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* Una prima versione di questo articolo fu presentata nel corso di un seminario presso
l’Universitat Pompeu Fabra di Barcellona: desidero ringraziare tutti i partecipanti alla
discussione, per i consigli e le attente critiche. Un ringraziamento speciale va poi a
Riccardo Guastini, Daniel Mendonça e José Juan Moreso per la pazienza con cui hanno
discusso il presente lavoro.
1 Sul tema cfr., ad esempio, Guastini 1987a.
2 Data l’ambiguità di enunciati come ‘Obbligatorio (Permesso, Vietato) che p’
adotterò la convenzione di indicare con Op (Pp, Vp) e con Op (Pp, Vp) rispettivamente la
norma e la proposizione idonee ad essere espresse da tale enunciato.
3 Qualora venga usato nel significato 2 l’enunciato (a) presenta una forma ellittica.
Analisi e diritto 2000, a cura di P. Comanducci e R.
Guastini
2
4 Credo che sia necessario distinguere tra norma ed enunciato (normativo) qualora si
condivida l’opinione secondo cui esistono enunciati normativi, specie giuridici, idonei ad
esprimere, ad essere interpretati come esprimenti, disgiuntamente almeno due norme.
Analogamente pare necessario distinguere tra proposizione ed enunciato qualora si ritenga
che esistano enunciati ambigui, idonei ad esprimere disgiuntamente due o più proposizioni.
5 Caracciolo 1996 ha mostrato come i disaccordi circa le condizioni di esistenza di
norme dipendano, in parte, dai disaccordi sulla nozione di ‘norma’.
6 D’altra parte l’esistenza fattuale sembra coincidere con la nozione di esistenza come
promulgación presentata da Alchourrón/Bulygin 1979 e Alchourrón/Bulygin 1989 come
la nozione di esistenza confacente alla c. d. norma-prescripción. La promulgación è
intesa, alla maniera di von Wright 1963, come la “realización del acto de dictar la norma”.
Detto di passaggio, tale nozione non sembra appropriata per le norme giuridiche in
quanto se è vero che (Alchourrón/Bulygin 1979 p. 42:) “nadie se tomaría el trabajo de
lograr la anulación de una ley inexistente”, cioè non promulgata, è altrettanto vero che
nessuno si prenderebbe il disturbo di annullare una legge promulgata da me. In ogni caso,
in Alchourrón/Bulygin 1979 il concetto di esistenza come promulgazione svolge un ruolo
fondamentale nel definire altre nozioni di esistenza: l’esistenza come validità e l’esistenza
come appartenenza (cfr., op. ult. cit., p. 73 ss.). In Alchourrón/Bulygin 1989, invece, si
3
sulla validità materiale P2 dovrebbe essere riformulato nel senso che se è vera la
proposizione ‘La norma Op è materialmente valida’ allora è vera la proposizione
‘La norma Pp è materialmente valida’. Stabilire la validità materiale di una
norma è questione di interpretazione. Occorre, infatti, interpretare non solo
l’enunciato esprimente la norma della cui validità materiale si discute, ma anche
gli enunciati, appartenenti ad una fonte gerarchicamente superiore, che
esprimono le norme assunte quale parametro di validità materiale. In ogni caso,
dal momento che qui ci occupiamo di norme, ossia di enunciati (già) interpretati
come aventi un determinato significato e non altri, credo tale problematica possa
essere tralasciata.
5. Proposizioni sulla validità in senso pieno. Definiamo valida in un
ordinamento giuridico On una norma prodotta in modo conforme a tutte le
metanorme sulla produzione giuridica di On ed il cui contenuto non sia
incompatibile con altre norme di On ad essa gerarchicamente superiori. Una
norma è valida in senso pieno quando è sia formalmente valida sia materialmente
valida. L’affermazione ‘La norma n è valida in senso pieno’ è, quindi,
equivalente all’affermazione ‘L’enunciato nE, interpretabile come esprimente la
norma n, è formalmente valido e la norma n è materialmente valida’. Alle
proposizioni sulla validità in senso pieno potranno essere estese le considerazioni
svolte a proposito delle proposizioni sulla validità formale e sulla validità
materiale.
6. Proposizioni sull’esistenza giuridica. Una norma esiste giuridicamente in
un ordinamento On, ma non è valida in tale ordinamento, quando (a) è una
norma suprema di quell’ordinamento, o (b) è stata prodotta (rectius è espressa da
un enunciato prodotto) in modo conforme solo ad alcune metanorme sulla
produzione giuridica, o (c) è stata prodotta (rectius è espressa da un enunciato
prodotto) in conformità a tutte le metanorme sulla produzione giuridica, ma non
è compatibile con altre norme di On ad essa gerarchicamente superiori.
Certamente la conformità ad alcune norme procedurali è condizione necessaria
di esistenza (per le norme non supreme). Tuttavia condivido l’opinione 10 secondo
cui non sarebbe possibile dire con esattezza quali e quante norme procedurali
debbano essere osservate perché l’enunciato giuridico (o, meglio, la fonte
normativa contenente l’enunciato) possa dirsi esistente. Le proposizioni
sull’esistenza giuridica di norme non saranno oggetto di indagine nel presente
scritto (ad esse, comunque, potrebbero essere estese, almeno in parte, le
considerazioni che verranno svolte a proposito della validità formale).
1. Il principio P1
norma Pp? E, più in generale, in che senso di ‘implica’ una norma ne implica
un’altra?
La nozione di implicazione è tradizionalmente definita in termini vero –
funzionali.
La proposizione composta ‘p q’ significa che non si può dare il caso che
l’antecedente (p) sia vera e la conseguente (q) falsa. Tale proposizione è falsa so-
lo nel caso in cui sia vera ‘p & ~q’, ossia nel caso in cui la protasi sia vera e l’a -
podosi falsa 11.
Se si conviene che le norme non siano né vere né false, è necessario quindi
ridefinire la nozione di ‘implicazione’. Per far ciò occorre preliminarmente
domandarsi se e su quali basi la logica si applichi a norme.
La tesi secondo cui vi sarebbero relazioni logiche tra norme è condivisa da
molti filosofi, benché vi siano notevoli contrasti circa il fondamento di tale tesi.
A titolo meramente esemplificativo si possono ricordare i seguenti tentativi di
fondazione e di costruzione di una logica delle norme (d’ora in poi ‘logica
normativa’).
1. Logica normativa come logica di proposizioni normative, che si assume
riflettano le relazioni logiche esistenti tra norme (Kelsen 1960, von Wright
1963).
2. Logica normativa come logica fondata, anziché sui valori vero/falso, sulla
coppia valido/invalido (Schreiber 1962, Ross 1968, Kalinowski 1972);
3. Logica fondata sull’idea di un legislatore razionale (von Wright 1983);
4. Logica del contenuto proposizionale o referenziale minimo che si assume
incorporato nelle norme (Jørgensen 1937, Hare 1951, Scarpelli 1959);
5. Logica fondata, anziché sui valori vero/falso, sulla coppia efficace/inef-
ficace (Hofstadter/McKinsey 1939, Von Wright 1991).
I tentavi di fondazione di cui ai numeri 3, 4 e 5 non rappresentano delle vere
e proprie alternative, bensì si presentano spesso uniti all’interno delle varie
teorie; sicché possono designarsi congiuntamente con la locuzione ‘logica del
soddisfacimento’ 12.
implica una certa conclusione, per avere una valida inferenza normativa dobbiamo
convertire ciascuna proposizione al modo imperativo ed invertire il loro ordine, ossia far
diventare la premessa conclusione e viceversa. Tale logica riesce a superare il c. d.
paradosso di Ross, ma ne crea moltissimi altri. Per una critica cfr. Ross 1968, pp. 176-
177, e Hare 1971b, pp. 64 e ss.
13 Purché si tratti appunto dello stesso stato di cose. Cfr. Tarello 1974, pp. 329 e ss.
Ricordo che ci stiamo occupando di norme, cioè di enunciati normativi già interpretati ed
interpretati come esprimenti una certa norma – e non altre.
14 Hare 1971b, p. 62-63: “Strictly speaking, the indicative which corresponds to an
imperative (i.e. which differs from it only in mood) is in the future tense, since the
imperatives themselves are future (the commands which they express are intended to be
obeyed after their utterance)”.
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Quanto alle norme dal contenuto tautologico, la maggior parte degli autori
ritiene non che tali norme, qualora esistano, siano sempre efficaci, bensì che si
tratti di espressioni carenti di significato (mal formulate), “porque tales
expresiones no prescriben (no ordinan ni permiten) ningún estado de cosas” 16.
È forse importante sottolineare come, in base alla logica del soddisfacimento,
che due norme siano contraddittorie non significa che tali norme non esistano o
non possano esistere (i. e. essere state emanate) entrambe, ma significa, invece,
che comandarle entrambe è irrazionale, in quanto non possono essere entrambe
efficaci.
La possibilità di essere efficace è, quindi, assunta quale criterio di razionalità
normativa.
Peraltro le strategie argomentative volte a giustificare tale assunzione
divergono a seconda che si ponga l’accento sulla razionalità della volontà che
comanda 17 ovvero sulla razionalità di ciò che è comandato 18.
Secondo la prima prospettiva due norme che non possono essere entrambe
efficaci manifestano una volontà irrazionale e sono perciò contraddittorie. Il
legislatore “may be said normally to want or desire, to “will”, that what he has
enjoined should without exception be the case. He wants the norms to be
satisfied. If for some reason or other it would impossible that the obligatory
states always (in the history of norm) obtain, we might say that his wish (will) is
not “rational”, since it cannot be fulfilled”. 19
Se qualcuno ordina qualcosa normalmente egli vuole che questo qualcosa sia
(sia fatto). Emettere due ordini che non possono essere (contemporaneamente)
eseguiti, significa volere cose contraddittorie (ad esempio volere che sia vera la
proposizione che tutti i ladri sono puniti e volere che sia vera la proposizione che
non tutti i ladri sono puniti): ciò, secondo standard diffusi, è valutato irrazionale.
In base alla seconda prospettiva, due norme che non possono essere entrambe
efficaci sono contraddittorie semplicemente perché le azioni da esse prescritte
non possono essere (contemporaneamente) adempiute: le due norme
15 Spesso, però, una norma è considerata inefficace anche quando il suo contenuto,
benché non logicamente contraddittorio, è empiricamente impossibile o necessario. Cfr.,
ad esempio, von Wright 1991, p. 269.
16 Alchourrón/Bulygin 1989, p. 86. Gli autori aggiungono però che il rifiuto di tali
norme darebbe luogo ad un calcolo molto complicato e per questa ragione ritengono
preferibile considerare le norme dal contenuto tautologico come espressioni ben formate
(o come assiomi). Nello stesso anche Alchourrón 1972, p. 59. Sul punto cfr. anche, ad es.,
von Wright 1963, pp. 152 ss., e von Wright 1991, p. 270.
17 Cfr., ad esempio, von Wright 1963 e 1983.
18 Cfr., ad esempio, Alchourrón/Bulygin 1989.
19 von Wright 1983, p. 139. In von Wright 1963 la coerenza delle norme è assunta
quale criterio di esistenza: per un’acuta critica a questa posizione, cfr. Alchourrón/Bulygin
1989, pp. 79 ss.
8
24 Una critica più generale mossa da Ross alla logica del soddisfacimento è quella
secondo cui tale logica darebbe luogo ad inferenze intuitivamente scorrette. Per una
critica al noto paradosso di Ross cfr., ad esempio, Hare 1971a e von Wright 1991, pp.
281-282. Nel complesso l’argomentazione di von Wright appare più convincente. In
sintesi, la norma Op è efficace se, e solo se, p; la norma O(p v q) è efficace se p o se q.
Quindi, se la norma Op è efficace, allora è efficace anche la norma O(p v q) e ciò non è
affatto paradossale.
L’errore di Ross consiste nell’aver confuso le questioni relative all’esistenza con le
questioni relative al contenuto delle norme. L’implicazione ‘O(p) O(p v q)’ non va letta
nel senso che, se esiste la norma Op, allora esiste anche la norma O(p v q); se di fatto è
stata emanata solo la norma Op, l’unico modo che ho di adempierla è fare p. “The
paradoxicality of the situation which Ross noted is partly due to a misunderstanding of a
notion of entailment between norms” (von Wright 1991, p. 281).
25 von Wright, op. ult. cit., p. 268.
26 von Wright, op. ult. cit., p. 268.
27 von Wright, op. ult. cit., p. 269.
10
28 von Wright, op. ult. cit., p. 270. Un insieme di O– e P-norms è coerente se, e solo
se, il sottoinsieme composto da tutte le O-norms è i) esso stesso coerente e ii) coerente
con ciascuno dei membri del sottoinsieme composto da tutte le P-norms (von Wright, op.
ult. cit., p. 271).
29 von Wrigth sottolinea, infatti, come l’enunciato ‘Non permesso che p’ possa
significare sia ‘Proibito che p’ ovvero ‘Obbligatorio che non p’ sia ‘Non esiste una norma
che permetta p’.
30 von Wright, op. ult. cit., p. 274.
31 von Wright, op. ult. cit., p. 275.
32 È questo un quesito che si pone (e a cui risponde) lo stesso von Wright (1991, p.
276): “A conservative minded logician might ask: What ‘right’have you to call the
relation defined in the preceding section ‘entailment’?”.
11
Il principio P1 esprime quindi una verità analitica. Quindi tale principio non è
esso stesso una norma. Si tratta di una proposizione (analiticamente vera)
concernente i rapporti logici tra gli operatori deontici.
37 Così, ad esempio, von Wright 1983, p. 139. Tale definizione pone, però, un
delicato problema per i permessi bilaterali. La norma P(p &~p) sarebbe, infatti, sempre
inefficace in quanto “nadie puede hacer una acción y omitirla en el mismo istante”
(Moreso/Navarro 1996, p. 120, nota 9).
38 Ovvero si risolve nella proposizione analiticamente vera ‘se è sempre vero che p,
allora è qualche volta vero che p’.
39 Ross 1968 p. 175.
14
“That the second is ‘entailed’by the first only means that an attempt on the part of
norm-giver to forbid this thing would lead to ‘contradiction’ in the sense that his
demands could not possibly be satisfied” 40.
“Logical relationships are not ontological” 41.
D’altra parte una simile inferenza sembrerebbe riguardare non tanto le
norme, quanto le proposizioni sull’esistenza di norme (e, pertanto, verrà
analizzata sub 2.1 e sub 2.3).
2. Il Principio P2
È tesi diffusa 42 quella secondo cui a livello descrittivo occorre distinguere tra
due accezioni di ‘permesso’.
In un prima accezione, detta ‘debole’, ‘permesso’ designa l’assenza di una
norma, in particolare l’assenza di un divieto. Se si adotta tale accezione, l’enun-
ciato ‘È permesso (in senso debole) lo stato di cose p (in simboli: P wp)’ è
traducibile con ‘Non esiste la norma Vp (in un ordinamento/sistema da
specificarsi)’.
In una seconda accezione, detta ‘forte’, ‘permesso’ designa l’esistenza di una
norma permissiva. In base a tale accezione, l’enunciato ‘È permesso (in senso
forte) lo stato di cose p (in simboli: P sp)’ è traducibile con ‘Esiste la norma Pp (in
un ordinamento/sistema da specificarsi)’ 43.
Ovviamente l’affermazione secondo cui esiste (o non esiste) una data norma
assume significati differenti a seconda della nozione di ‘esistenza’ adottata.
D’altra parte, come si è osservato sub 0, le proposizioni normative possono
altresì vertere sull’efficacia e sulla validità di norme.
Sembra, quindi, opportuno analizzare P 2 rispetto a ciascuno tipo di
proposizione normativa.
3. Alcune conclusioni
Come ‘p q’ può essere interpretata nel senso che non è razionale asserire ‘p
& ~q’ perché si farebbe un’asserzione falsa, così ‘Op Pp’ può essere interpretata
nel senso che non è razionale prescrivere ‘Op & Vp’ perché si darebbe un
comando inefficace.
Tuttavia, mentre ‘p q’ può essere assunta quale base di una valida inferenza,
ciò rispetto alle norme è problematico, e dipende in buona parte dall’accettazione
della ridefinizione di esistenza come appartenenza.
Se si accetta tale ridefinizione, allora P 2 può essere interpretato come una
proposizione analiticamente vera (vera in virtù del significato attribuito ai
termini che in essa compaiono) in base alla quale se è vera la proposizione ‘Op è
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