Professional Documents
Culture Documents
CAPITOLO 1
1. La linguistica il linguaggio e i linguaggi
Il linguaggio è, per definizione, un sistema di comunicazione tra un individuo detto emittente ed uno detto
destinatario. La linguistica è lo studio scientifico del linguaggio cioè non studia ciò che si deve o non deve
dire ma ciò che effettivamente viene detto. Essa formula ipotesi generali sulla struttura del linguaggio
Il linguaggio umano viene definito discreto, ossia può essere diviso in parti che hanno ognuna di esse dei
limiti ben definiti. Per esempio in una frase riusciamo a distinguere le parole e tra le parole distinguiamo le
lettere. Questa possibilità di distinzione tra parti aventi significato e parti non aventi significato viene
chiamata doppia articolazione. La possibilità di creare frasi di lunghezza indefinita viene detta ricorsività. La
possibilità cozza tuttavia con l’effettiva realizzazione di frasi, questo marca la differenza tra competenza ed
esecuzione. Le caratteristiche del linguaggio umano sono dunque: discretezza, doppia articolazione e
ricorsività. Le frasi nel linguaggio non sono semplici successioni di parole ma dipendono da una struttura.
3. Il linguaggio e le lingue
CAPITOLO 2
1. Parlato e scritto
In una lingue lo scritto viene sempre dopo il parlato, va da sé che l’evoluzione dello scritto sia più lenta
rispetto a quella del parlato. Di conseguenza, gli alfabeti delle singole lingue con coprono tutte le possibilità
di realizzazione fonetica.
2. Astratto e concreto
Se si provasse a registrare un parlante pronunciare una singola lettera per, ad esempio, 12 volte si
otterrebbero 12 realizzazioni diverse, tuttavia il parlante della stessa lingua riuscirà perfettamente a capire
di quale lettera si stia parlando. Questo ha fatto pensare che in una lingua esista un livello astratto ed uno
concreto
Saussure nel suo Corso di linguistica generale diede l’importante definizione di langue e parole. Egli si
riferiva alle parole come all’esecuzione linguistica realizzata da un individuo, una produzione di suoni
concreti. Essa avviene attraverso la langue, che è il sistema generale di una lingua, non è individuale ma
collettivo, non concreto ma astratto, grazie al quale i parlanti della stessa lingua possono capirsi.
Jackobson distinse sulla stessa lunghezza d’onda il codice dal messaggio, sempre sulle basi di una
separazione di astratto e concreto. Il codice è un insieme di realizzazioni possibili, quindi astratto, il
messaggio è ciò che viene effettivamente detto.
Allo stesso modo Chomsky distinse tra competenza ed esecuzione. La competenza è il livello astratto della
lingua ma a differenza della langue è individuale non collettiva, l’esecuzione è quello che viene detto.
Ogni parlante madrelingua porta quindi con sé delle competenze che stanno nel livello astratto ed
individuale della sua lingua, che egli ha raccolto empiricamente, e successivamente grazie ad un’eventuale
scolarizzazione, tramite lo studio.
Un parlante sa riconoscere quali sono i suoni che appartengono alla sua lingua e quali probabilmente lo
sono o no. Conosce inoltre le regole fonologiche della sua lingua senza averle dovute studiare
Un parlante sa quali parole appartengono alla sua lingua e quali no. Sa inoltre formare parole nuove da
parole basi attraverso prefissi e suffissi. Sa formare parole composte e sa tuttavia riconoscere ad orecchio
quando una parola risulta malformata.
Un parlante conosce senza saperlo le regole di sintassi della propria lingua e sa dire anche senza saper
spiegare perché una frase è strutturalmente malformata oppure è costruita correttamente. Le regole di
sintassi principali vengono immagazzinate dal bambino in modo automatico, per cui non corrispondono ad
eccezioni. I bambini inglesi, per esempio, per formare il passato del verbo go scrivono goed
Un parlante sa risalire al significato di una parola pur senza conoscerla e può istituire tra le parole relazioni
di sinonimia e di antonimia. Conosce però che non esiste la sinonimia completa, pur volendo dire la stessa
cosa numeroso e molteplice non possono essere usati nelle stesse situazioni.
Tutte queste competenze fanno parte della grammatica del parlante ossia tutto un insieme di conoscenze
immagazzinate nella mente. Questi dati vengono raccolti durante l’infanzia e sono detti dati linguistici
primari.
4. Una lingua non realizza tutte le possibilità
Ogni lingua è fondamentalmente costituita da due livelli: le unità di base e le regole che combinano queste
unità. Le lingue del mondo non utilizzano tutte le possibilità né a livello di regole né a livello di unità.
5. Sintagmatico e paradigmatico
Queste due distinzioni vennero fatte da Saussure. Rapporti sintagmatici significano rapporti in praesentia,
per esempio la trasformazione del suono di c da amico ad amici, o ancora la differenza della n tra anfora e
ancora. Considerando una parola come stolta, tra s e o ho il suono t. Al posto di t potrebbero comparire altri
suoni ma la realizzazione di uno esclude l’altro. Questi sono detti rapporti paradigmatici o in absentia. Un
altro esempio di rapporto paradigmatico possono essere le declinazioni della lingua latina.
6. Sincronia e diacronia
Anche questa distinzione venne fatta da Saussure. Per studio diacronico di una lingua si intende lo studio dei
suoi cambiamenti secondo la variabile del tempo. Se vogliamo vedere come funziona l’accordo tra nome e
aggettivo in italiano senza ricorrere alla variabile tempo facciamo uno studio sincronico.
7. Il segno linguistico
Secondo Jackobson i componenti necessari per un atto comunicativo sono: emittente, referente, messaggio,
canale, codice, ascoltatore. A ciascuna di queste componenti Jackobson associa una funzione della lingua:
emotiva (serve per parlare di sé), referenziale (serve per parlare di concetti appartenenti al mondo esterno),
poetica (serve per invitare l’ascoltatore a sentire un messaggio), fatica (serve per verificare il canale
attraverso cui si parla), metalinguistica (serve alla lingua per parlare di sé stessa), conativa (serve per dare
ordini)
9. Lingue e dialetti
In Italia la lingua ufficiale è l’italiano ma sappiamo che storicamente esso venne imposto. I parlanti di
italiano all’epoca dell’unità d’Italia erano meno del 2%. Nel parlato l’italiano ha ancora oggi diverse
realizzazioni a seconda di dove ci si trovi. La lingua dunque è stratificata sia socialmente che
geograficamente. Potremmo riconoscere 7 livelli di italiano: scritto, parlato formale, parlato informale,
regionale, dialetto di koinè, dialetto di capoluogo di provincia, dialetto locale. Esistono quindi diversi registri
linguistici che un parlante può adoperare a seconda delle occasioni.
CAPITOLO 3
Introduzione
Abbiamo già visto come le lingue del mondo vengano unite attraverso gli universali linguistici ossia
caratteristiche comuni a tutte. Esistono dei precisi criteri di classificazione: genealogico, tipologico, areale.
Due lingue sono genealogicamente collegate se esse derivano da una stessa lingua madre. Per esempio
l’italiano e il francese derivano dal latino, il latino fa parte a sua volta della famiglia indoeuropea. La famiglia
è l’unità genealogica più grande, seguono i gruppi e i sottogruppi. Due lingue si dicono tipologicamente
correlate se manifestano una o più caratteristiche comuni a livello sintattico. Dal punto di vista areale due
lingue sono correlate dal punto di vista areale se anche essendo genealogicamente lontane parenti
presentano alcune caratteristiche comuni. Il serbocroato, il macedone, il bulgaro. Il romeno, l’albanese e il
neogreco sono tutte lingue indoeuropee ma facenti parte di gruppi diversi. Essendo geograficamente vicine
hanno sviluppato alcune caratteristiche comuni tra cui la cosiddetta assenza dell’infinito.
2. La famiglia indoeuropea.
INDOEUROPEO
Indo iranico anatolico tocario armeno albanese slavo ellenico baltico italico germanico celtico
Indiano iranico occidentale orientale orientale italo falisco orientale occidentale gaelico britannico
3. Classificazione tipologica
Morfologicamente le lingue vengono divise in lingue isolanti, agglutinanti, flessive e polisintetiche. Il tipo
isolante è caratterizzato da una mancanza quasi totale di morfologia, i nomi non hanno né caso né numero
e i verbi sono in un’unica forma. Nelle lingue agglutinanti ogni parola contiene tanti affissi ognuno dei quali
aggiunge un significato in più alla parola base. Nelle lingue flessive vi è invece un’ampia morfologia e i
suffissi hanno per la maggior parte un valore grammaticale. Le lingue polisintetiche sono per esempio il
latino dove l’affisso –os è portatore di più significati (accusativo, plurale)
La tipologia sintattica tiene conto dell’ordine delle parole all’interno delle frasi. Le combinazioni sintattiche
sono le seguenti: la presenza di proposizioni (Pr) o di posposizioni (Po), la disposizione di soggetto verbo e
oggetto all’interno della frase dichiarativa (SVO, SOV, VSO), l’ordine di aggettivo e nome (AN, NA), l’ordine
del complemento di specificazione rispetto ad un nome (GN, NG). Tutte queste caratteristiche possono
essere messe insieme e formano le implicazioni dette universali.
CAPITOLO 4
1. La fonetica
L’apparato fonatorio si divide principalmente nella cavità orale, cavità nasale, glottide, epiglottide, laringe e
corde vocali.
I suoni sono classificati in base a 3 parametri: modo di articolazione, punto di articolazione e sonorità. Se ne
ricava la seguente tabella IPA
Le consonanti possono accoppiarsi e combinarsi in nessi consonantici, questa combinazione non è libera ma
è soggetta a regole. Per esempio se una parola inizia con tre consonanti la prima deve essere una s. vocali e
semivocali si associano in dittonghi che possono essere ascendenti (sv+V’), discendenti (V’+V) o in
trittonghi.
3. Suoni e grafia
L’italiano è una lingua abbastanza coerente cioè ad ogni suono corrisponde un solo simbolo. Ci sono tuttavia
alcune incoerenze: due simboli diversi per un solo suono ( c,ch [k]), due suoni diversi con lo stesso
simbolo ( [k], [ʧ] c) due simboli o tre per un solo suono ( gli [ʎ]).
5. Fonetica e fonologia
La fonetica si occupa dell’aspetto fisico dei suoni o foni, la fonologia dei fonemi, cioè un segmento fonico
che ha una funzione distintiva, non può essere ulteriormente scomposto, è definito da caratteri che abbiano
un valore distintivo. Per riconoscere un fonema si ricorre alle coppie minime, ossia coppie di parole che
differiscono per un solo suono nella stessa posizione. [bara] e [tara] sono coppie minime, [b] e [t] in quella
posizione fanno cambiare significato alla parola, saranno quindi due fonemi della lingua italiana. Il fonema
fa parte della componente astratta della lingua, il fono di quella concreta.
Prima regola: quando due suoni ricorrono nelle stesse posizioni di una parola e non possono essere
scambiati senza far mutare significato alla parola allora essi sono due realizzazioni fonetiche di due diversi
fonemi.
Seconda regola: quando due suoni ricorrono nelle stesse posizioni in una parola e possono essere scambiati
senza far mutare di significato la parola allora esse sono varianti libere di un unico fonema.
Terza regola: quando due suoni di una lingua, simili dal punto di vista articolatorio, non ricorrono mai nelle
stesse posizioni, essi sono varianti combinatorie di un unico fonema
5.4 Allofoni
Si consideri in italiano la lettera s. Essa compare in varie parole ma il suono con cui la si pronuncia cambia. Il
fono [s] ricorre in posizione iniziale prima di vocale, in posizione finale e prima di consonante sorda. Il fono
[z] compare tra due vocali o prima di una consonante sonora ([s]era, lapi[s], [s]parito, ro[z]a, [z]naturato). Ci
sarà dunque un unico fonema /s/ che avrà due realizzazioni fonetiche [s] e [z] che saranno dette allofoni.
In ogni lingua i fonemi sono in opposizione. Un’opposizione è detta bilaterale se la base di comparazione è
propria solo dei membri dell’opposizione, altrimenti è unilaterale. Consideriamo /p/ e /b/
/p/ /b/
Occlusiva occlusiva
Bilabiale bilabiale
Sorda sonora
L’opposizione è bilaterale perché /p/ e /b/ sono gli unici due fonemi occlusivi e bilabiali. Consideriamo /p/
e /k/. Il primo è occlusivo sordo e bilabiale, il secondo è occlusivo velare e sordo. L’opposizione è unilaterale
perché esiste il fonema /t/ che è occlusivo e sordo. Le opposizione possono essere privative o non privative.
Sono privative nel caso di /p/ e /b/ perché /b/ ha tutto quello che ha /p/ più la sonorità. Il termine
dell’opposizione con una proprietà in più è detto marcato.
6. Tratti distintivi
Le opposizioni privative costituiscono la base della teoria fonologica del binarismo di Jackobson. Ogni
fonema può essere analizzato in un insieme di tratti distintivi che il fonema può avere (+) o non avere (-).
7 e 8. Regole fonologiche
Una regola fonologica collega una rappresentazione astratta ad una concreta. Può essere anche espressa in
tratti binari.
k ʧ/____+i
s [+sonoro]/____[+cons][+son]
Le regole fonologiche possono: far cambiare i tratti (k ʧ), inserire dei segmenti (in storia in istoria) si
inserisce una i dopo n o r in parola che cominciano con una sillabante seguita da consonante, cambiare
l’ordine delle parole (metatesi), cancellazioni (golpe+ista golpista)
8.1 Assimilazioni
Le assimilazioni sono un altro tipo di regola fonologica. Possono essere totali o parziali, progressive o
regressive. L’assimilazione si dice totale regressiva in questo caso: i[n+r]agionevole irragionevole.
L’assimilazione si dice parziale regressiva in questo caso : in+probabile improbabile. L’assimilazione si dice
totale progressiva in questo caso: mondo monno (romanesco). L’assimilazione è parziale progressiva in
questo caso: dog[s] dog[z]. Esistono delle particolari assimilazioni a distanza dette metafonesi. In nero
niri (umbro) la i sostituisce la o. Questo provoca la chiusura di [e] in [i].
9. La sillaba
La sillaba è un’unità prosodica di organizzazione di suoni. Ogni sillaba è costituita da un nucleo che può
essere preceduto o seguito da un attacco e da una coda, nucleo e coda costituiscono la rima. Una sillaba è
aperta se finisce in vocale, cioè non ha coda, chiusa se ce l’ha.
CAPITOLO 5
1. La nozione di parola
Esistono diverse definizione di parola a seconda del contesto in cui la si osserva (fonologica, morfologica,
sintattica). In generale, per parola vale il concetto di sequenza non interrompibile.
3. Morfema
Il morfema è per definizione la più piccola parte della parola dotata di significato. Un morfema può essere
lessicale o grammaticale a sua volta un morfema grammaticale può essere diviso ulteriormente in morfema
flessivo o derivazionale. I morfemi lessicali sono una classe aperta, cioè possono essere continuamente
ampliati, i morfemi grammaticali sono invece una classe chiusa
Un morfema è libero se può presentarsi da solo all’interno di una frase ( ad es: ieri). Un morfema è legato se
da solo ha senso ma non può comparire isolato (ad es: libr+o).
Il morfema è l’unità astratta, l’allomorfo la sua realizzazione concreta, come per fonema e allofono.
Solitamente un morfema ha un solo allomorfo o morfo ma ci sono alcuni casi in cui ce ne sono di più come
ad esempio il plurale in inglese. Generalmente è –s ma in alcuni casi diventa –s, in altri diventa –Ø e così via.
Il morfema ha più realizzazioni. Si parla di suppletivismo nei casi di parole come cavallo ippico, equestre,
cioè quando si cambia la radice della parola. È suppletivismo forte quando non si ha una regola fonologica,
debole quando la si ha.
Ogni parola può subire un processo di modificazione che può essere la flessione la derivazione o la
composizione. In particolare la seconda si divide in: prefissazione, in fissazione, suffissazione. Comporre una
parola significa crearne una da due parole già esistenti. La flessione fornisce indicazioni quali genere,
numero, caso, tempo, modo, persona etc.
Molte parola della lingua possono essere viste come formate da un processo. La parola inevitabilmente è un
avverbio che può essere scomposto in [ [ in [ [ dubita V] +bileA] A] +menteAVV]AVV. Le parole composte uniscono
due parole per crearne un’altra, ma la composizione non è sempre possibile. La prefissazione non cambia la
categoria lessicale della parola, la suffissazione può farlo e spesso lo fa. Inoltre, la suffissazione cambia
anche l’accento.
6. Flessione
Le forme flesse della parola sono quei morfemi grammaticali che non esprimono nessun senso lessicale o
referenziale ma danno informazioni su genere numero etc. per esempio in libr-o, -o è un morfema flessivo
che ci dice che è maschile e singolare. Tutti i morfemi flessivi intrattengono tra loro rapporti paradigmatici.
7.1 Suffissazione
Consiste nell’aggiunta di un morfema grammaticale all’interno della parola, a destra. Il suffisso in italiano
cambia solitamente la categoria lessicale della parola a cui si aggiunge e, quand’anche non lo faccia come ad
esempio in bar+ista, gli conferisce le caratteristiche, in questo caso, di [+animato]. Inverno N+aleA=invernaleA.
In parole che hanno subito un processo di derivazione i due morfemi non sono sullo stesso piano, il più
importante dei due è chiamato testa. Nei suffissi la testa sarà a destra essendo quello che cambia la
categoria. Anche in casi come bar barista la testa è a destra anche se la categoria non + cambiata. Nei
casi dei prefissi la categoria non cambia, viene dunque confermata la regola generale di testa a destra.
11. Composizione
La composizione mette in relazione due parole libere per formarne un’altra che generalmente è un nome.
Non è così solo nei casi di aggettivo più aggettivo o nei casi in cui l’aggettivo sia un colore.
Per trovare la testa di una parola composta esiste un metodo empirico che è quello del <è un>, <è una>. Per
esempio la parola capostazione si scopre che <è un> capostazione quindi la testa di questa parola sarà a
sinistra e sarà capo.
La regola che la testa è a destra in italiano a volte funziona a volte no. Alcune parola come quelle di
derivazione latina o di contatto sincronico con l’inglese hanno la testa a destra, ma parole totalmente
italiane come camposanto o pescecane hanno la testa a sinistra. Possiamo quindi affermare che la regola
generale delle parole composte italiane sia quella di avere la testa a sinistra. Esistono tuttavia alcuni
composti che non hanno testa, non essendo nessuna delle due parole appartenente alla categoria del nome
composto. Distingueremo quindi tra composti con testa (endocentrici) e con composti senza testa
(egocentrici). L’idea della grammatica di indirizzo generativista è che ci sia un morfema di tipo Ø che fa
assumere le caratteristiche alla parola composta.
Quando regole morfologiche combinano due forme libere, la sequenza che ne risulta può essere
perfettamente normale o può necessitare di riaggiustamenti fonologici. Le regole di riaggiustamento quelle
che eliminano la vocale finale di parola in composizione con una forma legata. Altre regole di aggiustamento
riguardano casi di allomorfia o sporadici casi di inserimento come gas gassoso.
Un composto è una parola, la parola è caratterizzata dal fatto che non è interrompibile, non si può quindi
inserire materiale lessicale all’interno di una parola. Come si fa dunque a distinguere tra parole composte e
sintagmi? Ferro da stiro è una parola o un sintagma? Se si applica il criterio di sequenza non interrompibile,
ferro da stiro sembra essere un composto. I costituenti di un composto non sono sempre visibili alle normali
regole della sintassi.
La formazione di parole è fatta da una parte formale e da una semantica. Si considerino parole come vinaio,
giornalaio, verduraio. Come si vede, il suffisso –aio porta con se il significato di ‘persona che svolge
un’attività connessa ad N’ ed è la parte fissa di significato introdotta dal suffisso. A significati diversi possono
corrispondere suffissi diversi, ad esempio giornalaio ≠ giornalista. Ed ancora, esistono medesimi suffissi che
in dipendenza dalla parola dipendente non portano lo stesso significato. Ad esempio pollaio non è colui che
vende polli. Il significato di una parola complessa è trasparente o composizionale, cioè il suo significato
viene ricavato dai suoi componenti. Non è tuttavia sempre possibile formare parole con suffissi o prefissi,
questo fenomeno si chiama blocco ed è determinato dal fatto che esiste giù un’altra parola che esprime lo
stesso significato (bello brutto non *inbello).
CAPITOLO 6
Introduzione
Esistono almeno due significati di lessico: uno è il lessico mentale e l’altro è il dizionario. Il lessico si oppone
alla grammatica in quanto le parole bisogna solamente memorizzarle, non esiste una regola per ricavare il
significante penna dal suo significato. La grammatica invece è soggetta a regole.
1. Il lessico mentale
Esso è un sottocomponente della grammatica dove sono memorizzate tutte le informazioni che un parlante
conosce della propria lingua. L’esistenza del lessico mentale è provata dal fatto che ogni parlante può
elencare una serie di parole a caso su richiesta. Un parlante sa anche come i suoni che utilizza possono
essere riportati graficamente. La posizione più accreditata è che nel lessico mentale esistano solo forme non
flesse, le forme flesse si ricavano tramite processi di grammatica mentale.
2. Dizionari
Il dizionario è il livello della langue di un parlante. Nessun parlante conosce tutte le parole del suo dizionario
in quanto esso riporta sia quelle comuni sia quelle appartenenti ad un lessico specifico. Le parole in un
dizionario sono lemmatizzate, nel senso che le forme flesse del verbo andare vanno ricondotte tutte alla
voce andare. Un dizionario è, come la lingua scritta, sempre un passo indietro rispetto al parlato e si
differenzia dall’enciclopedia in quanto esso contiene informazioni sulla natura e sull’uso delle parole.
2.2 Lessicalizzazioni
Accanto a parole semplici non flesse all’interno di un dizionario si trovano anche forme che non possono
essere analizzate o spiegate in modo regolare. Si trovano espressioni il cui significato non è desumibile dalla
somma dei significati delle parole che lo compongono, sono dunque opache, queste sono dette
lessicalizzazioni o costruzioni polirematiche. Sono casi di lessicalizzazioni espressioni idiomatiche come
tagliare la corda. Questo fenomeno va distinto dalla grammaticalizzazione, cioè un’unità perde il suo
significato lessicale e ne assume uno grammaticale come il suffisso italiano –mente.
Un acronimo (ad es CIGL) è formato dalle lettere iniziali o dalle sillabe iniziali di una parole. Un altro
processo sono le cosiddette parole macedonia, ossia quelle parole che assomigliano a composti ma non lo
sono, come per esempio polfer da polizia ferroviaria.
Un lessico contiene vari strati: quello [+nativo] è quello centrale di ogni lingua e quello [-nativo] è quello che
riflette vicende storiche, contatti che una lingua ha avuto con un’altra e così via. Un esempio potrebbe
essere l’inglese che nel suo lessico contiene parole germaniche come father, ma ha anche paternal, questo a
causa dell’invasione normanna e dell’imposizione del francese come lingua di corte.
3.1 Stratificazione dell’italiano
Lo strato [-nativo] dell’italiano è costituito da prestiti e calchi. Tra i prestiti si distinguono i prestiti adattati e
quelli non adattati. Quelli adattati sono quelli più antichi che ormai sono parole italiane in tutto e per tutto
come per esempio guelfo e ghibellino. I prestiti non adattati sono quelli che manifestano forme estranee
alla fonologia italiana come leader o sport.
I dizionari inversi sono quelli che ordinano le parole in base all’ultima lettera, poi alla penultima alla
terzultima e così via. Questo tipo di dizionario è importante per le ricerche in ambito linguistico perché così
le parole che terminano per lo stesso suffisso si trovano in posizione ravvicinata. I dizionari di frequenza
sono quelli che registrano quanto una parola sia comune in base alla loro presenza in testi teatrali, romanzi,
copioni cinematografici, periodici e sussidiari.
CAPITOLO 7
1. La valenza
I verbi devono essere accompagnati da un determinato numero di parole per formare frasi ben costruite. Si
dividono quindi in verbi: zerovalenti (piovere), monovalenti (camminare(intransitivi)), bivalenti (mangiare
(transitivi)) e trivalenti (ha detto, ha dato). Una frase non è solo formata dai verbi e dai suoi argomenti ma ci
sono anche argomenti non necessari alla struttura della frase che tuttavia compaiono, essi sono detti
circostanziali.
2. Gruppi di parole
La funzione di argomento o circostanziale può essere svolta indifferentemente da una parola o da un gruppo
di parole(sintagmi). Esistono dei metodi per riconoscere se un gruppo di parole è un sintagma: movimento,
frase scissa, enunciabilità in isolamento, proforma, coordinazione ed ellissi. Ogni sintagma contiene una
testa, a seconda della funzione grammaticale di questa parola si distinguono 4 tipi di sintagmi: nominali,
aggettivali, verbali e preposizionali. La testa del sintagma è l’unica parola la cui presenza è necessaria.
Gli indicatori sintagmatici sono i diagrammi ad albero con i quali si può dividere una frase in sintagmi.
Vediamo per esempio la frase: la lettura di questi libri migliora la mente.
F
SN SV
SN SP V SN
ART N P SN ART N
A N
X’’
Specificatore X’
XTESTA YPCOMPLEMENTO
Non tutti i gruppi di parole che chiameremo frasi hanno senso compiuto e non tutte le espressioni di senso
compiuto sono gruppi di parole. Una frase può essere definita tale se ha soggetto e predicato, cioè se ha
una struttura predicativa. Possiamo quindi chiamare frase: espressioni di senso compiuto che sono gruppi di
parole con struttura predicativa, espressioni di senso compiuto che non hanno una struttura predicativa e
non sono gruppi di parole (Ahi!), gruppi di parole con struttura predicativa che non hanno senso compiuto
(che aveva appena svaligiato). Intendiamo come proposizione qualsiasi frase con struttura predicativa,
avente essa senso compiuto o meno
La prima distinzione da fare è quella tra frase semplice e complessa. All’interno di una frase complessa il
rapporto tra le sue frasi semplici può essere di coordinazione o di subordinazione. Ci sono quindi frasi
principali, coordinate e subordinate. Una frase si dice indipendente se ha senso compiuto, una frase
indipendente è di sicuro una principale ma non è detto che una principale abbia senso compiuto. Dal punto
di vista della modalità una frase può essere dichiarativa, interrogativa (<si-no>, <wh->), imperativa,
esclamativa. Dal punto di vista della polarità una frase può essere affermativa o negativa. Dal punto di vista
della diatesi una frase può essere attiva o passiva. Dal punto di vista della segmentazione una frase può
essere segmentata (dislocata a dx, dislocata a sx, a tema sospeso, vocalizzata, scissa) o non segmentata.
Alla dichiarativa corrisponde un’interrogativa <sì-no> che si differenzia solo per l’intonazione. Alla frase
affermativa corrisponde una negativa che differisce solo per la presenza del non. A questo tipo di
corrispondenza sistematica tra frasi di tipo diverso si dà il nome di trasformazione. Nelle interrogative <wh->
un argomento della frase non compare nella stessa posizione della dichiarativa corrispondente ma all’inizio
della frase:
Le frasi dipendenti che compaiono come argomento del verbo della frase principale sono dette argomentali,
le altre circostanziali. Queste ultime possono essere: temporali, causali, finali, consecutive, condizionali,
concessive, comparative. Le argomentali possono essere: oggettive, soggettive, completive nominali o
interrogative indirette. Oltre alle argomentali ci sono le relative che possono essere restrittive se restringono
un gruppo o appositive se dicono qualcosa in più di uno dei componenti della frase. Possiamo applicare a
tutte queste categorie un’ulteriore specificazione che è: esplicita o implicita. È esplicita se contiene un verbo
di modo finito ed implicita se lo contiene di modo infinito.
Se ogni sintagma ha una testa, allora qual è la testa della frase? Per molti anni si è creduto che la frase fosse
una struttura egocentrica. Secondo studi recenti la testa della frase sarebbe la flessione del verbo. Occorre
distinguere tra contenuto lessicale del verbo e sua flessione. Passeggiare o passeggia si differenziano solo
per la flessione in III ps pres indicativo della seconda ma il significato lessicale rimane lo stesso per qualsiasi
persona tempo o modo. La flessione è dunque indipendente dal contenuto lessicale.
4. Soggetto e predicato
La definizione più corretta di soggetto è l’argomento del verbo che ha obbligatoriamente la stessa persona e
numero del predicato. A livello sintattico il predicato è formato dal verbo e dai suoi argomenti.
5. Categorie flessionali
Le desinenze della parti variabili del discorso distinguono diverse categorie flessionali: genere, numero,
caso, tempo, persona e modo. Le categorie flessionali si oppongono a quelle lessicali (nome,aggettivo,
verbo, preposizione). Se due parole hanno la stessa categoria flessionale si dicono in accordo. Se hanno una
categoria flessionale assegnata da un’altra parola si parla di reggenza.
L’italiano ha due generi: maschile e femminile. Il genere non è indicato soltanto dalla testa de sintagma ma
anche da tutti gli elementi del sintagma che devono accordarsi con essa. L’italiano ha due numeri: singolare
e plurale. Alcune lingue hanno anche duale e triale. L’accordo di numero si fa tra nome e aggettivo ma
anche tra verbo e soggetto e ciò permette di individuare il soggetto sintattico. La categoria della persona si
divide in: prima seconda e terza che a loro volta si dividono in singolari e plurali.
5.2 Caso
Il caso indica la relazione che un elemento ha con le altre parole della frase in cui si trova. In italiano la
relazione tra un argomento e l’altro del verbo è data dall’ordine delle parole. Lingue come il latino non
devono rispettare un ordine fisso di parole in quanto nominativo e accusativo si distinguono tra loro
qualunque sia la loro posizione. Lingue come latino hanno casi morfologica, cioè ci danno un’espressione
morfologica del caso. Lingue non indoeuropee, come il finlandese, hanno 16 casi.
5.3 Tempo e modo
Non esiste sempre una corrispondenza perfetta tra tempo grammaticale e tempo cronologico. Esistono
lingue come il cinese ove il verbo si presenta in un’unica forma e ci sono delle particelle a spiegare il tempo.
Anche in italiano se diciamo sarà perché … non intendiamo un futuro cronologico, anche se il tempo del
verbo è al futuro. In una frase possiamo distinguere il momento dell’enunciazione, che è sempre presente, il
momento dell’avvenimento e a volte anche il momento di riferimento. In base al momento in cui si è svolta
l’azione rispetto all’enunciazione si decide il tempo verbale. Nei tempi del passato possiamo distinguere tra
remoto, prossimo e imperfetto. Quest’ultimo indica un’azione iniziata nel passato e non ancora terminata,
oppure indica continuità nel passato. In italiano l’indicativo esprime la pura constatazione di un fatto, il
congiuntivo un desiderio o augurio, l’imperativo un ordine, il condizionale una possibilità o un’irrealtà. Oltre
a questi tempi detti finiti ci sono l’infinito, il participio e il gerundio che sono detti modi infiniti perché in essi
non esiste la distinzione di persone.
CAPITOLO 8
Introduzione
Lo studio del significato delle espressioni linguistiche è detto semantica, lo studio delle loro uso è detto
pragmatica. Alla base della nozione di significato vi è quello di verità: comprendere il significato di una frase
è comprendere le condizioni in cui essa risulta vera, comprendere il significato di una parola è comprendere
il contributo che essa dà alle condizioni di verità di una frase. Il significato tuttavia non è un semplice
rapporto tra linguaggio e realtà. Non in tutte le lingue ogni parola corrisponde ad un significato, per
esempio dita in italiano non distingue in italiano quelle delle mani o dei piedi, mentre in inglese sì. Tra
forme linguistiche esistono vari tipi di relazioni: la prima si dice di sinonimia ( scapolo e non sposato),
un’altra (airone e animale) è detta di iponimia. Inoltre non sempre le espressioni possono essere
interpretate in senso letterale, per esempio alla domanda Vuole uscire? in base al contesto in cui viene detta
può assumere vari significati. La possibilità di usare le frasi in senso letterale o meno è un tipico esempio di
fenomeno pragmatico.
Il modo di indicare la realtà mediante le espressioni del linguaggio è chiamato significato, mentre la realtà
denotata da queste stesse espressioni è chiamata riferimento. Il significato è costituito dai concetti espressi
in ciascuna lingua. Le diverse lingue possono riferirsi all’identica realtà esprimendo i significati in modo
diverso. Alcuni studiosi usano, anziché riferimento, denotazione. Secondo altri denotazione e riferimento
sono due cose diverse: denotazione riguarda il lessema in quanto tale, il riferimento indica il suo uso in una
determinata frase. Parole dunque come pegaso o le congiunzioni che valore di significato hanno? Il
problema non è risolto ma le spiegazioni più accreditate affermano che il mondo della lingua possa riferirsi
a vari mondi possibili, senza implicare la reale esistenza di concetti del linguaggio umano.
Alcuni lessemi hanno la proprietà di essere ambigui, cioè possono avere più di un significato. L’ambiguità di
lessemi come esecuzione rappresenta un caso di polisemia: un lessema polisemico rappresenta più
significati collegati in qualche modo, mentre invece polisemia esprime a volte significati distanti l’uno
dall’altro. Un esempio potrebbe essere vite o riso.
2.2 Ancora sulla polisemia
Non sempre la polisemia è registrata sul vocabolario. Questo accade quando il significato dei termini in
questione siano molto vicini l’uno dall’altro, tuttavia rimangono comunque delle differenze. Come per
esempio nelle frasi: Gianni si è dimenticato di aver chiuso la porta, Gianni si è dimenticato di chiudere la
porta. Dimenticare è sempre dimenticare, tuttavia il significato cambia leggermente. Esistono inoltre parole
che possono assumere diversi significati in base al contesto in cui si trovano come buono.
La metafora è l’uso traslato di una parola sulla base di una parziale somiglianza tra significato fondamentale
e quello traslato. La metonimia è invece l’estensione del significato di una parola ad un altro significato
connesso al primo per contiguità.
Come uno stesso lemma può avere più significati, così più lessemi diversi possono avere lo stesso significato,
in questo caso si tratta di sinonimia. Il fenomeno opposto è l’antonimia, cioè due lessemi esprimono due
significati diametralmente opposti. Si parla di antonimia di primo grado esprimono significati contrari
(bianco e nero) di secondo grado se ne esprimono due contraddittori (scapolo e sposato). Uccello e animale
sono in relazione di iponimia, mentre uccello e airone sono in relazione di iperonimia. Uccello è contenuto
da animale e contiene airone.
3. Semantica frasale
La prima ipotesi è che il significato di una frase sia la somma dei significati delle parole ed in parte è vero,
nel senso che è vero per la maggior parte delle espressioni. Consideriamo tuttavia le espressioni
idiomatiche come sbarcare il lunario, il significato di questa frase non è certamente la somma delle tre
espressioni ma ha un significato deducibile solo dalla conoscenza a memoria dell’espressione, così come
vale per le parole
Si è riflettuto sui significati delle parole e ed o. Nell’analisi logica essi sono connettivi proposizionali o frasali,
cioè sono congiunzioni che connettono una o più frasi. Una frase è vera o falsa, il significato dei connettivi
frasali sta nell’effetto che essi hanno sulla verità o falsità delle frasi complesse che formano.
Una frase complessa formata da e è vera solo se tutte e due le frasi sono vere, una frase complessa formata
da o è vera se almeno una delle due è vera. La prima frase è un esempio di contraddizione, la seconda di
tautologia. Frasi in cui la verità o falsità è determinabile solo sulla base del significato dei connettivi frasali e
dei lessemi in esse contenuti rappresentano casi di analiticità. Frasi come
In alcune frasi la falsità o la verità è determinata solo in base al loro significato sono quelle contenenti i
cosiddetti quantificatori come tutti, nessuno, qualche, ogni, uno etc. Tuttavia si possono trovare ambiguità
anche in queste frasi: se io dico ogni ragazzo ama una ragazza posso intendere che ogni ragazzo ama una
ragazza diversa o che ogni ragazzo ama una sola ragazza. Se in una frase c’è anche un aggettivo possessivo
possono ricorrere ulteriori ambiguità. Se io dico ogni ragazzo ama la sua ragazza può voler dire che ogni
ragazzo ama la propria ragazza o che ogni ragazzo ama la ragazza di qualcuno. Nel primo caso si dice che il
possessivo è legato al quantificatore, mentre nel secondo caso è libero. Nella frase passiva la sua ragazza è
amata da ogni ragazzo non lascia spazio ad ambiguità e non può essere interpretato sua come legato. In
termini tecnici il possessivo è dentro la portata del quantificatore nella frase attiva, ma non nella passiva. Un
pronome personale lo non può essere legato alla frase semplice mentre il riflessivo è legato. Se diciamo
Gianni lo ha ingannato e Gianni ha ingannato se stesso lo può riferirsi a qualsiasi individuo di sesso
maschile, se stesso è necessariamente legato a Gianni.
Nel linguaggio ci sono determinati atti. Ci sono gli atti locutori, proposizionali, illocutori e perlocutori. In un
atto linguistico essi possono essere compresenti. Se noi con una frase dichiarativa intendiamo
implicitamente un invito come Adesso faresti bene ad andartene si parla di atti linguistici indiretti.
4.2 I performativi
Il performativo è un verbo che lascia intendere che mentre si parla si faccia qualcosa. Come per esempio
Prometto di partire, mentre si parla si fa una promessa. Non per forza la presenza del verbo promettere ci
mette di fronte ad un performativo, se io dico Ieri ho promesso di partire significa solo constatare un
avvenimento che è successo. In questo caso si parla di uso constatativo.
Secondo Grice ci sono quattro categorie che regolano la conversazione: quantità, qualità, relazione e
modalità. Se un parlante usa volutamente le parole per trasmettere un significato diverso si realizza
un’impalcatura conversazionale. Il termine impalcatura sostituisce il termine logica. Infatti se io dico
Qualche studente ha superato l’esame logicamente non esclude che tutti gli studenti abbiano superato gli
esami tuttavia il mio interlocutore capirà che qualcuno lo ha passato e qualcuno no, e questo è
l’impalcatura. L’uso retorico nel parlato dell’ironia o della metafora lasciano intendere un significato diverso
da ciò che effettivamente si dice.
CAPITOLO 9
Introduzione
Una lingua è stratificata sia verticalmente che orizzontalmente. La stratificazione verticale (diastatica)
riguarda le variabili sociali. La stratificazione orizzontale riguarda le differenze dialettali (diatopica). Vi sono
altri tipi di stratificazione: il livello di formalità con cui si parla (diafasica), variazioni dipendenti dal mezzo
usato per comunicare (diamesica)
La linguistica teorica pone al centro della propria indagine il parlante nativo idealizzato, cioè un parlante con
una perfetta competenza che non fa errori. Si può immaginare che il quadro può essere capovolto in quanto
il parlante reale, oggetto della sociolinguistica, fa errori e sa anche usare frasi in dipendenza dal contesto in
cui si trova (competenza comunicativa). La comunità linguistica è stratificata sia linguisticamente che
socialmente. La teoria del linguaggio descrive il linguaggio umano, la sociolinguistica descrive l’uso che gli
esseri umani fanno delle strutture nelle situazioni comunicative concrete.
2. Sociolinguistica
Essa afferma che la variante libera non esista. Nel senso che quando un parlante sceglie di usare una parola
o un fono piuttosto che un altro con significato equivalente o che non cambia significato, lo fa per un
preciso motivo e non solo per libera interscambiabilità. La variante libera viene scelta per correlazione a
fattori sociali. I maggiori studi di sociolinguistica sono in ambito fonetico-fonologico.
La comunità linguistica può essere definita come l’insieme di tutte le persone che parlano una determinata
lingua. Dal punto di vista sociolinguistico, la comunità linguistica non è omogenea quindi, all’interno di una
stessa lingua, potranno essere osservate diverse variabili.
2.3 Repertorio linguistico
Esso è l’insieme dei codici e delle varietà che un parlante è in grado di padroneggiare all’intero del
repertorio linguistico della comunità a cui appartiene. Classi sociali diverse hanno repertori linguistici
diversi. Quando un parlante dispone di più varietà può passare dall’una all’altra in base al contesto in cui si
trova. Questa possibilità viene chiamata code switching.
È la capacità che i parlanti hanno di utilizzare la lingua nei modi che sono appropriati nelle varie situazioni.
Essa non è un fatto sociale come la langue ma è individuale. Non è necessariamente dipendente alla
conoscenza delle strutture linguistiche. La competenza comunicativa forma un tutt’uno con gli altri codici
del comportamento comunicativo, ossia linguaggio gestuale e mimica facciale.
La sociologia del linguaggio è lo studio della società in rapporto con la lingua. Un problema della sociologia
del linguaggio potrebbe essere, per esempio, quale sarà la lingua della nascente comunità europea. Anche
la messa a punto di un’ortografia è un problema di sociologia del linguaggio. In Somalia, per esempio, la
grafia fu introdotta nel 1972.
Essa è una sottodisciplina della sociolinguistica nel senso che si occupa del rapporto tra linguaggio e società
dal punto di vista di sistemi simbolici di una società e anche da quello del linguaggio visto come strumento
di trasmissione di schemi sociali. Questa disciplina studia l’uso del linguaggio nelle interazioni verbali nella
vita quotidiana. Domande della etnografia della comunicazione potrebbero essere: come si presentano le
scuse, come si esprime l’accordo o il disaccordo etc.
Il potere di una persona sull’altra, in un rapporto di subordinazione, implica una relazione asimmetrica. Le
lingue possono esprimere questa asimmetria con pronomi di cortesia, di contro ai pronomi di solidarietà. Se
i parlanti usano i pronomi di solidarietà si tratta di una relazione simmetrica e solidale, se usano quelli di
cortesia è una relazione simmetrica ma non solidale.
5. Lingua e dialetto
I criteri linguistici per stabilire se una lingua sia o meno un dialetto non sono facilmente applicabili. Ci sono
varietà linguistiche come friulano e sardo che puntano allo status di lingua. Se accanto ai criteri linguistici ci
mettiamo quelli sociolinguistici come : sovraregionalità, varietà parlate da ceti medio-alti, varietà scritta
codificata da un corpus di opere, allora va da se che friulano e sardo non possano essere classificate come
lingue. L’italiano standard non è che uno dei vari dialetti all’epoca esistenti durante il periodo di
unificazione, i dialetti sono in realtà i fratelli dell’italiano. La differenza sostanziale tra lingua e dialetto non
sta in morfologia, grammatica o sintassi, tuttavia nel lessico nel senso che una lingua ha la possibilità di
ampliare il lessico mentre si nota facilmente che il dialetto è quasi ovunque una lingua paralizzata.
6. Dialetti in Italia
Una delle prime classificazioni si deve a dante nel suo De vulgari eloquentia. Al giorno d’oggi la
classificazione divide l’Italia in dialetti settentrionali, toscani e centro meridionali. I dialetti settentrionali
comprendono i gallo-italici e i veneti. Il toscano ha una porzione a sé. I dialetti centro meridionale sono:
l’umbro, l’abruzzese-molisano, il romanesco, l’aquilano, il pugliese settentrionale, materano, campano,
calabrese settentrionale. Quelli meridionali estremi sono salentino, calabrese meridionale e siciliano. La
linea La Spezia-Rimini divide di dialetti settentrionali da quelli centrali. Ci sono fenomeni linguistici che si
trovano solo a nord di questa linea: scempiamento di consonanti lunghe (anno an), il nesso latino cl
passa a [ʧ] (chiamare ciamare), sonorizzazione sorde intervocaliche (fratello fradel), l’esistenza di
vocali anteriori arrotondate come [y], palatalizzazione di [a] in [e], tendenza delle parole ad uscire in
consonante a causa della caduta delle vocali finali del latino. Ci sono invece fenomeni che si svolgono solo a
sud di questa linea: raddoppiamento sintattico ( [akkasa]), pronuncia sorda di sibilante intervocalica
( [kasa]), metafonesi, assimilazione totale progressiva del nesso consonantico nd in nn, posposizione del
possessivo (sorrata). È chiaro che sono generalizzazioni, questi dialetti rappresentano in realtà molte
diversità l’uno dall’altro.
7. Bilinguismo e diglossia
In una stessa area possono essere presenti due varietà linguistiche, a seconda del loro rapporto possiamo
avere diglossia o bilinguismo. Se una varietà rappresenta la varietà alta e una la varietà bassa allora siamo in
un caso di diglossia. Se invece le due lingue, come per esempio in Belgio, sono allo stesso livello e cambiano
solo a seconda del luogo in cui ci si trova allora si parla di bilinguismo
Quando due popoli aventi una lingua diversa vengono a contatto a livello commerciale si possono formare
delle lingue franche comuni di modo da potersi intendere con più facilità. In questo caso si parla di lingue
pigdin, cioè una lingua che nasce tra due gruppi che devono comunicare e non hanno una lingua comune.
Se questi rapporti commerciali si estendono nel tempo e la lingua pigdin inizia ad avere dei parlanti
madrelingua allora si parlerà di lingua creola. L’afrikaans è un esempio di lingua creola, fusione tra olandese
ed inglese.
CAPITOLO 10
Introduzione
La linguistica storica studia le lingue e il loro mutamento attraverso l’asse del tempo. Viene chiamata anche
linguistica storico-comparativa. È fondamentale distinguere i problemi di lingue originarie e quelli di origine
del linguaggio, il mito di babele li risolveva entrambi ma dall’ottocento il secondo problema fu ritenuto
essere irrisolvibile. La linguistica storico-comparativa ricerca la lingua originaria comparando le varie lingue
di cui si ha attestazione. La linguista storica rinuncia a qualunque ipotesi catastrofica per il cambiamento
della lingua, ma assumono il tempo come unica causa.
Il metodo comparativo non si basa sulla semplice somiglianza di parole, altrimenti italiano e turco
potrebbero sembrare lingue imparentate. Parole come stazione in turco è istasyon, ma questo è dovuto ad
un fenomeno di prestito. È opportuno limitare il confronto a parti del vocabolario che abbiamo chiamato
parole “native”. La corretta applicazione del metodo comparativo consiste nel trovare una serie di
corrispondenze sistematiche tra fonemi e morfemi in determinate lingue. Nel caso dell’italiano e delle altre
lingue romanze l’antenato comune è il latino, e ne possediamo testimonianze scritto. Ma dell’antenato
dell’inglese e del tedesco non esistono attestazioni scritte e va dunque ricostruita. La ricostruzione
linguistica è un’ipotesi e non può pretendere di essere inconfutabile.
La rappresentazione ad albero genealogico delle lingue non risulta essere al 100% adeguata per considerare
le relazioni tra le lingue. L’interferenza tra lingue appartenenti a gruppi diversi è un fatto, che è esistito e che
continua ad esistere. Tra vari gruppi di lingue indoeuropee esistono delle sovrapposizioni parziali. Questo
stato di cose suggerì la formulazione della teoria delle onde. Alle linee che determinano l’estensione dei vari
fenomeni viene dato il nome di isoglosse.
Per ricostruire la lingua originaria, l’indoeuropeo, si preferisce ricorrere a forme di lingue più antiche come
sanscrito, greco, latino, gotico etc. Facendo queste corrispondenze si può arrivare a formulare delle
conclusioni dal punto di vista del cambiamento fonologico:
- alle occlusive sorde del sanscrito del greco e del latino corrispondono le fricative sorde nel germanico ( p,
t, k f, θ, h)
-alle occlusive sonore del sanscrito greco e latino corrispondono occlusive sorde del germanico ( b, d, g p,
t, k)
-alle occlusive sonore aspirare del sanscrito corrispondono al germanico delle occlusive sonore (bh, dh, gh
b, d, g)
A queste corrispondenze viene dato il nome di legge di Grimm, lo studioso che le scoprì. La legge di Grimm
è conosciuta anche come prima rotazione consonantica. Su queste basi possiamo procedere alla
ricostruzione della parola fratello in indoeuropeo. Assumendo che l’accento fosse uguale a quello del
sanscrito, fratello diventa bhrátēr. Tornando alle lingue germaniche, il tedesco sembra fare eccezione a volte
alla legge di Grimm. Si ha una corrispondenza tra tutte le lingue germaniche da una parte e il tedesco
dall’altra, o meglio di dialetti alto tedeschi. Si può ipotizzare che il tedesco abbia subito una seconda
rotazione consonantica, ossia le p pf, f, ff le t ts, s, ss le k ch, [x], ck.
L’italiano ha sette vocali e si distinguono tra alte basse medio basse e medio alte. Il latino distingueva anche
vocali lunghe e corte. La i lunga del latino rimane i in italiano, la i breve e la e lunga rimane e medio chiusa,
la e corta diventa e medio aperta, le a rimangono a, la o breve diventa o medio aperta, la o lunga e la u
breve diventano la o medio chiusa, la u lunga rimane u. In inglese il mutamento fonologico più importante è
il great vowel shift: le vocali lunghe alte dell’inglese medio sono diventate dittonghi (five [fi:ve] [faiv]), le
vocali lunghe medie dell’inglese medio sono diventate alte (feet [fe:t] [fi:t]) , le vocali medio basse
dell’inglese medio sono diventate medie ( mate [mæ:t] [meit]). Questo è uno dei motivi per cui la grafia
dell’inglese è diversa dalla sua pronuncia moderna. Le leggi fonetiche non sono tuttavia come le leggi delle
scienze naturali, presentano numerose eccezioni e questo mette in discussione il loro status di legge. In
italiano esistono in fatti delle eccezioni. Parole come vinco, lingua, famiglia vengono dal latino vĭnco, lĭngua,
famĭlia: in base a quanto detto dovrebbero risultare le parole: venco, lengua, famelia. Un altro esempio
potrebbe essere quello dell’inglese pagare che dovrebbe essere una f, invece rimane pay. I neogrammatici
sostenevano che il mutamento fonetico fosse privo di eccezioni, e anche le eccezioni mostravano delle
regolarità.
Legge di Verner corregge in parte la legge di Grimm, in quanto in parole come faδar risultavano con la
fricativa sonora e non sorda dice la legge di Grimm. Verner risolse il problema aggiungendo che quando
l’accento precede l’occlusiva allora essa tramuterà in fricativa sorda come bhrátēr ma quando segue come
nel caso di pitár allora essa diventa sonora. L’effetto della legge spiega l’eccezione del mutamento osservato
in vinco, lingua, famiglia. Il fenomeno viene detto anafonesi, la e tonica italiana diventa i davanti alla nasale
velare e a laterale palatale [ɳ, ʎ]. La mutazione consonantica germanica è bloccata in determinati contesti:
se l’occlusiva è preceduta da fricativa sorda s, se sono precedute da una fricativa prodotta per effetto della
stessa rotazione consonantica.
2.2 Analogia
Con l’analogia si creano nuove forme su modello di quelle già esistenti. È un fenomeno morfologico che
tuttavia produce dei cambiamenti fonetici, e quindi eccezioni alla legge di Grimm o alle varie leggi fonetiche.
L’aggiunta del suffisso –tore in italiano significa “colui che fa l’azione descritta da X”, si possono quindi
formare varie parole
In questo modo si crea la parola sviolinatore. In italiano la parola nuovissimo si è formata da nuovo, anche
se la forma corretta sarebbe novissimo, in quanto deriva dall’aggettivo novus, e la vocale latina breve in
sillaba aperta dittonga (veni vieni).
2.3 Contaminazione
La contaminazione è simile all’analogia ma è si distingue perché non è descrivibile tramite lo schema del
quarto proporzionale. Si ha contaminazione quando gli elementi di una forma si mescolano con quelli di
un'altra forma. Per esempio la parola italiana greve deriva dalla forma latina formatasi per contaminazione
di grave(m) e leve(m)
Assimilazione: da factum a fatto. Dissimilazione dal latino arbore ad albero. Per metatesi: dal latino
crocodilus a coccodrillo. Per aplologia dal latino stipendium composto da stips (piccola moneta) e pendere
(pagare)
Un fenomeno particolarmente interessante che riguarda i rapporti tra italiano e latino è quello degli
allotropi ossia parole italiane derivate dalla stessa forma latina ma entrate in italiano per due vie diverse,
uno per mutamento fonetico regolare e l’altro per prestito. Ne è un esempio la parola plebe(m), entrata
come pieve o plebe. La prima si dice entrata per via popolare, la seconda per via dotta. Molte parole sono
poi entrate nell’italiano da lingue romanze, come coraggio, gioia, omaggio, viaggio. Oppure esistono parole
entrate nell’italiano (o meglio, nel toscano) prese come prestito da altri dialetti italiani (rugiada es.)
2.6 Conclusione sulle leggi fonetiche
Non tutte le parole di una lingua sono soggette alle leggi fonetiche perché sono intervenuti altri fattori di
disturbo che possono essere linguistici o extralinguistici. In inglese, pay è rimasto pay perché è entrano in
inglese dalla corte francese payer quando ormai la legge di Grimm aveva cessato di funzionare. Questo vuol
dire che le leggi fonetiche assumono importanza in un determinato periodo ed in un determinato contesto
geografico. Esse sono dunque delle corrispondenze sistematiche fra suoni in fasi storiche di una stessa
lingua.
3. Mutamento morfologico
Il fenomeno di retroformazione è quello per cui una determinata parola sembra essere la base di una
parola derivata mentre in realtà il processo è l’inverso. Spesso questo accade perché la parola formata
spesso contiene un suffisso che fa pensare che sia arrivata dopo. Per esempio il verbo inglese act può
sembrare la base della parola action, in realtà è il contrario. La grammaticalizzazione è quel fenomeno in cui
un lessema diventa un morfema legato. Ne è un esempio il suffisso –mente in italiano, che all’inizio era in
latino sincera mente da intendersi con lo stesso significato ma scritto in questo modo. Il fenomeno della
ricategorizzazione riguarda il mutamento di genere dal latino all’italiano: il primo ha 3 generi, il secondo 2.
In generale tutti i nomi neutri latini sono diventati maschili in italiano.
4. Mutamento sintattico
In latino il perfetto esprimeva gli stessi tempi che in italiano sono espressi da passato remoto e passato
prossimo. In testi antichi latini, come in Plauto, si può trovare litteras scriptas habeo dove habeo ha ancora
un significato lessicale. L’italiano è passato a ho scritto una lettera dove il participio non si accorda più con
l’argomento del verbo e il verbo avere ha perso il suo significato lessicale per assumere un significato
puramente grammaticale. Anche gli articoli determinativi non erano presenti in latino e derivano da
cambiamenti dei dimostrativi ille illa illud e da unus una unum.
Un primo mutamento semantico è il restringimento del significato di una parola: necare in latino significava
uccidere ma i derivati romanzi come annegare restringono il significato ad “uccidere per mezzo dell’acqua”.
Un altro mutamento semantico è l’ampliamento: virtus in latino indicava le qualità proprie dell’uomo
maschio, quindi valore in combattimento etc in italiano ora virtù indica una qualità in generale.
Un mutamento per metafora si ha in italiano per capire: in latino voleva dire afferrare in senso letterale, in
italiano significa metaforicamente “afferrare un concetto”.
Un mutamento per metonimia è quello che ha portato il latino bucca (guancia) a bocca in italiano.
Un caso di sineddoche è quello dell’inglese stove (stufa) che inizialmente voleva dire stanza risaldata.
Un caso di iperbole si trova in francese per étonner (stupire) che deriva dal latino “colpire con il tuono”.
La litote è il caso eliminare in latino che voleva dire “allontanare di casa” mentre ora può voler dire uccidere.
Il significato di una parola può mutare per degenerazione o innalzamento: facchino inizialmente dall’arabo
faiq significava giureconsulto, poi per degenerazione è passato da impiegato alla dogana a portatore di pesi.
Ministro invece significava inizialmente schiavo, è poi diventato servo del re, servo dell’imperatore, ed ora è
“capo di un ministero”.