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Archeologia della questione.

La questione della decisione.


Di Paolo Pascucci

In questo lavoro desidero affrontare il problema del funzionamento della mente. Il tema
riguarda sia il funzionamento dei cervelli animali e umani che della mente umana
propriamente intesa, con l’ovvia necessità di distinguere la componente che appartiene a
tutto il regno animale da quella che è caratteristica del genere Homo. In generale però sono
ravvisabili elementi di continuità tra cervello animale e umano, soprattutto in
considerazione del fatto che gran parte della differenza risiede in un elemento quantitativo,
l’aumento di materia encefalica rispetto alla massa corporea (pur se di alto livello come le
aree corticali): ne discende che, in qualsiasi caso si ravvisi un aumento quantitativo, questo
significa che l’aspetto fondamentale è l’accrescimento di strutture già esistenti e non la
formazione di nuove. In pratica, la presenza di ulteriore materia cerebrale
sovradimensionata rispetto a quella esistente in altre specie di pari massa, significa un
aumento di possibilità di trattamento dei segnali in ingresso che può trasformarsi, questo
sì, in formazione di nuove uscite comportamentali qualitative.
Cercherò di dimostrare che l’elemento fondamentale, il punto di riferimento, il famoso
homunculus altro non è che il sistema motorio nel suo complesso o meglio ancora il
movimento in sé, in quanto caratteristica essenziale di tutte le forme di vita non radicate
(come i vegetali).
Il secondo aspetto riguarda la specializzazione cellulare, la quale cosa ha due effetti: primo
la diminuzione dei costi energetici in seguito a specializzazione funzionale con perdita
però di altre funzionalità più generiche (aspetto quantitativo), secondo la formazione di
sistemi collegati e dipendenti all’interno di un unico organismo, la migliore sopravvivenza
di quelle cellule più econome in fatto di energia (specializzazione) all’interno
dell’organismo con conseguente aumento della fitness dell’organismo stesso; la
conseguenza di quest’ultimo fatto potrebbe essere l’aumento della massa che se
accompagnata da uno stadiamento dimensionale porterebbe alla diversificazione
funzionale delle nuove cellule (aspetto qualitativo).
Il terzo aspetto riguarda la perdita di una funzione motoria senza perdita dell’area
cerebrale che la guidava.

Chi prende la decisione?


Immaginiamo di avere un organismo che per ovviare alla scelta della decisione,
considerando che può muoversi solo in una direzione alla volta, si muova in una direzione
a caso e che modifichi tale direzione ad intervalli regolari (magari con un meccanismo di
saturazione e ricarica). Se raggiunge un ambiente con una concentrazione di cibo potrebbe
uscirne prima di aver consumato un numero sufficiente di molecole. Occorre dunque un
decisore
Nel caso del flagello batterico la rotazione oraria fa le veci di un sistema di rilevamento
spaziale grossolano che dirige l’organismo in direzioni casuali esplorando tutto lo spazio
disponibile e fidando sui cambi di direzione per esplorare più ambiente possibile. Questo
meccanismo sarà regolato soltanto da un sistema di saturazione direzionale in cui al
compimento di un insieme di operazioni la struttura si sdipani (ruotando) e ricominci in
un’altra direzione. Per il nostro organismo, sinchè non intervengono altri fenomeni, lo
spazio è uguale in tutte le direzioni, non c’è nessuna preferenza se non quella di essere
fornito di un meccanismo più o meno periodico per la variazione della direzione. Questa
variazione però non obbedisce a regole di inferenza o percettive ma si basa sulla selezione
di un meccanismo economico per la perlustrazione ambientale in organismi non radicati.
La decisione, per il nostro organismo, è sia quella di fermarsi a pascolare in una
concentrazione chimica favorevole che quella di dirigersi verso un gradiente chimico
attrattivo (o rifuggire da uno repellente). Nel secondo caso lo scopo è raggiunto grazie alla
formazione di recettori chimici che, una volta legati al ligando, attivano reazioni chimiche
interne capaci di modificare, nel caso del flagello, la rotazione da oraria a antioraria e di
puntare verso il gradiente. Il chemiorecettore è quindi un modificatore di quello stato di
base che permette al batterio di perlustrare l’ambiente senza essere dotato di rilevanti
strutture di regolazione del segnale.
Si nota inoltre che il meccanismo decisionale non risente che minimamente delle
variazioni delle condizioni: il nostro organismo è in grado di reagire solo a quelle sostanze
che legano i recettori (variando semmai la concentrazione di rilevamento), il resto del
mondo percettivo non gli appartiene. Il sistema non è nemmeno in grado di imparare dalle
esperienze e una concentrazione di una sostanza nociva non rilevabile non lo predispone
all’evitamento futuro. In compenso questo ruolo può essere svolto dalla variabilità genetica
che forma recettori con modifiche preparando così organismi mutanti in grado di rilevare
sostanze non rilevabili ai più.

1.00 Il Movimento.
1.01 In principio erano i batteri.
I batteri procarioti che possono muoversi usano diverse strategie per spostarsi: in alcuni
c’è una struttura chiamata flagello, in altri si utilizzano movimenti di contrazione e
rotazione, altri ancora usano un movimento di strisciamento. In generale se non
recepiscono nessuna sostanza di loro interesse, si muovono casualmente sia in linea retta
che modificando la propria direzione per mezzo di capriole sinchè non trovano ciò che
cercano. Gli stimoli ai quali rispondono positivamente o negativamente sono sia di natura
chimica come zuccheri, aminoacidi o sostanze tossiche, che fisici, come ad esempio nella
geotassi, fototassi, termotassi ecc. Questa procedura è detta chemiotassi: il meccanismo
con il quale questi organismi trasformano il segnale è mediato da chemiorecettori posti
sulla membrana citoplasmatica che attraverso un complesso di secondi messaggeri attiva il
movimento. Il meccanismo percettivo è anche in grado di confrontare le concentrazioni
degli elementi nell’ambito di un breve intervallo di tempo, una specie di effetto memoria.
Cosa ci insegna questo comportamento? Un legame stretto fra strutture motorie e
recettori: il recettore avverte la presenza chimica (vi sono circa 20 tipi di chemiorecettori
attrattivi e 10 repellenti) e di volta in volta la sostanza attivata come secondo messaggero
stimolerà in senso antiorario o orario la rotazione del flagello, per esempio. Non è dato
sapere quale delle due strutture sia più importante però possiamo proporre una sorta di
gerarchia: sono i chemiorecettori che trasportano il segnale verso gli organi di movimento,
cioè il flusso informativo procede in quella direzione recettore>effettore, in pratica è
l’effettore il referente di ogni ingresso recettivo. E cos’è il percetto per il batterio? Se non
avesse possibilità di scatenare le risposte chimiche conseguenti al legame della sostanza sul
recettore che arrivano fino alle strutture motorie, quel legame sostanza-recettore non
avrebbe alcun significato. In più, per un organismo come un batterio, è più conveniente
muoversi casualmente oppure rimanere fermo in un unico posto, ai fini della
sopravvivenza (procacciarsi il cibo, sfuggire i pericoli) ? Il movimento è un aspetto
fondamentale della natura di quegli organismi non radicati, anzi è la caratteristica
fondante la differenza: senza il movimento, casuale o finalistico che sia, non sarebbero
altro che organismi radicati e cesserebbe la distinzione.
L’assunzione di nutrienti avviene attraverso questi sistemi: diffusione facilitata, trasporto
attivo e traslocazione di gruppo ( i più importanti). L’endocitosi rappresenta il sistema
elettivo degli eucarioti.
L’aspetto essenziale di questi organismi semoventi allo stadio primitivo è l’attività ancillare
dei recettori nei confronti degli effettori. E’ chiaro che ugualmente i sistemi effettori
potrebbero poco senza strumenti di rilevazione dello spazio extracellulare ma è
ugualmente chiaro che volente o nolente al legame ligando-recettore seguirà un atto
motorio: possiamo concluderne che l’atto motorio è il riferimento delle attività ricettive di
ogni organismo?
Come avviene il passaggio dalla percezione chimica all’esecuzione motoria? Per sapere da
che parte dirigersi l’organismo deve collegare la disposizione del recettore attivo al vettore
direzionale, insomma una sorta di mappa chemiotopica, però non possedendo strutture in
grado di gestire il segnale in ingresso oltre la semplice attivazione di cilia o flagelli basa il
suo direzionamento sulla rotazione casuale cui segue un maggior tratto di movimento
lineare se percepisce di fronte a sé, dalla porta opposta del propulsore, il gradiente chimico
attraente. Un po’ come potrebbe fare un organismo cieco procedendo a sondare il terreno
intorno a sé prima di avanzare verso una direzione valutata magari dagli altri organi
sensoriali.
Quello che fanno le rotazioni casuali e i chemiorecettori è, in forma primitiva, ciò che fanno
gli organi sensoriali più evoluti negli organismi pluricellulari. Specialmente la rotazione
casuale viene sostituita dalla topologia del segnale: per esempio la corteccia sensoriale e
quella motoria sono collegate topologicamente ai rispettivi spazi sulla superficie corporea,
e questo serve ad identificare il luogo in cui avviene l’evento stimolante.
La rotazione casuale adotta una strategia di forza basata sulla quantità. Supplisce alla
carenza di segnali adottando un avanzamento a zig-zag che riesce a coprire una maggiore
superficie del piano, quando però incontra il segnale attiva un procedimento motorio. Il
batterio, questo minuscolo organismo unicellulare, possiede una coscienza o io che dir si
voglia?
Sostengo che un io o coscienza primaria appartenga a qualsiasi organismo che possa
muoversi di moto proprio, in grado cioè di compiere una decisione che riguarda l’intero
organismo. La coscienza primaria è l’inferenza motoria, la coscienza secondaria è
l’inferenza sostituto motoria.

1.02 Organismi complessi.


L’aspetto fondamentale per risolvere il problema del funzionamento della mente è
comprendere il significato dell’atto motorio. Ad esclusione delle piante (quasi tutte…) gli
organismi utilizzano il movimento come strumento di sopravvivenza. L’atto motorio,
fondamentalmente, consente di scovare il nutrimento. Non potendo utilizzare le fonti
pervasive come alimentazione, gli organismi animali sono costretti ad aumentare le loro
chance di imbattersi nel cibo investigando lo spazio circostante. Sia le forme monocellulari
che quelle complesse adottano la strategia del movimento quale metodo di ricerca, perché
rispetto alla stanzialità aumenta la possibilità di imbattersi in fonti di cibo.
Dunque, l’atto motorio è una scelta evoluzionistica degli organismi utilizzatori di cibo
localizzato e non diffuso, insomma se per gli autotrofi il movimento è un lusso del quale
possono fare a meno, considerato che la loro fonte alimentare è pervasiva, così non è per
gli eterotrofi, che devono scovare le loro fonti alimentari.
Da questo discende anche il ruolo del movimento nella definizione del comportamento del
soggetto. Il comportamento è tutto il movimento possibile, anche quello non agito ma
pensato, che l’organismo può produrre. Muovendosi manifesta l’intenzione di alimentarsi,
anche se lo fa nei confronti di elementi che non possono fuggire. Il movimento
perlustrativo o anche il movimento in genere consiste nella verifica di agibilità,
nell’assenza di impedimenti, nell’appropriazione della competenza dello spazio attraverso
l’anticipazione dell’atto. Ci deve essere un legame molto stretto tra caratteristiche rilevate
dai recettori sensoriali e insieme dei movimenti possibili del corpo, intendo caratteristiche,
come dire, de-gestaltizzate, analitiche, le quali rappresentano tante piccole qualità motorie.
Produrre comportamenti è lo scopo principale di un organismo animale: anche le strategie
per sopravvivere utilizzano comportamenti, cioè atti motori, per manifestarsi; da qui
discende il fatto che nel comportarsi risiede l’aspetto essenziale di un organismo non
vegetale. Può esistere una relazione più solida del semplice collegamento fisico tra
apparato muscolare e aree motorie corticali e sottocorticali? Intendo dire che
rappresentano entrambe un tutto unico che è il tratto distintivo di un non vegetale (nV),
cioè a dire sistemi e strutture che sopperiscano alla strategia vegetale di raggiungere luoghi
dello spazio, che è quello di crescergli vicino. Ora, il punto essenziale è questo, cercare di
scoprire se l’apparato percettivo è aggrovigliato con quello motorio in modo inestricabile,
dal che seguirebbe che non ha senso parlare di percezione ma di percetto-azione né del
resto ha senso parlare di azione ma di motori-sensorialità: in pratica se la percezione è
strettamente connessa all’azione motoria tanto da suggerire l’ipotesi sensorimotoria che
sta anche alla base della teoria dei neuroni specchio, allora non ha nemmeno senso parlare
di puro atto motorio, ma occorre sempre specificare che l’atto motorio è così
profondamente debitore all’apparato percettivo da non poterne fare a meno. Le suggestioni
nel caso di animali deafferentati (Taub), pur essendo non univoche, indicano che l’animale
deafferentato, pur utilizzando i rimandi sensoriali della vista, se costretto dalla legatura
dell’arto sano (caso delle scimmie) utilizza l’arto deafferentato in modo coordinato.
Sarebbe necessario verificare se in completa assenza di ogni rimando sensoriale è ancora
possibile attuare dei gesti motori, e se si di che tipologia sono. Probabilmente sarebbero
atti casuali e caotici. Insomma per farla breve, senza rimando sensoriale alcuno, l’atto
motorio è possibile, pure se diventa caotico e casuale, in pratica non finalistico.
Per gran parte degli appartenenti al regno animale il nascere con una già discreta
coordinazione motoria impedisce di andare oltre l’affinamento di quelle tecniche motorie,
e nella fattispecie di acquisire ulteriori repertori motori. Questi repertori motori includono
anche la diversificazione della risposta rispetto a stimoli quasi simili a quelli scatenanti,
per i quali invece gran parte degli animali fornisce risposte standardizzate.
Se l’atto motorio standard riceve afferenze emotive positive ne viene rinforzato a danno di
altre configurazioni. Ammettiamo che un evento ambientale richieda una di due risposte.
Se quella con la maggior possibilità riceve afferenze consolidanti tende a soppiantare
l’altra. Il consolidamento segue il noto rinforzo sinaptico mediato da neuromodulatori con
intervento dei recettori NMDA. Questo significa che l’arrivo di un treno d’impulsi nell’area
attiverà la risposta rinforzata. Rimane la questione di definire in cosa consista la
consapevolezza della ricompensa che poi stimola la produzione rinforzante. Questa parte è
competenza sempre del comparto emotivo, ma si dispone come un secondo genere di
risposta alla prima risposta: in sostanza è una valutazione dell’atteggiamento
dell’individuo. Nota che anche la paura agisce come rinforzante se l’atto motorio coattivato
fornisce un termine alla produzione di mediatori di tale stato. Cioè: la paura agisce sempre
come rinforzante, dipende da quale atto motorio viene compiuto e se questo estingue la
sensazione. Se l’atto estingue la produzione di mediatori diciamo così li assorbe e rinforza
le sinapsi del circuito che lo pilota.

1.03 Sensi e atti.


Da T. Arecchi, Coerenza.Complessità.Creatività, Di Renzo 2008, pag. 120:
[…] inserendo elettrodi nei neuroni olfattivi di una locusta (Gill Laurent, Caltech), si è
verificato che la sequenza temporale di spikes che codifica un certo odore non varia in
successive presentazioni dello stesso oggetto odoroso all’animale: questo sembra avere
un repertorio limitato, che non evolve.
Invece nel caso di un coniglio (Walter Freeman, berkeley) la successiva esposizione
dell’animale allo stesso odore stimola distribuzioni di spike differenti.
[…] Se rappresentiamo i vari significati come punti di uno spazio semantico per la
locusta, come per un robot, parleremo di circolo ermeneutico, cioè di connessione
(linguistica o percettiva) fra elementi pre-assegnati e invariabili a cui si ritorna
ineluttabilmente, per ricco che sia il repertorio accumulato. Invece per un coniglio
parleremo di spirale ermeneutica cioè di crescita cognitiva con l’esperienza. Si tratta
di un programma non finitistico, in quanto non siamo confinati entro un insieme a
numero finito di elementi: il ripresentarsi di un’esperienza non è mai uno stereotipo come
per la locusta, ma ritorna arricchito dal nostro vissuto.
È la stessa differenza che c’è tra reparto percettivo e reparto associativo-motorio, nel senso
che il primo si comporta come un circolo ermeneutico, rispondendo a stimolo uguale
con attivazione uguale, mentre il comparto associativo-motorio varia la risposta allo
stimolo in funzione della sua composizione attuale e si comporta come una spirale
ermeneutica. Percezione analitica degli animali e sintetica degli umani: influenza della
sovrainterpretazione del percepito con tendenza all’anticipazione.
Alla costanza del rimando sensoriale rispondono le aree percettive attivando le medesime
aree; nel passaggio alle aree motorie l’interposizione di aree più o meno estese consente
una risposta stereotipata o variabile. L’attivazione sensoriale è composta di micro
attivazioni distinte, riguardanti tutti aspetti essenziali dell’informazione. Si richiede
dunque che, pur variando l’area della superficie sensoriale periferica rispetto al movimento
dell’individuo nell’ambiente, si mantenga una identica attivazione di circuiti, regolati dalla
specificità del riferimento, sia topografico che intrinseco. In pratica alle aree sensoriali non
è richiesto di apprendere, considerando che la loro funzione è di analizzare, anche il
singolo ente, nelle sue fondamentali percettive. Sono altre le aree che devono conferire
significato, e il significato lo si attribuisce ad enti sintetici, non alle singole proprietà di un
ente. Si dice che le aree associativo-motorie compiono una integrazione. Ma non può
essere solo questo.
L’obbligo per le aree percettive di riattivare gli stessi circuiti proviene dalla necessità
topografica di fornire un riferimento spaziale. (Variabilità in senso longitudinale dei
neuroni sensoriali, nel senso dell’abituazione ad uno stimolo ripetuto non massimale.
Variabilità in senso latitudinale dei neuroni associativo-motori, che implicano la
comprensione, in cui non varia il significato solo perché lo stimolo è ripetuto –l’ente
conserverà sempre lo stesso significato- ma varia il livello attentivo, cioè l’emersione alla
coscienza, quella motoria negli animali, quella simbolica negli umani).
Se noi intendiamo gli ingressi sensoriali come privi di significato se mancanti di un punto
di riferimento preciso possiamo comprendere come la necessità di una risposta variabile
non appartenga a queste aree (sarebbe uno spreco di risorse) ma a quelle che dovranno
costruire un significato del mondo, sia spaziale che emotivo.
Relazione tra lo stato sonnambolico puro e quella condizione del genere che si prova
guidando fino a casa immerso nei propri pensieri, quasi senza accorgersene. In entrambi i
casi sembra che un compito sia avvenuto in assenza di consapevolezza. Delle due l’una: o è
possibile compiere atti motori senza intervento della coscienza oppure esiste uno stato di
coscienza più sotterraneo che qualche volta, per certe ragioni, agisce in maniera nascosta.
Nel caso del guidatore impegnato in attività attentive è facile ipotizzare come il
convogliamento verso una direzione specifica tolga risorse alle attività collaterali. In questo
caso però siamo di fronte a due generi di attività diverse: prestare attenzione linguistica ad
un problema e prestare attenzione motoria ad altri compiti.

1.04 Campo biologico


Il campo biologico è uno spazio nel quale agisce un vivente e ogni punto rappresenta un
comportamento possibile dell’organismo. Ricalco dello spazio delle fasi atemporale in cui
ogni punto rappresenta un evento passato, presente, futuro, e la regolazione dello stato
successivo dipende da un gradiente energico che forza il passaggio ad uno stato futuro
perché più conveniente dal punto di vista energetico. Il campo è il raggio d’azione
dell’organismo: riguarda sia il raggio attivo, cioè l’orizzonte di competenza sensori-
emotiva, sia l’orizzonte passivo, in cui l’organismo non percepisce ma è
percepito.All’interno del campo le possibilità comportamentali non sono ovunque le stesse.
Siccome il campo si muove con l’individuo ci saranno luoghi relativi nei quali non sarà
possibile tenere alcuni comportamenti: per esempio ad una certa distanza da un bersaglio
mobile il nostro soggetto non potrà intervenire; se la distanza tra i due rimarrà inalterata
non potranno essere attuati alcuni comportamenti.
Ora, possiamo immaginare questa situazione in cui un campo biologico rappresenti tutta la
possibilità espressiva di un organismo, o meglio tutti gli stati successivi. Ad ogni istante
successivo si presentano biforcazioni multiple all’organismo che sceglie una strada in
conseguenza dello stato precedente (o interno) e dello stato esterno.
Esistono finite o infinite possibilità per l’organismo di scegliere; le scelte sono lì davanti a
lui. La generazione di richieste, sia proveniente dall’interno che dall’esterno, come
influenza la predicibilità della scelta? L’instabilità generata dallo stimolo comporta la
restrizione delle scelte: diminuisce la casualità degli stati successivi allo stimolo e
ovviamente aumenta il determinismo. L’azione orientata ad uno scopo ha dunque la
necessità di sfrondare il numero delle scelte che si presentano ad ogni istante successivo. È
da notare, en passant, che pure la conformazione anatomo-biochimica di ogni organismo si
comporta come una restrittrice delle possibilità di scelta. La dotazione anatomica e
l’apparato fisiologico sono dunque avamposti fisici del comportamento: per primi
consentono di restringere l’ambito di scelta rendendo possibili solo una parte delle scelte;
il comportamento è materializzazione di un’istanza che nasce dal confronto tra le richieste
ambientali e le possibilità dell’organismo. Il movimento (leggi comportamento) è
l’anticipazione dell’occupazione di uno stato futuro scelto tra le possibilità messe a
disposizione del campo biologico dalla struttura anatomo-chimica dell’organismo.
Oppure si può considerare che le scelte infinite presenti davanti all’organismo non gli siano
conosciute, che non esista un atto volitivo che condizioni la scelta ma che tale scelta sia
completamente determinata dagli stati precedenti, i quali si influenzano reciprocamente in
infiniti modi, ma sono comunque questi stati precedenti a determinare lo stato successivo.
Per amore di completezza possiamo pure inserire una sensibilità degli stati precedenti alla
più piccola variazione, in modo da includervi l’effetto irreversibilità, il che significa che non
potrà darsi mai uno stato successivo simile ad uno qualsiasi degli stati che lo hanno
preceduto. Comunque sia, stante il determinismo dei fattori coinvolti, gli stati precedenti
cioè, i quali determinano lo stato successivo, a causa della caratteristica di influenzabilità
dei risultati alle più piccole variazioni, non è possibile stabilire con esattezza quale sarà lo
stato successivo.
Questo in prima istanza. Però in biologia occorre accontentarsi di approssimazioni quindi
possiamo usare la statistica per fornire ipotesi di stati successivi conoscendo gli stati
origine.
A causa di un gap energetico il campo non consente di ritornare a stati precedenti
appartenenti al campo. Perché il futuro è uno stato più probabile di un ritorno al passato?
Questa caratteristica è esportabile al sistema nervoso? È possibile stabilire se il cervello è
in grado di utilizzare o ritornare a esperienze passate, pur evidenziandosi un continuum
che sembra andare in una direzione? Prigogine parla della irreversibilità come di un
aspetto della freccia temporale, l’impossibilità di ricalcare le stesse scene, precisamente.
Possiamo ricostruirli probabilisticamente dalla conoscenza degli stati attuali ma non
possiamo riportare l’organismo ad uno stato precedente. Il campo biologico potrebbe
quindi essere composto topograficamente di punti sorgente dai quali si possa solo scendere
verso il futuro e la cui direzione di discesa sia conseguenza degli stati appena precedenti la
caduta.
Tra parentesi, la ricostruzione di stati precedenti da parte del cervello è una violazione
della legge di caduta sopra descritta: in questo caso il campo mentale consente di definire
lo stato successivo non in un’unica direzione, cioè verso il futuro, ma anche verso il
passato. Se immaginiamo che il campo biologico è vettoriale unidirezionale, il campo
mentale è un campo scalare ma bidirezionale. Con il pensiero posso immaginare un futuro,
che magari non si realizzerà, però posso immaginarlo, poi posso rivivere un evento del
passato, tanto intensamente da aver l’impressione di trovarmi lì in quel momento. Il
pensiero può davvero violare la termodinamica? E se si sarebbe realizzabile un
esperimento nel quale un evento puramente mentale in grado però di influire su un evento
fisico può modificare elementi in modo da ripristinare situazioni passate? Per un
organismo invece non c’è scelta ma solo obbligo dalla situazione attuale, la quale
condiziona lo stato successivo, stato che ripeto pur deterministico è non prevedibile, se non
per via probabilistica.
È interessante notare che la via probabilistica avviene comunque sempre nel campo
mentale, per cui obbedisce alle leggi ivi residenti. Per l’organismo lo stato successivo
rappresenta né più né meno che l’unico modo di procedere e il solo mondo che può vivere.
Qual è il margine di intenzionalità che l’individuo riesce a immettere nel suo stato
successivo? Il fatto che ogni stato successivo sia diverso dal precedente e da tutti gli altri
elimina la possibilità di conoscerlo perfettamente. Ma non sommariamente. Perché
nonostante la diversità ogni stato immediatamente successivo è probabilmente più simile
al precedente che completamente dissimile da questi.
In esclusione dell’influsso esterno la successione di stati è ugualmente indeterminabile.
Traggo queste considerazioni dalla constatazione che gli organismi viventi hanno una
storia, che procede in un senso, e che ogni istante che passa ingenera qualche piccola
differenza, anche in assenza di interventi esterni, tale per cui ogni istante successivo
l’organismo invecchia, le strutture si usurano, il metabolismo procede, ecc. se noi
restringessimo le maglie della diversità che fa differenza e se prendessimo l’intervallo di
tempo che separa due stati successivi abbastanza piccolo forse le differenze non sarebbero
così marcate, almeno non nel senso di rilevare un effetto da invecchiamento. Pure, siccome
le reazioni chimiche procedono a velocità largamente inferiori al secondo (non tutte), a
meno di non prendere istanti di tempo inferiori al picosecondo, sono rilevabili momenti
diversi in quanto a quantità di reagenti istante per istante.
Il problema della scelta dell’intervallo è importante. Se scegliamo un intervallo troppo
breve rischiamo di congelare la sequenza di eventi chimici e fisici.
I gas, in un certo senso, si adattano molto bene agli eventi , almeno per quanto riguarda la
morfologia, visto che assumono ogni volta quella del contenitore. Non avendo, come i
liquidi, una forma propria, tendono meno facilmente a perderla. Se non fosse incapacità di
mantenere una forma propria potrebbe intendersi questa caratteristica di gas e liquidi
come una volontà di adattarsi ad ogni contenitore. Anche la maggiore refrattarietà alla
modifica di forma dei solidi potrebbe intendersi come un atto volitivo in tal senso.

2.00 La specializzazione.
Dinamica della specializzazione, nel senso che gli eventi di una certa complessità si
presentano inizialmente in uno stato di universalità come direzione energetica obbligata
sino a quando non subentrano fatti che apportino energia sufficiente ad andare contro
gradiente e ad aumentare la specializzazione del sistema. A questo scopo si può rilevare
che anche l’attività sinaptica cerebrale da generalizzata nei casi di assenza di stimoli
(attivazione spontanea generalizzata) passa ad una attivazione specifica e specializzata.
Perché la coordinazione motoria passa per una riduzione dei neuroni coinvolti nell’atto?
All’interno di uno stormo il singolo volatile è più protetto e invisibile che se fosse da solo.
Idem per i pesci all’interno di un banco.
Che relazione c’è tra questi due fattori: specializzazione come isolamento di neuroni
(gruppi di neuroni) e invisibilità attraverso l’aggregazione, il generalismo?
Anche nel cervello, l’appartenere tutti ad un unico gruppo, sciame, branco, stormo, banco
favorisce l’invisibilità, il generalismo, l’universalismo.
In realtà nel gruppo vige sincronia, si ha sì perdita di individualità del singolo neurone ma
si acquista sincronia di gruppo: ora resta da stabilire chi determina la direzione del gruppo,
considerato che ognuno segue un punto di riferimento? Se ognuno segue qualcuno chi
determina la direzione? Due ipotesi: o esistono individui definibili come capi che indicano
continuamente la direzione da seguire oppure lo fanno le condizioni al contorno. Forse
sono possibili entrambe le situazioni: probabilmente qualche individuo che assume il ruolo
di capo c’è anche, comunque il gruppo deve essere pronto, per la sua stessa natura, a
modificare istantaneamente la direzione a causa di eventi esterni, perciò se un elemento
del gruppo cambia improvvisamente direzione a cascata lo faranno anche quelli di cui era
riferimento. La capacità di rispondere come un tutto unico è la qualità principale di questi
raggruppamenti e ogni elemento è sensibile ai fattori esterni e in grado di far modificare
istantaneamente direzione al gruppo.
Quindi possiamo concludere che per il neurone la specializzazione si concretizza con il far
parte di un gruppo: è una sorta di specializzazione di gruppo.
Teoria del Minority Game: M. Buchanan, L’atomo sociale, pag. 89:
supponiamo che sul mercato non vi siano abbastanza investitori, e quindi l’insieme di
strategie in gioco non sia sufficiente a coprire tutte le possibilità. Ciò significa che vi sarà
un certo grado di “prevedibilità” residua che, ovviamente, attirerà altri investitori,
fiduciosi di poter compiere facili profitti. La stessa ragione ne attirerà altri ancora, ma
ogni nuovo investitore nel mettere in gioco altre strategie, “eroderà” quella parte di
prevedibilità residua.
Può questo fatto spiegare la predilezione del cervello, nello svolgimento della sua attività,
per circuiti quanto più possibile circoscritti? Cioè il fatto che un’attività diffusa non è
sinonimo di maggiori espressioni dell’organismo ma di comportamento caotico? Cosa
significherebbe però la maggior predicibilità della teoria in sistemi minori portata nel
campo neurologico? Perché un circuito più piccolo è più predicibile e efficiente? Se esiste
una specie di collegamento biunivoco tra stimolo generico e struttura cerebrale che lo
rappresenta o interpreta, come per la teoria del minority game, quanto minori sono gli
investitori o i neuroni coinvolti, quanto maggiore è la predicibilità ovvero rispetto a tutte le
possibilità legate ad un intorno completo dei circuiti attivi in un determinato momento,
quelli necessari a rappresentare gli eventi sono il minor numero possibile dotati di un
significato (nel senso di un significato solo, e non più di uno).
Prevedibilità dei mercati: indovinare il comportamento che terrà il mercato nel futuro. Se il
predittore è l’ambiente e il mercato è il cervello allora è l’ambiente ad adattarsi
all’organismo, ma ciò non può essere. Se il predittore è l’organismo e il mercato è
l’ambiente, occorrerà una strategia più vincente di quella che avviene nel mondo
finanziario per far sopravvivere l’organismo: a meno che l’organismo non faccia in modo di
tenere l’ambiente (il mercato) nella soglia di predicibilità e cioè con un basso numero di
investitori (stimoli).
Questo significa che l’organismo filtra un certo intervallo di stimoli per ogni struttura
ricettiva allo scopo di mantenere in ambito prevedibile l’azione. C’è una parte di verità in
quanto affermano Manzotti e Tagliasco che l’attività neurale (l’esperienza) non sia altro
che il proseguimento del processo che ha dato inizio all’evento, cioè l’attività neurale è la
prosecuzione del processo che l’ha stimolata (in realtà non l’ha stimolata ma l’ha
proseguita all’interno del cervello perché il sistema ricettivo, quando l’evento è nel suo
intervallo di pertinenza, fa parte del processo in atto e così pure il sistema motorio). Con
una precisazione però che l’attività neurale non può essere spogliata delle sue prerogative
peculiari di indirizzatrice e attivatrice dell’atto motorio, e che l’appartenere al processo
fisico scatenante è sia fisico che virtuale in quanto l’apparato percettivo non può fare a
meno di ricevere (in questo quindi si spiega il far parte dell’intero processo che inizia
nell’ambiente, attraversa l’organismo e ritorna all’ambiente) però può scegliere (in
quantità variabile) se agire o meno.
Prevedere il futuro significa poter indirizzare convenientemente l’apparato motorio, cioè
sapere dove inviarlo: se il cervello non sa dove inviarlo l’organismo si muove caoticamente.
Gli stimoli sensoriali che entrano attivano e silenziano utilizzando la logica che si è
accumulata filogeneticamente durante il percorso da unicellalure ad organismo complesso.

3.00 Le mappe.
Da O’Shea, La congettura di Poincarè, pag. 66:
[…]come non possiamo connettere i punti sui margini della nostra mappa del mondo
rimanendo in un piano bidimensionale, così non ci è possibile connettere le facce sui
margini esterni della nostra mappa di scatole dell’universo rimanendo nel nostro spazio
tridimensionale.
Cos’è una mappa cerebrale e a cosa serve? La mappa serve per trasformare segnali
multiformi in un linguaggio unico, quello cerebrale, basato sull’atto motorio. Per questo
motivo segnali di diversa provenienza, una luce, un suono, un odore, possono essere
ricondotti ad un unico mondo che li produce e non a tre distinti universi, appunto perché il
referente unico di tutti i segnali sensoriali è l’atto motorio. Come visto, l’impossibilità di
osservare un oggetto 3D all’interno di un mondo 3D obbliga a trasformare il segnale in 2D
per poi ripristinare la tridimensionalità sugli standard interni.
La mappa serve anche per avere un controllo generale di tutto quello che colpisce i sensi,
un colpo d’occhio totale, altrimenti succederebbe come quando siamo presi da qualcosa: la
fissazione dell’attenzione distoglie gli output motori da qualsiasi altro interesse
convogliandoli sull’oggetto attenzionato.
Disegnare una piantina ci serve per avere un’idea generale di una certa disposizione: anche
noi dobbiamo realizzarla in 2D perché in quella 3D più che poterla consultare ci viviamo,
essendo anche noi creature in 3D: ci vorrebbe una quarta dimensione per osservare una
mappa 3D come ora osserviamo una 2D.
In realtà tutto ciò che avviene all’interno del cervello, cioè l’attivazione di mappe, avviene
in 2D e l’apparente tridimensionalità dovuta alla distribuzione del segnale sensoriale non
più su una superficie ma su un’area tridimensionale non è che la trasduzione di un ritardo
sensoriale che il recettore avverte nel segnale proveniente dall’esterno, che deve essere
tramutato in una relazione spaziale perché serve a muovere l’apparato motorio che è
appunto basato su una distribuzione nello spazio degli elementi che lo costituiscono. Si
può quindi affermare che in principio era la distribuzione dell’apparato motorio a
condizionare la costruzione delle aree motorie cerebrali: i motoneuroni che si occupano di
trasportare i segnali verso i muscoli devono sapere in quale direzione deve dirigersi il
segnale, ragion per cui deve esistere una mappa motoria del corpo umano. La mappa
motoria è opera del genoma, i collegamenti dei motoneuroni con i fasci muscolari si
realizza durante lo sviluppo fetale, la catena di comando si dipana dai muscoli al cervello:
già in questa sede il genoma struttura la forma delle mappe, cioè risolve il problema di
avere sotto controllo una superficie estesa come quella corporea utilizzando un sistema
centralizzato nel quale siano rappresentate tutte le relazioni tra i segmenti corporei.
L’assemblaggio della struttura però non garantisce che l’organismo sia perfettamente in
grado di muoversi appena nato (almeno per quegli organismi che prevedono cure
parentali ed addestramento per esperienza). Una struttura del genere non sarebbe in grado
di decidere se l’atto che compie è ben fatto o adatto alla situazione perciò servono altre
strutture che interferiscono con la mappa motoria di origine.
La mappa motoria cerebrale inizialmente conosce solo la disposizione dei vari segmenti
muscolari ma siccome il suo ruolo non è quello di monitorare la superficie del corpo in
attesa di segnali ma di inviarne, resta da definire il problema di come avviene questo invio.
La parte spaziale dell’ambiente rappresenta un problema per l’organismo: questa è la parte
invariabile e l’organismo modifica se stesso (le sue attivazioni motorie) per muoversi nello
spazio. Ma perché dovrebbe farlo? Serve un motivo. Il motivo smuove organismi sia
semplici che complessi: nella sua parte fondamentale, che per alcuni organismi è anche
l’unica, è simile in tutti gli organismi. Il movimento, raramente, è opera di un unico fascio
muscolare; più spesso diversi muscoli cooperano nell’esecuzione di un atto. Per questo
motivo è necessaria una mappa motoria cerebrale piuttosto estesa e sincrona. Questo
significa che un atto volitivo finalistico esige una struttura neurale non semplice. Questo
aspetto da una parte ovvia alle attivazioni acausali spontanee, cioè serve più della casualità
per azionare un movimento finalistico, dall’altra impone la presenza di altre strutture che
determinano il finalismo. Il sistema motorio (cervello+struttura muscolare) da solo non è
in grado di finalizzare i propri atti perché non possiede nessuna mappa dell’ambiente.
L’ambiente può rappresentare un’istanza finalistica in virtù della sua capacità di
permanere discretamente nel tempo. Nell’isolare le mappe coinvolte in una percezione il
cervello mima il percepito con il proprio linguaggio: come il linguaggio simbolico richiede
certa coerenza ma necessita di una sorta di ambiguità così penso accada al sistema
motorio con l’ambiente.La coerenza è data dalla stabilità dell’ambiente e l’ambiguità dagli
inganni propri del sistema percettivo (vedi Temple Gradin, le ambiguità visive,ecc).
L’ambiguità serve perché non è possibile fornire una risposta motoria diversa ad ogni
stimolo, vi è necessità di raggruppare le risposte simili, perciò il sistema è più soggetto
all’errore e può generarne di inadatte.

4.00 I linguaggi.
Da Gould, Architetture animali, pag. 46:
[…]a fini sperimentali, Griffin realizzò un eccellente test servendosi della sua intuizione.
L’esperimento consisteva nell’interrompere il processo di costruzione da parte di questi
animali (tricotteri), o nell’indurre un danno modesto in una sezione ormai terminata
della struttura, vanificando così lo scopo del manufatto. La maggior parte degli animali
rimane sconcertata nel constatare simili cambiamenti, ma non questi insetti. Le
costruzioni dei tricotteri sono così piccole e difficili da iniziare e mantenere in
laboratorio, che esperimenti del genere sono stati eseguiti solo di rado. […] se proviamo a
rimuovere la parte posteriore e l’ala del tubo, la larva ripara il danno. Ciò che colpisce
profondamente è che in questo esperimento ,larve diverse hanno scelto di riparare le loro
costruzioni in modi differenti.
[…] tale variabilità è in evidente contrapposizione con il rotolamento stereotipato cui
sono sottoposte le uova degli uccelli che nidificano nel terreno. Una simile flessibilità
suggerisce l’idea che la larva possieda, oltre a programmi innati di riconoscimento e a
programmi motori che le consentono di portare a termine compiti specifici preordinati,
una sorta di idea del prodotto finito, simile a una mappa. Questa immagine, qualsiasi sia
la forma che essa assume, è ciò che consente all’animale di trovare soluzioni alternative
allo stesso problema: quella che gli esperti definiscono una risposta finalizzata.
La capacità di possedere una visione globale che interessa anche eventi che si devono
compiere o già avvenuti è possibile anche senza intervento del linguaggio simbolico.
L’animale sa ma non sa di sapere. Se ragioniamo in termini di spazi di azione dei diversi
linguaggi diremo che il motorio-corporeo opera in un solo ambito mentre quello simbolico
possiede due gradi di libertà.
Il tricottero, che è in grado di riprendere la costruzione del suo manufatto dopo un danno
senza dover ricominciare da capo, non possiede un linguaggio simbolico quindi utilizza
solo il linguaggio motorio-corporeo. Dunque questo linguaggio consente, entro un certo
grado la visione sintetica e quella analitica permettendo di ricominciare dal punto
interrotto senza dover ripartire. Conoscenza passo passo degli atti necessari e delle
strutture completate. Ripetizione degli atti da un certo punto in avanti stimolato dallo stato
della costruzione, con varianti riparative.
Diremo dunque che il mondo motorio-corporeo consente cosa?
Il mondo m-c consente la risposta immediata allo stimolo, ma anche quella posticipata o
anticipata, consente la visione analitica e quella sintetica, è possibile formare un sé
corporeo che reagisce prontamente a tutti gli stimoli che percepisce, cioè non solo li
percepisce (obbligo della percezione del sistema nervoso) ma reagisce come se fossero
sempre riferiti a sé (a meno che non impari che certi stimoli non seguitano nell’immediato
in atti che lo riguardano), è possibile provare tante emozioni diverse, dalla paura al
desiderio: insomma cos’è che non consente? Questo mondo permette di vivere le proprie
esperienze direttamente, di sfruttare ricordi ed esperienze per rispondere meglio agli
stimoli ma non consente di riflettere su di essi. Nel caso di qualche scimpanzè si arriva
addirittura a concepire strategie posticipate che implicano consapevolezza degli eventi e
delle relazioni tra gli attori di questi eventi. Questo potrebbe significare consapevolezza di
sé come elemento dell’ambiente e possibilità di gestire i propri bisogni non direttamente
ma indirettamente, estrapolando se stessi per meglio stabilire le relazioni con l’ambiente.
Però dovrebbe mancare la capacità riflessiva che permette di sviluppare quella cosa che in
linguaggio simbolico si chiama riflessione sugli eventi. Manca perché il linguaggio m-c non
possiede sufficiente ampiezza per contenere uno spazio dal quale osservare la parte
sottostante.
Dunque cos’è questa capacità che ha il linguaggio simbolico di riflettere su se stesso e sul
suo possessore? Limiti. Se io parlo il linguaggio m-c tutto ciò che vorrò dire dovrò fare;
anche in una simulazione solo mentale sarà possibile realizzare mentalmente solo ciò che
l’organismo è in grado di fare, e non tutte le possibilità ma solo quello che quell’organismo
specifico lì è in grado di fare. Il limite del linguaggio m-c è la sua esecuzione fisica e anche
la sua dotazione anatomica.
Ma qual è il limite del linguaggio simbolico? Abbiamo detto che il linguaggio simbolico è
un modo per raggiungere obiettivi fuori portata. È un sostituto dell’atto motorio quando
questo non è realizzabile. Il suo primo limite è dato dai limiti percettivi. Tutto ciò che si
percepisce può essere agito dal l-s (linguaggio simbolico; m-c linguaggio motorio-
corporeo) –è nato per questo motivo- poi però l’universo agibile si è esteso fino a
comprendere anche quello che non si percepisce.
La logica del m-c si basa in gran parte sul metodo induttivo, l’estensione di proprietà di
alcuni elementi a tutta la classe di appartenenza; sulla relazione diretta di causa effetto tra
eventi consecutivi; sul fare riferimento a sé di ogni stimolo che si presenta ai sensi e di
giudicarlo sulla base della sua intensità che è relativa al particolare organo di senso
coinvolto: un suono fragoroso può scatenare la stessa risposta di un semplice fruscio;
sull’associazione semplice stimolo risposta, ma anche sulla duttilità strategica se qualcosa
impedisce l’esecuzione principale.
In prima istanza la logica del l-s segue le orme del m-c col metodo induttivo. Però, la
possibilità insita in questo mezzo, consente di superare i limiti della pura fisicità. Vi è una
caratteristica che proviene direttamente dal mondo reale così come viene percepito dalla
maggior parte dei sistemi sensoriali animali, stante il loro inevitabile limite estensivo, ed è
la relazione di causa effetto che si instaura nell’atto motorio, da un certo atto seguono certe
conseguenze, oppure nelle situazioni di stimolo risposta, in cui la presenza di stimoli
adeguati sortisce l’effetto di attivare una risposta. Non è necessario che il sistema di
inferenze di questo sistema logico sia coerente, nel senso che non sempre le conseguenze
sono dovute agli atti motori eseguiti e non sempre si attivano le medesime risposte allo
stesso stimolo: nonostante questo la realtà per il m-c non è mai vissuta come
contraddittoria o incoerente. Essendo il m-c basato unicamente sull’atto fisico non ha la
possibilità di astrarsi dal mondo reale per giudicare se l’atto è coerente o no. A questo
scopo occorrono più gradi di libertà del sistema utilizzato. Come detto il m-c presenta un
unico grado di libertà perché agisce all’interno del sistema delle relazioni fisiche (non può
dunque comprendere la bellezza o spettacolarità o l’ineluttabilità di un atto se questo
aspetto esula dall’immediatezza). (Questa situazione consente di fare due previsioni: una
che le relazioni tra gli enti possiedono proprietà che solo il giusto linguaggio è in grado di
comprendere; l’altra che forse anche il linguaggio simbolico non esaurisce tutte le
proprietà degli enti).
Il l-s apporta delle modifiche al rapporto con il mondo reale. Nel mentre il m-c opera
sull’ambiente per la massima parte in maniera fisica il l-s opera in buona parte con atti
simulati.
L’atto motorio ha significato in se stesso e in relazione agli eventi che cagiona.
L’atto simbolico (mentale) ha significati diversi. Può attuarsi senza attivazione motoria
(ma questo è anche della competenza sensorimotoria mediata dai neuroni specchio nel m-
c) ma, a differenza di quanto accade nell’ m-c, non è una semplice comprensione specchio
del mondo bensì una modifica dell’ambiente, senza intervento motorio diretto.
È in grado di effettuare azioni simulate impossibili o comunque difficilmente eseguibili.
L’aspetto fondamentale riguarda la sua possibilità di essere svincolato dall’esecuzione
dell’atto, che nel m-c attesta la conoscenza .
Possedere due gradi di libertà (o forse di più) consente al l-s di avere due tipi di risposte ad
un medesimo input. Una è la risposta motoria diretta l’altra è la risposta mentale. Questa
possibilità, in pratica riuscire ad eliminare lo stress della mancata risposta motoria
dirottandola sul l-s , apre possibilità inesplorate all’output dell’individuo verso l’ambiente.
Le opportunità migliori si manifestano non nella gestione dei rapporti inter-individuali
(nei quali spesso occorre immissione di m-c) ma nella formazione di un ambiente virtuale
con alcuni punti in comune tra tutti gli individui. Questo mondo virtuale possiede vari
gradi di coerenza, però, contrariamente al mondo dell’ m-c ne possiede, come minimo, una
certa quantità. La coerenza è necessaria perché questo mondo è creato dal possessore del l-
s e soprattutto perché non ha necessità di attivazione motoria reale. L’atto reale del m-c
attraverso la supercoerenza delle possibilità fisiche dell’organismo agente definisce
immediatamente l’ambito del fattibile e dunque la coerenza interna del sistema.
Al l-s si deve dunque la formazione di un sovra-ambiente, una struttura che si deposita sul
reale. Anche nella sua forma più primitiva e ingenua il l-s ha necessità di coerenza, che è
poi quella della costanza del segno/significato: non si può pretendere di comunicare se non
si mantiene la costanza dei significati, e questa è la prima forma di coerenza. L’obbligo di
fornire coerenza discende dunque dal fatto che il materiale di cui è composto è appunto
simbolico, è un riferimento al reale ma non è realtà; per questo motivo, dipendendo quasi
completamente dal soggetto, il l-s, essendo come dire invenzione e non ineluttabilità, deve
trovare, tra tutte le manifestazioni possibili, quelle che mantengono attivo il canale
comunicativo. Cerco di spiegarmi meglio: in considerazione del fatto che il linguaggio m-c
possiede un solo grado di libertà non richiede all’ambiente che sia mantenuta una coerenza
spinta ma si “adegua” al reale, qualunque esso sia. In questo però il reale aiuta
mantenendo, a livello di ricezione animale, a livello diremo di usabilità animale, una
coerenza forte in sé che consente di costruire esperienze stabili. Questa coerenza interna
del sistema è tale solo nel dominio m-c, che richiede che l’attuabilità dell’atto sottostìa alle
capacità dell’individuo. Se l’individuo non è in grado di catturare il reale dal punto di vista
motorio, non esiste.
Il l-s si basa per forza di cose sulla realtà che simula. Le relazioni tra gli enti che lo
compongono però non sono le stesse dei loro riferimenti nella realtà. Infatti a parole
possiamo scalare montagne, costruire grattacieli, o imbarcarci in altre iniziative comunque
impegnative che però sarebbero proibitive nella realtà. Però una certa quantità di relazione
originaria deve essere mantenuta, pena la perdita di significato. In realtà è possibile la
compresenza di entrambe le situazioni purchè avvengano in ambiti separati. Così è
possibile che lo scienziato riduzionista sia anche superstizioso, quando nessuno può
osservarlo. E lo sarà soprattutto in quei frangenti nei quali non lo soccorre la convinzione
di sé ed è costretto ad affidarsi a precognizioni provenienti dall’ambiente, così
soddisfacendo quell’anima m-c che crede e riconosce solo il reale, qualunque esso sia.
La coesistenza di più livelli comunicativi, letteralmente quelli m-c e l-s, e in più
l’incorporazione da parte di l-s di tratti della logica reale, rendono la comunicazione degli
umani complessa. Per l’umano è possibile attivare contemporaneamente i due registri
linguistici, bisogna però riconoscere che quello m-c, in caso di contrasto, ha maggiore
forza, anche se, per la caratteristica diremo “parassitaria” del l-s, può aversi la maggior
forza del m-c al servizio di componenti del l-s.
In generale l’educazione impone, superata una certa età, di reagire a situazioni stressanti
del tipo di mancato appagamento di desideri, in maniera più composta e mascherata
rispetto, diciamo, ai comportamenti infantili. Cosa interviene in questo caso? In cosa
consiste appunto l’educazione, il senso di vergogna che prende quando ci si comporta in
maniera non consona alla propria età e al luogo? Nel m-c esiste la vergogna? Come detto,
l’utilizzatore di un l-s acquisisce quella che potremo definire una coscienza simbolica, in
contrapposizione a quella motori-corporea, dotazione di base di tutti i nV (nonVegetali).
Così come la coscienza m-c forma il punto di riferimento dell’individuo versus l’ambiente
così la coscienza simbolica (c-s) forma il punto di riferimento dell’individuo nell’ambiente
simbolico. Il fatto di non dover richiedere attivazione motoria per esistere consente al l-s
maggiore elasticità e confini più ampi. Ma come se li è allargati questi confini il l-s se si
basa ovviamente sul m-c? E’ insito nella natura del l-s la possibilità di non tener conto dei
confini fisici, vediamo come.
Il primo strumento di manifestazione del l-s dovrebbe essere stato il suono. Di per sé ogni
animale emette un certo numero di suoni con precisi significati. Si tratta più propriamente
di linguaggio corporeo, perché specie specifico, mentre il linguaggio motorio è universale.
In genere i suoni emessi come linguaggio corporeo hanno una funzione ben precisa non
ambigua e possono essere sia ereditari che acquisiti. Requisito fondamentale per lo
sviluppo di un l-s è la presenza di ampie aree associative e premotorie senza funzione
diretta di gestione motoria. L’esigenza di utilizzare un linguaggio che non si possiede
filogeneticamente può venire soltanto se esistono già pensieri, anche se non in forma
simbolica. Questi pensieri bisognosi di una forma diversa di manifestazione sono simili
agli altri pensieri, tipo il desiderio di bere, mangiare, di saltare su un albero, di cercare un
partner ecc? Ho ipotizzato che le volizioni provengano dal circuito emotivo regolato per la
massima parte dai compartimenti chimici, che regolano l’andamento fisiologico e
motivano i comportamenti spingendo l’individuo ad agire.Anche quando si tratta di
comportamenti piuttosto complessi e per gran parte dovuti ad apprendimento, sempre
ritroviamo alla base la sorgente chimica.
Noi riteniamo che se un soggetto non è in grado di comprendere il suo comportamento
non può essere ritenuto responsabile, anche se questa irresponsabilità comporterà il suo
allontanamento.
Per esempio questa coerenza è più sfumata nel mondo reale, perché gli stessi eventi
possono manifestarsi in modi diversi (pe i predatori possono variare, pur all’interno della
stessa specie, per forma, dimensioni, strategia d’attacco, quantità di individui ecc) e poi
anche perché è la realtà immediata dell’atto che costruisce la realtà dell’evento, per cui
anche se contraddice le esperienze precedenti le sostituisce subito. C’è una rinuncia alla
complessità e variabilità del reale (almeno inizialmente) per mantenere la coerenza logica
della riproducibilità del segno. Il segno che identifica il leone non ha la ricchezza e
variabilità dell’animale vero, ma serve per richiamare nel mondo virtuale una conoscenza
già sperimentata nel mondo reale del m-c; se questa esperienza non esiste altri richiami
serviranno a costruire una conoscenza corporea dell’ente.

5.00 Un’ipotesi: dal bipedismo al simbolismo.


Gli atti non mentono; nell’eseguire i compiti motori l’organismo agisce come se fosse
l’unico linguaggio comprensibile a quell’interlocutore che è l’ambiente fisico. Correre,
spiccare un salto, volare, accucciarsi, guardarsi intorno circospetti, tutte le azioni che
mettono in esecuzione un’intenzione, sono palesi. L’organismo non può mentire in queso
caso perché se lo facesse ne risulterebbe un’esecuzione fallace, potrebbe inciampare
mentre corre, sbagliare le misure in un atterraggio e così via. Il linguaggio motorio è
significato allo stato puro, nell’atto è la sua sostanza, anche al di là dei limiti di specie
esistono tratti di questo linguaggio che sono universali.
L’ambiente consiste di un luogo fisico da comprendere per mezzo di coordinate spaziali
basate sulle misure corporee, e di un luogo emotivo, da comprendere con la misura delle
intenzionalità all’azione, in questo mediate dai sistemi appaganti o punenti, che motivano
all’atto motorio in genere e a effettuare una scelta nel particolare.
Nel passaggio da una locomozione quadrumane al bipedismo il protoumano utilizza meno
aree cerebrali, tipicamente le aree motorie che si occupavano della gestione della
deambulazione degli arti anteriori, (sempre considerando una pre-esistente capacità
manipolativa degli arti anteriori). In seguito all’acquisizione del bipedismo, forzato dal
cambiamento del terreno, queste aree diventano disoccupate: il loro destino sarà quello di
essere invase dai circuiti delle aree confinanti, oppure diventare aree che guidano un atto
motorio locomotorio anche se i nuovi arti non sono più usati a quello scopo. Insomma una
sorta di deambulazione aerea, un protolinguaggio dei segni. L’espressione di una
intenzionalità motoria inefficace nel raggiungere l’obbiettivo a causa del
fallimento dell’esecutore corporeo, induce nell’interlocutore la formazione di
una comprensione basata su stimoli incompleti che però raggiunge
ugualmente il suo scopo.
Lo spostamento esecutorio di un segmento corporeo come gli arti anteriori da
locomotorio-manipolativo a solo manipolativo potrebbe, durante i normali processi
comunicativi, produrre movimenti spuri con gli arti anteriori sia per imperfetta gestione
del loro nuovo ruolo sia per inveterata abitudine ad usarli, sino a quando questi
protoumani erano francamente quadrupedi, come sistema misto: ne consegue che
l’espressione locomotoria degli arti anteriori (controllata o meno, all’inizio), prodotta per
arti che però non sono più utilizzati per quell’output, può esitare in manifestazioni di un
atto motorio non compiuto, perché ancora da compiere o perché impossibile compiere in
quell’istante (impossibile perché quegli stessi arti non sono più utilizzati a quello scopo,
sotto l’ipotesi del bipedismo come adattamento ad un ambiente diverso).
La parte locomotoria del controllo degli arti anteriori, ora molto meno utilizzati a quello
scopo, è seria candidata a diventare area comunicatrice motoria in senso lato:
l’intenzionalità motoria che coinvolge tutto l’organismo trova esecuzione in un atto
naturale in tutti i segmenti corporei tranne, se non utilizzati per l’ipotesi sopra fatta, negli
arti anteriori, che però manifestano un atto motorio, anche se non finalizzato alla
locomozione. Quel movimento solo mimato è allora un linguaggio simbolico.
È accettabile l’ipotesi che la comprensione di questo l-s (linguaggio simbolico) primitivo
sia opera di quegli stessi sistemi dei neuroni specchio che si occupano della comprensione
motoria altrui.
In generale questi sistemi mimano atti motori di cospecifici per comprenderli, e questo
avviene all’interno di un linguaggio m-c noto a entrambi. È fondamentale che inizialmente
questo nuovo linguaggio si basi su un repertorio conosciuto (è da notare che certi aspetti
fondamentali degli atti motori sono “naturalmente” conosciuti senza bisogno di
apprenderli; ciò che si apprende è la coordinazione di questi atti, che dunque segue un iter
da una minore ad una maggiore finezza di movimenti; e si apprende anche ad associare gli
atti ad eventi particolari) perché pur essendo un atto di quel repertorio non serve ad agire
ma a mimare (pure se inconsapevolmente). Quali meccanismi innesca un comportamento
di questo genere?
Quale area si occupa di elaborare questo linguaggio simbolico, se le uniche aree modificate
dalle nuove abitudini sono quelle deambulatorie anteriori?
La comprensione dei gesti altrui è motoria. La percezione sensoriale , di per sé, non
consente di comprendere né la disposizione spaziale né la composizione emotiva
dell’ambiente. La percezione sensoriale guida l’atto motorio plasmandolo sulla
composizione ambientale, ovviamente considerando le questioni già acquisite (istinti), ed è
quindi dopo aver stabilito quali circuiti devono attivarsi in risposta agli stimoli entranti che
si realizza la comprensione del mondo.

6.00 Una conclusione parziale.


6.01 Per una motorizzazione dell’emozione.
L’intenzione modifica le mappe spaziali interne e come conseguenza anche il mondo
esterno, dato che le mappe interne sono un riflesso del mondo esterno e quando interviene
qualcosa che le modifica dall’interno, per mantenere esistente il rapporto biunivoco mondo
esterno-mondo interno bisogna che se cambia il secondo cambi anche il primo.
Se il desiderio modifica le mappe interne trasformandole in intenzione attraverso l’area
motoria, allora deve esistere un correlato mappale del desiderio, il che è una questione
spaziale, cioè la mappa del desiderio ha un equivalente nell’esecuzione motoria, che è
riferita ad uno spazio esterno. Non solo spazio esterno e spazio interno sono in relazione
ma anche emozione interna e spazio esterno. Emozione come sesto senso. In realtà le aree
tradizionalmente deputate a raccogliere l’emozione non solo si occupano dello stato
biochimico dell’organismo ma filtrano al pari delle aree sensoriali i segnali in entrata. Qual
è il loro ruolo in questo filtraggio? Se dico che è un ruolo quantitativo devo anche
rispondere perché, quando funzionano da sesto senso, queste aree si comportano in modo
qualitativo? Quando sono presenti gli ingressi sensoriali è facile distribuire alle aree di
competenza i quantitativi necessari all’attivazione, ma se non ci sono ingressi?
Spazio con spazio: la ricostruzione dell’ambiente nel cervello avviene attraverso mappe. La
mappa ricostruisce tutto l’ambiente percepito. Quando le aree limbiche percepiscono le
cascate chimiche hanno una visione parziale del mondo interno: non è tutto il mondo
chimico interno che si affaccia ma solo una parte, è la mappa biochimica interna attiva in
quel momento che si ripercuote sulle cellule cerebrali, è un mondo parziale che si evidenzia
in maniera ciclica, attivato da esigenze omeostatiche e di gestione degli stress, sia interni
che esterni.
Così quando il cervello costruisce mappe del mondo rappresenterà mappe percettive per
tutto il range di attività dei sensori e potrebbe non essere tutto il mondo esterno presente
in quel momento. Sta di fatto che per l’organismo quello che viene percepito dai sensi è
tutto il mondo (se per esempio l’organismo fosse cieco o sordo di quella parte percettiva
l’ambiente sarebbe privo). Il fatto che questa situazione possa presentare seri
inconvenienti si deduce dal fatto che esistono aree adibite alla memorizzazione anche di
quello che non si percepisce, una specie di allargamento ambientale. Allo stesso modo
succede per il mondo interno, solo che qui quello che si percepisce non assomiglia a nessun
percetto esterno; in più, la percezione sensoriale classica influenza anche la percezione del
mondo interno, e contemporaneamente la percezione interna influenza quella sensoriale
esterna. In definitiva ciò che ne risulta è la formazione di uno spazio che sia la risultante
delle separate percezioni riunite in un comportamento attivato comune. Percezione interna
e percezione esterna collaborano o competono? Entrambe le cose.
Ho sempre trovato straordinario il fatto che tutte la conoscenza sia potenzialmente
presente nel nostro cervello e che occorra soltanto disporla in mappe per averne accesso.
Questo potrebbe significare che la conoscenza si costruisce come le parole e le frasi nel
nostro vocabolario, è cioè composta di subunità anche non significanti che messe insieme
acquistano significato.

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