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Lezione 28 | Neurofisiologia | 24/05/2017

Rev: Dov
Doc: Gobbo

Argomenti: aree corticali associative, stati di attivazione cerebrale, sistemi motivazionali.


La lezione sarà l’ultima relativa alla neurofisiologia, dopo aver affrontato in quella precedente il sistema
nervoso autonomo. Essa verterà sui livelli più alti dell’organizzazione cognitiva, la correlazione con la sfera
più affettiva per poi finire con gli stati dell’attivazione cerebrale.

AREE CORTICALI ASSOCIATIVE

La corteccia cerebrale è organizzata in colonne verticali caratterizzate da fibre che portano segnali sia
ascendenti che discendenti. Vi è poi la possibilità di avere comunicazioni orizzontali grazie alle fibre degli stati
più esterni. Le afferenze dei singoli strati che arrivano dalle parti sottocorticali, nel caso in cui portino
informazioni specifiche da strutture specifiche e con modalità specifiche sensoriali, si fermano al quarto
strato. Le afferenze più aspecifiche (informazioni che vengono associate insieme, ed elaborate) arrivano ai
livelli più alti (primo, secondo e terzo strato), mentre per quello che riguarda le efferenze, gli strati più
importanti sono il quinto e il sesto: il quinto strato è dedicato a informazioni, comandi, che scendono verso
il tronco encefalico e il midollo spinale; invece il sesto strato è per i comandi, segnali che vanno a finire verso
il talamo. Il rapporto che c’è fra il talamo e la corteccia è molto intenso e presentano moltissimi scambi in via
bidirezionale e proprio questo tipo di scambi avvengono in maniera specifica, si osserva infatti che da nuclei
specifici del talamo essi arrivano in aree specifiche. Ci sono, tuttavia, anche connessione di tipo aspecifico e
questo tipo di informazioni vengono scambiate grazie alla presenza dei nuclei intralaminari e dei nuclei
reticolari sulla superficie del talamo, i quali mandano delle fibre molto diffuse (sistema talamo corticale) che
praticamente prende connessione con tutto il mantello corticale: in questo caso si parla proprio di talamo
aspecifico. Considerando la corteccia abbiamo visto finora tutte le aree specifiche (primarie, secondarie,
somatosensoriali etc.), ma accanto a queste aree troviamo anche aree corticali associative, che sono quelle
che mandano segnali tramite fibre sottocorticali agli strati 1, 2 e 3 delle altre cortecce. In particolare parliamo
di tre aree associative che sono la parieto-occipito-temporale, la prefrontale e l’area limbica.

CORTECCIA PARIETO OCCIPITO TEMPORALE

All’interno della corteccia parieto-occipito-temporale bisogna considerare delle sotto-aree, una sorta di
suddivisione funzionale presente anche in quest’area associativa che va ad associare diversi stimoli.

La prima zona, molto più dorsale, è deputata


in particolare all’analisi delle coordinate
spaziali, sia in senso del corpo rispetto allo
spazio (come si trova l’organismo rispetto
all’ambiente circostante), ma anche con
informazioni che vengono analizzate rispetto
agli oggetti veri e propri che troviamo
nell’ambiente. Quest’area ci permette di
porre, e quindi direzionare, l’attenzione verso
un oggetto specifico che viene localizzato.
Questo fenomeno è anche correlato alla
posizione della mano: già nel momento in cui
andiamo a muovere la mano nello spazio
peripersonale (l’ambito in cui possiamo
raggiungere qualcosa con le mani)
automaticamente il lobo parietale si attiva
localizzando già la mano e quindi portando

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l’attenzione verso il posizionamento della stessa. Questo tipo di corteccia associativa è da considerare
inserita all’interno di tutto un sistema di una via dorsale; un sistema dove all’interno di questa area più
centrale arrivano molte informazioni fra cui sicuramente troviamo quelle visive, somatosensoriali, uditive.
Questa parte dorsale di analisi è in modo specifico dedicata al distinguere dove si trova qualcosa. Parlando
precedentemente di vie visive abbiamo distinto due vie di analisi: una che dalla corteccia visiva primaria e
secondaria si porta verso l’alto (frecce nere), ovvero verso il lobo parietale, che viene chiamata anche via del
dove (o dov’è) ed è disegnata in modo specifico per identificare le coordinate spaziali di un oggetto e per
seguirlo nei movimenti. Ventralmente invece abbiamo la via del che cos’è, cioè una volta visto e analizzato
un oggetto da parte della corteccia visiva primaria e secondaria partono altre fibre che si portano alla zona
temporale e l’elaborazione è specifica sul dare un significato a che cos’è l’oggetto e questo ci permette anche
di dare un significato alle parole, alle lettere che noi leggiamo.

La seconda zona che consideriamo è quella che ha a che fare sempre con la via dorsale ma che è deputata
sostanzialmente al controllo della fissazione da parte degli occhi su un oggetto e che si distingue a sua volta
in una via volontaria e in una via involontaria.
La via di fissazione volontaria è già stata incontrata e si tratta dell’area nella corteccia premotoria per i
movimenti bilaterali degli occhi (spostare lo sguardo verso un oggetto di nostro interesse).
Immaginiamo come quest’area sia collegata all’area associativa tramite delle fibre cortico corticali e
sottocorticali che arrivano in questa zona: il risultato è che quando pongo l’attenzione su un oggetto
automaticamente ho anche la deviazione dello sguardo verso quell’oggetto. Questo processo avviene sia con
un circuito più alto, che quindi prende anche coscienza di quello che sto facendo (ho coscienza che sto
spostando lo sguardo), ma avviene anche a un livello più basso grazie alla presenza dei collicoli superiori. Nel
momento in cui abbiamo stimoli visivi che arrivano alla retina, in particolare si parla della localizzazione degli
stimoli che perciò raggiungono la retina periferica, essi passano poi ai neuroni gangliari di tipo M
magnicellulari che mandano fibre nel nervo ottico che a loro volta raggiungono i collicoli superiori e il corpo
genicolato laterale e che alla fine raggiungono la corteccia. Tuttavia il nervo ottico manda anche delle vie
direttamente ai collicoli superiori (saltiamo sia le fibre del nervo ottico sia i neuroni magnicellulari) che
rispondono con un riflesso, quindi immediatamente, ancora prima che scattino i meccanismi volontari.
Questo causa uno spostamento dei muscoli degli occhi grazie ai muscoli oculomotori e grazie allo stimolo
visivo.
I collicoli superiori prendono connessione anche con il tronco encefalico tramite il fascicolo longitudinale
mediale dove abbiamo la possibilità di comandare, controllare, i meccanismi riflessi, automatici, del capo e
del collo. Quando devio lo sguardo, appena si supera un certo grado di torsione, il capo comincia a seguire
gli occhi in maniera automatica.

La terza sotto-area funzionale che troviamo all’interno della corteccia parieto-occipito-temporale è un’area
dedicata alla comprensione del linguaggio, sia scritto che udito. Questa viene chiamata area di Wernicke. È
un’area che riceve connessioni da altre due aree che possono essere considerate all’interno della corteccia
associativa, ossia il giro angolare che fornisce delle informazioni proprio sulle cose che leggiamo, sulle parole
scritte, l’altra area chiamata area di denominazione degli oggetti (concetto generale, possiamo denominare
anche delle azioni), che è un’area situata più in basso rispetto all’area di Wernicke. Queste due aree mandano
informazioni all’area di Wernicke che poi procede a un’elaborazione superiore, dando un significato preciso
alle parole che vengono dette o ascoltate tramite queste due aree. La prima area che viene utilizzata durante
lo sviluppo è l’area di denominazione degli oggetti. Prima di imparare a leggere si ascoltano i nomi degli
oggetti e questo rappresenta il punto di partenza per la comprensione del linguaggio. Solo successivamente
subentra la possibilità e la capacità di leggere. È chiaro che queste aree sono quelle che ci permettono di
capire se quello che stiamo leggendo ha un significato oppure no. Quindi mi permette di discriminare se la
parola che c’è scritta è una serie di sillabe senza logica o una parola di senso compiuto. Lo stesso discorso
vale, ovviamente, per i numeri. Leggendo un numero mi rendo conto se ho davanti un 240, o se mi trovo a
vedere una data (es. 24/05/17)

Per la sua importanza fondamentale, l’area di Wernicke è stata identificata come area sede dell’intelligenza
superiore nell’essere umano. In passato si pensava che la sede dell’intelligenza fosse nell’area prefrontale,

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dove sicuramente abbiamo dei programmi, delle funzioni di livello superiore, ma la vera intelligenza che
contraddistingue l’essere umano è da riferire all’area di Wernicke. Essa infatti oltre ad essere un’area
interpretativa globale a cui arrivano tantissime informazioni, si occupa di trasformare i nostri pensieri, le
nostre percezioni, in equivalenti verbali. Nel momento in cui pensiamo, lo facciamo utilizzando parole. Il fatto
di poter avere un linguaggio permette anche di sviluppare tutti i pensieri che abbiamo. Sulla percezione di
emozioni, di sensazioni particolari non possiamo una definizione precisa di quello che stiamo provando, ma
quando ragioniamo su qualcosa lo facciamo verbalmente anche senza la produzione orale delle parole.
Sicuramente in contatto con l’area di Wernicke c’è anche la via ventrale visiva, la via del che cosa ed è proprio
questa che ci permette il riconoscimento delle parole scritte.

CORTECCIA PREFRONTALE

La seconda corteccia associativa è la corteccia prefrontale.


Qui le azioni sono fondamentalmente di pianificare gli atti
motori complessi. Con atto motorio complesso intendiamo
una sequenza di diversi movimenti che dobbiamo
pianificare bene, con una sequenza, un ordine seriale,
come ad esempio cucinare. Nella cucina dobbiamo fare
una serie di attività in sequenza altrimenti non si raggiunge
il risultato. Oltre a questo tipo di controllo chiamato
controllo esecutivo abbiamo un controllo in parallelo. La
corteccia quindi permette di gestire attività diverse
simultaneamente. Se poi andiamo nei dettagli, si tratta
comunque di passaggi tra un’attività e l’altra molto rapidi,
quindi la vera e propria simultaneità non c’è, ma c’è la
possibilità di gestire più attività (multitasking). Per fare
questo, la specificità dell’area prefrontale è quella di essere
la sede della memoria di lavoro, cioè una memoria a breve termine, dove non vengono registrate a lungo le
informazioni che servono in un determinato momento. Le informazioni servono per sviluppare sequenze
seriali, ma vengono immediatamente perse appena passiamo al livello successivo del lavoro che stiamo
compiendo.
La sede prefrontale è stata identificata come la sede dell’elaborazione mentale del pensiero. Quindi, quando
si dice che stiamo ragionando su qualcosa, lo facciamo a livello prefrontale e in particolare identifichiamo la
maniera per raggiungere un certo scopo, un certo obbiettivo. Dal punto di vista delle associazioni che ha
l’area prefrontale sicuramente importanza fondamentale è quella che la vede impegnata nel circuito del
caudato, per cui essa prende contatto con l’area
parietale, con l’occipito-temporale, con il nucleo
caudato, per poi tornare sul talamo. In questo
circuito l’area prefrontale è fondamentale e ci
permette di programmare sequenze motorie con
uno scopo intenzionale che possano durare
anche per molti secondi. La prefrontale riceve
anche direttamente efferenze dall’area
associativa parietale e occipito-parietale.
Ricordiamo il ruolo del cervelletto che prende
connessione con la corteccia cerebrale sia
attraverso lo spino-cerebello sia attraverso il
cerebro-cerebello, in particolare il secondo che
coordina le attività sequenziali. Il cervelletto non
è da considerare soltanto come una struttura di
controllo motorio, ma ha un’importanza
fondamentale dal punto di vista cognitivo.
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All’interno della corteccia prefrontale abbiamo poi un’area che va vista come un’area di transizione, di
sovrapposizione, fra l’area premotoria e l’area prefrontale. Si tratta dell’area di Broca, un’area motoria che
controlla la fonazione, ovvero l’espressione verbale. Per fare questo è in contatto con nuclei di controllo della
respirazione e dei muscoli faringei. Per parlare dobbiamo infatti coordinare non soltanto il movimento di
lingua e delle labbra, ma anche delle corde vocali e della respirazione. Quest’area è anche la sede di
formazione mentale delle parole che si devono esprimere. Proprio per questo è in contatto con l’area di
Wernicke, con l’area motoria primaria, la prefrontale sede di produzione della fonazione e della
pianificazione. Se abbiamo una lesione specifica di quest’area, quello che si ha è che le parole non vengono
più dette in maniera compiuta, si ha la possibilità di esprimersi soltanto con monosillabi senza poter
formulare piccole frasi o parole complete. L’area di Broca sicuramente rientra nel circuito con i nuclei della
base che a loro volta hanno associazioni con tutte queste aree in cui proiettano in maniera bidirezionale con
il cervelletto. È tutto molto integrato. Nel momento in cui abbiamo deficit in uno di questi centri la
ripercussione può essere a livello della fonazione, della pianificazione. Se si sviluppano demenze, si possono
avere deficit su funzioni che non sono prettamente collegate con la lesione specifica ma che hanno un effetto
più diffuso. Ad esempio, una lesione al cervelletto potrebbe produrre afasia, incapacità di produrre la parola.

CORTECCIA LIMBICA

La corteccia limbica è parte del sistema limbico, costituito da una parte corticale e da una parte
rappresentata dai nuclei sottocorticali. La sua funzione è quella di controllare le risposte comportamentali,
in particolare collegandole alle emozioni, alla sfera affettiva e alle motivazioni. L’area limbica è l’area che ci
fornisce le spinte motivazionali a fare qualcosa, ad agire. Le azioni volontarie sono motivate e vi sono due
meccanismi che ci spingono ad agire o a non agire.

Strettamente collegata al sistema limbico, abbiamo un’area specifica, l’area per il riconoscimento dei volti
che si trova nella parte basale dell’encefalo, nelle zone più mediali. Nell’uomo, in particolare, è molto
sviluppata. Quotidianamente abbiamo a che fare con relazioni personali in grandissimo numero e diventa
quindi un’area importantissima. Se ci sono lesioni a livello di quest’area non siamo più in grado di riconoscere
i volti.

DOMINANZA EMISFERICA
A livello degli emisferi cerebrali esiste una dominanza di un emisfero rispetto all’altro. Nel 95% dei casi
abbiamo un emisfero dominante sinistro, nel 5% abbiamo una dominanza doppia o dell’emisfero destro.
Questo tipo di dominanza è già presente alla nascita, quindi il neonato nasce già con un emisfero più
sviluppato rispetto all’altro. Noi siamo fatti per utilizzare di più l’emisfero più sviluppato. “Use it, or loose it”
è il termine che meglio riassume il meccanismo di utilizzo del cervello nell’essere umano: se non utilizzo
un’area la perdo. Quando ho a disposizione due strutture, di cui una ha più sinapsi, più neuroni, quella diventa
preferenziale. Nascendo con un emisfero già più sviluppato e crescendo, queste differenze si evidenziano
maggiormente. In particolare, le aree che vengono colpite da questa dominanza sono l’area di Wernicke
particolarmente sviluppata nell’emisfero sinistro, il giro angolare, l’area di Broca e le aree del controllo
motorio fine.
Per questo, la gravità di una lesione a livello cerebrale ha ripercussioni diverse a seconda dell’emisfero che
viene colpito. Per esempio, se l’ictus colpisce un emisfero dominante nel lobo frontale avrò una ripercussione
enorme dal punto di vista del linguaggio, che non si verifica se la lesione avviene sull’emisfero non dominante.
Stessa cosa vale per il controllo motorio fine delle mani. Da considerare che la dominanza va vista per questo
tipo di funzione (linguaggio e controllo motorio fine), però per altre funzioni addirittura può essere più
dominante il controlaterale. Quindi quando parliamo di dominanza, parliamo di linguaggio e controllo
motorio fine ma non ha nulla a che fare con altre questioni come la visiva, la musica, l’arte questo tipo di
informazione ed elaborazione può essere sviluppata maggiormente nell’emisfero non dominante.

STATI DI ATTIVAZIONE CEREBRALE


Sappiamo che c’è un livello di attivazione a livello corticale che dipende dalle strutture sottocorticali, in
particolare dal tronco cerebrale.
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Questa attivazione cerebrale può avvenire tramite due meccanismi diversi:
-una stimolazione diretta sugli strati corticali (questo è un sistema maggiormente diffuso rispetto al secondo);
-tramite il sistema neuroendocrino, in cui possiamo avere attivazioni piuttosto diffuse.
Il tutto è dato dal fatto che la stimolazione diretta passa a proiezioni sul talamo aspecifico che abbiamo visto
in precedenza. Per quanto riguarda il primo meccanismo, l’area importante deputata a determinare il livello
di eccitabilità corticale è l’area reticolare eccitatoria (una volta veniva chiamata formazione reticolare
ascendente ma questo termine è ormai in disuso perché la proiezione non è solo ascendente, ma anche
discendente). Oltre ad avere una distribuzione verso il talamo abbiamo anche delle fibre che discendono che
sono quelle che abbiamo visto nel discorso che abbiamo fatto sul tono posturale (i nuclei reticolari sono
principalmente coinvolti e in particolare a livello pontino abbiamo questa eccitabilità che aumenta il tono
posturale). Da questa zona possiamo avere anche connessioni con il talamo aspecifico (nuclei intralaminari e
reticolari superficiali del talamo) sia anche direttamente alla corteccia. Quello che si viene a creare è un
circuito riverberante, ossia abbiamo proiezioni dall’area eccitatoria reticolare verso l’alto sulla corteccia che
a sua volta manda proiezioni di rientro all’interno di quest’area. Si viene a creare un loop continuo
riverberante che tende ad auto-mantenere uno stato di eccitabilità corticale. Questo significa che ogni volta
che abbiamo un’attivazione della corteccia questo va ad alimentare ulteriormente questo circolo, quindi per
esempio abbiamo un livello di eccitabilità più alto quando stiamo ragionando. La connessione con il talamo
è data da delle cellule piccole che troviamo nella formazione reticolare e quello che possiamo avere è la
liberazione di acetilcolina da parte di cellule grandi della formazione reticolare. Nel caso della liberazione di
acetilcolina questa viene degradata rapidamente dalla colinesterasi, processo che avviene nella giunzione
neuromuscolare, con un effetto che dura pochi secondi (attivazione rapida, immediata ma poco duratura).
Un secondo meccanismo è quello che si ha con il sistema neuroendocrino e neurormonale con un effetto più
lungo. Il livello di eccitabilità corticale diverso è dato dal tipo di stimolo che arriva alla formazione reticolare
e quindi alla corteccia e alla quantità e intensità di stimolo che arriva. Dipende quindi dal numero e dal tipo
di afferenze. Per quanto riguarda la tipologia, quelli che eccitano maggiormente la corteccia sono le afferenze
dolorifiche e dal punto di vista più globale le fibre somatosensoriali. In generale, le afferenze che arrivano dal
quinto nervo cranico, quindi dal trigemino, sono le più significative per il livello di attività che inducono. È per
questo motivo che quando una persona sviene sono utilizzati gli schiaffi sul viso: gli stimoli dal viso sono
molto più attivanti di quelli da altre sedi.

Il processo di automantenimento che abbiamo analizzato fra la formazione reticolare e la corteccia, non è
però il solo ad esistere, ma ne è presente uno anche fra il talamo e la corteccia; nel caso del talamo è un
automantenimento di circuiti riverberanti su aree specifiche, a seconda dei nuclei talamici e delle aree
considerate. Questo sistema è alla base della memorizzazione a lungo termine. Ripetere continuamente
tramite questo circuito un certo segnale in una certa via specifica va a determinare un rinforzo delle sinapsi,
continuare a ripetere dei segnali di input di un circuito significa aumentare la forza sinaptica, quindi rendere
le sinapsi più forti. Questo è il meccanismo che porta da processi che sono soltanto chimici a un processo
strutturale che necessita di molte più ripetizioni e rievocazioni di memoria precedente.

Quando parliamo di memoria parliamo sia di deposito di tracce mnesiche, quindi di nuove informazioni, ma
anche di un processo di rievocazione delle tracce che abbiamo già depositato in situazioni diverse. È possibile
avere un deficit comunque sia da una parte che dall’altra.

Oltre al sistema attivante abbiamo la presenza di un’area reticolare inibitoria. Si trova a livello bulbare e non
più pontino. Anche qui abbiamo un’azione discendente sul tono posturale come anche un sistema
ascendente che si porta verso l’alto. In questo caso quello che fa questa area inibitoria è di aumentare
l’attività dei neuroni serotoninergici dei nuclei del rafe. La serotonina che viene liberata dai neuroni dei nuclei
del rafe è inibitoria e questa area inibitoria va a facilitare questo circuito. Il secondo meccanismo invece di
stimolazione diretta è l’utilizzo di un sistema neurormonale specifico su alcune aree. All’interno di questo
controllo troviamo 4 sistemi ormonali:
1. A partenza dal locus ceruleus: sfrutta la noradrenalina, abbiamo fibre eccitatorie che si diffondono
abbastanza in maniera diffusa in tutto l’encefalo, tranne che con un effetto inibitorio in alcune aree.

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2. Sostanza nera: liberazione di dopamina con un’azione eccitatoria soltanto in alcune aree e non con
effetto diffuso
3. Nuclei del rafe: producono e liberano la serotonina (azione inibitoria) ed è importante anche per
l’induzione del sonno. L’altro effetto importante che possono avere i nuclei del rafe è l’Effetto
discendente a livello dei cordoni posteriori del midollo spinale: la liberazione di serotonina va a
modulare le afferenze dolorifiche per cui c’è un’inibizione, riduzione, dell’intensità del dolore
percepito.
4. Neuroni gigantocellulari della formazione reticolare: abbiamo a che fare con un sistema
neurormonale. L’acetilcolina viene liberata in modo più diffuso verso il talamo ma ha anche un’azione
più diffusa, eccitatoria.

SISTEMI MOTIVAZIONALI
I sistemi motivazionali ci permettono di capire quali sono le basi neurali che spiegano il che cosa ci spinge ad
agire in un certo modo. Le spinte motivazionali si generano all’interno del sistema limbico, una serie di
strutture corticali e sottocorticali che attorniano il tronco encefalico. Si tratta di un sistema molto complesso,
costituito da tantissime strutture rappresentate sia dai nuclei (in particolare quelli dell’ippocampo e
dell’ipotalamo) sia dalla corteccia limbica (denominata anche anello corticale).

Il sistema limbico non si occupa solo di quella che è la spinta motivazionale, ma anche della regolazione del
tono affettivo (ossia le emozioni). L’ipotalamo rappresenta la struttura centrale di questo sistema, un vero e
proprio ganglio cefalico che gestisce il sistema nervoso autonomo e che grazie alle numerose
interconnessioni ci permette di correlare la sfera affettiva con quella somatica. Da questa stretta correlazione
nasce il termine psicosomatico, termina che indica come situazioni prettamente legate alle emozioni si
riflettano a livello corporeo. Un esempio di questa stretta correlazione sono le situazioni in cui si sviluppa una
sensazione di ansia, accompagnata da paura, e palpitazioni, stato dovuto ad un’attivazione simpatica: a livello
cardiaco aumenta la frequenza, si può avere la sensazione di non riuscire a respirare.

L’ipotalamo comunica bidirezionalmente con il tronco encefalico e con il fascicolo longitudinale mediale
(anch’esso bidirezionale). L’ipotalamo è costituito da diversi nuclei ognuno dei quali è responsabile di una
delle sue funzioni. Ma quali sono queste funzioni? Sono di vario tipo:
 regolazione della temperatura corporea ad opera dell’area sopraottica. Il sangue arriva in questa
area dove sono presenti recettori che vanno a determinare una termoregolazione nel caso in cui la
temperatura sia lontana dal set point;
 regolazione del bilancio idrico grazie alla presenza nell’ipotalamo laterale del centro della sete. Se
l’omoregolarità del liquido non rientra nei parametri si genera una sensazione di sete. Nel momento
in cui l’osmolarità sale il nucleo sopraottico percepisce questa variazione e attraverso manda fibre
che arrivano all’ipofisi posteriore che rilascia un ormone, la vasopressina (ADH) che riduce la diuresi
a livello renale. Questo permette all’organismo di mantenersi più liquido grazie alla minor quantità
di liquido che viene secreto con l’urina;
 regolazione della contrattilità uterina e dell’emissione del latte a livello delle ghiandole mammarie,
grazie all’ormone ossitocina che aumenta queste due caratteristiche nella fase del parto e nella
successiva gestazione;
 regolazione nutrizionale, dovuta a due aree importantissime che vanno a determinare in modo netto
il comportamento dell’individuo e che sono legate alla sensazione di fame e di sazietà. Nell’area
ipotalamica laterale troviamo una zona che ci fornisce il senso di fame che è il nucleo ventromediale,
e abbiamo poi il centro della sazietà. Qui chiaramente il fatto di percepire fame o sazietà ci dà poi
delle risposte diverse. Per quanto riguarda questo aspetto abbiamo anche i corpi mamillari che sono
inseriti all’interno di attività riflesse legate alla nutrizione (bagnarsi le labbra, la deglutizione).
 regolazione dell’ipotalamo sull’ipofisi anteriore, argomento che verrà trattato nel corso di
neurofisiologia.

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Vediamo due aspetti specifici delle funzioni comportamentali regolate dal sistema limbico.
Dal punto di vista filogenetico un aspetto importantissimo con ripercussione a livello comportamentale è la
sensazione di fame e di sete. In questo caso si ha un’attivazione globale dell’attività cerebrale che può
sfociare verso una reazione anche massiccia da parte dell’ipotalamo (fight or flight) con note anche
aggressive dovute a queste sensazioni. Al contrario, quando l’individuo ha una percezione di sazietà tutto il
sistema diventa più quieto, rilassato, e si ha una fase di rilassamento che ha anche l’aspetto di favorire la
digestione (sistema parasimpatico).

Fra le condizioni emozionali abbiamo anche la paura e la sottomissione. Non sono ancora state individuate
le aree specifiche che generano queste due sensazioni, ma si sa che sono dovute a una stimolazione
dell’ipotalamo. Inoltre, esso è strettamente connesso anche a tutta la sfera relativa agli impulsi sessuali.

La cosa importante è che il sistema limbico è deputato ad associare ad alcune esperienze sensoriali delle
connotazioni diverse, dei toni affettivi diversi. A seconda del tipo di esperienza considerata avremmo un
senso di gradevolezza, sgradevolezza, di piacere o dispiace in associazione ad essa. Sostanzialmente,
l’esperienza di un qualsiasi evento può associarsi strettamente a un’emozione con diversi gradi di intensità.
Ovviamente, questa associazione binaria è anche fortemente associata alla memorizzazione.

Ci sono fondamentalmente due centri, due sistemi, uno deputato a quello che viene chiamato la
gratificazione rispetto a qualcosa, mentre l’altro è detto centro di punizione associato alla rabbia. Per quanto
riguarda i centri della gratificazione si trovano nei nuclei ipotalamici laterali e ventromediali e c’è anche un
contributo dell’amigdala e di altre strutture. Per quanto riguarda i centri di punizione legati anche all’impulso
della fuga, le zone che vengono coinvolte sono la sostanza grigia periacqueduttale nel mesencefalo e aree
dell’ipotalamo periventricolari, amigdala e talamo. Da sottolineare che nei momenti in cui abbiamo
un’attivazione dei centri di punizione (avversione, paura, rabbia) questi vanno ad inibire completamente i
centri di gratificazione. C’è un’attivazione maggiore rispetto all’avversione verso qualcosa piuttosto che al
gradimento. Quindi questi effetti sono utilizzati anche per decifrare meglio come viene l’apprendimento da
parte degli individui, nel senso che se impariamo qualcosa dal punto di vista dell’avversione verso qualcosa
(esperienza negativa) questa dal punto di vista dell’apprendimento è molto più importante rispetto alle
esperienze legate al piacere. Ha quindi molto più effetto sulla plasticità qualcosa di negativo rispetto a
qualcosa legato al piacere.

Qualsiasi azione dell’uomo può essere correlata a sensazioni più o meno intense ed è il motivo per cui si
continua in un comportamento che porta a piacere mentre si cerca di evitare il dispiacere. Questo è
importante anche dal punto di vista dell’apprendimento. Noi fondamentalmente il 99% delle esperienze che
facciamo quotidianamente non le memorizziamo perché non c’è un’associazione precisa con una sensazione
di elevato piacere o dolore. Quando abbiamo un livello elevato di queste due condizioni allora lo associamo
all’evento e questo viene trattenuto all’interno della memoria, se no diviene abitudine, non vengono più
create tracce mnesiche ulteriori. In particolare dal punto di vista della salienza, del significato e
dell’importanza che possono avere alcune esperienze rispetto ad altre viene coinvolto l’ippocampo, una
struttura corticale nominata quando abbiamo parlato degli effetti dell’esercizio fisico (neurogenesi
dell’adulto) per cui quando aumenta il flusso cerebrale ho anche un aumento di neuroni nell’ippocampo i
quali devono essere mantenuti. Questa struttura, partendo dalla possibilità di generare nuovi neuroni, è una
struttura fondamentale per la produzione e il mantenimento di nuove tracce mnesiche. Dal momento in cui
ha questo ruolo esso stabilisce quali informazioni siano da memorizzare oppure no. Determina la transizione
da una memoria a breve termine a lungo termine e questo lo fa per le informazioni che gli vengono dal
sistema limbico a livello di piacere e gratificazione o dolore.

IL SONNO
Sempre riguardo allo stato di attivazione cerebrale una condizione importantissima è quella legata al sonno.
Il sonno può essere definito come uno stato di incoscienza che però è reversibile (il soggetto può essere
risvegliato a differenza del coma). Abbiamo due tipi di sonno, quello a onde lente (Non REM) e REM (che sta
per rapid eyes moviment) quindi un sonno a cui sono associati rapidi movimenti dei globi oculari. Il sonno a

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onde lente rappresenta la parte preponderante del sonno (75%) mentre il REM copre il 25% della durata del
sonno. Il sonno REM va a intervallare il sonno a onde lente ogni circa 90 minuti per circa 20-30 minuti. La
frequenza con cui il sonno REM intervalla il sonno non REM aumentano man mano che ci portiamo verso il
mattino. Di solito il risveglio avviene durante la fase REM. Questo tipo di sonno è meno riposante.

Ci sono gradi diversi, stati diversi del sonno. Il sonno a onde lente permette di raggiungere lo stadio più
profondo (il quarto stadio del sonno), il sonno REM è più superficiale ed è chiamato anche sonno attivo,
sonno paradosso, sonno desincronizzato. È chiamato sonno attivo perché è legato ai sogni e in questa fase
quello che si è visto con l’encefalogramma è che il cervello è assolutamente attivo (attivazione del 20-30%) e
in base anche alle onde cerebrali che si vanno a creare possiamo vedere come siano simili queste onde
rispetto allo stato di veglia ma non sufficienti a risvegliare il soggetto. Oltre ai sogni si ha un’ipotonia
muscolare (riduzione del tono muscolare fino ad azzerarsi), anche se si possono comunque avere contrazioni
molto brusche. Le contrazioni agiscono anche a livello dei bulbi oculari, abbiamo rapidi movimenti continui.
Altra peculiarità è che la frequenza respiratoria diventa molto irregolare.

I vari stadi del sonno e poi i vari stadi di profondità si raggiungono in modo consecutivo, per poi tornare
indietro. Ad ognuno di questi stadi sono associate onde cerebrali diverse. Quando arriviamo al 4° stadio di
sonno siamo in uno stato di sonno molto profondo (a 1 ora, 1 ora e mezza da quando ci siamo coricati).
Dopodiché anche il sonno non REM ha uno stadio un po’ più elevato di attivazione. In questa fase abbiamo
lo stadio maggiore dal punto di vista riposante con associata una riduzione del tono vascolare (pressione
arteriosa cala, anche 20-30 mm di mercurio), una riduzione delle funzioni vegetative e metaboliche (il
metabolismo basale si abbassa). Non è corretto che i sogni appartengono solo alla fase REM, ci possono
essere sogni anche in questa fase, ma non associati a tono muscolare e la curiosità è il fatto che non vengono
ricordati. I sogni che ricordiamo sono quelli della fase rem. Al massimo possiamo avere veri e propri incubi
che sono associati al sonno NON REM.

Quali sono i meccanismi che inducono il sonno? I meccanismi avvengono grazie alla presenza dei cosiddetti
centri del sonno nel tronco encefalico che vanno ad inibire tutte le aree cerebrali. I primi studiati sono i nuclei
del rafe che hanno connessioni sulla formazione reticolare, talamo, ipotalamo, corteccia, corteccia limbica
che vanno ad inibire grazie alla serotonina. Hanno anche un’azione discendente sulle corna dorsali del
midollo sempre con l’inibizione delle afferenze sensoriali relative al dolore (se mi addormento sento meno
dolore).

L’altro centro del sonno è rappresentato dal nucleo del tratto solitario dove abbiamo afferenze sensoriali
viscerali che derivano dal nervo vago e nervo glossofaringeo fino al nucleo del tratto solitario. Le afferenze
che provengono dal tratto gastrointestinale determinano uno stato di induzione al sonno. Viene coinvolto
anche l’ipotalamo in particolare l’area soprachiasmatica. Su questo sistema non conosciamo bene il
meccanismo, mentre l’ipotalamo darebbe inibizione sulla formazione reticolare ascendente/eccitatoria, in
particolare l’area soprachiasmatica che è coinvolta nel ritmo circadiano e nella loro regolazione. In base al
contatto con il sistema visivo forniscono informazioni visive direttamente all’area soprachiasmatica quindi in
base alla presenza o meno della luce solare abbiamo l’induzione del sonno.

Esistono tuttavia moltissime ipotesi che spieghino il perché ad un certo punto vi sia la necessità di dormire.
Alcuni studi scrivono di un accumulo progressivo di alcune sostanze dette ipnogene. Durante le ore di veglia
vigilanza giornaliera si cominciano a produrre queste sostanze che si accumulano nel tronco encefalico e nel
liquido cerebrospinale. Una di queste sostanze è stata identificata e denominata muramilpeptide, mentre
dell’altro, il norapeptide, non è ancora stato ben caratterizzato dal punto di vista molecolare. L’altra teoria
prevede invece un sistema di affaticamento del sistema reticolare attivato. Nel momento in cui il sistema
reticolare attivante viene attivato si viene a creare questo circolo continuo fra corteccia e formazione
reticolare che si automantiene e mantiene il livello di vigilanza (feedback positivo che va ad autoalimentarsi).
Questo è vero per tutta la giornata quando continuiamo a fare attività, però ad un certo punto subentra un
affaticamento di questo sistema per cui a quel punto sono i centri del sonno che prendono il sopravvento
sulla formazione reticolare attivante.

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Altri meccanismi che riguardano il ciclo sonno-veglia sono stati studiati e riportati nell’ipotalamo dove ci sono
alcuni neuroni che producono ipocretina, che è una sostanza eccitatoria, e che sono attivi durante la veglia
e inattivati nel sonno. La mancanza congenita di questi neuroni, oppure una lesione, può portare alla
narcolessia (condizione di addormentamento immediato che si ha nel momento in cui questo sistema
eccitatorio non è presente) e cataplessia (riduzione del tono muscolare). Per quanto riguarda i meccanismi
relativi al sonno REM questo sarebbe dovuto alla liberazione di acetilcolina in modo diffuso dai neuroni
magnicellulari della formazione reticolare. Questi vanno a determinare quell’aumento dell’attività cerebrale
tipica del sonno REM ma non in quantità sufficienti a risvegliare il soggetto. Potrebbe esserci anche
l’intervento del lobus ceruleus con la produzione di noradrenalina durante il sonno la (attivazioni cicliche).

Quali sono le funzioni del sonno? Il sonno è senza dubbio importante da un punto di vista filogenetico poiché
si è conservato nell’evoluzione. Le funzioni sono molte, come riposare, riportare l’attività dei centri corticali
che sono stati utilizzati durante la giornata ad una situazione di norma, di equilibrio rispetto agli altri centri.
Questo riequilibrio evita l’induzione del torpore mentale che si ha a seguito di molte ore di veglia il quale può
associarsi a un’irritabilità fino ad arrivare a casi di deprivazione del sonno che inducono stati psicotici. L’altra
funzione è quella di eliminazione di prodotti del metabolismo generati dall’attività neurale (delle strutture
corticali). È importante sicuramente per la maturazione neuronale nell’infanzia. Pare che ci sia un ruolo
specifico del sonno nella maturazione del sistema nervoso centrale (ecco perché i bambini devono dormire
molto). Pare ci sia un ruolo da parte del sonno nell’apprendimento e nella memoria. Noi abbiamo tantissimi
stimoli sensoriali durante la giornata, alcune vengono memorizzate in una memoria di tipo breve, di termine
intermedio. Il sonno praticamente seleziona in mezzo a questo rumore di fondo di tantissime informazioni
quotidiane quelle salienti che hanno un significato particolare consolidando tracce mnesiche specifiche che
sonno successe durante la giornata e che hanno una salienza maggiore. Il sonno quindi porterebbe a un
consolidamento della memoria.

Grazie a elettrodi posizionati sullo scalpo è possibile avere il cosiddetto encefalogramma che ha permesso di
capire che nel cervello c’è sempre attività; la corteccia ha un’attività elettrica continua, attivazioni, scariche
di tutto l’encefalo. Le EG ci permettono di registrare delle onde continue cerebrali che sono date dalla scarica
simultanea contemporanea di milioni di neuroni. È una scarica simultanea, cioè i neuroni continuano a
lavorare ma se alcuni gruppi non sono sincronizzati fra di loro vanno ad annullare il lavoro degli altri. Queste
onde cambiano sia per frequenza che per ampiezza a seconda dello stato di attivazione e di eccitazione
cerebrale. Le variazioni possono variare da 0 a 200 hertz ma nell’uomo si arriva a 80 hertz, difficile di più. La
frequenza varia da 1 a 50 ma anche a 80 hertz. Mentre l’ampiezza da 0 a 50 microvolt. All’interno delle onde
cerebrali possiamo identificare quattro ritmi cerebrali diversi che sono stati denominati alfa, beta, delta e
teta.
Vediamo alcuni dettagli rispetto a questi ritmi.
1. RITMO ALFA: si tratta di onde che hanno una
frequenza intorno agli 8-13 hertz, ampiezza 50
microvolt. Sono le onde che troviamo quando
siamo svegli, vigili, ma in una situazione rilassata.
Nel momento in cui passiamo al ritmo successivo,
attivando maggiormente la corteccia con qualche
compito cognitivo immediatamente si passa ad un
altro ritmo.
2. RITMO BETA: è molto più ridotto dal punto di vista
dell’ampiezza (pochi micron) e non ha una
frequenza netta come quella del ritmo alfa. I
neuroni non sono sincronizzati fra di loro, ci sono
molte attivazioni, quindi si desincronizza il
tracciato. Pare che questa sincronizzazione del ritmo alfa sia dovuta all’azione del talamo e della
formazione reticolare ascendente che determina l’eccitazione dell’attività cerebrale. Questi sistemi

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insieme mandano impulsi con una certa frequenza (massimo di 13 hertz). Nel momento in cui non
utilizziamo tanto la corteccia per funzioni particolari che questo tipo di ritmo prende sopravvento
perché il talamo manda le sue afferenze verso la corteccia. Questo tipo di ritmo è quello che si vede
durante il sonno rem, e che assomiglia a quello che abbiamo quando durante il giorno stiamo
pensando in maniera concentrata a qualcosa.
Qui è possibile vedere anche quello che succede nel momento in cui si fanno aprire o chiudere gli
occhi. Quando gli occhi sono chiusi e non siamo ancora addormentati abbiamo il ritmo alfa. Quando
apriamo gli occhi subito il ritmo beta.

Nel momento in cui subentra il sonno non rem


abbiamo lo stadio 1 dove il voltaggio si riduce
moltissimo, qui non c’è un ritmo che va ad
indentificare questo stadio. Procedendo più in
profondità, allo stadio due e tre, subentrano le
onde TETA (30 microvolt con frequenze tra i 4 e i 7
hertz, si riducono ulteriormente) per poi passare
all’ultimo stadio, quello del sonno a onde lente in
cui subentrano le onde delta, che sono molto
ampie, con frequenza inferiore a 3 hertz, che ci
dicono che il sistema è arrivato allo stadio più
profondo del sonno. Qui probabilmente sono
centri corticali che fanno subentrare questo ritmo
molto lento (si vede nei bambini e in alcune
demenze).

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