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APPUNTI

DI
MECCANICA RAZIONALE

A.A. 2010-11
2
Indice

1 Preliminari geometrici ed analitici 7


1.1 Vettori euclidei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.2 Tensori euclidei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.3 Il tensore distanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
1.4 Decomposizione polare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
1.4.1 Interpretazione geometrica del teorema di decomposi-
zione polare. Quadrica indicatrice. . . . . . . . . . . . 26
1.5 Sistemi di equazioni nonlineari: teorema del Dini . . . . . . . 27
1.6 Superfici parametriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
1.7 Curve parametriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
1.8 Introduzione ai sistemi vincolati . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
1.9 Cenno alle equazioni cardinali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38

2 Cinematica dei corpi rigidi 41

3 Moti relativi 47

4 Teorema di Aronhold-Kennedy 49

5 Calcolo delle reazioni vincolari 53


5.1 Il Principio dei Lavori Virtuali . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
5.2 Reazioni con le equazioni cardinali . . . . . . . . . . . . . . . 54
5.2.1 Sistemi staticamente determinati, sistemi isostatici . . 57
5.2.2 Principio di sovrapposizione degli effetti . . . . . . . . 61
5.2.3 Caso in cui un vincolo collega più di due corpi . . . . 62

6 Cerchi di Mohr 65

7 Facoltativo 71
7.1 Esempi elementari di biforcazione . . . . . . . . . . . . . . . . 71
7.2 Cenni alla termodinamica dei continui . . . . . . . . . . . . . 80
7.3 Corpi termoelastici (omogenei) . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
7.4 Fluidi linearmente viscosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82

3
4 INDICE
Elenco delle figure

1.1 a) Decomposizione di un vettore nelle parti normale e paral-


lela a c. b) Un particolare tensore, §1.3 . . . . . . . . . . . . 15
1.2 Rotazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
1.3 Come opera la decomposizione polare destra . . . . . . . . . . 27
1.4 Come opera la decomposizione polare sinistra . . . . . . . . . 28
1.5 Superficie parametrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
1.6 Curva parametrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

2.1 Terne fissa e solidale in un moto rigido . . . . . . . . . . . . . 42


2.2 Angoli di Eulero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

4.1 Costruzione della retta r contenente il centro istantaneo di


rotazione del corpo B2 . Nei casi a) e c) B2 ruota rispetto a
B1 con centro in C12 (cerniera che collega i due corpi). Nel
caso b) B2 trasla rispetto a B1 con velocità relativa t, il cen-
tro di rotazione relativa C12 è il punto all’infinito individuato
dalla direzione ortogonale a t. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

5.1 Struttura piana soggetta a forza o a coppia . . . . . . . . . . 55


5.2 Reazioni per la struttura di Fig. 5.1 b) . . . . . . . . . . . . . 56
5.3 Sistemi labili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
5.4 a) labile staticamente determinato; b) staticamente impossi-
bile; c) labile staticamente indeterminato . . . . . . . . . . . 60
5.5 Tre corpi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

6.1 Il cerchio di Mohr per le tensioni relative al piano Oξη (con


l’asse ζ uscente perpendicolarmente alla figura) della terna
principale Oξηζ in figura 6.3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
6.2 I cerchi di Mohr per le tensioni relative alla terna Oξηζ: (a)
σ1 > σ2 > σ3 ; (b) σ1 > σ2 = σ3 ; (c) σ1 = σ2 = σ3 . . . . . . . 68
6.3 Corrispondenza tra punti sul primo ottante della sfera uni-
taria della terna principale Oξηζ e punti dell’arbelo di Mohr
nel caso σ1 > σ2 > σ3 mentre le corrispondenti direzioni
principali sono quelle degli assi ξ, η, ζ, rispettivamente. . . . . 70

5
6 ELENCO DELLE FIGURE

7.1 Primo esempio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72


7.2 Diagrammi di biforcazione per l’esempio 1 . . . . . . . . . . . 73
7.3 Secondo esempio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74
7.4 Secondo esempio: a) equilibri e biforcazioni; b) stabilità degli
equilibri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
7.5 Equilibri e stabilità per A = 1 e varie scelte del parametro ǫ . 77
7.6 Equilibri e stabilità per A = −1 e varie scelte del parametro ǫ 78
7.7 Grafico della funzione in (7.24) . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
7.8 Curve di equilibrio per l’asta caricata quasi di punta . . . . . 80
Capitolo 1

Preliminari geometrici ed
analitici

1.1 Vettori euclidei


NB. Nelle sezioni 1.1 e 1.2 gli argomenti nuovi rispetto a quanto si suppone
noto dal corso di geometria sono connotati da titoli in carattere senza grazie
(in inglese sans serif).
E spazio euclideo tridimensionale
P, Q, . . . punti, elementi di E
V spazio vettoriale associato ad E
u, v, . . . vettori, elementi di V
Nota bene: punti e vettori sono enti introdotti senza l’ausilio di un sistema
di riferimento o di una base, rispettivamente. Idem per le operazioni di cui
sotto.

Relazione Grassmanniana tra punti e vettori

v =Q−P o, equivalentemente, v = P Q; inoltre Q = P + v. (1.1)

Angolo θ tra due vettori


È quello non superiore a π radianti, per convenzione.

Terna ordinata di vettori (u, v, w) linearmente indipendenti (non com-


planari) levogira o destra.

In V , come parte della struttura vettoriale, sono definite la somma tra


due o più vettori e il prodotto di uno scalare per un vettore. Si possono
definire in modo diretto le seguenti operazioni (|u| oppure kuk indicano il
modulo o lunghezza del vettore u).

7
8 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

Il prodotto scalare: u · v = |u| |v| cos θ.


NB. L’annullarsi del prodotto scalare è la condizione di ortogonalità.
Il prodotto vettoriale: u × v = |u||v| sin θ c, con c versore ortogonale a
u e v e tale che la terna (u, v, c) risulti levogira.
NB. La quantità |u × v| è l’area del parallelogramma costruito su u e v.
Inoltre l’annullarsi del prodotto vettoriale è la condizione di parallelismo.
Il prodotto misto: u × v · w.
NB. Il prodotto misto rappresenta il volume, con segno, del parallelepipe-
do costruito su u, v e w. Inoltre l’annullarsi del prodotto misto è la
condizione di complanarità.
Il doppio prodotto vettoriale u × (v × w).
NB. Valgono le seguenti espansioni:

a × (b × c) = (a · c)b − (a · b)c e (a × b) × c = (a · c)b − (c · b)a. (1.2)

Sia T = Oc1 c2 c3 = Ox1 x2 x3 il riferimento cartesiano ortogonale in E co-


stituito dalle tre rette orientate x1 , x2 , x3 , mutuamente ortogonali, passanti
per O e parallele e concordi con c1 , c2 , c3 rispettivamente; questi costi-
tuiscano una terna ortonormale levogira, base per lo spazio vettoriale V .
Un punto P è individuato, nel riferimento T , da una terna di co-ordinate
cartesiane,
x = (x1 , x2 , x3 ). (1.3)
Analogamente, un vettore v è individuato da una terna di componenti
cartesiane relative alla base c1 , c2 , c3 , definite da

v i = v · ci

e organizzate nella seguente matrice colonna1


 
v1
v = (v 1 , v 2 , v 3 )T =  v 2  . (1.4)
v3

Come è noto, un vettore v si può dare come combinazione lineare dei vettori
della base ortonormale scelta, mediante i coefficienti v 1 , v 2 , v 3 :
3
X
1 2 3
v = v c1 + v c2 + v c3 = v i ci = v i ci . (1.5)
i=1
1
Nel seguito per indicare un vettore o un tensore, si useranno lettere in grassetto (ad
es.v, A) mentre per la loro matrice rappresentativa si usa il medesimo simbolo, non in
grassetto e sottolineato (ad es. v, A). Una T posta in alto a destra di una matrice ne
indica la trasposta (ad es. AT è la matrice trasposta di A)
1.1. VETTORI EUCLIDEI 9

Convenzione di somma per indici ripetuti. Si osservi che in (1.5)3 non è im-
portante la lettera usata per l’indice ripetuto: le seguenti espressioni sono
tutte equivalenti
v = v i ci = v s cs = v j cj . (1.6)

Esempio 1.1 Riportiamo alcuni esempi dell’uso della convenzione di som-


ma per indici ripetuti:
3
X
Ahh = Ahh = A11 + A22 + A33 = trA,
h=1

3
X ∂v i
∂v i ∂v 1 ∂v 2 ∂v 3
= = + + = divv,
∂xi ∂xi ∂x1 ∂x2 ∂x3
i=1

3
X
Ars us = Ars us = Ar1 u1 + Ar2 u2 + Ar3 u3 .
s=1

Il simbolo di Kronecker δij . Il simbolo di Kronecker o delta di Kronecker


è definito dalle seguenti relazioni:

δij = 1 se i = j, δij = 0 se i 6= j. (1.7)

Si ha, ad esempio, δ11 = δ33 = 1, δ12 = δ31 = 0.

Esercizio 1.2 Verificare che valgono le relazioni

v i δij = v j , Arj δji = Ari , δii = δ11 + δ22 + δ33 = 3,

Aij δij = Aii = Ajj = A11 + A22 + A33 .

(per verificare, ad es., la prima: v i δij = v 1 δ1j + v 2 δ2j + v 3 δ3j che risulta
uguale a v 1 se j = 1, a v 2 se j = 2, a v 3 se j = 3).
I versori di una base ortonormale soddisfano le relazioni

ci · cj = δij . (1.8)

Il prodotto scalare di due vettori u e v è espresso, in componenti, da

u · v = u1 v 1 + u2 v 2 + u3 v 3 , u · v = ui v i (in forma compatta). (1.9)

Questa relazione si può scrivere anche in forma matriciale:


 1
v
u · v = uT v = (u1 , u2 , u3 )  v 2  . (1.10)
v3
10 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

Il prodotto vettoriale tra due vettori u, v, in componenti, si può scrivere


per esteso nella forma usuale:

u × v = (u2 v 3 − u3 v 2 )c1 + (u3 v 1 − u1 v 3 )c2 + (u1 v 2 − u2 v 1 )c3 . (1.11)

La (1.11) si ricorda facilmente come espansione del determinante della


seguente matrice simbolica:
 
c1 c2 c3
u × v = Det  u1 u2 u3  . (1.12)
v1 v2 v3

Prodotto misto. Dati tre vettori u, v e w, è utile la seguente espressione,


facilmente deducibile dalla (1.12)
 1 
u u2 u3
u × v · w = Det  v 1 v 2 v 3  . (1.13)
w1 w2 w3

Il prodotto misto tra tre vettori non cambia se si opera sui vettori una
permutazione pari. Se invece si opera una permutazione dispari, il prodotto
misto cambia di segno:

u × v · w = −v × u · w. (1.14)

Infatti il determinante (1.13) non muta, o muta solo nel segno, se si opera
un numero pari, o dispari, di scambi tra le righe. Può essere utile ricordare
la precedente regola mediante la equivalente scrittura:

u × v · w = u · v × w; (1.15)

quanto a dire che non muta il prodotto misto di tre vettori se si scambiano
tra loro i simboli di prodotto scalare, · , e di prodotto vettoriale, × .

1.2 Tensori euclidei


Nel seguito useremo la parola tensore come sinonimo di operatore o trasfor-
mazione lineare.
Definizione 1.3 Una funzione A definita in V e a valori in V :

A : V 7→ V

si dice un operatore lineare o tensore se vale la seguente condizione (detta


di linearità)
A(αu + βv) = αA(u) + βA(v), (1.16)
per ogni u, v ∈ V e per ogni α, β ∈ R.
1.2. TENSORI EUCLIDEI 11

Esempio 1.4 Sono operatori lineari: l’operatore nullo O che associa ad


ogni vettore v il vettore nullo: Ov = 0; il tensore identità I che associa
ad ogni vettore v il vettore v stesso: I(v) = v; dato un vettore w, la
funzione vettoriale W che associa ad ogni vettore v il vettore w × v, ossia
W (v) = w × v.

Avvertenza. Per semplicità di notazione quando si tratta di operatori


lineari si usa omettere le parentesi scrivendo ad es. Av invece di A(v).
Prodotto tensoriale o Diade. Si dice prodotto tensoriale o diade o, ancora,
prodotto indefinito o diadico tra due vettori a e b e si indica con a ⊗ b, la
funzione vettoriale che ad ogni vettore v associa il vettore

(a ⊗ b) v = a(b · v). (1.17)

Si osservi che il secondo membro di (1.17) è un vettore ottenuto moltipli-


cando il vettore a per lo scalare (b · v). Dunque a ⊗ b manda ogni vettore
v in un vettore parallelo ad a.

Proposizione 1.5 La diade a ⊗ b è un operatore lineare cioè un tensore.

Dimostrazione. (a ⊗ b)(αu + βv) = a[b · (αu + βv)] = a[αb · u + βb · v)] =


αa(b · u) + βa(b · v) = α(a ⊗ b)(u) + β(a ⊗ b)(v).

È bene tenere sempre presente nel seguito che: a) un tensore (o un vetto-


re) è un ente oggettivo e le sue proprietà sono intrinseche, cioè indipendenti
dalla scelta della base (un tensore (o un vettore) esiste ‘prima’ della base); b)
l’introduzione di una base è molto utile per gli sviluppi del calcolo tensoriale
(o vettoriale).
Somma di tensori: (A + B)v = Av + Bv. Valgono le uguaglianze

A + B = B + A.

(A + B) + C = A + (B + C) = A + B + C.

Prodotto di un tensore per uno scalare: (αA)v = αAv.


Prodotto di tensori: (AB)v = A(Bv). Valgono le seguenti

(AB)C = A(BC) = ABC, AB 6= BA.

Trasposto di un tensore: per ogni coppia di vettori u, v ∈ V

v · AT u (= AT u · v) = u · Av. (1.18)

Valgono le relazioni

(AT )T = A, (AB)T = B T AT . (1.19)


12 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

Tensori simmetrici o emisimmetrici (detti anche antisimmetrici): se


soddisfano le rispettive condizioni

AT = A o AT = −A. (1.20)

Rappresentazione dei tensori in basi ortonormali: sia A un tensore


e c1 , c2 , c3 una base ortonormale di V ; si dicono componenti del tensore A
nella base data gli scalari

(A)ij = Aij = ci ·(Acj ) (che equivale a Acj = Aij ci ), (i, j = 1, 2, 3). (1.21)

Le componenti Aij possono essere organizzate nella matrice A :


 
A11 A12 A13
A =  A21 A22 A23  . (1.22)
A31 A32 A33

Si osservi che nella matrice (1.22) la colonna j-esima coincide con la colonna
delle componenti del vettore Acj immagine di cj .
Sia u = u1 c1 + u2 c2 + u3 c3 un generico vettore e sia v = Au; allora
la matrice colonna v delle componenti del vettore v = Au nella base ci si
ottiene come prodotto (righe per colonne) della matrice quadrata A per la
matrice colonna u:
 1   1
v A11 A12 A13 u
v = A u,  v 2  
= A21 A22 A23   u2  ; (1.23)
v 3 A31 A32 A33 u3
in componenti
v i = Aij uj , (i, j = 1, 2, 3). (1.24)
Sia le (1.23) che le (1.24) sono equivalenti alle seguenti

v 1 = A11 u1 + A12 u2 + A13 u3 (1.25)


2 1 2 3
v = A21 u + A22 u + A23 u
3
v = A31 u1 + A32 u2 + A33 u3 .

Notazione diretta, matriciale e in componenti: rispettivamente

v = Au, v = A u, v i = Aij uj . (1.26)

Valgono le seguenti proprietà:

(αA)ij = αAij , (A + B)ij = Aij + Bij , (A B)ij = Air Brj , (AT )ji = Aij .
(1.27)

Proposizione 1.6 Ogni tensore A si può esprimere come combinazione li-


neare di prodotti tensoriali tra i vettori della base, nel seguente modo:
1.2. TENSORI EUCLIDEI 13

3
X
A = Aij ci ⊗ cj = Aij ci ⊗ cj . (1.28)
i,j=1

Dimostrazione. Infatti si ha, per ogni vettore u, Au = Aij uj ci = Aij ci (cj ·


u) = Aij (ci ⊗ cj )u = (Aij ci ⊗ cj )u.

Tensori sferici (detti anche idrostatici) e tensori deviatorici: se soddisfano


le rispettive condizioni
3
X
A = αI o 0 = trA (= Aii ). (1.29)
i=1

Proposizione 1.7 Dato un qualsiasi tensore A siano S, E, Σ, D i tensori


1 1 1 1
S = (A + AT ), E = (A − AT ), Σ = tr A I,
D = A − (tr A) I;
2 2 3 3
(1.30)
allora S è simmetrico, E emisimmetrico, Σ sferico, D deviatorico e risulta

A=S+E e A = Σ + D. (1.31)

(Facoltativo) Ciascuna delle due decomposizioni in (1.31) è unica.

Dimostrazione. Lasciata per esercizio.

Relazioni analoghe alle (1.30), (1.31) valgono per le corrispondenti ma-


trici A, S, E, Σ, D.

Esempio 1.8
     
1 0 2 2 0 5 0 0 −1
0 1 1
1 0 = 0 2 1 + 0 0 −1  .
2 2
3 1 4 5 1 8 1 1 0

Proposizione 1.9 Se S è un tensore simmetrico ed E uno emisimmetrico


allora vale la seguente relazione

Sij Eji = 0 = Sij Eij . (1.32)

Dimostrazione. Sij Eji = 12 (Sij Eji + Sji Eij ) = 12 (Sij Eji − Sij Eji ) = 0.

Prodotto tensoriale tra due vettori o diade. Il tensore a ⊗ b, prodot-


to tensoriale dei due vettori a e b, definito dalla (1.17), ha le seguenti
componenti
(a ⊗ b)ij = ai bj . (1.33)
14 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

La (1.33) è d’immediata verifica , infatti

(a ⊗ b)ij = ((a ⊗ b)cj ) · ci = a(b · cj ) · ci = a · ci b · cj = ai bj .

Dunque il tensore (a ⊗ b) ammette la seguente rappresentazione matriciale


 1  1 1 
a a b a 1 b2 a 1 b3
a bT =  a 2  ( b 1 b 2 b 3 ) =  a 2 b 1 a 2 b 2 a 2 b 3  .
a3 a 3 b1 a 3 b2 a 3 b3
Si osservi che il prodotto di una matrice riga per una matrice colonna (con lo
stesso numero di elementi) dà uno scalare mentre il prodotto di una matrice
colonna per matrice riga dà una matrice quadrata.
Tensore definito dal prodotto vettoriale. Nell’Esempio 1.4 si è visto che,
fissato un vettore w, il prodotto vettoriale w × v con un qualsiasi vettore v
si può interpretare come un’applicazione lineare: W : v 7→ w × v. Talvolta
si usa la notazione W = w × . Il legame tra le componenti di w e la matrice
rappresentativa W del tensore W in una (qualunque) base ortonormale è:
 
0 −w3 w2
W =  w3 0 −w1  . (1.34)
−w 2 w 1 0
Per rendersene conto basta ricordare che, ad esempio, la prima colonna
della matrice W è data dalle componenti del vettore W c1 e cioè del vettore
w × c1 = −w2 c3 + w3 c2 . Analogamente si procede per le altre colonne.
Tenuto conto della (1.34) si verifica direttamente che per ogni vettore v
risulta
w × v = W v. (1.35)
Valgono anche le relazioni
1
w1 = −W23 = (W32 − W23 ),
2
1
w2 = W13 = (W13 − W31 ), (1.36)
2
1
w3 = −W12 = (W21 − W12 ),
2
e quindi la seguente
Proposizione 1.10 Esiste (in dimensione 3) una corrispondenza biunivoca
tra i vettori e i tensori emisimmetrici:
a) ad ogni tensore emisimmetrico W rimane associato un (unico) vettore
w tale che la (1.35) risulti valida per ogni vettore v; l’espressione di w in
funzione di W è data da (1.36);
b) ad ogni vettore w rimane associato un (unico) tensore emisimmetrico W
tale che valga la (1.35) per ogni vettore v. L’espressione di W in funzione
di w è data da (1.34).
1.2. TENSORI EUCLIDEI 15

2
|PP'| = |OP| 2− (OP⋅n) 2
x3
(c⊗c)v P
v r

P'
O
c x2
(I−c⊗c)v n
x1
a) b)

Figura 1.1: a) Decomposizione di un vettore nelle parti normale e parallela


a c. b) Un particolare tensore, §1.3

Tensore Pc proiezione nella direzione del versore c : Pc = c ⊗ c.


Infatti applicando Pc al generico vettore v, si ottiene il vettore (c ⊗ c)v =
c(c · v) che è appunto il vettore proiezione di v lungo la direzione c. In
componenti si ha (c ⊗ c)ij = ci cj (vedi (1.33)). La matrice rappresentativa
del tensore (c ⊗ c) è data dal prodotto

c cT . (1.37)

Tensore Pc ⊥ proiezione ortogonale alla direzione del versore c : è


il tensore Pc⊥ = (I − c ⊗ c). Applicando tale tensore al generico vettore v,
si ottiene il vettore:

(I − c ⊗ c)v = Iv − c(c · v) = v − c(c · v)

che rappresenta il vettore proiezione di v sul piano ortogonale a c (vedi


figura 1.1 (1)). In componenti si ha

(I − c ⊗ c)ij = δ ij − ci cj .

La matrice rappresentativa del tensore proiezione ortogonale a c, (I −c⊗c),


è dunque
I − c cT . (1.38)
Dato un vettore v e un versore c si può sempre decomporre v in modo unico
come somma di un vettore parallelo e di uno ortogonale a c. Tale decompo-
sizione risulta facile utilizzando i tensori (1.1) e (1.1) come è evidente dalla
seguente relazione:
v = (c ⊗ c)v + (I − c ⊗ c)v. (1.39)

Tensore definito dal doppio prodotto vettoriale (a × v) × b.


Dati due vettori a e b la funzione che associa ad ogni vettore v il vettore
16 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

(a × v) × b è un tensore. Infatti dall’espansione (1.2)2 si ricava


(a × v) × b = (b · a)v − (b · v)a =
= (b · a)Iv − (a ⊗ b)v = ((b · a)I − a ⊗ b)v.
In notazione matriciale il tensore (b·a)I −a⊗b ammette la rappresentazione
(vedi 1.10):
bT a I − a bT . (1.40)
Esercizio 1.11 Scrivere per esteso la matrice bT a I − a bT .
Esercizio 1.12 Scrivere per esteso la matrice aT a I − a aT che rappresenta
il tensore (a × v) × a.

Determinante, DetA, di un tensore A: è il determinante, DetA, della


matrice che rappresenta il tensore in una base ortonormale qualsiasi:
DetA = DetA. (1.41)
La seguente proposizione ci assicura che la definizione data di determinante
di un tensore sia indipendente dalla rappresentazione matriciale relativa alla
particolare base scelta.
Proposizione 1.13 Per ogni terna di vettori u,v e w, non complanari,
vale la relazione
Au × Av · Aw
Det A = . (1.42)
u×v·w
Dimostrazione. Nella base scelta la matrice A determina una trasformazione
lineare di R3 in R3 della forma
 1  1
y x
y =  y 2  7→ x =  x2  = A y, cioè xi = Aij y j . (1.43)
y3 x3
Sia D un aperto di R3 e d il suo trasformato tramite A:
d = {x : x = A y, y ∈ D}. (1.44)
Per definizione di volume si ha
ZZZ ZZZ
Vol d = dx1 dx2 dx3 = |Det A| dy 1 dy 2 dy 3 = |Det A| Vol D, (1.45)
d D
dove si sono usate successivamente la formula per il cambiamento di variabili
in un integrale triplo e il fatto che la matrice jacobiana in questo caso è A ed
è costante. Supponiamo ora che D sia il parallelepipedo costruito sui vettori
u, v, w costituenti una terna levogira. Allora d è il parallelepipedo costruito
sui vettori Au, Av, Aw e (1.42) segue tenendo conto che
Vol D = u × v · w e Vol d = (sgn Det A) Au × Av · Aw. (1.46)
Analoga dimostrazione si fa se la terna u, v, w è destrogira.
1.2. TENSORI EUCLIDEI 17

La relazione (1.42) comporta le seguenti osservazioni.

Osservazione 1.14 Per il significato geometrico del prodotto misto la quan-


tità
u×v·w [oppure Au × Av · Aw]
rappresenta il volume del parallelepipedo costruito sulla terna di vettori
(u, v, w), oppure (Au, Av, Aw)] preso con segno positivo se la terna è
levogira, negativo nel caso opposto. Dunque risulta: DetA > 0 se A tra-
sforma terne levogire, in terne levogire; DetA < 0 nel caso opposto, cioè se
trasforma terne levogire in terne destrogire. Vale la relazione DetA = 0 se e
solo se Au × Av · Aw = 0 cioè se A trasforma terne di vettori linearmente
indipendenti (non complanari), in terne di vettori linearmente dipendenti
(complanari).

Osservazione 1.15 Il determinante di una matrice, e quindi di un tensore,


è indipendente dalla base scelta per la rappresentazione (infatti tale è il
secondo membro della (1.42) ).

Osservazione 1.16 Il modulo del determinante di un tensore è pari al rap-


porto tra il volume del parallelepipedo costruito su tre vettori Au, Av, Aw
e il volume del parallelepipedo costruito su tre vettori u, v, w. Tale rapporto
risulta indipendente dalla scelta dei vettori (infatti tale è il primo membro
della (1.42) ):
Vol(Au, Av, Aw)
|Det A| = . (1.47)
Vol(u, v, w)
Si può quindi affermare che un tensore A trasforma regioni di volume V in
regioni di volume V |DetA|.

Valgono per i determinanti le seguenti relazioni:

DetA = DetAT , Det(AB) = DetA DetB. (1.48)

Tensore inverso di A: è il tensore A−1 che soddisfa le relazioni

AA−1 = A−1 A = I. (1.49)

Dalla precedente relazione (1.49) e dalla (1.48)2 segue DetA Det(A−1 ) =


1, ossia
1
Det(A−1 ) = . (1.50)
DetA
Per (1.50), l’esistenza del tensore inverso A−1 comporta DetA 6= 0. Vale
inoltre la relazione:
(A−1 )T = (AT )−1 . (1.51)
18 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

Si può dunque usare, senza possibilità di equivoco, la notazione

A−T (1.52)

al posto di (A−1 )T o di (AT )−1 . Se S è un tensore simmetrico la precedente


relazione (1.51) assicura che anche il suo inverso S −1 è simmetrico:

S −T = S −1 (1.53)

Per il tensore inverso del tensore prodotto AB vale la relazione:

(AB)−1 = B −1 A−1 . (1.54)

Infatti (AB)(B −1 A−1 ) = ABB −1 A−1 = AIA−1 = AA−1 = I.

Tensori ortogonali e rotazioni: un tensore Q si dice ortogonale se sod-


disfa le seguenti condizioni:

QQT = QT Q = I (ossia QT = Q−1 ). (1.55)

In particolare, Q è una rotazione se è ortogonale e DetQ = 1. La condizione


(1.55) scritta in componenti diventa:

Qir Qjr = Qri Qrj = δij (1.56)

cioè

Qir Qjr = Qri Qrj = 0 se i 6= j,


Qir Qjr = Qri Qrj = 1 se i = j. (1.57)

Un tensore ortogonale gode delle seguenti proprietà:

Proposizione 1.17 Per ogni vettore v risulta |v| = |Qv|, cioè Q trasforma
vettori in vettori dello stesso modulo, se e solo se Q è ortogonale.

Proposizione 1.18 Per ogni coppia di vettori u, v l’angolo da essi formato


è uguale all’angolo formato da Qu e Qv se (e non solo se) Q è ortogonale.

Un tensore ortogonale Q trasforma i vettori c1 , c2 , c3 di una base orto-


normale di V , nei vettori

u1 = Qc1 , u2 = Qc2 , u3 = Qc3 , (1.58)

che, per le precedenti proprietà, costituiscono ancora una base ortonormale.


Le componenti di Q nella base c1 , c2 , c3 sono date da

d
Qij = Qcj · ci = uj · ci = cos uj ci , (1.59)
1.2. TENSORI EUCLIDEI 19

ossia: la componente di posto i, j di una matrice di rotazione è data dal


coseno dell’angolo tra uj e ci . Si ha dunque
   1 
d
cos u1 c1 d
cos u2 c1 d
cos u 3 c1 u 1 u1 2 u1 3

Q = cos ud1 c2 d
cos u2 c2 d
cos u 3 c2  
= u2 1 u2 2 u2 3  , (1.60)
d
cos u1 c3 d
cos u 2 c3 d
cos u 3 c3 u3 1 u3 2 u3 3

avendo indicato con ur s la componente lungo cr del versore us .

Osservazione 1.19 Si riconosce dalla (1.60) che la colonna j - esima di Q


è costituita dal vettore colonna delle componenti di uj nella base c1 , c2 , c3 .
Quindi i primi membri delle relazioni (1.56) hanno significato di prodotto
scalare tra i due vettori ui e uj .

Osservazione 1.20 Le condizioni (1.55) e DetQ = 1 > 0 garantiscono (ve-


di l’Osservazione 1.14 precedente) che Qc1 , Qc2 , Qc3 è una terna ortonorma-
le levogira se tale è la terna c1 , c2 , c3 . Per tale motivo le rotazioni si dicono
talora rotazioni proprie per distinguerle dalle rotazioni con riflessione, il cui
determinante è −1.

Osservazione 1.21 Il tensore ortogonale Q che trasforma la base ortonor-


male ci nella base ortonormale ui : Qci = ui , ha la medesima matrice
rappresentativa nelle due basi suddette. Infatti
Q̃ij = Quj · ui = Q(Qcj ) · (Qci ) = Qcj · QT Qci = Qcj · ci = Qij .
Dunque indicheremo con Qij sia le componenti nella base ci che quelle nella
base ui .

Esempio 1.22 Si scriva la matrice della rotazione Q che trasforma la terna


c1 , c2 , c3 nella terna u1 , u2 , u3 ruotata, in senso antiorario, attorno a c3 di
un angolo θ. Risulta

Q11 = u1 · c1 = cos θ, Q12 = u2 · c1 = − sin θ, Q13 = u3 · c1 = 0,


Q21 = u1 · c2 = sin θ, Q22 = u2 · c2 = cos θ, Q23 = u3 · c2 = 0, (1.61)
Q31 = u1 · c3 = 0, Q32 = u2 · c3 = 0, Q33 = u3 · c3 = 1,

e quindi  
cos θ − sin θ 0

Q = sin θ cos θ 0. (1.62)
0 0 1

Formule di trasformazione per le componenti di un vettore.


Siano c1 , c2 , c3 e c̃1 , c̃2 , c̃3 due basi ortonormali di V e sia Q il tensore
ortogonale che trasforma la prima base nella seconda:

Qci = c̃i . (1.63)


20 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

c2
c2 v v c2
Qc 2 −θ
Qc 1 QTv
v~ 2
v~1
θ
c1 c1 c1

Figura 1.2: Rotazione

Il vettore v si può rappresentare nelle due diverse basi ci e c̃i mediante le


relazioni
v = v i ci , v = ṽ i c̃i (1.64)

dove v i e ṽ i sono le componenti del vettore v nella base ci e, rispettivamente,


nella base c̃i .

Proposizione 1.23 Le componenti di un vettore rispetto a due diverse basi


ortonormali, ci e c̃i = Qci soddisfano le seguenti relazioni matriciali

ṽ = QT v, v = Qṽ. (1.65)

Le (1.65) scritte in componenti danno le seguenti

ṽ s = Qis v i , v s = Qsi ṽ i . (1.66)

Osservazione 1.24 . Per favorire una corretta memorizzazione delle for-


mule (1.65) si ponga attenzione alle due relazioni

c̃i = Qci e ṽ = QT v :

si opera con il tensore Q per trasformare la base ci nella base c̃i , mentre
si opera con la matrice trasposta QT per trasformare le componenti di un
vettore nella base ci in quelle nella base c̃i . La figura 1.2 illustra la situazione
di una rotazione nel caso piano: il vettore QT v ha, rispetto alla base ci , le
stesse componenti che v ha nella base ruotata c̃i = Qci .

Osservazione 1.25 . Poiché le coordinate cartesiane xi e x̃i di un punto


P nei riferimenti Oc1 c2 c3 e Oc̃1 c̃2 c̃3 , rispettivamente, coincidono con le
componenti i-me in tali riferimenti del vettore posizionale OP , le (1.66)
implicano
x̃s = Qis xi , xs = Qsi x̃i . (1.67)
1.2. TENSORI EUCLIDEI 21

Formule di trasformazione per le componenti di un tensore.


Sia A un tensore e siano A e à le matrici che lo rappresentano rispetti-
vamente nelle basi ci e c̃i . Le componenti delle due matrici sono date (per
definizione) da
Aij = Acj · ci , Ãij = Ac̃j · c̃i . (1.68)

Proposizione 1.26 Le matrici che rappresentano un tensore rispetto a due


diverse basi ortonormali ci e c̃i = Qci soddisfano le relazioni

à = QT A Q, A = Q à QT , (1.69)

che, espresse in componenti diventano:

Ãij = Qli Als Qsj , Aij = Qil Ãls Qjs . (1.70)

In particolare, per A = Q si riottiene l’Osservazione 1.21.

Esercizio 1.27 Si consideri un campo vettoriale u rappresentato nel riferi-


mento cartesiano Oc1 c2 c3 dalle funzioni di classe C 1

ui = ui (x1 , x2 , x3 ), i = 1, . . . , 3, (1.71)

e la matrice 3 × 3 delle loro derivate parziali


∂ui
ui,j (x1 , x2 , x3 ), ui,j := , i, j = 1, . . . , 3. (1.72)
∂xj

Questa costituisce la rappresentazione cartesiana di un operatore lineare,


indicato come gradu o ∇u; infatti risulta
∂ ũi
ũi,j := = Qli ul,s Qsj , ui,j = Qil ũl,s Qjs . (1.73)
∂ x̃j

Inoltre non è restrittiva l’ipotesi, adottata sopra, che i due sistemi di coor-
dinate abbiano la stessa origine O.

Esercizio 1.28 Sia ora W la parte emisimmetrica di ∇u : W = 1/2(∇u −


(∇u)T ). Si dimostri che il vettore w corrispondente a W tramite (1.34) è
w = 1/2 rotu.

Invarianti principali di un tensore.


Le relazioni (1.69) mostrano come mutano le componenti di un tensore
al cambiare della base ortonormale. Come il modulo di un vettore risulta
indipendente dalla base cosı̀esistono degli scalari costruiti tramite le compo-
nenti di un tensore che non mutano al mutare della base e diremo pertanto
che sono degli invarianti (ortogonali).
22 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

Definizione 1.29 Si dice traccia di un tensore A lo scalare:

tr(A) = A11 + A22 + A33 = Aii . (1.74)

Esempio 1.30 La traccia del tensore a ⊗ b è data da

tr(a ⊗ b) = a1 b1 + a2 b2 + a3 b3 = a · b. (1.75)
Proposizione 1.31 La traccia del prodotto di due tensori qualsiasi, A e
B, non dipende dall’ordine dei fattori:
tr(AB) = tr(BA). (1.76)

Dimostrazione. tr(AB) = Ais Bsi = Bsi Ais = tr(BA).

Dato un tensore A, si considerino i seguenti scalari:2

I1 (A) = tr(A) = A11 + A22 + A33 ( invariante primo o lineare),


1
I2 (A) = [(trA)2 − tr(A2 )] ( invariante secondo o quadratico),
2
I3 (A) = DetA ( invariante terzo o cubico). (1.77)

Proposizione 1.32 I tre scalari definiti dalle (1.77) sono invarianti per
cambiamenti di basi ortonormali.

Dimostrazione. Di (1.77)1 : trà = tr(QT AQ) = (per (1.76)) = tr(Q QT A) =


trA.
Di (1.77)2 : (trA)2 è invariante; tr(A2 ) = tr(A A) è invariante in quanto
traccia del tensore AA. Dunque anche I2 (A) è invariante.
Di (1.77)3 : DetA è invariante per la Osservazione 1.15. Volendo una dimo-
strazione diretta: Detà = Det(QT AQ) = DetQT DetADetQ = DetA.

Si osservi infine che la traccia del prodotto AB è espressa da

tr(AB) = Aij Bji . (1.78)

Ricordando che un generico tensore B si può decomporre in somma delle


sue parti, simmetrica ed emisimmetrica e ricordando la (1.32), è evidente
che la traccia del prodotto di un tensore simmetrico S per B equivale alla
traccia del prodotto di S per la parte simmetrica di B:
1 1
tr(SB) = tr(S (B + B T )) = Sij (Bji + Bji ). (1.79)
2 2

Autovalori, autovettori
2
Talora si sceglie come invariante secondo −I2 (A).
1.2. TENSORI EUCLIDEI 23

Dato un tensore A, si vogliono determinare, se esistono, i vettori u di V


che vengono mutati da A in vettori paralleli a se stessi:

Au = λu con λ ∈ R. (1.80)

È evidente che la (1.80) equivale alla relazione

(A − λI)u = 0. (1.81)

L’equazione (1.81) si può esplicitare nella forma matriciale


  1
A11 − λ A12 A13 u
(A − λI)u = 0,  A21 A22 − λ A23   u2  = 0. (1.82)
A31 A32 A33 − λ u3

Si tratta di un sistema lineare omogeneo nelle incognite ui con parametro


λ. Perchè esso ammetta soluzioni non banali è necessario che sia

Det(A − λI) = 0, (1.83)

e in tal caso vi sono infiniti vettori soluzione, u. Sviluppando il determinante


a primo membro, la (1.83)da luogo alla seguente equazione algebrica di grado
3 nell’incognita λ, detta equazione caratteristica:

λ3 − I1 (A)λ2 + I2 (A)λ − I3 (A) = 0. (1.84)

Le radici λ1 , λ2 , λ3 sono dette autovalori. In corrispondenza ad autova-


lori λi il sistema (1.82) ammette delle soluzioni ui , non nulle, dette autovet-
tori. Se v è un autovettore, tale è anche il vettore αv. Non pone limitazioni,
quindi, scegliere un autovettore di modulo unitario che rappresenti la classe
di tutti gli autovettori ad esso paralleli.
Ci limiteremo a trattare il problema degli autovettori nel caso di tensori
simmetrici per il particolare interesse che essi presentano nella Meccanica
Razionale e, in generale, nella Fisica Matematica. Vale il seguente
Teorema 1.33 Sia S un tensore simmetrico; allora
a) le radici (autovalori) dell’equazione caratteristica (1.83) sono reali;
b) Il sistema (1.82) ammette almeno tre soluzoni (autovettori) u1 , u2 , u3 ,
mutuamente ortogonali.
Sia Q la rotazione che manda la base ortonormale c1 , c2 , c3 nella base
costituita dagli autovettori u1 , u2 , u3 , del tensore S che, per quanto detto,
possiamo assumere costituenti una terna ortonormale levogira. La colonna j-
esima della matrice Q è costituita dalle componenti di uj nella base c1 , c2 , c3 :
 1 
u 1 u1 2 u1 3
Q =  u2 1 u2 2 u2 3  , (1.85)
3 3
u 1 u 2 u 3 3
24 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

dove con uij s’intende la componente i-esima del vettore uj :

uij = uj · ci . (1.86)

Nella base ortonormale formata dagli autovettori u1 , u2 , u3 , l’operatore S è


rappresentato dalla matrice Ŝ che è legata alla matrice S dalla relazione

Ŝ = QT SQ. (1.87)

Proposizione 1.34 In una base formata dai suoi autovettori il tensore


simmetrico S ammette la rappresentazione diagonale :
 
λ1 0 0
Ŝ =  0 λ2 0  . (1.88)
0 0 λ3

Nel caso in cui sia λ1 = λ2 = λ3 = λ si ha che ogni vettore dello spazio


V è autovettore corrispondente all’autovalore λ e quindi S = λI.
Nel caso in cui solo due autovalori coincidano:

a = λ1 = λ2 6= λ3 = b, (1.89)

il tensore assume la seguente rappresentazione rispetto alla terna di auto-


vettori u1 ,u2 , u3 (essendo u3 l’autovettore relativo a b):
 
a 0 0
Ŝ =  0 a 0  . (1.90)
0 0 b
Proposizione 1.35 Nella notazione di sopra, ogni vettore ortogonale a u3
è un autovettore relativo all’autovalore a e il tensore S ha la stessa matrice
rappresentativa (1.90) rispetto a ogni base ortonormale di autovettori.
È evidente che la proposizione (1.35) si può adattare anche ai casi in cui
si scelga l’autovettore relativo all’autovalore distinto b coincidente con u1
oppure con u2 .

1.3 Il tensore distanza


Si indichi con D il tensore trattato nell’Esercizio 1.12 nel caso in cui sia
a = OP , essendo O e P due punti di E , sia cioè:

D = (|OP |2 I − OP ⊗ OP ) = (trL)I − L, L = OP ⊗ OP. (1.91)

Proposizione 1.36 Sia r la retta per O di versore n; allora lo scalare


d2 = n · Dn è il quadrato della distanza di P da r:

n · Dn = |P ′ P |2 . (1.92)
1.4. DECOMPOSIZIONE POLARE 25

Infatti: n · Dn = n · [(OP 2 I − OP ⊗ OP )n] = n · [OP 2 n − OP (OP · n)] =


OP 2 − (OP · n)(OP · n) = |OP |2 − (OP · n)2 = |P ′ P |2 , avendo indicato con
P ′ la proiezione di P su r (vedi figura 1.1 (2)).
Sia O l’origine di un sistema di riferimento cartesiano; dette x1 , x2 , x3
le co-ordinate di P , le matrici dei tensori che compaiono nella (1.91) sono
espresse dalle seguenti relazioni
 1 2 
(x ) + (x2 )2 + (x3 )2 0 0
OP 2 I =  0 (x1 )2 + (x2 )2 + (x3 )2 0 
0 0 1 2 2 2 3
(x ) + (x ) + (x ) 2

 1 2  (1.93)
(x ) x1 x2 x1 x3
[OP ⊗ OP ] =  x2 x1 (x2 )2 x2 x3  . (1.94)
3
x x 1 x x3 2 3
(x ) 2

Quindi la matrice che rappresenta il tensore D = OP 2 I − OP ⊗ OP è data


da

 
(x2 )2 + (x3 )2 − x1 x2 −x1 x3
D=  −x2 x1 (x ) + (x3 )2
1 2 −x2 x3 . (1.95)
−x3 x1 − x3 x2 1 2
(x ) + (x )2 2

1.4 Decomposizione polare


Definizione 1.37 Un tensore simmetrico S si dice definito positivo se
per ogni v ∈ V risulta

Sv · v ≥ 0 o, in componenti, Sij v i v j ≥ 0 (1.96)

valendo l’uguaglianza solo per v = 0; ossia, se Sv forma angolo acuto con


v per ogni v 6= 0.

Proposizione 1.38 Se S è un tensore simmetrico definito positivo i suoi


autovalori sono tutti positivi.

Teorema 1.39 (di Decomposizione Polare) Per ogni tensore F inver-


tibile è sempre possibile determinare in modo unico un tensore ortogonale
R e due tensori simmetrici, definiti positivi, U e V , tali che risulti

F = RU e F = V R. (1.97)
Dimostrazione. Si consideri il tensore F T F ; esso è simmetrico

(infatti (F T F )T = F T (F T )T = F T F ),

e definito positivo

(infatti F T F v · v = F v · F v = (F v)2 ≥ 0).


26 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

Per la Proposizione (1.38) gli autovalori di F T F sono positivi: λj > 0,


(j = 1, 2, 3). Si assuma una terna di autovettori unitari come base di V ; il
tensore F T F è ivi rappresentato dalla matrice diagonale:
 
λ1 0 0
F T F =  0 λ2 0  . (1.98)
0 0 λ3

Si consideri la matrice
√ 
λ1 √0 0
U=  0 λ2 ;
√0 (1.99)
0 0 λ3

risulta evidentemente U U = F T F . Dunque esiste un tensore U tale che

UU = F T F . (1.100)

Il tensore U è simmetrico e definito positivo. Infatti la matrice (1.99) ha


tali caratteristiche e queste sono intrinseche del tensore, cioè indipendenti
dalla base. Il tensore R, definito da

R = F U −1 , (1.101)

è ortogonale: RT R = (F U −1 )T F U −1 = U −T F T F U −1 = U −1 F T F U −1 =
U −1 U U U −1 = I (si osservi che U −T = U −1 poichè l’inverso di un tenso-
re simmetrico è ancora simmetrico). Dunque risulta soddisfatta la (1.55).
Dalla (1.101) segue immediatamente la (1.97)1 . Si omette per brevità la
dimostrazione dell’unicità dei tensori R e U . Per dimostrare la (1.97)2 si
procede in modo analogo ponendo V V = F F T , R = V −1 F .
Le relazione (1.97)1 e (1.97)2 rappresentano rispettivamente la decomposi-
zione polare destra e la decomposizione polare sinistra del tensore F .

1.4.1 Interpretazione geometrica del teorema di decomposi-


zione polare. Quadrica indicatrice.
Nello spazio euclideo E si consideri la sfera di raggio unitario avente centro
nell’origine O di un sistema di coordinate cartesiane. La superficie sferica
si può pensare come luogo degli estremi P dei vettori di modulo unitario
applicati in O ed è caratterizzata dalla relazione :
P3 i 2
OP · OP = 1 (in co-ordinate i=1 (x ) = 1). (1.102)

Il vettore OP viene trasformato dal tensore F nel vettore OT = F OP e il


luogo dei punti T è caratterizzato dalla relazione:

F −T F −1 OT · OT = 1 (1.103)
1.5. SISTEMI DI EQUAZIONI NONLINEARI: TEOREMA DEL DINI27

U R

RU

Figura 1.3: Come opera la decomposizione polare destra

che si ottiene dalla (1.102) mediante la sostituzione OP = F −1 OT (infatti


da OP · OP = 1 segue F −1 OT · F −1 OT = 1, F −T F −1 OT · OT = 1 e quindi
segue la (1.103)). In coordinate cartesiane la (1.103) diventa

(F −T F −1 )ij xi xj = 1 (1.104)

La (1.104) rappresenta una quadrica, detta quadrica indicatrice e precisa-


mente un ellissoide, dato che il tensore (F −T F −1 ) è simmetrico e definito
positivo (si pensi di riferire l’equazione (1.104) a una terna che diagonalizza
la matrice del tensore F −T F −1 e si ricordi che gli elementi diagonali sono
positivi: si ottiene in tale modo l’equazione canonica di un ellissoide). Si può
quindi dire che i punti che stanno su una sfera di raggio unitario vengono
mandati in punti che stanno su un ellissoide, di equazione (1.104).
Le figure seguenti illustrano il modo di operare del tensore F tramite
i fattori che intervengono nella decomposizione polare destra e, rispettiva-
mente, sinistra.
Nella Figura 1.3 si pensa F = RU (decomposizione polare destra): la
sfera è prima deformata da U in un ellissoide che viene poi ruotato da R.
Nella Figura 1.4 si pensa F = V R (decomposizione polare sinistra): la
sfera è prima ruotata da R e poi deformata da U in un ellissoide.

1.5 Sistemi di equazioni nonlineari: teorema del


Dini
Consideriamo k funzioni reali f1 , . . . , fk definite in Rn , n > k, e ivi continue.
Per convenienza i punti P di Rn saranno descritti nella forma

P = (x1 , . . . , xk , y1 , . . . , yN ), N = n − k.
28 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

R V

VR

Figura 1.4: Come opera la decomposizione polare sinistra

Diremo che le k equazioni nonlineari

f1 (x1 , . . . , xk , y1 , . . . , yN ) = 0
..
. (1.105)
fk (x1 , . . . , xk , y1 , . . . , yN ) = 0

definiscono implicitamente k funzioni

φ1 (y1 , . . . , yN )
..
. (1.106)
φk (y1 , . . . , yN ),

definite in un aperto A di RN , se valgono identicamente in A le uguaglianze

f1 (φ1 (y1 , . . . , yN ), . . . , φk (y1 , . . . , yN ), y1 , . . . , yN ) = 0


..
. (1.107)
fk (φ1 (y1 , . . . , yN ), . . . , φk (y1 , . . . , yN ), y1 , . . . , yN ) = 0.

In questo caso diremo anche, semplificando, che il sistema (1.105) è equiva-


lente al sistema

x1 = φ1 (y1 , . . . , yN )
..
. (1.108)
xk = φk (y1 , . . . , yN ),

che esplicita le x1 , . . . , xk come funzione delle (restanti) variabili y1 , . . . , yN ;


un’altra dizione è che (1.108) è la risoluzione del sistema (1.105) rispetto
alle x1 , . . . , xk .
1.6. SUPERFICI PARAMETRICHE 29

Ricordiamo che la matrice jacobiana J delle fi rispetto alle xr è


 ∂f1 ∂f1 ∂f1 
∂x1 ∂x2 . . . ∂x k
 ∂f2 ∂f2 ∂f2 
 ∂x . . . 
J =  ..
1 ∂x2
..
∂xk 
..  (1.109)
 . . ... . 
∂fk ∂fk ∂fk
∂x1 ∂x2 . . . ∂x k

e che il determinante di J, detto determinante jacobiano o jacobiano delle


fi rispetto alle xr si indica con il simbolo
∂(f1 , . . . , fk )
detJ = . (1.110)
∂(x1 , . . . , xk )
L’esistenza delle funzioni implicite è garantita dal seguente teorema (del
Dini) che costituisce una condizione solo sufficiente:

Teorema 1.40 Le funzioni f1 , . . . , fk siano di classe C 1 (Rn ); esse si annul-


lino tutte nel punto P0 = (x01 , . . . , x0k , y10 , . . . , yN
0 ); e il loro jacobiano rispetto

alle x1 , . . . , xk sia diverso da zero in P0 . Allora esistono un opportuno in-


torno A di y10 , . . . , yN
0 e k funzioni φ , . . . , φ , definite in A e ivi di classe
1 k
C 1 , che verificano in tutto A le (1.107) e le condizioni (iniziali)
φr (y10 , . . . , yN
0
) = x0r , r = 1, . . . , k. (1.111)

Esercizio 1.41 Si supponga che le fi siano funzioni lineari (anche non omo-
genee) e si confronti il risultato appena enunciato con teoremi noti sui sistemi
di equazioni lineari.

1.6 Superfici parametriche


In quel che segue supporremo che le funzioni considerate abbiano tutte le
derivate che servono per il loro utilizzo.
Vi sono varie maniere di introdurre una superficie nello spazio euclideo
tridimensionale E . Ad esempio, se si è introdotto un sistema di coordinate
cartesiane Oxyz, una superficie S può essere definita (implicitamente ) da
un’equazione, generalmente nonlineare, della forma
F (P ) := F (x, y, z) = 0 con la condizione ∇F 6= 0; (1.112)
quest’ultima condizione serve a garantire che la superficie sia un oggetto
bidimensionale immerso nello spazio, in senso intuitivo. Ricordiamo che in
ogni punto di S il vettore ∇F è ortogonale ad S.
Un’altra possibilità è quella di introdurre una superficie cartesiana espri-
mendo una delle coordinate come funzione, generalmente nonlineare, delle
rimanenti due; ad esempio
z = Z(x, y), oppure z − Z(x, y) = 0. (1.113)
30 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

e2

S P e1

q2

q1

Figura 1.5: Superficie parametrica

Quest’ultima relazione garantisce che ogni superficie cartesiana è una (parti-


colare) superficie implicita; la condizione (1.112) è infatti automaticamente
verificata. Inoltre la normale alla superficie si può rappresentare in questo
caso attraverso il vettore (− ∂Z ∂Z
∂x , − ∂y , 1).

Definizione 1.42 Una superficie (in forma) parametrica è definita me-


diante una funzione (q1 , q2 ) 7→ P (q1 , q2 ), che si può anche scrivere nella
forma
x = χ1 (q1 , q2 ), y = χ2 (q1 , q2 ), z = χ3 (q1 , q2 ), (1.114)
con (q1 , q2 ) variabile in un aperto D di R2 , a valori in E . Inoltre la matrice
(rettangolare) jacobiana
∂(χ1 , χ2 , χ3 )
(1.115)
∂(q1 , q2 )
abbia caratteristica (o rango) 2: ci sia sempre almeno un minore di ordine
2 non nullo.
In meccanica, quando la superficie parametrica rappresenta il luogo su
cui è costretto (da opportuni dispositivi) a muoversi un punto materiale, i
parametri q1 , q2 , si chiamano coordinate lagrangiane o libere e il loro numero,
2, il numero di gradi di libertà del punto vincolato.
Ogni superficie cartesiana è una (particolare) superficie parametrica. Ad
esempio la (1.113) si può scrivere nella forma
∂(x, y)
x = q1 , y = q2 , z = Z(q1 , q2 ), con Det = 1. (1.116)
∂(q1 , q2 )
Viceversa, per il teorema del Dini, ogni superficie parametrica è almeno
localmente una superficie cartesiana. Ad esempio, nell’ipotesi che sia
∂(χ1 , χ2 )
Det 6= 0,
∂(q1 , q2 )
1.6. SUPERFICI PARAMETRICHE 31

possiamo invertire le (1.114)1,2 in

q1 = q1 (x, y), q2 = q2 (x, y) (1.117)

e riscrivere la (1.114)3 nella forma

z = z(q1 (x, y), q2 (x, y)) =: Z(x, y). (1.118)

Quindi, almeno localmente, si può rappresentare una superficie in una


qualunque delle tre forme descritte sopra e passare dall’una all’altra. In ge-
nerale, poiché il teorema del Dini non fornisce una formula risolutiva, questo
passaggio non si riesce a descrivere esplicitamente.

Osservazione 1.43 Una superficie parametrica ammette infinite rappre-


sentazioni parametriche. Se (1.114) è una di queste, tutte e sole le altre
si ottengono pensando la coppia (q1 , q2 ) come funzione regolare, invertibile,
con inversa regolare, di una nuova coppia (Q1 , Q2 ):

∂(q1 , q2 )
q1 = q1 (Q1 , Q2 ), q2 = q2 (Q1 , Q2 ), Det 6= 0. (1.119)
∂(Q1 , Q2 )

Ad esempio, nel piano (q1 , q2 ) di Fig. 1.5 al posto delle coordinate cartesiane
si possono usare le coordinate polari (se si può escludere l’origine).

Pur fornendo tutte le rappresentazioni parametriche di una superficie S


una corretta descrizione locale della S, alcune possono essere preferibili per
particolari ragioni, ad esempio legate all’espressione di quantità geometrico-
cinematiche associate ad S (velocità, energia cinetica, ...). Vedi gli esempi
più sotto.
Consideriamo l’interpretazione meccanica della superficie S come vincolo
per un punto materiale. È intuitivo che il vincolo geometrico di appartenenza
alla superficie fornisce anche una limitazione sulle velocità che il punto può
assumere in un suo qualunque moto lungo la superficie (vincolo cinematico).
Per rendere esplicito questo nuovo vincolo consideriamo una curva parame-
trica regolare orientata γ (che sia parametrica non è una reale restrizione,
vedi §12.2)

P = P (λ), oppure x = x(λ), y = y(λ), z = z(λ), λ ∈ [λ0 , λ1 ],


(1.120)
sulla quale vogliamo imporre la condizione che tutti i suoi punti stiano sulla
superficie S. Una tale curva si può interpretare come un moto compatibile
con il vincolo se pensiamo al parametro λ come tempo.
Se la superficie S è rappresentata in forma implicita come in (1.112)
allora la condizione che γ appartenga ad S si scrive

F (x(λ), y(λ), z(λ)) = 0 per ogni λ ∈ [λ0 , λ1 ]; (1.121)


32 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

differenziandola rispetto a λ otteniamo


∂F dx ∂F dy ∂F dz dP
0= + + = ∇F · t, t= . (1.122)
∂x dλ ∂y dλ ∂z dλ dλ
Cioè il vettore tangente t (ricordiamo che è t 6= 0) alla curva nel punto gene-
rico P appartiene al piano tangente alla superficie in P ; l’equazione vettoriale
del piano è data da (1.122) in cui però t è guardato come incognita. Cioè
il piano tangente a S in P è il piano che contiene (tutti e soli) i vettori
tangenti, in P , alle curve che appartengono a S e passano per P .
Il piano tangente si può esaminare anche a partire dalla rappresentazione
parametrica (1.114). Comunque si consideri una curva regolare (q1 (λ), q2 (λ))
nel dominio D della (1.114), la curva γ definita da
x(λ) = χ1 (q1 (λ), q2 (λ)), y(λ) = χ2 (q1 (λ), q2 (λ)), z(λ) = χ3 (q1 (λ), q2 (λ))
(1.123)
appartiene alla superficie ed è regolare per costruzione. In base al teorema
del Dini si può dimostrare che ogni curva regolare della superficie si può
ottenere in questo modo, mediante un’opportuna scelta della curva nel do-
minio D della rappresentazione parametrica. Tra le curve di S passanti per
P ci interessa in particolare quella ‘coordinata’, γ1 , [γ2 ,] ottenuta facendo
variare in (1.114) soltanto il parametro q1 [q2 ]. I vettori tangenti a γ1 e
γ2 , diciamoli e1 ed e2 , rispettivamente, non sono paralleli in base a (1.115),
quindi generano il piano tangente. Questo è costituito dai vettori tangen-
ti alle curve superficiali passanti per P . Infatti, indicando con t il vettore
tangente alla curva (1.123), si ottiene da questa per differenziazione
∂P dq1 ∂P dq2 dq1 dq2
t= + = e1 + e2 , (1.124)
∂q1 dλ ∂q2 dλ dλ dλ
che giustifica l’affermazione in base all’arbitrarietà di dq 1 dq2
dλ , dλ .
Anche a partire dalla rappresentazione parametrica si può costruire la
normale a S. Conviene introdurre il vettore normale (non unitario)
m = m(q1 , q2 ) = e1 × e2 , mi = eijk ej1 ek2 (1.125)
che interviene nel calcolo delle aree e degli integrali superficiali. Infatti, per
ogni suttosuperficie S ′ di S ottenuta restringendo (1.114) a un dominio D ′
contenuto in D, l’area A′ di S ′ è
ZZ ZZ

A = dS := kmk(q1 , q2 ) dq1 dq2 (1.126)
S′ D′

e per ogni funzione continua f : E → R


ZZ ZZ
f dS := f (P (q1 , q2 )) kmk(q1 , q2 ) dq1 dq2 . (1.127)
S′ D′
Le quantità introdotte hanno l’importante proprietà di essere indipendenti
dalla particolare rappresentazione parametrica adottata per la superficie.
1.7. CURVE PARAMETRICHE 33

Esercizio 1.44 Si espliciti la teoria precedente nel caso in cui la superficie


sia la sfera di raggio 1 e centro l’origine di un sistema di coordinate cartesiane
Oxyz, di equazione implicita

x2 + y 2 + z 2 − 1 = 0. (1.128)

Si dica se le coordinate polari sferiche θ, φ possono essere usate come coor-


dinate lagrangiane e se siano preferibili ad altre (e perché).

1.7 Curve parametriche


Anche per una curva (regolare) nello spazio sono possibili varie definizio-
ni. Cominciamo da quella parametrica, già introdotta in §12.1. Una curva
parametrica è definita mediante una funzione

γ : λ 7→ P (λ), λ ∈ [λ0 , λ1 ], P (λ) = (x(λ), y(λ), z(λ)) (1.129)

soddisfacente, per ogni λ la condizione


dP
t := 6= 0. (1.130)

Si può convenire di orientarla nel verso crescente delle λ. Come per le
superfici, la rappresentazione parametrica è la più adatta per introdurre la
lunghezza d’arco e il concetto di integrale curvilineo di una funzione (scalare)
continua f (P ). Per ogni tratto di curva γ ′ compreso tra λ′ e λ′′ la lunghezza
L′ e l’integrale curvilineo sono dati da
Z Z λ′′
′ ds
L = ds := ktk(λ) dλ, = ktk, (1.131)
γ′ λ′ dλ
Z Z λ′′
f ds := f (P (λ)) ktk(λ) dλ. (1.132)
γ′ λ′

Le quantità qui introdotte hanno l’importante proprietà di essere indipen-


denti dalla particolare rappresentazione parametrica adottata per la curva.
Per l’interpretazione meccanica è utile introdurre una curva in forma
implicita, come intersezione di due superfici (implicite), cioè come luogo
delle soluzioni del sistema

F1 (x, y, z) = 0 = F2 (x, y, z). (1.133)

Dal punto di vista meccanico, il punto costretto a muoversi sulla curva γ è


pensato sottoposto a due vincoli, ciascuno rappresentato da una superficie,
che devono essere indipendenti per produrre una curva. Dal punto di vista
geometrico l’indipendenza si descrive dicendo che le due superfici devono
tagliarsi trasversalmente (non devono avere in alcun punto dell’intersezione
34 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

y t

λ
λ0 λ1

Figura 1.6: Curva parametrica

lo stesso piano tangente. Dal punto di vista analitico l’indipendenza delle


due condizioni in (1.133) è descritta imponendo che il rango (o caratteristica)
della matrice jacobiana sia massimo, cioè 2:

∂(F1 , F2 )
2 = rnk . (1.134)
∂(x, y, z)

Questa condizione si interpreta geometricamente come non parallelismo dei


gradienti ∇F1 , ∇F2 , cioè dei piani tangenti alle due superfici vincolari, che
è la condizione di trasversalità nominata sopra. La condizione sul rango
e il teorema del Dini garantiscono che ogni curva implicita è localmente
1 ,F2 )
parametrica; se, ad esempio, è diverso da zero il determinante ∂(F
∂(x,y) , allora
si possono esprimere x e y come funzioni di z che è il parametro λ in questo
caso.

Esercizio 1.45 Si dimostri in dettaglio l’affermazione precedente. Si di-


mostri anche il viceversa: ogni curva parametrica è localmente una curva
implicita.

Esercizio 1.46 Si scrivano le condizioni che caratterizzano le velocità com-


patibili col vincolo di appartenenza alla curva γ sia in termini della rappre-
sentazione parametrica che di quella implicita.

Esercizio 1.47 Al vincolo introdotto nell’Esercizio 12.3 si aggiunga l’ul-


teriore vincolo z = 0. Si dimostri che i due vincoli sono indipendenti e
quindi definiscono una curva. Di questa si diano alcune rappresentazioni
(locali) parametriche e si caratterizzino le velocità compatibili con il vincolo
complessivo a partire sia dalla rappresentazione parametrica che da quella
implicita.
1.8. INTRODUZIONE AI SISTEMI VINCOLATI 35

1.8 Cenni introduttivi alla meccanica dei sistemi


vincolati
La meccanica del punto materiale e, più in generale, dei sistemi di punti
materiali studia inizialmente il problema del moto nell’ipotesi che ogni punto
del sistema considerato sia libero, cioè in grado di occupare una qualunque
posizione nello spazio (magari dando luogo a fenomeni d’urto nel caso in cui
due o più punti finiscano per trovarsi nella stessa posizione dello spazio). Il
moto del sistema è allora retto dal sistema di equazioni vettoriali

m i a i = fi (non somme, i = 1, . . . , n), (1.135)

dove n è il numero di punti del sistema e fi è la forza totale sul punto


i-mo Mi , pensata come funzione delle posizioni e velocità di tutti i punti
(ed espressa attraverso la legge del parallelogramma come somma vettoriale
delle singole forze tra Mi e ciascun altro punto Mj , j 6= i).
D’altra parte l’esperienza quotidiana ci presenta sistemi le cui parti non
possono muoversi liberamente perché costrette da opportuni dispositivi che
legano le parti o tra loro (vincoli interni) oppure ad altre non appartenenti
al sistema (vincoli esterni).
I modelli più semplici di sistemi vincolati sono quelli di un singolo punto
vincolato ad appartenere a una superficie o a una curva; quest’ultimo, ad
esempio, può descrivere in modo approssimato la mobilità del baricentro di
un vagoncino dell’otto volante.
Su questi modelli semplici abbiamo risolto alcuni problemi geometrico-
cinematici di carattere generale per i sistemi vincolati:
• determinazione delle equazioni dei vincoli;

• determinazione di un insieme di parametri essenziali (coordinate lagran-


giane o libere) che descrivano, almeno localmente, l’insieme delle con-
figurazioni permesse dai vincoli;

• determinazione delle restrizioni che i vincoli pongono alle velocità.


Ad esempio, per il punto vincolato su una superficie le risposte sono
contenute nel paragrafo 1.6:
• l’equazione del vincolo è l’equazione della superficie e può essere scritta
in forma implicita, cartesiana, parametrica e queste sono localmente
equivalenti tra di loro;

• i parametri essenziali sono quelli che figurano in una qualunque rap-


presentazione parametrica locale del vincolo; queste sono infinite, so-
lo il loro numero, due, è univocamente determinato, per cui si dice
che l’insieme delle configurazioni consentite dal vincolo è una varietà
bidimensionale o che il sistema vincolato ha due gradi di libertà;
36 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

• le velocità compatibili con il vincolo sono i vettori (localmente) tan-


genti alla superficie; le restrizioni che le caratterizzano sono espresse
da (1.122) in termini dell’equazione implicita e da (1.124) in termini
della rappresentazione parametrica.

Esercizio 1.48 Nel piano cartesiano Oxy si consideri un punto P vincolato


su una guida rettilinea r a sua volta vincolata ad avere un punto fissato
nell’origine. Si diano: le equazioni dei vincoli; il numero di gradi di libertà;
una rappresentazione delle velocità permesse dai vincoli.

Si supponga ora che un dispositivo esterno faccia ruotare la guida r at-


torno ad O con una legge assegnata. Questo è un semplice esempio di vincolo
mobile o dipendente dal tempo; per contro, i vincoli descritti in precedenza si
dicono fissi o indipendenti dal tempo. Vogliamo estendere a questa classe di
vincoli le considerazioni fatte sopra sui vincoli fissi. A questo scopo diamo
la seguente

Definizione 1.49 Diremo che un sistema le cui configurazioni sono de-


scritte da una n-pla di parametri (x1 , . . . , xn ) è un sistema olonomo a N
gradi di libertà se i vincoli, possibilmente mobili, si possono rappresentare
localmente nella forma parametrica

xi = χi (q1 , . . . , qN , t), i = 1, . . . , n, (1.136)

ove le funzioni χi sono di classe almeno C 1 e il rango (o caratteristica) della


matrice n × N jacobiana
 ∂χ1 ∂χ1 
∂q1 . . . ∂q N
 . . 
 . . . . . .
.  (1.137)
∂χn ∂χn
∂q1 . . . ∂qN

è costante ed uguale ad N .

Esercizio 1.50 Verificare che il punto vincolato sulla guida mobile è un


sistema lagrangiano a 1 grado di libertà.

Per i sistemi lagrangiani soggetti a vincoli mobili vi sono fondamental-


mente due tipi di mobilità, o tipi di velocità, che interessano: le velocità
effettivamente compatibili con i vincoli, chiamate generalmente velocità pos-
sibili; e le velocità compatibili con i vincoli pensati istantaneamente con-
gelati, chiamate generalmente velocità virtuali. Le prime hanno significato
meccanico, le seconde solo geometrico ma sono essenziali per dare una forma
significativa alle equazioni di equilibrio (teorema dei lavori virtuali) e alle
equazioni del moto (equazioni di Lagrange).
1.8. INTRODUZIONE AI SISTEMI VINCOLATI 37

Esercizio 1.51 Si ricavino le condizioni caratteristiche delle velocità pos-


sibili e virtuali nel caso del punto vincolato sulla guida mobile, utilizzan-
do da una parte l’equazione implicita del vincolo, dall’altra l’equazione
parametrica.

Come si vede negli esempi della superficie fissa e della curva fissa (in cui
le velocità possibili e virtuali coincidono), le velocità virtuali sono tangenti
alla varietà vincolare. Questo rimane vero, in senso generalizzato, per tutti
i sistemi olonomi. Le velocità possibili hanno invece una componente, orto-
gonale alla varietà vincolare, che è legata alla mobilità del vincolo, come si
vede esplicitamente nell’esempio della guida mobile. Come in quel caso, si
può vedere che in generale la differenza fra due velocità possibili (a partire
dalla stessa configurazione) è una velocità virtuale; e, viceversa, ogni velocità
possibile si ottiene da una preassegnata velocità possibile aggiungendo una
opportuna velocità virtuale.
Nel caso in cui il sistema sia costituito da n punti materiali soggetti a
un sistema di vincoli che lasciano N gradi di libertà possiamo rappresentare
parametricamente i vincoli scrivendo le (1.136) nella forma vettoriale

OPi = OPi (q1 , . . . , qN , t), i = 1, . . . , n; (1.138)

e le velocità virtuali si ottengono differenziando le (1.138) rispetto alle qh :


PN ∂OPi
wi = h=i q̇h , i = 1, . . . , n, (1.139)
∂qh
ove le q̇h vanno pensate come incrementi arbitrari.
Spesso un sistema è sottoposto a vincoli espressi da disuguaglianze (vin-
coli unilaterali) oltre che eventualmente da uguaglianze (vincoli bilaterali).
Ad esempio, nel caso di un punto vincolato ad appartenere al primo qua-
drante (chiuso) di un riferimento cartesiano piano Oxy, si possono verificare
le seguenti affermazioni:

• Per descrivere le configurazioni consentite dal vincolo occorrono e ba-


stano 2 parametri, ad esempio le coordinate cartesiane x e y; i vincoli
unilaterali non riducono il numero di gradi di libertà.

• Consideriamo una qualsiasi posizione, detta ordinaria, in cui tutte le


disuguaglianze eventualmente presenti siano verificate come disugua-
glianze strette (in particolare ogni posizione è ordinaria se tutti i vincoli
sono bilaterali); a partire da questa le velocità virtuali sono arbitrarie.

• Consideriamo una posizione, detta di confine, in cui almeno un vincolo


unilaterale abbia la disuguaglianza relativa che valga come uguaglian-
za; a partire da questa posizione, le velocità virtuali devono soddisfa-
re, per ognuna delle diseguaglianze che valgono come uguaglianze, una
38 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

disuguaglianza della stessa forma. Ad esempio, se la posizione appar-


tiene all’asse x ma non è l’origine, quindi la sola disuguaglianza y ≥ 0
vale come uguaglianza, allora le velocità virtuali devono soddisfare la
condizione ẏ ≥ 0. Se la posizione è l’origine allora le velocità virtuali
devono soddisfare entrambe le disuguaglianze ẋ ≥ 0 e ẏ ≥ 0.
• Diremo che una velocità virtuale è reversibile se anche la sua opposta
è virtuale. Allora: a partire da una posizione ordinaria ogni velocità
virtuale è reversibile, in particolare se i vincoli sono tutti bilaterali;
a partire da una posizione di confine sono reversibili le velocità le
disuguaglianze sulle quali valgono come uguaglianze. Nell’esempio di
sopra: nel primo caso sono reversibili le velocità parallele all’asse x:
ẏ = 0; a partire dall’origine l’unica velocità reversibile è quella nulla.

Già alla fine del ’600 Jakob Bernoulli si rese conto che un vincolo, che
come abbiamo fatto sopra fornisce una restrizione geometrico-cinematica,
esercita necessariamente anche un’azione meccanica, cioè una forza. Quin-
di l’equazione fondamentale della meccanica deve essere opportunamente
modificata; in particolare la (1.135) diviene
m i a i = fi + φ i (non somme, i = 1, . . . , n), (1.140)
ove fi è la forza attiva totale e φi la reazione vincolare totale agenti su
Mi . Questa modifica è un problema perché, a differenza della forza attiva,
la reazione vincolare non è determinata dal moto del sistema. Si conside-
ri ad esempio un punto materiale pesante fermo in equilibrio su un piano
orizzontale. Qui la cinematica è completamente nota ma non possiamo dire
quanto vale la reazione vincolare se non conosciamo anche la forza attiva;
in questo caso basta conoscere la massa del punto e quindi la forza peso. È
dunque di fondamentale importanza avere informazioni aggiuntive sul com-
portamento dei vincoli per rendere le equazioni (1.140) trattabili. Inoltre le
reazioni vincolari restano sostanzialmente determinate dalle stesse (1.140),
qualora queste consentano anche la determinazione del moto del sistema.
Come vedremo, questo è possibile, magari non in modo univoco, per una
classe speciale di vincoli, chiamati ideali o lisci o privi di attrito in senso
generalizzato.

1.9 Cenno alle equazioni cardinali


Consideriamo un sistema particellare soggetto a forze e a vincoli. Diremo
interne le forze, sia attive che vincolari, che agiscono tra punti del sistema
ed esterne le altre. Inoltre, se f è la forza che agisce sul punto materiale M
occupante la posizione P , e A è un punto arbitrario dello spazio, chiameremo
momento della forza f rispetto al polo A il vettore
MA = AP × f . (1.141)
1.9. CENNO ALLE EQUAZIONI CARDINALI 39

Le forze interne attive hanno risultante R(i,a) (somma vettoriale delle forze)
(i,a)
e momento risultante MA (somma vettoriale dei momenti delle forze)
rispetto a qualunque polo A nulli, come conseguenza del principio di azione
e reazione; l’analogo vale anche per le reazioni vincolari interne per postulato:
(i,v)
R(i,v) = 0 = MA .
Le (1.140) valgono identicamente lungo un qualunque moto dinamica-
mente possibile per il sistema; vale quindi nelle stesse circostanze anche la
prima equazione cardinale, ottenuta sommando le (1.140) sull’indice i:
n
X n
X n
X
dQ
= R(e,a) + R(e,v) , Q= mi vi , R(e,a) = fi , R(e,v) = φi ;
dt
i=1 i=1 i=1
(1.142)
il vettore Q, definito da (1.142)2 , rappresenta la quantità di moto del sistema
e nelle (1.142)3,4 si è tenuto conto che le forze interne hanno risultante nullo.
Se si moltiplica vettorialmente APi per la i-ma delle (1.140) e si sommano
le equazioni ottenute sull’indice i, si ottiene la seconda equazione cardinale:
n
X
dKA (e,a) (e,v)
= −M vA × vG + MA + MA , KA = mi APi × vi , (1.143)
dt
i=1
n
X n
X
(e,a) (e,v)
MA = APi × fi , MA = APi × φi .
i=1 i=1

Qui KA , definito da (1.143)2 , è il momento della quantità di moto rispetto


al polo A; e vA , vG , sono le velocità del polo A e del baricentro G, rispetti-
vamente. La (1.143)1 si semplifica al massimo se le velocità di A e G sono
parallele, in particolare se il polo A è fisso o coincide col baricentro.
Per i sistemi particellari le equazioni cardinali sono teoremi e costitui-
scono condizioni necessarie per la possibilità fisica di un moto. Una terza
condizione necessaria, scalare, si ottiene moltiplicando scalarmente la i-ma
delle (1.140) per la velocità vi , sommando le equazioni ottenute sull’indice
i e integrando rispetto al tempo su un qualunque intervallo [t1 , t2 ] su cui il
moto è definito; il risultato è l’equazione dell’energia (o teorema delle forze
vive):
n
(a) (v) 1X
T2 − T1 = L t1 t2 + L t 1 t 2 , T = mi kvi k2 , (1.144)
2
i=1
Z n
t2 X Z t2 n
X
(a) (v)
Lt1 t2 = vi · fi dt, Lt 1 t 2 = vi · φi dt.
t1 i=1 t1 i=1

Qui la funzione scalare T è l’energia cinetica (o forza viva), T1 , T2 sono


i valori di questa agli istanti t1 , t2 , rispettivamente, nel moto considerato;
(a)
Lt1 t2 è il lavoro effettivo fatto dalle forze attive nell’intervallo [t1 , t2 ] lungo il
(v)
moto considerato e Lt1 t2 è l’analogo lavoro effettivo delle reazioni vincolari.
40 CAPITOLO 1. PRELIMINARI GEOMETRICI ED ANALITICI

Per lavoro virtuale del sistema di forze attive fi si intende la funzione, di


significato solo geometrico, che a ogni scelta di velocità virtuali wi , o meglio
a ogni scelta di spostamenti virtuali δPi = wi dt, associa la quantità scalare
P
δL(a) = ni=1 fi · δPi . (1.145)

Ovvio l’analogo per il lavoro virtuale δL(v) delle reazioni vincolari.


La relazione tra velocità e spostamenti appena introdotta permette di
riformulare le condizioni sulle velocità virtuali descritte sopra in termini di
spostamenti virtuali; ad esempio (1.139) è equivalente a
PN ∂OPi
δPi = h=i δqh , i = 1, . . . , n. (1.146)
∂qh
Nel caso di un sistema di punti materiali a N gradi di libertà per il
quale rappresentiamo i vincoli nella forma parametrica (1.138) e le velocità
virtuali nella forma (1.146), la (1.145) diviene
PN Pn ∂OPi
δL(a) = h=1 Qh δqh , Qh = i=1 fi · , h = 1, . . . , N. (1.147)
∂qh

Esercizio 1.52 Verificare che, nel caso di un punto M vincolato su una


superficie parametrica, Q1 e Q2 sono le componenti della forza attiva agente
su M lungo le linee coordinate della superficie passanti per la posizione P
di M lungo le quali variano q1 e q2 , rispettivamente.

Esercizio 1.53 Verificare che, nel caso di un punto M libero, la cui posi-
zione sia rappresentata parametricamente nella forma cartesiana ortogonale

OP = q1 c1 + q2 c2 + q3 c3 , cr · cs = δrs , (1.148)

Qh è la h-ma componente della forza attiva agente su M .


Capitolo 2

Cinematica dei corpi rigidi

Pensiamo all’arbitrario moto rigido M come ad una famiglia monoparame-


trica di isometrie dello spazio euclideo n-dimensionale E in sè. Il parametro
t rappresenta il tempo. Come è noto dalla geometria, se O è un’origine
scelta ad arbitrio; P è la posizione all’istante t di un arbitrario punto P ∗
del sistema rigido, e Ω quella di un punto Ω∗ prefissato delo stesso sistema,
allora risulta

OP (t) = OΩ(t) + Q(t) Ω∗ P ∗ oppure ΩP (t) = Q(t) Ω∗ P ∗ , (2.1)

dove, per ogni t, Q(t) è un tensore ortogonale; cioè risulta Q(t) QT (t) =
I = QT (t) Q(t). Differenziando (2.1)1 otteniamo direttamente la formula
fondamentale della cinematica dei corpi rigidi:

vP = vΩ + ω × ΩP . (2.2)

Infatti, tenendo conto che (2.1)2 è equivalente a Ω∗ P ∗ = QT ΩP , si ha

vP = vΩ + Q̇(t) Ω∗ P ∗ = vΩ + Q̇(t)QT (t) ΩP = vΩ + A(t) ΩP , (2.3)

ove l’operatore lineare A(t) è definito come Q̇(t) QT (t). Vogliamo dimostra-
re che l’operatore A è emisimmetrico e coincide con l’operatore ω × per una
opportuna scelta di ω, cosicché (2.2) segue immediatamente. Per l’emi-
simmetria osserviamo che, differenziando rispetto a t l’uguaglianza I =
Q(t)QT (t) otteniamo

0 = Q̇(t) QT (t) + Q(t) Q̇T (t) = A(t) + AT (t) . (2.4)

La (2.2) ora segue in base alla Proposizione 1.10; vale la seguente espres-
sione della matrice che rappresenta A in una base ortonormale, in termini
delle componenti di ω nella stessa base:
 
0 −ω3 ω2
A =  ω3 0 −ω1  (2.5)
−ω2 ω1 0

41
42 CAPITOLO 2. CINEMATICA DEI CORPI RIGIDI

ξ3

j3
x3
T'
j2 ξ2

c3 j1 P
T

O=Ω∗
c2 x2 ξ1

c1


P
x1

Figura 2.1: Terne fissa e solidale in un moto rigido

———————

Vogliamo descrivere in forma parametrica la mutua orientazione di due


terne cartesiane ortonormali levogire che possiamo pensare aventi la stes-
sa origine. Siano Oxyz e Oξηζ tali terne, di versori c1 , c2 , c3 e j1 , j2 , j3 ,
rispettivamente. Poiché risulta necessariamente

ji = Rci , i = 1, . . . , 3, (2.6)

per una (sola) scelta della rotazione R, avremo in tale modo anche dato una
parametrizzazione dell’insieme delle rotazioni.
Escludendo il caso banale in cui le due terne coincidano, possiamo senza
ledere la generalità supporre che gli assi z e ζ non siano paralleli. Allora
i piani Oxy e Oξη si intersecano lungo una linea n detta linea dei nodi.
Scegliamo come versore di n quello che vede antioraria la rotazione che
porta c3 a sovrapporsi a j3 . L’angolo θ tra questi due versori si chiama
angolo di nutazione e soddisfa le restrizioni 0 < θ < π.
Siano ora ψ e φ gli angoli di cui bisogna ruotare l’asse x in verso positivo
rispetto a z per sovrapporlo alla semiretta positiva dei nodi e, rispettiva-
mente, quest’ultima in verso positivo rispetto a ζ per sovrapporla all’asse
ξ. Risulta 0 ≤ φ < 2π, 0 ≤ ψ < 2π. Gli angoli φ e ψ si chiamano an-
golo di rotazione propria e di precessione, rispettivamente, e, assieme a θ,
costituiscono gli angoli di Eulero.
Abbiamo fatto vedere in modo costruttivo che, date le due terne carte-
siane, ad esse possiamo associare univocamente la terna di angoli di Eulero.
43

z
ζ

θ
O
φ y
ψ

x
ξ

Figura 2.2: Angoli di Eulero

Dimostriamo ora che, data la terna Oxyz e una terna di angoli di Eulero,
possiamo univocamente ricostruire la terna Oξηζ. Anzitutto, ruotando l’as-
se x in verso positivo dell’angolo ψ determiniamo la semiretta positiva n
della linea dei nodi. Questa determina il piano Ozζ, nel quale otteniamo
l’asse ζ ruotando l’asse z in verso positivo dell’angolo θ. Risulta cosı̀ de-
terminato il piano Oξη nel quale si ottiene l’asse ξ ruotando la semiretta
positiva dei nodi, in verso positivo, dell’angolo φ. A questo punto anche il
semiasse η positivo risulta completamente determinato.

———————

Consideriamo un vettore u dipendente dal tempo e poniamo

u∗ = QT (t) u oppure u = Q(t) u∗ . (2.7)

Siano cr , r = 1, 2, 3, i versori della terna fissa e jr i versori della terna


mobile solidale al corpo rigido (vedi figura 2.1). Quindi, rappresentando u
nella terna mobile,

j r = Q cr e u∗ = QT u = QT (ur jr ) = QT Q ur cr = ur cr . (2.8)
44 CAPITOLO 2. CINEMATICA DEI CORPI RIGIDI

Quindi u∗ è il vettore che ha rispetto alla terna fissa le stesse componenti


che u ha rispetto alla terna solidale. Deriviamo (2.7)2 rispetto al tempo:

du d du∗ du∗
= (Q u∗ ) = Q̇ u∗ + Q = Q̇ QT u + Q . (2.9)
dt dt dt dt
D’altronde
du∗ d dur du∗ dur dur
= (ur cr ) = cr da cui Q = Q cr = jr (2.10)
dt dt dt dt dt dt
e dunque, ricordando (2.5) e ponendo

du∗
u̇ := Q (2.11)
dt
abbiamo la seguente uguaglianza:

du
= ω × u + u̇ . (2.12)
dt
Se u è solidale al corpo rigido

dur du
= 0 quindi u̇ = 0 e =ω × u (2.13)
dt dt
come già noto. Piú in generale u̇ rappresenta la variazione per unità di
tempo di u rispetto allo spazio solidale al corpo rigido. Nel caso particolare
che sia u = λ ω risulta
du
= u̇ : (2.14)
dt
u ha la stessa derivata sia rispetto alla terna fissa che alla terna mobile.

———————

Siano x e x0 i vettori posizionali OP e OΩ all’istante t nel moto rigido


descritto da (2.1). Indichiamo con e(x) = vP e e0 = vΩ le velocità dei punti
del sistema rigido che transitano nelle posizioni x e x0 , rispettivamente. La
(2.2) implica allora che l’atto di moto (o distribuzione spaziale delle velocità)
obbedisca alla legge

e(x) = e0 + ω × (x − x0 ), (2.15)

e che questa valga ad ogni istante lungo qualsiasi moto rigido, con x0 arbi-
trariamente prefissato, x arbitrario e e0 e ω dipendenti possibilmente dal
solo tempo. Da questa formula per l’atto di moto rigido segue che
1
ω = rot e(x) , (2.16)
2
45

dove nel rotore la derivazione deve essere fatta rispetto alle componenti
xi di x. Per dimostrarlo scriviamo (2.15) in componenti, preferendo per
semplificare i conti la forma analoga alla (2.3): in ovvia notazione

ek = e0k + Aks (xs − x0s ) k = 1, 2, 3 . (2.17)

Differenziando questa uguaglianza otteniamo


∂ek
ek,j = = Aks xs,j ; (2.18)
∂xj

ma xs,j coincide con il simbolo di Kronecker e vale 1 se s = j e 0 se s 6= j.


Quindi ek,j = Akj e otteniamo (2.16) ricordando l’emisimmetria di A e i
risultati degli esercizi 1.27 e 1.28.
46 CAPITOLO 2. CINEMATICA DEI CORPI RIGIDI
Capitolo 3

Moti relativi

Si considerino una terna (convenzionalmente) fissa T= Ω∗ c1 c2 c3 ed una


T′ = Ωj1 j2 j3 mobile rispetto alla prima (v. Fig. 2.1). Vogliamo calcolare
velocità ed accelerazione di un punto P rispetto alle due terne.
Chiameremo assolute la velocità e l’accelerazione di P rispetto alla terna
T e relative le analoghe rispetto alla terna T′ . Differenziamo l’uguaglianza
vettoriale Ω∗ P = Ω∗ Ω + ΩP e, in accordo con (2.7), indichiamo con Ω∗ P ∗ il
vettore QT ΩP :
(a) d  d
vP = vΩ + Q(t) Ω∗ P ∗ (t) = vΩ + Q̇ Ω∗ P ∗ + Q (Ω∗ P ∗ ). (3.1)
dt dt
Identifichiamo ora il vettore u in (2.7) con ΩP , e quindi u∗ con Ω∗ P ∗ , e
indichiamo con ω τ la velocità angolare della terna T′ rispetto alla T. In
(r)
base a (2.11), denotando con vP il vettore u̇ in questo caso, cioè l’ultimo
addendo in (3.1), possiamo scrivere
(a) (τ ) (r) (τ )
vP = vP + vP , dove vP = vΩ + ω τ × ΩP . (3.2)
(τ )
Il vettore vP è chiamato velocità di trascinamento di P ed è la velocità
di quel punto della terna mobile che in quell’istante è sovrapposto a P . Il
(r)
vettore vP è chiamato velocità relativa di P . Infatti, in base a (2.9), è il
vettore le cui componenti rispetto alla terna mobile sono le derivate rispetto
a t delle componenti di ΩP rispetto alla stessa terna:
(r)
ΩP = y r jr , vP = ẏ r jr . (3.3)

Differenziando (3.2) e tenendo conto del fatto che


d (a) (r)
(ΩP ) = vP − vΩ = vP + ω τ × ΩP (3.4)
dt
otteniamo il teorema di Coriolis sulle accelerazioni in un moto relativo:
(a) (r) (τ ) (c)
aP = aP + aP + aP , (3.5)

47
48 CAPITOLO 3. MOTI RELATIVI

(r) (τ )
dove aP è l’accelerazione relativa di P , aP è la sua accelerazione di trasci-
(c) (a)
namento, aP è la sua accelerazione complementare, o di Coriolis, e aP
è l’accelerazione assoluta di P . Infatti, usando anche la scomposizione
ΩP = ΩP ′ + P ′ P , con P ′ proiezione di P sulla retta per Ω parallela a
ω τ , si ha

(a) d d
aP = aΩ + ω̇ τ × ΩP + ω τ × (ΩP ) + (ẏ r jr ) (3.6)
dt dt
(r) djr
= aΩ + ω̇ τ × ΩP + ω τ × (vP + ω τ × ΩP ) + ÿ r jr + ẏ r
dt
(r)
= aΩ + ω̇ τ × ΩP + ω τ × vP − ω 2τ P ′ P + ÿ r jr + ẏ r ω τ × jr
(r) (r)
= aΩ + ω̇ τ × ΩP + ω τ × vP − ω 2τ P ′ P + ÿ r jr + ω τ × vP .

Gli ultimi due termini in quest’ultima uguaglianza si possono anche ottenere


differenziando l’uguaglianza

(r) d ∗ ∗
vP = Q (Ω P ). (3.7)
dt
(r)
Infatti, usando tra l’altro l’espressione di vP in (3.1)2 , otteniamo

d (r) d2 d
vP = Q 2 (Ω∗ P ∗ ) + Q̇ (Ω∗ P ∗ )
dt dt dt
d2 d
= Q 2 (Ω∗ P ∗ ) + Q̇ QT Q (Ω∗ P ∗ ) (3.8)
dt dt
d2 ∗ ∗ (r)
= Q 2 (Ω P ) + ω τ × vP ,
dt
ove
d2 ∗ ∗
Q (Ω P ) = Qÿ r cr = ÿ r jr (3.9)
dt2
è l’accelerazione relativa di P . Inoltre in (3.5)
(τ )
aP = aΩ + ω̇ × ΩP − ω 2τ P ′ P (3.10)

e
(c) (r)
aP = 2 ω τ × vP . (3.11)
Capitolo 4

Teorema di
Aronhold-Kennedy

Ricordiamo anzitutto il teorema (di Chasles) enunciato e dimostrato nel


libro di testo, Teorema 5.5, e illustrato nella Figura 4.1.

C12 = ∞
r
B2
r
r B2
B2 B2

C1 2
C 1= ∞ C 12
t
B1 B1
B1

C1
C1

a) b) c)

Figura 4.1: Costruzione della retta r contenente il centro istantaneo di rota-


zione del corpo B2 . Nei casi a) e c) B2 ruota rispetto a B1 con centro in C12
(cerniera che collega i due corpi). Nel caso b) B2 trasla rispetto a B1 con
velocità relativa t, il centro di rotazione relativa C12 è il punto all’infinito
individuato dalla direzione ortogonale a t.

Teorema 4.1 Il centro istantaneo di rotazione, C2 , del corpo B2 appartiene


alla retta passante per il centro istantaneo di rotazione, C1 , del corpo B1 e
per il centro istantaneo di rotazione, C12 , di B2 rispetto a B1 .

Il teorema vale anche se uno o entrambi i centri istantanei di rotazione


sono punti impropri. Si possono allora enunciare esplicitamente questi casi,

49
50 CAPITOLO 4. TEOREMA DI ARONHOLD-KENNEDY

tenendo presente che se, ad esempio, C12 è improprio, passare per C12 vuol
dire essere parallelo alla direzione ortogonale a t.
b) Se l’atto di moto di B1 è rotatorio attorno al centro C1 e se l’atto di
moto di B2 relativo a B1 è traslatorio con direzione t (e quindi ha il centro
istantaneo di rotazione C12 all’infinito), allora (il centro istantaneo di rota-
zione) C2 del corpo B2 appartiene alla retta r passante per C1 e ortogonale
a t (cioè passante per il punto all’infinito C12 ). Vedi la figura 4.1 b).
d) Se l’atto di moto di B1 è traslatorio con direzione t e se l’atto di moto di
B2 relativo a B1 è traslatorio con direzione t12 (e quindi ha il centro istan-
taneo di rotazione C12 all’infinito), allora l’atto di moto di B2 è traslatorio
di direzione t + t12 , genericamente una qualsiasi direzione nel piano.

Riprendiamo brevemente la dimostrazione dei casi a), b) illustrati in Fig.


1, e d); mostreremo poi che c) è equivalente a b). Osserviamo inoltre che il
teorema riguarda i centri istantanei di rotazione senza ipotesi sulla presenza
di eventuali legami vincolari su B1 e B2 . I vincoli introdotti in Fig. 1
servono a garantire che l’atto di moto in a) e b) sia (in ogni caso) del tipo
ipotizzato.
Anzitutto la dimostrazione di d) è conseguenza immediata della formula
delle velocità nei moti relativi. Con il linguaggio della geometria proietti-
va, C1 , C12 , C2 sono tutti punti impropri e quindi appartengono alla retta
impropria del piano di moto; che è per definizione l’insieme di tutti i punti
impropri di tale piano ed è identificabile con la giacitura del piano stesso.
Dimostriamo ora il teorema nel caso a). L’ipotesi che sia C1 che C12 siano
punti propri equivale a supporre che siano ω 1 = αk, ω 2 = βk, entrambe
non nulle e con β 6= α, ove k indica il versore normale al piano del moto.
La formula delle velocità nei moti relativi, riferita ad un punto generico P
di B2 , fornisce
(a) (r) (τ )
vP = ω 2 × C2 P = vP + vP
= (ω 2 − ω 1 ) × C12 P + ω 1 × C1 P (4.1)
= ω 2 × C12 P + ω 1 × C1 C12 .
Da qui segue
k × (βC12 C2 + αC1 C12 ) = 0 ⇒ βC12 C2 + αC1 C12 = 0 (4.2)
e quest’ultima uguaglianza dice che C1 , C12 e C2 sono allineati. Consideria-
mo ora il caso b). Vale ancora (4.1)1 che ora diviene
ω 2 × C2 P = t + ω 1 × C1 P ⇒ t = ω 1 × C2 C1 , (4.3)
cioè il vettore C1 C2 è ortogonale a t, come volevamo dimostrare.
Per affrontare il caso c) ed evidenziare la coincidenza del teorema 4.1 con
il classico teorema di Aronhold-Kennedy osserviamo che in tutti i casi illu-
strati nella figura 4.1 è presente un terzo ‘corpo rigido’, cioè lo spazio solidale
51

al sistema di riferimento, lı̀ rappresentato dal muro di mattoni. Chiamia-


molo B0 . Quindi la cinematica descritta dal teorema 4.1 e’ quella di tre
sistemi rigidi in moto relativo arbitrario e descrive l’allineamento dei cen-
tri istantanei relativi: quelli che abbiamo chiamato C1 e C2 si possono ben
chiamare C01 e C02 , in analogia con C12 . Quindi anzitutto il teorema 4.1 è
il teorema di Aronhold-Kennedy. Inoltre i tre sistemi rigidi hanno un ruolo
perfettamente simmetrico rispetto alla scelta di quale tra essi vada conside-
rato solidale al sistema di riferimento. Quindi il caso c) è indistinguibile da
b) con il ruolo di B0 e B2 scambiato. In definitiva i casi d), b), a) esaurisco-
no tutte le possibilità, corrispondendo, rispettivamente, ad atti di moto in
cui due (e quindi tre) velocità angolari si annullano; una velocità angolare
si annulla; nessuna velocità angolare si annulla.
52 CAPITOLO 4. TEOREMA DI ARONHOLD-KENNEDY
Capitolo 5

Calcolo delle reazioni


vincolari

In questo capitolo viene esposto un metodo utile alla determinazione delle


reazioni vincolari, dovute a vincoli ideali, nella statica dei sistemi di punti e
di corpi rigidi. Esso si basa sulle equazioni cardinali della statica.
Nel caso statico le equazioni cardinali (della dinamica) (1.142) e (1.143)
valgono con i primi membri identicamente nulli; si riducono cioè alle equazio-
ni cardinali della statica:
(e,a) (e,v)
R(e,a) + R(e,v) = 0, MΩ + MΩ = 0. (5.1)
Come le equazioni cardinali della dinamica, quelle della statica sono sempre
condizione necessaria per l’equilibrio. Questo può essere caratterizzato come
segue, sulla base delle equazioni (1.140): una configurazione è di equilibrio
se in essa i vincoli sono in grado di esplicare punto per punto una reazione
che equilibra la forza attiva ivi agente, valutata per velocità di tutti i punti
nulle. Quindi secondo questa definizione una configurazione di equilibrio è
una configurazione in cui il sistema può restare in quiete.

5.1 Il Principio dei Lavori Virtuali


La definizione di vincolo ideale, basata sulla disuguaglianza
P
δL(v) = ni=1 φi · δPi ≥ 0. (5.2)
consente di formulare e dimostrare velocemente una condizione di equilibrio
che, a differenza delle equazioni cardinali, è non solo condizione necessaria
ma anche sufficiente.
Teorema 5.1 (dei lavori virtuali) Condizione necessaria e sufficiente af-
finché una configurazione di un sistema soggetto a vincoli ideali sia di equili-
brio è che sia non positivo il lavoro virtuale della sollecitazione attiva, va-
lutata nella configurazione in oggetto e per velocità nulle, per ogni scelta di

53
54 CAPITOLO 5. CALCOLO DELLE REAZIONI VINCOLARI

velocità virtuali wi o di corrispondenti spostamenti virtuali δPi ; in formula


P
δL(a) = ni=1 fi · δPi ≤ 0. (5.3)

Dimostrazione. Necessità. Supponiamo che la configurazione sia di equi-


librio; allora esiste un sistema di reazioni φi tali che fi = −φi , dove le fi
sono valutate per velocità nulle, e tali che valga (5.2). Queste due condizioni
assieme implicano (5.3).
Sufficienza. Supponiamo che nella configurazione considerata valga la (5.3)
e consideriamo il sistema di vettori ψ i che, punto per punto,Pequilibrano le
forze attive: ψ i = −fi . Questo sistema verifica la condizione i ψ i ·δPi ≥ 0
per l’ipotesi sulle forze attive e per la costruzione dei ψ i . Quindi questi ultimi
costituiscono possibili reazioni vincolari perché, per definizione di vincolo li-
scio, il vincolo è in grado di esplicare tutti i sistemi di vettori che soddisfano
la (5.2). Quindi i vincoli sono in grado di esplicare un sistema di reazioni che
equilibrano le forze attive valutate per velocità nulle; cioè la configurazione
è di equilibrio.

Il teorema ha una conseguenza interessante nel caso in cui i vincoli siano


bilaterali; la disuguaglianza in (5.3) deve allora valere come uguaglianza, in
quanto tutti gli spostamenti sono reversibili e quindi possono essere cambiati
di segno. Inoltre, utilizzando (1.147) e l’arbitrarietà delle δqh , la condizione
(5.3) risulta equivalente alle

Qh = 0, h = 1, . . . , N. (5.4)

Queste assumono poi una forma particolarmente significativa se le forze at-


tive sono conservative: esiste una funzione potenziale U = U (OP1 , . . . , OPn )
tale che
∂U
fi = ∇i U, cioè cr · fi = , xir = OPi · cr . (5.5)
∂xir
Risulta in questo caso

Qh = ∂V (q1 , . . . , qN , t)/∂qh , ove (5.6)

V (q1 , . . . , qN , t) = U (OP1 (q1 , . . . , qN , t), . . . , OPn (q1 , . . . , qN , t)); (5.7)


per la dimostrazione si derivi parzialmente quest’ultima uguaglianza. Al-
lora, nel caso di vincoli lisci e forze attive conservative le configurazioni di
equilibrio sono i punti critici della funzione potenziale V (q1 , . . . , qN , t).

5.2 Calcolo delle reazioni vincolari tramite le equa-


zioni cardinali della statica
Si dimostra che sono anche sufficienti per l’equilibrio di un corpo rigido li-
bero o soggetto a vincoli esterni lisci. Si osservi che nelle equazioni (5.1)
5.2. REAZIONI CON LE EQUAZIONI CARDINALI 55

f
C C
B D B D
H
T S a
M
A E A E

a/2
a a a a

a) b)

Figura 5.1: Struttura piana soggetta a forza o a coppia

intervengono tutte le forze esterne al sistema (sia di natura attiva che vin-
colare) ma non le forze interne. Se il sistema è formato da r corpi rigidi,
l’equilibrio è assicurato applicando le equazioni cardinali a ciascun corpo
Ci , i = 1, 2, . . . , r. Particolare attenzione va posta nel calcolo del risultan-
te e del momento risultante delle forze (sia attive che vincolari) esterne al
corpo Ci : si devono considerare tutte le forze esterne al corpo Ci sia che
provengano dall’esterno del sistema sia che provengano dagli altri corpi del
sistema (forze interne al sistema ma esterne a Ci ).

Esempio 5.2 Si consideri il sistema articolato piano costituito da due travi


rigide ABC e CDE a forma di L. Le travi siano disposte come illustrato
nella Figura 5.1 b), siano vincolate all’esterno mediante cerniere in A e in
E e collegate tra loro con una cerniera in C. Il sistema sia sollecitato da
una coppia di momento M = M k applicata alla trave CDE. Sia infine a la
lunghezza comune dei segmenti AB, BC, CD, DE. Si chiede di determinare
le reazioni vincolari (interne ed esterne).

Siano φA e φE le reazioni vincolari delle cerniere esterne e sia φC , ad esem-


pio, la forza (interna) che la cerniera C esplica sulla trave ABC (−φC è
dunque la forza che la cerniera C esplica sulla trave CDE). Le equazioni
cardinali della statica scritte per la trave ABC diventano

φA + φC = 0, AC × φC = 0. (5.8)

Analogamente per la trave CDE si ha

−φC + φE = 0, EC × (−φC ) + M k = 0. (5.9)


56 CAPITOLO 5. CALCOLO DELLE REAZIONI VINCOLARI

C C
B D

A E

Figura 5.2: Reazioni per la struttura di Fig. 5.1 b)

Proiettando sugli assi x e y le equazioni dei risultanti e su z le equazioni dei


momenti si ottiene il seguente sistema di equazioni lineari

φAx + φCx = 0
φAy + φCy = 0
φEx − φCx = 0
φEy − φCy = 0
aφCy − aφCx = 0
aφCy + aφCx = −M. (5.10)

Ordinando le incognite secondo la sequenza φAx , φAy , φEx , φEy , φCx , φCy ,
in notazione matriciale il sistema diventa:
    
1 0 0 0 1 0 φAx 0
0 1 0 0 0 1     0 
   φAy   
 0 0 1 0 −1 0   φEx   0 
    .
 0 0 0 1 0 −1   φEy  =  0 
(5.11)
    
 0 0 0 0 −a a   φCx   0 
0 0 0 0 a a φCy −M
Si vede facilmente che il sistema è determinato (è immediato verificarlo se
si procede col metodo di Gauss) e la sua soluzione è data da

φCy = φCx = φEy = φEx = −M/2a, φAy = φAx = M/2a.

I risultati cosı̀ ottenuti sono rappresentati nella Figura 5.2).

Esempio 5.3 Si consideri il sistema articolato piano descritto nel preceden-


te Esempio 5.2 sollecitato, anzichè dalla coppia, da una forza F = −F j,
F > 0, applicata nel punto Q, e da una forza elastica di rigidità h > 0 che
si esplica tra T e S (Q, T e S sono i punti medi rispettivamente di BC, AB
e DE).

Le equazioni cardinali per le due travi, proiettate sugli assi, danno il sistema

φAx + φCx = −2ha


5.2. REAZIONI CON LE EQUAZIONI CARDINALI 57

φAy + φCy = F
φEx − φCx = 2ha
φEy − φCy = 0
aφCy − aφCx = a/2F + ha2
aφCy + aφCx = ha2 , (5.12)

che, in notazione matriciale diventa:


    
1 0 0 0 1 0 φAx −2ah
0 1 0 0 0 1     
   φAy   F 
 0 0 1 0 −1 0   φEx   2ah 
  = . (5.13)
 0 0 0 1 0 −1   φEy   0 
    
 0 0 0 0 −a a   φCx   a F + ha2 
2
0 0 0 0 a a φCy −ha2
Il sistema è determinato e la soluzione è data da:
F 3F F F
φAx = −ha + , φAy = , φCx = −ha − , φCy = ,
4 4 4 4
F F
φEx = ha − , φEy = .
4 4

5.2.1 Sistemi staticamente determinati, sistemi isostatici


Si danno le seguenti definizioni.

Definizione 5.4 Un sistema di corpi rigidi vincolati con vincoli ideali si


dice staticamente determinato se è in posizione di equilibrio e se le reazioni
vincolari sono determinate sulla base delle equazioni della statica.

Per ‘equazioni della statica’ s’intendono le equazioni cardinali o le (equiva-


lenti) equazioni che si ottengono applicando opportunamente il principio dei
lavori virtuali (metodo non trattato qui).
I sistemi materiali dei due precedenti Esempi (5.2), (5.3), sono dunque
staticamente determinati; inoltre, per essi, la matrice dei coefficienti del
sistema è quadrata e il suo determinante è diverso da zero. Questa circo-
stanza assicura che le soluzioni sono determinate qualunque sia la colonna
dei termini noti, cioè qualunque sia la sollecitazione attiva.

Definizione 5.5 Un sistema di corpi rigidi vincolati con vincoli ideali si


dice isostatico se, in una certa posizione, risulta staticamente determinato
qualunque sia la sollecitazione attiva.

Pertanto il sistema articolato degli Esempi (5.2) e (5.3) è isostatico. Per


quanto detto è evidente che la natura isostatica di un sistema dipende
esclusivamente dalla geometria del sistema e dai vincoli presenti.
Vale la seguente
58 CAPITOLO 5. CALCOLO DELLE REAZIONI VINCOLARI

y y

A B C x A B C x
α α α α

a) b)

Figura 5.3: Sistemi labili

Proposizione 5.6 Un sistema isostatico non è suscettibile di spostamenti


virtuali.

Dimostrazione. Se per assurdo al punto P del sistema fosse consentito lo


spostamento virtuale δP 6= 0 allora, in corrispondenza alla sollecitazione
attiva costituita da un’unica forza F applicata in P e parallela e concorde
con δP , risulterebbe
δL (a) = F · δP > 0.
Dunque, per il principio dei lavori virtuali, il sistema non sarebbe in posi-
zione di equilibrio in corrispondenza della particolare sollecitazione attiva.

Definizione 5.7 Un sistema di corpi rigidi vincolati con vincoli ideali si


dice labile se è suscettibile di spostamenti virtuali.

Esempio 5.8 Si consideri il sistema articolato piano costituito da due aste


rigide, AB e BC, di uguale lunghezza. Le aste, collegate tra loro con una
cerniera in B, siano allineate (v. Figura 5.3b) ) e vincolate all’esterno me-
diante una cerniera in A e un appoggio orizzontale in C.

Il sistema ha un grado di libertà, ad esempio l’angolo θ che l’asta AB forma


con un asse fisso è un parametro lagrangiano. Sono consentiti gli spostamenti
virtuali ottenuti dando una variazione δθ al parametro.

Esempio 5.9 Si consideri il sistema articolato piano ottenuto da quello del


precedente Esempio sostituendo l’appoggio in C con una cerniera (v. Figura
5.3a)).

Il sistema descritto non può compiere movimenti finiti, tuttavia è labile in


quanto sono consentite rotazioni infinitesime (uguali ed in senso opposto)
delle due aste AB e BC attorno ad A e a C rispettivamente (si osservi che
lo spostamento virtuale di C pensato come estremo dell’asta AC è uguale a
5.2. REAZIONI CON LE EQUAZIONI CARDINALI 59

quello che compete a C come estremo dell’asta CB, quindi le due rotazioni
sono compatibili).
La labilità di un sistema dipende solamente dalla sua geometria e dai
vincoli, cioè riguarda un aspetto puramente cinematico.
I seguenti tre esempi mostrano come un sistema labile possa risultare
staticamente determinato, staticamente impossibile o staticamente indeter-
minato (è evidente dalla Proposizione 5.6 che un sistema labile non può
essere isostatico).

Esempio 5.10 Si consideri il sistema dell’esempio (5.8), rappresentato in


Figura 5.4a), sollecitato da una forza F applicata in C, parallela alle aste;
queste si suppongono di massa trascurabile.

Il sistema è labile dato che ha un grado di libertà (sono consentiti sposta-


menti virtuali caratterizzati da rotazioni di AB attorno a A e di BC attorno
a C). Sia φB la forza che la cerniera B esplica sull’asta AB. Le equazioni
cardinali applicate alle due aste danno le seguenti equazioni scalari

φAx + φBx = 0
φAy + φBy = 0
φBx = F
φBy + φCy = 0
aφBy = 0
aφCy = 0. (5.14)

Si tratta di un sistema di 6 equazioni lineari in 5 incognite. La matrice


incompleta (dei coefficienti) e la matrice completa hanno lo stesso rango e
quindi per il teorema di Rouchè-Capelli il sistema è determinato. Si osservi
infatti che una delle ultime tre equazioni (5.14) è una combinazione lineare
delle altre due e quindi si può eliminare; le 5 equazioni che rimangono sono
facilmente risolubili e danno

φBx = −φAx = F, φAy = φBy = φCy = 0,

quindi il sistema è staticamente determinato.

Esempio 5.11 Si consideri il sistema descritto nell’Esempio 5.9 e sollecitato


da una forza F = −F j, con F > 0 e j ortogonale alle aste e diretto verso
l’alto, applicata in H, punto medio di AB (v. Figura 5.4 b).

Le equazioni cardinali della statica applicate alle singole aste danno luogo
alle equazioni:

φA + φB + F = 0, −φB + φC = 0 (5.15)

AB × φB + AH × F = 0, CB × (−φB ) = 0.
60 CAPITOLO 5. CALCOLO DELLE REAZIONI VINCOLARI

y y y

F
A B C A B C x A B C x

a a a/2 a/2 a a/2 a/2 a


a) b) c)

Figura 5.4: a) labile staticamente determinato; b) staticamente impossibile;


c) labile staticamente indeterminato

Proiettando sugli assi x e y le equazioni dei risultanti e su z le equazioni dei


momenti si ottiene il seguente sistema di equazioni lineari

φAx + φBx = 0
φAy + φBy = F
−φBx + φCx = 0
−φBy + φCy = 0
a
aφBy = F
2
aφBy = 0. (5.16)

Il sistema (5.16) è impossibile dato che la matrice incompleta ha rango 5 e la


matrice completa ha rango 6, o, più semplicemente, osservando che le ultime
due equazioni sono incompatibili. Dunque nessuna assegnazione di reazioni
vincolari può soddisfare le condizioni di equilibrio: il sistema cosı̀ sollecitato
non può stare in equilibrio. Si dice che è staticamente impossibile.

Esempio 5.12 Si consideri il sistema descritto nell’Esempio precedente ma


sollecitato da una forza F = F i, con F > 0 e i = vers AB , applicata in H
punto medio di AB.

Le equazioni della statica in questo caso diventano

φAx + φBx = −F
φAy + φBy = 0
−φBx + φCx = 0
−φBy + φCy = 0
aφBy = 0
aφBy = 0. (5.17)

Si vede che le due ultime equazioni in questo caso sono compatibili ma si


equivalgono e determinano la componente φBy = 0. Rimangono 4 equazioni
indipendenti (come si può facilmente verificare) nelle rimanenti 5 incognite.
Il sistema pertanto è indeterminato; in questo caso alcune delle incognite
5.2. REAZIONI CON LE EQUAZIONI CARDINALI 61

risultano determinate: φAy = φBy = φCy = 0; delle altre risultano determi-


nate solo la somma φAx +φBx e la differenza −φBx +φCx . Si possono dunque
attribuire valori arbitrari a una delle tre incognite calcolando di conseguenza
le altre due. Vi sono quindi infinite possibilità di realizzare l’equilibrio del
sistema, non è però possibile determinare quale sia quella reale. Il sistema si
dice staticamente indeterminato. (Il sistema di 6 equazioni in 6 incognite è
possibile e indeterminato dato che la matrice incompleta e completa hanno
lo stesso rango: 5 < 6 .)
I comportamenti evidenziati in questi due ultimi esempi dipendono dal
fatto che la struttura per la particolare posizione dei vincoli risulta labile
nonostante siano presenti tre cerniere. Questo fa si che i vincoli non impedi-
scono certi spostamenti (come ad esempio le rotazioni illustrate nell’Esempio
5.9), mentre risultano eccessivi per impedire altri spostamenti come le tra-
slazioni orizzontali.

5.2.2 Principio di sovrapposizione degli effetti


Dai precedenti Esempi (5.2), (5.3) si possono trarre le seguenti osservazioni
che valgono in generale per sistemi di corpi rigidi soggetti a vincoli ideali.

• Le equazioni della statica danno luogo a dei sistemi che sono lineari
nelle componenti incognite delle reazioni vincolari. Indicando in gene-
rale con C la matrice dei coefficienti, con φ la matrice colonna delle
incognite vincolari e con S (a) la matrice colonna dei termini noti do-
vuti alla sollecitazione attiva, le equazioni cardinali della statica, per
sistemi di corpi rigidi, si possono scrivere nella forma

C φ = S (a) . (5.18)

• La matrice dei coefficienti dipende solamente dalla geometria del si-


stema e dalle caratteristiche cinematiche e geometriche dei vincoli.

• La sollecitazione attiva compare solamente nella matrice colonna dei


termini noti.

• Nel caso di sistemi isostatici la matrice dei coefficienti è quadrata e ha


rango massimo dato che il sistema è determinato.

Per un sistema isostatico vale la seguente proposizione.

Proposizione 5.13 (Principio di sovrapposizione degli effetti.) Per un


sistema isostatico, le reazioni vincolari che equilibrano una sollecitazione
attiva S (a) , somma delle due sollecitazioni attive S ′ (a) , S ′′ (a) , si otten-
gono sommando le reazioni vincolari che equilibrano separatamente le due
sollecitazioni S ′ (a) e S ′′ (a) .
62 CAPITOLO 5. CALCOLO DELLE REAZIONI VINCOLARI

Dimostrazione. Sia φ ′ la matrice delle reazioni vincolari che equilibrano la


sollecitazione di matrice S ′ (a) e analogo significato abbiano le matrici φ ′′ e
S ′′ (a) , allora valgono le relazioni
(a) (a)
C φ′ = S ′ , C φ ′′ = S ′′ . (5.19)

Sommando membro a membro le due equazioni (5.19) si ottiene:


(a) (a)
C (φ ′ + φ ′′ ) = ( S ′ + S ′′ ). (5.20)

Dunque la somma delle reazioni vincolari soddisfa le equazioni dell’equilibrio


del sistema sottoposto simultaneamente alle due sollecitazioni attive.

Il principio di sovrapposizione degli effetti si può applicare agli Esempi


5.2, 5.3. Se al sistema dell’Esempio5.3 si aggiunge la coppia di momento
−M k applicata alla trave CDE, le reazioni vincolari che si realizzano sono
date dalla somma delle componenti omonime ottenute separatamente nei
due Esempi.

5.2.3 Caso in cui un vincolo collega più di due corpi


Si osservi che negli esempi proposti e in altri che seguono, i vincoli di col-
legamento tra corpi sono delle cerniere ciascuna delle quali collega tra loro
(solo) due corpi, inoltre sulle cerniere non risultano applicate altre forze. Si
tratta di un caso particolarmente semplice che consente di rappresentare le
forze esplicate dal vincolo sui due corpi mediante un solo vettore incognito.
Infatti indicando con φB1 la forza che la cerniera B esercita sull’asta n.1
(AB) dell’Esempio 5.2 e con φB2 quella che la cerniera B esercita sull’asta
n. 2 (BC) risulta essere
φB2 = −φB1 .
Se una forza F fosse applicata alla cerniera B la precedente relazione
verrebbe sostituita con la seguente:

−φB1 − φB2 + F = 0.

Infatti la cerniera B, sollecitata dalla forza F e dalle due forze esplicate


dalle aste, deve essere in equilibrio. Anche in questo caso viene introdotto
un solo vettore incognito dato che l’altro si ricava dalla precedente relazione:
φB2 = F − φB1 .
In generale, quando i vincoli collegano più di due corpi rigidi , si devono
introdurre dei vettori incogniti che rappresentano la sollecitazione che il
vincolo esplica su ciascun corpo ad esso collegato. Occorre, per contro,
imporre delle equazioni che garantiscano l’equilibrio del vincolo.

Esempio 5.14 Nel sistema rappresentato in Figura 5.5, la cerniera B col-


lega tra loro le travi n.1, n. 2 e n.5.
5.2. REAZIONI CON LE EQUAZIONI CARDINALI 63

B
Fi
1 2

A C
5

4 3

−F j

Figura 5.5: Tre corpi

Si possono indicare con φB1 , φB2 , φB5 , le forze (ciascuna dotata di due
componenti) che la cerniera in B esplica sulle travi n. 1, n. 2 e n. 5 ri-
spettivamente. Introdotte analoghe notazioni per le altre reazioni interne
e indicando con φA e φC le reazioni vincolari esterne che si esplicano nei
punti A e C, valgono per le travi le seguenti equazioni:
φA1 + φB1 + mg = 0, AB × φB1 + AG1 × mg = 0, per la trave n.1
φB2 + φC2 + mg = 0, BC × φC2 + BG2 × mg = 0, per la trave n.2
φC3 + φD3 = 0, CD × φD3 = 0, per la trave n. 3
φD4 + φA4 = 0, DA × φA4 = 0, per la trave n. 4
φB5 + φD5 = 0, BD × φD5 = 0. per la trave n. 5
Valgono inoltre le seguenti equazioni ottenute imponendo l’equilibrio dei
risultanti in ciascun punto di vincolo:
−φA1 − φA4 + ψA = 0, per il vincolo in A,
−φB1 − φB2 − φB5 + FB = 0, per il vincolo in B
−φC2 − φC3 + ψC = 0, per il vincolo in C
−φD3 − φD4 − φD5 + FD = 0, per il vincolo in D .
Si dispone quindi di 3 · 5 + 2 · 4 = 23 equazioni scalari (tre per ciascuna
asta e 2 per ciascun vincolo, essendo il sistema piano) nelle 23 incognite
costituite dalle 20 componenti delle reazioni agenti agli estremi delle aste e
dalle tre componenti delle reazioni esterne (2 per la cerniera in A e 1 per
l’appoggio in C).
64 CAPITOLO 5. CALCOLO DELLE REAZIONI VINCOLARI
Capitolo 6

Cerchi di Mohr

La trattazione del cerchio di Mohr fatta nel testo, riservata agli stati piani
di tensione, si può immediatamente estendere agli stati triassiali di tensio-
ne nel caso in cui si sia determinata una direzione principale. Allineando
lungo questa l’asse z del riferimento cartesiano Oxyz rispetto al quale si
suppongono note le tensioni, la matrice di stress assume la forma
 
σx τxy 0
σ =  τxy σy 0  . (6.1)
0 0 σz

Per questa valgono tutte le formule del testo relative al caso in cui σz = 0
in quanto la struttura (6.1) della matrice di stress non cambia per arbitrarie
rotazioni attorno all’asse z, con σz che resta invariato mentre le nuove com-
ponenti di stress σx′ ′ , σy′ ′ , τx′ ′ y′ rispetto alla terna Ox′ y ′ z sono ancora date
dalle formule ricavate nel testo.1 In quel che segue supponiamo, per fissare
le idee, che le tre tensioni principali ordinate σ1 ≥ σ2 ≥ σ3 siano diverse e
che σ3 = σz .
La situazione è riassunta nella figura 6.1 (a) che riprende una figura ana-
loga nel testo. Sul cerchio, di centro C12 , i due punti in nero rappresentano
le tensioni principali e le direzioni principali di tensione mentre i due punti
in grigio rappresentano gli stati in cui la tensione tangenziale è di massi-
mo modulo. Le coordinate di questi ultimi due, in termini della tensione
normale media σm e del raggio R del cerchio di Mohr sono, rispettivamente

(σm , R) e (σm , −R), ove (6.2)


r
1 1 1 1
σm = (σx + σy ) = (σ1 + σ2 ), R = (σ1 − σ2 ) = (σx − σy )2 + τxy
2 .
2 2 2 4
(6.3)
1
Osserviamo che lo stesso vale per la matrice d’inerzia J O quando l’asse z sia principale
d’inerzia. In questo caso, in generale, l’elemento J33 di tale matrice è strettamente positivo.

65
66 CAPITOLO 6. CERCHI DI MOHR

τ
yɂ y
η
Bɂ(σy, τxy) A(σx, τxy) ξ

φ θ
x

A
2φ 2φ M(σɂxɂ, τɂxɂyɂ)
Nɂ(σɂyɂ, τɂxɂyɂ)
2θ 2θ
σ θ
(σ2, 0) (σ1, 0)
C12
N(σɂyɂ, -τɂxɂyɂ) Mɂ(σɂxɂ, -τɂxɂyɂ)

B(σy, -τxy) Aɂ(σx, -τxy) Aɂ

(a) (b)

Figura 6.1: Il cerchio di Mohr per le tensioni relative al piano Oξη (con
l’asse ζ uscente perpendicolarmente alla figura) della terna principale Oξηζ
in figura 6.3

In questa figura al diametro AB e al suo ruotato di 2θ in senso orario,


M N , sono stati aggiunti il diametro B ′ A′ e il suo ruotato di 2θ in senso
antiorario, N ′ M ′ , che rappresentano anch’essi evidentemente in forma gra-
fica le componenti della matrice di stress nel riferimento Ox′ y ′ ruotato di θ
rispetto a quello Oxy in verso antiorario. Questa rappresentazione è spesso
usata al posto della precedente perché rende concordi anziché discordi le
rotazioni nel piano Oxy e nel piano delle tensioni.
Il segmento tratteggiato AM ′ nella figura 6.1 (b) fa riferimento ad un
altro tradizionale modo di utilizzare il cerchio di Mohr, costruito mediante
i dati B ′ e A′ . In questo caso A è il cosiddetto polo (delle normali) che ha
la seguente proprietà: una qualunque retta passante per il polo interseca il
cerchio in un altro punto le cui coordinate sono la tensione normale e tan-
genziale, rispettivamente, relative alla direzione ortogonale alla retta stessa
nel piano Oxy. Analogamente il punto B è chiamato polo (delle giaciture)
Non insisteremo ulteriormente su questi due modi di utilizzare il cerchio.
Supponiamo ora di conoscere tutte e tre le tensioni principali, supponia-
mo che sia σ1 > σ2 > σ3 e riferiamoci, ove necessario, a una terna Oξηζ
principale di tensione. Consideriamo anche la figura 6.2, in cui è presen-
te, opportunamente scalato, anche il cerchio di Mohr della figura 6.1 (a).
Vogliamo mostrare che le tensioni normali e tangenziali possibili sono rap-
presentate dai punti della zona ombreggiata in figura 6.2 (a); cioè dai punti
del piano non esterni al cerchio massimo e non interni ai due cerchi mino-
ri. Per raggiungere questo scopo indichiamo con n1 , n2 , n3 i coseni direttori
di un arbitrario versore normale n rispetto alla terna principale. Poniamo
67

inoltre p
σ = n · σn e τ =± kσnk2 − σ 2 ; (6.4)
si tratta della tensione (scalare) normale e del modulo della tensione tangen-
ziale, a meno del segno. I quadrati dei coseni direttori di n devono soddisfare
le tre equazioni lineari

n21 + n22 + n23 = 1


σ1 n21 + σ2 n22 + σ3 n23 = σ (6.5)
σ12 n21 + σ22 n22 + σ32 n23 = σ +τ 2 2

esprimenti, rispettivamente, la lunghezza unitaria di n e l’espressione di σ


e del modulo quadro della tensione in termini delle tensioni principali e dei
coseni direttori di n sulla terna principale. Il determinante del sistema è il
determinante di Vandermonde delle tensioni principali ed è diverso da zero
se e solo se queste sono tutte distinte, come stiamo supponendo dall’inizio.
La risoluzione del sistema porta alle seguenti condizioni:

τ 2 + (σ − σ2 )(σ − σ3 )
n21 = ≥0
(σ1 − σ2 )(σ1 − σ3 )
τ 2 + (σ − σ3 )(σ − σ1 )
n22 = ≥0 (6.6)
(σ2 − σ3 )(σ2 − σ1 )
τ 2 + (σ − σ1 )(σ − σ2 )
n23 = ≥ 0.
(σ3 − σ1 )(σ3 − σ2 )
Nell’ipotesi fatta che σ1 > σ2 > σ3 il denominatore nella prima e nella terza
delle disequazioni in (6.6) è positivo mentre quello della seconda è negativo;
le conseguenti disequazioni sui numeratori si possono scrivere nella forma

τ 2 + (σ − C23 )2 ≥ R23
2
, con C23 = (σ2 + σ3 )/2 e R23 = (σ2 − σ3 )/2
τ 2 + (σ − C13 )2 ≤ R13
2
, con C13 = (σ1 + σ3 )/2 e R23 = (σ1 − σ3 )/2 (6.7)
τ 2 + (σ − C12 )2 ≥ R12
2
, con C12 = (σ1 + σ2 )/2 e R12 = (σ1 − σ2 )/2

rispettivamente. La seconda disequazione dice che la coppia (σ, τ ) non deve


essere esterna al cerchio di centro C13 e raggio R13 mentre la prima e la terza
dicono che non può essere interna ai cerchi di centro C23 e raggio R23 e di
centro C12 e raggio R12 , rispettivamente. Quindi (σ, τ ) deve appartenere
alla regione in grigio della figura 6.2 (a).
Se due tensioni principali coincidono, ad esempio σ2 = σ3 , il determinan-
te delle equazioni (6.5) si annulla e le equazioni stesse devono essere dipen-
denti per avere soluzioni. Di fatto si possono vedere come equazioni nelle
variabili n21 e r2 := n22 + n23 . Le prime due equazioni restano indipendenti e
forniscono
σ − σ3
n21 = e r2 = 1 − n21 , (6.8)
σ1 − σ 3
68 CAPITOLO 6. CERCHI DI MOHR

τ
τ

σ
σ3 = σ2 C13 σ1

σ (b)
σ3 C23 σ2 C13 C12 σ1 τ

σ
σ3 = σ2 = σ1

(a) (c)

Figura 6.2: I cerchi di Mohr per le tensioni relative alla terna Oξηζ: (a)
σ1 > σ2 > σ3 ; (b) σ1 > σ2 = σ3 ; (c) σ1 = σ2 = σ3

mentre la compatibilità della terza equazione con le prime due richiede

τ 2 = −(σ − σ1 )(σ − σ3 ). (6.9)

La condizione che n21 sia compreso tra zero e uno è equivalente a σ3 ≤ σ ≤ σ1


mentre (6.9) diviene, nella notazione di (6.7)

τ 2 + (σ − C13 )2 = R13
2
, (6.10)

che è l’equazione del cerchio in grigio di figura 6.2 (b). Se infine σ1 = σ2 =


σ3 il sistema (6.5) ha come unica soluzione σ = σ3 , τ = 0, rappresentata
dal punto in grigio di figura 6.2 (c); come è pure ovvio, dato che lo stato
tensionale è idrostatico.
I risultati ottenuti direttamente per i due ultimi casi mostrano che l’in-
sieme delle tensioni possibili in questi si può ottenere come limite di quello
relativo a tensioni principali tutte diverse quando se ne fanno tendere due o
tutte e tre, rispettivamente, allo stesso valore.
A differenza delle tensioni normali, per le quali non vi sono ambiguità,
non sempre univoca è la scelta del segno delle tensioni tangenziali. Sia
per questo che per l’interesse per il modulo della tensione tangenziale, in
particolare per il massimo modulo, al posto dei cerchi di Mohr si restringe
l’attenzione sulla loro intersezione col semipiano τ ≥ 0. La zona in grigio di
figura 6.2 ristretta a tale semipiano si chiama arbelo2 di Mohr. Ci proponia-
mo di illustrare come le direzioni appartenenti al primo ottante della terna
principale di tensione si rappresentino nell’arbelo di Mohr.
2
Il termine greco antico indica uno strumento di taglio (trincetto) usato dai calzolai.
Come figura geometrica l’arbelo è studiato da Archimede.
69

Facciamo riferimento alla figura 6.3; in essa al generico punto della terna
Oξηζ in (a) contrassegnato da una lettera viene associato nel semipiano di
Mohr in (b) o (c) un punto contrassegnato dalla stessa lettera seguita da un
apice. Nella figura 6.3 (a) consideriamo l’intersezione della superficie della
sfera unitaria con il primo ottante e un qualunque punto A appartenente a
tale intersezione, per cui il versore n = OA ha componenti (n1 , n2 , n3 ) tutte
positive come si vede in figura. Le linee a tratto sottile sulla superficie sferica
costituiscono l’intersezione di essa con i coni di vertice l’origine e rispettivi
assi ξ, η, ζ e aperture α, β, γ. Risulta

n1 = cos α, n2 = cos β, n3 = cos γ. (6.11)


⌢ ⌢ ⌢
Gli archi principali Q F R, R H S e S K Q sono rispettivamente rappre-
sentati nel semipiano di Mohr, figure 6.3 (b) e (c), dai semicerchi principali
⌢ ⌢ ⌢
di Mohr, a tratto continuo, Q′ R′ , R′ S ′ e S ′ Q′ . I versi di percorrenza sono
corrispondentemente associati. Ad esempio, lo spostamento da S verso Q di
un angolo γ, che fa raggiungere il punto K, ha come corrispondente nel semi-
piano di Mohr uno spostamento di 2γ da S ′ verso Q′ lungo l’arco principale

S ′ Q′ , raggiungendo cosı̀ il punto K ′ . Analogamente si costruisce il punto F ′
corrispondente ad F , come indicato in figura 6.3 (c). La costruzione degli
archi paralleli a quelli principali è fatta come quella degli archi principali
corrispondenti, basata sulle (6.6). Ad esempio, su ciascuna delle curve pa-

rallele alla Q F R risulta costante n3 . Allora, ricordando le definizioni nella
terza riga di (6.7), possiamo cosı̀ riscrivere l’uguaglianza nella terza riga di
(6.6):
τ 2 + (σ − C12 )2 − R12
2
= n3 (σ3 − σ1 )(σ3 − σ2 ). (6.12)
Per ogni scelta di 0 ≤ n3 ≤ 1 il secondo membro di (6.12) è non negativo,
quindi la (6.12) è l’equazione di un cerchio di centro C12 e raggio r ≥ R12 .
⌢ ⌢
Costruiamo in questo modo le curve F ′ G′ e K ′ H ′ , corrispondenti alle
⌢ ⌢
F G e KH; esse si intersecano nel punto A′ , corrispondente ad A.
70 CAPITOLO 6. CERCHI DI MOHR

ζ
S

G
H n = (n1, n2, n3)

A
γ
K
R η
β

Q F
ξ
(a)

τ
η= 0
ξ = n1 ζ = n3

A′
ζ=0

ξ=0 η= n2

S′ R′ Q′
σ3 C23 σ2 C13 σ1 σ
C12
(b)

K′
A′
F′
G′
H′

2γ 2γ 2β
S′ R′ Q′
σ3 C23 σ2 C13 σ1 σ
C12
(c)

Figura 6.3: Corrispondenza tra punti sul primo ottante della sfera unitaria
della terna principale Oξηζ e punti dell’arbelo di Mohr nel caso σ1 > σ2 > σ3
mentre le corrispondenti direzioni principali sono quelle degli assi ξ, η, ζ,
rispettivamente.
Capitolo 7

Facoltativo

7.1 Esempi elementari di biforcazione


Primo esempio elementare
In un piano cartesiano Oxy, con y verticale ascendente, si consideri un punto
materiale P di massa m, vincolato senza attrito sulla guida circolare di
centro O e raggio R = 1. P sia soggetto al peso e alla forza esercitata
da una molla ideale, di costante elastica h > 0 e lunghezza a riposo nulla,
tesa tra P e la sua proiezione P ′ sull’asse y. Inoltre il piano Oxy ruoti con
velocità angolare di intensità ω costante, rispetto agli spazi inerziali, attorno
all’asse y. Vogliamo determinare quali siano le posizioni di equilibrio e come
esse dipendano dai parametri costitutivi del sistema (m, g, h, ω).
Il potenziale della sollecitazione attiva è:

1
V = −mg(− cos θ) + (mω 2 − h) sin2 θ + c. (7.1)
2
Supponiamo di poter anche applicare una forza verticale costante, di in-
tensità e verso arbitrari, e indichiamo per convenienza con A la quantità
1/2(mω 2 − h). Allora possiamo scrivere il potenziale nella forma

V = λ cos θ + A sin2 θ + c. (7.2)

Useremo λ come parametro di controllo. Esso può assumere a priori valori


arbitrari, cosı̀ come A; naturalmente se la forza aggiuntiva è nulla λ = mg.
Consideriamo ora la condizione di equilibrio:

0 = V ′ = −λ sin θ + 2A sin θ cos θ. (7.3)

Includendo anche il caso A = 0 come limite, le posizioni di equilibrio sono

λ
θ1 = 0, θ2 = π, θ3 = arccos , θ4 = −θ3 . (7.4)
2A

71
72 CAPITOLO 7. FACOLTATIVO

O
x
θ

P' P

Figura 7.1: Primo esempio

A>0
S
S S
S I I I I I I I I S
S S
S
λ ≤ −2A −2A < λ < 0 λ=0 0 < λ < 2A λ ≥ 2A

Naturalmente tutte le soluzioni sono determinate a meno di multipli di 2π


e le posizioni θ3 , θ4 esistono se e solo se

|λ| ≤ 2|A|. (7.5)

Consideriamo ora il carattere degli equilibri rispetto alla stabilità usando


la derivata seconda del potenziale:

V ′′ = −λ cos θ + 2A(2 cos2 θ − 1). (7.6)

Risulta
V ′′ (0) = −λ + 2A, V ′′ (π) = λ + 2A, (7.7)
λ 2  λ 2  2
λ − 4A 2
V ′′ (θ3,4 ) = − + 2A 2 2 − 1 = , sgnV ′′ (θ3,4 ) = −sgnA;
2A 4A 2A
(7.8)
l’ultima uguaglianza tiene conto della condizione (7.5) di esistenza delle
posizioni θ3,4 .
La discussione complessiva della stabilità nel cerchio goniometrico e i
diagrammi (qualitativi) di biforcazione sono sintetizzati come segue.
Osserviamo che nel caso A > 0, λ = 2A la posizione θ = 0 è di equilibrio
stabile, con moti confinati in base al teorema di Lagrange-Dirichlet mentre
l’equazione linearizzata (θ̈ = 0) ha come soluzioni moti uniformi, quindi non
limitati comunque si fissino le condizioni iniziali.
7.1. ESEMPI ELEMENTARI DI BIFORCAZIONE 73

A<0
I
I I
S I S S S S S S I S
I I
I
λ ≤ 2A 2A < λ < 0 λ=0 0 < λ < −2A λ ≥ −2A

A=0

S I I I S

λ<0 λ=0 λ>0

λ λ λ

2A −2A

−π π −π π −π π
θ θ θ

−2A 2A

A>0 A<0 A=0

Figura 7.2: Diagrammi di biforcazione per l’esempio 1


74 CAPITOLO 7. FACOLTATIVO

F
B

O=A θ
x

Figura 7.3: Secondo esempio

Secondo esempio elementare


In un piano cartesiano inerziale orizzontale Oxy si consideri una sbarretta
rigida AB, di lunghezza l, vincolata ad appartenere al piano e ad avere
l’estremo A incernierato in O. Si supponga che i vincoli siano ideali e che
sulla sbarretta agiscano:
1. un sistema di forze a risultante nullo e momento risultante M = −kθc3 ,
con k costante positiva, θ angolo che AB forma con il semiasse x positivo
e c3 versore della normale positiva al piano Oxy;

2. una forza F = N c1 agente su B, con N costante e c1 versore dell’asse x.


Vogliamo determinare quali siano le posizioni di equilibrio come esse
dipendano dal parametro costitutivo N , pensando l e k fissati.
Il potenziale della sollecitazione è
1
V (θ) = N l cos θ − kθ2 (7.9)
2
ed è simmetrico in θ, cosicché θ = 0 è necessariamente un punto criti-
co e per gli altri basta restringere l’attenzione alla semiretta θ-positiva.
Esplicitamente

V ′ = −N l sin θ−kθ, V ′′ = −N l cos θ−k, V iv = N cos θ.


V ′′′ = N sin θ,
(7.10)
In particolare ritroviamo che θ = 0 è sempre un punto di equilibrio; inoltre
esso è stabile per N > −k/l ed instabile per N < −k/l mentre per N = −k/l
è un punto di biforcazione (a forca) ed è stabile in base al test delle derivate
terza e quarta.
Le ulteriori configurazioni di equilibrio devono soddisfare la condizione
l θ
λ := N =− . (7.11)
k sin θ
Il grafico del secondo membro di questa uguaglianza è rappresentato in fi-
gura 7.4 a). Lungo gli equilibri rappresentati da (7.11) la derivata seconda
7.1. ESEMPI ELEMENTARI DI BIFORCAZIONE 75

λ
20

15

10

5
θ
2.5 5 7.5 10 12.5 15
-5

-10

-15

-20

a)

V''
150

100

50

θ
2.5 5 7.5 10 12.5 15

-50

-100

-150

b)

Figura 7.4: Secondo esempio: a) equilibri e biforcazioni; b) stabilità degli


equilibri

ha l’espressione
 θ 
V ′′ = k −1 (7.12)
tan θ
ed è rappresentata nella figura 7.4 b). Il segno della derivata seconda de-
termina la stabilità degli equilibri, rappresentata graficamente nella figu-
ra 7.4 a): le branche stabili sono disegnate con tratto continuo mentre quelle
instabili sono tratteggiate.
Come risulta dalla figura 7.4, la biforcazione per λ = −1 è una forca
mentre le altre sono tutte punti di inversione (o punti limite).
Per studiare questi ultimi conviene riparametrizzare il potenziale in ter-
mini degli incrementi di θ e λ dai valori corrispondenti al punto critico.
Indicando con θ0 e λ0 una qualunque coppia di tali valori, (7.11) e (7.12)
76 CAPITOLO 7. FACOLTATIVO

implicano
θ0 1
θ0 = tan θ0 , λ0 = − =− ; (7.13)
sin θ0 cos θ0
in aggiunta possiamo scrivere
1
V = V (x, µ) = k((λ0 + µ) cos(θ0 + x) − (θ0 + x)2 ). (7.14)
2
Ritroviamo facilmente che (θ0 , λ0 ) è un punto di equilibrio e di biforcazione:

Vx (0, 0) = 0 = Vxx (0, 0) ; inoltre Vxµ (0, 0) = −k sin θ0 6= 0. (7.15)

L’ultima disuguaglianza implica che la condizione di equilibrio, Vx (x, µ) = 0


ha, in un intorno di (0, 0), un’unica soluzione della forma

θ0 + x
µ = µ(x) = − − λ0 . (7.16)
sin(θ0 + x)

Poiché risulta
Vxxx (0, 0) = kλ0 sin θ0 6= 0 (7.17)
la derivata seconda in (0, 0) cambia segno; quindi l’equilibrio da stabile
diviene instabile o viceversa, in accordo con il grafico in figura 7.4.1
Il teorema del Dini ci fornisce anche le derivate in x = 0 della funzione
µ(x); ad esempio:

Vxx (0, 0) Vxxx (0, 0)


µ′ (0) = − = 0, µ′′ (0) = − = λ0 6= 0. (7.18)
Vxµ (0, 0) Vxµ (0, 0)

Esempi elementari di teoria delle imperfezioni


Occupiamoci dell’esempio 1 e supponiamo che la forza applicata, che in
quell’esempio è assunta verticale, possa avere una componente orizzontale,
magari molto piccola, che indicheremo con ǫ. Questo è un esempio di im-
perfezione e il problema che ci poniamo è quello di analizzare se e in che
modo l’equilibrio del sistema sia sensibile alle imperfezioni. Il caso discusso
in precedenza corrisponderà ad assenza di imperfezioni, cioè ǫ = 0.
Il potenziale della sollecitazione diviene ora

V = λ cos θ + A sin2 θ + ǫ sin θ + c (7.19)

e la condizione di equilibrio per ǫ 6= 0 (che esclude la possibilità che sia


sin θ = 0) si può scrivere nella forma

λ = 2A cos θ + ǫ cot θ. (7.20)


1
Nel caso di un problema ridotto con queste caratteristiche la simmetria della
configurazione di equilibrio non cambia attraverso il punto limite, muta solo la stabilità.
7.1. ESEMPI ELEMENTARI DI BIFORCAZIONE 77

λ
10

7.5

5
ε=−1 ε=1

2.5
ε=−1
ε=1
θ
-3 -2 -1 ε=1 1 2 3
ε=−1

-2.5

ε=1
-5

ε=−1
-7.5

-10

Figura 7.5: Equilibri e stabilità per A = 1 e varie scelte del parametro ǫ

Il grafico di λ in funzione di θ per A = 1 e per vari valori di ǫ è riportato


in figura 7.5. Come in figura 7.2 linee tratteggiate rappresentano branche
instabili e linee continue branche stabili. Inoltre le curve di equilibrio per
ǫ = 0 sono rappresentate con tratto più marcato e corrispondono (quantita-
tivamente) a due delle analoghe curve (qualitative) in figura 7.2. La curva
punteggiata verrà descritta più sotto.
Per non affollare troppo il grafico si sono indicati nella figura solo i valori
estremi di ǫ: −1 e 1. Gli altri valori sono −2/3, −2/5, −1/5, −1/12, −1/48,
1/48, 1/12, 1/5, 2/5, 2/3. Al tendere di ǫ a zero, sia per valori positivi che
per valori negativi, le curve si avvicinano a quelle con tratto più marcato,
corrispondenti a ǫ = 0.
Lo studio della stabilità è basato sull’analisi della derivata seconda:

V ′′ = −λ cos θ + 2A cos 2θ − ǫ sin θ. (7.21)

In particolare cerchiamo i punti sulle curve di equilibrio ove tale derivata


si annulla, verificando a posteriori mediante il non annullarsi della derivata
terza che in essi la derivata seconda cambia segno. Sostituendo in (7.21)
l’espressione di λ data da (7.20) e uguagliando a zero otteniamo

ǫ = −2A sin3 θ (7.22)

che, sostituita nella (7.20), dà la curva dei punti di equilibrio in cui V ′′ si
annulla e cambia segno:
λ = 2A cos3 θ. (7.23)
78 CAPITOLO 7. FACOLTATIVO

λ
10

7.5

ε=1
5 ε=−1

2.5

ε=−1 ε=1
θ
-3 -2 -1 1 2 3

-2.5

ε=−1 ε=1 ε=−1 ε=1


-5

-7.5

-10

Figura 7.6: Equilibri e stabilità per A = −1 e varie scelte del parametro ǫ

Nella figura 7.5 questa funzione è rappresentata dalla linea punteggiata che
dà il limite di stabilità sulle curve che tendono a θ = 0 per λ < 2.
Da osservare che se ci si muove vicino alle branche stabili nel caso non
ci siano imperfezioni (ǫ = 0 e θ = 0 per λ ≥ 2 oppure θ = π per λ ≤ −2),
una piccola imperfezione sposta leggermente la posizione di equilibrio senza
alterarne la stabilità. Per questo diciamo che il sistema è poco sensibile alle
imperfezioni.

-1.9825
-1.985
-1.9875
-1.99
-1.9925
-1.995
-1.9975

-0.001 -0.0005 0.0005 0.001

Figura 7.7: Grafico della funzione in (7.24)

Consideriamo ora il caso A < 0. Il grafico delle posizioni di equilibrio


per A = −1 è ora dato dalla figura 7.6 per gli stessi valori di ǫ e con le stesse
convenzioni grafiche della figura 7.5. Ora però le curve inizialmente stabili
per ǫ piccolo e λ > −2A perdono a un certo punto la stabilità. Nell’ottica
7.1. ESEMPI ELEMENTARI DI BIFORCAZIONE 79

di determinare quale sia il massimo carico sostenibile in condizioni di sta-


bilità, e come questo dipenda dalle imperfezioni vogliamo esprimere i punti
sulla curva (7.23), rappresentata come punteggiata nella figura 7.6, dando il
massimo carico sostenibile, diciamo M , come funzione dell’imperfezione ǫ.
Questo si ottiene invertendo la (7.22) e sostituendo poi l’inversa in (7.23),
ottenendo
 ǫ 2  23  ǫ 2  21  ǫ − 31
M = 2A 1 − ( ) 3 , quindi M ′ = − 1 − ( ) 3 . (7.24)
2A 2A 2A
Come indica il grafico di M in figura 7.7, la curva ha pendenza infinita nello
1
zero; in particolare, per (7.24)2 la pendenza diverge come ǫ− 3 . Quindi una
piccola variazione di ǫ a partire dallo zero provoca una grande diminuzione
del valore assoluto del carico limite M e quindi l’instabilità si verifica ben
prima che il carico limite teorico, cioè in assenza di perturbazioni, venga
raggiunto. Per questo diciamo che questo sistema è molto sensibile alle
imperfezioni.
Consideriamo ora il caso di un punto limite, usando anche la notazione
della sezione precedente e ipotizzando2 che l’imperfezione consista nell’avere
il carico anche una componente parallela all’asse y. Allora il potenziale
risulta
V = V (θ, λ, ǫ) = k(λ cos θ + ǫ sin θ − θ2 /2) (7.25)
e le condizioni di equilibrio e di biforcazione sono, rispettivamente,

k(−λ sin θ + ǫ cos θ − θ) = 0, k(−λ cos θ − ǫ sin θ − 1) = 0. (7.26)

Le curve di equilibrio, espresse in termini di λ come funzione di θ e ǫ, sono


rappresentate graficamente nella figura 7.8 per k = 1, per alcuni valori di
ǫ e per θ compreso tra π e 2π. La curva con tratto marcato corrisponde
a ǫ = 0. Come osservato nella nota 2, le curve perturbate hanno lo stesso
carattere di quella imperturbata.
Per analizzare come l’inizio dell’instabilità dipenda dalla imperfezione
consideriamo il sistema (lineare in λ e ǫ) costituito dalle due equazioni in
(7.26), che vogliamo risolvere per λ e ǫ come funzioni di θ vicino a θ0 . Risulta

λ = −θ sin θ − cos θ, ǫ = θ cos θ − sin θ. (7.27)

Poiché
λ′ (θ0 ) = −θ0 cos θ0 6= 0, ǫ′ (θ0 ) = −θ0 cos θ0 6= 0, (7.28)
è diversa da zero anche la derivata nello zero per λ pensata come funzione
di ǫ: dλ/dǫ = cot θ0 = (θ0 )−1 6= 0. Quindi il sistema non è molto sensibile
alle imperfezioni.

2
Questa scelta non è troppo particolare; l’esempio suggerisce il risultato teorico genera-
le, cioè che un’arbitraria piccola perturbazione di un punto limite lo sposta di poco senza
mutarne il carattere.
80 CAPITOLO 7. FACOLTATIVO

10

ε=2 ε=−2
6

5
ε=2

ε=−2

3.5 4.5 5 5.5 6

Figura 7.8: Curve di equilibrio per l’asta caricata quasi di punta

7.2 Cenni alla termodinamica dei mezzi continui


La notazione è (più o meno) la stessa del libro di testo. In aggiunta:
ǫ, η, r, q, θ e w denotano, rispettivamente, l’energia interna specifica (cioè
per unità di massa), l’entropia specifica, la produzione di calore specifica, il
vettore flusso termico (q · n rappresenta il flusso di calore per unità d’area
attraverso un elemento superficiale orientato ortogonale a n, questa essen-
to la normale positiva), la temperatura assoluta e la densità (volumica) di
potenza delle forze interne (w = −σ · ∇v).
Il bilancio dell’energia in forma integrale (Primo Principio della Termo-
dinamica), postulato valido per una qualunque parte ∆b del continuo b, si
scrive come segue:
Z Z Z Z
d
ρ ǫ dv = ρ r dv + q · n ds − w dv. (7.29)
dt ∆b ∆b Σ ∆b

Come già fatto per il bilancio integrale della massa e della quantità di
moto, ad esempio, il bilancio energetico si può localizzare trasformando an-
zitutto l’integrale superficiale in integrale di volume con il teorema della
divergenza e poi sfruttando la ipotizzata continuità degli integrandi e l’arbi-
trarietà della parte (a frontiera regolare) ∆b. Si ottiene la forma locale del
bilancio energetico:
ρǫ̇ = ρ r + divq − w. (7.30)

La disuguaglianza dissipativa integrale (di Clausius-Duhem), che costi-


tuisce il Secondo Principio della Termodinamica ed è postulata valida per
7.3. CORPI TERMOELASTICI (OMOGENEI) 81

una qualunque parte ∆b del continuo b, si scrive come segue:


Z Z Z
d ρr q·n
ρ η dv ≥ dv + ds. (7.31)
dt ∆b ∆b θ Σ θ

Poiché, con il teorema della divergenza,


Z Z  
q·n divq 1
ds = − 2 q · ∇θ dv, (7.32)
Σ θ ∆b θ θ
la localizzazione della disuguaglianza dissipativa risulta essere:
ρ r divq 1
ρη̇ ≥ + − 2 q · ∇θ. (7.33)
θ θ θ
Utilizzando il bilancio energetico locale (7.30), la disuguaglianza dissi-
pativa locale diventa
1
ρ(ǫ̇ − θη̇) + w − q · ∇θ ≤ 0. (7.34)
θ2
Da questa, mediante l’introduzione della energia libera specifica (di Helmol-
tz)
ψ = ǫ − θη, (7.35)
si ottiene la disuguaglianza dissipativa ridotta
1
ρψ̇ + ρη θ̇ + w − q · ∇θ ≤ 0 (7.36)
θ2
che fornisce tra l’altro le restrizioni poste dalla termodinamica sulle equa-
zioni costitutive, come vedremo in due casi significativi.

7.3 Corpi termoelastici (omogenei)


Supponiamo che la forza di massa e la produzione di calore specifiche, F e r
siano dati del problema dinamico, indipendenti dal moto del corpo; definia-
mo inoltre z = ∇θ. Un corpo per il quale vale l’(ulteriore) ipotesi costitutiva
che ψ, η, σ, q siano funzioni di F , θ, z e che né su queste variabili né sui lo-
ro incrementi siano presenti vincoli, è detto termoelastico (omogeneo). In
queste ipotesi la disuguaglianza (7.36) diviene
 ∂ψ ∂ψ ∂ψ  1
ρ Ḟrs + θ̇ + żr + ρη θ̇ − σrs Ḟrk (F −1 )ks − 2 q · z ≤ 0, (7.37)
∂Frs ∂θ ∂zr θ

e deve essere ritenuta valida per ogni scelta di F , θ, z, Ḟ , θ̇, ż.


Poiché c’è un solo termine che moltiplica ż esso deve essere nullo:
∂ψ
= 0 e quindi ψ = ψ(F , θ). (7.38)
∂zr
82 CAPITOLO 7. FACOLTATIVO

Poiché i termini che moltiplicano Ḟ e θ̇ non dipendono da z e l’ultimo


termine si annulla per z = 0, la disuguaglianza (7.37) si spezza nelle due
disuguaglianze
1  ∂ψ   ∂ψ 
q·z ≥0 e − σrk (F −1 )sk Ḟrs + ρ + η θ̇ ≤ 0. (7.39)
θ2 ∂Frs ∂θ
La seconda vale se e solo se si annullano entrambe le parentesi. Quindi
∂ψ
η = η(F , θ) e η=− ; inoltre (7.40)
∂θ
∂ψ
σ = σ(F , θ) e ρ∗ = PrL = Jσrs (F −1 )L
s. (7.41)
∂FLr
Il tensore P è il tensore degli sforzi di Piola, essenziale in elasticità nonli-
neare. Le relazioni precedenti si riassumono dicendo che ψ è un potenziale
termodinamico per η e σ.

7.4 Fluidi linearmente viscosi


Ipotesi costitutive:

ψ = ψ(ρ, θ), η = η(ρ, θ), q = q(ρ, θ, ∇θ), (7.42)

w = −σ·D = −D·I(−p+λtrD)−2µD·D = (−p+λtrD)(−trD)−2µkDk2 .


(7.43)
Ponendo
 ∂ψ ∂ψ  1
G(ρ, θ, D, θ̇) = ρ ρ̇ + + ρη θ̇ + w, F (ρ, θ, ∇θ) = q · ∇θ, (7.44)
∂ρ ∂θ θ

la disuguaglianza dissipativa ridotta (7.36) diviene

G − F ≤ 0. (7.45)

Poiché F (ρ, θ, 0) = 0 e G(ρ, θ, 0, 0) = 0, questa è equivalente alla validità


separata della disuguaglianza di Fourier F ≥ 0 (basta prendere D = 0, θ̇ =
0) e della disuguaglianza della dissipazione interna, G ≤ 0 (basta prendere
∇θ = 0). Quest’ultima, tenendo conto dell’equazione di continuità ρ̇ +
ρtrD = 0, si scrive nella forma
 ∂ψ ∂ψ   ∂ψ ∂ψ 
ρ ρ̇ + (η + )θ̇ + w = ρ −ρ trD + (η + )θ̇ + w ≤ 0. (7.46)
∂ρ ∂θ ∂ρ ∂θ
Ponendo ad esempio D = 0 si vede che questa disuguaglianza è equivalente
alle relazioni
∂ψ ∂ψ
η=− e − ρ2 trD + w ≤ 0. (7.47)
∂θ ∂ρ
7.4. FLUIDI LINEARMENTE VISCOSI 83

Consideriamo ora la decomposizione di D nelle sue parti sferica e deviato-


rica:
1 1
D = (trD)I + ∆, ∆ := D − (trD)I, tr∆ = 0, (7.48)
3 3
e riscriviamo l’espressione di w:
1
w = p trD − λ(trD)2 − 2µD · D, con D · D = (trD)2 + k∆k2 . (7.49)
3
Poiché trD e k∆k sono indipendenti, la disuguaglianza della dissipazione
interna, cioè
 ∂ψ  2
−ρ2 + p trD − (λ + µ)(trD)2 − 2µk∆k2 ≤ 0 (7.50)
∂ρ 3

equivale alle relazioni (nota: il volume specifico υ è 1/ρ e ψ̃(υ, θ) := ψ(1/υ, θ))

∂ψ ∂ψ 2
p = ρ2 =− , λ + µ ≥ 0, µ ≥ 0. (7.51)
∂ρ ∂υ 3
La prima uguaglianza si può esprimere dicendo che la pressione meccanica
p coincide con la pressione termodinamica − ∂ψ
∂υ .

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