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1. L’ archeologia medievale in Sicilia e il progetto di ricerca.

Prima di scrivere riguardo alle finalità del presente progetto di ricerca è forse utile una
sintetica panoramica sugli ultimi decenni di ricerca archeologica in Sicilia, con oggetto siti
di età medievale1. Un’importante tradizione di ricerca precede i più recenti studi e tra gli
studiosi prima dell’Ottocento bisogna ricordare la figura di Tommaso Fazello che, seppur
interessato a resti di epoca classica, descrisse siti medievali e molti castelli, visitati
personalmente, analizzando spesso la documentazione scritta a riguardo. Per quanto
concerne le evidenze architettoniche, dobbiamo inoltre rilevare come gli studi avvenuti
nella prima metà dell’Ottocento, ponessero il loro interesse su problematiche stilistiche,
come ad esempio l’origine dell’arco acuto o della pianta a croce latina nell’architettura
europea. Tra gli studiosi ottocenteschi grande rilievo assume l’opera di Michele Amari, che
cercò di affrontare il passato siciliano non trascurando l’universo degli oggetti, considerati
come fonti utili per ricostruire la storia e problemi di topografia storica.
Successivamente l’attenzione sulle evidenze materiali si concentrò sulla ceramica con
figure come Antonino Ragona, primo ordinatore del Museo Statale della Ceramica di
Caltagirone (inaugurato nel 1965) ed egli stesso ceramista, che svolse un ruolo importante
nella divulgazione delle ceramiche medievali siciliane e della documentazione scritta ad
esse relative.
Una svolta si ha a partire dalla fine degli anni Settanta dello scorso secolo quando la
ricerca fu segnata dal comune interesse di storici e archeologi per lo studio dei “villaggi
abbandonati” e della “cultura materiale” e dalla presenza di équipes straniere, in particolare
francesi. A riguardo bisogna ricordare i nomi di Carmelo Trasselli, Henri e Geneviève
Bresc e Franco D’Angelo. Negli stessi anni fu fondata un’associazione, il G.R.A.M.
(Gruppo Ricerche Archeologia Medievale) che si dotò di un proprio bollettino. Una tappa
fondamentale fu segnata nel 1974 quando, a Palermo e ad Erice si tenne il Colloquio
Internazionale di Archeologia Medievale, una delle prime iniziative della nascente
disciplina e la rivista «Sicilia archeologica » cominciò a pubblicare articoli riguardanti il
medioevo.
Lo studio dei villaggi si legò a quello del territorio e fondamentali appaiono gli articoli di
Bresc, in cui alla conoscenza delle fonti scritta si lega quella del territorio, accompagnata
da ricognizioni di superficie “mirate”. Tra i fenomeni messi in luce da Bresc 2 si segnala la
1
Per una storia più esaustiva delle ricerche qui trattate in maniera sintetica si rimanda al contributo di Molinari 2004.
2
Bresc 1980.

1
registrazione della forte presenza dell’abitato sparso (i casali) in età normanna e la loro
progressiva scomparsa tra XII e XIV secolo a favore di una concentrazione della
popolazione in borghi muniti.
L’attenzione degli storici stimolò le indagini archeologiche più sistematiche, in particolare
a Brucato3 (Termini Imerese). Le indagini riguardavano le fasi trecentesche d’occupazione,
mentre le testimonianze d’età islamica vennero fuori in un sondaggio casuale. Altro scavo
importante fu quello di Monte Iato (Palermo), iniziato nel 1971 e ancora in corso, partito
con lo scopo di documentare le fasi classiche della città, anche se al momento sono state
pubblicate le fasi medievali4. Particolarmente ricca di dati è la fase finale d’occupazione di
Monte Iato che coincide con la prima metà del XIII e con la ribellione dei musulmani a
Federico II.
Negli anni Ottanta la ricerca scientifico-stratigrafica si è consolidata con gli scavi urbani a
Palermo e al castello di Calathamet ( Trapani), diretti da J.-M. Pesez dal 1981 fino al 1989.
Inoltre in questi anni si colloca la Monreale survey, diretta da Jeremy Jhons, che
introdusse, con un interesse specifico per il medioevo, il sistema anglosassone delle
ricognizioni di superficie, abbinate ad una ricerca sulle fonti scritte medievali in particolare
su quelle d’età normanna dell’abbazia di Monreale.
A partire dal 1989 fino al 1995 sono stati scavati a Segesta, sotto la supervisione di
Alessandra Molinari, il Castello e la Moschea, monumenti emblematici dell’insediamento
medievale del monte Barbaro, e l’attività di indagine sul campo è stata seguita in breve
tempo dall’edizione dello scavo 5.
Si deve poi a Ferdinando Maurici il rilancio sul dibattito dell’incastellamento in Sicilia,
dapprima con un contributo sulle ribellioni musulmane avvenute sotto Federico II, e quindi
con un completo censimento delle fonti scritte e dei resti materiali dei castelli siciliani dai
bizantini ai normanni6.
Nel 1995 sono iniziate le ricognizioni per la Carta Archeologica del Comune di Calatafimi 7
e quello che sembrerebbe trasparire dai primi dati editi è una tendenza a partire dal V
secolo verso la concentrazione dell’habitat, spesso sul luogo di precedenti siti romani di
pianura o collina, dove è riscontrabile la presenza di ceramica sigillata africana databile
fino a VI-VII secolo. Interessante, per quanto riguarda il medioevo, è che nei siti maggiori
si trovano anche le prime ceramiche invetriate islamiche (seconda metà X-XI secolo). Ciò

3
Scavo diretto da J.-M. Pesez edito nel 1984.
4
Isler, 1991.
5
Molinari 1997.
6
Maurici 1992.
7
Per una prima edizione dei dati si rimanda ad Aprosio et alii 1997.

2
potrebbe far pensare ad una tendenza alla continuità d’occupazione di molti siti tardo
romani/bizantini fino almeno all’XI secolo.
Il problema della definizione delle dinamiche insediative tra età bizantina ed islamica è
uno dei temi principali affrontati anche dalle altre ricerche sopraccitate oltre a quella nel
territorio di Calatafimi.
La continuità insediativa sarebbe confermata, infatti, anche da scavi sistematici di siti
aperti come quello del vicus di Sofiana, nella villa di Patti, nel Casal Nuovo presso Mazara
del Vallo, e nell’insediamento di Contrada Saraceno presso Agrigento 8.
Nella Sicilia occidentale i siti aperti del tipo casale sembrerebbero entrare in crisi tra il
periodo normanno e svevo, mentre nell’interno i siti d’altura sarebbero in crisi già in età
romano-imperiale, abbandonati a favore di siti aperti di collina o pianura 9. Nel V-VI
secolo si segnalerebbero però delle rioccupazioni di zone limitate di acropoli e alture
minori: è il caso di Morgantina, Camarina, Selinunte. In altri casi come quello di Segesta
l’insediamento sembra sopravvivere fino all’epoca tardoromana/protobizantina, senza
soluzioni di continuità, ma fortemente ridimensionato nell’estensione e con segni evidenti
d’impoverimento e degrado10.
Un altro problema, posto dai dati archeologici è quello pertinente il fenomeno della
formazione degli insediamenti fortificati della Sicilia, per la quale sono state proposte varie
ipotesi. Secondo Lellia Cracco Ruggini11 il fenomeno inizierebbe nella seconda metà del
VII secolo, quando la militarizzazione delle province periferiche si combinerebbe con la
fuga spontanea della popolazione contadina nei “rifugi muniti” di fronte alle scorrerie
saracene. Questi fenomeni determinerebbero l’abbandono dell’insediamento sparso ed i
kastra da nuclei abitativi si trasformerebbero col tempo in vere e proprie circoscrizioni
fiscali. Ferdinando Maurici attribuirebbe l’incastellamento ad un’iniziativa statale ben
precisa e limitata nel tempo, che, grazie anche alle testimonianze di Ibn al-Atîr ed Al-
Nuwairi, dovrebbe collocarsi nell’VIII secolo in una pausa dalle offensive saracene. Quella
che si potrebbe definire come una vera e propria “rivoluzione castrale”, sarebbe stata
principalmente dettata da motivi difensivi. Importanti due affermazioni di Maurici 12,
sull’incastellamento bizantino: la prima è che non esisterebbero in Sicilia fortezze private,
come nel resto dell’impero; la seconda è che la difesa del territorio siciliano sarebbe stata
incentrata sulle città antiche. Per quanto riguarda queste teorie c’è da dire che

8
Per la bibliografia di riferimento si veda Molinari 1997, p. 24.
9
Molinari 1997, p. 24.
10
Molinari 1997, p. 105.
11
Cracco Ruggini 1980, pp. 39-40
12
Maurici 1992, pp. 42-47.

3
l’indeterminatezza delle fonti di natura archeologica non permettono affermazioni certe
sull’epoca di committenza dei kastra. È possibile che i kastra bizantini non avessero
l’aspetto delle “terre” d’età normanno-sveva, caratterizzate dalla presenza d’estesi villaggi
dominati da un fortilizio, e che fossero così numerosi e raccogliessero ed organizzassero la
maggior parte del territorio rurale. In altre parole l’urgenza difensiva potrebbe aver
provocato la costruzione di fortificazioni, ma questo non vuol dire che abbia determinato
una riorganizzazione dell’habitat rurale.
Importanti, per quanto concerne gli insediamenti bizantini sono stati i dati emersi su
Segesta e Selinunte13. In relazione a Segesta, il passaggio dalla dominazione gota a quella
bizantina sembrerebbe sulla linea della continuità e della stabilità. La forma
dell’insediamento del VI secolo sembra quella dei villaggi più o meno grandi, e con case
situate nelle zone più fertili e meglio collegate alla viabilità principale senza difese
naturali. Questo assetto sembra arrivare fino al VII secolo. Riguardo alle fortificazioni
l’unico indizio è costituito dalla cosiddetta piccola torre di Segesta, che sembra un’opera di
tipo privato che non ha avuto effetti sull’organizzazione globale dell’insediamento.
Nell’VIII secolo assistiamo a un abbandono di diversi insediamenti, senza che vi si creino
nuovi centri né che si ingrandiscano altri, fenomeno forse dovuto a un calo demografico
che si potrebbe spiegare con la peste bubbonica scoppiata a metà del secolo14. Con l’arrivo
dei musulmani i siti poco protetti di fondovalle furono abbandonati, e i pochi villaggi che
resistono all’offensiva musulmana si trovano negli stessi siti occupati nella tardo antichità.
Per quanto riguarda Selinunte15 un intervento di scavo eseguito dalla Molinari nel 1996, ha
interessato una piccola porzione di stratigrafia intatta che ha chiarito alcuni aspetti sulla
stratificazione post-classica in cui è evidente come dopo l’abbandono nel III secolo a.C.
delle strutture di età punica sarebbe poi crollata la parte frontale del tempio A 16, prima della
costruzione della fortezza cronologicamente ascrivibile ad un periodo antecedente il X
secolo. Da quello che è ancora possibile vedere nell’area della cosiddetta acropoli,
l’impressione sarebbe quella che le fasi di rioccupazione post-antica riguardino porzioni
limitate del sito antico e non siano continue nel tempo.
Se, quindi in mancanza di un numero maggiore di indagini archeologiche in ambito urbano
e rurale, molti quesiti relativi alla fase di transizione tra il periodo bizantino ed islamico e
la vera e propria fase di occupazione islamica restano ancora da sviluppare 17,

13
Molinari 2002, pp. 327-342.
14
Molinari 2002, p. 333.
15
Molinari 2002, pp. 327-342
16
I resti dei crolli sono ancora in situ e non sono stati utilizzati.
17
A tale proposito si vedano le conclusioni in Molinari 2004.

4
analogamente, non sono numerosi i resti di depositi indagati archeologicamente pertinenti
la fase di passaggio alla dominazione normanna. Nei siti più noti, come Calathamet o
Segesta, questa fase di transizione è evidente in un cambio di assetto con la costruzione di
nuove strutture come il castello nel caso di Calathamet 18. Lo scavo ha messo in luce un
«maschio» o palazzo su cui si articola un bastione che racchiude altri edifici tra cui una
chiesa e una costruzione a forma di rettangolo molto allungato. La chiesa, a navata unica e
abside accentuata ricorda, le cappelle dei castelli normanni. Nel cortile una scala
permetteva l’accesso all’ambiente rettangolare mentre un’altra scala collegava la chiesa
con un pianerottolo, poi il primo piano del « maschio» tramite un balcone sopra il portico,
tutte strutture che appartengono al castello normanno, che si presuppone siano state
precedute da costruzioni più antiche, appartenenti, certo, ad un castello arabo. Un incendio
verificatosi dopo l’età normanna, e le trasformazioni interne al castello sarebbero databili
nel XIII secolo senza che si possa essere più precisi, e farebbero pensare che Calathamet,
come Monte Iato ed Entella sia servita da rifugio per la resistenza musulmana, e lo stesso
incendio potrebbe attribuirsi ad una volontà distruttrice nell’ambito del guerre saracene
condotte da Federico.
In altri casi a questa fase corrispondono cambiamenti meno drastici negli assetti di strutture
abitative pertinenti nuclei islamici, come sembrano attestare i recenti scavi di Palermo 19.
Allo stesso tempo l’analisi della successiva fase legata all’occupazione federiciana della
Sicilia, al momento sembra più approfondita dallo studio delle fonti scritte, che attestano
una drastica riduzione dei casali nella Sicilia orientale ma anche occidentale, in
contemporanea alla costruzione di complessi fortificati e residenze palaziali sia nella
Sicilia occidentale che orientale, con particolare concentrazione di edifici difensivi in
quest’ultima area siciliana, caratterizzata anche da una serie di rivolte partite da Messina
negli anni 1232-3320.
Se dalle problematiche più generali spostiamo lo sguardo sugli studi relativi all’elevato,
pochissimi sono i lavori che vedono l’applicazione delle metodologie proprie d questa
disciplina ed ancora oggi sono da considerare pionieristici i lavori di Bresc 21 sulle dimore e
sulle fortificazioni, non tanto per l’uso di metodologie di indagine, quanto per l’attenzione
posta al rapporto tra il costruito ed i fenomeni storici e sociali ad esso connessi.
Se per il periodo islamico il grosso problema interpretativo rimane l’assenza di strutture
conservate in elevato che permettano una lettura estesa delle caratteristiche costruttive, allo
18
Pesez 1995.
19
Ardizzone Arcifa 1995; Di Stefano 1995.
20
Si veda a riguardo l’intervento di sintesi, basato soprattutto sull’analisi delle fonti scritte di Maurici 1995.
21
Bresc 1980 e 1984.

5
stesso tempo sono ancora numericamente limitati i lavori in cui viene rivolta una specifica
attenzione al costruito. Ridotti dati sono desumibili dalle indagini archeologiche a Palermo
negli scavi della Pretura e nel rione Castello-San Pietro. Dai saggi effettuati negli scavi
della Pretura è stata rivelata la presenza di tre fasi edilizie antecedenti l’impianto
conventuale. La fase più antica databile all' XI secolo, rivela un assetto urbano definito,
con strutture murarie allineate lungo due assi stradali. Queste erano costruite con pietre
irregolari, leggermente regolarizzate in faccia a vista e legate con malta di terra mista a
piccole pietre. Questa piccola parte dell’abitato subì una ristrutturazione nella seconda
metà del XII secolo, com’è stato possibile desumere dai materiali ceramici e numismatici
ritrovati, che presenta strutture murarie, in questa epoca allineate lungo un solo asse
viario, di fattura più accurata, realizzate con piccoli blocchi squadrati di calcarenite e
rivestite a volta da un sottile strato d’intonaco. A questa fase sarebbe seguita una fase
d’abbandono che coincise con l’obliterazione del percorso stradale, e con una fitta
sequenza di materiale da riempimento che cancellarono la memoria dell’antico tessuto
urbano.
I dati così acquisiti restituiscono l’immagine di muri costruiti con pietre non lavorate legate
con malta di terra seppure pertinenti a strutture ben definite e pianificate.
Tali caratteristiche accomunano queste tecniche con quelle individuate negli ambienti
scavati a Calathamet, dove lo scavo del villaggio, ha messo in luce la pianta di quattro
case, a forma di rettangolo allungato, fatte di pietra senza malta e che erano senza dubbio
coperte di tegole tonde. Può darsi che questi quattro monolocali vicini e di piccoli
dimensioni fossero distribuiti intorno ad un cortile: in questo caso farebbero parte di
un’unica abitazione, secondo un’organizzazione tipica dell’Islam. Un particolare farebbe
pensare alle costruzione dell’islam oltre al toponimo: una panchina occupa uno o due
angoli d’ogni locale. I modelli s’incontrano oggi nell’Africa settentrionale. Dunque si
tratterebbe di un villaggio arabo, con tutta probabilità la cui esistenza sembra non andare
oltre la fine del XII secolo o forse inizi del XIII.
A Segesta invece, una più accurata indagine stratigrafica e delle tecniche, ha permesso di
risalire alle dinamiche urbanistiche dell’abitato e alle singole tipologie costruttive collegate
ad un’organizzazione del cantiere di tipo familiare, riscontrabile anche nel sito di Monte
Iato22.
La mancanza però di lavori specifici relativi all’edilizia normanna, caratterizzati da
un’attenzione alle evidenze materiali e non solo alle caratteristiche stilistico-

22
Pesez 1995, Molinari 1997, Bianchi 1997, Isler 1991

6
architettoniche, ancora non consente di formulare ipotesi, ad esempio, relative al passaggio
di conoscenze tecniche tra le maestranze d’origine islamica e quelle d’età normanna, tema
invece di grande interesse per molti aspetti legati all’organizzazione del cantiere, che dove
raramente affrontato, partendo dalle evidenze materiali, ha fornito interessanti spunti di
lettura, come nel caso dell’analisi de segni lapidari presenti nel duomo di Cefalù, studiati
da Zoriç, in cui si è rilevata la compresenza di lapicidi d’origine greca, latina ed araba.
Nel quadro più generale dell’attività edilizia federiciana, è possibile indicare nei castelli
costruiti ex novo i caratteri di novità tipologica e formale che faranno dell’architettura
imperiale un momento assolutamente emergente dell’architettura europea. Dal 1220,
infatti, l’imperatore aveva perseguito l’obiettivo, enunciato nella Costituzione di Capua,
secondo la quale l’intero sistema delle fortificazioni doveva essere sotto il controllo della
corona. La documentazione principale e diretta per lo studio dell’architettura di questo
periodo è costituita da un gruppo di lettere imperiali risalenti ad alcuni mesi tra 1239 e il
1240, inviate da Federico II ai suoi amministratori, che contengono istruzioni per numerose
costruzioni, alcune in fase di completamento, o per le quali difficoltà economiche create
dalla guerra che egli stesso conduceva in quegli anni contro la lega lombarda, imponevano
la sospensione dei lavori. Accanto a pezzi forti dell’architettura federiciana come la Porta
di Capua e Castel del Monte, ricorrono in quelle lettere soprattutto castelli siciliani,
indicando come nell’isola si concentrasse lo sforzo edilizio, certo in risposta alle
sollevazioni del 1232, ma anche in probabile conseguenza delle esperienze
d’organizzazione militare del territorio raccolte in Terrasanta. Questa fase siciliana,
all’inizio è caratterizzata dall’uso dell’impianto castrale quadrilatero ad ali, poi
all’elaborazione delle sue varianti che osservavano la regolarità geometrica costituendo un
ventaglio di schemi castrali e residenziali impiegati a seconda che caratteristiche del
terreno, o specifiche esigenze funzionali, o ancora ragioni di rappresentatività e
d’immagine ne dettassero l’applicazione. L’ esempio meglio documentato e a tutt’oggi
meglio indagato di castello federiciano a cinta turrita, dall’andamento disegnato secondo i
profili altimetrici del terreno si trova a Milazzo 23, dove il tracciato sfrutta le potenzialità
difensive naturali della balza rocciosa, relativamente pianeggiante, me per due lati
strapiombanti sul mare. Ma è soprattutto il Castello di Lombardia di Enna che, se
reintegrato idealmente, sulla scorta di descrizioni cinque e settecentesche, con la selva di
torri che la munivano e con il fossato, oggi colmato che lo isolava dalla città, realizza in
forma paradigmatica la cosiddetta tipologia del «castello su sperone», articolando l’ampia

23
Cadei 1995, p. 371.

7
superficie disuguale nella progressione altimetrica e difensiva di tre cinte che si integrano
ma che si distinguono reciprocamente, sino al ridotto più elevato e munito, che conserva,
come quello di Milazzo, anche il mastio come perno di riferimento del sistema difensivo.
Queste residenze coordinate ai masti rappresentano un genere di struttura ricorrente nelle
domus federiciane. Si tratta di blocchi quadrangolari allungati, articolati su uno o due
livelli col sistema degli archi-diaframma e terrazzati.
Nel 1231 Federico II fonda la città di Augusta24, luogo in cui furono trasferiti gli abitanti
ribelli di Centuripe e Montalbano, e dove venne costruito un castello portato a compimento
nel 1242. All’accuratezza degli apparecchi murari in pietra tagliata e del bugnato del
torrione poligonale al centro del lato meridionale, allo squadro quasi classicheggiante dei
pilastri del portico, fa riscontro una marcata severità decorativa nell’applicazione di un
tipo di membratura quadrangola a far da pilastro e arco di volta. Le stesse lettere imperiali
che parlano del castello di Augusta, indicano in fase avanzata di costruzione il castello di
Siracusa. Nella riduzione del tema del castello quadrato a sala unitaria su pilastri, nella
decorazione, che investe con alcuni dei suoi momenti più preziosi anche i vani scalari entro
torri e i servizi ad essi coordinati, nella comodità dei grandi camini, o nell’amenità delle
grandi finestre affacciate sul mare, Castello Maniace sviluppa la dimensione della
residenza signorile di grande rappresentanza, trovando nel corpus dell’architettura
federiciana il solo corrispettivo di Castel del Monte.
Castel Maniace25 è costituito da un nastro murario continuo, spesso tre metri e sessanta
centimetri. Le fondazioni sono poste a quote differenti, in modo da aderire all’andamento
altimetrico dello «scoglio» affiorante. Il nastro murario ha una struttura formata da una
fodera in conci squadrati d’altezza variabile, compresa tra i 40 e 45 centimetri e riempita
con muratura « caotica» allettata con tenacissima malta di calce.
La serie dei grandi castelli siciliani termina a Catania con il Castello Ursino 26, messo in
cantiere nel 1239. L’impianto mostra quelli che sono i nuovi principi fortificatori svevi,
vale a dire non più castelli arroccati, ma fortezze urbane che, si confronta con la struttura
della città condizionandone lo schema difensivo. La grande fortezza dal suo sito sul mare,
presidia punti vitali dell’abitato duecentesco: le aree di mercato collocate al confine della
Civita normanna, la linea di costa ed il porto, il fronte di terra più vulnerabile verso la
piana di Lentini e la valle del Simeto. Il monumento catanese nasce con un tracciato
perfettamente regolare: un doppio perimetro quadrato racchiude al centro una grande corte

24
Cadei 1995, p. 372
25
Alberti 1995, pp. 377-381.
26
Terranova, Aprile, Fasanaro, 1995, pp. 465-466.

8
aperta. Sul perimetro esterno s’innestano quattro le quattro torri angolari e le quattro semi-
torri mediane. Lo schema distributivo è semplice: in ciascuno dei lati del quadrato un
grande ambiente costituito da tre moduli in linea si raccorda agli altri per il tramite dei vani
angolari della misura di un modulo; quest’ultimi coperti originariamente tutti con volta ad
ombrello, impostate su piccole mensole decorate.
La stagione costruttiva legata a Federico II nella maggior parte dei casi è stata però
studiata, per quanto riguarda l’architettura siciliana, più da un punto d vista storico-
architettonico dedicando scarsa attenzione alle tecniche costruttive, all’organizzazione del
cantiere e anche alle stesse sequenze stratigrafiche, soprattutto in quei casi di siti con
continuità di vita, come nel caso ad esempio del castello di Cefalù, o anche nei casi dello
studio delle cosiddette terrenuove federiciane di Terranova ed Augusta. A riguardo, ad
esempio, è indicativo il taglio dei contributi presenti nel volume a cura di Di Stefano-
Cadei27, la quale pubblicazione, pur avendo il merito di aver contribuito a fare il punto
della situazione riguardo le più recenti indagini in siti con evidenze federiciane, include
contributi in cui nella maggioranza dei casi l’attenzione è puntata sulla descrizione delle
architetture, soprattutto da un punto di vista stilistico, con assenza, invece, di analisi di
dettaglio con metodologie proprie dell’archeologia dell’architettura.
Il presente progetto di ricerca s’inserisce quindi in questo ancora esiguo filone di studi,
cercando attraverso un’analisi delle evidenze materiali, e applicando le metodologie
proprie dell’archeologia dell’architettura, di rispondere o semplicemente di porre delle
domande sui modi di costruire in età sveva in quest’area interna della Sicilia ancora non
toccata da analisi di questo tipo. Del resto gli unici studi che hanno riguardato la Torre, tra
cui quelli di G. Agnello o di W. Leopold, sono stati eseguiti con lo scopo di presentarla
come uno dei tanti esempi dell’architettura sveva in Sicilia, limitandosi a dare una
descrizione analitica dell’interno, e dell’architettura esterna, mentre il nostro intento sarà
quello di proporre uno studio che avrà come punto focale la Torre in quanto “manufatto
architettonico”, dove con questa definizione il manufatto viene inteso come prodotto il
prodotto ultimo di una serie di stratificazioni corrispondenti a diverse fasi di vita
succedutesi nel tempo. Per cui partendo dalla storia del complesso monumentale e da
alcuni brevi cenni storici sulla città di Enna, si cercherà di presentare il momento storico in
cui è avvenuta la costruzione del monumento oggetto di questa tesi, con particolare
attenzione alla lettura stratigrafica e alla individuazione delle tecniche costruttive usate, e
alle informazioni che da queste si possono ricavare.

27
Di Stefano-Cadei 1995.

9
2. La torre di Federico II e il suo contesto urbano e territoriale. Inquadramento
storico.
Enna è il capoluogo di provincia più alto
d’Italia. Difatti, nella zona intorno Monte Salvo,
il quartiere all’estrema punta del promontorio
sud-ovest della città, le curve di livello
registrano un’altezza di 1000 m.s.m. Definita
dalle fonti classiche Umbilicus Siciliae, la città
è situata nel centro geografico dell’isola. Per la
sua posizione strategica. Enna
era sempre stata agognata dalle popolazioni
succedutesi nell’isola.
Già28 nella prima fase dell’occupazione
Fig 1 - Enna vista da Pergusa.
musulmana della Sicilia, dopo l’approdo a Mazara, nel 827 Asad Ibn al Furat cominciò le
prime scorribande in questo territorio, che rappresentava la terra dei rum, il popolo
bizantino così come lo definivano. Nel 831 la presa di Palermo fu il primo risultato
positivo, e con l’elevazione a capitale di questa terra di conquista, divenne poi punto di
riferimento. L’interesse fu attirato verso l’interno dell’isola perché i bizantini, cercando di
difendere la loro terra avevano bisogno di un punto strategico, che doveva essere un luogo
centrale dal quale si potesse facilmente controllare le vie di comunicazione dell’isola e da
cui fosse facile raggiungere le città più importanti. Per questo motivo fu scelta Enna, città
che si affaccia su un variegato territorio di pianure e altopiani, punteggiati da paesi e
paesini arroccati in cima a cocuzzoli o adagiati in mezzo a valli o a fianchi d’alture che si
stagliano all’orizzonte, dominato ad est dall’imponenza del monte Etna, a nord dalle catene
dei Monti Nebrodi e dalle Madonie, per il resto si perde per ampie distese ad oriente e per
vallate a meridione, tutte costellate qua e là da laghetti ed invasi artificiali. Per tale sua
posizione Enna era considerata roccaforte eccezionale, posto di vedetta naturale e baluardo
inaccessibile, luogo di rifugio dalle invasioni delle antiche popolazioni, posto di sicurezza
durante le guerre e gli assedi dei popoli conquistatori.

28
Wolf 1990-1991;

10
Non a caso Enna venne definita
dallo storico Tito Livio «Urbs
Inexpugnabilis», motto che
compare nell’attuale stemma
della città sopra la raffigurazione
dell’aquila bicipite.
Fig 2- Rocca di Cerere e Castello di Lombardia.
Per di più, qui si trovava, da epoca remota un castello, oggi denominato Castello di
Lombardia, che divenne avamposto militare e punto chiave della difesa bizantina
dell’isola. Ad Asad Ibn al Furat succedette Muhammad Ibn Adb Allah Abu Fihr, il cui
compito era quello di affrontare l’esercito dei rum ad Enna, nominata per il suo Castello
“Castrum Haennae” 29. Alla morte d’Abu Fihr fu mandato Abu ‘l Aglab Ibrahim come
governatore, e anch’egli nei suoi 16 anni di governo cercò di espugnare la città, anche
attraverso un sentiero trovato casualmente che portava all’accampamento bizantino. I
bizantini fecero in tempo a ritirarsi nella cittadella 30, dove riuscirono a resistere
all’avanzata musulmana. Stretti in un lungo assedio furono costretti a pagare ai musulmani
un ingente riscatto, che portò questi, contenti del loro bottino a ritirarsi. Nel frattempo tutta
la Sicilia fu sottomessa. Nel 851 morì Abu ‘l Aglab Ibrahim e gli succedette Abu Al Aglab
Abbas Ibn al Fadl Ibn Ya’qub Ibn Fazarah, che continuò la guerra in modo spietato. Nel
852-53 combatté contro Castrogiovanni saccheggiando le campagne e i dintorni, senza
poter espugnare la città. Allora i musulmani si ritirano a Palermo per riorganizzarsi e
tentare nuovamente l’assalto a Castrogiovanni. Nell’inverno 858 tra i prigionieri catturati
nelle battaglie avvenute contro Castrogiovanni, vi era un notabile che condannato a morte
da Al Abbas, per aver salva la vita, promise di farli entrare a Castrogiovanni. Era l’alba del
24-gennaio-859 quando i musulmani attraverso un’apertura dell’acquedotto entrarono in
città, dove vi fu un gran massacro fra soldati e popolazione. Con la presa di
Castrogiovanni, la resistenza bizantina in Sicilia divenne più debole e così nel 878 con la
caduta di Siracusa tramontò definitivamente il dominio bizantino nell’isola.
Castrogiovanni perdette la sua importanza militare e gli storici musulmani parlano ormai
solo dell’agricoltura, della città e dei suoi dintorni. Nel 1061 sbarcarono a Messina i
Normanni, chiamati in aiuto dai cristiani contro gli arabi. Fra di loro vi erano i figli di
Tancredi d’Altavilla, e due di questi, Roberto il Guiscardo e suo fratello Ruggero
guidavano i Normanni. In quel periodo, gli arabi stavano perdendo la loro forza militare, a
causa della divisione della Sicilia in quattro zone, comandate rispettivamente da Abd Allah
29
La trascrizione in arabo è Qasr Yannah da cui derivò verso il XII secolo il toponimo più orecchiabile di Castrogiovanni.
30
Nome con cui si designava il Castello di Lombardia.

11
Ibn Mankut 31, Ali Ibn an Ni’ma detto Hawwas32, Ibn at Tumma33 e Ibn Maklati34. Roberto
portò le sue truppe verso l’interno dell’isola. La prima tappa fu Centuripe, che trovò
protetta da alte mura e fossati, nonché difesa da arcieri e frombolieri. Vista la situazione e
temendo di essere preso alle spalle da Al Hawwas, si diresse verso Paternò, trovandola
libera dai musulmani. Dai suoi informatori risultò che Al Hawwas non era né vicino né
accampato, per cui attraversò di nuovo il Simeto, espugnò, dopo una grande battaglia, le
grotte di San Felice, e si accampò sotto Castrogiovanni sulle rive del Dittaino. Qui si erano
raccolti pure i musulmani delle altre province, aumentando così le truppe di Al Hawwas
che fu posto a capo di questo esercito. Lo scontro era ormai inevitabile e i soldati
normanni si buttarono nella battaglia 35, che si risolse con un massacro terrificante nelle
schiere arabe. Roberto aveva vinto, così si recò prima a Pergusa e poi a Calascibetta, dove
gli emiri delle città minori offrendo denari e doni, gli chiesero la tregua, che Roberto
concesse. Castrogiovanni resisteva, e dopo un mese di vano assedio i normanni si
ritirarono, provati sia dalle malattie che dai combattimenti. Nel 1036 arrivarono le truppe
ausiliare dello zirita Tamim Ibn Al Múizz, dopo la richiesta d’aiuto musulmana. Ruggero si
recò di nuovo a Castrogiovanni impaziente di misurare le sue forze con quelle degli arabi.
Il suo capitano era Serlone, suo nipote, che cercò di preparare un tranello per i nemici,
nascondendosi con una parte dei suoi uomini in un boschetto a valle mentre gli altri
cercavano di provocare il nemico; piano che fu scoperto dai musulmani che riuscirono a
mettere in difficoltà i normanni attaccandoli dalla parte alta della città. Nonostante
l’intervento di Ruggero, che dopo un’aspra battaglia riuscì a mettere in fuga i musulmani,
Castrogiovanni rimase ancora una volta inespugnata. Le conquiste normanne portarono ad
un cambiamento del quadro politico della Sicilia che fu divisa in tre zone: Roberto
comandava la parte che si estende da Messina a Palermo lungo i Peloritani, Ruggero la
parte meridionale della stessa catena montuosa mentre la restante parte era controllata dai
musulmani. Le battaglie per il dominio sull’isola continuavano, e se nel 1074
Castrogiovanni rimase inespugnata, nell’agosto del 1087 Tamin fu costretto ad arrendersi a
Ruggero. In quel periodo Hammud, figlio di Tamin, era l’emiro di Castrogiovanni, città
che Ruggero attaccò riuscendone ad abbattere le mura, e costringendo l’emiro alla resa 36.

31
Abd Allah Ibn Mankut comandava la zona di Trapani, Marsala, Sciacca.
32
Hawwas comandava la zona di Girgenti (Agrigento), Castrogiovanni, Castronovo.
33
Tumma comandava la zona di Siracusa e Noto.
34
Malati comandava la zona di Catania.
35
I normanni essendo cristiani avevano le loro anime accese dalla voglia di combattere per la loro fede sotto la croce e la bandiera di
Cristo,oltre che per onore militare e per la speranza del bottino che gli dava tanta forza da essere addirittura in vantaggio sui musulmani.
36
La resa avvenne perché Ruggero saputo che la moglie e i figli dell’emiro si trovavano a Girgenti,li fece rapire,e avvertì l’emiro che li
avrebbe restituiti in cambio della capitolazione della città. La notte seguente Hamud abbandonò la fortezza aprendo le porte agli invasori
a cui consegnò i suoi regni

12
Ad Hammud si prospettavano due condizioni: dare Castrogiovanni in mano ai normanni e
convertirsi al cristianesimo, condizioni che l’emiro dovette accettare. Con l’incoronazione
di Ruggero II37, Palermo divenne capitale dell’isola, mentre Castrogiovanni mantenne
sempre una certa importanza militare. A Ruggero II succedette Guglielmo il Malo 38, che
reagì con molta fermezza, nel 1161 allo scoppio di una strage verso i musulmani per motivi
razziali, arrivando a distruggere diverse città fra cui Piazza Armerina, dove le
manifestazioni antimusulmane erano state di grandissima violenza. Successore di
Guglielmo il Malo fu suo figlio, che avendo solo 13 anni, ricevette il titolo di re nel 1172,
una volta divenuto maggiorenne, con il nome di Guglielmo il Buono per la sua fama di
essere giusto, pietoso, senza avarizia e non tanto fermo contro i baroni. Morì nel 1189 e sua
erede ufficiale fu decretata sua zia Costanza 39, sposa di Enrico IV von Hohenstaufen, che
dalla Germania si recò a Roma, facendosi incoronare imperatore del Sacro Romano Impero
nel 1191, e tre anni dopo scese in Sicilia per prendere possesso dell’eredità di sua moglie.
La Sicilia per lui non rivestiva tanta importanza, ma essendo un’enorme fonte di ricchezza,
fece di tutto per impadronirsene, usando a questo scopo mezzi non tanto delicati, tanto che
Enrico IV acquistò una certa fama tra i cronisti dell’epoca per la sua crudeltà verso clero,
donne, bambini e tanti innocenti che non avevano niente a che fare con l’insurrezione
fomentata contro di lui dagli Altavilla. Nel 1197 a soli 32 anni, probabilmente di malaria,
morì Enrico IV lasciando sua moglie Costanza ed un figlio di tre anni, Federico. Un anno
dopo Costanza muore, e Federico affidato alla tutela di papa Innocenzo III, fu trasferito a
Palermo dove, nonostante fosse un bambino, dovette sopportare le prepotenze di diversi
nobili. Nel frattempo in Germania, sia Philipp von Schwben che Ottone IV di Brunswick
vengono eletti re, e il papa Innocenzo III decise di consacrare re Ottone, perché egli era
disposto a rinunciare ai diritti sull’Italia centrale e la Sicilia. Parola a cui venne meno nel
1208, quando occupò l’Italia centrale e cercò di riprendere il dominio sulla Sicilia,
costringendo il papa a mandare in Germania, come antagonista di Ottone IV, Federico. Al
suo arrivo nel 1212 venne riconosciuto re e dopo aver battuto Ottone IV, Federico venne
incoronato, nel 1215, da papa Innocenzo III imperatore del Sacro Romano Impero,
restando in Germania fino al 1220. Qui la sua politica andava a favore dei principi e, dando
loro alcuni possedimenti e diritti, otteneva il loro aiuto nella sua politica italiana.

37
Ruggero II governò dal 1154 al 1166.
38
Soprannominato il Malo perché la maggior parte dei baroni era contro di lui. Infatti negli ultimi anni, nel regno di Ruggero si era
formata una certa opposizione feudale e un certo razzismo nei confronti dei musulmani che erano da sempre protetti dopo la resa degli
ultimi qáid
39
Anche se la linea femminile fu contestata da molti tanto che gli Altavilla, ramo cadetto della dinastia, cercarono di ottenere il potere,
proponendo come re un nipote illegittimo di Guglielmo, Tancredi.

13
Nel 1220 tornò in Sicilia dove, dopo la morte di suo padre, erano scoppiati 40 dei tumulti
razziali, in cui sia i ribelli musulmani che i baroni tedeschi cercarono di saccheggiare le
terre allo scopo di arricchirsi. Federico ordinò, con un editto, di abbattere tutti i castelli
privati costruiti dopo il 1189, aggiungendo che nessun castello di data anteriore poteva
essere restaurato senza il suo permesso. Così con il restauro e la costruzione controllata dei
castelli41 rinforzò il suo potere militare e modernizzò sia il governo che la legislazione,
creando uno stato controllato da impiegati che erano responsabili soltanto verso di lui. La
Sicilia fu divisa in province, ognuna controllata da giustizieri, sotto ai quali c’erano i
balivi, responsabili dell’amministrazione e delle finanze, nominati direttamente
dall’imperatore a cui dovevano dimostrarsi fedeli e pronti ad eseguire la sua volontà.
Federico riuscì ad andare d’accordo con il papato finché furono in vita Innocenzo III e il
suo successore Onorio III, ma i rapporti cominciarono ad incrinarsi, quando nel 1227 salì
al trono papale Gregorio IX. Gregorio IX, infatti, costrinse Federico a compiere la crociata
che aveva promesso da tempo, ma una pestilenza scoppiata a bordo delle navi obbligò i
crociati a tornare a terra, valendo per Federico la scomunica papale. Federico partì una
seconda volta per la terrasanta, giuntovi, ottenne diplomaticamente quello che non si era
ottenuto con le armi: la liberazione dei luoghi dei Santi. La scomunica rimase, e fu a
Ceprano che Federico si scontrò con Gregorio IX battendolo, e costringendolo alla pace di
San Germano (1230), nella quale si fece togliere la scomunica e riconoscere l’unione della
Sicilia alla corona imperiale. Approfittando di questa tregua sistemò la Sicilia. Il primo atto
di Federico fu pacificare l’isola, mandando in esilio decine di migliaia di musulmani
ribelli, a Lucera in Puglia; immise ufficialmente in parlamento, oltre ai borboni e ai
feudatari ecclesiastici, i rappresentanti della città demaniale; favorì il commercio
stipulando trattati di navigazione con Tunisi e le repubbliche marinare. Nel 1241 morì
Gregorio IX e fu eletto papa, per brevissimo tempo Celestino IV a cui succedette
Innocenzo IV, il quale ingaggiò una lotta contro l'imperatore Federico II allo scopo di
affermare il primato del papato non solo in campo spirituale, ma anche nelle questioni
temporali. Dopo vane trattative con l'imperatore, il papa, sentendosi in pericolo, fuggì in
Francia, dove indisse il primo concilio di Lione (1245) che condannò nuovamente
Federico, già scomunicato da papa Gregorio IX, e dichiarò la sua deposizione. Per
Federico II seguirono anni di tristezza, finché il 13 dicembre 1250 si spense a Castel
Fiorentino in Puglia, lasciando come successore al trono suo figlio Corrado, che dopo

40
Tumulti che già si erano avuti sia nel 1161 che nel 1189.
41
Questo editto aveva una funzione oltremodo rilevante, perché la peculiarità prima dei castelli era il loro uso militare, pertanto ogni
nobile che si costruiva il castello poteva rappresentare un potenziale avversario da vincere con molte difficoltà.

14
appena quattro anni di governo in Germania morì. Il figlio di Corrado, erede legittimo,
aveva appena due anni, e così n’approfittò Manfredi, figlio naturale di Federico II che era
stato in seguito legittimato. Naturalmente dopo la morte di Federico anche ad Enna si
ebbero degli aneliti di libertà comunale, che Manfredi cercò di soffocare, ottenendo come
reazione da parte degli ennesi, l’abbattimento dei baluardi della cittadella sveva e la morte
del castellano Guaiamario. La determinazione di Manfredi vinse, e nel 1257, Enna tornò
sotto il controllo degli svevi. Nel 1260 visitò la città e in quest’occasione ordinò il restauro
e la ricostruzione della cittadella a proprie spese 42. Manfredi venne in contrasto con i
comuni dell’Italia centro-settentrionale, provocando l’intervento di papa Clemente IV 43, il
quale chiamò in suo aiuto Carlo d’Angiò. Manfredi, a cui mancavano le qualità tattiche del
padre, accettò la battaglia a Benevento nel 1266, dove rimase ucciso, consegnando nella
mani di Carlo d’Angiò la Sicilia di cui divenne re. Due anni dopo, il figlio di Corrado,
Corradino, ormai sedicenne, decise di riconquistare il regno, ma a causa della sua
inesperienza fu battuto, e con il tradimento, catturato e venduto a Carlo d’Angiò che ne
decretò la condanna a morte per decapitazione avvenuta nel 1268 a Napoli. Finiva così
tragicamente la casata degli Hohenstaufen in Italia. L’origine della Torre di Federico II in
Enna, pur essendo incerto il periodo della sua edificazione, è da molti ritenuto una
manifestazione della feconda attività di Federico II di Svezia (1194-1250). Nell’intento di
trattare questo monumento, ci sembra doveroso, inquadrare le caratteristiche
dell’architettura federiciana in Sicilia in questo periodo. Le costruzioni federiciane si
possono dividere in due categorie: la prima comprende quegli edifici, in gran parte militari,
che Federico II ereditò dai precedenti dominatori, nei quali furono eseguiti adattamenti o
modifiche senza alterarne la struttura preesistente; la seconda riguarda, invece, gli edifici
realizzati attraverso un piano architettonico unitario ed un impianto organico integrale. Le
costruzioni appartenenti alla seconda categoria si caratterizzano, in gran parte per lo
schema perfettamente calcolato nello sviluppo icnografico e per la particolarità delle loro
decorazioni. I castelli tipo, che facevano parte di una rete di fortezze strategiche per lo più
destinate alla difesa del territorio o come residenze di caccia o di soggiorno, si
contraddistinguono per la regolarità delle strutture che si traduce in impeccabili e perfetti
organismi. Le forme delle costruzioni, in molti casi, rappresentano rigorosamente il punto

42
Provvedimento da considerarsi sotto l’aspetto militare visto la situazione tumultuosa di questo periodo
43
L’intervento papale si deve al fatto che la Sicilia era stata sempre considerata come feudo dello stato pontificio.

15
TORRE DI FEDERICO

Fig. 3- Planimetria generale della Torre

d’incontro o l’intersezione di perfette figure geometriche; i numeri, le misure, le


proporzioni44, ed, a volte i luoghi dove sorgono gli edifici, hanno precisi riferimenti ed
implicazioni alla filosofia, all’astrologia, alla matematica, alla geometria, alla mistica, alla
politica. Gli elementi e i particolari stilistici delle costruzioni federiciane s’individuano
nella costruzione delle volte, nei grandi portali d’accesso di taglio rettangolare, nel taglio
delle finestre, in alcuni casi, addirittura nella disposizione, in un preciso ordine nelle parti
dell’edificio, delle feritoie. Altrettanto specifici e significativi sono ritenuti gli elementi
decorativi delle costruzioni di Federico II : arcate, chiavi di volta, basi di capitelli,
fogliame, rosoni, listelli, hanno di frequente gli stessi profili, presentano una rispondenza
che non può essere occasionale. Le differenze, quando esistono, sono dovute quasi sempre
alla natura del materiale utilizzato ovvero alle tradizioni ambientali e alla maestranze
locali.45 Uno degli esempi più geniali e completi di queste costruzioni dalla perfetta e
complessa struttura geometrica, è rappresentato da Castel del Monte ad Andria in Puglia.

44
Per quanto riguarda la Torre di Enna è probabile che le misure e le proporzioni siano sono studiate a progettate dal matematico di corte
di Federico, Leonardo da Pisa detto Fibonacci. Egli utilizzava i «suoi numeri aurei» progressivi ricavati dalla somma dei primi numeri,
a cui in seguito sommava il maggiore con l’ultimo, cioè se prendiamo 1+2=3 poi sommeremo 2+3=5; 3+5=8 e così via. Dunque secondo
questo metodo la torre, caratterizzata da otto lati, corrispondeva all’uno platinico, il due rappresentava i poteri sulla terra, nel tre si
rispecchiava la trinità di Dio, nel cinque i continenti o le terre allora conosciute mentre l’otto simboleggiava i venti che soffiano sul
mondo.
45
È stato infatti osservato che i fattori culturali, nonché il sapere della maestranze gioca un ruolo di primaria importanza nell’esecuzione
dei procedimenti costruttivi e, spesso, negli espedienti tecnici utilizzati, mentre lo sviluppo degli impianti architettonici appare simile
dall’estrema punta della Sicilia alla Toscana.

16
Anche la Torre di Enna, da molti considerata come esemplificazione di una della torri
angolari di Castel del Monte, è considerata un esempio significativo delle costruzioni di
Federico II di Svevia. Fino a qualche decennio fa, ed ancora oggi, la torre ottagona
esistente ad Enna, era comunemente detta, nella forma dialettale dei suoi abitanti, “Castello
Vecchio”, ma essa va ufficialmente sotto il nome di “ Torre di Federico”. La torre o il
castello esistente furono distrutti nell’anno 858 dai musulmani, capitanati da Al Abbas,
dopo essere riusciti a penetrarvi per tradimento. Era, pertanto necessario, fortificare di
nuovo quella parte della città, così ,sui resti di quello “vecchio” sorse il «castrum novum»,
cioè la Torre ottagona. Storicamente si sa poco su questa costruzione per mancanza di fonti
documentali, e per questo risulta difficile attribuire una precisa cronologia circa la sua
edificazione. Per alcuni studiosi essa è opera di Federico II di Svevia (1194-1250), per altri
essa è stata elevata da Federico ma ricostruita dal figlio Manfredi nel 1258; un’altra tesi
suppone che sia stata edificata da Federico II d’Aragona (1272-1337). Ma come citato
sopra dal confronto con Castel del Monte, è certamente più probabile l’ipotesi che vede in
Federico II di Svevia il costruttore della Torre, e che Federico II d’Aragona sia citato solo
per un caso di omonimia.
Riguardo altre tesi, il Di Stefano46 riferendosi a documenti dell’antico storico Nicolai de

Jamsilla, attribuirebbe
Fig. 4- Planimetria laTorre
generale della torre a Manfredi e collocherebbe la sua costruzione intorno al
46
Di Stefano 1935.

17
1258, poiché, secondo il cronista l’edificio era necessario al reggimento della città e allo
stesso tempo dimora imperiale ad Enna. Allo stato attuale, comunque, la costruzione della
Torre viene fatta risalire all’età sveva, in un periodo che non supera il 1280, almeno per
quanto riguarda l’impianto originario. Essa sorge ad ovest della città, nella odierna zona
“monte”, sulla sommità di un ameno poggio a tronco di cono, al centro di un ampio
spiazzale, dominato dalla mole dell’edificio. Tutt’intorno è circondata da un parco
pubblico , chiamata comunemente dagli ennesi “Villa di Federico”.
Sui fianchi della collina, in mezzo ad una folta vegetazione di piante e arbusti ornamentali
ed alberi di alto fusto, si sviluppa, a spirale in leggera e costante pendenza, una stradina
che raggiunge la sommità dell’altura ed immette all’ingresso principale dell’antica
recinzione. Sul lato ovest del parco, in prossimità dell’ingresso principale, una lunga
scalinata lungo la linea di massima pendenza, che si interseca per due volte con la
stradina, raggiunge direttamente l’area della Torre ( fig. 4).
La torre di Federico II di Svevia ( fig. 5), pur associando caratteri e tipologia costruttiva di
edificio militare fu sempre ritenuta una domus regia, forse per brevi soggiorni a scopo
ricreativi « solarium » e di caccia, non solo nelle intenzioni
dell’imperatore svevo ma anche dei suoi successori, che
risponde a criteri di semplicità e funzionalità nel suo impianto
ottagono dalle forti valenze simboliche 47. In un diploma
leontinese di Martino del 1398, la Torre è chiamata « regia
domus » ed è distinta dalla cittadella, cioè il Castello di
Lombardia, conosciuto sotto il nome di « castrum o regium
castrum». La Torre faceva parte di un sistema fortilizio
dell’antica Enna. Non si può affermare con certezza quali
altre torri formassero il sistema difensivo medievale, ma forti

Fig.5 – Veduta della Torre indizi fanno pensare che ne facessero parte le torri della
cittadella, e , come torri di avvistamento, le attuali torri campanarie delle chiese del
Carmine, di S. Tommaso, di S. Giovanni e di S. Francesco, che tuttora si trovano nel centro
storico dell’abitato, e destinate ad un uso religioso intorno al XV secolo. La Torre sarebbe
stata, anche un antico osservatorio astronomico e geodetico, per cui da questo punto
sarebbe stata tracciata la rete della viabilità della Trinacria. Nel corso dei secoli sarebbero
stati eseguiti diversi restauri. Lo storico Leopold parla di un restauro fatto da Pietro
Matrona nel 1457 che avrebbe interessato sia le porte che le finestre del primo piano.

47
Simbolicamente non è altro che la rotazione di un quadrato su se stesso fino a farsi rosa dei venti, per quanto riguarda i simboli
nascosti dietro i numeri si rimanda alla nota 10 pg. 6

18
Restauro che comunque non ha cancellato gli elementi costruttivi dell’originale stile svevo.
Seguirono periodi di abbandono e incuria fino ad arrivare alla seconda metà XVII secolo,
quasi risulta completamente abbandonata, così da divenire sicuro rifugio per incontri
amorosi. Per impedire che i piani dell’edificio continuassero ad essere luogo di indegni
ritrovi, un rigido ministro del culto fece abbattere la scala a chiocciola in pietra, che venne
ricostruita negli anni trenta del secolo appena trascorso in calcestruzzo. Per la mancanza di
una copertura nel secondo piano le acque meteore, nel corso dei secoli, hanno prodotto un
rovinoso logorio dello stesso piano,permeando, nel tempo, le volte sottostanti e corrodendo
incessantemente la pietra calcarea: i costoloni hanno perduto, nella zona mediana dove si
saldano alla serraglia, il loro caratteristico profilo, mentre le pareti si andavano coprendo
di incrostazioni, che lentamente ne hanno offuscato l’apparato originario, inoltre i danni
hanno interessato alcuni contorni delle finestre.

19
3. Metodologie di indagine.

L’interesse archeologico verso gli elevati cominciò a porsi nel corso degli anni Settanta,
quasi in contemporanea con l’uscita dei volumi di Harris e Barker, che introdussero i nuovi
concetti di Unità Stratigrafica e ricerca del sottosuolo, innovando la metodologia di scavo
archeologico con concetti successivamente ripresi in Italia da Andrea Carandini, con la
pubblicazione del suo “ Storie della Terra”. Alla fine degli anni Settanta, nello studio degli
elevati si svilupparono due linee di ricerca : la prima, indirizzata a mettere a punto la
metodologia di indagine mutuata da quella del sottosuolo; la seconda, che si poneva il
problema di definire quale fosse il campo di indagine della disciplina riprendendo i
concetti legati al significato di cultura materiale ed estendendo l’analisi a tutta l’edilizia
storica, mirando alla ricostruzione dei cicli produttivi attraverso l’analisi delle tecniche
murarie.
I primi tentativi di analisi furono applicati da Mannoni e Poleggi nel 1974, nel sito del
complesso di San Silvestro a Genova48 puntando l’attenzione sull’analisi stratigrafica e
sullo studio delle tecniche murarie. In seguito si deve a Parenti l’aver sistematizzato e
messo a punto i parametri di analisi delle sequenze stratigrafiche e delle tecniche
costrutive, prima nello scavo di Montarrenti, poi in quello di San Silvestro 49.
Nel 1988, in contemporanea all’uscita del manuale di Brogiolo dedicato allo studio
dell’edilizia storica50, vennero pubblicati gli atti del Convegno di Siena, dedicati
all’Archeologia e Restauro dei Monumenti, che contenevano importanti contributi, in
particolare sul rapporto di questa nuova metodologia di indagine con il cantiere di restauro.
51
In seguito le ricerche aventi come oggetto l’analisi archeologica degli elevati si sono
moltiplicate, ed oggi numerosi sono i filoni di indagine seguiti da vari ricercatori
pertinenti, oltre l’indagine stratigrafica, l’analisi delle tecniche, come delle forme
dell’insediamento e dei processi produttivi52. L’applicazione di questa metodologia in più
campi d’indagine, ha portato nel 1996 alla nascita della rivista Archeologia
dell’Architettura, che da allora costituisce un insostituibile riferimento per chi si occupa di
Archeologia dell’Architettura.

48
Mannoni Poleggi, 1974
49
Parenti 1985, 1986.
50
Brogiolo,1988.
51
Francovich Parenti, 1988.
52
Per una sintesi di questi filoni di indagine si veda Brogiolo 1996, 1997, 2003.

20
Nella lettura stratigrafica degli elevati l’unità minima individuata è l’USM, cioè l’unità
stratigrafica muraria, che corrisponde ad una azione che può essere di costruzione o
accumulo, USM positiva, o di erosione o distruzione,USM negativa. Per affrontare lo
studio della sequenza costruttiva bisogna, innanzitutto individuare le USM, cercando di
capire quali sono i loro rapporti per costruire una sequenza stratigrafica. La sequenza
stratigrafica ottenuta ci darà l’ordine di formazione degli strati nel corso del tempo, in
modo da dare una prima interpretazione, basata su relazioni fisiche di uguaglianza
posteriorità o anteriorità. Compito dell’archeologia degli elevati, così come di quella del
sottosuolo, è tradurre le sequenza delle relazioni fisiche in un ordine che rispecchia anche
la successione cronologica. Ogni USM possiede una superficie che è delimitata dal suo
contorno. Dopo aver individuata la USM, questa deve essere numerata, e si devono
stabilire i rapporti fisici di essa con le USM fisicamente vicine, per poi passare alla stesura
di un diagramma ( Matrix) in cui la sequenza fisica diviene sequenza stratigrafica. Ogni
USM ha una sua posizione stratigrafica, ovvero una sua collocazione relativa in base alla
legge della successione stratigrafica, secondo cui ogni USM si colloca tra la più tarda di
tutte le USM che le sono più antiche e la più antica di quelle che le sono più recenti 53.
All’interno della nostra documentazione non devono mancare le foto e i rilievi grafici delle
USM, attraverso la realizzazione di un prospetto in cui saranno segnati i contorni delle
stesse USM, delle quali in seguito si procederà alla compilazione delle schede. Abbiamo
detto che l’unità stratigrafica muraria è l’elemento più dettagliato in cui una stratificazione
può essere suddivisa. Tuttavia sono state introdotte, da Brogiolo sette unità di riferimento 54
connesse tra loro, in modo da procedere al meglio, da un’analisi macroscopica ad una
microscopica : complesso architettonico (CA), corpo di fabbrica (CF), prospetto generale
(PG), prospetto particolare (PP), unità funzionale (UF), superficie orizzontale (SO),
elemento architettonico (EA). Il complesso architettonico (CA) è costituito
dall’aggregazione di più corpi di fabbrica (CF), che possono essere stati eseguiti per un
progetto pianificato, o essersi aggiunti nel tempo per un processo di crescita. Il corpo di
fabbrica rappresenta delle unità edilizie distinguibili per caratteristiche architettoniche. Un
corpo di fabbrica può essere analizzato nei suoi prospetti generali (PG) , mentre all’interno
gli elementi murari di divisione avranno il proprio prospetto particolare (PP). Questi
divisori articolano l’interno in diversi ambienti o unità funzionali (UF), definiti
orizzontalmente da pavimenti e soffitti ( SO). La più piccola unità di riferimento è
l’elemento architettonico (EA) che prevalentemente ha funzione strutturale o decorativa.
53
Harris 1983.
54
Brogiolo 1988, p. 16

21
Dunque si procede da un insieme (CA) ad una serie di sottoinsiemi, fino all’unità minima,
teoricamente non divisibile che è l’USM, singola azione costruttiva. Il criterio di numerare
in maniera diversa le facce interne nacque da esigenze pratiche, e col tempo si dimostrò
metodologicamente giusto, in quanto quasi sempre la faccia esterna di una muratura è il
frutto di una azione costruttiva, o di una finitura diversa da quella esterna 55. Riguardo
all’analisi delle tecniche murarie, le potenzialità informative offerte dal loro studio, sono
molteplici e di grande rilevanza. Individuare il ciclo produttivo che porta alla costruzione
di un muro può fornire notizie indirette sulla conoscenza tecnica dei produttori, sulla
trasmissione dei saperi, sulle possibilità economiche dei costruttori e dei committenti, sulle
suddivisioni dei lavori all’interno di un cantiere.
Basandosi su questa linea di ricerca alcuni ricercatori hanno cercato di ricostruire i cicli
edilizi e le trasformazioni delle tecniche costruttive in rapporto alla committenza e alle
maestranze. Giovanna Bianchi (1997) ha proposto l’introduzione di concetti, ripresi
dall’antropologia culturale, quali “ sapere tecnico” inteso come conoscenze e capacità
artigianali di un gruppo umano e “interazioni interno-esterno”. Concetti valutati nel
rapporto tra maestranze itineranti e maestranze locali, la cui attività costruttiva interagisce
nella formazione di specifiche tecniche costruttive.
È evidente che la varietà dei materiali utilizzati per il costruire nelle diverse regioni
italiane, esige, per una corretta interpretazione, ricerche mirate ai singoli bacini di
approvvigionamento, senza dimenticare la complessità delle influenze sui modelli edilizi.
Sul tema delle tecniche costruttive, in base alle esperienze di gruppi di lavoro legati a
Mannoni, Parenti e Brogiolo, vengono indicati tre stadi di ricerca : a) determinazione dei
componenti della muratura; b) individuazione delle tecniche di trasformazione dei
materiali dalla fonte di approvvigionamento alla lavorazione a piè d’opera; c) modalità
della posa in opera. Ogni costruzione racchiude in sé una pluralità di informazioni
riconducibili a due aspetti principali: quello formale ci fornisce informazioni riguardo
l’articolazione planimetrica, la relazione tra i vari ambienti, lo sviluppo in elevato e gli
elementi architettonici, codificati in parte dalle descrizione degli storici dell’architettura
almeno per quanto concerne gli edifici “monumentali”; quello tecnologico riguarda il ciclo
produttivo dall’approvvigionamento e la prima lavorazione, alla rifinitura e posa in opera. I
cicli produttivi possono essere complessi o semplici in base al grado di specializzazione,
che sarà massimo quando un singolo individuo si occupa di un’unica fase di lavorazione,
minimo quando un singolo individuo è impegnato in più operazioni. Da questo punto di

55
Parenti 1998 p. 277.

22
vista l’edilizia cosiddetta “povera” richiede un minimo livello di specializzazione; è il
prodotto di contadini-artigiani che hanno nel proprio bagaglio culturale le conoscenze
tecniche necessarie per costruire un determinato tipo edilizio. Come nel ciclo semplice, in
quello complesso il ciclo inizia con la scelta del materiale e la sua individuazione, poi si
passa all’estrazione e prima lavorazione, e infine al trasporto del materiale nel luogo in cui
verrà eretta la costruzione. Una volta che il pezzo arriva a destinazione si procede alla sua
lavorazione. In un cantiere dove la specializzazione è massima vi saranno dei costruttori
che si occupano di una prima lavorazione del pezzo che consiste nella sbozzatura,
operazione che può essere eseguita da un muratore, mentre altri costruttori si occuperanno
della sua rifinitura attraverso la squadratura, eseguita di solito dagli scalpellini. Un altro
gruppo si occuperà della realizzazione del legante, e infine avremo anche chi si occuperà
della sola posa in opera. In base a questa organizzazione di cantiere per l’analisi della
tecnica muraria sono stati definiti come parametri base di studio: a) la cava o luogo di
provenienza e le tecniche di estrazione o di recupero del materiale, dove la lontananza o
meno della cava influisce sull’economia; b) tecniche di lavorazione e finitura; c) posa in
opera; d) dimensioni; e) leganti. Per l’individuazione della posa in opera bisogna tenere
presente se l’apparecchiatura muraria dispone o meno di corsi o filari, e quale sia il loro
grado di orizzontalità,come sono posti i singoli pezzi, e quali sono le caratteristiche dei
giunti e dei letti di posa e se al loro interno vi è la presenza di zeppe in pietra o laterizio, e
infine , dove è visibile, il tipo di nucleo.
Nell’analizzare il monumento oggetto di questo studio, come metodologia di approccio alla
lettura delle stratigrafie verticali è stata applicata la tradizionale scansione elaborata da
Brogiolo56. È stato individuato un corpo di fabbrica: la Torre. I prospetti 57 sono stati
numerati in modo da avere numeri di USM velocemente individuabili in base alla serie di
appartenenza ( da 100 a 800) mentre ogni lato è stato identificato attraverso una lettera
dell’alfabeto ( A-H) partendo dal lato d’ingresso alla torre. Ogni USM, per renderne più
veloce la comprensione, è stata registrata all’interno di una scheda, comprendente, oltre i
principali rapporti stratigrafici, le seguenti voci: descrizione, prospetto generale, attività e
periodi. Per quanto riguarda i rilievi, si è scelto di utilizzare, quelli eseguiti dall’architetto
Maurizio Nasonte, in scala 1:50, sui quali è stata fatta la lettura stratigrafica, con l’utilizzo
del programma Adobe Photoshop 7.0. Dalle relazioni fisiche intercorrenti tra le vari unità
stratigrafiche, si è giunti a stabilire una cronologia relativa, seguita da una fase sintetica di
definizione delle attività e dei periodi. Come indicatori cronologici, seguendo lo schema
56
Brogiolo1988, pp. 15-16.
57
Nel nostro caso l’analisi riguarderà solo i prospetti esterni del monumento dal momento che gli interni non erano registrabili.

23
codificato da Parenti58,si sono utilizzati come fonti indirette tutti i documenti editi che
menzionino in qualche modo il monumento, e come fonti dirette relative o sequenziali
inerenti la struttura dell’edificio, cioè la stratigrafia verticale, gli elementi decorativi e
architettonici e infine le tecniche costruttive. La periodizzazione così ottenuta è stata
tradotta nel matrix, prima di USM poi di attività, considerato come il momento conclusivo
di registrazione delle evidenze, la base sulla quale condurre le interpretazioni, fine ultimo
della ricerca. La documentazione fotografica prevede una serie di immagini digitali di
dettaglio di campioni di muratura presi su ogni singolo lato, particolari delle aperture e i
resti di quella che doveva essere la cinta muraria della Torre.
Nella seconda fase dell’indagine si cercherà di elaborare una tipologia delle tecniche
precedentemente individuate, cercando di capire se al loro interno ci può essere la
possibilità di parlare anche di variante, intesa come personalizzazione da parte dei
costruttori del modello costruttivo mentale, in rapporto al loro grado di personalizzazione
della tecnica comune, e del loro sapere. Non di rado infatti accade in Sicilia che le correnti
architettoniche vengano reinterpretate in base al bagaglio culturale di chi in quel momento
le assimila. Cioè, introdurre un nuovo stile architettonico non significa non utilizzare
tecniche che fanno parte di altri stili. Solo per citare un esempio, in Sicilia con
l’affermazione del gotico i costruttori cercano di prendere i modelli costruttivi, ma memori
delle loro esperienze passate danno vita a uno stile che sentono più vicino a loro modo di
essere, definito gotico Chiaramontano, mentre sotto l’influenza spagnola si svilupperà il
cosiddetto gotico Catalano.
Dopo il capitolo relativo alla lettura degli alzati con le USM, nel capitolo successivo,
verranno registrate le informazioni relative alle tecniche costruttive ed ai materiali
impiegati, alla loro caratteristiche formali e dimensionali che possono aiutarci a risalire alla
qualifica delle maestranze.

58
Parenti 1998, p.281.

24
4. La lettura stratigrafica degli alzati.

In base all’analisi dei dati documentari unita alla lettura degli elevati la sequenza
stratigrafica è stata divisa in tre periodi. Il primo si estende per un arco cronologico che va
dal 1220, anno dell’arrivo in Sicilia di Federico II di Svevia, a non oltre il 1280, per una
controversia sulla paternità della torre. Il secondo periodo, si daterebbe al 1457, quando
furono ricavate su due lati della Torre due Finestre, che per caratteristiche formali
sembrano espressione del cosiddetto stile Gotico Catalano. Infine si è scelto un terzo
periodo, che definiremo “ età moderna ”, nel quale sono state inserite le erosioni provocate
dal tempo alla struttura. La lettura degli alzati ha riguardato non solo la Torre ma anche il
recinto murario. Questo, del quale rimangono integri solo due brevi tratti, si svolge lungo
la linea del taglio marginale del piazzale. All’interno è piantato allo stesso piano della
torre, mentre all’esterno segue il declivio della collina in maniera da seguirne a stessa linea
di continuità. L’altezza del muro doveva variare nei diversi punti, a seconda del movimento
della collina, comunque sempre intorno ai tre metri, mentre a giudicare dal tratto rimasto
integro il suo spessore era intorno i due metri. A seguire sarà data una breve descrizione
della Torre.

4.1. Breve descrizione dell’interno della torre.


In questo paragrafo ci limiteremo a dare un breve accenno su quella che è la struttura
interna della Torre, che non è stata interessata dalla lettura stratigrafica per l’impossibilità
di potervi entrare. La descrizione procederà tenendo presente il testo dell’Agnello, e i
rilievi dell’Architetto Nasonte .

a) Pian Terreno.
Attraverso un’unica porta si entra in un ambiente ottagonale, chiusi in sommità da una
volta ad “ombrello”, sorretta da otto possenti costoloni a sezione rettangolare, ricadenti in
basso su caratteristiche mensole terminanti a goccia. Dal punto di vista decorativo è da
osservare l’alternanza di due tipi di mensole : il primo presenta una decorazione con
scanalature o boccelli, l’altra è semplicemente sfaccettata senza alcun decoro. Le mensole
sono ricavate da due blocchi, uno per i peducci e uno per la cornice, formata da una scozia
tra due tori, listello e abaco. Questa alternanza dà all’ambiente un senso di movimento
ritmico, che si ritrova nella distribuzione delle tre feritoie nei lati opposti dell’ottagono, in

25
modo che i lati mediani resti ciechi. Il lato in cui si doveva sviluppare una quarta apertura,
ha dovuto cedere il posto allo sviluppo della scala, ricavata nello spessore del muro. I
costoloni, che si dipartono dagli angoli dell’ottagono dalle mensole, circoscrivono otto
lunette a spicchi slanciati e si raccordano in alto in una poderosa chiave centrale priva di
decorazione. Al centro della sala si trova un’apertura circolare, che secondo alcune
interpretazioni sarebbe servita per l’accesso ad una prigione sotterranea, secondo altri qui
avrebbe trovato posto un condotto sotterraneo, che collegava la Torre con il Castello di
Lombardia. Ipotesi che si reggevano sulla credenza che tutti i castelli medievali dovevano
essere muniti almeno di una via segreta d’uscita in caso di assalto. Scavi eseguiti dalla
Soprintendenza BB. CC. AA. di Enna hanno accertato che si tratta, in effetti, di una
cisterna che doveva servire alla raccolta delle acque piovane, alla cui sommità esiste un
cunicolo, esplorato in parte per la difficoltà di accedervi e la presenza di macerie che lo
ostruiscono, che potrebbe essere un cunicolo sfiatatore, o il condotto che la tradizione
vuole si trovi in questo tipo di costruzione. Comunque finché non si procederà ad uno
scavo sistematico del cunicolo le nostre rimangono solo delle ipotesi.

b) Primo Piano e scala.


Sulla sinistra si trova una porticina che permette l’accesso alla scala a chiocciola di 98
gradini, ricavata nello spessore del muro. La scala non più originale, è stata fatta ricostruire
in calcestruzzo verso gli anni trenta del secolo scorso. Essa fu fatta demolire verso la fine
del 1700 per la caparbia pedanteria del prete Felice Fidotta per evitare, secondo la sua
opinione, che divenisse o continuasse ad essere luogo di appuntamenti amorosi, e di
malaffare. La scala viene illuminata, oltre che dalle finestre, nella sua parte terminale
anche dal cono circolare formato da cerchi concentrici, che comunicando con l’esterno
svolge la funzione di pozzo luce e permette l’aerazione degli ambienti comunicanti con la
scala. Giunti a metà altezza, la scala permette l’accesso al primo piano, formato anch’esso
da una volta ad ombrello su costoloni, tessitura muraria con conci regolari, interrotta dagli
archi di riquadro formati dai costoloni. Le differenze architettoniche rilevabili si
riscontrano nei costoloni che qui si scaricano su semicolonne cilindriche su basi attiche a
base ottagona con scozia alta e poco profonda. Si distinguono quattro tipi di forme di foglie
ornamentali, quasi sempre due ordini di foglie riunite in cime a grappa cingono la
campana: in tre capitelli si vede la grappa semplice, il coronamento è formato da palmetta
e rosoncino. Nel quarto capitello, invece, manca la grappa ed il suo calice è circondato da
un doppio giro di palmette. L’abaco è identico a quello presente nelle mensole del piano

26
sottostante. Su due lati opposti si trovano due finestre rettangolari, che all’interno sono
formate da due alzate che consentono di accedere all’apertura, mentre lateralmente si
trovano due sedili in pietra. In questo livello attraverso una porticina si accede ad un
piccolo locale. Questo vano, sicuramente, era sede dei servizi igienici.

c) Secondo Piano.
Il secondo piano, attualmente scoperto, si presenta mozzato alla quota di circa m. 3,20 dal
piano di calpestio ed è definito, oggi, come piano terrazzo. Ai quattro angoli nei muri,
coincidenti coi punti cardinali, all’altezza di 1,20 m. dal pavimento della sala, sono visibili
quattro mensole coniche desinenti a goccia con lo stesso motivo del piano terra, sulle quali
sono impostati altrettanti costoloni, a sezione rettangolare con angoli smussati, che, forse,
dovevano sostenere la copertura. Un grosso concio tagliato con quattro facce
sporgenti,ritrovato al culmine della scala tra le macerie del secondo piano, sembra essere la
serraglia che chiudeva e riuniva i costoloni.

4.2. Periodizzazione e Descrizione delle attività.

Prospetto generale 100.


Il prospetto generale 100 corrisponde al lato d’ingresso della Torre. Una stretta porta
permette l’accesso all’interno. Poco sopra la metà della sua altezza, in corrispondenza del
primo piano, si apre una finestra sopra cui insiste un arco a tutto sesto che molto
probabilmente serviva da arco di scarico.

27
Fig. 6– Veduta lato A
Periodo I .
Attività 1 : Costruzione del muro.
Ad un’unica attività costruttiva appartiene il muro esterno (USM 101) impostato entro un
fossato che, seguendo l’inclinazione naturale della collina presenta dei dislivelli di quota
che influiscono sull’altezza e sullo spessore dello zoccolo di ogni lato. L’altezza dello
zoccolo del lato A è di 18 cm alle due estremità, mentre una variazione si ha nello spessore
di questo che varia, da sinistra verso destra, da 4 a 6 cm. L’altezza del lato si aggira intorno
ai 30 metri mentre la sua larghezza è di 7 m. La muratura è caratterizzata dall’utilizzo di
pietre di calcare, squadrate su tutti e quattro i lati e con la faccia a vista, spianata (fig. 6) .
L’apparecchiatura è regolare con pietre in posa orizzontale disposte su filari sfalsati. Ogni
filare è caratterizzato da conci la cui altezza si mantiene costantemente a 25 cm, come
regolari sono i letti di posa e i giunti la cui misura è di 0,5 cm. A circa 1,20 m dal suolo si
apre la Porta d’ingresso alta 3 metri e larga 1,12 m, chiusa nella parte superiore da un
ventaglio di conci ad ogiva con smussatura angolare che continua lungo gli stipiti. Inoltre a
questo periodo risale l’USM 103, cioè un arco inserito nella muratura che si trova poco
sopra la finestra,interpretabile come arco di scarico dei pesi che spingono dall’alto della
torre. Questo arco fa pensare che già nell’impianto originale questo lato, sia stato provvisto
di una apertura.

Periodo II .
Attività 2 : Costruzione della finestra.
All’interno della attività costruttiva del muro del lato A è stato individuato un secondo
periodo entro cui è stata inserita la costruzione della
finestra (USM 105). La finestra ha forma rettangolare
e misura 1,60 m alla base per circa 3,80 m di altezza.
Rispetto alla finestra che si apre nel lato D, opposto a
quello di cui stiamo trattando, questa presenta uno
stato di conservazione, peggiore. Per procedere alla
costruzione di questa apertura è stato effettuato un
Fig 7- Finestra del lato A taglio nella muratura (USM 104), dopo di che si è
proceduto alla costruzione dell’apertura seguita dal riempimento della parte superiore in
modo da rendere omogeneo il tutto e farla sembrare quasi in fase con il resto della
costruzione.

28
Prospetto generale 200
Il prospetto generale 200 è stato diviso in due periodi. Il primo si caratterizza per la
costruzione del muro e di una feritoia. Il terzo periodo o età moderna si caratterizza per le
erosioni visibili su tutto il lato, che si intensificano a partire dalla metà della sua altezza.

Fig 8 – Veduta lato B

Periodo I .
Attività 3 : Costruzione del muro.
Il muro esterno del lato B ( USM 201) presenta allo zoccolo uno spessore regolare che si
mantiene a 6 cm, mentre varia la sua altezza che da sinistra verso destra va da un minimo
di 18 a un massimo di 30 cm. L’apparecchiatura è regolare e anche in questo caso
caratterizzata da misure uguali a quelle del lato A.
Al pianterreno si apre una feritoia (USM 202), come le altre che si presenta una struttura a
doppio strombo, rotonda all’interno, all’esterno acuta e incoronata da un arco superiore.
Periodo III .
Attività 4: Erosione superficiale.
I prospetti generali 200 -300 - 500- 600 e 700 sono interessati, in maniera diversa sia
quantitativamente che rispetto gli prospetti, da una serie di erosione e degradi superficiali,
che hanno corroso l’aspetto originario del paramento che in alcuni punti diventa poco
visibile, mentre , per nostra fortuna, in altri l’erosione sembra non aver eroso in profondità
i conci,le quali sono state inserite nella sequenza stratigrafica. In alcuni lati sono visibili

29
delle incrostazioni che non sono state inserite nella stratigrafia perché non influivano sulla
lettura della muratura.

Prospetto generale 300


Il prospetto generale 300 è stato diviso in due periodi. Il primo si caratterizza per la
costruzione del muro il periodo III per le erosioni visibili su tutto il lato.

Fig. 9- Veduta lato C

Periodo I e Periodo III


Attività 5 : Costruzione del muro.
Il prospetto generale 300 (fig. 9) è caratterizzato da un’unica attività costruttiva che
riguarda il paramento murario, e identificato con il numero di USM 301, che appartiene al
periodo II. In questo lato si riscontra una variazione delle misure dello zoccolo sia in
altezza che nello spessore. L’altezza varia da un minimo di 32 cm a un massimo di 40,
mentre lo spessore è di 3 cm nel punto più stretto e di 4 alla sua nel punto più largo. I conci
sono regolari per la loro altezza , che si mantiene a 25 cm così come regolari sono i letti di
posa e i giunti che si mantengono a 0,5 cm. Questo lato viene definito “cieco” perché privo
di apertura. Come si può vedere dalla foto, questo prospetto, presenta numerose erosioni
che sono state identificate, numerate, e inserite nel terzo periodo.

30
Prospetto generale 400
Il prospetto generale 400 presenta due aperture, una feritoia corrispondente al pianterreno,
mentre al primo piano si apre una finestra sopra cui insiste un arco a tutto sesto che molto
probabilmente serviva da arco di scarico.

Fig. 10- Veduta lato D

Periodo I
Attività 6: Costruzione del muro.
Il muro esterno (USM 401), la feritoia (USM 402) e l’arco a tutto sesto
( USM 403), che insiste sopra la finestra, appartengono alla stessa attività costruttiva. Lo
zoccolo di questo lato presenta una altezza che varia da 40 a 50 cm alle sue estremità,
variazione che si riscontra anche nello spessore che va alle estremità da 6 a 7 cm. Il
pianterreno è illuminato da una feritoia che dall’esterno si restringe verso l’interno,
incoronata da un arco superiore. La finestra del primo piano è sormontata da un arco tondo.
Le ragioni sono evidenti: questo tipo di cornice permetteva una migliore staticità della
costruzione, consentendo anche di sviluppare nuove forme architettoniche.
L’apparecchiatura è regolare e le misure dei conci si mantengono costanti. In questo lato
sono visibili delle incrostazioni sui conci che si è scelto di non inserire nella stratigrafia
perché non influiscono negativamente nella lettura dell’apparato murario, mentre si è

31
ritenuto necessario inserire le erosioni perché a seconda della loro localizzazione ne
rendono difficile la lettura.

Periodo II .
Attività 7 : Costruzione della finestra.
All’interno della attività costruttiva del muro del lato A è stato individuato un secondo
periodo entro cui è stata inserita la
costruzione della finestra (USM 405).
La finestra ha forma rettangolare e misura
1,60 m alla base per circa 3,80 m di altezza.
Per procedere alla costruzione di questa
apertura è stato effettuato un taglio nella
muratura ( USM 404), dopo di che si è
proceduto alla costruzione dell’apertura
Fig. 11- Finestra del lato D (USM 406) seguita dal riempimento della
parte superiore (USM 405). Ai lati la finestra è incorniciata da due snelle ed eleganti
colonnine che sorreggono i capitelli a palmette, mentre la cornice rettilinea è ottenuta
tramite un triplice giro, l’ultimo dei quali ricadente in basso su una piccola mensola a
goccia.

Prospetto generale 500


Il prospetto generale 500 è stato diviso in due periodi. Il primo federiciano si caratterizza
per la costruzione del muro e di un condotto presente alla base di esso, il periodo III o età
moderna si caratterizza per le erosioni superficiali.

32

Fig. 12- Veduta lato E


Periodo I
Attività 8 : Costruzione del muro.
Il muro esterno (USM 501) e l’USM 502 sembrano essere contemporanei. La misurazione
dello zoccolo, per quanto riguarda la sua altezza, mantiene la
linea di tendenza verso un aumento di dimensionare registrata
finora, vale a dire si va da un minimo di 50 ad un massimo di 54
cm. Invece sembra in controtendenza lo spessore dello zoccolo
che tende a diminuire, passando dai 7 ai 4 cm. Sia i conci, sia i
giunti, che i letti di posa mantengono costante la loro
dimensione. A questo stesso periodo risale la costruzione
dell’USM 502 (fig. 13) che si trova a livello del suolo, la cui
Fig. 13- USM 502 forma richiama quelle delle feritoie, distinguendosene per la
proporzione delle parti che la rendono un po’ più tozza. Infatti essa misura 2 m d’altezza
per 1 m di larghezza ed è incorniciata da un arco rotondo. I due conci che fanno da base
sono disposti in linea orizzontale mentre quelli che vi poggiano sono inclinati, quasi a
formare uno scivolo. Le USM 503-504-505 rappresentano le erosioni superficiali, che
caratterizzano questo lato dove sono visibili anche segni di incrostazioni.

Prospetto generale 600.


Anche il lato F è stato diviso in due periodi: quello federiciano, in cui trova posto la
costruzione del muro, della feritoia e di un piccolo canale a circa 50 cm dal suolo, e il
periodo III.

Fig 14- Veduta lato F


33
Periodo I
Attività 9 : Costruzione del muro.
Partendo dalla base si nota , a partire da questo lato, una controtendenza nelle misure dello
zoccolo che tendono a diminuire da sinistra verso destra.
Infatti l’altezza passa da un massimo di 54 a un minimo 40
alle sue estremità, mentre lo spessore si mantiene costante
a 4 cm. Una caratteristica di questo lato è il fatto, che
nonostante si adatti agli altri lati per quanto concerne le
misure dei conci, dei letti di posa e dei giunti, esso è il lato
in cui si registra la larghezza minima. Mentre tutti gli altri
Fig. 15- Canale.
misurano 7 m. questo si ferma a 6,80m. Alla base del lato, a circa
50 cm del suolo si trova un canale che presenta le pareti lisciate, di 48 cm di altezza per 26
di larghezza ( fig. 15). A livello del pianterreno si apre una feritoia anch’essa decrescente
dall’esterno verso l’interno.

Prospetto generale 700.

Fig. 16 – Veduta lato G

Attività 10 : Costruzione del muro.


Il prospetto generale 700 (fig. 16) è caratterizzato da un’unica attività costruttiva che
riguarda il paramento murario, identificato con il numero di USM 701, che appartiene al
periodo I. Le misure dello zoccolo anche in questo lato decrescono passando da un

34
massimo di 40 cm a un minimo di 28 cm alle loro estremità, mentre lo spessore rimane
invariato a 4 cm. Questo lato come, quello che si trova al suo opposto, è definito cieco
poiché privo di apertura. Alla sommità di questo lato s’intravedono due tagli identificati
con i numeri di USM 702 e 703. Alle erosioni ( USM da 704 a 707) ed ai segni minimi di
incrostazioni si aggiungono alcuni muschi

Prospetto generale 800.


Il lato H rappresenta l’ultimo lato dell’ottagono. Questo lato è il primo che si vede
entrando, per la sua posizione parallela al muro di cinta presente all’ingresso.
Caratteristica di questo lato è, essere tagliato da 7 feritoie, in mezzo alle quali si apre una
finestra. Come per il lato G, anche qui alla sommità del lato si trovano due tagli.

Fig. 17- Veduta lato H .

Periodo I
Attività 11 : Costruzione del muro.
Il prospetto generale 800 (fig. 17) è caratterizzato da un’unica attività costruttiva che
riguarda il paramento murario, identificato con il numero di USM 801. Lo zoccolo
mantiene costante il suo spessore a 4 cm, mentre la sua altezza da destra verso sinistra
passa da un massimo di 28 a un minimo di 25 cm.
Il lato è diviso da sette aperture ( USM 802-803-808-809-810-811-812), le prime due
hanno forma di feritoie mentre le ultime 5 hanno forme rettangolari. A circa metà tra primo

35
e secondo piano, si apre un’apertura rettangolare, incorniciata da un arco a ogiva. Sopra e
sotto quest’apertura, si trovano otto tagli simmetrici in doppio allineamento, gli inferiori
più grandi (USM 804) di quelli superiori (USM 807), sotto le quali vi sono altre quattro
buche identificate con numero di USM 806. Alla sommità di questo di lato sono stati
identificati e numerati, due tagli simili a quelli presenti nel prospetto generale 700.

4.3. Sequenza stratigrafica della cinta muraria.

Prospetto generale 900.

Fig. 18- Veduta cinta d’ingresso interno Fig. 19- Veduta cinta d’ingresso esterno

Periodo I
Attività 12 : Costruzione del muro.
Il prospetto generale 900, nonché il tratto più breve,
corrisponde a quello che doveva essere, ed è ancora oggi,
l’entrata principale. L’accesso alla torre avveniva attraverso
una grande porta, di cui è ancora visibile uno dei due stipiti
(USM 905), la cui larghezza massima raggiunge i 2,10 m.
La parte anteriore del muro (fig. 19), ci mostra, sia il
riempimento (USM 909) composto da pietrame legato con
calce, che la parte finale del muro a livello del terreno. A
differenza dei conci utilizzati per la costruzione della torre, tra
una bozza e l’altra si nota la presenza dell’inserimento di
alcune zeppe di pietra, tra un giunto e l’altro, i tre filari Fig. 20- Veduta Stipite

36
rimanenti sono costituiti da bozze di altezza variabile che seguono l’andamento del terreno,
e sembrano pressoché regolari.
Il paramento murario interno (USM 901), ha una larghezza massima di 9,10 m, in cui sono
stati anche identificati e numerati dei tagli, interpretati come buche pontaie. I filari sono
composti da bozze di altezza variabile, le cui misurazioni in alcuni punti variano tra i 22 e
i 24 cm, mentre in altri rimangono costanti a 23cm. Questa variazione nelle altezze si
registra anche per i giunti e i letti di posa che variano da 1,5 a 2,5 cm, con l’inserimento, in
entrambi i casi, di zeppe di laterizio.

Prospetto generale 1000.

Fig. 21- Veduta cinta lato F

Periodo I

Attività 13: Costruzione del muro.


Il prospetto generale 1000, è caratterizzato da un’unica attività costruttiva che riguarda il
paramento murario, identificato con il numero di USM 1001 e rappresenta il tratto più
lungo conservatosi della cinta muraria. Le bozze oscillano in altezza tra i 23 e i 25 cm, i
letti di posa tra 0,5, e 2,5 cm, i giunti invece si mantengono costanti a 1,5 cm, e sono
realizzati senza l’inserimento di zeppe. Anche su questo lato si apre una porta (conservatasi

37
Fig 22- Particolare porta Fig 23- Particolare buche presenti nel muro di cinta laterale.

interamente), più piccola di quella dell’ingresso, che probabilmente fungeva da posto da


posto di guardia. La porta ( fig. 22) è alta 3,50 metri e il suo spessore è di 2,03 m, dal lato
interno è costituita da un arco a tutto sesto di, 2,10 m di larghezza invece verso l’esterno
l’arco è riempito a formare un’apertura rettangolare di 1,64 cm di larghezza. Nel tratto di
muro di destra, sono visibili delle buche ( fig. 23) allineate tra loro, interpretabili come
buche pontaie . Partendo da sinistra, la seconda dista dalla prima 63 cm, e 72 dalla terza,
che a sua volta dista 71 cm dalla quarta. Anche le loro dimensioni sono diverse : la prima è
alta 17cm e larga 16 cm; la seconda misura 16 x 16 cm; la terza è alta 10 cm e larga 13;
infine la quarta è alta 18 e larga 16.

38
LE UNITÀ STRATIGRAFICHE MURARIE. Tabella Riassuntiva.

USM DESCRIZIONE p.g. ATTIVITA’ PERIODO


101 Costruzione del muro 100 1 I
102 Porta d’ingresso
103 Arco di scarico della finestra
104 Taglio 100 2 II
106 Riempimento finestra
105 Costruzione della finestra
201 Costruzione del muro 200 3 I
202 Feritoia
203-204-205- 200 4 III
206- 207-208- Erosione superficiale
209-210-211
301 Costruzione del muro 300 5 I
302-303-304- 300 4 III
305-306-307- Erosione superficiale
308-309-310-
311
401 Costruzione del muro 400 6 I
402 Porta d’ingresso
403 Arco di scarico della finestra
404 Taglio 400 7 II
406 Riempimento finestra
405 Costruzione della finestra
501 Costruzione del muro 500 8 I
502 Canale di scarico liquami
503-504-505 Erosione superficiale 500 4 III
601 Costruzione del muro 600 9 I
602 Feritoia
609 Canale di Scarico
603-604 600 4 III
605-606 Erosione superficiale
607-608
701 Costruzione del muro 700 10 I
702 10 I
703 Tagli Sommatali 700

39
704-705-706- Erosione superficiale 700 4 III
707
801 Costruzione del muro 800 11 I
802-803-808- 11 I
809-810 Feritoie 800
811-812
805 Costruzione finestra 800 11 I

804-806-807 Buche 800 11 I

813-814 Tagli Sommitali 800 11 I

901 Costruzione muro 900 12 I

902 Buche Pontaie 900 12 I

904 Muro Stipite 900 12 I

905 Stipite 900 12 I

906 Riempimento 900 12 I

907 Buco 900 12 I

908 Muro Retro 900 12 I

909 Riempimento 900 12 I

1000 Muro cinta lato F 1000 13 I

1001 Porta cinta 1000 13 I

1003 Interfaccia di distruzione 1000 13 I

1002 Buche Pontaie 1000 13 I

903
910 Interfaccia di Distruzione 900 14 III
911

40
5. L’analisi delle tecniche costruttive.

Le potenzialità informative offerte dall’analisi delle tecniche murarie sono molteplici e di


grande rilevanza. Individuare il ciclo produttivo che porta alla costruzione di un muro può
fornire notizie indirette sulla conoscenza tecnica dei produttori, sulla trasmissione dei
saperi, sulle possibilità economiche dei costruttori e dei committenti, sulle suddivisioni dei
lavori all’interno di un cantiere. Tutte le murature che caratterizzano la Torre sono legate
tra di loro, per cui tra loro intercorre una relazione di contemporaneità confermata
dall’analisi delle tecniche. L’analisi delle tecniche murarie si svolgerà tenendo presente i
criteri codificati nel giugno 1987 nel convegno di Bressanone, e poi ripresi in successivi
contributi di Parenti59. A questo riguardo i parametri
scelti per la classificazione sono stati : il materiale da
costruzione, la posa in opera di quest’ultimo, la sua
lavorazione e finitura, il legante, lo spessore dei giunti e
dei letti di posa, le caratteristiche dei nuclei interni delle
murature. Per la realizzazione della Torre, i costruttori
Fig. 24- Campione lato B
hanno adottato una sola tecnica muraria.
Riguardo il materiale , per la Torre, così come della cinta muraria, è stato utilizzato un
litotipo di natura calcarea. La posa in opera è molto regolare e procede per filari orizzontali
e paralleli, con gli elementi in corrispondenza del cantone gerarchizzati, associati a letti di
posa e giunti altrettanto regolari e sottili ( fig. 24). Come legante è stato utilizzato una
malta di calce di colore grigiastro caratterizzata, ad un’osservazione macroscopica,
dall’utilizzo come inclusi di pietre di piccolissime dimensioni
( fig. 25). Il nucleo interno dei muri che costituiscono la
Torre non è visibile, trattandosi di una costruzione integra,
per cui le sole informazioni ricavabili si riferiscono allo
spessore dei muri che si aggira intorno i 3,05 m, che
presumibilmente presenta un riempimento con pietrame e Fig. 25- Malta

malta, simile a quello che è visibile nel nucleo interno del muro che compone un tratto
della cinta muraria. I conci presentano la faccia a vista perfettamente squadrata, con posa
in opera molto regolare, infatti i corsi seguono direzioni orizzontali, i conci hanno
direzioni orizzontali anche nel senso trasversale del muro e i giunti sono sfalzati tra loro.
L’intera apparecchiatura sembra corrispondere ad un modello mentale definito a priori, e

59
Parenti 1998, pp. 287-300, vedi poi Parenti 1988.

41
seguire un preciso schema progettuale, identificabile secondo lo schema delle tipologia di
Parenti, con quella che è definita apparecchiatura isodoma 60. Non si riscontrano variazioni
nelle misurazioni d’ogni singolo lato, difatti l’altezza dei conci rimane stabile a 25 cm così
come lo spessore dei giunti e dei letti di posa, che rimane costante a 0,5 cm. L’unica
variazione riscontrabile riguarda la larghezza dei lati F che misura 6,80m, e del lato G
rispettivamente 7,05m, laddove gli altri sei lati misurano 7 m. Inoltre, essendo la torre
impostata entro un fossato che segue l’andamento della collina, ogni lato presenta
un’altezza variabile, che si aggira intorno una media di 30 metri per lato.
A 23 metri di distanza dalla Torre con la stessa disposizione icnografica si leva il recinto
murario. Il suo stato di conservazione è ineguale nei diversi lati e solo in alcuni punti è
mantenuta l’integrità originale. L’altezza varia nei due margini interni, essendo
l’impostazione del muro condotta su di una base a scarpa che segue la declinazione della
collina. Internamente, a giudicare dal tratto rimasto integro, l’altezza doveva aggirarsi
intorno ai tre metri, mentre all’esterno la misura variava costantemente, mentre il suo
spessore era di due metri circa. La struttura del nucleo interno, ben visibile nel tratto di
mura corrispondente all’entrata, dato lo stato di degrado in cui si trova, si contraddistingue
per la presenza di pietre di raccolta miste a pietre spaccate, sebbene parte del sacco sia
stato regolarizzato con un paramento murario di rimpello eseguito in età moderna. In
questo tratto è ancora visibile lo stipite della porta d’entrata, la cui larghezza massima
raggiunge i 2,10 m, ed è contraddistinto da corsi regolari e paralleli di conci di medie
dimensioni che presentano giunti e letti di posa leggermente arretrati di dimensione
regolare. L’analisi delle tecniche murarie ha riguardato la parte interna del recinto
murario,poiché essa, nei due tratti conservatisi, presenta un livello di conservazione
maggiore, dove è stata

Fig. 26- Campione I cinta Fig. 27- Campione II cinta

60
Parenti 1998, p. 292

42
riscontrata l’utilizzo di una tecnica muraria diversa rispetto quella usata per l’edificazione
della Torre. I resti della cinta corrispondente all'ingresso della torre, anche in questo caso
presentano una la posa in opera molto regolare che procede per filari orizzontali e
paralleli, e per quello che è possibile intravedere, con gli elementi in corrispondenza del
cantone gerarchizzati. Nei due campioni presi in esame si riscontra una diversità nelle
misure. Dalle misurazioni si ricava una media di 23 cm in altezza, mentre per i letti di posa
leggermente arretrati, si ha una media di 1,75 cm, e dai giunti si ricava una media di 1,6
cm. In questo tratto si riscontra la presenza di zeppe in pietra di piccole dimensioni inserite
in modo da ottenere dei filari pressoché regolari. Il campione II è costituito da bozze
regolari di 23 cm d’altezza, i letti di posa forniscono una media di 2 cm circa, dove si
riscontra la presenza di zeppe di piccole dimensioni e di laterizio, i giunti danno una media
di 1,75 cm. Dei campioni sono stati presi anche nell’altro tratto di cinta, di cui si è
conservata pressoché integra la porta, in cui la posa in opera è anche in questo caso molto
regolare e procede per filari orizzontali e paralleli, in cui sono stati fotografati e misurati
due campioni, in cui anche in questo caso vi è una discordanza di dimensioni.
Il campione I ( fig. 28) è formato da bozze riquadrate e spianate che presentano una
variazione in altezza per una media di 25 cm circa, i
letti di posa si mantengono costanti a 1 cm così
come i giunti che misurano 1,5 cm.
Il secondo campione (fig. 29), nonostante le
erosioni superficiali, è formato da bozze riquadrate
e spianate, almeno per quanto è visibile su alcuni di
essi, dell’altezza costante di 23 cm, con letti di posa
Fig. 28- Campione I Cinta lato F.
di 0,5 cm e giunti di 1,5 cm.
In questo lato, come detto nel capitolo precedente, si apre una porta che fungeva da posto
di guardia. Questa, nella parte interna, termina con un arco a tutto sesto in cui manca la
chiave centrale. I cunei che costituiscono l’arco
sono di due tipi, e disposti alternativamente l’uno
accanto all’altro. Infatti al centro abbiamo due
cunei ricavati interamente da un unico blocco di
pietra, accanto a cui sono posti cunei ricavati
dall’unione di due blocchi perfettamente lavorati,
che posti uno sull’altro ripetono lo schema formale
Fig. 29- Campione II Cinta lato F
di quelli interi.

43
La spalla dell’arco poggia su uno stipite, formato da bozze riquadrate, in numero di 11 per
lato, in cui gli elementi sono gerarchizzati. La parte esterna della porta è sormonta da un
architrave, che presenta nella parte inferiore una forma rettangolare ottenuta incastrando
tra loro 4 bozze a forma di L, sormontate da 5 bozze preparate in maniera tale da seguire
l’andamento curvilineo della parte superiore. Nonostante per la costruzione della cinta
muraria sono state utilizzate pietre sbozzate, non possiamo non notare che lo schema
costruttivo richiama quello della Torre per una tendenza a dare a quest’apparato murario,
un aspetto pseudo-isodomico.
I dati così acquisiti consentono d’ipotizzare, a fronte di un contemporaneo momento di
costruzione della Torre e del circuito murario ( per unitarietà di materiali e caratteristiche
tecniche), la presenza di lapicidi e muratori, i primi impegnati nelle strutture di maggiore
rappresentanza, la Torre e gli accessi al circuito murario, i secondi impegnati solo nel
circuito.

44
6. Sintesi Conclusive.
Nel seguente capitolo si tenterà di delineare una sintesi del lavoro sin qui svolto, dedicando
il primo paragrafo alla sequenza costruttiva e alle informazioni che riteniamo vengano alla
luce partendo dall’analisi delle evidenze materiali, non trascurando,inoltre, di citare le
ipotesi che sono state formulate da studiosi che si sono occupati del monumento in passato.
Nel paragrafo successivo si tenterà di tracciare una storia del cantiere, che necessariamente
rimanderà alla storia economica e politica della città di Enna in rapporto al monumento.
Infine si porterà a compimento lo studio condotto finora, mettendo a confronto porzioni di
muratura della Torre di Federico con altri manufatti pressoché contemporanei o che
comunque rispondono ad una simile tipologia costruttiva.

6.1. Lettura stratigrafica e nuove acquisizioni sulle sequenze costruttive.


La lettura stratigrafica effettuata su di un’architettura sostanzialmente omogenea ha
permesso di mettere a fuoco delle sequenze costruttive in passato interpretate senza tener
conto delle evidenze materiali. La prima riguarda il periodo di costruzione delle finestre
del primo piano dal momento che vi sono studiosi come G. Agnello 61 che la datano al
periodo federiciano. Secondo la sua opinione qualsiasi rimaneggiamento dell’originale
finestra non sarebbe potuto avvenire senza che si avessero delle conseguenze

Fig. 30- Finestra del lato D

sia sul piano stilistico che delle tecniche costruttive. Egli vede “nel triplice giro di cornice
cordonata che accompagna e chiude, con cadenzata rientranza angolare, il taglio
dell’architrave, il logico sviluppo di un partito decorativo che ha condotto all’impiego della

61
Agnello, 1935.

45
cornice a bastone lungo gli stipiti...” inoltre afferma “ le due sezioni inferiore e superiore,
della cornice presentano un intimo legame con i capitelli, che costituiscono l’integrazione
naturale di uno stesso quadro decorativo”, insomma l’Agnello afferma un sincronismo
costruttivo tra l’architettura della torre e le finestre. Ma se fossero davvero contemporanee,
perché le finestre non sono state curate nei dettagli in modo da farle apparire omogenea
con il resto della costruzione, quale poteva essere l’aspetto originario? L’impressione del
rimaneggiamento, nella finestra del lato A, potrebbe essere suggerito dalle sue condizioni
di degrado, per questo la nostra attenzione si è maggiorente concentrata su quella del lato
D, (fig. 30) che si presenta più integra. Anche in questo caso l’analisi stratigrafica ha
evidenziato la presenza di un taglio in corrispondenza dell’apertura, chiaro indizio di una
sua non contemporaneità costruttiva con il resto dell’edificio.
In tutte le aperture della torre c’è una caratteristica che le accomuna, ed è il fatto, che le
loro misure tendono a restringersi verso l’interno. Anche nelle finestre è evidente questa
caratteristica, che potrebbe far pensare che la finestra originale, si presentasse come le
sottostanti feritoie, e che l’arco che si trova attualmente sopra la finestra e che è stato
lasciato per garantire la stabilità del muro, servendo da arco di scarico dei pesi, fosse la
terminazione naturale di questa apertura. Teniamo a precisare che quest’ipotesi è stata
formulata senza l’ausilio di fonti storiche o di altro genere, ma solo sulla base di ciò che
l’architettura di questo monumento ci suggerisce. Secondo la nostra impressione, per
arrivare a quello che è il suo aspetto attuale, i costruttori hanno, tagliato l’apertura originale
ai quattro lati, procedendo contemporaneamente al riempimento dell’arco sovrastante. Una
volta ottenuta la forma rettangolare hanno scolpito la cornice e le colonnine ai lati con
capitelli a palmette, motivo decorativo presente, insieme ad altri, nei capitelli delle colonne
che si trovano all’interno del primo piano, mentre le mensole con cui terminano le
colonnine laterali richiamano quelle del piano terra. Per cui chi ha provveduto a riadattare
la finestra, doveva avere due scopi: il primo inserire le nuove forme architettoniche
affermatesi nel Quattrocento siciliano che vanno sotto il
nome di gotico catalano, il secondo, attraverso la cura di
piccoli dettagli, affermare una certa continuità con la
cultura precedente. La tesi della non contemporaneità tra
le due attività costruttive, potrebbe essere confermata
anche attraverso il confronto stilistico con il duomo di
Enna, in particolare con quella che è chiamata “ Porta
Santa”, ( fig. 31) eretta a ricordo del giubileo festeggiato

Fig. 31- Porta Santa del Duomo


46
in occasione delle oblazioni offerte dal popolo ennese per la ricostruzione del duomo
andato distrutto nell’incendio del 1449. La porta Santa del duomo è anch’essa incorniciata
ai lati da colonnine i cui capitelli recano una teoria foglie a grappa, che s’innestano agli
angoli in funzione di contrafforti e nello stesso tempo si traducono in un espediente
decorativo, la cornice cordonata non ha più forma rettangolare ma ad arco, decorata nella
lunetta con decorazione seghettata, ed è
superiormente chiusa da un’edicola cuspidata.
Un altro dato emerso dalla lettura stratigrafica
riguarda il lato H, diviso da sette aperture, per
tutta la sua lunghezza, dove, a circa metà tra
primo e secondo piano, si apre un’apertura
rettangolare, incorniciata da un arco ad ogiva.
Sopra e sotto quest’apertura, si trovano otto tagli Fig. 32- Particolare dei tagli nel lato H

simmetrici in doppio allineamento, gli inferiori più grandi di quelli superiori, sotto i quali
vi sono altre quattro buche.
Questo allineamento, unito a quello che
doveva il solco d’adesione del tettuccio
spiovente, suggerisce che questo lato,
nella sua formulazione originaria potesse
ospitare un ballatoio. I fori inferiori, la cui
dimensione maggiore è di cm 35 x 70,
dovevano alloggiare un doppio ordine di
travi di diversa estensione, incastrate a
mensola nel muro, che dovevano
Fig. 33- Ricostruzione Veranda ( disegno dell’arch. M. Nasonte)
sopportare l’intera struttura, costituita, verosimilmente, dalle stesse mensole, da un ordine
di travi secondarie trasversali, da un tavolato per pavimento, da pilastri, anch’essi di legno
che sorreggevano la copertura formata da un impalcato costituito da altre mensole in legno,
inclinate verso il basso, anch’esse incastrate nel muro, da un secondo ordine di travetti di
legni trasversali, da un tavolato sovrastante e una stesura di coppi dell’epoca. La notevole
sezione delle doppie mensole portanti induce a credere che esse fossero incastrate nello
spessore del muro per circa un metro e sporgessero per non più di due.
L’analisi delle evidenze materiali consente di ipotizzare, inoltre, che l’ultimo livello
presentasse una copertura, com’è deducibile dai particolari architettonici rimasti in situ: dai

47
quattro angoli non contigui, si staccano, legate alla muratura, quattro arcate appena
impostate, in stato evidente di degrado, poggianti su mensole a goccia.
A rafforzare l’ipotesi che vi fosse una copertura in questo piano, è il ritrovamento fortuito
durante i lavori di restauro, fra le macerie allo stesso livello, di una pietra a forma esatta di
chiave di volta a quattro elementi. L’esistenza delle arcate appena impostate su quattro
angoli, portano a supporre che la copertura fosse in legno e pietra, quindi più leggera di
quelle presenti nei livelli sottostanti, e per ciò non necessariamente insistente su otto archi
angolari. Le arcate lapide s’imposterebbero sulle mensole a goccia, chiuse con una chiave
a quattro elementi, sulla quale ne insisteva un’altra costituita da travi lignee. I tagli
esistenti in cima alla torre nella parete esterna (USM 702-703-813-814), anch’essi appena
accennati, fanno pensare all’esistenza di feritoie accoppiate sui due lati, che avevano lo
scopo di servire come punti d’avvistamento.
Un altro particolare dell’architettura che ha attirato la nostra
attenzione è l’USM 502 (fig. 34). I due conci che fanno da base
a quest’apertura, sono disposti in linea orizzontale mentre quelli
che vi poggiano sono inclinati, quasi a formare uno scivolo,
finendo con un foro nella parte alta. Questa USM è collegata,
attraverso un condotto ad un piccolo locale che si trova al primo
piano. Questo vano, sicuramente, era sede dei servizi igienici Fig. 34- USM 502

giacché un taglio nel pavimento, in fase con quest’ultimo, finemente levigato, scende
verticalmente, comunicando con l’esterno della Torre attraverso l’USM 502. Le sue
dimensioni sono dovute a necessità pratiche, come la pulizia del condotto stesso.
Inoltre nel lato F, a circa 50 cm del suolo si trova un canale
che presenta le pareti lisciate, di 48 cm d’altezza per 26 di
larghezza ( fig. 35). Questo canale, molto probabilmente
serviva per far defluire le acque piovane verso l’esterno. Con
questo paragrafo si è cercare di restituire alla Torre
l’immagine che doveva avere quando Federico ne ordinò la
Fig. 35 - USM 609 costruzione, tentando, per quanto possibile, di compiere un
passo avanti nella conoscenza di uno dei monumenti simbolici della città di Enna.

48
6.2. Organizzazione del cantiere.
In base agli strumenti propri dell’archeologia dell’architettura uno dei parametri essenziali
per lo studio dell’organizzazione di un cantiere, è l’analisi delle tecniche murarie. Come
detto nel precedente capitolo i costruttori della Torre si sono avvalsi di due differenti
tecniche per la realizzazione della Torre e della cinta Muraria. La prima è caratterizzata da
un’apparecchiatura che impiega conci squadrati di natura calcarea, rifiniti da una
spianatura superficiale. La posa in opera è regolare e procede per filari orizzontali
associati a letti di posa e giunti altrettanto regolari e sottili, legato all’utilizzo di uno
spessore minimo di malta fra i conci, appena avvertibile, che formano una tessitura a
disposizione isodomica. La seconda tecnica, associabile alla prima per l’impiego del
medesimo litotipo, si caratterizza per la presenza di bozze dalla squadratura sommaria che
presentano tracce di rifinitura superficiale. La posa in opera tende, anche in questo caso,
alla regolarità procedendo per filari orizzontali associati a letti di posa e giunti di spessore
variabile in alcuni punti, in cui gli interstizi, causati dalla non perfetta squadratura, sono a
volte colmati con l’inserimento di zeppe di pietre di piccole dimensione o di frammenti di
laterizi, in modo da ottenere, anche in questo caso una tessitura quasi isodoma. La
contemporaneità cronologica e di utilizzo delle due tecniche murarie appena descritte
evidenziano chiaramente la contemporanea presenza nel cantiere della Torre di due gruppi
di maestranze dotati di capacità tecniche distinte. Il lavoro degli scalpellini è evidente per
la perfetta squadratura dei conci, e suggerita dal fatto che l’apparato murario segue le
regole fondamentali degli scalpellini, cioè : i corsi seguono direzioni orizzontali; i conci
hanno direzioni orizzontali anche nel senso trasversale del muro; i giunti devono essere
sfalsati tra loro. Buoni muratori furono impiegati nella costruzione del muro di cinta che
denota una specializzazione minore per la sommaria squadratura delle bozze. Certamente
la collaborazione tra questi due gruppi di maestranze dovette essere continua e costante,
anche al momento della posa in opera, come sembra essere testimoniato dalla presenza di
conci sagomati a forma di L nell’architrave che compone la parte esterna della porta
presente nella cinta muraria. Anche i tipi di impalcatura impiegati sembrano essere diversi:
nella Torre non si sono trovate tracce di buche pontaie ne di tamponamenti delle stesse, il
che presuppone che sia adottato un impalcato in movimento in grado di sostenersi senza
l’ausilio di supporti, mentre nella cinta si sono trovate buche pontaie alla stessa altezza che
presuppongono l’impiego di un’impalcatura stabile in cui le travi di sostegno erano
incastrate nell’apparato murario, e che a lavoro concluso non si è proceduto a tamponare.

49
La presenza di due tipi di maestranze, e il fatto che si sia adoperato un litotipo di natura
calcarea per tutti gli apparati murari, sono indici di un ciclo produttivo complesso della
pietra. L’impressione è quella di un cantiere partito da un progetto iniziale ben definito ed
unitario legato ad una committenza forte e capace di avvalersi di diverse figure
professionali. Infatti ci sembra chiaro che per partire da un progetto definito il
committente abbia avuto bisogno di un architetto che si sia occupato della progettazione
dell’intero complesso, oltre ai muratori e agli scalpellini e ai maestri del legno, secondo le
ipotesi fatte riguardo l’esistenza di una veranda di legno nel lato H, e di una copertura di
legno nel secondo piano che implica la presenza di uno specialista. L’esistenza di colonne e
mensole all’interno sottintendono che a realizzarli sia stato uno scultore, infine si
presuppone la presenza di personale che si sia occupato della realizzazione del legante.
Una conferma dal punto di vista delle evidenze materiali è dato dal confronto tra le
tecniche della Torre e quelle di altri edifici federiciani in Sicilia, dove è evidente una
particolare cura nella squadratura della pietra o nella regolarità della posa in opera. 62
Quanto detto finora indica che le risorse economiche a disposizione del committente
dovevano essere notevoli, e che ci troviamo in un periodo di stabilità politica, almeno per
quanto riguarda la città di Enna, d'altronde abbiamo sottolineato più volte che la
committenza della Torre è attribuita all’imperatore Federico II di Svevia. A supporto di
tale affermazione ricordiamo il provvedimento promulgato con la legislazione di Capua,
che investiva direttamente l’architettura del tempo per le disposizioni che stabilivano il
ritorno a pieno titolo al demanio di città fortificazioni, castelli, villaggi casali alienati dopo
la morte di Guglielmo II e la requisizione e distruzione di ogni struttura militare di
pertinenza non regia edificata in quello stesso periodo.

62
Si rimanda al volume a cura di Di Stefano – Cadei per il censimento e l’analisi di altri edifici cronologicamente coevi alla Torre.

50
6.3. La Torre di Federico II. Prospettive di ricerca per una archeologia
dell’architettura medievale ad Enna.

Il presente lavoro di ricerca si pone come un primo passo verso lo studio sistematico
dell’architetture medievali di Enna, nella prospettiva di un futuro possibile
approfondimento del lavoro, esteso al resto del
centro storico. Alcune prime considerazioni in
forma preliminare rendono, infatti, quanto mai
stimolante il confronto, ad esempio tra la
Torre di Federico e l’altro importante
monumento medievale di Enna, il Castello di
Lombardia. Questo complesso si trova sul
versante orientale dell’altopiano ennese, in un
Fig. 36- Veduta del Castello di Lombardia
luogo legato al mito, la Rocca di Cerere, e alla
storia della colonizzazione lombarda, da cui prende il nome. Si tratta di una cinta
bastionata, a forma di grande quadrangolo con il lato occidentale, verso l’abitato,
impostato sulla roccia tagliata a scarpa ed emergente dall’anello stradale che la circonda.
L’organizzazione generale è a tre cortili con il primo, detto degli armati o San Nicola, per
la probabile presenza di una chiesa dedicata a questo Santo,
il secondo detto della «Maddalena», per la supposta
presenza di un’ulteriore chiesa dedicata appunto alla
Maddalena, e il terzo cortile, il più piccolo dei tre, detto di
San Martino. Questo terzo cortile ha la pianta di un
pentagono irregolare con i vertici occupati da due torri,
diverse per estensione l’una dall’altra, e al centro si trovava
la chiesa dedicata a San Martino della quale sopravvivono
alcune pietre. Questa era chiusa entro una scatola
prismatica mononavata con catino absidale semicircolare.
Allo spigolo nord-ovest fa ancora bella mostra di sé la
Fig. 37- Veduta della Torre Pisana Torre Pisana (fig. 37), l’unica pervenuta integra, vero e
proprio mastio del Castello, che nel nostro progetto è presa in esame per procedere ad un
confronto. Inoltre, sempre all’interno del cortile di San Martino, vi è un ambiente,
interpretato come un salone, che si pensa fu costruito da Federico II in base al fatto che al

51
Castello di Milazzo ce ne sarebbe uno simile, sia per dimensione sia per tipologia
costruttiva, e di cui sono stati presi dei campioni di muratura in modo da poter procedere
ad un confronto con la Torre di Federico.
Riguardo alla cronologia di costruzione di questo complesso ancora non sono usciti
contributi validi relativi ai diversi periodi di costruzione. Gli studi a riguardo
confermerebbero delle preesistenze edilizie su cui sarebbe poi stato impostato il castello di
età federiciana, distrutto dopo la morte di Federico II dagli ennesi come conseguenza di
moti di ribellione e poi in parte ricostruito da Manfredi ed in seguito interessato da ulteriori
interventi edilizi di età moderna.
È da osservare, innanzitutto che, in molti casi, i conci delle murature presis in esame, a
causa delle loro caratteristiche mineralogiche e chimiche, sono giunte fino a noi in un
grave stato di corrosione superficiale, causato dall’azione degli agenti atmosferici nelle
superfici esterne, dalle infiltrazioni e dalle incrostazioni nelle superfici che si trovano
all’interno. Nonostante ciò, restano evidenti i segni che contraddistinguono la messa in
opera dei conci e le loro caratteristiche dimensionali.

Fig. 38 – Campione I Interno Salone Fig. 39– Part. Arcata del Salone

La muratura della Torre di Federico II presenta una tessitura a disposizione isodomica,


caratterizzata da filari di conci regolari della stessa altezza, esattamente 25 cm. e l’impiego
di uno spessore minimo di malta sia nei giunti che nei letti di
posa, che dà al monumento un aspetto di estrema compattezza.
Anche la muratura del salone presenta una tessitura isodoma, data
da una posa in opera regolare di filari orizzontali di conci di 23
cm di media, in cui si riscontra una variazione minima nello
spessore dei letti di posa, mentre i giunti si mantengono costanti
Fig. 40- Campione Torre pisana
a 1 cm. Anche le misure prese sulle arcate, che si suppone

52
reggessero la copertura lignea, presentano un’altezza di 23 cm di media, una variazione nei
letti di posa che oscillano tra 1 e 1,5 cm di spessore, e i giunti regolari di 0,5 cm.
Per quanto riguarda la Torre Pisana, questa è caratterizzata da una muratura a disposizione
pseudo-isodomica, contraddistinta da un posa in opera regolare che procede per filari
orizzontali. Nei campione di muratura presi all’interno della Torre sono state utilizzate
pietre squadrate sommariamente, che non seguono una altezza definita, infatti variano da
un minimo di 33 cm a un massimo di 35 cm, lo spessore dei letti di posa oscilla tra 0,5 e 1
cm, quello dei giunti si mantiene stabile 0,5. Nonostante le variazioni riscontrabili nelle
misurazioni, la Torre Pisana sembra appartenere al periodo maturo dell’architettura
federiciana e così pure l’insieme del terzo cortile.
Queste constatazioni, tenendo presente che le strutture del Castello hanno subito varie
manomissioni e rifacimenti, collocabili entro l’iniziativa di Manfredi, a differenza della
Torre, portano alla conclusione che, pur trattandosi di murature comparabili per tipologia o
cronologia, la loro posa in opera fosse da attribuire a maestranze diverse, sempre a servizio
di un potere di tipo signorile.
Partendo dalla locazione topografica del castello di Lombardia e della torre oggetto di
questo lavoro è evidente che ambedue i complessi siano situati in posizione strategica in
modo da controllare due distinte parti della sottostante vallata, rispettivamente verso l’area
catanese e in direzione dell’interno del territorio di Enna. L’analisi delle tecniche murarie,
che pur evidenziando minime differenze consente al momento, in via preliminare, di
individuare parti del castello (ad esempio alcuni lacerti del salone) vicine tecnologicamente
alla tessitura della torre, porta ad ipotizzare i due complessi monumentali come facenti
parte di un medesimo progetto legato sia alle esigenze difensive di Federico II, con
particolare riferimento al castello, sia a quelle abitative-difensive svolte dalla torre.

53
BIBLIOGRAFIA

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