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0. Introduzione
Sono due i lavori in cui von Wright, per primo, formula, seppure in termini
non totalmente coincidenti, la distinzione fra permesso forte e permesso debole:
The Logic of Negation del 1959, e Norm and Action del 1963.
La formulazione della distinzione è dettata anche (ma non esclusivamente)
dall’esigenza di un apparato categoriale della logica deontica più attento, di quel-
lo elaborato nei primi calcoli formali degli inizi degli anni cinquanta, alle
peculiarità delle norme giuridiche e alla complessità del fenomeno giuridico.
Due, in particolare, gli interrogativi di manifesta matrice giuridica cui la
distinzione rinvia.
Il primo interrogativo concerne la plausibilità della caratterizzazione della
nozione di ‘permesso’ come categoria normativa autonoma.
Il secondo interrogativo, strettamente connesso con il primo, concerne, invece,
la problematicità di caratterizzare la nozione di ‘lacuna’ e/o la nozione di
‘completezza di un ordinamento giuridico’ facendo ricorso alla nozione di
‘permesso’, se ed in quanto si assuma che questa configuri una categoria normativa
autonoma.
Nonostante l’esplicito richiamo ad interrogativi dichiaratamente giuridici, il
dibattito sulla portata euristica della distinzione è rimasto circoscritto quasi
esclusivamente alla letteratura di logica deontica, trovando scarsa eco nella
letteratura di teoria del diritto.
La scarsa fortuna di questa distinzione ha, probabilmente, una duplice ragion
d’essere: per quanto suggestiva, la distinzione fra permesso forte e permesso
debole, si rivela, infatti, se indagata con attenzione, dubbia e problematica ad un
tempo. Più precisamente, la distinzione si rivela dubbia sotto un profilo logico-
formale e problematica sotto un profilo concettuale.
La prima parte di questo lavoro è dedicata alla genesi della distinzione e ad
alcune critiche e/o riformulazioni di cui la distinzione è stata oggetto nella
letteratura di logica deontica.
* Ringrazio Riccardo Guastini, Pierluigi Chiassoni, e José Juan Moreso per l’attenta
lettura di una prima stesura di questo lavoro, per i loro rilievi puntuali e i loro
suggerimenti sempre stimolanti.
1 Per indicazioni bibliografiche sia sugli esordi della moderna logica deontica, sia
sulle sue principali anticipazioni e/o prefigurazioni (remote e non), cfr. T. Mazzarese
[1989, pp. 3-4, n. 2].
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ricordato all’inizio, The Logic of Negation del 1959, e Norm and Action del 1963.
(i) Nel primo dei due lavori, The Logic of Negation del 1959 la distinzione
sembra dettata, non tanto dall’esigenza di arricchire l’apparato categoriale della
logica deontica con strumenti che ne consentano un’interpretazione più vicina alla
complessità della realtà giuridica, quanto piuttosto da problemi stricto sensu
formali, da problemi, più precisamente, legati all’esplorazione dell’isomorfismo fra
il comportamento logico dei quantificatori e quello dei modi deontici e da problemi
dettati dall’elaborazione di quella che lo stesso von Wright, nel 1980, avrebbe
denominato teoria generale della modalità, “general theory of modality” 2.
La distinzione fra permesso forte e permesso debole, così come,
correlativamente, quella fra proibizione debole (“weak prohibition”) e
proibizione forte (“strong prohibition”), infatti, è tracciata da von Wright a
conclusione di una complessa analisi incentrata sulla distinzione fra due tipi di
negazione, negazione debole (“weak negation”) e negazione forte (“strong
negation”) 3, e sulla caratterizzazione del loro diverso comportamento logico sia
nel caso dell’elaborazione di calcoli di logica proposizionale, sia nel caso
dell’elaborazione di calcoli di logica dei predicati con quantificazione monadica
(calcoli, gli uni e gli altri, di cui von Wright indaga anche le possibili letture
modali e deontiche).
Ora, è tesi di von Wright, nel 1959, che il calcolo di quantificazione
monadica, elaborato utilizzando i due diversi tipi di negazione, consenta di
“make a distinction between weak and strong permission, and similarly between
weak and strong prohibition. The weak norms consist in the mere absence of the
contrary norms. The strong norms “positively” state rules of action. These
distinctions between the two kinds of permission and prohibition can be expressed
in a deontic logic which makes use of two kinds of negation” 4.
Diversamente, sempre secondo von Wright
“It is characteristic of the deontic logic which is an interpretation of the “classical”
logic of monadic quantification that in it the notions of obligation, permission, and
prohibition are interdefinable (with the aid of weak negation). A permission is
then regarded as the absence of a certain prohibition, and a prohibition as the
absence of a certain permission” 5.
Del perché l’interpretazione deontica del calcolo classico della quantificazione
monadica sia (e/o possa essere) insoddisfacente, von Wright, nel 1959, scrive soltanto
che
“[The] view of mutual relation of the basic deontic concepts or categories of norm
may, however, be challenged. One may argue that “mere” absence of a prohibition
does not yet amount to a permission. And also that “mere” absence of permission
does not yet constitute prohibition” 6.
(ii) È nel 1963 con Norm and Action che von Wright dà alla distinzione fra
permesso forte e permesso debole una dichiarata valenza di carattere giuridico.
Innanzitutto, infatti, von Wright dichiara esplicitamente la rilevanza per la
filosofia del diritto e per la filosofia politica (ma non anche per la filosofia morale)
del quesito sull’indipendenza dello status delle norme che esprimono un
permesso 7.
In secondo luogo, interrogandosi sul modo più appropriato di rispondere al
quesito, von Wright prende in considerazione tre temi di chiara matrice giuridica:
(a) l’eventuale interesse dell’autorità normativa di proibire o, invece, permettere
“nuovi tipi di azione” non ancora disciplinati 8; (b) il problema delle lacune 9; e (c)
il problema delle norme di competenza (“competence norms”), norme
caratterizzate come “higher-order permissions” (permessi di ordine o di grado
superiore) 10.
Ora, le considerazioni svolte in relazione a ciascuno di tali temi portano von
Wright a ritenere necessaria l’elaborazione di un calcolo di logica deontica in cui il
permesso venga trattato come categoria normativa autonoma e non soltanto come
mera assenza di un divieto; di un calcolo, cioè, in cui sia possibile distinguere fra
permesso forte e permesso debole. Nella definizione propostane da von Wright:
“An act will be said to be permitted in the weak sense if it is not forbidden; and it
will be said to be permitted in the strong sense if it is not forbidden but subject to
norm. [...] Weak permission is not an independent norm-character. Weak
permissions are not prescriptions or norms at all. Strong permission only is a
norm-character” 11.
Per quanto fuorviante da un punto di vista gius-teoretico, nondimeno la
caratterizzazione proposta da von Wright delle norme di competenza come
higher-order permissions rende palese la ragione di teorizzare una nozione di
permesso forte (di permesso, cioè, esplicitamente statuito da una norma), distinta
ed autonoma rispetto alla nozione di permesso debole (di permesso, cioè, nel
8 G.H. von Wright [1963, p. 86] scrive: “One cannot make an inventory of all
conceivable (generic) acts. New kinds of act come into existence as the skills of man develop
the institutions and ways of life change. A man could not get drunk before it had been
discovered how to distil alcohol. In a promiscuous society there is no such thing as
committing adultery. As new kinds of act originate, the authorities of norms may feel a need
for considering whether to order or to permit or to prohibit them to subjects” (corsivo
dell’autore). Dei tre temi cui von Wright rinvia, è questo quello meno convincente e, forse,
anche meno rilevante per decidere della plausibilità di caratterizzare il permesso come
categoria normativa autonoma.
9 Problema, questo, in relazione al quale von Wright rinvia sia a H. Kelsen [1945], sia
ad A.G. Conte [1962].
10 In particolare, mentre del tema delle lacune von Wright parla contestualmente
all’enunciazione del quesito sull’indipendenza dello status delle norme che esprimono un
permesso (pp. 87-88) di “competence norms” e di “higher-order permissions” von Wright
parla, invece, successivamente, nell’àmbito dell’analisi di quelle che egli denomina
“norms of higher order”. E precisamente, scrive von Wright: “It is probably right to say
that among norms of the first order commands and prohibitions hold the most prominent
position. Among norms of higher order the relative prominence of the various types of
norm appears to be different. It is probably right to say that higher-order permissions are
of peculiar interest and importance. A higher-order permission is to the effect that a
certain authority may issue norms of a certain content. It is, we could say, a norm
concerning the competence of a certain authority of norms. I shall call permissive norms
of higher order competence norms” (p. 192, corsivo dell’autore).
11 G.H. von Wright [1963, p. 86].
6
In esplicito contrasto con la tesi sostenuta da von Wright in Norm and Action,
in Directives and Norms del 1968, Ross afferma:
“we have need, in a formalized language, of only one, irreducible, symbol for the
directive element of norms, and [...] it is most natural to let this symbol stand for
obligation” 15.
Prescindendo per il momento dalle critiche di carattere più specificamente
concettuale (critiche che ruotano prevalentemente intorno alla caratterizzazione
ingenua e fuorviante ad un tempo che von Wright offre della nozione di
permesso forte), è innegabilmente condivisibile la critica di carattere stricto
sensu formale che Ross muove alla distinzione di von Wright:
12 Innegabilmente fuorviante, ma non per questo isolata, la caratterizzazione delle
norme di competenza (e/o, secondo scelte terminologiche diverse, delle norme che
conferiscono poteri) come permessi (o, ancora, come obblighi indirettamente formulati).
Sul tema cfr. E. Bulygin [1991], M. Atienza / J. Ruiz Manero [1994], [1996, pp. 45-76], e
T. Mazzarese [1996, pp. 141-143].
13 G.H. von Wright [1963, p. 194].
14 G.H. von Wright [1963, p. 87].
15 A. Ross [1968, p. 120].
7
16 A. Ross [1968, p. 124]. Il passo cui Ross fa riferimento è G.H. von Wright [1963,
p. 139]: “On our suggestion the negation of a positive command is thus a negative
permission and conversely, and the negation of a negative command is a positive
permission and conversely. In still other words: a command to do and a permission to
forbear are related to one another as negations, and so are a command to forbear and a
permission to do”. Questa critica di carattere stricto sensu formale è inoppugnabile e non
può certo essere ignorata o elusa, così come in R. Moore [1973, pp. 332-339], limitandosi
a vagliare la maggiore o minore plausibilità delle critiche di carattere gius-teoretico mosse
da Ross agli argomenti che, nell’analisi di von Wright, fondano e giustificano la
distinzione fra permesso forte e debole.
17 Diversa la posizione di chi, come U. Scarpelli [1963, 21982, pp. 235-237, p. 241],
K. Opalek /J. Wolenski [1973] e [1991] o D.T. Echave / M.E. Urquijo / R.A. Guibourg
[1980, pp. 153-158], nega la possibilità della distinzione fra permesso forte e permesso
debole non, come Ross, sulla base di considerazioni di carattere logico-formale, ma sulla
base di una concezione imperativista che, pregiudizialmente, esclude che il permesso
possa considerarsi una categoria normativa autonoma.
18 Così, ad esempio, in G.H. von Wright [1968] e [1969], la strada sperimentata è
quella dell’elaborazione di un calcolo formale in cui siano compresenti più tipi di obbligo
cui corrispondono altrettanti tipi di permesso differenti. Pluralità di nozioni di obbligo e di
permesso tali che, come scrive von Wright [1968, p. 86]: “When prohibition and
permission are “corresponding”, the inference from the lack of prohibition to the presence
of a permission is legitimate and logically equivalent with the inference from the absence
of a permission to the presence of a prohibition. When the prohibition and permission do
not “correspond” the inferences are invalid”.
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norms”), ma fra caratteri di azioni qualificate da norme sono critici nei confronti
dei termini in cui la distinzione fra permesso forte e permesso debole è delineata
da von Wright in Norm and Action.
A differenza di Ross, però, Alchourrón e Bulygin, ritengono che la
distinzione vada non abbandonata, ma riformulata. Secondo Alchourrón e
Bulygin, infatti, per quanto infelice nella formulazione, la distinzione,
adeguatamente riformulata, consente di render conto, come nelle intenzioni di
von Wright, della possibilità di lacune in un ordinamento giuridico.
Più precisamente, è tesi di Alchourrón (“characters of actions which are
qualified by norms”) 19, sia, cioè, una distinzione che riguarda non norme, ma
proposizioni descrittive di norme (“normative propositions”). Alchourrón e
Bulygin distinguono così tra uso prescrittivo e uso descrittivo degli operatori
deontici. Nel loro uso prescrittivo permesso e vietato sono interdefinibili; nel
loro uso descrittivo, sostengono invece Alchourrón e Bulygin, permesso e vietato
non sono interdefinibili perché non sono né in rapporto di contraddittorietà, né in
rapporto di contrarietà.
Per designare l’uso descrittivo di permesso e vietato, Alchourrón e Bulygin
introducono le locuzioni ‘permesso forte’, e, rispettivamente, ‘divieto forte’. Ora,
proprio perché proposizioni descrittive di norme (proposizioni, cioè, descrittive
dell’appartenenza di norme ad un ordinamento), sia una proposizione normativa
che affermi il permesso forte di un’azione, sia la proposizione che affermi il
divieto forte della stessa azione potrebbero essere entrambe false se ed in quanto
(come in caso di lacuna) all’ordinamento non appartenessero né una norma che
permetta, né una norma che proibisca l’azione in questione. Analogamente,
segnalano Alchourrón e Bulygin, le due proposizioni normative potrebbero
essere entrambe vere, come in caso di antinomia, se ed in quanto all’ordinamento
appartenessero sia una norma che permetta, sia una norma che vieti l’azione in
questione. Con le loro parole:
““Permitted” and “prohibited” as characters of norms are contradictory; “per-
mitted” means the same as “not prohibited” and “prohibited” means “not
permitted”. But when the expressions refers to characters of actions (meaning
strong permission and strong prohibition), they are not contradictory and not even
contrary. It is perfectly possible that neither the permission nor the prohibition of
p is a consequence of ∂: this is the case when ∂ does not contain any norm
permitting p or prohibiting p. The sentences “The norm that permits p is a
consequence of ∂” and “The norm that prohibits p is a consequence of ∂” may
both be false. Moreover, both of them may be true: a system may contain a norm
that permits p and a norm that prohibits p. In this case, p is at the same time
strongly permitted and strongly prohibited by the same system. This is surely not
an impossibility. It only implies that the system in question is inconsistent,
because the norms “Permitted p” and “Prohibited p” are, of course,
contradictory” 20.
20 C. Alchourrón / E. Bulygin [1971, p. 123], nel brano citato, “∂” sta per
ordinamento normativo.
21 La distinzione di questi tre sensi di ‘permesso’, uno prescrittivo e due descrittivi
(permesso forte e permesso debole) è riproposta, ad esempio, anche in C. Alchourrón / E.
Bulygin [1984], e [1989, pp. 681-682].
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“a gap is a case in which there is an action p such that is weakly permitted (and is
not strongly permitted) by the system” 22.
Solo una visione orwelliana da 1984 potrebbe, infatti, considerare lacune di
un ordinamento l’assenza di espliciti permessi di azioni quotidiane (la stragrande
maggioranza) quali bere latte a colazione o chiacchierare al telefono con un’ami-
ca. La definizione proposta da Alchourrón e Bulygin, infatti, sembra assimilare
permesso debole (nel caso di assenza di un ulteriore permesso forte) e lacuna, e
non consentire, come essi invece sostengono, di mostrare
“that weak permission is not only compatible with the existence of a gap, but is
even entailed by it, though not vice versa. (That is to say, the existence of a gap
logically implies that the case is weakly permitted; but weak permission does not
imply that there is a gap)” 23.
professional qualifications which the holders of offices have to satisfy; many, perhaps most,
rules of civil and criminal procedure; and finally, many rules belonging to constitutional
law”.
28 N. Bobbio [1980, pp. 891-892]. Un’affermazione analoga è già presente in N.
Bobbio [1958, pp. 152-153]: “la funzione delle norme permissive è quella di far venir
meno un imperativo in determinate circostanze o con riferimento a determinate persone
[...] si possono distinguere le norme permissive in base al fatto che facciano venir meno
un imperativo precedente nel tempo, e in questo caso funzionano da norme abroganti,
oppure un imperativo contemporaneo, e in questo caso funzionano generalmente da
norme deroganti” (corsivo dell’autore).
29 A. Ross [1968, p. 120]. E ancora, seppure con formulazione non del tutto
coincidente, anche M. Atienza / J. Ruiz Manero [1994, pp. 827-829], e [1996, pp. 102-
104] sembrano individuare nella funzione abrogativa di e/o derogatoria a obblighi o
divieti già presenti in un ordinamento un argomento che mostra non l’autonomia della
categoria normativa del permesso (e, quindi, la necessità di introdurre una nozione di
permesso forte, altra e distinta da quella di permesso debole), ma la sua sussidiarietà alle
categorie normative dell’obbligo e del divieto.
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Riferimenti bibliografici