforzo violento. Se ieri
nel suo lavoro era sufficiente l'efficacia, oggi si esige da lui allo stesso titolo forma fisica ed eleganza.
Il mito dell'healthy american businessman, met James Bond e met Henry Ford, sicuro di s, a proprio agio nella
sua pelle, fisicamente e psichicamente equilibrato, si facilmente installato nella nostra civilt. Trovare e conservare
dei collaboratori dinamici, che abbiano del "punch" e del "tonus" la preoccupazione primordiale di tutti i capi
industria.
L'uomo di quarant'anni complice di quest'immagine. NeoNarciso dei tempi moderni, ama occuparsi di se stesso e
cerca di piacersi. Egli fa i conti con la sua dieta, le sue medicine, la sua forma fisica, la difficolt di smettere di fumare.
Cosciente che la sua riuscita sociale dipende esclusivamente dall'immagine che gli altri hanno di lui, che la sua
forma fisica la carta vincente del gioco, l'uomo di quarant'anni cerca la sua seconda vitalit, la sua seconda
giovinezza .
Dopo di che segue la pubblicit per Le Prsident : vi si dispensa soprattutto la forma - la forma, parola magica,
questa fata dei tempi moderni (dopo Narciso, le fate!) che P.-D. G., quadri dirigenti, giornalisti e medici vengono a
cercare in un'atmosfera ovattata, ad aria condizionata grazie all'utilizzazione di 37 apparecchi a pedali, a rotelle,
a pesi, a vibrazioni, a leva e a cavi di acciaio (come si vede l'atletismo come il frineismo, la forma come la
bellezza , sono ghiotte di gadgets).
3
Nel senso tecnico in cui si simulano sperimentalmente le condizioni dell'assenza di peso - o ancora dei modelli
matematici di simulazione. cosa del tutto diversa dalla semplice artificialit (la dissimulazione) opposta alla
natura.
4
La verit del corpo il desiderio. Quest'ultimo, che mancanza, non pu essere mostrato. La pi spinta delle
esibizioni non fa che sottolinearlo come assenza, e in fondo non fa che censurarlo. Si giunger un giorno a delle foto
in erezione ? Questo si farebbe ancora sotto il segno della moda. I censori non hanno in fondo nulla da temere, se
non il proprio desiderio.
5
Cfr. N. Brown, Eros et Thanatos, trad. fr., Paris, Julliard, p. 307.
6
Su questo punto, cfr., sopra, Modello maschile e modello femminile.
7
La sessualit non pi una festa - un festival erotico con tutta l'organizzazione che ci comporta. Nel quadro di
questo festival, tutto fatto per risuscitare anche la sessualit polimorfa e perversa (Cfr., la prima fiera mondiale
della pornografia a Copenhagen).
8
Lo stesso processo avviene nel consumo della tecnica. Senza voler contestare l'enorme impatto del progresso
tecnologico sul progresso sociale, si constata come la tecnica stessa cada sotto il dominio del consumo, sdoppiandosi
in una pratica quotidiana liberata da innumerevoli gadgets funzionali e in un mito trascendente della Tecnica
(con la T maiuscola) - il congiungimento dei due aspetti permette di scongiurare tutte le virtualit rivoluzionarie di
una pratica sociale totale della tecnica (Cfr., La Pratique sociale de la tecnique, in Utopie , nn. 2-3, maggio 1969).
9
Ambiguit del termine sollecitudine , sia sollecitazione, domanda, esigenza e persino manipolazione (sollecitare i
testi) che sollecitudine e gratificazione (Cfr., pi avanti, La mistica della sollecitudine).
CAPITOLO TERZO
IL DRAMMA DEL TEMPO LIBERO:
O DELL'IMPOSSIBILITA' DI PERDERE IL PROPRIO TEMPO
Nella profusione reale o immaginaria della societ dei consumi , il tempo occupa una specie di posto privilegiato.
La domanda di questo bene del tutto particolare bilancia quasi quella di tutti gli altri beni presi assieme. Non vi
certamente pi uguaglianza di possibilit, di democrazia rispetto al tempo libero di quanta ve ne sia per gli altri beni e
servizi. Del resto noto che la contabilizzazione del tempo libero in unit cronometriche, se significativa di un'epoca
rispetto ad un'altra, di una cultura rispetto ad un'altra, non lo pi assolutamente per noi se presa come valore
assoluto: la qualit di questo tempo libero, il suo ritmo, i suoi contenuti, il fatto di essere o non essere residuale
rispetto alle costrizioni del lavoro o autonomo , tutto ci ridiviene distintivo di un individuo, di una categoria, di una
classe nei confronti dell'altra. E persino il surplus di lavoro e la mancanza di tempo libero pu ridivenire il privilegio del
manager o del responsabile. A dispetto di queste disparit, che non assumono tutto il loro senso che in una teoria
differenziata dei segni di status (di cui fa parte il tempo libero consumato), resta che il tempo conserva un mitico
valore egualitario, valore fortemente ripreso e tematizzato ai nostri giorni da parte del tempo libero. Il vecchio adagio
in cui una volta si concentravano tutte le rivendicazioni di giustizia sociale, secondo cui tutti gli uomini sono uguali di
fronte al tempo e alla morte, sopravvive oggi nel mito, accuratamente mantenuto, secondo cui tutti si ritrovano di
fronte al tempo destinato allo svago.
Il vino di Samo e la pesca subacquea praticata assieme, risvegliarono in loro un profondo cameratismo.
Sul battello di ritorno si accorsero di non conoscere l'uno dell'altro che il nome e, desiderosi di scambiarsi gli indirizzi,
scoprirono con stupore che lavoravano nella stessa fabbrica, il primo come direttore tecnico l'altro come guardiano
notturno .
Questo delizioso apologo, in cui si riassume tutta l'ideologia del Club Mditerrane, implica parecchi postulati
metafisici:

1) Il tempo libero il regno della libert.


2) Ciascun uomo per natura sostanzialmente libero e uguale agli altri: non c' che da ricollocarlo nello stato di
natura, perch recuperi questa sostanziale libert, galit, fraternit. Cos le isole greche e i fondi marini sono gli eredi
degli ideali della Rivoluzione francese.
3) Il tempo una dimensione a priori, trascendente, preesistente ai suoi contenuti. l, vi aspetta. Se si alienati,
asserviti al lavoro, allora non si ha il tempo . Se si liberi dal lavoro o dalla costrizione, allora si ha il tempo .
Dimensione assoluta, inalienabile, come l'aria, l'acqua, ecc., esso ridiviene, nel tempo libero, la propriet privata di
tutti.
Quest'ultimo punto essenziale: lascia intravvedere infatti che il tempo non potrebbe essere nulla di diverso dal
prodotto di una certa cultura, e pi precisamente di un certo modo di produzione. In questo caso, necessariamente
sottomesso allo stesso statuto di tutti i beni prodotti o disponibili nel quadro di questo sistema di produzione: quello
della propriet, privata o pubblica, quello dell'appropriazione, quello dell'oggetto, posseduto e alienabile, alienato o
libero, e partecipe, al pari di tutti gli oggetti prodotti secondo questo modo sistematico, dell'astrazione reificata del
valore di scambio.
Si pu ancora dire che la maggior parte degli oggetti hanno malgrado tutto un certo valore d'uso, in teoria dissociabile
dal loro valore di scambio. Ma il tempo? Dove sta il suo valore d'uso, definibile per mezzo di qualche funzione
oggettiva o pratica specifica? Infatti proprio qui l'esigenza insita nel tempo libero : restituire al tempo il suo valore
d'uso, liberarlo come dimensione vuota, per riempirlo della sua libert individuale. Ora, nel nostro sistema, il tempo
non pu essere liberato che come oggetto, come capitale cronometrico di anni, ore, giorni, settimane, da
investire da parte di ciascuno a proprio gradimento . Dunque in effetti non pi libero , infatti nella sua
cronometria retto dall'astrazione totale che quella del sistema di produzione.
L'esigenza che al fondo del tempo libero dunque presa in contraddizioni insolubili, e propriamente disperata. La
sua violenta speranza di libert testimonia la potenza del sistema delle costrizioni che non da nessuna parte tanto
totale quanto, precisamente, al livello del tempo. Quando parlo del tempo, ecco che non gi pi diceva
Apollinaire. Del tempo libero si pu dire: Quando si 'ha il tempo, ecco che non gi pi libero . E la contraddizione
non pi nei termini, invece di fondo. l il paradosso tragico del consumo. In ogni oggetto posseduto, consumato,
come in ogni minuto di tempo libero, ogni uomo vuol far passare, crede di aver fatto passare il proprio desiderio - ma
in ciascun oggetto di cui si appropriato, in ciascuna soddisfazione raggiunta, come in ciascun minuto disponibile ,
il desiderio gi assente, necessariamente assente. Non resta che il residuo del desiderio.
Nelle societ primitive non c' tempo. Non ha senso chiedersi l se si ha o non si ha tempo. Il tempo non altro che il
ritmo delle attivit collettive ripetute (rituale di lavoro, di festa). Non dissociabile da queste attivit per essere poi
proiettato nell'avvenire, previsto e manipolato. Esso non individuale, il ritmo stesso dello scambio, che culmina
nell'atto della festa. Non c' nome per indicarlo, si confonde coi verbi dello scambio, col ciclo degli uomini e della
natura. Esso dunque legato , ma non costretto, e questo essere legato (Gebundenheit) non si oppone a
nessuna libert. propriamente simbolico, vale a dire non isolabile astrattamente. Dire il tempo simbolico non ha
del resto molto senso: semplicemente non esiste, cos come non esiste il denaro.
L'analogia del tempo col denaro per contro fondamentale per analizzare il nostro tempo, e quel che pu
implicare la grande significativa frattura tra il tempo lavorativo e il tempo libero, frattura decisiva. perch appunto su
di essa che si fondano le opzioni fondamentali della societ dei consumi.
Time is money: questo motto scritto a lettere di fuoco sulle macchine da scrivere Remington lo anche sulle facciate
delle fabbriche, nel tempo asservito della quotidianit, nella nozione sempre pi importante di bilancio-tempo. Esso
regola anche - ed quel che qui ci interessa - lo svago e il tempo libero. ancora esso a definire il tempo vuoto che si
inscrive sulla meridiana delle spiagge e sulla facciata dei club delle vacanze.
Il tempo una derrata rara, preziosa, sottomessa alle leggi dei valore di scambio. Questo chiaro per il tempo-lavoro
perch venduto e acquistato. Ma sempre di pi il tempo libero stesso deve essere, perch sia consumato ,
direttamente o indirettamente acquistato. Norman Mailer analizza il calcolo di produzione relativo al succo di arancia
messo sul mercato congelato o liquido (in cartoni). Quest'ultimo costa pi caro perch nel prezzo vengono inclusi i
due minuti guadagnati rispetto alla preparazione del prodotto congelato: al consumatore in tal modo venduto il
proprio tempo libero. Ed logico, poich il tempo libero in effetti tempo guadagnato , capitale capace di
fornire reddito, forza produttiva virtuale, che occorre dunque riacquistare per poterne disporre. Per stupirsi o per
sdegnarsi di ci, bisogna essere rimasti ancorati all'ipotesi ingenua di un tempo naturale, idealmente neutro e
disponibile per tutti. L'idea non del tutto assurda di potere, introducendo una moneta nel juke-box, riacquistare due
minuti di silenzio, illustra la stessa verit.
Il tempo scomponibile, astratto, cronometrato, diviene cos omogeneo al sistema del valore di scambio: esso vi rientra
allo stesso titolo di qualsiasi altro oggetto. Oggetto di calcolo temporale, pu e deve scambiarsi con qualsiasi altra
merce (in particolare col denaro). Del resto la nozione di tempo/oggetto ha valore reversibile: tutto, al pari del tempo,
oggetto, cos tutti gli oggetti prodotti possono essere considerati come tempo cristallizzato - non solamente tempolavoro nel calcolo del loro valore di merce, ma anche tempo libero, nella misura in cui gli oggetti tecnici fanno
risparmiare tempo a coloro che li impiegano e vengono pagati in funzione di ci. La lavatrice tempo libero per la
massaia, tempo libero virtuale trasformato in oggetto per poter essere venduto e acquistato (tempo libero che ella
metter forse a profitto per guardare la TV e la pubblicit che vi si far per altri tipi di lavatrici).
Questa legge del tempo come valore di scambio e come forza produttiva non pu arrestarsi alle soglie del tempo
libero, come se miracolosamente questo sfuggisse a tutte le costrizioni che regolano il tempo lavorativo. Le leggi del

sistema (produttivo) non prendono vacanze. Esse producono continuamente e dovunque, sulle strade, sulle spiagge,
nei clubs, il tempo come forza produttiva. L'apparente sdoppiamento in tempo lavorativo e in tempo libero quest'ultimo capace di inaugurare la sfera trascendente della libert - solo un mito. Questa grande opposizione,
sempre pi fondamentale al livello vissuto della societ dei consumi, resta pur sempre formale. Questa gigantesca
orchestrazione del tempo annuale in un anno solare e in un anno sociale , colle vacanze come solstizio della
vita privata e l'inizio della primavera come solstizio (o equinozio) della vita collettiva, questo gigantesco flusso e
riflusso solo apparentemente un ritmo stagionale. Non affatto un ritmo (successione dei momenti naturali di un
ciclo), un meccanismo funzionale. uno stesso processo sistematico che si sdoppia in tempo lavorativo e in tempo
libero. Vedremo che in funzione di questa comune logica oggettiva, le norme e le costrizioni del tempo lavorativo sono
trasferite sul tempo libero e sui suoi contenuti.
Ritorniamo per il momento all'ideologia propria del tempo libero. Il riposo, la distensione, l'evasione, la distrazione
sono forse dei bisogni : ma essi non definiscono in se stessi l'esigenza del tempo libero, che il consumo del
tempo. Il tempo libero forse l'insieme di tutte le attivit ludiche con cui lo si riempie, ma innanzi tutto la libert di
perdere il proprio tempo, eventualmente di ucciderlo , di spenderlo in pura perdita. ( per questo che insufficiente
dire che il tempo libero alienato perch non che il tempo necessario per la ricostruzione della forza-lavoro. L'
alienazione del tempo libero pi profonda: essa non dipende dalla sua subordinazione diretta al tempo lavorativo,
essa legata all'impossibilit stessa di perdere il proprio tempo).
Il vero valore d'uso del tempo, quello che il tempo libero cerca disperatamente di restituire, di essere perduto 1. Le
vacanze sono questa ricerca di un tempo che si possa perdere nel senso pieno del termine, senza che questa perdita
rientri a propria volta in un processo di calcolo, senza che questo tempo non sia (nello stesso tempo) in qualche modo
guadagnato . Nel nostro sistema di produzione e di forze produttive, non si pu che guadagnare il proprio tempo:
questa fatalit pesa sul tempo libero come sul lavoro. Non si pu che sfruttare il proprio tempo, foss'anche
facendone un uso spettacolarmente vuoto. Il tempo libero delle vacanze resta la propriet privata di chi in vacanza,
un oggetto, un bene da lui guadagnato col sudore dell'anno lavorativo, da lui posseduto, di cui gode come degli altri
suoi oggetti - e di cui non saprebbe privarsi per donarlo, sacrificarlo (come si fa degli oggetti nei regali), per renderlo a
una disponibilit totale, all'assenza di tempo che sarebbe la vera libert. Egli inchiodato al suo tempo come
Prometeo alla sua roccia, inchiodato al mito prometeico del tempo come forza produttiva.
Sisifo, Tantalo, Prometeo: tutti i miti esistenziali della libert assurda caratterizzano assai bene il villeggiante nel suo
scenario, tutti gli sforzi disperati per mimare una vacanza , una gratuit, uno spossessamento totale, un vuoto, una
perdita di se stesso e del proprio tempo che non pu raggiungere - oggetto egli stesso preso in una dimensione
definitivamente oggettivata del tempo.
Siamo in un'epoca in cui gli uomini non arriveranno mai a perdere abbastanza tempo per scongiurare questa fatalit di
passare la loro vita a guadagnarne. Ma non ci si sbarazza dei tempo come di un capo di biancheria. Non si pu pi n
ucciderlo, n perderlo, non pi di quanto lo si possa fare per il denaro, infatti entrambi sono l'espressione stessa del
sistema del valore di scambio. Nella dimensione simbolica il denaro, l'oro sono escremento. lo stesso per il tempo
oggettivato. Ma in effetti molto raro, e, nel sistema attuale, logicamente impossibile restituire sia al denaro che al
tempo la loro funzione arcaica e sacrificale di escremento; il che significherebbe veramente liberarsene sul piano
simbolico. Nell'ordine del calcolo e del capitale avviene in un certo modo precisamente l'inverso: oggettivati ad opera
sua, manipolati ad opera sua come valori di scambio, siamo noi ad essere divenuti l'escremento del denaro, siamo
noi ad essere divenuti l'escremento del tempo.
Dappertutto cos, e a dispetto della finzione della libert nel tempo destinato allo svago, vi l'impossibilit logica del
tempo libero , non pu esservi altro che tempo coatto. Il tempo del consumo quello della produzione. Lo nella
misura in cui esso non altro che una parentesi evasiva nel ciclo della produzione. Ma ancora una volta, questa
complementariet funzionale (diversamente suddivisa secondo le classi) non la sua determinazione essenziale. Il
tempo libero coatto nella misura in cui dietro la sua apparente gratuit riproduce fedelmente tutte le costrizioni
mentali e pratiche proprie del tempo produttivo e della quotidianit asservita.
Esso non si caratterizza per delle attivit creatrici: l'opera, la creazione, artistica o di altra natura, non mai un'attivit
da tempo libero. Quest'ultimo si caratterizza generalmente per delle attivit regressive, di tipo anteriore alle moderne
forme di lavoro (bricolage, lavori di artigianato, collezione, pesca colla lenza). Il modello direttivo del tempo libero il
solo che si sia vissuto finora: quello dell'infanzia. Ma qui vi una confusione tra l'esperienza infantile della libert nel
gioco e la nostalgia di uno stadio sociale anteriore alla divisione del lavoro. Nell'uno e nell'altro caso, la totalit e la
spontaneit che il tempo libero vuole restituire, in quanto avvengono in un tempo sociale essenzialmente
contraddistinto dalla moderna divisione del lavoro, assumono la forma oggettiva dell'evasione e dell'irresponsabilit.
Ora questa irresponsabilit nel tempo libero omologa e strutturalmente complementare all'irresponsabilit nel lavoro.
Libert da una parte, costrizione dall'altra: ma in effetti la struttura la stessa.
il fatto stesso della divisione funzionale tra queste due grandi modalit del tempo a creare il sistema che fa del
tempo libero l'ideologia stessa del lavoro alienato. La dicotomia istituisce da una parte e dall'altra le stesse deficienze
e le stesse contraddizioni. Cos ritroviamo dovunque nel tempo libero e nelle vacanze lo stesso accanimento morale e
idealista di realizzazione che vige nella sfera del lavoro, la stessa etica del forcing. Al pari del consumo, al quale
partecipa totalmente, il tempo libero non una prassi di soddisfazione. O almeno lo solo apparentemente. In effetti
l'ossessione dell' abbronzatura , quella mobilit attonita con la quale i turisti percorrono l'Italia, la Spagna, i musei,
quella ginnastica e quella nudit di rigore sotto un sole cocente, e soprattutto quel sorriso e quella gioia di vivere

senza dfaillance, tutto testimonia un affidarsi totale al principio del dovere, del sacrificio, dell'ascesi. la fun-morality
di cui parla Riesman, quella dimensione propriamente etica di salvezza nel tempo libero e nel piacere, a cui nessuno
si pu ormai sottrarre - salvo a trovare la propria salvezza in altri criteri di realizzazione. La tendenza sempre pi
sensibile alla concentrazione turistica e delle vacanze rivela - in contraddizione formale con la motivazione di libert e
di autonomia - lo stesso principio di costrizione omologa a quella del lavoro. La solitudine un valore affermato, ma
non praticato. Si sfugge il lavoro ma non la concentrazione. Ovviamente anche qui gioca la discriminazione sociale 2.
Mare, sabbia, sole e folla sono molto pi necessari per i villeggianti appartenenti ai gradini pi bassi della scala
sociale che alle classi agiate: questione di mezzi finanziari ma soprattutto di aspirazioni culturali. Costretti alle
vacanze passive essi hanno bisogno del mare, del sole e della folla per darsi un contegno 3.
Il tempo libero una vocazione collettiva : questo titolo giornalistico riassume perfettamente il carattere di
istituzione, di norma sociale interiorizzata che diventato il tempo libero e il suo consumo, in cui il privilegio della
neve, del dolce far niente e della cucina cosmopolita, non fa che velare l'obbedienza profonda:
1) A una morale collettiva di massimalizzazione dei bisogni e delle soddisfazioni, che riflette punto per punto nella
sfera privata e libera il principio di massimalizzazione della produzione e delle forze produttive nella sfera sociale
.
2) A un codice di distinzione a una struttura di differenziazione - il criterio distintivo, che per le classi agiate delle
epoche precedenti. fu per lungo tempo l' ozio , in effetti divenuto il consumo del tempo inutile. la costrizione
a non far nulla di utile a regolare il tempo libero, e molto tirannicamente, allo stesso modo in cui regola lo status dei
privilegiati nelle societ tradizionali. Il tempo libero, distribuito ancora una volta inegualmente, resta, nelle nostre
societ democratiche, un fattore di selezione e di distinzione culturale. Tuttavia si pu vedere un'inversione di
tendenza (o almeno immaginarla): in Il mondo nuovo di A. Huxley 4 gli Alfa sono i soli a lavorare mentre la massa degli
altri votata all'edonismo e all'ozio. Si pu ammettere che con l'accrescimento degli svaghi e la promozione
generalizzata del tempo libero, il privilegio si inverta e l'esito finale sia di riservare un tempo sempre minore al
consumo obbligatorio. Se il tempo libero sviluppandosi cade sempre di pi, come probabile, e ci all'opposto del suo
progetto ideale, nella concorrenza e nell'etica disciplinare, allora si pu supporre che il lavoro (un certo tipo di lavoro)
ridivenga il, tempo e il luogo in cui ci si rimette dallo stress del tempo libero. Comunque, il lavoro pu ridiventare fin
d'ora un segno distinzione e di privilegio: la schiavit ostentata dei quadri dirigenti e dei P.-D.G. che sono costretti
a lavorare quindici ore al giorno.
S arriva cos al termine paradossale in cui il lavoro stesso ad essere consumato. Nella misura in cui preferito al
tempo libero, in cui vi una domanda e una soddisfazione nevrotica attraverso il lavoro, in cui il surplus di lavoro
indice di prestigio, ci si trova nel campo del consumo del lavoro. Ma sappiamo che tutto pu diventare oggetto di
consumo.
Rimane il fatto che attualmente, e presumibilmente ancora per lungo tempo, resta valido il valore distintivo del tempo
libero. Persino la valorizzazione, per reazione, del lavoro non fa che provare a contrario la forza del tempo libero
come valore nobile nella rappresentazione profonda. Astenersi ostentatamente dal lavoro diventa il segno
convenzionale della rispettabilit e dello status , dice Veblen nella Teoria della classe agiata 5.
Il lavoro produttivo vile: questa tradizione vale ancora. Forse persino si sta rafforzando a causa dell'accresciuta
competizione di status che vige nell'ambito delle moderne societ democratiche . Questa legge del valore/tempo
libero assume la forza di un prescrizione sociale assoluta.
Il tempo libero non dunque tanto una funzione di godimento del tempo extralavorativo, di soddisfazione, di riposo
funzionale. La sua definizione quella del consumo del tempo improduttivo. Ritorniamo cos alla perdita di tempo
di cui si parlava all'inizio, ma per mostrare come il tempo libero consumato in effetti il tempo di una produzione.
Economicamente improduttivo questo tempo quello di una produzione di valore - valore di distinzione, valore di
status, valore di prestigio. Far nulla (o far nulla di produttivo) a questo titolo un'attivit specifica. Produrre valore
(segni, ecc.) una prestazione sociale obbligatoria, tutto il contrario della passivit, anche se quest'ultima il
discorso manifesto dei tempo libero. In effetti il tempo non libero , speso, e non in pura perdita, poich il
momento, per l'individuo sociale, di una produzione connessa allo status. Nessuno ha bisogno del tempo libero, ma a
tutti ingiunto di fare la prova della loro disponibilit di fronte al lavoro produttivo.
Il consumo del tempo vuoto dunque una specie di potlatch. Il tempo libero materiale di significazione e di scambio
di segni (parallelamente a tutte le attivit annesse e interne al tempo libero). Come in La part maudite 6 di Bataille,
esso acquista valore nella distruzione stessa, nel sacrificio, e lo svago il luogo di questa operazione simbolica 7.
In ultima istanza dunque nella logica della distinzione e della produzione del valore che si giustifica il tempo libero.
Lo si pu verificare quasi sperimentalmente: lasciato a se stesso, in uno stato di disponibilit creatrice , l'uomo del
tempo libero cerca disperatamente un chiodo da piantare; un motore da smontare. Fuori della sfera concorrenziale
non vi sono bisogni autonomi o motivazioni spontanee. Ma non per questo rinuncia a far nulla, al contrario. Egli ha
imperiosamente bisogno di non far nulla, infatti proprio questo ad avere un valore sociale distintivo.
Ancora oggi quel che l'individuo medio rivendica attraverso le vacanze e il tempo libero non la libert di realizzarsi
(in che cosa? Quale essenza nascosta deve manifestarsi?), ma innanzi tutto il poter dimostrare l'inutilit del proprio
tempo, l'eccedenza del tempo come capitale suntuario, come ricchezza. Il tempo dello svago, come in generale quello
del consumo, diviene tempo sociale forte e marcato, produttore di valore, dimensione non della sopravvivenza
economica, bens della salvezza sociale.
Ecco dove in ultima analisi si fonda la libert del tempo libero. Bisogna avvicinarla alla libert di lavorare e alla

libert di consumare. Come necessario che il lavoro sia liberato in quanto forza lavoro per assumere un valore
di scambio economico - come necessario che il consumatore sia liberato in quanto tale, cio lasciato libero
(formalmente) di scegliere e di stabilire delle preferenze, perch si possa istituire il sistema del consumo, cos
necessario che il tempo sia liberato , vale a dire spogliato delle sue implicazioni (simboliche, rituali), per divenire:
1) non solamente merce (nel tempo-lavoro) nel ciclo dello scambio economico,
2) ma anche segno e materiale di segni assumendo, nel tempo libero, valore di scambio sociale (valore ludico di
prestigio).
solamente quest'ultima modalit a definire il tempo consumato. Il tempo-lavoro non consumato , o piuttosto lo
solo nel senso in cui un motore consuma benzina, accezione che non ha nulla a che vedere colla logica del
consumo. Quanto al tempo simbolico , (che non n economicamente coatto, n libero come funzione/segno,
ma legato, vale a dire indissociabile dal ciclo concreto della natura o dello scambio sociale reciproco), questo tempo
non evidentemente consumato . In effetti non che per analogia e per proiezione della nostra concezione
cronometrica che lo si chiama tempo , in effetti un ritmo di scambio.
In un sistema integrato e sociale come lo il nostro, non potrebbe esservi disponibilit di tempo. E il tempo libero non
disponibilit di tempo, ma ne semplicemente il manifesto. La sua determinazione fondamentale la sua differenza
obbligata di fronte al tempo lavorativo. Non dunque autonomo, infatti si definiste solo per l'assenza del tempo
lavorativo. Questa differenza, che costituisce il valore profondo del tempo libero, dovunque connotata, marcata con
ridondanza, sovresposta. In tutti i suoi segni, in tutti i suoi atteggiamenti, in tutte le sue pratiche, e in tutti i discorsi in
cui esso si manifesta, il tempo libero vive di questa esposizione e sovresposizione di se stesso in quanto tale, di
questa continua ostentazione, di questa marca, di questo manifesto. Gli si pu levar via tutto, sottrargli tutto, tranne
questo; infatti questo ci che lo definisce.
NOTE AL CAPITOLO TERZO
1

Si potrebbe pensare che in ci il tempo si contrapponga a tutti gli altri oggetti, il cui valore d'uso ,
tradizionalmente, quello di essere posseduti, impiegati e valorizzati. Ma in ci vi senza dubbio un profondo errore,
anche il vero valore d'uso degli oggetti sicuramente quello di essere consumati, spesi in pura perdita - valore di
uso simbolico ovunque nascosto e rimpiazzato dal valore d'uso utilitario .
2
Cfr. Communications , n. 8.
3
Cfr. Hubert Mac, ibidem.
4
Milano, Mondadori, 1933.
5
Torino, Einaudi, 1971.
6
Paris, Minuit, 1967.
7
Ma la cui individualit resta strettamente personale. Nella festa arcaica il tempo non mai speso per se stessi ,
ma quello della prodigalit collettiva.

CAPITOLO QUARTO
LA MISTICA DELLA SOLLECITUDINE
La societ dei consumi non si designa solamente per la profusione dei beni e dei servizi, ma anche per il fatto, pi
importante, che tutto servizio, che quel che dato da consumare non si d mai come prodotto puro e semplice, ma
come servizio personale, come gratificazione. A partire da Guinness is good for you fino alla profonda sollecitudine
degli uomini politici per i loro concittadini passando per il sorriso delle hostess e i ringraziamenti dei distributori
automatici di sigarette, ciascuno di noi circondato da una formidabile compiacenza, attorniato da una coalizione di
dedizione e di buona volont. La pi modesta saponetta si presenta come il frutto della riflessione di tutto un
conciliabolo di esperti che da mesi rivolgono la loro attenzione al modo di far diventare vellutata la vostra pelle.
Airborne mette tutto il suo stato maggiore al servizio del vostro sedere: Infatti tutto l. lui il nostro primo terreno
di studio... Il nostro mestiere di farvi sedere. Anatomicamente, socialmente, quasi filosoficamente. Tutte le nostre
sedie sono nate da una minuziosa osservazione della vostra persona... Se una poltrona ha un rivestimento in plastica
per meglio aderire alla vostra sagoma delicata, ecc . Questa sedia non pi una sedia, una totale prestazione
sociale in vostro favore.
Nulla oggi puramente e semplicemente consumato, vale a dire acquistato, posseduto e utilizzato a tale fine. Gli
oggetti non servono tanto a qualcosa, ma innanzi tutto e soprattutto vi servono. Senza questo complemento oggetto
diretto, il voi personalizzato, senza questa ideologia totale di prestazione personale, il consumo non sarebbe che
quel che . il calore della gratificazione, della fedelt personale a dargli tutto il suo senso, non la soddisfazione
pura e semplice. I moderni consumatori si abbronzano al sole della sollecitudine.
Traslazione sociale e traslazione materna

Questo sistema di gratificazione e di sollecitudine ha, in tutte le societ moderne, dei supporti ufficiali cio tutte le
istituzioni di ridistribuzione sociale (sicurezza sociale, cassa integrazione, assegnazioni varie, sovvenzioni,
assicurazioni, borse) per cui, dice F. Perroux, i poteri pubblici sono portati a correggere gli eccessi dei poteri
monopolistici per mezzo del flusso delle prestazioni sociali destinate a soddisfare dei bisogni e non a remunerare
servizi produttivi. Queste ultime traslazioni, senza controparte apparente, diminuiscono, su un lungo periodo,
l'aggressivit delle classi dette pericolose . Non discuteremo qui l'efficacia reale di questa redistribuzione, n i suoi
meccanismi economici. Quel che ci interessa il meccanismo psicologico collettivo che essa mette in gioco. Grazie ai
suoi prelievi e alle sue traslazioni economiche, l'istanza sociale (vale a dire l'ordine stabilito) si concede il beneficio
psicologico della generosit, si offre come istanza caritatevole. Tutto un lessico materno, protezionista, designa
queste istituzioni: sicurezza sociale, assicurazioni, protezione dell'infanzia, della vecchiaia, assegno di
disoccupazione. Questa carit burocratica, questi meccanismi di solidariet collettiva - e che sono tutti delle
conquiste sociali - giocano cos, attraverso l'operazione ideologica di ridistribuzione, come meccanismi di controllo
sociale. Tutto si svolge come se una certa parte del plusvalore fosse sacrificata per preservare l'altra - il sistema
globale di potere si sostiene su questa ideologia della munificenza, in cui il beneficio nasconde l'utile. Due piccioni
con una fava: il salariato ben contento di ricevere sotto l'apparenza di dono o di prestazione gratuita una parte di
quel di cui stato in precedenza privato.
, per riassumere, quello che J.M. Clark designa con il termine pseudo-market-society. Malgrado lo spirito mercantile,
le societ occidentali proteggono la loro coesione con le attribuzioni prioritarie, le leggi di sicurezza sociale, la
correzione delle ineguaglianze di partenza. Il principio di tutte queste misure una solidariet extra-mercantile. I
mezzi sono l'uso giudizioso di una certa dose di imposizione per trasferimenti che non obbediscono di per s ai
principi di equivalenza, ma alle regole di un'economia redistributiva che si razionalizza a poco a poco.
Pi in generale, ogni merce, secondo F. Perroux, il nodo di processi relazionali, istituzionali, trasferenziali, culturali
e non solamente industriali. In una societ organizzata, gli uomini non possono scambiare puramente e
semplicemente delle merci. Essi scambiano, in una simile occasione simboli, significanti, servizi e informazioni.
Ciascuna merce deve essere considerata come il nucleo di servizi non imputabili, e che la qualificano socialmente .
Ora questo vero e vuol dire reversibilmente che nessuno scambio, nessuna prestazione nella nostra societ di
qualunque tipo essa sia, gratuita , che la venalit degli scambi, persino i pi apparentemente disinteressati,
universale. Tutto si compra, tutto si vende, ma la societ commerciale non pu concederlo n in linea di principio, n
in linea di diritto. Di qui l'importanza ideologica capitale del modo sociale della ridistribuzione: questa induce nella
mentalit collettiva il mito di un ordine sociale interamente dedicato al servizio e al benessere degli individui 1.
Il pathos del sorriso
Tuttavia a fianco delle istituzioni economiche e politiche, vi tutto un altro sistema di relazioni sociali, pi informale,
non istituzionale, che in questa sede ci interessa pi da vicino. tutta la rete della comunicazione personalizzata
che invade la quotidianit del consumo. Infatti si tratta proprio di consumo - consumo di relazione umana, di
solidariet, di reciprocit, di calore e di partecipazioni sociali standardizzate sotto forma di servizi - consumo continuo
di sollecitudine, di sincerit e di calore, ma ovviamente consumo solo dei segni di questa sollecitudine - ancor pi
vitale per l'individuo dell'alimentazione biologica in un sistema in cui la distanza sociale e l'atrocit dei rapporti sociali
sono la regola oggettiva.
La perdita della relazione umana (spontanea, reciproca, simbolica) il fatto fondamentale delle nostre societ. su
questa base che si assiste alla reiniezione sistematica di relazione umana - sotto forma di segni nel circuito sociale e
al consumo di questa relazione significata, di questo calore umano significato. L'hostess accompagnatrice, l'assistente
sociale, l'ingegnere in relazioni pubbliche, la pin-up pubblicitaria, tutti questi apostoli funzionari hanno per missione
secolare la gratificazione, la lubrificazione dei rapporti sociali attraverso il sorriso istituzionale. Dappertutto si vede la
pubblicit imitare i modi della comunicazione privata, intima, personale. La pubblicit si sforza di parlare alla casalinga
col linguaggio della casalinga di fronte, al dirigente e alla segretaria come il suo principale o il suo collega, a ciascuno
di noi come un nostro amico, come il nostro Super-io, o come una voce interiore al modo della confessione. La
pubblicit produce cos dell'intimit l dove non ce n', tra gli uomini, tra questi ultimi e i prodotti, secondo un vero
processo di simulazione. Ed questo tra l'altro (ma forse innanzi tutto) a venir consumato nella pubblicit.
Tutta la dinamica di gruppo, e le pratiche analoghe rivelano lo stesso obiettivo (politico) o la stessa necessit (vitale):
lo psico-sociologo patentato pagato caro per reintrodurre nei rapporti opachi dell'impresa della solidariet, dello
scambio, della comunicazione.
Cos avviene in tutto il settore terziario dei servizi: il commerciante, l'impiegato di banca, la commessa dei grandi
magazzini, il rappresentante di commercio, i servizi di informazione, di promozione delle vendite, tutti questi impieghi
di condizionamento, di marketing e di merchandizing della relazione umana, senza dimenticare il sociologo,
l'interviewer, l'impresario e il salesman, a cui la regola professionale impone il contatto , la partecipazione ,
l'interessamento psicologico verso gli altri - in tutti questi settori di impiego e di ruoli, la connotazione di reciprocit,
di calore inclusa nella programmazione e l'esercizio della funzione. Essa costituisce l'asso nella manica della
promozione, del reclutamento, e del salario. Avere delle qualit umane , le qualit di contatto , calore
relazionale , ecc. Dovunque un dilagare di spontaneit truccata, di discorso personalizzato, di affettivit e di
relazione personale orchestrata. Keep smiling! Seid nett miteinander. Il sorriso di Sofitel-Lyon, quello che

speriamo di veder fiorire sulle vostre labbra quando varcherete la nostra porta, quello di coloro che hanno gi
apprezzato un hotel della nostra catena... la dimostrazione della nostra filosofia in materia alberghiera: il sorriso .
Operazione: bicchiere dell'amicizia. I "bicchieri dell'amicizia" con la dedica dei pi grandi nomi della scena, dello
schermo, dello sport e del giornalismo serviranno da premio alla vendita dei prodotti delle ditte desiderose di far un
dono alla Fondazione medica francese. Tra le personalit che hanno firmato e decorato i "bicchieri dell'amicizia"
figurano segnatamente: il corridore J.P. Beltoise, Louison Bobet, Yves Saint-Martin, Bourvil, Maurice Chevalier,
Bernard Buffet, Jean Marais e l'esploratore Paul-Emile Victor .
TWA: Distribuiamo un milione di dollari di premi a quei nostri impiegati che sanno superarsi nell'occuparsi di voi!
Questa distribuzione dipende da voi, felici passeggeri, a cui chiediamo di votare per gli impiegati della TWA il cui
servizio vi avr veramente soddisfatto .
Superstruttura tentacolare, che supera di molto la semplice funzionalit degli scambi sociali per costituirsi in
filosofia, in sistema di valore della nostra societ tecnocratica.
Playtime, o la parodia dei servizi
Quest'immenso sistema di sollecitudine vive su una contraddizione totale. Non solo non pu mascherare la legge di
bronzo della societ commerciale, la verit oggettiva dei rapporti sociali, che la competizione, la distanza sociale
crescente con la promiscuit e la concentrazione urbana e industriale, ma soprattutto non pu mascherare la
generalizzazione dell'astrazione del valore di scambio persino in seno alla quotidianit e alle relazioni pi personali ma questo sistema a dispetto delle apparenze esso stesso un sistema di produzione - produzione di comunicazione,
di relazione umana di servizi. Produce sociabilit. Ora in quanto sistema di produzione, non pu che obbedire alle
stesse leggi vigenti nel modo di produzione dei beni materiali, non pu che riprodurre nel suo stesso funzionamento i
rapporti sociali che ha per obiettivo di superare. Destinato a produrre sollecitudine, votato a produrre e a riprodurre
simultaneamente distanza, non-comunicazione, opacit, atrocit.
Questa contraddizione fondamentale avvertibile in tutti i campi della relazione umana funzionalizzata . Poich
questa nuova socialit, questa raggiante sollecitudine, quest' ambiente caloroso, non hanno propriamente pi
nulla di spontaneo, in quanto prodotti istituzionalmente e industrialmente, sarebbe sorprendente che non trasparisse,
nella loro tonalit stessa, la loro verit sociale ed economica. proprio questa distorsione a sperimentarsi ovunque:
dappertutto questo funzionariato della sollecitudine distorto e paralizzato dall'aggressivit, dal sarcasmo, dall'humor
(nero) involontario, dappertutto i servizi resi, l'essere servizievole sono sottilmente associati alla frustrazione, alla
parodia. E dovunque si sperimenta, connessa a questa contraddizione, la fragilit di questo sistema generale di
gratificazione, e che esso sempre in procinto di guastarsi e di crollare ( del resto ci che capita di tanto in tanto).
Si tocca qui una delle contraddizioni profonde della nostra societ detta dell' abbondanza : quella tra la nozione di
servizio , di origine e di tradizione feudale, e i valori democratici dominanti. Il servo e il servitore feudale o
tradizionale servono di buon grado , senza riserve mentali: il sistema appare tuttavia gi in piena crisi in Swift, nelle
Directions to Servants, in cui i servitori costituiscono una societ a s, completamente solidale in margine alla societ
dei padroni, societ parassitaria e cinica, parodistica e sarcastica. il crollo nei costumi della fedele societ del
servizio : essa sfocia in un'ipocrisia feroce, in una specie di latente vergognosa lotta di classe, in uno spudorato
sfruttamento reciproco dei padroni e dei servitori, sotto la maschera di un sistema di valori formalmente immutato.
Oggi i valori sono democratici: ne risulta un'insolubile contraddizione al livello dei servizi , la cui pratica
inconciliabile colla formale uguaglianza delle persone. Sola via d'uscita: un gioco sociale generalizzato (infatti
ciascuno al giorno d'oggi, non solamente nella sua vita privata, ma anche nella sua pratica sociale e professionale,
destinato a usufruire o a praticare dei servizi - ciascuno pi o meno il terziario dell'altro). Questo gioco sociale
della relazione umana in una societ burocratica differente dalla feroce ipocrisia dei servitori di Swift. un
gigantesco modello di simulazione della reciprocit assente. Non pi la dissimulazione, la simulazione
funzionale. Il minimum vitale della comunicazione sociale non conseguito che a prezzo di questo forcing
relazionale, in cui ciascuno si trova implicato - magnifica apparenza ingannatrice destinata a pacificare l'oggettiva
relazione di ostilit e di distanza che va da ciascuno a tutti.
Il nostro mondo dei servizi ancora largamente quello di Swift. L'astio del funzionario, l'aggressivit del burocrate
sono forme arcaiche, ancora di ispirazione swiftiana. Cos la servilit del parrucchiere per signora, l'importunit
deliberata e senza scrupoli del rappresentante di commercio - tutto ci ancora una forma violenta, forzata,
caricaturale, della relazione di servizio. Retorica della servilit, in cui, malgrado tutto, traspare - come tra i padroni e i,
servitori di Swift - una forma alienata di relazione personale. La maniera in cui l'impiegato di banca, il fattorino, la
signorina delle poste, esprimono, sia attraverso la loro acrimonia, sia attraverso la loro iper-devozione, che essi sono
pagati per fare il loro mestiere - proprio ci che vi in essi di umano, di personale e di irriducibile al sistema. La
grossolanit, l'insolenza, la distanza ostentata, la lentezza calcolata, l'aperta aggressivit, o al contrario l'eccessivo
rispetto, ci che in essi resiste alla contraddizione di dover incarnare come se fosse naturale una devozione
sistematica e per la quale sono pagati, punto e basta. Di qui l'ambiente vischioso, sempre accompagnato da una
velata aggressivit, di questo scambio di servizi , in cui le persone reali resistono alla personalizzazione
funzionale degli scambi.
Ma ci non che un residuo arcaico: la vera relazione funzionale ha risolto oggi ogni tensione, la relazione funzionale
di servizio non pi violenta, ipocrita, sadomasochistica, apertamente calorosa, spontaneamente personalizzata e
definitivamente pacificata: la straordinaria atonalit vibrante delle annunciatrici di Orly e della TV, il sorriso atonale,
sincero e calcolato (ma in fondo, n l'uno n l'altro, infatti non pi una questione di sincerit, o di cinismo, si

tratta di relazione umana funzionalizzata , depurata da tutti gli aspetti caratteriali o psicologici, depurata da ogni
suono armonico reale e affettivo, ma ricostruita a partire dalle vibrazioni calcolate della relazione ideale - in breve,
liberata da ogni dialettica morale violenta dell'essere e dell'apparenza e restituita alla sola funzionalit del sistema di
relazioni).
Siamo ancora, nella nostra societ di consumo dei servizi, al crocicchio di questi due ordini, Tutto ci era illustrato
molto bene dal film di Jacques Tati, Playtime, in cui si passava dal sabotaggio tradizionale e cinico, dalla parodia
sarcastica dei servizi (tutto l'episodio del cabaret di lusso, il pesce freddo che va da una tavola all'altra, l'impianto che
si guasta, tutta la perversione delle strutture ricettive e la, disgregazione di un universo troppo nuovo) alla
funzionalit strumentale e inutile dei salotti di ricevimento, con poltrone e piante verdi, delle facciate di vetro e della
comunicazione ininterrotta, nella glaciale sollecitudine di innumerevoli gadgets e in un ambiente impeccabile.
La pubblicit e l'ideologia del dono
La funzione sociale della pubblicit da individuare nella stessa prospettiva extraeconomica dell'ideologia del dono.
della gratuit e del servizio. Infatti la pubblicit non solamente promozione delle vendite suggestione per dei fini
economici. Essa forse non neppure questo innanzitutto (ci si interroga sempre di pi sulla sua efficacia economica):
quel che proprio del discorso pubblicitario la negazione della razionalit economica dello scambio
commerciale sotto gli auspici della gratuit 2.
Questa gratuit ha degli aspetti economici minori: gli sconti, i saldi, i regali, tutti i mini-gadgets offerti come premio di
un acquisto, i gimmicks . La profusione dei premi, dei giochi, dei concorsi, degli affari eccezionali, costituisce il
proscenio della promozione, il suo aspetto esteriore cos come appare alla casalinga di base. Descrizione-robot: Al
mattino, la donna di casa consumatrice apre le imposte della sua casa, la casa della felicit, guadagnata al grande
concorso Floraline. Ella prende il suo t nello splendido servizio con decorazioni persiane che ha attualmente grazie
ai Triscottes (in cambio di cinque prove di acquisto e 9,90 F)... Infila un vestitino... una cosina giovane (20% di sconto)
per recarsi da Prisunic. E non dimentica la sua carta Prisu che le consente di fare acquisti senza denaro liquido... Al
supermercato ha giocato alla "lanterna magica Buitoni", e ha vinto 0,40 F di sconto su una scatola di pollo imperiale
(5,90 F). Per suo figlio qualcosa di culturale: il quadro di Peter Van Hought grazie al detersivo Persil. Per merito dei
fiocchi d'avena Kellog's, suo figlio si divertito a montare un aereoporto giocattolo. Il dopopranzo per distendersi
mette un disco, un concerto brandeburghese. un 33 giri che le costato 8 franchi con il Tri Pack San Pellegrino.
Questa sera grande novit: la TV a colori, gentilmente prestata per tre giorni dalla Philips (su semplice richiesta,
senza alcun obbligo d'acquisto), ecc. . Vendo sempre meno detersivo, e sempre pi regali sospira il direttore
tecnico di una fabbrica di sapone.
Questa non che la strizzatina d'occhio, il men leggero delle pubbliche relazioni. Ma bisogna credere che tutta la
pubblicit non che la gigantesca estrapolazione di questo qualcosa in pi . Le piccole gratificazioni quotidiane
assumono nella pubblicit la dimensione di un fatto sociale totale. La pubblicit dispensata , un'offerta gratuita
e continua a tutti e per tutti. l'immagine prestigiosa dell'opulenza, ma soprattutto il pegno ripetuto del miracolo
virtuale della gratuit. La sua funzione sociale dunque quella di un settore delle relazioni pubbliche. noto come tali
relazioni procedono: visita alle fabbriche (Saint-Gobain, stages di riciclaggio dei quadri dirigenti in castelli Luigi XIII,
sorriso fotogenico del direttore generale, opere d'arte nelle fabbriche, dinamica di gruppo: Il compito del public
relations man di mantenere un'armonia di interessi reciproci tra il pubblico e i managers ). Allo stesso modo la
pubblicit in tutte le sue forme ha per funzione la messa in mostra di un tessuto sociale ideologicamente unificato
sotto gli auspici di un super-mecenate collettivo, di una super-feudalit munifica, che vi offrono tutte queste cose in
pi , come i vecchi nobili davano le feste per il loro popolo. Attraverso la pubblicit che gi in s un servizio sociale,
tutti i prodotti si offrono come servizi, tutti i reali processi economici sono messi in scena e reinterpretati socialmente
come risultati di un dono, di una fedelt personale e di una relazione affettiva. Che questa munificenza, come quella
dei potentati, non sia altro che una forma di ridistribuzione di una parte degli utili, cosa che non conta. L'astuzia della
pubblicit , propriamente quella di sostituire ovunque la magia del Cargo (la totale e miracolosa abbondanza
sognata dagli indigeni) alla logica del mercato.
Tutti i giochi della pubblicit vanno in questa direzione. Si guardi come essa dovunque si fa discreta, benevola,
dimessa, disinteressata. Un'ora di emissione radio per un minuto di flash sulla marca. Quattro pagine di prosa poetica
e la marca della ditta, vergognosa (?!), in fondo a una pagina. E tutti i giochi con se stessa, rilancio della riservatezza
e della parodia antipubblicitaria . La pagina bianca per la milionesima Volkswagen: Non possiamo mostrarvela,
appena stata venduta . Tutto ci che pu inscriversi nella storia della retorica pubblicitaria, si deduce prima di tutto
logicamente dalla necessit per la pubblicit di svincolarsi dall'aspetto economico e di alimentare la finzione di un
gioco, di una festa, di una istituzione caritativa, di un servizio sociale disinteressato. L'ostentazione del disinteresse
gioca come funzione sociale della ricchezza (VebIen) e come fattore di integrazione. Al limite una simile funzione sar
svolta anche dall'aggressivit contro il consumatore e dall'antifrase. Tutto possibile e tutto buono, non tanto per far
vendere quanto per restituire del consenso, della complicit, della collusione - in breve, anche qui, per produrre della
relazione, della coesione, della comunicazione. Che questo consenso indotto dalla pubblicit possa in seguito
trasformarsi in adesione a degli oggetti, in prassi d'acquisto e in implicita obbedienza agli imperativi economici del
consumo, certo, ma non l'essenziale, e in ogni modo questa funzione economica della pubblicit consecutiva

alla sua globale funzione sociale. proprio per questo che essa non mai assicurata 3.
La vetrina
La vetrina, tutte le vetrine che sono, insieme alla pubblicit, il centro di convezione delle nostre pratiche consumistiche
urbane, sono anche per eccellenza il luogo di questa operazione-consenso , di questa comunicazione e di questo
scambio dei valori mediante il quale tutta una societ si omogeneizza, attraverso un'incessante, acculturazione
quotidiana, in conformit alla logica, silenziosa e spettacolare, della moda. Questo spazio specifico che la vetrina,
n interno n esterno, n privato n pubblico, che gi la strada pur mantenendo dietro la trasparenza del vetro lo
statuto opaco e la distanza della merce, questo spazio specifico anche il luogo di una specifica relazione sociale. La
carrellata delle vetrine, la loro magia calcolata che sempre nel contempo una frustrazione, questo valzer-esitazione
dello shopping, la danza sfrenata dei beni prima dello scambio. Gli oggetti e i prodotti vi si offrono in una messa in
scena gloriosa, in un'ostentazione sacralizzante (non una partecipazione pura e semplice, non pi di quanto non
avvenga nella pubblicit, , come dice G. Lagneau, uno sfruttamento). Questo dono simbolico rappresentato dagli
oggetti messi in scena, questo scambio simbolico, silenzioso, tra l'oggetto offerto e lo sguardo, invita evidentemente
allo scambio reale, economico, all'interno del negozio. Ma non forzatamente e, in ogni modo, la comunicazione che si
stabilisce al livello della vetrina non tanto quella degli individui cogli oggetti quanto una comunicazione generalizzata
di tutti gli individui tra loro, non gi attraverso la contemplazione degli stessi oggetti, ma attraverso la lettura e il
riconoscimento, negli stessi oggetti, dello stesso sistema di segni e dello stesso codice gerarchico di valori. questa
acculturazione, questo addomesticamento che ha luogo in ogni momento. per le strade, sui muri, nei corridoi del
metro, sui pannelli pubblicitari e sulle insegne luminose. Le vetrine scandiscono cos il processo sociale del valore:
esse sono per tutti un continuo test d'adattamento, un test di proiezione diretta e d'integrazione. I grandi magazzini
costituiscono una specie di culmine di questo processo urbano, un vero e proprio laboratorio e crogiolo sociale dove
la collettivit rafforza la propria coesione, come nelle feste e negli spettacoli 4.
La societ terapeutica
L'ideologia di una societ che si prende continuamente cura di voi culmina nell'ideologia di una societ che vi cura, e
precisamente come malato virtuale. Bisogna credere in effetti che il grande corpo sociale sia ben malato, e che i
cittadini consumatori siano ben fragili, sempre al limite del tracollo e dello squilibrio, perch ovunque presso i
professionisti, nelle gazzette e presso i moralisti analisti si tenga questo discorso terapeutico .
Bleustein-Blanchet: Considero che i sondaggi di opinione siano uno strumento di misura indispensabile che l'agente
pubblicitario deve usare allo stesso modo in cui il medico prescrive analisi e radiografie .
Un agente pubblicitario: Quel che il cliente cerca la sicurezza. Ha bisogno di essere rassicurato, preso a carico.
Per lui voi siete il padre, o la madre, o i figli... Il nostro mestiere parente stretto dell'arte medica Si come i
medici, si danno consigli, non si impone nulla Il mio mestiere un sacerdozio, come quello del medico .
Architetti, agenti pubblicitari, urbanisti, designers, tutti vogliono essere demiurghi, o piuttosto taumaturghi delle
relazioni sociali e dell'ambiente. La gente vive nella bruttezza bisogna guarirla da ci. Anche gli psico-sociologi
vogliono essere terapeuti della comunicazione umana e sociale. E ci vale anche per gli industriali che si considerano
come i missionari del benessere e della prosperit generale. La societ malata : il leitmotiv di tutte le buone
anime al potere. La societ dei consumi un cancro: bisogna darle un supplemento d'anima dice M. ChabanDelmas. Bisogna dire che di questo grande mito della societ malata, mito che esenta da ogni analisi delle
contraddizioni reali, sono largamente complici i medical-men contemporanei cio gli intellettuali. Questi tuttavia hanno
la tendenza a localizzare il male a un livello fondamentale, di qui il loro pessimismo profetico. I professionisti, in
generale, tendono a mantenere il mito della societ malata non tanto al livello organico (in questo caso sarebbe
incurabile), quanto al livello funzionale, cio al livello dei suoi scambi e dei suoi metabolismi. Di qui il loro ottimismo
dinamico: per guarirla sufficiente ristabilire la funzionalit degli scambi, accelerare il metabolismo (vale a dire
iniettare ancora una volta della comunicazione, della relazione, del contatto, dell'equilibrio umano, del calore,
dell'efficacia e del sorriso controllato). Ci a cui essi si dedicano allegramente e con profitto.
Ambiguit e terrorismo della sollecitudine
Bisogna insistere sulla profonda ambiguit di questa liturgia della sollecitudine, che risente in pieno del doppio senso
del verbo sollecitare :
l. L'accezione che assume nella sollecitudine : prendersi cura di, gratificare, essere materni, ecc. il senso
manifesto, il senso pi corrente. Il dono.
2. Il senso inverso che assume di domanda (sollecitare una risposta), di esigenza, e al limite di richiesta ( sono stato
sollecitato per... ), senso ancora pi evidente nell'accezione moderna: sollecitare le cifre, sollecitare i fatti . Qui si
tratta francamente di deviare, catturare, stornare a proprio vantaggio. Esattamente l'opposto della sollecitudine.
Ora la funzione di tutto l'apparato istituzionale o non istituzionale della sollecitudine (pubbliche relazioni, pubblicit,
ecc.) che ci circonda e prolifera continuamente , contemporaneamente, di gratificare e di soddisfare, di sedurre e di
stornare surrettiziamente. Il consumatore medio sempre l'oggetto di questa duplice impresa, egli sollecitato in tutti
i sensi del termine - l'ideologia del dono che la sollecitudine comporta infatti sempre l'alibi del condizionamento

reale che quello della sollecitazione 5.


Questa retorica della taumaturgia e della sollecitudine che contraddistingue la societ dei consumi e dell'abbondanza
con una particolare tonalit affettiva ha precise funzioni sociali:
1. Riciclaggio affettivo degli individui isolati nella societ burocratica per mezzo della divisione tecnica e sociale dei
lavoro e per mezzo della divisione tecnica e sociale parallela, altrettanto totale e burocratica, della prassi di consumo.
2. Strategia politica di integrazione formale che rafforza e compensa le manchevolezze delle istituzioni politiche:
proprio come il suffragio universale, i referendum, le istituzioni parlamentari sono destinati a mettere in luce un
consenso sociale ad opera della partecipazione formale, cos la pubblicit, la moda, le relazioni umane e pubbliche
possono interpretarsi come una specie di referendum perpetuo - in cui i cittadini consumatori sono sollecitati in
ciascun istante a pronunciarsi favorevolmente per un certo codice di valori che implicitamente sanzionano. Questo
sistema informale di mobilitazione del consenso pi sicuro: esso non permette praticamente di dire di no ( vero
per che il referendum elettorale anch'esso una messa in scena democratica del s ). In tutti i paesi al giorno
d'oggi si constata che i processi di controlli sociali violenti (costrizioni repressive, statali, poliziesche) sono sostituiti dai
modi d'integrazione participazionisti - innanzi tutto sotto la forma parlamentare ed elettorale, quindi attraverso i
processi informali di sollecitazione di cui parliamo. Sarebbe interessante analizzare in questo senso l'operazione
relazioni pubbliche messa in atto da Publics/SaintGobain in quel grande avvenimento sociologico che fu l'OPA di
Boussois contro Saint-Gobain: l'opinione pubblica mobilitata, sollecitata come testimone, richiesta come azionista
psicologica nell'operazione. Nella ristrutturazione oggettiva dell'impresa capitalistica, il pubblico si trovato, col
pretesto dell'informazione democratica , integrato come giuria, e, attraverso il gruppo simbolico degli azionisti di
Saint-Gobain, manipolato come beneficiario. Si vede come l'azione pubblicitaria, intesa nel senso pi ampio, possa
modellare e totalizzare dei processi sociali, come possa sostituirsi quotidianamente, e senza dubbio ancora pi
efficacemente, al sistema elettorale, nella mobilitazione e nel controllo psicologico. A questo livello in procinto di
nascere tutta una nuova strategia politica, contemporanea all'evoluzione oggettiva della tecnostrutturae del
produttivismo monopolistico.
3. Il controllo politico mediante la sollecitazione e la sollecitudine si sdoppia in un controllo pi intimo nell'ambito
delle motivazioni stesse. qui che il verbo sollecitare assume il suo doppio senso, ed in questo senso che tutta
questa sollecitudine in fondo terroristica. Prendiamo questo mirabile esempio pubblicitario che si intitola: Quando
una ragazza dice di adorare Freud, bisogna intendere che adora i fumetti : Una ragazza un "piccolo essere
selvatico", pieno di contraddizioni. Ora al di l di queste contraddizioni tocca a noi, agenti pubblicitari, comprendere
questa ragazza. Pi in generale comprendere le persone a cui desideriamo rivolgerci . Dunque le persone sono
incapaci di comprendere se stesse, di sapere che cosa sono e che cosa vogliono, ma noi siamo qui per questo. Su di
voi ne sappiamo molto di pi di quanto ne sappiate voi stessi. Posizione repressiva da analista paternalistico. La
finalit di questa superiore comprensione chiara: Comprendere le persone per essere compresi da loro. Saper
parlar loro per essere da loro capiti. Piacer loro per interessare loro. In breve, saper vendere loro un prodotto - il
vostro prodotto. ci che chiamano la comunicazione . Astuzia da commercianti? Non solo. Questa ragazza non ha
il diritto di amare Freud, ella si inganna, e noi cerchiamo di imporle, per il suo bene, proprio quello che ama in segreto.
qui tutta l'inquisizione sociale, tutta la repressione psicologica. La pubblicit nel suo insieme non confessa cos
chiaramente le cose. Essa tuttavia ad ogni istante mette in opera gli stessi meccanismi di controllo caritatevole e
repressivo.
Cos ancora la TWA la compagnia che vi comprende . E guardate come vi comprende: Non sopportiamo l'idea di
sapervi completamente soli nella vostra camera di albergo, a girare freneticamente le manopole del televisore...
Stiamo facendo di tutto per permettervi di condurre con voi la vostra cara "met" nel vostro prossimo viaggio di affari...
Speciale tariffa familiare, ecc. Con la vostra cara "met" con voi, almeno avrete qualcuno per cambiare canale...
Questo l'amore... . Non si pu essere soli, non avete il diritto di essere soli: Noi non lo sopportiamo . Se non
sapete cosa vuol dire essere felici ve lo insegneremo noi. Noi lo sappiamo meglio di voi. E persino la maniera di fare
l'amore: la vostra met il vostro secondo canale erotico. Non lo sapevate? Vi insegneremo anche questo.
Infatti siamo qui per comprendervi, il nostro ruolo...
La compatibilit sociometrica
La socialit, o la capacit di creare del contatto , di alimentare la relazione, di promuovere gli scambi, di
intensificare il metabolismo sociale, diviene in questa societ un segno distintivo della personalit . La prassi di
consumo, di spesa, di moda, e, per il loro tramite di ,comunicazione cogli altri, sono uno dei pezzi forti di questa
personalit sociometrica contemporanea, cos come tratteggiata da D. Riesman in La folla solitaria 6. Tutto il
sistema di gratificazione e di sollecitudine non in effetti che la modulazione affettiva, essa stessa funzionalizzata, di
un sistema di relazioni in cui lo status dell'individuo muta totalmente. Entrare nel ciclo del consumo e della moda non
significa solamente circondarsi di oggetti e di servizi a proprio piacere, significa anche mutare essere e
determinazione, significa passare da un principio individuale fondato sull'autonomia, sul carattere, sul valore proprio
dell'io a un principio di riciclaggio perpetuo attraverso un'indicizzazione su di un codice in cui il valore dell'individuo si
fa razionale, demoltiplicato, mutevole: il codice della personalizzazione , di cui nessun individuo in s
depositario, ma che attraversa ciascun individuo nella sua relazione manifesta cogli altri. La persona come istanza
di determinazione scompare a vantaggio della personalizzazione. A partire da questo momento, l'individuo non pi
un centro di valori autonomi, ma solo il termine di relazioni multiple in un processo di interrelazioni mobili. L'extra-

determinato in qualche modo dappertutto e in nessuna parte, capace di un'intimit rapida, per quanto superficiale,
con tutti (Riesman). In effetti preso in una specie di grafico sociometrico, e continuamente ridefinito dalla sua
posizione su questa bizzarra tela di ragno (questi fili che uniscono A, B, C, D, E, in una rete di relazioni positive,
negative, unilaterali o bilaterali). In breve un essere sociometrico, la cui definizione consiste nel fatto che si trova
all'intersezione degli altri.
Non solamente un modello ideale . Questa immanenza degli altri e questa immanenza agli altri regola tutti i
comportamenti (dunque tutto il dominio del consumo) secondo un processo di interrelazione illimitata, in cui
propriamente parlando non vi un soggetto individualizzato nella sua libert , n gli altri nel senso sartriano del
termine, ma un ambiente generalizzato, in cui i termini relativi non assumono senso che nella loro mobilit
differenziale. la stessa tendenza che si pu individuare al livello degli oggetti-elementi e della loro manipolazione
combinatoria negli interni moderni. Non si tratta dunque, in questo nuovo tipo di integrazione, di conformismo o di
anticonformismo (per quanto il lessico giornalistico continui a impiegare questi termini, essi sono relativi alla
societ borghese tradizionale), ma di socialit ottimale, di compatibilit massimale con gli altri, con le situazioni, con le
professioni diverse (riciclaggio, polivalenza), di mobilit a tutti i livelli. Essere universalmente mobile , fidabile e
polivalente, questo vuol dire cultura nell'era della human engineering. Cos le molecole si costituiscono a partire
dalle valenze multiple dei vari atomi e si possono dissociare per riorganizzarsi differentemente o costituire delle
grosse molecole complesse... Questa capacit di adattamento coincide con una mobilit sociale diversa da quella
propria dell'ascesa dei parvenu o del self-made-man tradizionali . Non si spezzano i legami secondo la traiettoria
individuale, non ci si apre la propria strada, rompendo colla propria classe, non si bruciano le tappe: si tratta di essere
mobili con tutti, e di oltrepassare i gradi codificati di una gerarchia i cui segni si distribuiscono in modo rigoroso.
Del resto non questione di non essere mobili: la mobilit un brevetto di moralit. dunque sempre un obbligo di
mobilit . E questa compatibilit di tutti gli istanti sempre anche una contabilit - vale a dire che l'individuo definito
come la somma delle sue relazioni, delle sue valenze anche sempre contabilizzabile in quanto tale: diviene unit
di calcolo, e entra da se stesso in un piano-calcolo sociometrico (o politico).
Prova e approvazione (Verbung und Bewhrung)
In questa rete di relazioni ansiose in cui non vi pi valore assoluto, ma solo compatibilit funzionale, non si tratta pi
di imporsi , di dar prova di s (prova, Bewhrung), ma di trovare il contatto e l'approvazione degli altri, di
sollecitare il loro giudizio e la loro affinit positiva. Questa mistica dell'approvazione, si sostituisce dovunque
progressivamente a quella della prova. L'obiettivo di un adempimento trascendente proprio dell'individuo tradizionale
cede il posto a dei processi di sollecitazione reciproca (nel senso in cui l'abbiamo definita sopra: Werbung). Ciascuno
sollecita e manipola, ciascuno sollecitato e manipolato.
Questo il fondamento della nuova morale, in cui i valori individualistici, ideologici, cedono il passo a una specie di
relativit generalizzata, di recettivit e di adesione, di comunicazione ansiosa - bisogna che gli altri vi parlino, (nel
doppio senso, intransitivo: che essi si rivolgano a voi - transitivo: che essi vi esprimano e vi dicano che cosa siete), vi
amino, vi circondino. Abbiamo visto l'orchestrazione di tutto ci nella pubblicit che non cerca tanto di informarvi (n in
fondo di ingannarvi), ma di parlarvi . senza importanza dice Riesman - sapere se Johnny si diverte meglio
con un camion o con un mucchio di sabbia; per contro essenziale sapere se gioca, quale che sia il gioco, d'amore e
d'accordo con Bill . Si arriva al punto in cui il gruppo si interessa meno a quel che produce che alle relazioni umane
nel suo seno. Il suo lavoro essenziale pu essere in qualche modo di produrre delle relazioni e di consumarle via via.
Al limite questo processo sufficiente a definire un gruppo al di fuori di ogni obiettivo esterno. Il concetto d'ambiente
riassume la cosa assai bene: l' ambiente la somma diffusa di relazioni prodotte e consumate dal gruppo nella sua
unit - presenza del gruppo a se stesso. Se non esiste, si pu programmarlo e produrlo industrialmente. il caso pi
generale.
Nella sua accezione pi larga, che si allontana di molto dall'uso comune, questo concetto di ambiente caratteristico
delle societ dei consumi, che si pu definire nel modo seguente:
1 valori di obiettivo e di trascendenza (valori finali e ideologici) lasciano il posto ai valori d'ambiente (relazionali,
immanenti, senza obiettivo) che si esauriscono nel momento della relazione (consumati).
2. La societ dei consumi nello stesso tempo una societ di produzione di beni e di produzione accelerata di
relazioni. anche quest'ultimo aspetto a caratterizzarla. Questa produzione di relazioni, ancora artigianale a livello
intersoggettivo o dei gruppi primari, tende tuttavia ad allinearsi progressivamente col modo di produzione dei beni
materiali, cio col modo di produzione industriale generalizzato. Essa allora diviene, secondo la stessa logica, il
compito, se non monopolio, di aziende specializzate (private o nazionali), di cui costituisce la ragione sociale
commerciale. Le conseguenze di questa evoluzione sono ancora difficili da intravvedere: difficile ammettere che si
producano delle relazioni (umane, sociali, politiche) allo stesso modo in cui si producono degli oggetti, e che, a partire
dal momento in cui sono prodotte nello stesso modo, esse divengano allo stesso titolo oggetti di consumo. per la
verit, ma non ci troviamo che all'inizio di un lungo processo 7.
Culto della sincerit - tolleranza funzionale
Per poter essere prodotta e consumata, la relazione - al pari dei beni materiali, della forza-lavoro e secondo una
medesima logica - deve essere liberata , emancipata . Vale a dire che essa deve spogliarsi di tutte le

convinzioni e i riti sociali tradizionali. la fine della gentilezza e dell'etichetta, le quali sono incompatibili con la
relazione funzionale generalizzata. Se l'etichetta cade, non per questo la relazione diviene spontanea. Essa cade
sotto il dominio della produzione industriale e della moda. Ma poich essa il contrario della spontaneit, essa ne
riprende spontaneamente tutti i segni.
Ci che Riesman ha sottolineato nella sua descrizione del culto della sincerit . Mistica parallela a quella del
calore e della sollecitudine , di cui abbiamo parlato in precedenza, cos come a tutti i segni e i riti obbligati della
comunicazione assente.
Quest'ossessione della sincerit non fa che ricordare tristemente quanta poca fiducia essi abbiano in se stessi e
negli altri nella vita quotidiana .
in effetti il fantasma della sincerit perduta che ossessiona questa amichevolezza del contatto, questo perpetuo in
diretta con... , questo gioco e questo forcing del dialogo ad ogni costo. La relazione autentica perduta, viva la
sincerit! Forse vi anche (da un punto di vista pi sociologico ), dietro questa ossessione della lealt dei premi
, del fair-play sportivo, sentimentale e politico, della semplicit dei "grandi" , delle confessioni crude degli idoli del
cinema e simili, o dei flashs col teleobiettivo sulla vita quotidiana delle famiglie principesche - vi forse in tutta questa
sfrenata domanda di sincerit (come di quella del materiale nelle costruzioni moderne) l'immensa sfiducia, l'immensa
reazione delle classi acculturate di fronte alla cultura e ai riti tradizionali, qualunque essi siano, che sono sempre
serviti a sottolineare la distanza sociale. Una immensa ossessione che attraversa tutta la cultura di massa espressione di classe dei declassati della cultura: l'ossessione di essere sfruttati, di essere abbindolati e manipolati
attraverso i segni come lo sono stati storicamente per secoli - o ancora la paura o il rifiuto della cultura dotta e
cerimoniale, respinta in nome del mito di una cultura del naturale e della comunicazione istantanea.
In ogni modo in questa cultura industriale della sincerit, sono ancora i segni della sincerit ad essere consumati. E
questa sincerit non si oppone pi al cinismo o all'ipocrisia come nel registro dell'essere e dell'apparenza. Nel campo
della relazione funzionale, cinismo e sincerit si alternano senza contraddirsi, nella stessa manipolazione dei segni.
Ovviamente lo schema morale (sincerit = bene/artificialit = male) vale sempre, ma non connota pi delle qualit
reali, connota solo la differenza tra i segni della sincerit e i segni dell'artificialit.
Il problema della tolleranza (liberalismo, lassismo, permissive society, ecc.) si pone allo stesso modo. Il fatto che
oggi i nemici una volta mortali si parlino, che le ideologie pi ferocemente opposte dialoghino , che una specie di
coesistenza pacifica si installi a tutti i livelli, che i costumi si ammorbidiscano, non significa affatto un progresso
umanistico nelle relazioni umane, una maggior comprensione dei problemi, e altre simili insulsaggini. Tutto ci
significa semplicemente che le ideologie, le opinioni, le virt e i vizi non sono pi al limite che un materiale di scambio
e di consumo, e che perci tutti i contraddittori si equivalgono nel gioco dei segni. In questo contesto la tolleranza non
pi n un tratto psicologico, n una virt: una modalit del sistema stesso. Essa come l'elasticit, la totale
compatibilit dei termini della moda: gonne lunghe e minigonne si tollerano molto bene (esse non significano del
resto nulla di pi del loro rispettivo rapporto).
La tolleranza connota moralmente la relativit generalizzata delle funzioni/segni, degli oggetti/segni, degli
esseri/segni, delle relazioni/segni, delle idee/segni. In effetti si al di l dell'opposizione fanatismo/tolleranza, come si
al di l dell'opposizione trucco/sincerit. La tolleranza morale non maggiore di quanto non fosse un tempo.
Semplicemente si cambiato sistema, e si passati alla compatibilit funzionale.
NOTE AL CAPITOLO QUARTO
1

La pubblicit stessa, a titolo di processo economico, pu essere considerato come una festa gratuita finanziata
dal lavoro sociale, ma offerta a tutti senza contropartita apparente, e tale da presentarsi come gratificazione
collettiva (cfr., pi avanti).
2
Cfr., G. Lagneau in Faire-Valoir: La pubblicit il rivestimento di una logica economica insostenibile, mediante le
mille illusioni della gratuit che la negano per meglio consentirle di espletarsi.
3
Su questo punto cfr. gli articoli di J. Marcus-Steiff e P. Kende, in Revue Franaise de Sociologie, X (1969), n. 3.
4
E. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Milano, Comunit, 1963.
5
Tutto questo espresso dal tedesco Werben, che significa chiedere la mano di, brigare, chiedere in matrimonio,
sollecitudine amorosa, e che significa anche competizione, concorrenza e pubblicit (la sollecitazione pubblicitaria).
6
Bologna, Il Mulino, 19672.
7
A titolo di esempio: In verit, ci dice uno specialista della promozione delle vendite, se il programma di Giscard
d'Estaing fosse stato presentato all'opinione pubblica dopo essere stato messo a punto da un qualsiasi agente
pubblicitario, secondo i metodi che riuscirono tanto bene nell'affare Saint-Gobain, i francesi gli avrebbero dato
quell'adesione che invece gli hanno rifiutato. E inoltre: Quando si pensa alla fatica che si fa per guadagnare il
favore del pubblico, mettendo all'opera tutti i moderni mezzi audiovisivi, quando si lancia una marca di saponette, ci si
meraviglia dei metodi desueti impiegati dal governo quando vuole "vendere" alla massa dei francesi il proprio
programma economico e finanziario che impiega dei miliardi di franchi.
256
CAPITOLO QUINTO

L'ANOMIA NELLA SOCIETA' OPULENTA

La violenza
La societ dei consumi , nello stesso tempo, una societ della sollecitudine e una societ della repressione, una
societ pacificata e una societ violenta. Abbiamo visto che la quotidianit pacificata si alimenta di continuo di
violenza consumata, di violenza allusiva : cronaca nera, omicidi, rivoluzioni, minaccia atomica o batteriologica: tutta
la sostanza apocalittica dei mass-media. Abbiamo visto che l'affinit tra la violenza e l'ossessione della sicurezza e del
benessere non accidentale: la violenza spettacolare e la pacificazione della vita quotidiana sono omogenee tra
loro, perch entrambe sono astratte e entrambe vivono di miti e di segni. Si potrebbe dire che la violenza dei nostri
giorni inoculata nella vita quotidiana a dosi omeopatiche un vaccino contro la fatalit - per scongiurare lo spettro
della fragilit reale di questa vita pacificata. Infatti non pi lo spettro della scarsit a minacciare la civilt
dell'abbondanza, lo spettro della fragilit. questo spettro (molto pi minaccioso in quanto relativo all'equilibrio
stesso delle strutture individuali e collettive) che bisogna scongiurare ad ogni costo, e in effetti scongiurato proprio
per mezzo di questo sotterfugio della violenza consumata, condizionata, omogeneizzata. Questa violenza non
pericolosa: il sangue, non pi del sesso, in prima pagina, non compromettono l'ordine sociale e morale (a dispetto del
ricatto delle censure che vogliono persuadersene e persuadercene). Essi testimoniano semplicemente che
quest'equilibrio precario, che questo ordine fatto di contraddizioni.
Il vero problema della violenza si pone altrove. quello della violenza reale, incontrollabile, sprigionata dalla
profusione e dalla sicurezza una volta che abbiano raggiunto una certa soglia. Non pi la violenza integrata,
consumata col resto, ma la violenza incontrollabile che il benessere secerne nel suo stesso realizzarsi. Questa
violenza si caratterizza (esattamente come il consumo secondo la definizione che ne abbiamo dato, e non nella sua
accezione superficiale) per il fatto che senza fine e senza oggetto 1.
perch siamo rimasti fermi all'idea tradizionale della pratica del benessere come attivit razionale che la violenza
eruttiva, inafferrabile, delle bande di giovani di Stoccolma, dei disordini di Montreal, degli omicidi di Los Angeles ci
appare come una manifestazione inaudita, incomprensibile, contraddittoria nei confronti del progresso sociale e
dell'opulenza. perch partecipiamo all'illusione morale della finalit cosciente di tutte le cose, della razionalit
fondamentale delle scelte individuali e collettive (su questo fondato tutto un sistema di valori: vi nel consumatore
un istinto assoluto che lo porta essenzialmente verso i suoi fini preferenziali - mito morale del consumo totalmente
ereditato dal mito idealistico dell'uomo naturalmente portato verso il bene e il bello) che questa violenza ci appare
innominabile, assurda, diabolica. Ora essa vuole forse molto semplicemente dire che qualcosa supera di molto gli
obiettivi coscienti di soddisfazione e di benessere per cui questa societ si giustifica (ai propri occhi), per cui piuttosto
essa si iscrive nella norma della razionalit cosciente. In questo senso questa violenza inesplicata ci deve far rivedere
tutte le nostre idee sull'opulenza: l'opulenza e la violenza vanno di pari passo, esse perci devono essere analizzate
insieme.
Il problema pi generale in cui si inscrive questa violenza senza oggetto , in certi paesi ancora sporadica ma
virtualmente endemica in tutti i paesi sviluppati e supersviluppati, quello delle contraddizioni fondamentali
dell'opulenza (e non solamente delle sue disparit sociologiche). quello delle molteplici forme di anomia (per
riprendere il termine di Durkheim) o di anomalia, secondo che le si riferisca alla razionalit delle istituzioni o
all'evidenza vissuta della normalit, che vanno dalla distruttivit (violenza, delinquenza) alla depressivit contagiosa
(stanchezza, suicidi, nevrosi) passando per le condotte collettive d'evasione (droga, hippies, non-violenza). Tutti
questi aspetti caratteristici dell'affluent society o della permissive society pongono, ciascuno a suo modo, il problema
di uno squilibrio fondamentale.
Non facile adattarsi all'opulenza dicono Galbraith e gli strateghi del desiderio . Le nostre idee sono radicate
nella povert, nell'ineguaglianza e nel pericolo economico del passato (oppure nei secoli della morale puritana in cui
l'uomo ha perduto l'abitudine alla felicit). Questa difficolt di vivere nell'abbondanza dimostrerebbe da sola, se ce ne
fosse bisogno, che la pretesa naturalit, del desiderio del benessere non poi cos naturale come si vuol far
credere - in caso contrario gli individui non farebbero tanta fatica ad abituarvisi, ma salterebbero a pie' pari nella
profusione. Ci dovrebbe far presentire che vi nel consumo qualcosa di completamente differente, forse qualcosa di
addirittura opposto - qualcosa a cui bisogna educare, addestrare, e addomesticare gli uomini - di fatto un nuovo
sistema di costrizioni morali e psicologiche che non ha nulla a che vedere col regno della libert. Il lessico dei
neofilosofi del desiderio a questo proposito assai significativo. Non bisogna far altro che insegnare agli uomini ad
essere felici, insegnar loro a consacrarsi alla felicit, regolare presso di loro i riflessi della felicit. L'abbondanza non
dunque un paradiso, il salto al di l della morale nella sognata immoralit della profusione, una nuova situazione
oggettiva regolata da una nuova morale. Oggettivamente parlando non dunque un progresso, molto
semplicemente qualcosa d'altro.
L'abbondanza ha dunque questo di ambiguo: sempre contemporaneamente vissuta come mito euforico (di
risoluzione delle tensioni conflittuali, di felicit al di l della storia e della morale) e sopportata come processo di
adattamento pi o meno forzato a un nuovo tipo di prassi, di costrizione collettiva e di norma. La rivoluzione
dell'abbondanza non inaugura la societ ideale, semplicemente introduce ad un altro tipo di societ.
I nostri moralisti vorrebbero ridurre questo problema relativo alla societ a un problema di mentalit . Secondo loro

l'essenziale c' gi, c' l'abbondanza reale, sufficiente passare dalla mentalit della penuria alla mentalit
dell'abbondanza; ed sufficiente deplorare che ci sia tanto difficile e deprecare di veder sorgere delle resistenze alla
profusione. Tuttavia basta ammettere per un istante l'ipotesi secondo la quale l'abbondanza stessa non che un (o
almeno anche) sistema di costrizioni di un nuovo tipo per comprendere subito che a questa nuova costrizione
sociale (pi o meno incosciente) non pu che corrispondere un nuovo tipo di rivendicazione liberatrice. Segnatamente
il rifiuto della societ dei consumi , sotto la sua forma violenta (distruzione cieca dei beni materiali e culturali) o
nonviolenta (rifiuto di investimento produttivo o consumistico). Se l'abbondanza fosse libert, allora questa violenza
sarebbe in effetti impensabile. Se l'abbondanza (la crescita) costrizione, allora questa violenza si comprende da se
stessa, si impone logicamente. Se questa violenza selvaggia, senza oggetto, informale, perch le costrizioni che
essa contesta sono anch'esse non-formulate, inconscie, illegali: sono le stesse della libert , dell'accesso
controllato alla felicit, dell'etica totalitaria dell'opulenza.
Quest'interpretazione sociologica lascia posto - credo che essa si articoli anche in profondit - a un'interpretazione
psicoanalitica di questi fenomeni, apparentemente aberranti, delle societ ricche . I moralisti di cui abbiamo
parlato, che si credono anche psicologi, parlano tutti di senso di colpa. Essi intendono sempre con ci un senso di
colpa residuale, venuto dall'et puritana e che non pu, secondo la loro logica, che essere in via di riassorbimento.
Non siamo maturi per la felicit . I pregiudizi che ci fanno tanto male . Ora chiaro che questo senso di colpa
(accettiamo il termine) al contrario si approfondisce col crescere dell'abbondanza. Un gigantesco processo di
accumulazione primitiva di angoscia, di colpevolezza, di rifiuto, corre parallelo al processo di espansione e di
soddisfazione, ed questo contenzioso ad alimentare la sovversione violenta, impulsiva, gli acting out omicidi contro
l'ordine stesso della felicit. Non dunque il passato, la tradizione o qualche altra stigmate del peccato originale a
rendere gli uomini fragili di fronte alla felicit, a dividerli nella stessa abbondanza e all'occasione a farli addirittura
insorgere contro di essa. Anche se quest'ipotesi fa ancora sentire il proprio peso, non pi qui l'essenziale. Il senso di
colpa, il malessere , le incompatibilit profonde si trovano nel cuore stesso del sistema attuale, in quanto sono da
esso prodotte sul filo della sua evoluzione logica.
Forzata ad adattarsi al principio di bisogno, al principio di utilit (principio di realt economica) vale a dire alla
correlazione sempre piena e positiva tra un prodotto qualsiasi (oggetto, bene, servizio) e una soddisfazione, per
mezzo dell'indicizzazione dell'uno sull'altra, costretta a questa finalit concentrata, unilaterale e sempre positiva, tutta
la negativit del desiderio, altro versante dell'ambivalenza (economisti e psicologi vivono di equivalenza e di
razionalit: essi postulano che tutto si risolve nel bisogno nell'orientamento positivo del soggetto verso l'oggetto. Se il
bisogno viene soddisfatto, tutto detto. Essi dimenticano che non c' bisogno soddisfatto , vale a dire qualcosa di
compiuto, in cui non ci sia che positivit, ci non esiste, non vi che del desiderio e il desiderio ambivalente)
dunque tutta questa postulazione inversa accantonata, censurata dalla soddisfazione stessa (soddisfazione che non
godimento, il godimento ambivalente) e, non sapendo pi dove appigliarsi, si cristallizza in un gigantesco
potenziale di angoscia.
Cos si chiarifica questo problema fondamentale della violenza nella societ opulenta (e indirettamente tutti i sintomi
anomali, depressivi o rinunciatari). Questa violenza radicalmente differente da quella generata dalla povert, dalla
penuria, dallo sfruttamento - l'emergenza in atto della negativit del desiderio, omesso, occultato, censurato dalla
positivit totale del bisogno. la modalit opposta dell'ambivalenza che risorge nel seno stesso dell'equivalenza
beata tra l'uomo e il suo ambiente nella soddisfazione. contro l'imperativo di produttivit/consumismo, l'emergenza
della distruttivit (pulsione di morte), per la quale non possono esistere delle strutture burocratiche capaci di
incanalarla, infatti in tal caso esse rientrerebbero a propria volta in un processo di soddisfazione pianificata; in un
sistema di istituzioni positive 2. Vedremo tuttavia che, proprio come esistono dei modelli di consumo, allo stesso modo
la societ suggerisce o istituisce dei modelli di violenza , in cui cerca di drenare, di controllare, di massmediatizzare queste forze irrompenti.
In effetti per impedire che questo potenziale di angoscia accumulato dal fatto della rottura della logica ambivalente del
desiderio, e dunque della perdita della funzione simbolica, si manifesti in quanto, violenza anomica e incontrollabile, la
societ gioca su due livelli:
1. Da un lato tende a riassorbire quest'angoscia attraverso la proliferazione delle istanze di sollecitudine: ruoli,
funzioni, innumerevoli servi collettivi - ovunque si inietta del lenitivo, del sorridente, del discolpabilizzante, del
lubrificante psicologico (proprio come il detergente nei detersivi). Enzimi divorano l'angoscia. Si vendono anche
tranquillanti, rilassanti, allucinogeni, una terapia per ogni umore. Compito senza via d'uscita, in cui la societ opulenta,
produttrice di soddisfazioni senza fine, esaurisce le sue risorse per produrre cos l'antidoto dell'angoscia nata da
queste soddisfazioni. Un bilancio sempre pi pesante va a consolare i miracolati dell'opulenza dalla loro soddisfazione
ansiosa. Lo si pu assimilare al deficit economico (del resto non contabilizzabile) dovuto ai danni della crescita
(inquinamento, obsolescenza accelerata, promiscuit, scarsit di beni naturali), ma senza alcun dubbio lo supera di
molto.
2. La societ pu tentare - e in effetti lo fa sistematicamente - di recuperare quest'angoscia come rilancio del
consumo, o di recuperare a loro volta questo senso di colpa e questa violenza come merce, come beni consumabili, o
come segni culturali distintivi. Vi allora un lusso intellettuale del senso di colpa, caratteristico di certi gruppi, un
valore di scambio/senso di colpa . O ancora il malessere della civilt dato al consumatore col resto,
risocializzato come derrata culturale e oggetto di compiacimento collettivo, ci che non fa che rinviare pi
profondamente all'angoscia, poich questo metaconsumo culturale equivale a una nuova censura e riconduce al

medesimo processo. Checch ne sia, violenza e senso di colpa sono qui reinseriti nell'ambito dei mass-media per
mezzo dei modelli culturali, e ritornano alla violenza consumata di cui si parlava all'inizio.
Questi due meccanismi di regolamentazione giocano potentemente, senza tuttavia riuscire a disinnescare il processo
critico di ritorno, di conversione sovversiva dell'abbondanza nella violenza. Inutile del resto disapprovare o lamentarsi,
come fanno tutti i critici, di questa fatalit della violenza, dell' ingranaggio , della possibile profilassi morale e
sociale, o al contrario del lassismo paternalistico ( Bisogna pure che i giovani si liberino dalle inibizioni ). Certuni
rimpiangeranno i tempi in cui la violenza aveva un senso , la buona vecchia violenza guerriera, patriottica,
passionale, in fondo razionale - la violenza sanzionata da un obiettivo o da una causa, la violenza ideologica o ancora
quella, individuale, del ribelle che rivelava ancora dall'estetismo individuale e poteva essere considerata come un'arte.
Tutti cercheranno di ricondurre questa nuova violenza a dei modelli precedenti e a curarla con dei medicamenti
conosciuti. Ma bisogna constatare che questa violenza, che non pi propriamente storica, che non pi sacra,
rituale o ideologica e che non perci atto puro e singolarit individuale, strutturalmente legata all'opulenza. Ecco
perch irreversibile, sempre incombente, e cos affascinante per tutti, quale che ne sia la misura: essa si radica nel
processo stesso della crescita e della soddisfazione moltiplicata, in cui ciascuno ormai implicato. Ogni tanto, in seno
al nostro chiuso universo di violenza e di quiete consumata, questa nuova violenza riottiene agli occhi di tutti una
parte della perduta funzione simbolica, ma ci molto brevemente prima di venir a propria volta riassorbita come
oggetto di consumo.
Serge Lentz: Le ultime scene del suo film La caccia sono talmente selvagge che per la prima volta in vita mia sono
uscito tremante da una proiezione cinematografica. Nelle sale di New York, queste stesse scene hanno provocato
delle reazioni insensate. Quando Marlon Brando si getta su un uomo per colpirlo, spettatori sconvolti, isterici, si
alzavano in piedi urlando: Kill him! Kill him! Uccidilo .
Luglio 1966: Richard Speck penetra in un dormitorio per infermiere a Chicago Sud. Imbavaglia e lega otto ragazze
attorno ai vent'anni. Poi le uccide l'una dopo l'altra a colpi di coltello o per strangolamento.
Agosto 1966: Ch. J. Whitman, studente di architettura dell'universit di Austin nel Texas, si installa con una dozzina di
fucili su una torre alta cento metri che domina il campus universitario e comincia a sparare: 13 morti e 31 feriti.
Amsterdam, giugno 1966: Per la prima volta dopo la guerra, per parecchi giorni, al centro della citt si combattuto
con inaudita violenza. La sede delle Poste e Telegrafo presa di assalto. Camion bruciati. Vetrine sfondate, tabelloni
strappati. Migliaia di manifestanti scatenati. Milioni di fiorini di danni, Un morto, decine di feriti. la rivolta dei provos.
Montreal, ottobre 1969: Gravi disordini sono scoppiati marted a seguito di uno sciopero della polizia e dei pompieri.
Duecento tassisti mettono a sacco i locali di un'agenzia di trasporto. Echeggiano delle fucilate, due morti. Dopo questo
attacco un migliaio di giovani si sono diretti verso il centro della citt, rompendo le vetrine, saccheggiando i negozi.
Dieci assalti alle banche, 19 aggressioni a mano armata, tre attentati dinamitardi, una moltitudine di furti con scasso.
Di fronte all'ampiezza di questi avvenimenti, il governo ha posto la truppa in stato di allerta e con un provvedimento
d'urgenza ha precettato la polizia.
La strage della villa Polanski: cinque persone pi o meno celebri assassinate in una villa sulle colline di Los Angeles,
tra le vittime la moglie di Polanski noto regista di film sado-fantastici. Assassinio di idoli, esemplare perch
materializza con una sorta di fanatica ironia, negli stessi dettagli dell'omicidio e nella sua messa in scena, alcuni tratti
dei film che avevano fatto il successo e la gloria delle vittime. Interessante perch illustra il paradosso di questa
violenza: insieme selvaggia (irrazionale, senza obiettivo evidente) e ritualistica (ricalcata sui modelli spettacolari
imposti dai mass-media - in questo caso gli stessi film di Polanski). Omicidio come quello della torre di Austin, non
passionale, non abietto, non interessato, al di fuori dei tradizionali criteri giuridici e di responsabilit. Assassini irriflessi
e tuttavia riflessi in anticipo (qui in modo allucinante fino al mimetismo) dai modelli diffusi dai mass-media, e che si
riflettono per la stessa via negli acting out o in omicidi simili (cfr. anche i suicidi col fuoco). Solo questo li definisce: la
loro connotazione spettacolare di fatto di cronaca, cos che essi sono concepiti di primo acchito come scenari di film o
di reportage, e il loro disperato tentativo, spostando i limiti della violenza, di essere irrecuperabili , di trasgredire e di
infrangere quell'ordine dei mass-media di cui essi sono complici fino nella loro asociale veemenza.
Subcultura della non-violenza
Solidali (per quanto formalmente opposti) a questi fenomeni di violenza di nuovo tipo sono i fenomeni moderni di nonviolenza. Dall'LSD ai figli dei fiori , dallo psichedelismo agli hippies, dallo zen alla pop music, tutti hanno in comune
il rifiuto della socializzazione attraverso lo standing e il principio di rendimento, il rifiuto di tutta questa liturgia
contemporanea dell'opulenza, del successo, del gadget. Che il rifiuto sia violento o non-violento, sempre il rifiuto
dell'attivismo della societ della crescita, del forcing al benessere come nuovo ordine repressivo. In questo senso
violenza e non-violenza svolgono bene, come tutti i fenomeni anomici, il ruolo dei rivelatori. Di questa societ che vuol
essere, e si vede, iper-attiva e pacificata, i beats e i rockers da un lato, gli hippies dall'altro, mettono in luce il fatto che

le sue caratteristiche profonde sono invece la passivit e la violenza. Gli uni riprendono la violenza latente di questa
societ per rivolgerla contro di essa spingendola al parossismo. Gli altri spingono la passivit segreta, orchestrata
(dietro la facciata della superattivit) di questa societ fino a una pratica rinunciataria e a una totale asocialit,
facendo s che essa stessa si neghi secondo la sua propria logica.
Lasciamo da parte tutta la tematica cristiana, buddista, lamaista, dell'amore, del risveglio, del paradiso in terra,
lasciamo da parte anche le litanie ind e la tolleranza totale - la questione piuttosto la seguente: gli hippies e la loro
comunit costituiscono una vera alternativa al processo di crescita e di consumo? Non ne sono piuttosto l'immagine
inversa e complementare? Costituiscono una vera e propria antisociet capace di rovesciare l'intero ordine sociale
o non ne sono che un'escrescenza decadente - o persino semplicemente una delle tante trasformazioni delle sette
epifaniche che in tutti i tempi si sono ritirate e allontanate dal mondo per conquistare il paradiso in terra? Anche qui
non bisognerebbe prendere per sovversione dell'ordine quel che non ne che una metamorfosi.
Vogliamo avere il tempo di vivere e di amare. I fiori, le barbe, i capelli lunghi, la droga, tutto secondario... Essere
"hip" significa innanzitutto essere amico dell'uomo; una persona che si sforza di guardare il mondo con occhi nuovi,
libera da ogni gerarchia: un non violento rispettoso e amante della vita; una persona in possesso di valori veri e di
criteri veri, libert contro autorit, creazione contro produzione, cooperazione e non competizione... Semplicemente
una persona gentile e aperta, che evita di fare del male agli altri, ecco l'essenziale . Regola generale: fare ci che
si ritiene bene quando e dove che sia, senza preoccuparsi di essere approvati o disapprovati, con la sola condizione
che ci non faccia male o torto ad alcuno... .
Gli hippies hanno immediatamente riempito la cronaca del mondo occidentale. Ghiotta di societ primitive, la societ
dei consumi li ha immediatamente recuperati nel suo folklore, come un fiore strano e inoffensivo. Infine da un punto di
vista sociologico non sono essi un semplice prodotto di lusso delle societ ricche? Non sono anch'essi, con la loro
spiritualit orientaleggiante, il loro variopinto psichedelismo, degli emarginati che non fanno che esacerbare certe
caratteristiche della loro societ?
Essi sono o restano condizionati dai meccanismi fondamentali di questa societ. La loro asocialit comunitaria,
tribale. Al loro riguardo si pu invocare il tribalismo di McLuhan, questa resurrezione su scala planetaria, sotto i
segni dei mass-media, del mondo orale, tattile, musicale, e di comunicazione che fu quello delle, culture arcaiche,
prima dell'era visuale e tipografica del libro . Essi predicano l'abolizione della competizione, del sistema di difesa e
delle funzioni dell'io: essi non fanno che tradurre in termini pi o meno mistici quel che Riesman descriveva gi come
other-directedness, evoluzione oggettiva di una struttura personale del carattere (organizzata intorno all'io e al
superio) verso un ambiente di gruppo, in cui tutto viene dagli altri e si diffonde verso gli altri. L'atteggiamento di
candida trasparenza affettiva propria degli hippies rievoca l'imperativo della sincerit, dell'apertura, del calore
propria del gruppo dei pari. Quanto alla regressione e all'infantilismo che costituiscono lo charme serafico e trionfante
delle comunit hippy, inutile dire che essi non fanno che ripercuotere esaltandoli l'irresponsabilit e l'infantilismo in cui
le societ moderne costringono ciascun individuo. In breve l' umano , braccato dalla societ produttivistica e
dall'ossessione dello standing, festeggia presso gli hippies la sua resurrezione sentimentale, in cui, dietro l'apparente
anomia, totale, persistono tutti i caratteri strutturali dominanti della societ modale.
Riesman, a proposito della giovent americana, parla di uno stile Kwakiutl e di uno stile Pueblo , riferendosi ai
modelli definiti di Margaret Mead. I Kwakiutl sono violenti, agonistici, competitivi, ricchi, e praticano il consumo
sfrenato nel potlatch. I Pueblos invece sono dolci, benevoli, gentili, e vivono e si accontentano di poco. Cos la nostra
societ attuale si pu definire attraverso l'opposizione formale di una cultura dominante, quella del consumo sfrenato,
rituale e conforme, cultura violenta e concorrenziale (il potlatch dei Kwakiutl), e di una sottocultura lassista, euforica e
disimpegnata, degli hippies/Pueblos. Ma tutto porta a credere che, allo stesso. modo della violenza subito riassorbita
nei modelli di violenza , anche in questo caso la contraddizione si risolva in coesistenza funzionale. L'estremo
dell'adesione e l'estremo del rifiuto si ricongiungono, come nell'anello di Moebius, per semplice torsione. E i due
modelli in fondo si sviluppano in aree concentriche attorno allo stesso asse dell'ordine sociale. John Stuart Mill lo ha
espresso crudamente: Ai nostri giorni il semplice fatto di dare esempio di anticonformismo, il semplice rifiuto di
piegare le ginocchia davanti agli usi in se stesso un servizio .
La stanchezza
Vi ormai un problema mondiale della stanchezza cos come vi un problema mondiale della fame.
Paradossalmente esse si escludono a vicenda: la stanchezza endemica, incontrollabile, , colla violenza
incontrollabile di cui abbiamo parlato, appannaggio delle societ ricche, e deriva tra l'altro proprio dal superamento
della fame e della penuria endemica che restano i principali problemi delle societ preindustriali. La stanchezza, come
sindrome collettiva delle societ post-industriali, rientra cos nel campo delle anomalie profonde, delle disfunzioni
del benessere. Nuovo male del secolo , essa deve essere analizzata congiuntamente agli altri fenomeni anomici,
la cui recrudescenza contraddistingue la nostra epoca, proprio mentre tutto dovrebbe contribuire a risolverli.
Come la nuova violenza senza oggetto cos questa stanchezza senza causa . Essa non ha nulla a che
vedere con la stanchezza muscolare ed energetica. Essa non deriva da dispendio di energia fisica. Si parla certo
spontaneamente di dispendio nervoso , di depressione e di conversione psicosomatica. Questo tipo di
spiegazione fa adesso parte della cultura di massa: in tutti i giornali (e in tutti i congressi). Ciascuno pu trincerarvisi
come dietro a una nuova evidenza, col triste piacere di essere perseguitato dai propri nervi. Certo questa stanchezza
significa almeno una cosa (funzione rivelatrice identica a quella della violenza e della non-violenza): e cio che questa

societ che si crede e pretende sempre di essere in continuo progresso verso l'abolizione dello sforzo, verso la
risoluzione delle tensioni, verso una facilit, e un automatismo crescenti, in effetti una societ di stress, di tensione,
di doping, in cui il bilancio globale di soddisfazione accusa un deficit sempre pi grave, in cui l'equilibrio individuale e
collettivo sempre pi compromesso nella misura stessa in cui si moltiplicano le condizioni tecniche della sua
realizzazione.
Gli eroi del consumismo sono stanchi. Sul piano psicosociologico si possono avanzare diverse interpretazioni. Invece
di pareggiare le possibilit e di placare la competizione sociale (economica, di status), il processo di consumo rende
pi violenta, pi acuta, la concorrenza sotto tutte le sue forme. Con il consumismo, siamo infine solamente in una
societ di competizione generalizzata, totalitaria, che opera a tutti i livelli, economici, del sapere, del desiderio, del
corpo, dei segni e delle pulsioni, tutte cose ormai prodotte come valore di scambio in un processo incessante di
differenziazione e di super-differenziazione.
Si pu ammettere cos, con Chombart de Lauwe, che invece di livellare, come pretende di fare, le aspirazioni, i
bisogni e le soddisfazioni , questa societ crea delle distorsioni sempre pi grandi, presso gli individui come nelle
categorie sociali alle prese coll'imperativo della competizione e della mobilit sociale ascendente, e nel contempo
coll'imperativo ormai fortemente interiorizzato, di massimalizzare i propri godimenti. Sotto il peso di tante pressioni
contrastanti l'individuo si disunisce. La distorsione sociale delle ineguaglianze si aggiunge alla distorsione interna fra
bisogni e aspirazioni per fare di questa societ una societ sempre irriconciliata, disintegrata, in continuo malessere
. La stanchezza (o astenia ) sar allora interpretata come risposta, sotto la forma di rifiuto passivo, dell'uomo
moderno a queste condizioni di esistenza. Ma, a ben guardare, questo rifiuto passivo di fatto una violenza
latente, a questo titolo, non che una delle possibili risposte, le altre essendo quelle della violenza aperta. Anche qui
bisogna ricorrere al principio di ambivalenza. Stanchezza, depressione, nevrosi si possono sempre convertire in
violenza aperta e viceversa. La stanchezza del cittadino della societ post-industriale non si discosta molto dallo
sciopero larvato, dal rallentamento, dallo slowing down degli operai nelle fabbriche, e dalla noia scolastica. Tutte
queste sono delle forme di resistenza passiva incarnita , nel senso in cui si parla di un' unghia incarnita , cio di
qualcosa che si sviluppa nella carne verso l'interno.
In effetti bisogna invertire tutti i termini della visione spontanea: la stanchezza non una passivit opposta alla
superattivit sociale esterna - al contrario la sola forma di attivit opponibile in certe condizioni alla costrizione della
passivit generale che quella degli attuali rapporti sociali. L'allievo stanco quello che subisce passivamente il
discorso del professore. L'operaio, il burocrate stanco colui a cui si tolta ogni responsabilit nel lavoro. L'
indifferenza politica, questa catatonia del cittadino moderno, quella dell'individuo a cui sfugge ogni decisione, e a
cui non resta che la beffa del suffragio universale. Ed vero che tutto questo passa anche attraverso la monotonia
fisica e psichica del lavoro, nella catena di montaggio o nell'ufficio, attraverso la catalessi muscolare, vascolare,
fisiologica derivante dalla necessit di stare in piedi o seduti, dai gesti stereotipati, da tutta l'inerzia e dal sottoimpiego
cronico del corpo nella nostra societ. Ma non qui l'essenziale ed per questo che non si guarir dalla stanchezza
patologica facendo dello sport o dell'esercizio muscolare, seguendo i consigli degli specialisti ingenui (non pi che
ricorrendo ai tranquillanti o agli stimolanti). Infatti la stanchezza una contestazione larvata che si rivolge contro di s
e si incarna nel proprio corpo perch, in certe condizioni, la sola cosa a cui l'individuo depauperato di tutto possa
afferrarsi. Allo stesso modo i negri in rivolta nelle citt americane cominciano col dar fuoco proprio ai loro quartieri. La
vera passivit consiste nella gioiosa conformit al sistema, nel dirigente dinamico, occhio vivo e spalle larghe,
perfettamente adattato alla sua continua attivit. La. stanchezza un'attivit, una rivolta latente, endemica, inconscia
di se stessa. Cos si chiarifica la sua funzione: lo slowing down sotto tutte le sue forme (come la nevrosi) la sola via
di uscita per evitare il totale e il vero break down. Ed perch essa un'attivit (latente) che all'improvviso si pu
riconvertire in rivolta aperta, come il maggio francese ha dovunque mostrato. Il contagio spontaneo, totale, la
diffusione rapidissima del movimento del maggio non si comprende se non in quest'ipotesi: quel che si prendeva per
atonia, per disaffezione, per passivit generalizzata era in effetti un potenziale di forze attive nella loro stessa
rassegnazione, nella loro stanchezza, nel loro riflusso, e dunque immediatamente disponibili. Non c' stato miracolo.
E il riflusso del dopo maggio non , neppur esso, un'inesplicabile inversione del processo, semplicemente la
conversione da una forma di rivolta aperta a una modalit di contestazione latente (del resto il termine
contestazione non dovrebbe, strettamente parlando, aver valore se non per quest'ultima forma: esso designa le
molteplici forme di rifiuto interrotte momentaneamente da una pratica di mutamento radicale).
Detto ci, rimane il fatto che per cogliere il senso della stanchezza, bisogna, al di l delle interpretazioni
psicosociologiche, sostituirla nella struttura generale degli stati depressivi. Insonnie, emicranie, cefalee, obesit
patologica o anoressia, atonia o iperattivit compulsiva, tutti questi sintomi possono in realt scambiarsi, sostituirsi gli
uni agli altri - la conversione somatica si accompagna sempre e anzi si definisce per mezzo della convertibilit
virtuale di tutti i sintomi. Ora - ed questo il punto capitale - questa logica della depressivt (secondo la quale i sintomi,
non essendo collegati a delle lesioni organiche o a delle reali disfunzioni, divengono interscambiabili) fa eco alla logica
stessa del consumo (secondo la quale i bisogni e le soddisfazioni, non essendo pi collegati alla funzione oggettiva
degli oggetti,. si succedono, si rimandano, si sostituiscono gli uni agli altri in funzione di una insoddisfazione
fondamentale). lo stesso carattere inafferrabile, illimitato, la stessa convertibilit sistematica a regolare sia il flusso
dei bisogni che la fluidit dei sintomi depressivi. Ritorniamo qui sul principio di ambivalenza, gi affrontato a
proposito della violenza, per riassumere l'implicazione totale, strutturale, del sistema del consumo e di quello
dell'abreazione/somatizzazione (di cui la stanchezza non che un aspetto). Tutti i processi delle nostre societ vanno
verso una decostruzione, una dissociazione dell'ambivalenza del desiderio. Totalizzata nel godimento e nella funzione

simbolica, questa si scinde, ma secondo una sola logica, nei due sensi: tutta la positivit del desiderio passa nella
catena dei bisogni e delle soddisfazioni, in cui si risolve secondo una finalit diretta tutta la negativit del desiderio
passa nella somatizzazione incontrollabile e nell'acting out della violenza. In questo modo si chiarifica la profonda
unit di tutto il processo: nessun'altra ipotesi pu rendere conto della molteplicit dei fenomeni disparati (abbondanza,
violenza, euforia, depressione) che tutt'insieme caratterizzano la societ dei consumi e che vengono sentiti come
necessariamente collegati, ma la cui logica rimane inesplicabile nella prospettiva di un'antropologia classica.
Bisognerebbe spingere pi a fondo (ma non questa la sede) l'analisi:
l. del consumo come processo globale di conversione , cio di transfert simbolico da una carenza a tutta una
catena di significanti/oggetti, successivamente investiti come oggetti parziali:
2. dell'estensione della teoria dell'oggetto parziale ai processi di somatizzazione - anche in questo caso transfert
simbolico e investimento - sulla base di una teoria del corpo e del suo statuto di oggetto nel sistema della modernit.
Abbiamo visto che questa teoria del corpo essenziale alla teoria del consumismo - il corpo infatti il coagulo di tutti
questi processi ambivalenti: insieme investito narcisisticamente come oggetto di sollecitudine erotizzata, e investito
somaticamente come oggetto di cure o di aggressivit.
classico - annota uno psicosomatista - rifugiarsi nella cefalea o in qualsiasi altro disturbo: come, coliti, insonnia,
pruriti, eczemi, turbe sessuali, obesit, disturbi respiratori, gastrici, cardovascolari... o molto semplicemente e il pi
delle volte, un'invincibile stanchezza .
La depressione affiora, significativamente, l dove cessano gli obblighi di lavoro, e dove comincia (o dovrebbe
cominciare) il tempo della soddisfazione (emicranie dei P.-D.G. dal venerd sera al luned mattina, suicidi o morti
rapide dei pensionati, ecc.). noto anche che il tempo libero vede svilupparsi, dietro alla domanda oggi istituzionale,
rituale, di tempo non-lavorativo, una crescente domanda di lavoro, di attivit, un compulsivo bisogno di fare , di
agire , cosicch i nostri pietosi moralisti vi hanno subito visto una prova che il lavoro una vocazione naturale
dell'uomo. Conviene piuttosto credere che in questa domanda non-economica di lavoro, si esprime tutta l'aggressivit
non placata dalla soddisfazione e dal tempo libero. Ma questa aggressivit non potrebbe risolversi cos, poich,
scaturita dal fondo dell'ambivalenza del desiderio, si riformula in domanda, in bisogno di lavoro, e reintegra
dunque il ciclo dei bisogni, che come noto senza via di uscita per il desiderio.
Come la violenza pu ritornare nell'ambito dell'uso domestico, per esaltare la sicurezza, cos la stanchezza come la
nevrosi, possono ridiventare un tratto culturale distintivo. allora che entra in gioco tutto il rituale della stanchezza e
della soddisfazione diffuso di preferenza presso le persone acculturate e privilegiate (ma la propagazione di questo
alibi culturale del resto molto veloce). A questo punto, la stanchezza non pi affatto anomica, e per questa
stanchezza obbligata non vale nulla di quel che abbiamo appena detto: essa una stanchezza consumata e
rientra nel rituale sociale dello scambio e dello standing.
NOTE AL CAPITOLO QUINTO
1

All'obiectless craving (la brama senza oggetto) corrisponde l'objectless raving (il furore senza oggetto).
Cos l'idea molto logica (americana) di un motel per aspiranti-suicidi in cui, a prezzo modico, un servizio-suicidio ,
assicurato come qualsiasi altra prestazione sociale (non rimborsato dalla previdenza sociale!) vi garantisce le migliori
condizioni di mortalit e si incarica di farvi suicidare senza sforzo, col sorriso.
2

CONCLUSIONE
CONCLUSIONE
DELL'ALIENAZIONE CONTEMPORANEA 0 LA FINE, DEL PATTO COL DIAVOLO

Lo Studente di Praga
Lo Studente di Praga un vecchio film muto degli anni trenta, film espressionista della scuola tedesca. Racconta la
storia di uno studente povero, ma ambizioso, impaziente di condurre una vita pi agiata. Mentre partecipa a una
bicchierata in un'osteria di campagna nei pressi di Praga, ha luogo nei paraggi una battuta di caccia a cavallo, in
cui l'alta societ della citt cerca distrazione. Qualcuno regna su questa societ e ne tira le fila. Lo si vede manovrare
a proprio piacimento la selvaggina e regolare da padrone le evoluzioni dei cacciatori. Quest'uomo rassomiglia a loro:
alto, guanti, bastone da passeggio, gi molto avanti cogli anni, un po' di pancia, il pizzetto degli inizi del secolo: il
diavolo. Egli si d da fare per far smarrire una donna che partecipa alla caccia - incontro con lo studente colpo di
fulmine - ma la donna gli sfugge, infatti ricca. Tornato a casa lo studente rimugina la sua ambizione e la sua
insoddisfazione, che hanno ormai assunto un risvolto sessuale.
Il diavolo appare allora nella miserabile camera in cui non vi sono che libri e uno specchio ad altezza d'uomo. Egli

offre allo studente un mucchio d'oro in cambio della sua immagine nello specchio. Il patto concluso. Il diavolo stacca
l'immagine speculare dallo specchio come una stampa o un foglio di carta carbone, l'arrotola, l'intasca e si ritira,
ossequioso e sardonico come si conviene. Qui comincia il vero argomento del film. Lo studente grazie al suo denaro
vola di successo in successo - evitando, come un gatto, di passare davanti agli specchi di cui, purtroppo, la societ
mondana che frequenta ama circondarsi. All'inizio tuttavia non ha una cattiva coscienza, il non potersi vedere non gli
costa molto. Ma ecco che un giorno scorge se stesso in carne ed ossa . Frequentando il suo stesso mondo,
interessandosi visibilmente di lui, il suo doppio lo segue e non lo lascia pi in pace. Questo doppio, gi lo si indovina,
la sua immagine venduta al diavolo, risuscitata e messa in circolazione ad opera di quest'ultimo. Da buona
immagine essa rimane attaccata al suo modello; ma da quella cattiva immagine che diventata non si trova pi
soltanto negli specchi ma nella vita stessa e lo accompagna dappertutto. In ogni momento essa rischia di
comprometterlo se li si vede assieme. Alcuni piccoli incidenti si sono gi verificati. E se per evitarla sfugge la societ,
allora l'immagine stessa a prendere il suo posto e a portar a termine le sue azioni stravolgendole fino al delitto. Un
giorno lo studente ha provocato un duello, ma ben deciso a fare le proprie scuse sul terreno, arriva all'alba al
rendez-vous: troppo tardi il suo doppio lo ha preceduto, l'avversario gi morto. Allora lo studente si nasconde. La
sua immagine lo perseguita, come per vendicarsi di essere stata venduta. La vede ovunque. Gli appare dietro le
tombe, sul limite del cimitero. Non c' pi vita sociale n esistenza possibile per lui. In questa disperazione respinge
persino un amore sincero che gli si offre, e per farla finita concepisce il progetto di uccidere la propria immagine.
Quest'ultima una sera lo segue nella sua camera. Nel corso di una violenta scenata tra loro, l'immagine si ritrova a
ripassare di fronte allo specchio da dove era uscita. Al ricordo di quella prima scena, la nostalgia della propria
immagine mista al furore provocato da tutto ci che gli tocca sopportare a causa di essa, portano lo studente
all'esasperazione. Spara su di essa. Ovviamente lo specchio va in pezzi, e il doppio, ritornato il fantasma che era, si
volatizza. Ma nello stesso tempo lo studente si accascia, lui che sta morendo. Infatti uccidendo la propria immagine,
ha ucciso se stesso, perch insensibilmente l'immagine che diventata viva e reale al suo posto. Tuttavia nella sua
agonia, lo studente afferra uno dei frammenti dello specchio sparsi per terra e si accorge di potersi nuovamente
vedere. Il suo corpo gli sfugge, ma a prezzo di questo corpo ritrova la propria effige normale, proprio prima di morire.
L'immagine speculare rappresenta qui simbolicamente il senso dei nostri atti. Essi compongono attorno a noi un
mondo a nostra immagine. La trasparenza del nostro rapporto col mondo si esprime assai bene attraverso il rapporto
inalterato dell'individuo col suo riflesso in uno specchio: la fedelt di questo riflesso testimonia in qualche modo una
reciprocit reale tra il mondo e noi. Simbolicamente quindi, se quest'immagine ci viene a mancare, ci significa che
questo mondo diviene opaco, che i nostri atti ci sfuggono - siamo allora senza prospettiva su noi stessi. Senza questa
cauzione non c' pi identit possibile: divengo un altro nei confronti di me stesso, sono alienato.
Questo il primo dato del film. Ma il film non si accontenta di un intreccio generale, fornisce immediatamente anche il
senso concreto della situazione: quest'immagine non n perduta n abolita per caso - essa venduta. Essa, si.
potrebbe dire, cade nella sfera della merce ed proprio questo il senso dell'alienazione concreta sociale. Nello stesso
tempo, il fatto che il diavolo possa intascare quest'immagine come un oggetto diviene anche l'illustrazione fantastica
del processo reale di feticismo della merce: dall'istante in cui sono prodotti, il nostro lavoro e i nostri atti cadano fuori
di noi, ci sfuggono, si oggettivizzano, cadono letteralmente nella mano del diavolo. Cos in La storia meravigliosa di
Peter Schlemihl, l'uomo che ha perduto la propria ombra, di Chamisso 1, anche l'ombra per maleficio disgiunta dalla
persona, e diviene una semplice cosa, un capo di vestiario che si pu dimenticare in giro se non si sta attenti, che pu
restare incollato al suolo se gela troppo intensamente. Schlemihl che ha perduto la propria ombra, sogna di farsene
disegnare un'altra da un pittore, e tale che lo segua docilmente. Le leggende egiziane dicono che non bisogna
passare troppo vicino all'acqua, infatti i caimani sono ghiotti delle ombre che passano. Le due storie sono uguali:
immagine o ombra, sempre la trasparenza del nostro rapporto con noi stessi e col mondo che viene spezzato, e la
vita perde il suo senso. Ma Schlemihl e lo Studente di Praga hanno questo di pi forte nel loro racconto rispetto a tanti
altri patti col diavolo e cio che essi pongono l'oro, e solo l'oro, al centro dell'alienazione - cio la logica della merce e
del valore di scambio.
Ma i due racconti si svolgono in seguito in modo del tutto differente: poco rigorosamente in SchlemihI dove Chamisso
non spinge a fondo le conseguenze della metamorfosi dell'ombra in oggetto. Egli riempie il suo racconto di episodi
fantastici o di spunti comici, come l'inseguimento sulla landa assolata di un'ombra errante senza padrone, che forse
la sua, o quando il diavolo gliela d in prova per qualche ora. Ma Schlemihl non perseguitato direttamente dalla sua
ombra alienata, egli non soffre che della riprovazione sociale che si connette coll'assenza dell'ombra. La sua ombra,
una volta scappata, non si rivolge contro di lui per diventare lo strumento della perdita dell'essere. Schlemihl
condannato alla solitudine ma resta se stesso. Non gli sono tolte n la coscienza, n la vita, n lui stesso, ma solo la
vita in societ. Di qui il compromesso finale in cui rifiuta stoicamente il secondo patto propostogli dal diavolo, la
restituzione della sua ombra in cambio della sua anima. Cos egli perde la propria ombra, ma salva la propria anima.
Lo Studente di Praga segue invece una logica molto pi serrata. Appena venduta la sua immagine, cio appena
venduta una parte di se stesso, lo studente perseguitato da essa nella vita reale fino alla morte. E ci traduce la
verit, non edulcorata, del processo di alienazione: nulla di ci che alienato da noi cade in un circuito indifferente, in
un mondo esteriore verso cui restiamo liberi - soffrendo cos di qualche decurtazione del nostro avere ma
disponendo sempre di noi stessi nella nostra sfera privata e restando intatti nel nostro essere profondo. No:
questa la finzione rassicurante del loro interno , in cui l'anima libera dal mondo. L'alienazione si spinge molto
pi in l. Noi non sfuggiamo alla parte di noi che ci sfugge. L'oggetto (l'anima, l'ombra, il prodotto del nostro lavoro
divenuti oggetto) si vendica. Tutto quello di cui siamo privati resta legato a noi, ma negativamente, cio ci tormenta.

Questa parte di noi venduta e dimenticata, ancora noi stessi, o piuttosto ne la caricatura, il fantasma, lo spettro,
che ci segue, ci prolunga e si vendica.
Si ritrova l'inquietante atmosfera di questa inversione del soggetto e dell'oggetto, questa stregoneria dell'alterit dello
stesso nelle espressioni pi correnti: Lo seguiva come un'ombra . Ci vale anche per il nostro culto verso i morti,
culto di propiziazione verso una parte di noi definitivamente alienata e da cui perci non ci si pu attendere che del
male. Ora vi una parte di noi stessi da cui, noi viventi, siamo collettivamente perseguitati: la forza-lavoro sociale
che, una volta venduta, ritorna, attraverso tutto il ciclo sociale della merce, a privarci del senso del lavoro stesso, la
forza-lavoro divenuta - naturalmente per un'operazione sociale e non diabolica - l'ostacolo materializzato al frutto del
lavoro. Tutto questo simboleggiato nello Studente di Praga con l'improvvisa emergenza viva e ostile dell'immagine,
e con il lungo suicidio - questa la parola - che essa impone a chi l'ha venduta.
Ci che qui fondamentale, e che ci mostrato drammaticamente, che l'uomo alienato non solamente l'uomo
diminuito, impoverito, ma intatto nella sua essenza - un uomo stravolto, mutato in male e in nemico di se stesso,
rivolto contro se stesso. su un altro piano, lo stesso processo che Freud descrive a proposito della rimozione; il
rimosso risorge attraverso la stessa istanza di rimozione. il corpo di Cristo in croce che si cambia in donna per
perseguitare il monaco che ha giurato di essere casto. Nell'alienazione, sono le forze oggettivate dell'essere che si
cambiano in ogni istante in lui a spese di lui, e lo conducono cos fino alla morte.
Schlemihl finisce per restituire un senso relativo alla sua vita e per morire della sua bella morte, come un grande
industriale americano solitario, in un istituto di beneficenza che egli stesso ha fondato quando era ricco. Ha salvato la
sua anima rifiutando la seconda transazione. Questa divisione dell'azione deriva necessariamente dall'ambiguit del
pensiero, e il racconto perde tutto il suo rigore.
Nello Studente di Praga non c' un secondo patto. Per le conseguenze logiche del primo, lo studente inesorabilmente
muore. Ci significa che per Chamisso possibile vendere la propria ombra, vale a dire essere alienati in ciascuno
dei propri atti, ma salvare ugualmente la propria anima. L'alienazione non conduce che a un conflitto nell'apparenza
sociale, e Schlemihl pu benissimo allora superarla astrattamente nella solitudine. Lo Studente di Praga invece
sviluppa la logica oggettiva dell'alienazione in tutto il suo rigore, e mostra che non c' via di uscita se non la morte.
Ogni soluzione ideale di superamento dell'alienazione troncata di netto. L'alienazione non pu essere superata:
essa la struttura stessa del mercato col diavolo. la struttura stessa della societ commerciale.
La fine della trascendenza
Nello Studente di Praga una notevole illustrazione dei processi di alienazione, cio dello schema generalizzato della
vita individuale e sociale retta dalla logica della merce. Il patto col diavolo del resto, dall'alto Medioevo in poi, il mito
centrale di una societ impegnata nel processo storico e tecnico di dominio sulla natura, processo che si rivela
sempre simultaneo a un processo di addomesticamento della sessualit. L' apprendista stregone occidentale ha
costantemente tematizzato nelle forze del male , indicizzate sul diavolo, l'immenso senso di colpa legato
all'impresa puritana e prometeica del progresso, della sublimazione e del lavoro, della razionalit e dell'efficienza.
Ecco perch questo tema medioevale del riemergere del rimosso, dell'ossessione da parte del rimosso e della vendita
della propria anima (il patto riflette l'irruzione del processo del mercato nella prima societ borghese) stato
risuscitato dai romantici fin dai primi tempi dell' era industriale . Da quel momento il tema corre sempre
(parallelamente al miracolo della tecnica ) dietro al mito della fatalit della tecnica. Esso al giorno d'oggi impregna
tutta la nostra fantascienza, e tutta la mitologia quotidiana, dal pericolo della catastrofe atomica (il suicidio tecnico
della civilt) fino al tema, mille volte orchestrato, dello scarto fatale tra il progresso tecnico e la morale sociale degli
uomini.
Si potrebbe proporre quindi che l'era del consumo, essendo lo sbocco storico di tutto il processo di produttivit
accelerata sotto il segno del capitale, sia anche l'era dell'alienazione radicale. La logica della merce si generalizzata,
in quanto oggi regola non solamente i processi di lavoro e i prodotti materiali ma anche l'intera cultura, la sessualit, le
relazioni umane, fino ai fantasmi e alle pulsioni individuali. Tutto ripreso da questa logica, non solamente nel senso
in cui tutte le funzioni, tutti i bisogni sono oggettivati e manipolati in termini di profitto, ma nel senso pi profondo in cui
tutto spettacolarizzato, cio evocato, provocato, orchestrato in immagini, segni, e modelli consumabil.
Ma il problema allora il seguente: questo schema (o questo concetto) dell'alienazione, nella misura in cui ruota
attorno all'alterit dello stesso (cio attorno a un'essenza dell'uomo alienato, stornato), pu ancora giocare in un
contesto in cui l'individuo non mai confrontato colla propria immagine sdoppiata? Il mito del patto e dell'
apprendista stregone ancora un mito demiurgico, quello del mercato, dell'oro e della produzione, il cui obiettivo
trascendente si rivolge contro gli uomini stessi. Il consumo invece non prometeico bens edonistico e regressivo. Il
suo processo non pi un processo di lavoro e di superamento, un processo di assorbimento di segni, e di
assorbimento attraverso i segni. Esso caratterizzato dunque, come nota Marcuse, dalla fine della trascendenza. Nel
processo generalizzato del consumo non c' pi anima, ombra, doppio, immagine nel senso speculare. Non c' pi
contraddizione dell'essere, n problematica dell'essere e dell'apparenza. Non c' altro che un'emissione e una
recezione di segni, e l'essere individuale scompare in questa combinatoria e in questo calcolo dei segni... L'uomo del
consumismo non mai di fronte ai suoi bisogni, non pi di quanto lo sia al prodotto del proprio lavoro, n si trova mai
di fronte alla propria immagine: immanente ai segni che ordina. Non pi trascendenza, non pi finalit, non pi
obiettivo: ci che caratterizza questa societ, l'assenza di riflessione , di prospettiva su se stessa. Non c'
dunque pi neppure un'istanza malefica come quella del diavolo, col quale impegnarsi con un patto faustiano per

acquistare ricchezza e gloria, perch tutto ci vi donato da un ambiente benefico e materno, la societ stessa
dell'abbondanza. Oppure bisogna supporre che la societ intera, societ anonima , S.r.l., che ha stipulato un
contratto col diavolo, gli ha venduto ogni trascendenza, ogni finalit in cambio dell'abbondanza, ed ormai tormentata
dall'assenza di fini. Nella modalit specifica del consumo, non vi pi trascendenza, neppure quella feticista della
merce, non vi altro che immanenza all'ordine dei segni. Allo stesso modo in cui non vi scissione ontologica, ma
rapporto logico tra il significante e il significato, cos non vi pi scissione ontologica tra l'essere e il suo doppio (la
sua ombra, la sua anima, il suo ideale) divino o diabolico, vi calcolo logico dei segni e assorbimento, nel sistema dei
segni. Non ci sono pi specchi o vetri nell'ordine moderno, in cui l'uomo sia posto di fronte alla sua immagine per il
meglio o per il peggio, non vi altro che la vetrina - luogo geometrico del consumo in cui l'individuo non riflette pi se
stesso, ma assorbito nella contemplazione degli oggetti/segni moltiplicati, nell'ordine. dei significanti dello status
sociale, e cos via. Egli non vi si riflette pi, ma ne assorbito e vi si annulla. Il soggetto del consumo, l'ordine dei
segni. Che questo lo si definisca, strutturalmente, come l'istanza di un codice, o, empiricamente, come l'ambiente
generalizzato degli oggetti, in ogni caso, l'implicazione del soggetto non pi quella di un'essenza alienata nel
senso filosofico e marxista del termine, cio depauperata, riafferrata da un'istanza alienante e divenuta estranea a se
stessa. Infatti propriamente parlando non c' pi uno stesso , un soggetto stesso , n dunque alterit dello
stesso, n infine alienazione in senso proprio. un po' come il caso del bambino che abbraccia la propria immagine
nello specchio prima di andare a letto: non si confonde interamente con essa perch l'ha gi riconosciuta . Ma non
si tratta neppure di un doppio estraneo in cui si riflette - egli gioca con essa, tra lo stesso e l'altro. Cos accade per il
consumatore: egli gioca la sua personalizzazione da un termine all'altro, da un segno all'altro. Tra i segni, nessuna
contraddizione, come tra il bambino e la sua immagine, nessuna opposizione esclusiva, ma collusione e implicazione
coordinata. Il consumatore si definisce per un gioco di modelli e per propria scelta, cio per la sua implicazione
combinatoria in questo gioco. in questo senso che il consumo ludico, e che il ludico del consumo si
progressivamente sostituito al tragico dell'identit 6.
Da uno spettro all'altro
Ora noi non abbiamo un mito attuale che, al pari del patto o dell' apprendista stregone , tematizzatori della
contraddizione fatale tra l'essere e il suo doppio, tematizzi la coesistenza pacifica, sotto il segno della declinazione
paradigmatica, dei termini successivi che definiscono il modello personale . La dualit tragica (che i situazionisti
ripropongono ancora con il concetto di spettacolo , di societ spettacolare e di alienazione radicale) ha avuto i
suoi grandi miti, tutti collegati a un'essenza dell'uomo e alla facilit di perderla, all' essere e al suo spettro - ma la
demoltiplicazione ludica della persona in uno spettro di segni e di oggetti, di sfumature e di differenze, che costituisce
il fondamento del processo di consumazione e ridefinisce totalmente l'individuo non come sostanza alienata, ma come
differenza mutevole, questo nuovo processo che non analizzabile in termini di persona (mirabile anfibologia del
termine! Infatti non c' pi persona )*, e di alterit della persona, non ha pi trovato un mito equivalente, che
rappresenterebbe la metafisica del consumismo, un mito metafisico equivalente a quello del doppio e dell'alienazione
per l'ordine della produzione. Ci non accidentale. I miti, come la facolt di parlare, di riflettere e di trascrivere, sono
solidali colla trascendenza e scompaiono con essa.
Consumo del consumo
Se la societ, dei consumi non produce pi miti perch essa mito a se stessa. Al diavolo che apportava oro e
ricchezza (a prezzo dell'anima) si sostituita l'abbondanza pura e semplice. E al patto col diavolo il contratto di
abbondanza. Come l'aspetto pi diabolico del diavolo non mai stato del resto quello di esistere, bens quello di far
credere di esistere, allo stesso modo l'abbondanza non esiste, tuttavia le sufficiente far credere di esistere per
essere un mito efficace.
Il consumo un mito, cio un discorso della societ contemporanea su se stessa, la maniera in cui la nostra
societ si parla. in qualche modo la sola realt oggettiva del consumo, l'idea del consumo, questa
configurazione riflessiva e discorsiva, indefinitivamente ripresa dal discorso quotidiano e dal discorso intellettuale, e
che ha preso forza di, senso comune.
La nostra societ si pensa e si parla come societ dei consumi. O almeno mentre consuma, essa si consuma in
quanto societ dei consumi, in quanto idea. La pubblicit il peana trionfale di quest'idea.
Questa non una dimensione supplementare, una dimensione fondamentale, infatti quella del mito. Se non si
facesse altro che consumare (accaparrare, divorare, digerire) il consumo non sarebbe un mito, cio un discorso
pieno, autoprofetico che la societ tiene su se stessa, un sistema di interpretazione globale, uno specchio in cui essa
gioisce superlativamente di se stessa, un'utopia in cui essa si riflette per anticipazione. In questo senso l'abbondanza
e il consumo, ancora una volta non quello dei beni materiali, dei prodotti e dei servizi, bens l'immagine consumata del
consumo, costituiscono la nostra nuova mitologia tribale, la morale della modernit.
Senza questa anticipazione e questa potenzializzazione riflessiva dei godimenti nella coscienza collettiva , il
consumo non sarebbe quel che , e non avrebbe questa potenza di integrazione sociale. Non sarebbe che un modo

di sussistenza pi ricco, pi copioso, pi differenziato di quanto non lo fosse un tempo, ma non avrebbe un'accezione
diversa da quella che ha avuto finora, per cui non designava nulla come valore collettivo, come mito di riferimento, ma
indicava solamente un modo di sopravvivenza (mangiare, bere, alloggiare, vestirsi), o una spesa di lusso ( parures,
residenze signorili, gioielli) per le classi privilegiate. N mangiare delle radici, n dare delle feste veniva chiamato
consumare. La nostra epoca la prima in cui sia le spese alimentari correnti che le spese di prestigio si chiamano
entrambe consumare e questo per tutti, secondo un consenso totale. L'emergenza storica del mito del consumo nel
XX secolo radicalmente differente da quella del concetto tecnico, nella riflessione o nella scienza economica, il cui
uso di gran lunga precedente. Questa sistemazione terminologica nell'uso corrente muta la storia stessa: essa il
segno di una nuova realt sociale. Propriamente parlando, non c' consumo se non da quando il termine entrato
negli usi . Mistificante e impraticabile nell'analisi, anti-concetto , esso tuttavia significa che si operata tutta una
ristrutturazione ideologica dei valori. Che questa societ viva se stessa come societ dei consumi, deve essere il
punto di partenza di un'analisi obiettiva.
Quando diciamo che questa societ dell'abbondanza mito a se stessa, intendiamo dire che essa riprende per
conto suo, a un livello globale, questo ammirabile slogan pubblicitario che le potrebbe servire da motto: Il corpo che
sognate il vostro. Un immenso narcisismo collettivo conduce la societ a confondersi e assolversi nell'immagine che
essa si d di s stessa, a convincersi di se stessa, come la pubblicit finisce per convincere le persone del loro corpo
e del loro prestigio - in breve, come dicevamo sopra, ad autoprofetizzarsi 2. Boorstin ha ben messo in evidenza
questo immenso processo di tautologia auto-dimostrativa a proposito degli USA, in cui tutta una societ si parla sul
modo della profezia, ma in cui questa profezia invece di avere per sostanza degli ideali futuri, o degli eroi della
trascendenza, ha per unica sostanza il riflesso di se stessa e della propria immanenza. La pubblicit totalmente
votata a questa funzione: il consumatore in ciascun istante pu leggervi, come nello specchio di Eulenspiegel, ci che
egli e ci che desidera - e realizzarlo in una volta sola. Non c' pi n distanza, n lacerazione ontologica. La sutura
immediata. Lo stesso si dica per i sondaggi di opinione, gli studi di mercato e tutti gli atti in cui si fa parlare e delirare
la grande Pizia dell' opinione pubblica : essi predicono l'avvenimento sociale e politico e, come un ritratto-robot, si
sostituiscono all'avvenimento reale che finisce per rifletterli. Cos l'opinione pubblica, un tempo espressione del
pubblico, riveste sempre pi la forma di un'immagine a cui il pubblico conforma la propria espressione. Questa
opinione si riempie di quel che gi contiene. La gente si guarda allo specchio. Cos per le celebrit, le vedette e gli
eroi del consumismo : Un tempo gli eroi rappresentavano un modello: la celebrit una tautologia... Il solo titolo di
gloria delle celebrit la loro stessa celebrit, il fatto di essere conosciuti... Ora questa celebrit non nient'altro che
una visione di noi stessi magnificata dalla pubblicit. Imitandola, sforzandoci di vestire come lei, di parlare il suo
linguaggio, di apparire simili a lei, non facciamo che imitare noi stessi... Copiando una tautologia, diveniamo a nostra
volta tautologie: candidati ad essere quel che siamo... cerchiamo dei modelli, e contempliamo il nostro proprio
riflesso. La televisione: Cerchiamo di conformare la vita della nostra casa all'immagine delle famiglie felici
presentateci dalla televisione; ora queste famiglie non sono altro che una divertente sintesi di tutte le nostre.
Come ogni grande mito che si rispetti, quello del consumo ha il proprio discorso e il proprio anti-discorso, cio il
discorso esaltato sull'abbondanza si sdoppia ovunque in un contro-discorso critico , tetro e moralistico, sui danni
della societ dei consumi e sullo sbocco tragico che essa non pu mancare di avere per l'intera civilt. Questo controdiscorso leggibile ovunque: non solamente nel discorso intellettualistico sempre pronto a distanziarsi, attraverso il
disprezzo dei valori primari e delle soddisfazioni materiali , ma anche, al giorno d'oggi, nella stessa cultura di
massa : la pubblicit fa sempre pi la parodia di se stessa, integrando la contro-pubblicit nella tecnica pubblicitaria.
France-Soir Match , la radio, la TV, i discorsi ministeriali hanno per recitativo obbligato il lamento su questa
societ dei consumi in cui i valori, gli ideali e le ideologie vanno perduti a tutto vantaggio dei soli godimenti della
quotidianit. Non si dimenticher presto il famoso volo di Chaban-Delmas secondo cui: Si tratta di controllare la
societ dei consumi fornendole un supplemento d'anima .
Questa incessante requisitoria fa parte del gioco: il miraggio critico, l'antifiaba che corona la favola - la frase e
l'antifrase del consumo. Solo i due versanti nel loro insieme costituiscono il mito. Bisogna dunque concedere al
discorso critico , alla contestazione moralistica tutta la sua vera responsabilit nell'elaborazione del mito. il
discorso critico che ci rinserra definitivamente nella teleologia mitica e profetica della civilt dell'oggetto . il
discorso critico , ben pi affascinato dall'oggetto del buon senso o del consumatore di base, che lo trasfigura in
mitica e affascinata critica antioggetto. I contestatori del maggio francese non sono sfuggiti a questa trappola che
consiste nel superreificare gli oggetti e il consumo dando loro un valore diabolico, nel denunciarli come tali e
nell'erigerli a istanze decisive. qui il vero lavoro mitico: di qui deriva il fatto che tutte le denuncie, tutti i discorsi sull'
alienazione , tutta la derisione operata dalla Pop e dall'anti-arte, sono facilmente recuperati , infatti fanno essi
stessi parte del mito cui danno l'ultimo tocco facendo la parte del controcanto nella liturgia formale dell'oggetto di cui
parlavamo all'inizio - e questo in maniera senza dubbio pi perversa che non l'adesione spontanea ai valori del
consumismo.
In conclusione diremo che questo contro-discorso non instaura nessuna distanza reale, tanto immanente alla
societ dei consumi quanto qualsiasi altro dei suoi aspetti. Questo discorso negativo la residenza secondaria
dell'intellettuale. Come la societ del Medio Evo si reggeva in equilibrio su Dio e sul diavolo, cos la nostra si regge sul
consumo e sulla sua denuncia. Ancora attorno al diavolo potevano organizzarsi eresie e sette di magia nera. La
nostra magia invece bianca: nessuna eresia possibile nell'opulenza. la bianchezza profilattica di una societ
satura, di una societ senza vertigini e senza storia, senza altro mito al di fuori di se stessa.
Ma eccoci di nuovo nel discorso triste e profetico, presi nella trappola dell'oggetto e della sua pienezza apparente. Ora

noi sappiamo che l'oggetto nulla, e che dietro di esso si aggroviglia il vuoto delle relazioni umane, il disegno a caldo
dell'immensa mobilitazione delle forze produttive e sociali che vengono a reificarvisi. Attenderemo le irruzioni brutali e
le disgregazioni improvvise che, in maniera tanto imprevedibile, ma certa, quanto il maggio del 1968, manderanno in
frantumi questa messa bianca.
NOTE ALLA CONCLUSIONE'
* L'anfibologia consiste nel fatto che personne, in francese, significa sia persona sia nessuno [N.d.T].
1

Torino, Ed. Paoline, 1960.


Come tutti i miti anche questo cerca di fondarsi su un avvenimento originale. In questo caso la sedicente
rivoluzione dell'abbondanza , la rivoluzione storica del benessere , ultima rivoluzione dell'uomo occidentale dopo
il Rinascimento, la Riforma, la rivoluzione industriale e le rivoluzioni politiche. Con ci il consumo si presenta come
l'inizio di una nuova era, l'ultima, quella dell'utopia realizzata e della fine della storia.
2

Finito di stampare nel giugno 1976


presso le grafiche BG
via Rossini 10 - Rastignano (Bologna)

UNIVERSALE PAPERBACKS IL MULINO

l. CARLO M. CIPOLLA, Storia economica dell'Europa preindustriale


2. HERBERT MARCUSE, Ragione e rivoluzione. Hegel e il sorgere della teoria sociale
3. EDGAR MORIN, L'industria culturale. Saggio sulla cultura di massa
4. MARZIO BARBAGLI, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia
5. EMILIO GERELLI, Economia e tutela dell'ambiente
6. JOSEPH LORTZ - ERWIN ISERLOH, Storia della Riforma
7. HELMUT FLEISCHER, Marxismo e storia
8. JOS ORTEGA Y GASSET, La ribellione delle masse
9. MARIA ANTONIETTA MACCIOCCHI, Per Gramsci
10. REN WELLEK, Storia della critica moderna
I.
Dall'Illuminismo al Romanticismo
II.
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III.
L'et di transizione
11. KARL MANNHEIM, Ideologia e utopia
12. GIUSEPPE MAMMARELLA, L'Italia dopo il fascismo: 1943-1973 .
13. HANS REICHENBACH, La nascita della filosofia scientifica
14. PETER L. BERGER - THOMAS LUCKMANN, La realt come costruzione sociale
15. PAOLO UNGARI, Storia del diritto di famiglia in Italia (1796-1942)
16. ROMANO CANOSA - PIETRO FEDERICO, La magistratura in Italia dal 1945 a oggi
17. HENRI I. MARROU, La conoscenza storica
18. GEORGE LICHTHEIM, Le origini del socialismo

19. OSKAR NEGT, Hegel e Comte


20. PHYLLIS DEANE, La prima rivoluzione industriale
21. GIORGIO GALLI, Dal bipartitismo imperfetto alla possibile alternativa
22. MICHELE SALVATI, Il sistema economico italiano: analisi di una, crisi
23. GIUSEPPE MAIONE, Il biennio rosso. Autonomia e spontaneit operaia nel 1919-1920
24. W. M. O'NEIL, Le origini della psicologia moderna
25. ERVING GOFFMAN, La vita quotidiana come rappresentazione
26. TOM KEMP, L'industrializzazione in Europa nell'800
27. JOSEPH BEN - DAVID, Scienza e societ
28. CARLO M. CIPOLLA, Le avventure della lira
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30. ANTHONY GIDDENS, La struttura di classe nelle societ avanzate
31. GINO GERmANi, Autoritarismo, fascismo e classi sociali
32. THEODOR W. ADORNO, Tre studi su Hegel
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36. JOHN F. JAMESON, L4 rivoluzione americana come movimento sociale
37. FRANCESCO ALBERONI, Italia in trasformazione
38. ALFRED L. KROEBER, Antropologia dei modelli culturali
39. MICHEL ZERAFFA, Romanzo e societ
40. JEAN VIAL, Lo sviluppo della societ industriale
41. MASSIMO TEODORI, Storia delle nuove sinistre in Europa (1956-1976).

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