You are on page 1of 41

Publications de l'École française

de Rome

Le anfore italiche del II secolo D.C.


Clementina Panella

Citer ce document / Cite this document :

Panella Clementina. Le anfore italiche del II secolo D.C.. In: Amphores romaines et histoire économique. Dix ans de
recherche. Actes du colloque de Sienne (22-24 mai 1986) Rome : École Française de Rome, 1989. pp. 139-178. (Publications
de l'École française de Rome, 114);

http://www.persee.fr/doc/efr_0000-0000_1989_act_114_1_3415

Document généré le 16/06/2016


CLEMENTINA PANELLA

LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C.

I - PREMESSA

Più volte nel corso della mia attività di ricerca sulle anfore romane ho avuto
occasione di occuparmi dei contenitori da trasporto italici, in relazione talora alla
pubblicazione di contesti stratificati (Ostia1) e all'esame di collezioni museali (Pompei e i centri
vesuviani2), talaltra all'indagine su determinati territori (ager falernus3), ο all'analisi
delle merci prodotte e diffuse su scala mediterranea tra l'età medio-repubblicana e la
tarda antichità4.
Altrettante volte, seguendo la storia e i destini delle anfore italiche nella loro
totalità, ho avuto occasione di soffermarmi sui problemi posti dalla fine reale ο presunta della
loro fabbricazione - che è da porre, come è noto, tra la fine del II e la metà del III
secolo -, e pertanto della fine reale ο presunta della produzione, ο meglio della
circolazione mediterranea, delle derrate alimentari in esse trasportate. Queste ultime sono iden-
tificabili per quasi tutti i contenitori originari della penisola, dai più antichi ai più
recenti, con il vino.
Se oggi ritorno ancora una volta su questo argomento è perché ritengo necessario
fare il punto delle conoscenze archeologiche, dopo che recenti scoperte e un libro
straordinario, quello di A, Tchernia dedicato alla viticoltura in Italia tra II secolo a. C. e II
secolo d. C5, hanno riproposto il dibattito sulle anfore italiche, anche e soprattutto in
rapporto alla fase finale della loro produzione.
Per questo supplemento di riflessione utilizzerò le evidenze offerte dalla
localiz azione dei centri di fabbricazione operanti nel II secolo e dai tipi ad essi attribuibili, e quelle
desumibili da alcune stratigrafie articolate nel tempo, italiane (Roma, Ostia, Settefinestre)
e provinciali (Turris Libisoms/Porto Torres, Sidi Khrebish/Benghazi).
Se nel primo caso l'attenzione sarà rivolta al momento della produzione del
contenitore (anfora), e quindi, indirettamente, anche del contenuto (vino), nel secondo caso si

1 Ostia I, Ostia II, Ostia III, Panella 1986b, p. 45-81.


2 Panella-Fano 1977.
3 C. Panella, Retroterra, porti e mercati : l'esempio dell" Ager Falernus, MAAR, XXXVI, 1980, p. 251-259.
4 Panella 1981; Panella 1986b, p. 431-459 (in particolare p. 432-437).
5 Tchernia 1986.
140 CLEMENTINA PANELLA

cercherà sia di stabilire l'incidenza quantitativa del commercio vinario italico nel II
secolo in alcuni centri-mercato, sia di evincere dalle variazioni delle presenze riscontrabili
tra sito e sito, in un arco di tempo ampio, le principali linee di tendenza del commercio
stesso.
Le fonti letterarie, così accuratamente e intelligentemente raccolte e commentate da
A. Tchernia, costituiranno un elemento di confronto, ma non sempre di conforto, alla
documentazione archeologica raccolta.
Non posso chiudere questa premessa senza citare due recenti saggi di A. Carandini
che propongono chiavi di lettura inedite e stimolanti della storia delle merci italiche (e
del vino in particolare) tra repubblica e tarda antichità. Il primo, pubblicato come
introduzione allo studio delle merci in Società Romana e Impero Tardoantico6 è, come dice
l'autore, un ripensamento in chiave braudeliana della tipologia dei mercati
precapitalistic . Il secondo, presentato al Convegno di Siena (e pubblicato in questo volume),
rappresenta una riflessione/rimeditazione, nata al margine della lettura del libro dello studioso
francese, su alcuni temi centrali dell'economia italica.
«Se dietro a dolii, anfore, otri e infine anche botti dobbiamo immaginare il vino,
non ha senso vedere quest'ultimo separato dalle altre merci e soprattutto dai rapporti che
hanno legato i proprietari di ville (. . .) agli strumenti e ai produttori stessi, che le fonti
ci descrivono come schiavi». L'attenzione si sposta con questo contributo essenzialmente
sui problemi della produzione, piuttosto che su quelli dei mercati, che per necessità di
fonti finiscono per essere privilegiati, da chi, come me, recupera e studia le tracce archeo-
logiche dei vini romani «bevuti e svaniti». In questo senso l'intervento di questo studioso
costituisce un'integrazione indispensabile dell'analisi che mi accingo a presentare.

II - GEOGRAFIA DELLE PRODUZIONI ANFORARIE

Tre appaiono essere in Italia le più importanti aree impegnate nel II secolo sia nella
fabbricazione di contenitori ceramici adibiti al trasporto di vino, sia nella esportazione a
breve, media e lunga distanza delle anfore stesse : l'Italia centro-meridionale tirrenica,
l'Italia centrale interna, l'Italia centro-settentrionale adriatica.
Se ci si ferma alla lettera di questa enunciazione, potrebbe sembrare che non siano
avvenuti cambiamenti sostanziali nel panorama produttivo delle anfore italiche, non
soltanto tra I e II secolo, ma addirittura tra età repubblicana e medio impero. Mancherebbe
all'appello, rispetto ad un passato più ο meno remoto, soltanto l'Italia centro-meridionale
adriatica7, per la quale si va perdendo già nel corso del I secolo ogni traccia di produzio-

6 A. Carandini, // mondo della tarda antichità visto attraverso le merci, in A. Giardina (ed.), Società romana e Impero
Tardoantico, III, Bari, 1986, p. 3-19.
7 Tchernia 1986, p. 166-167.
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 141

ne anforaria, mentre Tunica novità verrebbe ad essere costituita dall'Italia centrale


interna che comincia a diffondere un suo contenitore caratteristico solo a partire dalla prima
metà del I secolo.
Ma a ben guardare la situazione si presenta nel II secolo profondamente modificata.
Per quanto attiene all'area centro-meridionale tirrenica, solo i territori della Campania
settentrionale e di Neapolis sembrano in questo periodo interessati ad una fabbricazione
di contenitori destinati all'esportazione, di contro ad un passato che vedeva tutta la fascia
costiera, dall'Etruria alla Campania, impegnata nel processo produttivo e commerciale8.
Nell'Italia centro-settentrionale adriatica i centri di produzione più caratteristici del
II secolo fanno riferimento a zone (l'Emilia in particolare), che non sembrano aver
espresso, tra tarda repubblica e primo impero, tipi ampiamente diffusi, mentre altri siti
impegnati tra il I a. C. e il I d. C. nella fabbricazione di anfore da trasporto (Piceno,
Venetia, Istria), anche se non rinunciano a questa attività, modificano, rispetto al I secolo
almeno, i loro circuiti commerciali (si veda da ultimo in questo volume il contributo di
M.-B. Carre e M. T. Cipriano).
Ma è necessario fornire a queste osservazioni il sostegno dei dati analitici.

1) Italia centro-meridionale tirrenica.


I dati relativi a quest'area riposano finora su pochissime evidenze. La ricognizione
effettuata negli anni '80 da P. Arthur nell'entroterra dell'aver Falernus, alle pendici del
Massico, ha portato all'individuazione di sette probabili fornaci di anfore, delle quali tre
potrebbero essere con qualche verosimiglianza posteriori al I secolo : Santuario della Cel-
sa (tardo I-inizi II secolo), Masseria Starza (ΙΙ-ΙΠ secolo), Masseria Dragone (tardo I-III
secolo)9.
I frammenti rinvenuti in questi siti sono nella maggior parte dei casi riportabili ad
un unico tipo10, molto simile alla Dressel 2-4, cioè alla più importante «famiglia» di
anfore vinarie italiche della fine della repubblica e della prima età imperiale. Il nuovo
tipo si differenzia da quest'ultima per l'ansa, che, anzicché essere bifida, è a nastro
ingrossato.
I confronti portati da P. Arthur sono un collo da Minturno, ove questo studioso
ritiene possibile l'esistenza di un altro atelier, ed un orlo da Forum Claudi11. Di fronte a
queste modeste attestazioni egli conclude : «L'apparente rarità di queste anfore suggerisce
una produzione in quantità limitate. E se esse, come sembra probabile, erano intese come
contenitori di vino locale, la loro rarità suggerirebbe, per traslato, una produzione
limitata di vino destinato ai mercati esterni»12.

8 Hesnard 1977; Panella 1981, p. 66-67; A. Hesnard-CIi. Lemoine, Les amphores du Cécube et du Falerne.
Prospections, typologie, analyses, MEFRA, 93, 1, 1981, p. 243-295; e da ultimo Tchernia 1986, p. 45-48, 74-100, 127, 135-137.
9 Arthur 1982, figg. 4, 3; 5, 7-8 e forse anche fig. 4, 2.
10 Degli altri esemplari pubblicati in Arthur 1982, quello a fig. 4, 1 è una Dressel 2-4 con ansa a nastro, mentre
quelli a fig. 4, 6 e a fig. 5, 9 sono altri due tipi indipendenti.
11 Arthur 1982, p. 31, fig. 5, 14.
12 Arthur 1982, loc. cit. a nota 11.
142 CLEMENTINA PANELLA

Più recentemente questo studioso ha avuto modo di reperire altri confronti in


Campania, e soprattutto ha riconosciuto il tipo della Masseria Dragone e di Minturno in un
collo rivenuto nella Chiesa di S. Clemente a Roma con data consolare del 216 d. C.13, che
riconferma la cronologia desunta dai materiali delle fornaci dell'ager Falernus. Queste
nuove acquisizioni non modificano tuttavia il panorama generale della diffusione, che
resta al momento piuttosto limitata.
Contemporaneamente a queste indagini, l'analisi di alcuni contesti delle Terme del
Nuotatore di Ostia mi ha portato ad isolare alcuni frammenti (figg. 1-4) che hanno
indubbie somiglianze con le anfore «tarde» del Falerno, mentre la pasta ceramica sembra
rimandare a Neapolis e alla sua baia. Con la stessa argilla sono inoltre realizzate alcune
Dressel 2-4, le quali non si distinguono dal tipo con ansa a nastro ingrossato, se non per
la forma bifida dell'ansa stessa (figg. 5-6).
Ambedue questi contenitori provengono dai constesti antonini, ancora inediti, dei
saggi nell'area NE delle Terme e tenderebbero a dimostrare, da una parte, una continuità
di produzione delle Dressel 2-4 campane, almeno fino alla metà del II secolo, dall'altra la
nascita nelle stesse officine, nel corso di questo secolo, di una nuova anfora vinaria con
ansa a nastro ingrossato.
A quest'ultima si ricollegano due frammenti provenienti da uno strato del 230-250
d. C. dell'ambiente XVI delle Terme (Ostia IV, 282-283), molto simili a quelli della
Masseria Dragone e di Minturno (Arthur 1982, fig. 5, 7-8, 14), ma ancora una volta con
argilla della baia di Napoli. Essi, insieme all'esemplare di S. Clemente, rappresentano
l'attestazione più tarda finora nota relativa ad una diffusione interregionale di anfore
vinarie campane.
Nel contesto antonino dell'area NE compare infine un altro contenitore (fig. 7) che
ha indubbie analogie con la Dressel 1, cioè con la classica anfora vinaria italica dell'età
repubblicana. Esso, che finora non è documentato altrove, potrebbe essere attribuito,
sulla base della pasta ceramica, alla Campania settentrionale.
In sintesi l'indagine di P. Arthur ha consentito di individuare all'interno delle
produzioni dell'ager Falernus una linea di tendenza che consiste in un progressivo
allontanamento dal modello (quello delle Dressel 2-4) utilizzato per decenni in quell'area per la
fabbricazione delle anfore vinarie, con conseguente affermazione nel II secolo di un
nuovo tipo di contenitore.
Questa stessa tendenza è riscontrabile nelle stratigrafie delle Terme ostiensi del
Nuotatore, i cui reperti tra II e III secolo attestano l'esistenza di un processo analogo in
un'altra area campana, molto probabilmente quella di Neapolis e della sua baia. Né in età
antonina, né in età severiana sembrerebbero invece giungere ad Ostia anfore prodotte
nelVager Falernus. Forse dalla Campania settentrionale (ma non dalle fornaci individuate
da P. Arthur) potrebbe tuttavia provenire il tipo della fig. 7 che è documentato ad Ostia

13 F. GuiDOBALDi, // complesso archeologico di S. Clemente. Risultati degli scavi più recenti e riesame dei resti
architettonici, Roma, 1978, fig. 24; F. Guidobaldi-L. Boyle-E. Kane, San Clemente, Miscellany II, Art and Archaeology, Roma, 1978,
fig. 74.
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 143

finora solo nei contesti del 160-180 d. C. con un numero di frammenti irrilevante (14 su
3441 : cfr. fig. 21).
Da quanto si è detto risulta chiaro che è possibile raccogliere oggi una serie di
indicazioni importanti relativamente alla fase di II/III secolo della produzione anforaria
campana. In primo luogo quest'ultima sembra poco innovativa, sul piano morfologico,
rispet o alla tradizione di età repubblicana e della prima età imperiale : gli esemplari di II
secolo si ricollegano alle forme Dressel 2-4, talvolta semplificate, se non addirittura, in
un caso (fig. 7), alle anfore di forma Dressel 1.
Lo smercio sembra essere a carattere locale ο regionale; il commercio interregionale
sembra essere limitato a Ostia e a Roma, e sicuramente raggiunge in queste località il III
secolo. Gli indici di presenza di questi contenitori ad Ostia nel II secolo sono tuttavia
molto bassi e nettamente inferiori a quelli delle altre produzioni italiche individuate
(3,5% sul totale delle anfore vinarie rinvenute nei contesti antonini dell'area NE: cfr.
%· 22).
Ciononostante questa evidenza è del più grande interesse, in quanto consente di
seguire ancora per qualche decennio la diffusione dei vini provenienti da una delle zone
produttive più importanti dell'età repubblicana e della prima età imperiale14. Ad essi
(primo tra tutti il Falerno) fanno riferimento nel II, nel III, e m epoca ancora più
avanzata, le fonti letterarie ed epigrafiche15.
L'attribuzione alla Campania e aìVager Falernus di qualche tipo nuovo,
apparentemente prodotto a partire dal II secolo, costituisce quindi un riscontro importante della
tradizione scritta, ma poco illumina sulla sorte della viticoltura tirrenica. Queste anfore
infatti hanno dei limiti cronologici che non consentono di oltrepassare di molto il II
secolo, sembrano limitate ai mercati locali e regionali, mentre la diffusione ad Ostia (per
Roma disponiamo solo dell'esemplare di S. Clemente con iscrizione del 216 d. C.) è
praticamente irrilevante, se confrontata a quella degli altri contenitori.
Ne consegue che, se il commercio dei vini nobili campani (e tali sono quelli
menzionati dai testi letterari, come il Falerno) non è mai cessato (e le fonti ne fanno fede), esso
- sollecitato da una clientela facoltosa - era di dimensioni tanto modeste (almeno rispetto
allo smercio dei vini comuni provenienti da altre regioni italiche), da non lasciare se non
scarse testimonianze archeologiche. Questo può spiegare perché è estremamente difficile
individuare gli eventuali contenitori di queste qualità pregiate, i quali dovrebbero essere,
con una certa sicurezza - almeno fino alla fine del II secolo - ancora ceramici : essi
vanno ricercati probabilmente entro l'esiguo numero di oggetti ancora 'senza patria', in
quanto scarsamente ricorrenti e poco rappresentativi16.

2) Italia centrale interna.


A Spello, in Umbria, sono state recentemente riportate alla luce alcune fornaci (si
veda il contributo di D. Manconi) che producevano un contenitore a piccolo fondo piatto,

14 Cfr. nota 8.
15 Tchernia 1980, p. 307-310; Tchernia 1986, p. 272, 277, 322 ss.
16 Sull'argomento ritorno a p. 161.
144 CLEMENTINA PANELLA

pancia a trottola ed anse a nastro (fig. 8), di piccole dimensioni e di limitata capacità
(15 1 ca. contro i 28/30 1 in media delle Dressel 2-4). Per il contenuto non si dispone di
dati, ma sembra indubitabile che esso fosse vino.
Preferisco mantenere per queste anfore la denominazione data nella pubblicazione
dello scavo delle Terme del Nuotatore di Ostia (Ostia II, 521 / Ostia III, 369-370),
piuttosto che utilizzare quella derivata dalla località in cui sono comparsi i forni («anfora di
Spello»), dal momento che alcuni dati (quali le paste ceramiche di cui si parlerà in
seguito) portano a ritenere che siano esistiti diversi centri di fabbricazione forse anche in altre
zone dell'Italia centrale interna, lungo la valle tiberina.
La morfologia di questi contenitori è nel complesso piuttosto stabile : le variazioni
riguardano l'orlo, talvolta arrotondato (fig. 10), piuttosto che a collarino piatto (fig. 9),
l'ampiezza della spalla, il gomito più ο meno accentuato delle anse, e il diametro e la
conformazione del fondo (fig. 11).
Gli impasti attestati ad Ostia e a Roma sono fondamentalmente due : un'argilla
piuttosto fine, dura e compatta, di colore dal nocciola chiaro al rosso vivo, con inclusi
calcarei e micacei, e un'argilla molto più grossolana, con fratture irregolari, di colore rosso
marrone e con inclusi prevalentemente calcarei. A quest'ultimo tipo di pasta,
apparentemente non attestato né nella fornace di Spello, né a Settefinestre17, si accompagna una
fattura meno accurata del contenitore, identificabile nella maggior parte dei casi con
Ostia III, 370 ο con il tipo a fig. 10.
La diffusione interessa Roma (si veda da ultimo il contributo di A. Ciotola e al. in
questo volume), Ostia (Terme del Nuotatore, Casa delle Pareti Gialle), Rolsena e il suo
territorio, Cosa, la villa di Settefinestre, Luni, Cures Sabini e tra i rinvenimenti
sottomarini Civitavecchia, Pyrgi, Gravisca, Capraia, Ponza e forse Lavezzi (Corsica). A questi siti
già noti18 bisogna aggiungere le attestazioni raccolte in Umbria da D. Manconi.
Il deposito ostiense della Longarina19, che è dei primissimi anni del I secolo, non
presenta traccia di anfore del tipo Ostia II, 521 / Ostia IH, 369-370. I dati cronologici più
alti riguardano finora Luni20, ove esse sembrano attestate dagli strati del 40/50 d. C, ma
soprattutto Roma, ove sono sicuramente presenti nei contesti di età neroniana sia del
Palatino (Via Nova, cfr. A. Ciotola e al. in questo volume), sia della valle del Colosseo
(materiale inedito dello scavo presso la Meta Sudans). Per la fine della diffusione invece, i
materiali delle Terme del Nuotatore di Ostia suggeriscono senz'ombra di dubbio la fine
del II secolo (cfr. figg. 23-24).
Le stratigrafie di Roma, Ostia e Settefinestre consentono inoltre di avere un'idea
approssimativa delle presenze di questi contenitori su ciascuno di questi mercati,
soprattutto in rapporto alle altre anfore vinarie contemporaneamente documentate.

17 Settefinestre, p. 76.
18 Su quest'anfora si vedano da ultimo Settefinestre, p. 76 e TCHERNIA 1986, p. 254. Alla bibliografia citata in queste
due pubblicazioni si aggiunga per Capraia, M. Paoletti, Isola di Capraia (Livorno) : materiali romani e medievali da
recuperi subacquei, Rassegna di archeologia, 4, 1984, p. 186, n. 3; p. 187, fig. 2, 3; per Ponza, A. Gianfrotta, in AA. W., Le Isole
Pontine attraverso i tempi, Roma, 1986, p. 221, fig. 386 (prima a sinistra); per Roma, G. Volpe, in Archeologia urbana a
Roma: il progetto della Crypta Balbi, 3, (D. Manacorda ed.), Firenze, 1985, p. 156-157.
19 A. Hesnard, Un dépôt augustéen d'amphores à La Longarina, Ostie, MAAR, XXXVI, 1980, p. 141-156.
20 Luni II, p. 18, tab. 8; p. 225.
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 145

Per quanto riguarda Roma, gli scavi di questi ultimi anni nell'area archeologica
centrale hanno consentito di disporre di qualche dato, anche se relativo a quantità
complessive di reperti ancora basse. I contesti esaminati da A. Ciotola, S. Picciola, R. Volpe e
R. Santangeli Valenzani (cfr. sopra) mostrano che il tipo Ostia II ', 521 / Ostia HI, 369-
370, modestamente attestato in età neroniana, ha alla fine del I / inizi del II secolo indici
del 25% ca. sul totale delle anfore vinarie documentate, oltrepassando di poco i
contenitori gallici.
In un riempimento della metà del II secolo, scavato presso la Meta Sudans (fig. 18),
esso si attesta ugualmente sul 25% rispetto al totale (orli, anse, fondi) delle anfore
vinarie rinvenute, (che rappresentano a loro volta il 60% ca. dei frammenti significativi
raccolti), con indici analoghi a quelli dei contenitori egei. Si vuole ricordare infine una
presenza importante delle anfore di questo tipo tra ι materiali prevalentemente di II
secolo della necropoli Vaticana, in corso di pubblicazione da parte di M. Steinby, di
M. B. Carre e di M. T. Cipriano.
Nelle Terme del Nuotatore di Ostia quest'anfora ha, negli strati flavi dei saggi
nell'area SO, indici piuttosto bassi (5% sul totale degli orli dei contenitori vinari :
fig. 19). Le presenze continuano ad essere modeste nei contesti adrianei dell'area NE
(3% ca. sul totale dei frammenti significativi attribuibili alle anfore vinarie : fig. 20), ove
predominano, con valori grosso modo analoghi (intorno al 20% ca.), contenitori tirrenici
(Dressel 2-4 presumibilmente italiche) e gallici (Gaul. 4 / Pél. 47 e Gaul. 5).
Negli strati tardo-antonini dell'area NE l'anfora Ostia II, 521 / Ostia III, 369-370 è,
dopo quella gallica (Gaul. 4/Pél. 47), la più attestata (con una percentuale del 14% ca. sul
totale dei frammenti significativi attribuibili ai contenitori vinari : figg. 21-22). Essa
risulta infine del tutto assente negli strati severiani (area XXV, Ostia IV; cfr. fig. 23) e
post-severiani (ambiente IV, Ostia I; cfr. fig. 24). Le percentuali di presenza di questo
contenitore sono, tuttavia, in tutte le fasce cronologiche documentate nelle Terme
ostiensi, di molto inferiori a quelle riscontrate dei contesti romani coevi.
A Settefinestre21 il tipo Ostia II, 521 / Ostia III, 369-370 compare solo nelle strati-
grafie di II secolo (fase HA : età traianea e adrianea, fig. 25; fase IIC : età di Marco
Aurelio e Commodo, fig. 26) con presenze che si aggirano, intorno al 10% -13% sul totale dei
contenitori vinari raccolti. In questi contesti, ove per altro la quantità di residui è
notevole, gli indici più alti appartengono alle anfore galliche (Gaul. 4 / Pél. 47), alle quali
spettano rispettivamente un terzo e la metà dei frammenti significativi attribuibili ai
contenitori vinari.
A Bolsena (Poggio Moscini) infine nel riempimento di due cisterne comunicanti,
databile grosso modo al I-II secolo, dei 45 frammenti di anfore raccolti, più di un quarto
appartiene a questa forma22.
Anche se gli argomenti ex silentio sono sempre poco affidabili in un campo di studi
in cui l'inedito è la norma, si vuole ugualmente segnalare l'assenza di riscontri per que-

21 Settefinestre, p. 270-272; figg. 173, 177.


22 I. SORTAIS, in J. Andreau et al., Bolsena (Poggio Moscini). Les deux citernes communicantes, MEFB.A, 86, 1974,
p. 361-371, tav. 23, 69-163-2, 3; tav. 24, 69-160-7.
146 CLEMENTINA PANELLA

sto tipo anforario almeno nelle Marche, ove L. Mercando ha pubblicato una serie
importante di necropoli (vedi oltre), quasi tutte in uso proprio nel II secolo.
Sulla base di questi dati preliminari, si possono avanzare le seguenti
considerazioni :
- la produzione dell'anfora Ostia II, 521 / Ostia III, 369-370 si situa tra la metà
del I secolo e la fine del II secolo;
- l'esportazione interessa in primo luogo Roma, ove gli indici di presenza
appaiono, a partire dall'età flavia, molto più alti di quelli contemporanei di Ostia, quasi a voler
indicare che il mercato preferenziale di questa produzione è quello della capitale;
- oltre Roma, la diffusione riguarda l'Italia centrale tirrenica, con particolare
riferimento alle coste dell'Etruna meridionale, mentre non sembra interessare né la
Campania, ove finora non è documentato alcun contenitore di questo tipo, ad eccezione
dell'esemplare appartente probabilmente ad un relitto dal mare di Ponza, né l'Italia
centrale adriatica;
- l'esportazione sembra raggiungere i suoi valori massimi tra la fine del I secolo
(Roma : età flavia) e il II secolo (Roma : età traianeo-adrianea; Ostia e Settefinestre : età
antonina).
Per quanto attiene alla qualità del vino trasportato, le fonti letterarie raccolte da
A. Tchernia23 consentono di dare con qualche probabilità anche un nome al vitigno
(Vhirtiola ο irtìola), una pianta di abbondanza, tipica dell'Umbria, nota a Columella e a
Plinio. Si tratterebbe di un vino di consumo, a basso prezzo, il cui successo si
spieghereb e da una parte con i bisogni della capitale, dall'altra probabilmente anche con la crisi,
in seguito all'eruzione del Vesuvio, di una parte della viticoltura campana fino a quel
momento ampiamente presente nel riformento vinario di Roma.
La concordanza cronologica tra queste fonti e l'inizio della diffusione del tipo Ostia
II, 521 / Ostia III, 369-370 è abbastanza impressionante, così come colpiscono le citazioni
di Giovenale (VII, 121) e Plinio il Giovane {Ep., Vili, 2) riguardanti i traffici vinari
attraverso il Tevere. Esse sembrano adombrare proprio quel commercio in cui sarebbero state
coinvolte agli inizi del II secolo le anfore in questione.

3) Italia centro-settentrionale adriatica.


La situazione produttiva di quest'ampia zona della penisola è più complessa e
articolata. Di essa da conto la comunicazione di M.-B. Carre e M. T. Cipriano. Per quanto i dati
relativi al II secolo siano piuttosto scarsi, sicura è una prosecuzione della fabbricazione,
almeno fino ai primi decenni del II secolo, delle anfore di forma Dressel 6B
(prevalentemente istriane e forse olearie)24. Lo smercio in questo periodo non interessa le coste tir-
reniche, e sembra avere carattere regionale a medio raggio.

23 Tchernia 1986, p. 254-255.


24 Carre 1985, p. 221; Tchernia 1986, p. 133.
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 147

Probabile è poi una continuità di produzione, forse limitata ai primi decenni del II
secolo, dei contenitori di forma Dressel 2-4, le cui officine per quest'epoca non sono
precisamente localizzabili (Cisalpina, Istria, Emilia, Piceno, ο altrove?25). La diffusione di
queste anfore, quasi inesistenti sui mercati locali ο regionali, sembra interessare invece
assai modestamente Ostia (0,7% è l'indice registrato nei contesti tardo-antonini delle
Terme, ma potrebbe trattarsi di residui, cfr. fig. 21).
Sicura sembra la fine della produzione della Dressel 6 A (Venetia, Emilia, Piceno26)
già intorno alla metà del I secolo, mentre alcuni dei contenitori studiati recentemente da
M.-B. Carre, diffusi esclusivamente finora nelle regioni adriatiche, sembrano ancora
attestati in contesti di II secolo (per esempio le anfore con orlo ad imbuto nelle tombe di II
secolo della necropoli di Porto Recanati27).
Alla tradizione morfologica delle anfore a fondo piatto prodotte in Emilia, di cui si
parlerà in seguito, si ricollega infine un tipo pubblicato anch'esso dalla studiosa francese,
prodotto nel Piceno meridionale e bollato da Q. Ninnius Secundus, nel cui atelier si
producevano anche contenitori del tipo Dressel 6A28.
Se è certo che queste due anfore sono contemporanee (le matrici dei bolli sono
uguali sull'una e sull'altra), è possibile che il tipo a fondo piatto abbia sostituito intorno alla
metà (?) del I secolo la Dressel 6A, analogamente a quanto si riscontra nella produzione
emiliana (ove però la sostituzione riguarda le Dressel 2-4, vedi oltre). Sarebbe stata
garantita in tal modo una continuità di diffusione, oltre il I secolo, dei vini prodotti nel
Piceno meridionale, che sembrano riconducibili a qualità di gran pregio (YHadrianum ad
esempio, prodotto forse nei pressi di Hadria, odierna Atri, a sud deìVager Praetutianus, e
citato, oltre che da fonti greche di età augustea, anche da tre papiri egiziani del III secolo
d. C.29).
Comunque, dell'anfora a fondo piatto di Q. Ninnius Secundus non è possibile
cogliere una circolazione apprezzabile : essa è limitata finora ad Aquileia e al suo territorio.
Inoltre la sopravvivenza di questo tipo nel II, ed eventualmente anche nei III secolo, si
basa per il momento su prove induttive, piuttosto che su evidenze certe.
D'altro canto la «moda» dei contenitori di piccole dimensioni e a fondo piatto non
sembra limitata nel Piceno a queste anfore : ad esse vagamente somiglia una serie
considerevole di esemplari, probabilmente locali, rinvenuti nelle necropoli di Urbino e di
Porto Recanati e databili senz'ombra di dubbio al II secolo : per essi non è stato trovato
finora alcun confronto30.
Ben più consistente e perciò molto meglio conosciuta è invece la produzione
dell'Emilia, documentata da alcuni tipi di anfore a fondo piatto e pancia ovoidale (Ostia

25 Carre 1985, p. 226-228.


26 Carre 1985, p. 213; Tchernia 1986, p. 129-132.
27 Carre 1985, p. 232-234 e nota 126.
28 Carre 1985, p. 235-241.
29 D. W. Rathbone, Italian Wines in Roman Egypt, Opus, II, 1, 1983, p. 81-98; Tchernia 1986, p. 167-168.
30 Mercando 1974; ead., NSA, XXXVI, 1982, p. 109-420. Senza confronti è finora anche l'anfora di Milano bollata
da C. Manlius : P. Baldacci, Importazioni cisalpine e produzione apula, Recherches sur les amphores romaines, Roma, 1972,
p. 28 e fig. 9.
148 CLEMENTINA PANELLA

I, 451 / Ostia IV, 440/441 e Ostia I, 452 / Ostia IV, 442) 31. Essi ricordano vagamente il
contenitore della valle del Tevere Ostia II, 521 / Ostia III, 369-370, da cui si
dif erenziano per l'articolazione dell'orlo e del collo, e per la conformazione del fondo, nonché per
la maggiore capacità. Quest'ultima, ben lungi dall'essere costante all'interno delle anfore
appartenenti a questa famiglia, si attesta tuttavia tra ι 17,5 1 ca. (esemplare di Ostia a
fig. 14 identificabile con il tipo Fori. Β : cfr. oltre) e i 22,7 1 ca. dell'esemplare di Atene
(vicino al tipo Fori. D32).
Due sono finora le zone di fabbricazione sicuramente individuate : Forlimpopoli e
S. Arcangelo di Romagna. Da questi centri sembrano provenire gli esemplari che
raggiungono in quantità consistenti le coste tirreniche, le coste adriatiche e il Mediterraneo.
Ad essi, in quanto relativamente meglio noti, si dedicherà in questa sede qualche
riflessione, anche se è certo che esistono, come si è già detto, altre aree (lungo la fascia centro-
settentrionale adriatica, dal Sannio/Piceno all'Emilia) interessate alla fabbricazione di
anfore simili. Queste ultime, alla luce delle conoscenze attuali, sembrano appartenere a
produzioni più marginali e meno diffuse (anfore a fondo piatto di Porto Recanati e Urbi-
no, quelle bollate da Q. Ninnius Secundus, ecc).
A Forlimpopoli (Forum Popili sulla Via Aemilia) scarti di fornace, già segnalati agli
inizi di questo secolo, e resti di ateliers hanno consentito in questi ultimi anni di
identificare una vasta area da cui provengono alcune anfore morfologicamente abbastanza ben
definite. T. Aldini33, a cui si deve la pubblicazione di queste evidenze, ha distinto tra i
materiali dei forni quattro tipi (Fori. Α-D), che sembrano avere una loro specificità e che
in linea di massima hanno retto alla verifica dei frammenti ostiensi ο di altri esemplari
editi. Sicuramente però la tipologia di questa produzione non si esaurisce, come si vedrà
in seguito, con i tipi succitati, così come è certo che esistono esemplari che presentano
commistioni di elementi morfologici diversi.
Sicuramente ben identificabile è il tipo Fori. A (fig. 12) che presenta un piccolo orlo
arrotondato, un collo rigonfio all'altezza dell'attacco superiore delle anse a nastro, e un
largo fondo incavato con risega esterna. Meno caratterizzati e quindi più difficilmente
distinguibili tra di loro, sono invece i tipi Fori. Β (figg. 13-14) e C, che si differenziano
dal tipo A per il collo troncoconico e svasato in alto e la base conformata a fondo di
bottiglia, e tra di loro, soprattutto per la forma della pancia (più bassa e schiacciata nel
tipo C). Questi due tipi possono rientrare nella generica denominazione di Ostia IV, 440-
441, utilizzata finora nella classificazione del materiale delle Terme del Nuotatore.
Il tipo Fori. D, dal collo cilindrico e pancia perfettamente ovoide, trova infine pochi
confronti ad Ostia, ove è identificabile con il tipo Ostia I, 451, ma è invece ben attestato
altrove (Berenice/Sidi Khrebish, Agora di Atene, Knossos) in contesti della fine del II/III
secolo. A questa datazione riportano anche i frammenti dell'ambiente IV (Ostia 1 : 230-
250 d. C.) e dell'area XXV (Ostia IV: 190-210 d. C.) delle Terme, ove quest'anfora,
apparentemente assente dal piccolo «Testacelo» dell'area NE, sembra invece documentata.

31 Ostia III, p. 482-484; Ostia IV, p. 229-230, 370-372 e la bibliografia ivi citata.
32 Robinson 1959, tav. 15, Κ 114.
33 T. Aldini, Anfore foropopiliensi, AC, XXX, 1978, p. 236-245.
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 149

Nell'ultimo contesto ostiense citato compare un altro tipo (fig. 15), assente nella
tipologia di Forlimpopoli, ma che per caratteristiche tecniche e di argilla non può non
appartenere allo stesso ambito produttivo. Esso presenta un collo che si apre verso l'alto,
una pancia simile a quella del tipo Fori. C, a cui si avvicina anche per le dimensioni, e
un fondo piano di grande diametro, che ricorda quello dell'anfora di Q. Nmmus Secun-
dus.
L'analisi di questa famiglia di contenitori non può essere separata da quella del tipo
Ostia /, 452 / Ostia /V, 442, simile ad essa per morfologia, per dimensioni, per tecnica e
per impasto. Quest'anfora (figg. 16-17) ha come suoi elementi identificativi un collo
estremamente rigonfio in corrispondenza dell'attacco superiore delle anse (che ricorda
quello del tipo Fori. A) un orlo a fascia semplice, un fondo incavato all'interno e marcato
all'esterno mediante una fascia rilevata (che ricorda quello dei tipi Fori. A e D).
Dagli esemplari di Forlimpopoli citati, quest'anfora tuttavia differisce, sia per la
articolazione dell'orlo, sia per la conformazione delle anse, piatte, sottili, striate e a
gomito rilevato, sia per lo spessore piuttosto ridotto delle pareti. La pasta si presenta
infine di un tono leggermente più chiaro rispetto a quella generalmente documentata sui
tipi Α-D delle fornaci pubblicate da T. Aldini.
A livello puramente morfologico voglio ricordare che il carattenstico attacco
superiore delle anse al collo, che determina un'articolazione complessa e del tutto originale di
questa parte del vaso, non è un elemento nuovo nella tipologia anforana, ma si ritrova m
epoche molto più antiche su alcune produzioni greche (di Chio ad esempio) e per l'età
romana nelle forme Schoene Vili e in alcuni tipi attribuiti nel CIL, IV alla forma Schoe-
ne X34. Questa costatazione potrebbe apparire del tutto insignificante e banale, dal
momento che le ultime anfore citate (Schoene Vili e tipi affini) sono sicuramente
originarie dell'Egeo e non sopravvivono di molto all'età flavia. Eppure esse sono le uniche,
all'interno della pur ricca tipologia anforaria romana, che sembrano avere qualche
contatto (collo lungo e stretto, le anse a nastro striate e con gomito rilevato) con questa
produzione emiliana.
Apparentemente questo contenitore non sembra attestato tra i materiali di
Forlimpopoli, mentre compare nei forni di S. Arcangelo sulla via Aemilia, a ridosso di Rimini
(si veda in questo volume la comunicazione di M. L. Stoppioni Piccoli). È pertanto certo
che quest'ultima sia una delle aree di origine del tipo.
Per tutto questo gruppo di anfore infine è aperto il problema di un eventuale
rap orto con la Dressel 29 : anche se il tipo Ostia /, 452 / Ostia IV, 442 sembra, tra quelli fin
qui esaminati, quello più vicino all'esemplare disegnato dal Dressel, non è possibile
accettare tale identificazione, se non nel senso di un riferimento ad un ambito tipologico più ο
meno indicativo.
Per quanto riguarda il contenuto, le tracce di pece presenti all'interno delle pareti di
alcuni esemplari conservati ad Aquileia rendono certi che le anfore emiliane nel loro
complesso siano state adibite al traposto di vino.

34 Panella 1976.
150 CLEMENTINA PANELLA

I materiali provenienti dalle fornaci non forniscono elementi probanti per la


cronologia degli esemplari in esame. La presenza di frammenti di Dressel 2-4 negli ateliers
finora individuati farebbe pensare al I secolo come momento iniziale della
organiz azione delle fabbriche, le quali avrebbero contemporaneamente ο in seguito lavorato su nuovi
modelli.
Sono quindi ancora una volta le Terme ostiensi del Nuotatore, con le loro stratigra-
fie, a riempire le lacune delle evidenze : queste anfore sono documentate con pochi, ma
sicuri esemplari nei contesti flavi di questo edificio (saggi nell'area NE), mentre gli strati
del 230-250 d. C. degli ambienti IV {Ostia T) e XVI (Ostia IV) segnano, con l'irrilevante
quantità di frammenti riportabili a questi stessi contenitori, la fase finale del loro
smercio, almeno sulle coste tirreniche. Tuttavia a Roma essi mancano finora nelle stratigrafie
dei decenni finali del I secolo (si veda il contributo già citato di A. Ciotola e al. relativo ai
contesti urbani della Cripta di Balbo e del Palatino), e due soli frammenti sembrano
appartenere al tipo Ostia /, 452 / Ostia IV, 442 nel riempimento della metà del II secolo
della Meta Sudans.
Per quanto attiene alla diffusione, i tipi foropopiliensi nel loro complesso
rimandano, oltre che ad un commercio regionale (Cattolica, Forlì) e interregionale (Aquileia,
Pompei, Ostia e Porto, Luni)35, anche ad uno smercio interprovinciale che si svolge lungo
due direttrici, la prima verso E (coste jugoslave, Berenice/Sidi Khrebish, Atene, Knos-
sos36), la seconda verso Ο (Siracusa, Malta, Porto Torres, Corsica, Tipasa, El Djem, Lep-
cis37).
La distribuzione del tipo Ostia /, 452 / Ostia IV, 442 sembra invece al momento
meno ampia, con una regionalizzazione importante (cfr. in questo volume il contributo
già citato di M. L. Stoppioni Piccoli), senza che tuttavia siano esclusi alcuni sbocchi finali
quali Porto Recanati a sud, Aquileia a nord, coste dalmate e Atene ad oriente, Roma,
Ostia, Porto e Sousse ad occidente38.
Oltre alla diffusione reale bisogna tuttavia tener conto di quella del modello, che
sembra interessare, come si è già detto, le coste adriatiche centro-settentrionali, dal San-
nio al Piceno. L'esistenza di numerosi contenitori simili a quelli fin qui esaminati (anfo-

35 Cattolica: P. Graziosi, Studi romagnoli, XVIII, 1967, p. 39, fig. 3 (Fori. D); Forlì: esemplari inediti del Museo;
Aquileia: Carre 1985, p. 229, fig. 5 e nota 109 (Fori. B) e M.-B. Carre e M. T. Cipriano in questo volume (Fori. A-D);
Porto esemplari inediti dalla Necropoli (Fori. B); Pompei un esemplare citato in Hayes 1983, p. 145; Luni Luni I, tav.
76, 16 (Fori. D).
:

36 Ilovik (Lussino): R. Matejcic, Pomorkog Zbornik, 14, 1976, p. 351-352 (Fori. B); Sidi Khrebish: Rjley 1979,
p. 197, tipo MR13, fig. 85, 256 (Fori. D); Atene Robinson 1959, tav. 15, Κ 114 (Fori. D); Knossos : Hayes 1983, p. 145, tipo
7; p. 144, fig. 31, 35 (Fori. D).
:

37 Siracusa P. Orsi, NSA, 1913, p. 264, fig. 7, a destra (Fori. D); Malta : Missione archeologica italiana a Malta
1966, Malta, 1967, p. 72, n. 7; fig. 10, 28; tav. 55, 1 (Fori. D); Porto Torres : Villedieu 1984, p. 195 (Fori. B?); Corsica,
:

Lavezzi : W. Bebko, Corsica, 1-3, 1971, p. 22, tav. 15, 87 (Fori. B); Tipasa: un esemplare inedito nel Museo (Fori. B?:
anfora atipica con collo del tipo D e fondo del tipo B) ; Eì Djem : esemplare inedito del giardino del Museo (Fori. D) ;
Lepcis : esemplare inedito dei Magazzini (cfr. Ostia HI, p. 631, 41; Fori. D).
38 Porto Recanati Mercando 1974, p. 235, tomba 49; p. 234, fig. 117; p. 239, fig. 122; Aquileia esemplari inediti
del Museo (informazione di M. T. Cipriano) ; coste jugoslave (informazione di V. Vrsalovic) ; Atene : esemplari inediti dagli
:

scavi americani dell'Agorà ; Roma oltre ai frammenti provenienti dallo scavo della Meta Sudans, si segnalano gli
es mplari inediti della necropoli Vaticana, in corso di pubblicazione da parte di M.-B. Carre e M. T. Cipriano; Porto : esemplari
:

inediti dalla necropoli ; Sousse : esemplare inedito dagli scavi delle Nuove Terme.
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 151

re di Q. Ninnius Secundus fabbricate ai confini tra Piceno e Sannio quasi sicuramente


ancora nel corso del I secolo; esemplari di II secolo delle necropoli di Porto Recanati e di
Urbino, molto probabilmente locali : vedi sopra) renderà in futuro necessaria una
riflessione, al fine di cogliere specificità tipologiche e cronologiche di ciascuna produzione ed
eventuali altre individualità.
I dati quantitativi di alcuni centri-mercato italiani e provinciali consentono di avere
un'idea approssimativa dell'entità dello smercio del vino contenuto nelle anfore
del 'Emilia, dagli inizi alla fine presumibile della diffusione (metà / terzo quarto del III secolo).
Di Roma si è già parlato : i pochi frammenti attestati nei contesti della metà del II
secolo della Meta Sudans (fig. 18) sono gli unici finora presenti nelle stratigrafie di
questo sito che interessano l'età neromana, l'età flavia e l'età adrianeo-antonma. D'altro
canto l'assenza di queste anfore negli strati di seconda metà I e inizi II secolo di questo scavo
non sembra casuale ο accidentale, dal momento che essa è si riscontra m altri contesti
della stessa epoca localizzabili in più punti della città antica (dalla Cripta di Balbo, al
Foro, al Palatino, alla valle del Colosseo : cfr. A. Ciotola e al.). Tuttavia si vuole ricordare
che nella necropoli del Vaticano, databile genericamente al II secolo, di cui si è già
parlato (cfr. sopra), tutti i contenitori emiliani sono, insieme al tipo della valle del Tevere
Ostia II, 522 / Ostia III, 369-370, molto ben documentati.
Per quanto riguarda Ostia, gli strati di età flavia dell'area NE delle Terme
restituiscono la prima attestazione di una diffusione sulle coste tirreniche dei tipi Ostia IV, 440-441 e
Ostia I, 452 / Ostia IV, 442 intorno agli anni 80-90 d. C, ma gli ìndici di presenza dell'uno
e dell'altro sono in quest'epoca modestissimi. Di un certo peso è invece la quantità dei
frammenti nei contesti di età adrianea dell'area NE (fig. 20), ove a queste anfore spetta, sul
totale dei contenitori vinari raccolti, grosso modo, una percentuale dell'I 1 % , suddivisa a
sua volta in un 7% ca. relativo al tipo Ostia IV, 440-441, e in un 4% ca. al tipo Ostia I, 452
/ Ostia IV, 442. Tale percentuale è notevolmente superiore a quella degli altri contenitori
italici a fondo piatto coevi, riportabili ad Ostia II, 521 / Ostia III, 369-370, ma risulta
nettamente inferiore a quella di altre produzioni «estere» (anfore galliche 22%).
È interessante notare che si data agli inizi del II secolo, quindi in stretta
con es ione cronologica con gli strati adrianei delle Terme, la menzione in un'iscrizione ostiense
di navicularii maris Hadriatici, cioè di armatori indubbiamente connessi con il
commercio del vino adriatico (CIL, XIV, 409). Probabilmente da Ostia proviene un'altra
iscrizione dedicata a L. Scribonius lanuarius negotianti vinario item naviculario, curatori corporis
mari Hadriatici (CIL, VI, 9682 = ILS 7277), ad un mercante di vino, cioè, che
trasportava sulle sue navi la mercé acquistata, ma che era anche curator di «un'associazione del
mare Adriatico», nella quale bisogna riconoscere una corporazione di ostiensi che
avevano trovato nelle regioni adriatiche uno spazio per l'esercizio delle loro attività
commerciali39. Il dato archeologico costituito dalle presenza non irrilevante delle anfore emiliane
ad Ostia proprio a partire xlai primi decenni del II secolo è pertanto il riscontro
immediato di una rete di rapporti commerciali tra questa città e l'Adriatico che appare, alla luce
delle iscrizioni citate, organizzata e istituzionalizzata.

39 C. Pavolini, La vita quotidiana a Ostia, Bari, 1986, p. 89.


152 CLEMENTINA PANELLA

Nei depositi di età tardo-antonina dell'area NE le anfore emiliane hanno indici


ancora più alti (il 18% ca. sul totale dei contenitori vinari documentati : fig. 21), con una
prevalenza al loro interno dei tipi foropopiliensi (10% ca. : Fori. B, in minor misura
Fori. A e il tipo a fig. 15). Le presenze tuttavia, se superano in questo periodo quelle
dell'altro contenitore italico a fondo piatto (Ostia II, 521 / Ostia III, 369-370) ed
eguagliano quelle dell'anfora gallica (Gaul. 4 / Pél. 47), risultano inferiori a quelle dei
contenitori vinari egei nella loro totalità (cfr. anche fig. 22) 40. Pur non essendo possibile
parlare di incremento degli arrivi ad Ostia del gruppo delle anfore emiliane tra l'età adrianea
e l'età antonina41, è tuttavia evidente che il vino contenuto in esse sembra avere intorno
agli anni 160-180 un peso più rilevante rispetto al passato nei consumi di questa città, in
rapporto alle qualità provenienti dalle altre regioni italiche (centrali interne e centro-
meridionali tirreniche) e dalle province (Egeo, Gallia).
I materiali restituiti dai contesti delle Terme del 190-210 d. C. (area XXV, Ostia IV :
fig. 22), non sono quantitativamente significativi : la situazione comunque non sembra
differenziarsi da quella dell'epoca immediatamente precedente, se non per la scomparsa
dell'anfora Ostia II, 521 / Ostia III, 369-370, la cui diffusione, come si è già detto,
sembra concludersi intorno alla fine del II secolo. Va inoltre notato che in questo contesto è
documentato, per la prima volta ad Ostia, il tipo Ostia I, 451 / Fori. D.
Completamente diverso è invece il panorama delle importazioni ostiensi nelle strati-
grafie del 230-250 d. C, ove di contro alle produzioni egee, galliche e mauretane, le
presenze emiliane risultano tanto scarse (il 2,8% ca. sul totale delle anfore vinarie va al tipo
Ostia /, 451 / Fori D e lo 0,4% al tipo Ostia /, 452 / Ostia IV, 442 : cfr. fig. 24), da far
pensare ad un arresto dello smercio proprio intorno alla metà del III secolo. Si ricorda
tuttavia che appartengono a questo orizzonte cronologico le prime attestazioni ad Ostia
dell'ultimo tipo anforario prodotto m Italia ed in particolare nell'Etruria interna (Ostia
IV, 279 : su di esso si veda in questo stesso volume il contributo di F. Cambi), il quale,
pur essendo attestato fino alla fine del IV secolo, non avrà mai ad Ostia indici elevati42.
A Settefinestre le anfore emiliane sono assenti nelle stratigrafie della fase di età
traianeo-adrianea (HA, cfr. fig. 25), mentre compaiono con indici inferiori all'I % nei
contesti dell'epoca di Marco Aurelio e Commodo (fase IIC : cfr. fig. 26). In questi ultimi,
accanto ad una grande quantità di residui, i contenitori vmari più rappresentati sono
relativi alla produzione gallica (Gaul. 4 / Pél. 47), alla quale spetta più della metà dei
frammenti vinari raccolti, e a quella tiberina (Ostia II, 521 / Ostia III, 369-370 :
13% ca.), mentre scarso appare su questo mercato, in tutte le fasce cronologiche
rappresentate, il peso di quella africana ed egea.

40 Panella 1986a.
41 Sugli errori che si possono commettere 'quando si confrontano tra di loro le percentuali di presenza dei materiali
provenienti da contesti di epoca diversa si vedano le osservazioni sviluppate in Panella 1983, p. 61-62 e in Panella 1986b,
p. 81, tabella 3 e fig. 17.
42 La diffusione di quest'anfora riguarda, oltre Ostia, Luni, Pistoia e Roma. Per la bibliografia di questi siti cfr.
D. Manacorda, L'identificazione dell'anfora di Empoli, AA. W., Mostra archeologica del territorio di Empoli, Empoli, 1984,
p. 22-33. I frammenti di V e VI secolo di Porto Torres (Villedieu 1984, p. 195) sono probabilmente residui.
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 153

Per quanto riguarda Porto Torres, i frammenti identificabili negli strati di II e III
secolo, sono in generale troppo pochi per consentire un'analisi quantitativa corretta : è
comunque interessante notare la probabile presenza di questi contenitori tra il 150 e il
250/270 d. C. (fasi Ild, IIIc, Illd43).
Non è possibile disporre di altre stratigrafie italiane che consentano analisi
quantitative del tipo di quelle fin qui condotte, ο se esistono non hanno attestazioni relative ai
tipi in esame. Un solo esemplare del tipo Ostia I, 452 / Ostia IV, 442 è documentato,
come si è visto, nella necropoli di Porto Recanati, mentre in quella di Urbino le anfore
emiliane sembrano totalmente assenti.
Nel Museo di Aquileia infine sono attestati numerosi esemplari attribuibili a tutti i
tipi di Forlimpopoli e all'anfora Ostia I, 452 / Ostia IV, 44244, ma non è possibile trarre
da questa documentazione alcun dato quantitativo, dal momento che il materiale
confluito nel Museo, oltre che decontestualizzato, è il risultato di una scelta basata sullo stato di
conservazione dei pezzi.
Per le province qualche informazione può essere tratta dagli scavi di Berenice/Sidi
Khrebish, ove il tipo Fori. D (Sidi Khrehish MR 13) compare in «scarse quantità»45 nei
contesti della metà del III secolo, e dagli scavi della Villa di Dioniso a Knossos, ove questa
stessa anfora {Knossos 7) è presente nei livelli di distruzione del complesso del 170-180
d. C, con una percentuale dell'I % sul totale delle anfore raccolte e dell'8% ca. sul totale
delle anfore importate (italiche, spagnole, e galliche46).
Per l'Egeo infine, nei depositi degli scavi americani dell'Agorà di Atene è conservato
un certo numero di esemplari identificabili con i tipi Α-D di Forlimpopoli e con Ostia I,
452 / Ostia IV, 442. Ma anche in questo caso, come per la collezione di Aquileia, le
presenze non possono essere quantificate, né sono note le datazioni dei contesti da cui le
anfore provengono : l'unica finora edita {Agora Κ 114) è datata alla metà del III secolo.
Sulla base degli elementi fin qui raccolti si possono avanzare le seguenti
considerazioni :
- la produzione dei tipi Α-D di Forlimpopoli e di Ostia I, 452 / Ostia IV, 442 si
situa tra i decenni finali del I secolo e la metà / terzo quarto del III secolo; è possibile per
altro che esista una cronologia interna nella fabbricazione dei singoli contenitori, sia
come limite iniziale che come limite finale, che non è tuttavia ancora definibile;
- la diffusione interessa abbastanza uniformemente coste tirreniche, coste adriati-
che e province orientali; le attestazioni ad Aquileia, sulle coste dalmate e in oriente sono
d'altro canto ovvie, data la posizione geografica dei centri produttori tradizionalmente
rivolti verso questi mercati;
- l'ambito geografico della distribuzione risulta pertanto più ampio rispetto a

43 Villedieu 1984, loc. cit. a nota 37.


44 M. T. ClPRlANO, Aquileia (Veneto). Le anfore del Museo, in A. Giardina (ed.), Società romana e Impero Tardoantico,
III, Bari, 1986, p. 140-142; Carre 1985, loc. cit. a nota 35 e infine in questo volume le osservazioni di M.-B. Carre e
M. T. Cipriano a p. 88-90.
45 Riley 1979, loc. cit. a nota 36.
46 Hayes 1983, loc. cit. a nota 36 e p. 160-161.
154 CLEMENTINA PANELLA

quello documentato dalle anfore della valle del Tevere, senza che questa costatazione
implichi un giudizio sulla quantità di vino prodotto nell'una e nell'altra area;
- l'esportazione sembra raggiungere i suoi valori massimi a livello quantitativo
tra l'età adrianea e la fine del II secolo, mentre il culmine della diffusione sembra
databile tra l'età antonina e la metà del III secolo;
- il centro che sembra più interessato al consumo di questi vini è Ostia, ove è
possibile individuare, almeno a partire dall'età adrianea, un'organizzazione commerciale
che gestiva l'importazione di questo, come di altri prodotti adriatici (vedi sopra);
- è difficile pensare che la situazione di Roma fosse differente da quella ostiense,
benché finora manchino per il II e III secolo conferme archeologiche importanti : i
materiali ancora inediti della necropoli Vaticana colmano la lacuna del II secolo, mentre la
menzione di negotiantes vini supernant(es) et Arimin(enses) del 251 d. C. (CIL, VI, 1101 =
ILS, 519) su un iscrizione rinvenuta nella capitale sembra documentare che non solo i
vini, ma anche le anfore di cui si è finora parlato, giungevano in questa città alla metà
del III secolo. Come ricorda A. Tchernia, Rimini è infatti il porto di Forlimpopoli e di
S. Arcangelo di Romagna47.
Per quanto attiene ai vini trasportati, le anfore emiliane «non vengono da una
regione produttrice di qualità pregiate»48, eppure sono le uniche per le quali è possibile
seguire nel corso del II e III secolo un qualche commercio interregionale e interprovinciale
importante.
Al contrario le fonti letterarie attestano proprio per quest'epoca l'esistenza di una
diffusione di vini «adriatici» di ottima qualità, come YHadrianum che, menzionato da
fonti di età augustea e probabilmente da Plinio, ricompare in Galeno, in Ateneo e, come
si è già detto, in tre papiri egiziani databili al III secolo. Questi vini di lusso sembrano
riportabili, oltre che genericamente all'area adriatica, più specificamente al Piceno49. Il
Picenum è citato da ultimo nell'Editto dei Prezzi di Diocìeziano del 301 d. C. Evidenze
letterarie ed epigrafiche garantiscono pertanto, come per il Falerno, l'esistenza in epoca
tarda di una diffusione interprovinciale di alcune produzioni italiche (in questo caso
adriatiche) di pregio, senza che si possa dare ad esse il sostegno di evidenze archeologiche
importanti.
È infatti solo un'ipotesi che i contenitori a fondo piatto attribuibili al Piceno (cioè
quelli marcati da Q. Ninnius Secundus), giungano fino al II secolo, e ancor più
problematica è una loro datazione oltre il II secolo. Ma anche se così fosse il tipo a cui essi fanno
riferimento ha, sulla base dei dati di cui oggi si dispone, una diffusione pressocché
inesistente (vedi sopra).
Per i vini pregiati del Piceno ci si trova quindi di fronte ad una situazione per tanti
versi analoga a quella dell'aver Falernus : si tratta di qualità di lusso per eccellenza, la
cui produzione da una parte e il cui commercio dall'altra durano indubbiamente a lungo.

47 Tchernia 1986, p. 259.


48 Tchernia 1986, p. 260.
49 Tchernia 1986, p. 250-260.
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 155

È merito di A. Tchernia, aver colto, attraverso l'analisi delle fonti letterarie, questa
continuità, così come è merito delle ricerche di P. Arthur per la Campania e di M.-B. Carre e
M. T. Cipriano nell'area adriatica, di aver individuato alcune anfore che potrebbero essere
state utilizzate per il trasporto di questi vini nella media età imperiale e - per la
Campania - fino al III secolo.
Ma il problema che emerge e che continua a rimanere insoluto è legato al fatto che
sia le anfore dell'aver Falernus, sia quelle eventuali del Piceno (ed in particolare del
Piceno meridionale) non sembrano avere, pur rimanendo nell'ambito del solo II secolo, una
qualche diffusione. Al contrario circolano nel Mediterraneo occidentale ed orientale
anfore, come quelle emiliane, il cui contenuto è un vino comune, e il cui successo, come per
la produzione della valle del Tevere, sembra in gran parte spiegabile con ι consumi di
Roma.
D'altro canto le anfore dell'Emilia, a prescindere dalla qualità del vino trasportato,
costituiscono un fenomeno importante, sia a livello quantitativo, che a livello di
diffusione, soprattutto se si tiene conto che la distanza da coprire per giungere sulle coste tirre-
niche non era irrilevante. Ma questa costatazione comporta un nuovo interrogativo.
Viene da domandarsi infatti per quale ragione si preferisce, a partire dalla fine del I secolo,
richiamare a Roma una produzione lontana, di qualità comune, piuttosto che ricorrere a
rifornimenti provenienti da aree più prossime50.
Se il fattore «Vesuvio», a cui più volte fa riferimento A. Tchernia, può spiegare, per
quanto riguarda Roma, l'esigenza di reperire vino negli anni immediatamente successivi
alla catastrofe, e quindi può giustificare importazioni anche da centri di produzione
lontani, non è credibile che la crisi possa essere durata a lungo51. Eppure la documentazione
anforaria del II secolo tende a mostrare che la situazione nata dall" emergenza' (soprat-

50 La produzione vinaria cisalpina, anch'essa fondamentalmente di qualità comune (Tchernia 1986, p. 172-173),
trasportata nella Dressel 6A, ha un certo peso sul mercato di Roma soprattutto intorno alla fine del I secolo a. C. (Tchernia
1986, p. 153-157). Non si dispone di dati per Fetà giulio-claudia, ma la data consolare più tarda trovata su un esemplare di
questa forma al Castro Pretorio, ove essa è ben documentata, è del 36 d. C. (CIL, XV, 4582). Si può presumere pertanto che
almeno alla metà del I secolo la Dressel 6A sia arrivata più ο meno regolarmente nella capitale. Alcuni degli ateliers che
fabbricavano questi contenitori sono sicuramente localizzabili in Emilia : Sala Braganza-Parma, Brisighella-Faenza,
Cesena Carre 1985, p. 215. È ovvio che non è possibile con gli strumenti tradizionali distinguere la produzione emiliana dalla
restante produzione cisalpina e picena, a meno che non si disponga di bolli attribuibili ad una precisa area produttiva.
:

Finora per l'Emilia si conoscono due soli bolli, provenienti rispettivamente dalle fornaci di Sala Braganza (AVR ARBENN)
e di Cesena (HOMVNC), i quali non sono noti né a Roma, né altrove. In assenza di riscontri precisi, non si può quindi
affermare ο negare una eventuale esportazione della produzione emiliana a Roma nella prima metà del I secolo. Nel caso in
cui questo commercio sia esistito, le anfore emiliane a fondo piatto documenterebbero una ripresa di rapporti con la
capitale, dopo una ο due generazioni. Si vuole ricordare infine che le fornaci di Forlimpopoli e di S. Arcangelo producono
in una fase non databile della loro attività non Dressel 6A, ma Dressel 2-4. Si potrebbe pensare allora che il vino relativo a
queste due aree sarebbe stato esportato, prima dell'affermazione dei nuovi tipi anforari, nei contenitori con anse bifide. Ma
anche in questo caso non si dispone, al di là dell'analisi empirica delle argille e di qualche elemento tipologico
caratteriz ante, di strumenti che consentano di individuare le zone di provenienza delle Dressel 2-4 in generale e tanto meno di
quelle emiliane. Tuttavia non sembra, almeno per quanto riguarda Ostia, che eventuali Dressel 2-4 genericamente
definbil «cisalpine» siano attestate nelle stratigrafie delle Terme, se non forse a livello di qualche esemplare (la Dressel 2-4 con il
bollo di T. Palfurius Sura : Ostia II, 554 : da Aquileia? e qualche frammento residuo nei contesti tardo-antonini). Ciò tende
a confermare, con tutte le cautele che lo stato delle conoscenze impone, che il fenomeno «emiliano» rappresenta nel II
secolo un qualcosa di nuovo rispetto ad un passato anche prossimo (almeno rispetto alla seconda metà I secolo).
51 Dopo 10/12 anni al massimo dall'eruzione «la produzione vinicola dell'Italia centro-meridionale ha dovuto
avvicinarsi ai livelli produttivi anteriori alla catastrofe» Tchernia 1986, p. 231.
:
156 CLEMENTINA PANELLA

tutto importazioni galliche, dalla valle del Tevere, dall'Emilia) si è 'stabilizzata' e


consolidata negli anni successivi sulla base di scelte che non possono essere casuali : vini
gallici, egei, emiliani, africani si spartiscono i mercati tirrenici (di Ostia e di Roma in
particolare (cfr. figg. 18-24), ma anche di una villa come quella di Settefinestre, ove quasi mai
era arrivato il vino vesuviano (cfr. figg. 25-26), senza che ampissimi territori, dalla
Campania all'Etruria, per secoli coltivati a vite, entrino in gara per riempire con il tempo i
vuoti lasciati dalla produzione di un'area alla fin fine abbastanza limitata.
Per riempire questi vuoti, in realtà un concreto tentativo di razionalizzazione è
avvertibile, ma esso si realizza non già lungo la fascia tirrenica, bensì nell'entroterra,
lungo la valle tiberina, che non aveva sviluppato fino a quel momento produzioni
importanti. Questa circostanza può far supporre che m realtà l'Italia centro-meridionale
tirrenica non è stata in grado di rispondere alle nuove esigenze. E questo non soltanto nel
momento della crisi, conseguente al venir meno, per eventi catastrofici, di un'area
produttiva importante (quella vesuviana) anche di vini comuni52, ma soprattutto nei decenni
successivi. Al contrario, in età giulio-claudia, le regioni tirreniche erano riuscite a
riorganizzare - anche sul piano quantitativo - le proprie risorse per rispondere alla crescente
domanda del mercato di Roma, all'aumento generalizzato e alla diversificazione dei
consumi, e alla chiusura degli sbocchi provinciali53. Ma di questi problemi si discuterà più
oltre.

Ili - LE ANFORE A FONDO PIATTO : UNA CHIAVE DI LETTURA

Ad eccezione della produzione campana, che rimane fedele alla tradizione


morfologica delle anfore italiche (Dressel 2-4, Dressel 1), gli altri contenitori vinari fabbricati
nel II secolo nella penisola sono riportabili, come si è visto, ad un modello nuovo di vaso,
caratterizzato dal fondo piatto e dalle piccole dimensioni. Questi due elementi non sono
una novità assoluta, in quanto contraddistinguono sia le anfore di uso domestico di ogni
epoca, sia, anteriormente al II secolo, alcune famiglie di contenitori adibiti al trasporto di
derrate liquide, non solo su brevi, ma anche su medie e lunghe distanze.
Per quanto riguarda la presenza di un piano di appoggio, esso connota a partire
dall'età augustea gran parte della produzione gallica (tipi Gaul. 1, 3-9) 54 e la ispanica
Dressel 28 55. A queste anfore si affiancano a partire dalla metà del I secolo, oltre ai
contenitori della valle del Tevere {Ostia II, 521 / Ostia IH, 369-370), quelli riportabili ai tipi
Ostia II, 522 e Ostia II, 523 56 di probabile produzione africana.
A Pompei le due principali anfore a fondo piano, caratterizzate, per altro, come gli

52 Tchernia 1986, p. 176-177.


53 Tchernia 1986, p. 197 ss. e le riflessioni di A. Carandini in questo volume.
54 Laubenheimer 1985, p. 243-310.
55 A. Tchernia, L'atelier d'amphores de Tivissa et la marque «SEX. DOMITI», Mélanges offerts à Jacques Heurgon,
Roma, 1976, p. 973-979.
56 Ostia III, p. 467-472.
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 157

ultimi due tipi citati, anche dalle piccole dimensioni, sono la forma Schoene IV, la cui
origine egea è oggi certa57, ma la cui produzione non sembra oltrepassare il I secolo, ed
un contenitore del tutto simile nella parte superiore (orlo, collo, anse, spalla) alla Dressel
2-4, ma con corpo ovoidale e base ad anello58. Esso può essere con certezza attribuito,
sulla base dell'impasto, alle stesse officine vesuviane che producevano Dressel 2-4, ma è
fino a questo momento documentato, al contrario delle anfore con anse bifide vesuviane
note in tutto il Mediterraneo, solo a Pompei ed Ercolano. Ciò significa che esso veniva
utilizzato localmente per trasporti di breve distanza e soprattutto per la conservazione del
vino nei depositi e nelle cantine.
La novità del II secolo è rappresentata dal fatto che, alla riduzione drastica delle
Dressel 2-4 italiche e alla scomparsa dai mercati delle Dressel 2-4 della Tarraconese,
delle adriatiche Dressel 6A e delle betiche Haltern 70, si contrappone la sopravvivenza,
tra i contenitori vinari prodotti in occidente e in circolazione nel Mediterraneo, quasi
unicamente di quelli a fondo piano (anfore della valle del Tevere, dell'Emilia e del
Piceno, Gaul. 4 / Pél. 47 e sue imitazioni tarraconesi59, tipi Ostia II, 522 e Ostia II, 523). Fa
eccezione la Mau XXXV, di origine africana, ultimo epigono, in formato ridotto, della
Dressel 2-460.
In questo senso si può parlare per questo periodo di una vera e propria «rivoluzione
morfologica». Essa comunque interessa solo le fabbriche occidentali, mentre quelle egee e
orientali, i cui prodotti sono notevolmente documentati su alcuni mercati mediterranei
(cfr. le coeve stratigrafie di Ostia), si attestano, a parte rarissime eccezioni (tipo Knossos
14, forse dal Mar Nero)61, sulla linea della tradizione anche per i tipi di nuova creazione
(la Kapitän I ad esempio). Solo il piede «tubolare» della Kapitän II, di un'anfora cioè che
compare alia fine del secolo, potrebbe essere considerato una base di appoggio, ma questo
tipo di fondo appartiene ad un filone morfologico molto antico62, che non sembra trovare
corrispondenze in occidente.
Al momento non esiste alcuna giustificazione plausibile della affermazione di questo
nuovo modello di contenitore, che investe, come si è detto, solo la produzione occidentale,
e quella italica in particolare, e, in modo apparentemente altrettanto inspiegabile, solo le
anfore vinarie (la Dressel 28 è infatti l'unica anfora di contenuto forse non vinario che
presenta nel II secolo una base piatta). Il fatto che alcune delle officine (galliche,
tarraconesi, adriatiche) impegnate nella fabbricazione dei tipi a fondo piano abbiano realizzato,
in una fase della loro attività, anche Dressel 2-4, ha fatto supporre che l'adozione dei
nuovi tipi dipendesse da una maggiore economicità di questi ultimi rispetto ai vecchi
contenitori.
Tale ipotesi, che è stata già avanzata con qualche probabilità di cogliere nel vero per

57 Informazione di J.-Y. Empereur che ringrazio.


58 Panella-Fano 1977, p. 151, p. 171, figg. 25-26.
59 J. M. Nolla, J. M. Canes X. Rocas, Unforn roma de terissa à Llafranc (Palafrugell, Baix Empordà). Excavaciones
de 1980-1981, Ampurias, 44, 1982, p. 173-176, figg. 18-19.
60 Ostia III, p. 478-482; Ostia IV, p. 366.
61 Hayes 1983, p. 147; Panella 1986a, p. 627 e p. 628, fig. 27.
62 V. R. Grace, Samian Amphoras, Hesperia, XLI, 1971, p. 72, nota 51.
158 CLEMENTINA PANELLA

giustificare il passaggio dalle Dressel 1 alle Dressel 2-4 nel corso del I secolo a. C.63, non è
però, nel caso specifico, sostenibile. I contenitori a base piana non solo hanno infatti un
rapporto tra peso a vuoto e capacità più basso (sono cioè più pesanti in confronto al
liquido trasportato) di quello che si registra nelle anfore con fondo a puntale (solo la
Gaul. 4 / Pél. 47, a parità di contenuto (30/33 1), è più leggera delle Dressel 2-464), ma si
prestano molto meno ad un corretto stivaggio, per cui a pari volume di carico, il
contenuto trasportato è molto minore.
Certo la Gaul. 4 / Pél. 47 può aver costituito per la produzione italica e soprattutto
per quella adriatica un punto di riferimento importante. Documentata a partire dalla
metà del I secolo in qualsiasi sito del Mediterraneo occidentale e dell'Europa interna, essa
diventa nel II secolo l'anfora vinaria per antonomasia, oggetto di imitazione da parte di
province relativamente lontane, quali la Mauretania Caesariensis alla fine del II secolo65,
e ancor prima (già forse nel corso del I secolo) da parte della Tarraconese66. Ma ammesso
che questo contenitore costituisca il prototipo lontano delle anfore italiche, la
somiglianzà si esaurisce nel particolare del fondo e non interessa altre parti del vaso.
D'altro canto il poter disporre di una base di appoggio non sembra imputabile solo
al fattore «moda» e va spiegato con altri argomenti. Per quanto riguarda la Gaul.
4/Pél. 47, essa compare su alcuni bassorilievi renani rivestita di paglia intrecciata67. Tale
protezione può essere dipesa sia dalla fragilità del contenitore che ha pareti
estremamente sottili, sia dall'impossibilità del fondo di sostenere il vaso, una volta riempito. Il
rivestimento inoltre rende senza dubbio più agevole la sistemazione di queste anfore su
barche da cabotaggio ο su zattere per la navigazione fluviale68. Con questi mezzi di trasporto
anche la forma, larga quasi quanto lunga, può aver giocato un ruolo importante. Non a
caso infatti la produzione gallica ha come suoi mercati preferenziali, oltre Roma, i centri
dell'Europa interna e della Britannia, raggiungibili soltanto con l'ausilio di vie di
acqua.
Dimensioni, forma a trottola del contenitore, impagliatura richiamano alla mente le
damigiane, così come l'immagine della damigiana si sovrappone a quella delle anfore a
fondo piatto italiche. Questa osservazione apparentemente banale apre forse uno spiraglio
alla comprensione di alcuni fenomeni produttivi e commerciali del II secolo. Le diversità
tipologiche tra questi contenitori e quelli vmari dell'età repubblicana e della prima età
imperiale potrebbero adombrare infatti una differenza sostanziale, almeno all'origine,
della natura e della funzione del «vaso» e quindi del «destino» della mercé trasportata.
Il fatto poi che solo al vino si riferiscono ι nuovi tipi rappresenta un secondo
elemento di riflessione da non sottovalutare. Tale contenuto sembra infatti condizionare,

63 Hesnard 1977, p. 162, nota 28.


64 Tchernia 1986, p. 282 insiste sulla economicità dei contenitori a fondo piatto, ma questo autore esamina
solamente la Gaul. 4/ Pél. 47, trascurando le anfore italiche che non presentano un rapporto peso a vuoto/contenuto altrettanto
vantaggioso.
65 Sulle anfore della Mauretania Caesariensis cfr. Ostia III, p. 600-605; Ostia IV, p. 123, 149-151, 367.
66 Vedi nota 59.
67 S. Loeschcke, Denkmäler vom Weinbaum, Treviri, 1933, taw. I, V, 1-2.
68 Anfore a fondo piano rivestite di paglia compaiono anche su un bassorilievo di Cabrières d'Aigues (Vaucluse) :
Laubenheimer 1985, p. 71; p. 69, fig. 12. Sull'argomento cfr. anche Tchernia 1986, p. 282 e 291.
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 159

come in un rapporto di causa ed effetto, la riduzione della capacità, pari in genere alla
metà ο ai 2/3 di quella delle anfore di età repubblicana e della prima età imperiale.
Non si è prestato fino ad oggi attenzione alla capacità modesta di questi contenitori,
ma anch'essa sembra avere una parte importante nell'adozione dei nuovi modelli. Questo
fenomeno, che comincia ad aver una certa rilevanza nel I secolo ed m particolare nella
produzione egea (forme Schoene Vili, Agora G 197, Dressel 43, Agora F 65-66 ad
esempio69) tende a generalizzarsi nel II secolo, tanto che sono rari in questo periodo
contenitori vinari di capacità superiore ai 20 litri (oltre alla Gaul. 4/Pél. 47 e ai tipi collegati con
la produzione campana, di cui si è parlato sopra, alcune anfore di tradizione rodia e eoa :
Camulodunum 184, Kapitän I, Knossos 1970, e quelle egizie).
Le dimensioni ridotte di tutte le altre anfore vinarie m circolazione nella media età
imperiale spingono per altro a rivedere tutti i dati provenienti dai contesti stratigrafici
datati. Essi infatti dovrebbero essere riletti sulla base della effettiva quantità di vino
trasportato da ciascun tipo documentato, con conseguente correzione dei rapporti
quanti ativ intercorrenti tra le singole produzioni. Pur non essendo questa la sede per
sperimentare questo tipo di approccio, appare chiaro da quanto si è detto che le percentuali delle
anfore galliche, della tardo-rodia Camoludunum 184, ο della Kapitän I, così come esse
risultano negli istogrammi che accompagnano questo testo, vanno moltiplicate per un
coefficente che ristabilisca un rapporto equo tra numero di frammenti e capacità. Se ciò
fosse fatto, l'entità degli apporti di vino di questi contenitori nei centri-mercato si
configurerebbe in termini quantitativi molto più alti (della metà ο di 1/3) di quelli relativi a
tutte le altre produzioni attestate.
Ma a parte questo problema, c'è un altro elemento che spinge a non sottovalutare il
legame anfore vinarie / modesta capacità. La tendenza alla riduzione dei formati, già così
evidente nel II secolo, diventa la norma dei tipi vinari più diffusi in età tardo-antica
(anfora di Empoli, Carthage LR2, LR3, LR5-6, LR771), al contrario di quanto si verifica
nei contenitori da olio ο da garum (in particolare di produzione africana72), che
diventano invece, con il passare dei decenni, sempre più grandi, capaci cioè di trasportare
quantità di liquido sempre maggiori. Nel V, VI, VII secolo non sopravvive m sostanza nessuna
anfora vinaria che si avvicini alla capacità standard di età classica (28 1 ca.).
D'altro canto le piccole dimensioni non sembrano far riferimento alla qualità del
vino trasportato : nella maggior parte dei casi in cui essa è nota, si evince che il vino era
di tipo comune, com'è il caso di quello contenuto nelle anfore della valle del Tevere, ο
dell'Emilia, ο di Creta (Agora G19773). Non è quindi la «preziosità» della mercé a
determinare la dimensione del vaso, ma è il tipo di mercé in sé, cioè il vino, a richiedere, a
partire da una certa epoca, involucri più piccoli. Ci si domanda allora se non sia stata
determinante nella scelta anche un'evoluzione dei gusti che rende sempre meno accetta-

69 Su queste forme si veda Panella 1976 e Panella 1986a, passim.


70 Panella 1986a, passim.
71 Panella 1986b, p. 266-270 e la bibliografia ivi citata.
72 Panella 1983, p. 54 e p. 67, fig. 1; Panella 1986b, p. 259-261.
73 Tchernia 1986, p. 298-299.
160 CLEMENTINA PANELLA

bile il vino inacidito e che cerca quindi un contenitore di dimensioni tali da garantire un
consumo a breve tempo, ed eviti l'esigenza di travasare il contenuto al momento della
vendita all'utente finale.
Ma nel momento in cui si parla di consumo, e quindi di destinatari e fruitori del
contenuto, non si può prescindere dalle esigenze, necessariamente in sintonia con la
domanda, dei produttori non soltanto della derrata alimentare, ma anche del contenitore.
Dimensioni e/o forma del fondo sembrano cioè condizionati dal «tipo di uso» che aveva
sollecitato all'origine la creazione del vaso. E nel «tipo di uso» rientrano sia la distanza
(piccola, media, lunga) dai mercati, sia il mezzo di trasporto utilizzato per il
trasferimento dai centri di produzione a quelli di consumo (dorso di mulo, carri, barche da
cabotaggio, zattere, ecc).
Nell'articolazione invece delle singole parti del vaso e nella sua morfologia, entrano
in gioco le tradizioni artigianali e i «modi di fare» di ciascuna regione, i quali sono per
noi fondamentali per distinguere le singole aree di provenienza, ma probabilmente
dovevano avere una certa importanza ai fini della riconoscibilità della mercé trasportata
anche per gli antichi. E in questa fase che possono sovrapporsi alle tradizioni autoctone
anche altri elementi, quali «la moda», ο il desiderio di «contraffazione», con cui si
spiegano le numerose imitazioni che caratterizzano la storia delle anfore romane.
Da quanto si è detto consegue che una serie complessa di cause può aver determinato
la nascita e il successo, a partire da una determinata epoca, di modelli nuovi rispetto alla
tradizione tipologica dell'anfora vinaria romana. Tali cause possono non essere uguali
per tutte le aree geografiche interessate dal fenomeno, e vanno di volta in volta ricercate
all'interno del sistema di produzione e di scambio a cui ciascuna di esse fa riferimento.
Per quanto riguarda le anfore vinarie italiche del II secolo determinante per il
mutamento della tipologia sembra essere la trasformazione profonda del sistema di
distribuzione che privilegia i mercati locali e regionali rispetto al commercio trasmarino,
privilegia il piccolo cabotaggio e le vie fluviali (si pensi alle anfore della valle del Tevere),
piuttosto che le lunghe traversate mediterranee, privilegia una flessibilità del contenitore
nell'uso dei più disparati mezzi di trasporto, privilegia infine una confezione che
risponde, oltre che ad una probabile evoluzione del gusto dei bevitori, ad un frazionamento, più
ampio rispetto al passato, della domanda.
La base di appoggio, che richiama le anfore di uso domestico dalle quali senza alcun
dubbio il fondo piano di questi contenitori deriva, rimanda da una parte, ancora una
volta, ad un loro uso - almeno all'origine - prevalentemente locale, (si ricordino le Dres-
sel 2-4 a fondo piano di Pompei, mai esportate al di fuori dell'area vesuviana), dall'altra a
quella flessibilità del trasporto di cui si è appena parlato. Le dimensioni e l'uso
sistematico di una protezione di paglia tessuta, suggerita dalla forma di queste anfore, le rende
inoltre molto resistenti e facilmente trasportabili, quindi adattabili alle diverse modalità
di spostamento e a trasferimenti da un mezzo di trasporto ad un altro lungo il
percorso.
Le officine, destinate ora a fabbricare contenitori per mercati prevalentemente locali
ο regionali, si spostano dalle coste all'entroterra (si veda il caso degli ateliers dell'ager
Falernus), ο meglio abbandonano i siti costieri, privilegiati nell'età immediatamente
precedente a causa degli sbocchi transmarini della produzione, in favore di zone meno
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 161

distanti dalle aree di sfruttamento agricolo da una parte, e più prossimi ai mercati
dall'altra.
È fuori di dubbio che le anfore vinarie originarie della penisola dell'età
repub licana e della prima età imperiale sono state create per il trasporto marittimo su lunga
distanza di ingenti quantitativi di vino. Una volta che queste condizioni (mercati lontani
raggiungibili per via di mare/quantità cospicue di mercé da trasportare) vengono a
cessare, viene meno anche la necessità di continuare a produrre tali modelli. Finché in
sostanza l'obbiettivo principale della produzione italica sono i centri transmarmi, la
fabbricazione di contenitori per i mercati locali ο vicini rimane in sott'ordine (come accade nella
produzione vesuviana), ο non esiste del tutto, in quanto si ricorre ad invasi m materiale
deperibile (otri) ο si utilizzano i tipi a disposizione anche per i commerci a breve
distanza.
Nel momento in cui diventano invece prevalenti gli sbocchi prossimi ai centri di
produzione, le priorità si invertono e quegli stessi contenitori, nati sulla base di precise
esigenze locali, trovano impiego, per una serie di fattori economici e scelte di mercato,
«anche» nel commercio transmarino (come accade per quelli emiliani).

IV - CONCLUSIONI

Solo qualche anno fa Tchernia74 invitava a cercare meglio tra ι materiali


provenienti da contesti datati le fonti archeologiche in grado di confermare le indicazioni di quelle
fonti letterarie che garantivano la continuità, oltre i limiti del I secolo, sia della
produzione che dello smercio del vino italico su alcuni mercati mediterranei (Roma, Oriente).
Il suggerimento è stato raccolto ed i risultati conseguiti mediante la collazione di
evidenze già note e gli apporti sia di nuove scoperte, sia di indagini sistematiche, sono più che
soddisfacenti.
Si ha però l'impressione che «il barile» sia stato raschiato fino al fondo e che altre
novità sostanziali, almeno per il II secolo, non siano possibili. Per quanto riguarda infatti
le stratigrafie delle Terme ostiensi del Nuotatore, le anfore ancora «senza patria» hanno
percentuali assai modeste : al loro interno, pur disponendo per questo sito di reperti che
coprono un arco cronologico ampio (dalla seconda metà del I alla fine del IV secolo), non
emerge (ad eccezione di quelle segnalate e della tardo-antica anfora «empolitana») alcuna
altra produzione italica, tipologicamente significativa, che possa essere seguita nel tem-

Tuttavia proprio i dati emersi dalle ricerche di questi ultimi anni spingono a
proseguire l'indagine al fine sia di far uscire dall'anonimato dell'origine (italica e non) altri
eventuali contenitori, soprattutto relativamente all'età tardo-antica, per la quale la quan-

74 Tchernia 1980, p. 305 ss. (in particolare p. 307, 310).


162 CLEMENTINA PANELLA

tità di anfore di produzione non identificata è notevole, sia di ampliare la mappa delle
officine dei tipi già noti, sia di determinare caratteristiche e peso commerciale delle
eventuali imitazioni.
Ma in attesa che il panorama venga ad essere integrato con nuove evidenze, sembra
ugualmente utile tentare un'interpretazione complessiva dei dati a disposizione. Ed allora
mi sembra di poter affermare che la situazione che emerge dall'analisi dei tipi anforari
prodotti nel II secolo, se confrontata con quella del I secolo, riflette una trasformazione
profonda della geografia commerciale, ma necessariamente anche agricola, dell'Italia
romana : alla «crisi» della commercializzazione in- anfore dei vini tirrenici, sia a livello
interregionale e interprovinciale, sia, in alcuni casi, anche a livello locale ο regionale
(cfr. i dati di Settefinestre), si affianca il consolidamento delle produzioni dell'Italia
centrale interna, sollecitate dai consumi di massa della capitale, e lo sviluppo di alcune
produzioni dell'Italia adriatica, localizzabili in zone periferiche (l'Emilia) rispetto a quelle
che avevano alimentato per decenni una produzione e una esportazione importante (Ve-
netia, Piceno, Istria). Anche per quest'ultima area (a parte il fenomeno «emiliano», che
sembra ancora una volta sollecitato dagli approvvigionamenti di Roma) il II secolo
sembra rappresentare una soluzione di continuità con il passato, in perfetto parallelo con
quanto accade nel versante tirrenico.
Alla fine del II vengono a mancare tuttavia le evidenze relative alle anfore della valle
del Tevere, mentre intorno ai decenni centrali del III secolo cessano anche quelle relative
ai contenitori dell'Emilia. La ed. anfora empolitana, prodotta a partire dall'età severiana
nell'Etruria interna, costituirà fino alla fine del IV secolo l'unico indizio rimasto
dell'avvenuto trasporto in contenitori ceramici di un vino italico - per altro non menzionato
dalle fonti letterarie - sia a livello regionale e interregionale (Ostia, Roma) che a livello
interprovinciale (Porto Torres).
A partire tuttavia dalla seconda metà del III secolo diventa più frequente, nei testi
letterari ed epigrafici, la menzione delle botti, per la diffusione delle quali A. Tchernia
pone come terminus ante quem la fine del II secolo, ma non esclude che in alcune aree del
golfo adriatico esse siano state adottate prima di questa data75. Esse potrebbero in parte
aver sopperito al trasporto del vino, almeno a livello regionale, se non transmarino. Il
sospetto che le anfore non siano più un testimone fedele dello smercio di questa derrata,
almeno per quanto riguarda alcune aree del Mediterraneo occidentale, impedisce da
questo momento in poi di utilizzare unicamente questa fonte ai fini di una ricostruzione
complessiva di alcuni fenomeni commerciali connessi alla viticoltura italica.
Ma tale problema non interessa al momento il II secolo. Per quanto riguarda la
documentazione di questo periodo, si è già più volte insistito sul fatto che, a parte i due
nuclei costituiti dalle anfore della valle del Tevere e da quelle emiliane, quasi nulla resta
dei contenitori vinari italici del I secolo : generalizzando, la fine della Dressel 2-4
corrisponde alla fine della Dressel 6A. Segni premonitori dei cambiamenti in atto sono senza
dubbio da porre alla fine del I secolo, ma è tra Traiano e Marco che i riscontri diventano
oggettivi ed incontrovertibili.

75 Tchernia 1986, p. 285-292, 296.


LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 163

Per quest'epoca non si può ancora ricorrere alle botti per giustificare l'assenza di
evidenze anforarie. D'altro canto, né le Dressel 2-4 tirreniche, né le Dressel 6A adriatiche
sono sostituite da tipi nuovi. Nei rari casi in cui ciò accade (nell'ager Falernus per le
anfore individuate da P. Arthur, nella zona di Neapolis per quelle documentate ad Ostia,
nel Piceno meridionale forse per i contenitori di Q. Ninnius Secundus) questi tipi hanno
una cronologia e una diffusione limitatissime.
Solo in Emilia è possibile cogliere una situazione diversa. Non solo è riscontrabile
una continuità di produzione che passa dalle Dressel 2-4 adriatiche alle anfore a fondo
piatto di Forlimpopoli, ma la diffusione di queste ultime, anche su mercati lontani, è di
dimensioni infinitamente maggiori di quella ricostruibile per i contenitori più antichi. In
questo senso il fenomeno emiliano costituisce un'eccezione, e come tale va analizzato (cfr.
anche sopra, p. 155 e nota 60).
Di fronte a questa situazione si sarebbe portati a concludere che il commercio a
lunga e media distanza dei vini italici è, nel corso del II secolo, cessato relativamente a
molte aree produttive del Tirreno e dell'Adriatico, quasi tutte quelle che per secoli
avevano alimentato una diffusione mediterranea di vastissima portata. Per le altre (Italia
centrale interna, Emilia), come si è già detto, esso si esaurisce tra la fine del II e la
metà/terzo quarto del III secolo.
Tuttavia, come è noto, le fonti letterarie di II, III secolo ed oltre provano
incontestabilmente la persistenza non solo della produzione, ma anche della diffusione (a Roma e
in Oriente) proprio di alcune di quelle varietà dell'Italia tirrenica (Falernum, ad esempio)
e adriatica (Hadrianum) per le quali viene a mancare dal II secolo in poi quasi totalmente
il riscontro delle anfore.
Ma le contraddizioni non si fermano qui : i testi menzionano quasi unicamente vini
di qualità, mentre la documentazione archeologica fa riferimento, per quanto riguarda
l'Italia, ad anfore destinate al trasporto di vini comuni, provenienti da aree
completamente diverse da quelle dei grands crus. Parafrasando un'affermazione di Tchernia «le
silence des textes n'a jamais rien signifié pour le vignoble d'abondance»76, si sarebbe
tentati di concludere che il silenzio delle fonti archeologiche non significhi nulla per i
vini di pregio : il che vuoi dire, in altre parole, che se la storia della viticultura italica si
fa sulla base delle fonti letterarie, essa è la storia delle qualità pregiate; se si fa sulla base
delle evidenze archeologiche essa è la storia dei vini senza nome, e quindi senza il
commento della tradizione scritta.
Se così fosse, e non si può escludere a priori, il risultato consisterebbe in due
rac onti separati, senza legami apparenti ο sostanziali tra di loro : lo storico delle fonti e
l'archeologo scriverebbero ciascuno la «sua» storia. Ma proprio il lavoro di A. Tchernia,
condotto su ambedue i fronti, dimostra che ciò è invece solo parzialmente vero. I due tipi di
documentazione infatti si integrano a vicenda per l'età repubblicana e la prima età
imperiale; il dialogo sembra cessare invece nell'età medio-imperiale, con le conseguenti
contraddizioni di cui si è appena parlato.

76 Tchernia 1986, p. 296.


164 CLEMENTINA PANELLA

In che modo è allora possibile ricomporre questo contrasto di evidenze? Forse


superando una visione continuistica dei fenomeni produttivi e commerciali del mondo antico
ed interpretando il II secolo come un'epoca di mutamenti e di trasformazioni profonde,
come dimostrano le stesse divergenze riscontrabili nelle fonti, di qualsiasi natura esse
siano.
Un'ipotesi di lavoro che è già stata avanzata può essere qui riproposta : la
produzione vinaria italica è progressivamente interessata da un processo di regionalizzazione e di
autoconsumo, sollecitato dalle aumentate esigenze dei mercati locali77. Il che serve a
spiegare ad esempio la fine, più ο meno lenta, ma progressiva, della fabbricazione delle Dres-
sel 2-4 ο delle Dressel 6A. Lo spostamento delle officine ceramiche dalla costa verso
l'interno che si verifica neWager Falernus tra il I e il II secolo tenderebbe a dimostrare che
le anfore, in questa fase più tarda, erano fabbricate nelle singole proprietà 'per un
mercato più ristretto'78 e non più in siti di raccolta dislocati lungo la costa, dai quali il vino,
una volta imbottigliato, partiva un tempo per le destinazioni più disparate.
Carat eristiche tipologiche e dimensioni dei nuovi modelli che si generalizzano nel II secolo
costituiscono un'ulteriore conferma del carattere prevalentemente locale e regionale delle anfore
vinarie di questo periodo.
Questa tendenza a limitare il raggio della diffusione non interessa evidentemente i
vini nobili e quelli popolari destinati al mercato di Roma. Per i primi la scarsezza delle
tracce archeologiche disponibili (si pensi ai 14 su 3441 frammenti riportabili alla
produzione della Campania settentrionale ad Ostia in età tardo-antonina) può dipendere dal
fatto che essi hanno alimentato, in questo periodo e nelle età successive, un commercio
qualitativamente importante, ma di assai limitate dimensioni. Gli alti prezzi documentati
nell'Editto di Diocleziano del 301 per i vini italici di qualità costituiscono un'ulteriore
prova di un consumo riservato a determinate classi sociali. Ma aggiungerò che le
dimensioni della diffusione sembrano assai più modeste di quelle relative alle epoche
precedenti.
«Que le commerce des grand crus ait porté sur une petite quantité de vin précieux
réservé à l'élite (....) est presque une tautologie et n'est certainement une nouveauté»79.
Nulla quindi è cambiato tra età repubblicana, prima e media età imperiale? Qualche
novità c'è e consiste nel fatto che, mentre per i tempi di Orazio e di Plinio il Falerno, pur
essendo ugualmente un vino costoso e di lusso ha lasciato tracce più ο meno importanti
nella documentazione archeologica80, alla metà del III secolo si conosce a Roma, cioè
nella sede privilegiata di quell 'é/iie a cui era praticamente riservato il suo consumo, una
sola anfora che potrebbe provenire daìVager Falernus.
Fino a questo momento ho dato per scontato che la produzione vinaria italica non
abbia complessivamente subito modificazioni quantitative rispetto al passato ed ho invece
insistito sulle trasformazioni dei «destini» delle produzioni stesse, le quali potrebbero

77 Panella 1986b, p. 73, 437 e passim.


78 Arthur 1982, p. 32.
79 Tchernia 1986, p. 295.
80 Tchernia 1986, p. 147.
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 165

non aver inciso sulla produzione, se non eventualmente a livello qualitativo. Penso
tuttavia che si possano cogliere indizi di una progressiva diminuzione nel corso del II secolo
anche della produzione in sé, almeno di quella del versante tirrenico; i segni cioè non
solo di una radicale trasformazione degli sbocchi commerciali, come ho fin qui rilevato,
ma anche di una «crisi» produttiva.
Per non citare sempre i casi di Ostia e di Roma, ove i dati possono essere inficiati
dalla enormità della domanda, ci si aspetterebbe che in un sito, come quello di Settefine-
stre, nel cuore di un territorio che aveva sviluppato in età tardo-repubblicana una
produzione vinaria ampiamente destinata all'esportazione, le anfore deWager Cosanus fossero
attestate, proprio nell'ottica della destinazione prevalente ai mercati locali, almeno in
maniera adeguata. Ora appare che neppure in questo sito, nel II secolo i vini 'locali'
resistano, mentre contemporaneamente i vini provinciali, di cui finora non si è fatto
menzione, appaiono sostitutivi di una realtà produttiva, che nel caso specifico, non è più
esistente.
A. Tchernia afferma che il caso di Settefinestre e del Cosano non può essere
generalizzato. Ma egli stesso è costretto a rilevare, sulla base della documentazione derivante
dall'archeologia rurale, che le tracce di una crisi della viticultura è avvertibile, tra la
metà del II e i primi decenni del III secolo a nord di Roma (dall'Etruria meridionale, alla
Sabina, all'Umbria)81. Lo studio recentemente effettuato da P. Arthur suWager Falernus,
già più volte citato, consente di cogliere anche in questo territorio il segno di qualche
trasformazione non irrilevante, non ultimo l'insabbiamento, allo scorcio del secolo, del
porto di Sinuessa, punto di imbarco dei prodotti dell'aver.
La fine della produzione delle Dressel 2-4, per rimanere nell'Italia centrale tirrenica,
non significa né la fine generalizzata della produzione vinaria, né la fine delle ville, ma
la fine di una commercializzazione a medio e a lungo raggio del vino stesso. Per quanto
si fosse già incrinato il 'sistema' su cui si erano fondate e sviluppate, le ville resistono,
alcune (poche) per secoli, molte altre solo per qualche decennio, sia continuando a
produrre in parte vino, ma per uso locale ο per i mercati vicini, sia convertendosi (come
avviene a Settefinestre) a produzioni più redditizie. Ma su questo tema non insisterò
oltre, essendo uno degli argomenti più chiaramente circoscritti e definiti nell'intervento
di A. Carandini.
Un'ultima considerazione riguardo ai vini provinciali, ampiamente attestati a Ostia,
a Roma, a Luni, a Settefinestre, a Porto Torres nelle stratigrafie del II secolo (cfr.
figg. 18-26). È impossibile negare, dopo la lucida analisi condotta da A. Tchernia, che la
loro presenza, costante sui siti italici a partire dall'età augustea, rispecchia, oltre che
l'aumento dei consumi conseguente alla pax romana, anche una diversificazione più
ampia rispetto al passato dei consumi stessi82.
Alla domanda di vini economici avrebbero risposto i vigneti di abbondanza
impiantati nelle province occidentali. Alla stessa esigenza di disporre di grandi quantità di vini
popolari si sarebbe adeguata nel corso del I secolo, forse già a partire dall'età tiberiana,

81 Tchernia 1986, p. 264-271, 297; il problema è ripreso da A. Carandini in questo volume.


82 Tchernia 1986, p. 197 ss.
166 CLEMENTINA PANELLA

anche parte della produzione italica. Si spiegherebbe in tal modo il successo dei vini
centro-settentrionali adriatici e dell'Italia centrale interna - il cui sviluppo sembrerebbe
per altro strettamente connesso ai consumi di Roma - di cui sono chiara testimonianza
tra il I, il II e il III secolo le anfore italiche a fondo piatto.
Ma ci si chiede perché, una volta stabilizzatasi la domanda, e una volta
riorganiz ata, sulla base di essa, la produzione vinaria in Italia e all'estero, non si stabilizzino anche
gli apporti quantitativi reciproci. Invece alla flessione delle presenze anforarie italiche
nei centri mercato, corrisponde l'aumento dei vini provinciali, che integrano di volta in
volta e coprono i vuoti lasciati da quelli italici (prima da quelli tirrenici alla fine del I
secolo, poi da quelli dell'Italia centrale interna alla fine del II secolo, poi infine da quelli
centro-settentrionali adriatici intorno alla metà del III secolo) fino a sostituirli del tutto,
quando essi vengono complessivamente a mancare. Ci si domanda in sostanza se questo
ritrarsi progressivo dei viticultori italici dallo smercio interprovinciale prima,
interregionale poi, per rivolgersi ai mercati più vicini, non sia anche il segno di scelte economiche
che, privilegiando le produzioni d'oltremare, relegano, ο 'aiutano' a relegare quelle
peninsulari in ambiti commerciali sempre più ristretti. Quando su questo processo si
innesta una crisi del sistema produttivo, come quello che si consuma nell'Italia centrale
tirrenica tra la fine del II e i primi decenni del III secolo, appare scontato come l'apporto
esterno, pur senza ricorrere al termine ς concorrenza', diventi risolutivo.

Clementina Panella

ABBREVIAZIONI TIPOLOGICHE

Agora = H. S. Robinson, The Athenian Agora, V, Pottery of the Roman Period, Princeton, 1959.
Arthur = P. ARTHUR, Roman Amphorae and the Ager Falernus under the Empire, PBSR, L, 1982, p. 22-
33.
Camulodunum = C. F. C. Hawkes-M. R. Hull, Camulodunum. First Report on the Excavation at
Colchester 1930-1939, Oxford, 1947.
Carthage = J. W. Hayes, ((Pottery: Stratified Groups and Typology», J. H. Humphrey (ed.), Excavations
at Carthage 1975 conducted by the University of Michigan, I, Tunis, 1976.
Dressel = H. Dressel, CIL, XV, 2, tav. II.
Kapitän = G. KAPITÄN, Schiffsfrachten antiker Baugersteine und Architekturteile vor den Küsten
Ostsiziliens, Klio, 39, 1961, p. 276 ss.
Fori. = T. Aldini, Anfore foropopiliensi, AC, XXX, 1978, p. 236-245.
Gaul. = F. L. Laubenheimer, La production des amphores en Gaule Narbonnaise, Besançon, 1985.
Haltern = S. Loeschcke, Keramische Funde in Haltern, Mitteilungen der Altertumskommission für
Westfalens, V, 1909, p. 101-322.
Kingsholm = J. R. Timby, in H. R. Hurst, Kingsholm, Gloucester Archaeological Reports, 1, 1985, p. 72-
77.
Knossos = J. W. Hayes, The Villa Dionysos Excavations, Knossos : the Pottery, ABSA, 78, 1983, p. 98-
169.
Mau = Α. Mau, CIL, IV, 2, taw. II-III.
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 167

Ostia I = B. Palma-C. Panella, Le Anfore, AA. W., Studi miscellanei, 13, Ostia I, Roma, 1968, p. 97-
116.
Ostia II = C. Panella, Le Anfore, AA. W., Studi miscellanei, 16, Ostia II, Roma, 1970, p. 102-156.
Ostia HI = C. Panella, Le Anfore, AA. W., Studi miscellanei, 21, Ostia III, Roma, 1973, p. 460-633.
Ostia IV = D. Manacorda, Le Anfore, AA. W., Studi miscellanei, Ostia IV, Roma, 1977, p. 116-266 e
359-383.
Pascual = R. Pascual Guasch, Centros de producción y difusion geografica de un tipo de anfora, in VII
Congreso nacional de arqueologia (Barcelona I960), Zaragoza, 1962, p. 334-345.
Pél. = E. PÉlichet, A propos des amphores romaines trouvées à Nyon, Zeitschrift für schweizerische
Archaeologie und Kunstgeschichte, 9, 1946, p. 189-202.
Schoene = R. Schoene, CIL, IV, Vasorum Formae, tav. I.
Sidi Khrebish = J. A. Riley, Coarse Pottery, in J. A. Lloyd (ed.), Excavations at Sidi Khrebish/ Benghazi
(Berenice), Suppl. Lybia Antiqua, V, II, 1979, p. 91-446.

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Arthur 1982 = P. Arthur, Roman Amphorae and the Ager Falernus under the Empire, PBSR, L, 1982,
p. 22-33.
Carre 1985 = M.-B. Carre, Les amphores de la Cisalpine et de V Adriatique au début de VEmpire,
MEFRA, 97, 1985, 2, p. 207-245.
Hayes 1983 = J. W. Hayes, The Villa Dionysos Excavations, Knossos : the Pottery, ABSA, 78, 1983,
p. 98-169.
Hesnard 1977 = A. Hesnard, Note sur un atelier d'amphores Dr. 1 et Dr. 2-4 près de Terracine,
MEFRA, 89, 1, 1977, p. 157-168.
Laubenheimer 1985 = F. Laubenheimer, La production des amphores en Gaule Narbonnaise, Besançon,
1985.
Luni I — A A. W., Scavi di Luni, Roma, 1973.
Luni II = A A. W., Scavi di Luni, Roma, 1977.
Mercando 1974 = L. Mercando, NSA, XXVIII, 1974, p. 142-430.
Ostia / = B. Palma-C. Panella, Le Anfore, AA. W., Studi miscellanei, 13, Ostia I, Roma, 1968, p. 97-
116.
Ostia II = C. Panella, Le Anfore, AA. VV., Studi miscellanei, 16, Ostia II, Roma, 1970, p. 102-156.
Ostia III = C. Panella, Le Anfore, AA. W., Studi miscellanei, 21, Ostia III, Roma, 1973, p. 460-633.
Ostia IV = D. Manacorda, Le Anfore, AA. W., Studi miscellanei, 23, Ostia IV, Roma, 1977, p. 116-266 e
359-383.
Panella 1976 = C. Panella, Per uno studio delle anfore di Pompei, Studi miscellanei, 22, 1976, p. 151-
165.
Panella 1981 = C. Panella, La distribuzione e i mercati, in A. Giardina, A. Schiavone (edd.), Società
romana e produzione schiavistica, II, Bari, 1981, p. 54-80.
Panella 1983 = C. Panella, Le anfore di Cartagine : nuovi elementi per la ricostruzione dei flussi
commerciali del Mediterraneo in età imperiale romana, Opus, II, 1983, p. 53-75.
Panella 1986a = C. Panella, Oriente ed Occidente : considerazioni su alcune anfore «egee» di età
imperiale a Ostia, Recherches sur les amphores grecques, BCH, Suppl. XIII, 1986, p. 609-636.
Panella 1986b = C. Panella, in A. Giardina (ed.), Società Romana e Impero Tardoantico, III, Bari,
1986, p. 64-81, 177-179, 251-272 e 431-459.
Panella-Fano, 1977 - C. Panella - M. Fano, Le anfore con anse bifide conservate a Pompei, Méthodes
classiques et méthodes formelles dans l'étude des amphores (Actes du Colloque de Rome, 27-29 mai
1974), Roma, 1977, p. 133-177.
168 CLEMENTINA PANELLA

RiLEY 1979 = J. A. Riley, Coarse Pottery, in J. A. Lloyd (ed.), Excavations at Sidi Khrebish/ 'Benghazi
(Berenice), Suppl. Lybia Antiqua, V, II, 1979, p. 91-446.
Robinson 1959 = H. G. Robinson, The Athenian Agora, V, Pottery of the Roman Period, Princeton,
1959.
Settefinestre = A. RICCI (ed.), Settefinestre. Una villa schiavistica nelVEtruria romana. 2. La villa e i.suoi
reperti, Modena, 1985.
Tchernia 1980 = A. Tchernia, Quelques remarques sur le commerce du vin et les amphores, MAAR,
XXXVI, 1980, p. 305-312.
Tchernia 1986 = A. Tchernia, Le vin de ΓItalie romaine. Essai d'histoire économique d'après les
amphores, Roma, 1986.
VlLLEDlEU 1984 = F. VlLLEDlEU, Turris Libisonis. Fouille d'un site romain tardif à Porto Torres, Sardai-
gne, BAR, Int. Series, 224 (1984).
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 169

Figg. 1-4 - Ostia. Terme del Nuotatore, contesti tardo-antonini dell'area NE. Anfore con anse a bastone
attribuite a Neapolis e alla sua baia (dis. di O. Leyba; scala 1 : 3).
Figg. 5-6 - Ostia. Terme del Nuotatore, contesti tardo-antonini dell'area NE. Dressel 2-4 attribuite a
Neapolis e alla sua baia (dis. di O. Leyba; scala 1 : 3).

Fig. 8 - Ostia. Terme del


Nuotatore, strati di distruzione
dell'amb. XIX. Anfora del tipo
Ostia II, 521 / Ostia III, 369-
370 (cfr. Ostia IV, fig. 632)
Fig. 7 - Ostia, Terme del Nuotatore, contesti tardo-antonini (dis. di T. Semeraro; scala
dell'area NE. Dressel 1 tarda (?) attribuita alla Campania 1 : 10).
settentrionale (dis. di O. Leyba; scala 1 : 3).
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 171

11°
υο ticd t/.
Ο Τ3^
11 ΟcoΓ-
co^ —··
-ο ο ti ^ Idcd

ιI
as
eu ô *

O^
•5 ö
O to
.bD Öcd
·5Ρά
fa τ3
172 CLEMENTINA PANELLA

Fig. 12 - Ostia. Terme del Nuotatore, contesti tardo-antonini dell'area NE. Collo del tipo Fori. A (dis.
di 0. Leyba; scala 1 : 3).

Fig. 15 - Ostia. Terme del


Nuotatore, contesti
tardo-antonini dell'area NE. Anfora a
fondo piatto attribuita alla
Figg. 13-14 - Ostia. Terme del Nuotatore, contesti tardo- produzione
antonini dell'area NE. Esemplari del tipo Fori. Β (dis. di centro-set entrionale adriatica (dis. di T.
T. Semeraro; scala 1 : 10). Semeraro; scala 1 : 10).
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 173

Figg. 16-17 - Ostia. Terme del Nuotatore, contesti tardo-antonini dell'area NE. Collo e fondo attribuiti
al tipo Ostia /, 452 / Ostia IV, 442 (dis. di 0. Leyba; scala 1 : 3).
174 CLEMENTINA PANELLA

ROMA - Meta Sudans - strati della metà del II secolo


10 20
Numero Percentuale
6 4.35 Dressel 2/4 Tirr. . .
14 10.14 Dressel 2/4 non id. . ITALIA
36 26.09 Ostia III, 369 ....
2 1.45 Ostia I, 452/IV, 442 .
3 2.17 Gaul. 5 GALLIA
13 9.42 Gaul. 4/Pél. 47 ...
5 3.62 Dressel 2/4 Tarr. . . PEN. IBERICA
1 0.72 Dressel 2/4 Afr. . . .
13 9.42 Mau XXXV AFRICA
7 5.07 Ostia II, 522
1 0.72 Egizie
37 26.81 Egee
138 100.00 Totali

Fig. 18 - Roma. Meta Sudans. Indici di presenza delle anfore vinarie dei contesti della metà del II
secolo (orli, anse, fondi : tot. fr. 138).

OSTIA - Terme del Nuotatore - Area SO - strati del 70-90 d. C.

10 20 30 %
Numero Percentuale j
3 2.83 Dressel 1 .... ITALIA
30 28.30 Dressel 2/4 (It. ?)
5 4.72 Ostia III, 369 . .
36 33.96 Gaul. 5
5 4.72 Gaul. 4/Pél. 47 . GALLIA
14 13.21 Dressel 2/4 Tarr. PEN. IBERICA
8 7.55 Mau XXXV . . . AFRICA
4 3.77 Ostia II, 522 ...
1 0.94 Camulodunum 184 EGEO
106 100.00 Totali . . .

Fig. 19 - Ostia. Terme del Nuotatore. Indici di presenza delle anfore vinarie (tot. orli 106) dei contesti
flavi dei saggi nell'Area SO (Ostia III).
LE ANFORE ITALICHE DEL II SECOLO D.C. 175

OSTIA - Terme del Nuotatore - Area NE - strati del 120-140 d. C.

Numero Percentuale
4 0.58 Dressel 1
3 0.44 Dressel 1/Lamb. 2
2 0.29 Lamboglia 2 ....
4 0.58 Dressel 6
26 3.77 Dressel 2/4 Pompei
3 0.44 Dressel 2/4 Camp.
106 15.38 Dressel 2/4 (Tirr. ?)
20 2.90 Ostia IH, 369 ...
47 6.82 Ostia IV, 440-441 .
27 3.92 Ostia /, 452//V, 442
39 5.66 Gaul. 5
33 4.79 Gaul. 4/Pél. 47 . .
78 11.32 Gaul. A/Gaul. 5 . .
4 0.58 Galliche non id. . .
4 0.58 Pascual 1
38 5.52 Dressel 2/4 Tarr. .
.

19 2.76 Haltern 70
6 0.87 Tarr. non id. . . .
82 11.90 Mau XXXV ....
•29 4.21 Ostia II, 522-523 .
32 4.64 Camulodunum 184
5 0.73 Mau XLI
4 0.58 Schoene VIII ....
4 0.58 Mau XXVII-XXVIII
3 0.44 Mau XXXVII ....
10 1.45 Agora F65-66 . . .
12 1.74 Agora G197 ....
21 3.05 Dressel 43
1 0.15 Kingsholm 117
4 0.58 Schoene XV ....
19 2.76 Non id
689 100.00 Totali ....

Fig. 20 - Ostia. Terme del Nuotatore. Indici di presenza delle anfore vinarie dei contesti adrianei dei
saggi nell'Area NE (orli, anse, fondi : tot. fr. 689).
OSTIA - Terme del Nuotatore - Area NE - strati del 160-180 d. C.
10 20 %
Numero Percentuale !_

!
100 2.91 Dressel 2/4 Tirr. .
6 0.17 Arthur 1-2 ....
14 0.41 Dressel 1 tarda . .
466 13.54 Ostia III, 369 ... ITALIA
4 0.12 Dressel 6
24 0.70 Dressel 2/4 Nord It.
350 10.17 Ostia IV, 440-441 .
298 8.66 Ostia /, 452//V, 442
15 0.44 Dressel 2/4 Italiche
19 0.55 Gaul. 5
647 18.80 Gaul. 4/Pél. 47 . . GALLIA
10 0.29 Galliche non id. . .
55 1.60 Dressel 2/4 Tarr. . PENISOLA
IBERICA
2 0.06 Haltern 70 .....
12 0.35 Dressel 2/4 Afr. . .
293 8.51 MauXXXV AFRICA
20 0.58 Ostia II, 522 ....
45 1.31 Ostia II, 523 ....
5 0.15 Cirenaiche
22 0.64 Egizie
845 24.56 Egee
24 0.70 Orientali non id.
165 4.80 Non id
3441 100.00 Totali ....

Fig. 21 - Ostia. Terme del Nuotatore. Indici di presenza delle anfore vinarie dei contesti tardo-antonini
dei saggi nell'Area NE (orli, anse, fondi : tot. fr. 3441). Le produzioni egee e orientali non sono state
suddivise in tipi, in quanto essi compaiono negli istogrammi pubblicati in Panella 1986a, figg. 2-3.

OSTIA - Terme del Nuotatore - Area NE - strati del 160-180 d. C.


0 10 20 %
Numero Percentuale
120 3.49 Campane
466 13.54 Italia centr. int. . . .
676 19.65 Italia centro-sett. adr.
15 0.44 Italiche non id. ...
676 19.65 Galliche
57 1.66 Ispaniche
370 10.75 Africane .......
5 0.15 Cirenaiche
22 0.64 Egizie
845 24.56 Egee
24 0.70 Orientali non id. . .
165 4.80 Non Id
3441 100.00 Totali

Fig. 22 - Ostia. Terme del Nuotatore. Indici di presenza delle principali produzioni vinarie dei contesti
tardo-antonini dei saggi nell'Area NE (tot. fr. 3441).
OSTIA - Terme del Nuotatore - Area XXV - strati del 190-210 d. C.
0
Numero Percentuale
6 3.66 Dressel 2/4 . . .
1 0.61 Dressel 6 . . . .
4 2.44 Ostia III, 369 . .
19 11.59 Ostia IV, 440-441
9 5.49 Ostia /,451 . . .
2 1.22 Ostia IV, 442 . .
2 1.22 Gaul. 5
37 22.56 Gaul. 4/Pél. 47 . GALLIA
2 1.22 Maur. Caes. . . .
38 23.17 Mau XXXV . . AFRICA
.

2 1.22 Ostia I, 453 . . .


CIRENAICA
2 1.22 Sidi Khr./MR 8 .
1 0.61 Schoene Vili . . .
7 4.27 Agora G197 . . .
1 0.61 Dressel 43 . . . .
21 12.80 Kapitän I . . . . EGEO
3 1.83 Kapitän II . . . .
7 4.27 Non id
164 100.00 Totali . . .

Fig. 23 - Ostia. Terme del Nuotatore. Indici di presenza delle anfore vinarie (orli, anse, fondi : tot. fr.
164) dei contesti del 190-210 d. C. dell'Area XXV (Ostia IV).

OSTIA - Terme del Nuotatore - Ambiente IV - strati del 230-250 d. C.


0 10 20 30 40 %
Numero Percentuale
1 0.15 Dressel 1
16 2.42 Ostia I, 451
3 0.45 Ostia I, 452
3 0.45 Gaul. 5 GALLIA E MAURETANIA
280 42.30 Gaul. 4/Maur. Caes. . .
27 4.08 Mau XXXV
36 5.44 Ostia I, 453
4 0.60 Sidi Khr./MR 8 ....
12 1.81 Agora G197
38 5.74 Dressel 43
91 13.75 Kapitän I .
87 13.14 Kapitän II
1 0.15 Knossos 38
18 2.72 Orientali non id. ...
Non id
662 100.00 Totali

Fig. 24 - Ostia. Terme del Nuotatore. Indici di presenza delle anfore vinarie (tot. orli 662) dei contesti
del 230-250 d. C. dell'Amb. IV (Ostia I).
178 CLEMENTINA PANELLA

SETTEFINESTRE (Cosa) - Periodo HA 1 - età traianeo/ adrianea


0 10 20 30 %
Numero Percentuale
38 35.85 Dressel 1 . .

.
,
11 10.38 Dressel 2/4 . ITALIA

.
.
10 9.43 Ostia ///,369

.
.
35 33.02 Gaul. 4/Pél. 47 GALLIA
PENISOLA

.
3 2.83 Dressel 2/4 Tarr. IBERICA
1 0.94 Haltern 70 . . .
.
5 4.72 Mau XXXV . AFRICA
.

2 1.89 Ostia II, 523 ..


1 0.94 Schoene XIII . . EGEO
106 100.00 Totali . .

Fig. 25 - Settefinestre (Cosa). Indici di presenza delle anfore vinarie (orli, anse, fondi : tot. fr. 106) dei
contesti del periodo HAI della villa (età traianea e adrianea : Settefinestre, fig. 173).

SETTEFINESTRE (Cosa) - Perìodo IIC - età tardo antonina


0 10 20 30 50 %
Numero Percentuale
40 8.55 Dressel 1 ....
84 17.95 Dressel 2/4 ... ITALIA
1 0.21 Lamboglia 2 ...
1 0.21 Dressel 6 ....
61 13.03 Ostia IH, 369 . .
2 0.43 Ostia IV, 440-441
2 0.43 Ostia IV, 442 . .
2 0.43 Gaul. 5
255 54.49 Gaul. 4/Pél. 47 . GALLIA
9 1.92 Dressel 2/4 Tarr. PEN. IBERICA
4 0.85 Mau XXXV . . . AFRICA
2 0.43 Ostia II, 523 ...
3 0.64 Camulodunum 184 EGEO
2 0.43 Agora F65-66 . .
468 100.00 Totali . . .
Fig. 26 - Settefinestre (Cosa). Indici di presenza delle anfore vinarie (orli, anse, fondi : tot. fr. 468) dei
contesti del periodo IIC della villa (età tardo-antonina : Settefinestre, fig. 177).

You might also like