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BERGSON.

Così rimanemmo fermi per un


attimo che intesi scricchiolare,
tanto era pieno di tempo.
Marco Lodoli

Non si tratta di analizzare la controversia tra Bergson e Einstein, ma di evidenziare


meglio alcuni lati del suo pensiero. In particolare, non si nasconderà la paradossalità
di un esercizio che deve essere considerato non «per quello che dice, ma per quello
che fa», e che B. stesso specifica, parodiando Spinoza ne L’intuition philosophique,
come un invito a guardare le cose «sub specie durationis»1. Comunque, già il titolo di
quest’opera fa pensare che durata e simultaneità non siano esattamente la stessa cosa.
Siccome si tratta di un libro dal destino controverso, occorre fare un po’ di storia della
filosofia.
B. pubblica DS nel 1922, opera nella quale espone e commenta la teoria della
relatività, lodandola sostanzialmente, ma anche esponendo delle riserve: la teoria
della relatività non escluderebbe il tempo unico ed universale del senso comune,
piuttosto lo presupporrebbe e confermerebbe. Il 6 aprile dello stesso anno, B. incontra
Einstein alla Société Française de Philosophie. B. parla a lungo, espone il suo punto
di vista. Einstein risponde: «tutto questo è molto interessante, ma che ce ne importa?
Tu fai il filosofo ed io lo scienziato. Il tempo del filosofo è un tempo psicologico,
quello dello scienziato no». Dopo una serie di polemiche con altri scienziati, B.

1
PM, p. 142.
2

decide di lasciar cadere la questione a causa  dirà  delle sue scarse conoscenze
matematiche. E infatti non raccoglierà questo lavoro nella raccolta delle sue opere
complete. Quindi una situazione di imbarazzo.
In realtà l’imbarazzo non dipende dalle cantonate che B. può aver preso o
meno, bensì dal fatto che egli, nel voler fare chiarezza confrontandosi con uno
scienziato, quindi nel ridire quello che ha sempre detto, di fatto si esprime in modo
diverso, voglio dire che afferma cose che sembrano in contrasto con quanto detto
altrove.
1. Nel II cap. del Saggio, dopo aver definito la durata come molteplicità
qualitativa in successione, denuncia il presente come un elemento spaziale che,
una volta attribuito al tempo, finisce con l’inficiarne proprio la specificità.
L’idea della totalizzazione della durata nel presente, quasi fosse un piano sul
quale raccogliere dei punti omogenei, è proprio quanto viene escluso. Tempo
spazializzato: ritaglio un segmento della durata; lo suddivido in termini
omogenei, che si differenziano solo per la diversa posizione occupata; li
raccolgo in un unico spazio, reale o ideale. L’astrazione spazializzante divide,
ma solo per sommare, per raccogliere in una rap-presentazione, nel presente,
ossia in una visione sincronica e simultanea. È la mente di Dio che contiene in
un eterno presente la totalità della storia e dei tempi, e che nell’ottica
secolarizzata della modernità diventa la scrittura scientifica, la quale raffigura,
su un foglio di carta, la totalità dell’universo in un’immagine schematica2.
2. In MM l’istante è concepito come una contrazione della durata, che a sua volta
ha ancora un minimo di durata.
3. In IM e nell’EC, si parla apertamente di pluralità di durate e di comunicazione
tra durate. Insomma non si parla mai di un tempo unico ed universale.

Teoria della relatività.

2
DS, p. 55.
3

La pietra dello scandalo è legata alla famosa affermazione secondo la quale


«due eventi che sono simultanei in un sistema di coordinate, possono non esserlo in
un altro sistema di coordinate»3, e che insomma

ogni corpo di riferimento (sistema di coordinate) ha il suo proprio tempo


particolare: un’attribuzione di tempo è fornita di significato solo quando
ci venga detto a quale corpo di riferimento tale attribuzione si riferisce4.

Tale affermazione veniva suffragata dai noti esempi dei due colpi di fulmine
che sono simultanei rispetto ad un osservatore sulla banchina di una stazione
ferroviaria, ma successivi rispetto ad un osservatore situato in un treno in corsa, o di
un segnale luminoso lanciato dal centro di una stanza in movimento. L’osservatore
posto all’interno della stanza osserverà che il segnale luminoso raggiunge
simultaneamente le pareti, che sono poste a uguale distanza dal centro di
propagazione. L’osservatore esterno, al contrario, osserverà che

una delle pareti s’allontana davanti al raggio luminoso, mentre la parte


opposta gli viene incontro e perciò la prima riceverà il segnale luminoso
un po’ dopo la seconda5.

Argomentazione di Bergson.

Primo passo. Consiste nel ristabilire, dietro un’apparente “rottura


epistemologica”, la continuità tra teoria della relatività e fisica classica. Nella fisica
newtoniana c’è quiete e movimento assoluto. Nella fisica di Einstein non c’è più un
sistema privilegiato, ma tutti si equivalgono. Ora, se tutti i sistemi si equivalgono,
non c’è ragione di pensare che gli osservatori situati in SC differenti non
3
Einstein - Infeld, L’evoluzione della fisica, Boringhieri, Torino 1965, p. 189.
4
Einstein, Relatività: esposizione divulgativa, Boringhieri, Torino 1967, p. 62.
5
Einstein-Infeld, L’evoluzione della fisica, cit., p. 188.
4

sperimentino la stessa temporalità6. Questo nella teoria di Einstein non accade, perché
i SC scelti volta per volta come termini di riferimento, vengono considerati come
immobili e non come in movimento. Un osservatore che si consideri immobile
percepirà quanto si verifica nel suo SC nella forma della simultaneità, cioè:
1. compresenza degli eventi;
2. possibilità di raccoglierli in un unico criterio di misurazione.
Questo stesso osservatore vivrà gli eventi dell’altro SC, supposto in movimento,
come successivi. Basta invertire le parti perché si verifichino esperienze analoghe. La
pluralità dei tempi è insomma un effetto prospettico, e B. fa il noto esempio del
pittore7.
Il fisico si colloca al di fuori di ciò che descrive: in un luogo immobile dal
quale abbracciare con lo sguardo un sistema in movimento. In questo contesto, solo il
fisico immobile è concepito come cosciente ed osservante, mentre l’altro è solo
osservato, cioè è immaginato. Io attribuisco all’uomo osservato una successione di
eventi, laddove egli vive una simultaneità. La teoria di E. confermerebbe la
concezione metafisica del tempo inteso come immagine mobile dell’eternità, perché è
a partire da un punto immobile che si concepisce il movimento. In questo caso il
movimento è un caso particolare della quiete, e la successione un caso particolare
della simultaneità.
Secondo passo. Affermazione del carattere assoluto del movimento, che
significa: se io mi affanno su per una scarpata, so di muovermi non perché
commisuro il mio corpo alla superficie immobile del terreno, ma perché faccio una
sfaticata! Il movimento assoluto non è in relazione ad un sistema di riferimento
immobile, ma è tutt’uno con l’esperienza vissuta di uno sforzo. Il moto assoluto è il
movimento così come viene avvertito da chi lo effettua. Da qui l’affermazione: «non si
può parlare di una realtà che dura senza introdurvi della coscienza» 8. Quindi ritorno al
vissuto: senza una coscienza che sperimenta niente tempo, ma solo simboli disseminati
sulla carta. Coscienzialismo di B?
6
DS, p. 84.
7
DS, pp. 74-75.
8
DS, p. 45.
5

Terzo punto. Indagine sulla natura del tempo e sulla genesi dell’idea di un
tempo unico ed universale. Il tempo inteso come molteplicità qualitativa viene
definito come uno scorrere ed un passaggio che bastano a se stessi:

lo scorrere non implica una cosa che scorre e il passaggio non


presuppone degli stati attraverso i quali si passa: la cosa e lo stato non
sono che istantanee prese artificialmente sulla transizione9.

Altrove B. dice:

vi sono cambiamenti ma non vi sono, sotto il cambiamento, delle cose


che cambiano: il cambiamento non ha bisogno di un supporto. Vi sono
dei movimenti, ma non c’è un oggetto inerte, invariabile, che si muove: il
movimento non implica un mobile10.

Questa tesi stacca il tempo dal movimento inteso come una traslazione: il
divenire non è un viaggio nel quale c’è un punto di partenza, un percorso da seguire,
un traguardo. Questa è l’immagine spaziale del tempo. Il che è un modo per dire che
il tempo non passa, ma è piuttosto un continuo processo di alterazione qualitativa che
non va da nessuna parte. Deleuze approfondirà questo aspetto parlando piuttosto di
un processo di affezione, intendendo questa come il diffondersi di un movimento
espressivo su una superficie immobilizzata. La mobilità durevole coinciderebbe con
l’alterazione espressiva di un qualcosa che è immobile nel senso che non va da qui a
là. Da questo punto di vista dovremmo dire che nell’autentica durata c’è solo
simultaneità? Non è finita qui.
Come si forma l’immaginazione (perché immaginazione? Dove lo dice?) di un
tempo unico ed universale? (giacché è un’immaginazione, anche se non del tutto

9
DS, p. 40.
10
PM, p. 163.
6

fittizia). Si forma per analogia. Attribuisco alla realtà esterna la stessa mobilità che
sperimento nella mia coscienza.

Nasce l’idea di una Durata dell’universo, ossia di una coscienza


impersonale che sarebbe il trait d’union tra tutte le coscienze individuali,
così come tra queste coscienze ed il resto della natura11.

Di qui le tre definizioni di simultaneità, che si integrano ed in parte si correggono, per


non dire che si disdicono.
Prima definizione: stabilisce l’equazione simultaneità = vissuto. È la
«possibilità per due o più eventi di entrare in una percezione unica ed istantanea» 12.
Questa definizione non è del tutto soddisfacente perché tralascia il fatto che il tempo
reale, in quanto «molteplicità senza divisibilità e successione senza separazione» 13,
non conosce istanti, bensì flussi.
Di qui la seconda definizione di simultaneità: simultaneità di flussi:

chiamiamo allora simultanei due flussi esteriori che occupano la


medesima durata perché stanno l’uno e l’altro nella durata di un terzo, il
nostro: questa durata non è che la nostra quando la nostra coscienza non
considera che noi, ma essa diventa ugualmente la loro quando la nostra
attenzione abbraccia i tre flussi in un solo atto indivisibile14.

La terza definizione verte sull’atto intuitivo della coscienza. È il tema


dell’allargamento della percezione. La durata, inserita nella coscienza intuitiva, la
dilata fino quasi a sfaldarla. I flussi non entrano nella coscienza più di quanto la
coscienza non esca da sé. Non c’è più misurazione, bensì comunicazione simpatetica
di flussi, che altrove B. definisce “auscultazione spirituale”. La coscienza, insomma,

11
DS, p. 42.
12
DS, p. 42.
13
DS, p. 42.
14
DS, p. 51.
7

sperimenta la temporalità delle cose solo a condizione di essere dislocata, sbalzata


fuori di sé in virtù di quella stessa temporalità che la definisce come coscienza.

Chiamo “contemporanei” due flussi che sono per la mia coscienza


indifferentemente uno o due, che la mia coscienza percepisce insieme
come un unico scorrere se vuole produrre un atto di attenzione indiviso, e
che al contrario distingue se preferisce ripartire [partager] la sua
attenzione tra essi, facendo anche l’una e l’altra cosa ad un tempo se
decide di ripartire [partager] la sua attenzione senza tuttavia dividerla
[couper] in due. Chiamo “simultanee” due percezioni istantanee che sono
colte in un solo e medesimo atto dello spirito, l’attenzione potendo qui
ancora fare uno o due, a volontà15.

Considerazioni.

Il concetto di simultaneità qui proposto è un concetto vuoto di contenuto, nel


senso che si limita a stabilire l’immediata equazione tra simultaneità e vissuto, ma
non dice nulla circa quanto è vissuto, né offre indicazioni su quel che voglia dire
“vissuto”.
 Non si dice che la mela che si stacca dal ramo di un albero raggiungerà il suolo
nello stesso istante in cui una barca raggiungerà la riva opposta a quella da cui
è partita. Non si esclude che vi siano velocità differenti, anche se non le si
misura. Si dice solo che posso avere una visione simultanea di più eventi.
 Si dice solo che vedo delle cose, che queste cose si muovono (sono flussi,
eventi), i miei pensieri pure. Al limite, ci può essere compresenza tra stati
d’animo (interni) e flussi (esterni). Il che è ovvio: posso assistere ad una o più
scene e contemporaneamente pensare ai fatti miei. E anche qui, in alcuni

15
DS, pp. 49-50.
8

momenti posso essere più preso dai miei pensieri, o più attento a quanto vedo
etc.
 Al di là di questo non ci viene detto nulla. Resta da chiarire che cosa sia questa
corrispondenza tra stati d’animo e flussi. Che significa che «gli stati del nostro
mondo materiale sono contemporanei alla storia della nostra coscienza»16?
Jung, nella Sincronicità (1952), descriverà questo tipo di corrispondenza nei
termini di una filosofia dell’espressione.
In realtà, in altre opere ci sono dei luoghi in cui B. descrive questo tipo di
comunicazione. Tuttavia, non ce n’è neanche uno che faccia riferimento ad un tempo
unico, nonché a una forma qualsiasi di simultaneità.
Uno è il punto da cui siamo partiti, lo sforzo. B. dice che solitamente noi
guardiamo il movimento, ma non lo percepiamo17, perché in fondo non ci facciamo
caso, anche se ne parliamo. Ora, quando noi facciamo uno sforzo, avvertiamo
effettivamente un cambiamento in noi stessi e avvertiamo nello stesso tempo una
relazione tra interno ed esterno. C’è sforzo quando la continuità del mio movimento
viene in qualche modo rallentata, quando la temporalità che mi appartiene non è
pienamente confermata dal tempo del mondo.

C’è sforzo, oltre la lavoro, quando il lavoro è difficile. Ma qual è il segno


da cui si riconosce la difficoltà del lavoro? È che il lavoro “non va da
solo”, è che trova una difficoltà o incontra un ostacolo, insomma, è che
impiega più tempo del necessario per raggiungere il fine. Quando si dice
sforzo, si dice rallentamento e ritardo […]. La caratteristica dello sforzo
intellettuale deve trovarsi in questa particolare esitazione18.

Fermiamoci un attimo su questo termine: “esitazione”. In DS la realtà positiva


del tempo viene esattamente evidenziata nel «ritardo della durata sull’istantaneità»,
che «rappresenta una certa esitazione o indeterminazione inerente ad una certa parte
16
PM, p. 12.
17
PM, p. 144.
18
B., Lo sforzo intellettuale (1902), in Id., Il cervello e il pensiero, Roma 1990, p. 139.
9

delle cose che tiene sospeso a sé tutto il resto» 19. Lo specifico del tempo, che appunto
è evoluzione creatrice, è essenzialmente indeterminazione, che viene vissuta nel
ritardo e nell’esitazione. Qui si sperimenta l’impossibile totalizzazione del
dispiegamento temporale, il fatto che la durata non si raccoglie né si totalizza appunto
perché dura.

Il tempo è ciò che impedisce che tutto sia dato in un colpo solo. Ritarda,
o piuttosto è ritardo. Deve quindi essere elaborazione20.
Il tempo è questa esitazione stessa, o non è nulla21.

Rispetto al tempo misurato, la durata reale prende l’aspetto di una negazione,


di un «impedimento a vedere tutto che retrocede senza fine» 22. Da questo punto di
vista, la contemporaneità dei flussi mondani con la storia della nostra coscienza
prende la forma di una dispersione.
 I flussi non si totalizzano, non sono mai dati.
 La coscienza-flusso è a sua volta coscienza in dispersione, è uno o due, a
piacere.
L’altro luogo in cui si parla di relazione tra coscienza e durata esteriore, è un
noto passo di EC, in un contesto in cui si tratta ancora di mostrare il passaggio dal
tempo della coscienza a quello del mondo23. Il punto cruciale di tale passaggio non è
tanto la corrispondenza tra un flusso di coscienza ed un analogo fluire delle cose,
quanto la sproporzione tra il desiderio ed il tempo della sua realizzazione. È il famoso
esempio del bicchiere d’acqua zuccherata:

Se voglio prepararmi un bicchiere d’acqua zuccherata, checché faccia,


bisogna pur che aspetti che lo zucchero si sciolga […]. Il tempo che devo
19
DS, p. 63.
20
PM, p. 102.
21
PM, p. 101.
22
DS, p. 61.
23
Peraltro già in quest’opera, che precede (1907) DS, B. scrive: «il tempo astratto più o meno attribuito dalla scienza ad
un oggetto materiale o ad un sistema isolato non consiste che in un numero determinato di simultaneità o più in
generale di corrispondenze» (p. 9).
10

aspettare non è più quel tempo matematico che si applicherebbe lungo


tutta la storia del mondo materiale, quand’anche questa d’un sol tratto
fosse distesa nello spazio. Coincide con la mia impazienza, cioè con
qualche cosa della mia durata, che non si può allungare o accorciare a
piacere24.

Se non c’è intervallo tra desiderio e realizzazione, tutto è istantaneo e non c’è
durata (e neanche desiderio). Se invece “ci vuole del tempo” io avverto, nell’attesa,
una durata interiore ed una durata delle cose. C’è corrispondenza tra una durata
interiore ed una esteriore solo a condizione che questi due tempi non coincidano, solo
a condizione che vi siano qualità e quantità di successione differenti. Si potrebbe poi
capovolgere l’esempio e dire che l’attesa non è l’estensione alle cose della durata
interiore, ma che è l’esitazione delle cose ad attivare in me qualcosa come uno stato
di attesa. C’è una mobilità di fondo che attiva contemporaneamente una durata delle
cose ed un tempo vissuto, ma li attiva come differenti.
Insomma, in tutti i luoghi in cui B. parla di una comunicazione etc., egli mostra
piuttosto una non-coincidenza di tempi: attesa, esitazione, ritardo etc.
Altrove:

se, in luogo di pretendere di analizzare la durata […] ci si pone fin da


principio in essa con uno sforzo di intuizione, si ha il sentimento di una
certa tensione ben determinata, la cui determinazione medesima appare
come una scelta tra infinite durate possibili. Si colgono, allora, durate in
numero grande a piacere, tutte molto diverse l’una dall’altra25.

Ancora:

24
EC, pp. 9-10.
25
IM, p. 77.
11

L’intuizione della nostra durata, lungi dal lasciarci sospesi nel vuoto
come farebbe la pura analisi, ci pone in contatto con tutta una continuità
di durate che dobbiamo cercar di seguire sia verso il basso che verso
l’altro26.

È difficile vedere qui un unico ed universale tempo-coscienza che si mangia


tutto. La coestensività di flussi sembra piuttosto la coincidenza di differenze
temporali.

Conclusioni.

1. Il tempo non passa. Se passasse sarebbe spazio. Quindi: è tutto insieme.


2. Tuttavia c’è mobilità e cambiamento. Quindi non è tutto assieme. C’è unità
della complessità in dispersione (sarebbe il monismo sostanziale bidirezionale
e poliritmico attribuito a B.).
3. L’ipotesi del tempo unico ed universale serve a B. per mostrare che non si dà
mai  da nessuna parte ed in nessun momento  nessuna forma di simultaneità.
C’è solo mobilità, ossia oscillazione ed oscillazione di oscillazioni. La
simultaneità dei flussi non è una simultaneità, ma una relazione differenziale.
Vivere una o più durate significa scontrarsi con delle non-coincidenze, con
degli scarti e delle sproporzioni. La coestensività dei flussi con la storia della
coscienza coincide con una divaricazione dei modi temporali: la durata è
sempre in ritardo su se stessa, il che paradossalmente equivale a dire che essa è
anche sempre in anticipo su se stessa. “Passato” e “futuro” non sono origine e
destinazione, ma dicono lo scarto del Medesimo nell’oscillazione temporale:
l’impossibile totalizzazione della durata, l’impossibilità di raccoglierla in un
presente.

26
IM, p. 79.
12

4. Abbiamo visto che i flussi non entrano nella coscienza più di quanto la
coscienza non esca da se stessa. Il che vuol dire che vivo autenticamente una
durata ogni volta che sperimento tentennamento ed esitazione nelle cose, ogni
volta che i conti non tornano, che “non ci capisco niente”. Ma solo così io
constato nelle cose la stessa non-coincidenza, la stessa mobilità che c’è in me.
In altri termini, nel prolungarsi analogico nel mondo, la coscienza bergsoniana
vive un’esperienza di spaesamento: un frangersi e rifrangersi in cui non
succede nulla eppure qualcosa è già cambiato e non si torna più al punto di
partenza.
Il pensiero di B. anticipa quanto poi Freud definirà come esperienza
dell’Unheimlich, del perturbante, nella quale ciò che perturba è appunto l’Heimat, ciò
che vi è di familiare. Tema tutt’altro che assente nel pensiero di B. ed al quale egli ha
dedicato uno studio intitolato Il ricordo del presente e il falso riconoscimento (1908),
nel quale riprende lo schema dell’esperienza affrontato in MM. Ogni momento della
nostra esperienza è sottoposto alla ritmica di contrazione e distensione, dove:
 Contrazione = percezione;
 Distensione = ricordo.
Il ricordo non è percezione illanguidita, ma uno dei modi di effettuarsi della
durata. Percezione e ricordo sono irriducibili perché sono la stessa cosa: due qualità
differenti della durata. L’unità della durata – come sostenuto da Jankélévitch –
coesiste con la dualità delle direzioni.
Percezione e ricordo si producono insieme ma si biforcano. Dove si presentano
nella loro inseparabilità di unico momento dell’esperienza qualitativamente
differenziato, abbiamo l’esperienza dell’inserzione della durata (ritardo, anticipo,
esitazione etc.) nell’istante, l’esperienza paradossale e perturbante del ricordo del
presente (di questo presente). Allora viviamo come se recitassimo un copione e ci
vedessimo recitarlo. Il punto di maggiore vicinanza con il nucleo mobile delle cose e
di noi stessi è quello in cui la coscienza sperimenta nella maniera più drammatica
13

un’esperienza di denucleazione della propria identità. Esperienza che tocca il


patologico senza essere di per se stessa patologica: è solo la realtà.
Il fatto che quello che perturba Freud non sembri perturbare più di tanto B. ha a
che vedere con la storia degli effetti:
1. chiusura del pensiero di B. in un vitalismo spiritualista;
2. passione del divenire che lo avvicina a Nietzsche (è la strada battuta da
Deleuze).

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