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1.Le condizioni dell'unificazione nazionale.

Le contraddizioni dello sviluppo economico.


Negli anni successivi al 1848 anche l'Italia iniziò a svilupparsi in maniera discreta sul piano economico:
• In Lombardia le industrie tessili, meccaniche e siderurgiche si espandevano cospicuamente, e i
macchinari furono rinnovati secondo le tecnologie del tempo.
• Si svilupparono poi anche le attività bancarie.
Sebbene l'Italia stesse iniziando ad industrializzarsi, non era certo aiutata dalla dominazione austriaca, la quale:
• Applicava una chiusa politica doganale, che impediva all'economia lombarda di inserirsi al meglio, e il
mediocre potenziamento delle reti ferroviarie limitava i contatti con l'estero.
• Adottava un pesante sistema fiscale: tutte le risorse lombarde che si sarebbero potute investire venivano
utilizzate per gli interessi del governo austriaco.
Ma problemi del genere erano presenti anche nel sud Italia, dove la politica borbonica non faceva nulla per
migliorare ed investire sull'economia agraria (basti pensare che furono spesi 13 milioni di ducati per l'esercito e
solo 700 mila per opere pubbliche).
L'eccezione sabauda: una cauta politica riformatrice.
Nel regno di Sardegna invece la presenza di un governo costituzionale aveva permesso una prudente politica di
riforma. Il Piemonte si stava immettendo nei traffici commerciali grazie all'abolizione di dazi doganali e alla
costruzione di reti ferroviarie. Ci furono progressi nell'industria meccanica e nell'agricoltura. Questo dimostrava
che lo sviluppo economico e le libertà costituzionali potevano andare di pari passo e ciò aveva rafforzato le
posizioni di liberalismo moderato in tutta Italia. Il regno di Sardegna ebbe inoltre la fortuna di avere uno statista in
grado di guidare poi l'unificazione: Camillo Benso di Cavour.
Monarchia costituzionale, liberismo economico, riformismo sociale: il programma di
Cavour.
Cavour era un liberale moderato, grazie ai diversi viaggi nelle capitali europee si rese conto dell'abisso fra
l'Italia e il resto d'Europa: nel regno di Sardegna l'intera classe politica e la monarchia erano incapaci di avviare
la formazione di una moderna società industriale. Cavour si fece questa idea anche perché fu imprenditore (aveva
un'azienda agraria) e venne a contatto con tutti i problemi derivanti dall'industrializzazione. Dal '48 si avvicinò
alla politica, e la prima mossa politica significativa fu la legge Siccardi, che aboliva i privilegi ecclesiastici in
tutto il regno. Con il suo programma (monarchia costituzionale, liberismo economico e politico) Cavour riuscì ad
accattivarsi tutta la borghesia imprenditoriale italiana.
La politica concreta di Cavour in Piemonte.
Cavour era riuscito ad attirare tanti consensi grazie alla realizzazione pratica del suo programma politico in
Piemonte, infatti ora diversi intellettuali emigravano dai loro stati per andare in quello sabaudo, e si integravano
con i piemontesi, tanto da formare una classe dirigente “italiana” (nonostante si sentisse la forte influenza
piemontese). Il programma cavouriano ottenne consensi anche dal mondo democratico, tanto che diverse persone
(come Garibaldi e Daniele Manin) passarono dalle fila di Mazzini a quelle di Cavour, contribuendo alla
costruzione della Società nazionale italiana. Cavour in qualità di ministro dell'Agricoltura e delle Finanze avviò
delle importanti iniziative:
– Aprì dei trattati commerciali con Francia e Inghilterra, che permisero allo stato sabaudo di immettersi
nel mercato internazionale.
– Tentò di ridurre il deficit statale e intraprese un progetto per distribuire al meglio le terre fra la
borghesia e le classi intermedie, piuttosto che ai nobili.
La strategia politica di Cavour.
Nel 1852 Cavour strinse un'alleanza politica con la sinistra parlamentare (il cui leader era Urbano Rattazzi),
riuscendo così a guadagnarsi una solida maggioranza in parlamento. Quando poi diventò primo ministro:
1. Cercò di accelerare i tempi dell'unificazione.
Sperava in una situazione favorevole all'estero poiché il regno sabaudo non aveva le forze di agire da
solo; in Europa intanto potenze come Austria e Russia stavano crollando, mentre la Francia aspirava ad
una riconquista europea:
• Cavour fu tanto abile da riuscire a sfruttare tale situazione per costruirsi una rete di appoggi all'estero.
• La prima occasione per realizzare questo progetto si presentò con la guerra di Crimea che vedeva
contro anglo-francesi e russi. Cavour inviò delle truppe sabaude in Crimea, andando contro
un'opposizione interna che non si spiegava quali benefici sarebbero venuti da una spedizione tanto
lontana. Nonostante ciò i risultati politici emersero chiaramente.
2. Questi risultati cominciarono a vedersi nel 1856, quando a Parigi ci si riunì per discutere la pace con i
russi. Cavour riuscì ad ottenere l'attenzione di Inghilterra e Francia sulla situazione italiana che lui
presentava come focolaio di tumulti a causa dell'oppressione austriaca e borbonica. Cavour fece il
primo passo per l'alleanza con Napoleone III.
• Ma il piano cavouriano fu messo in difficoltà da un attentato nel 1858 di Felice Orsini a Napoleone
III. Cavour fu però tanto abile da sfruttare questo ostacolo per sostenere la sua tesi su un'Italia in
crisi.
• Così, sempre nel 1858, Napoleone III e Cavour si incontrarono segretamente a Plombières. Fu deciso
che la Francia sarebbe intervenuta a difesa dell'Italia SOLO in caso di attacco austriaco in
cambio di Nizza e Savoia.
I limiti dell'azione mazziniana.
Mazzini continuava con la sua attività organizzativa fondando nel 1850 il Comitato centrale democratico europeo
e il Comitato nazionale italiano, cercando così di controllare al meglio le reti dei democratici. Tuttavia non si
riusciva a realizzare nella pratica quello che si diceva in teoria, e il programma mazziniano fu ampiamente
criticato proprio per la sua incapacità di aggregare intorno al partito i ceti minori della società..
Il socialismo risorgimentale.
Tra gli oppositori di Mazzini c'erano:
– Giuseppe Ferrari che sosteneva nei suoi scritti (La federazione repubblicana e Filosofia della
rivoluzione) la necessità di consolidare l'azione rivoluzionaria italiana con quella francese e di
cercare l'unità con le masse contadine.
– Carlo Pisacane il quale riteneva che la rivoluzione italiana invece non dovesse subordinarsi a quella
francese, ma era convinto anche della debolezza della borghesia italiana. Lo scenario perfetto per
innescare una rivolta era incarnato dall'Italia meridionale oppressa dal potere borbonico.
Il fallimento della prospettiva insurrezionale.
Queste nuove correnti di pensiero si contrapponevano al gruppo mazziniano, il cui leader rimase sempre molto
lontano da posizioni così radicali. Anzi cercava di intensificare l'azione democratica anche a livello internazionale.
Ma sia democratici che socialisti organizzarono dei moti:
• Moti mazziniani: tra il 1851 e il 1855 nel Lombardo-Veneto, fallì però totalmente. Questo fece
abbandonare il partito mazziniano (Partito d'azione) da diversi iscritti che fondarono, insieme ad alcuni
liberali, la Società nazionale italiana.
• Spedizione di Pisacane: nel 1857 al sud, per infiammare il mezzogiorno. Anche questa iniziativa fu
stroncata.

2. Le guerre per l'indipendenza.


Le conseguenze degli accordi di Plombières e la seconda guerra di indipendenza.
Napoleone III tentò di defilarsi dal patto stabilito con Cavour, il quale d'altra parte stava perdendo consensi a
causa delle pesanti condizioni (cedere Savoia e Nizza) proprie dell'accordo. Nonostante ciò Cavour non si perse
d'animo e predispose un rafforzamento dell'esercito piemontese ai confini con l'Austria, la quale sentendosi
minacciata mandò un ultimatum a Vittorio Emanuele II, in cui era richiesto il disarmo delle truppe al confine.
L'ultimatum fu respinto, e il 26 aprile 1859:
• L'Austria dichiarò guerra al regno sabaudo.
• Napoleone III, vincolato dall'accordo, interviene inviando a Genova 100 mila uomini.
• L'esercito franco-piemontese riportò diverse vittorie nel lombardo (un'importante vittoria fu quella
riportata a San Martino e Solferino).
• Le popolazioni del centro Italia insorsero infervorate dalla guerra, stabilendo dei governi provvisori che
chiedevano di essere annessi al regno di Sardegna.
• A questo punto però Napoleone III ignorando le aspirazioni italiane firmò in segreto un armistizio a
Villafranca con l'Austria.
La situazione italiana era però molto complessa, infatti le diverse manifestazioni nel centro e sud Italia a favore
della monarchia sabauda impedivano di creare regni filo-francesi. Inoltre con l'armistizio di Villafranca
l'Austria cedeva la Lombardia a Napoleone II che la diede poi al regno sabaudo, e in cambio negli stati centrali
tornarono i re spodestati. La delusione fu tanto grande da far dimettere Cavour come primo ministro. Restavano
aperte però due questioni:
1. Il rientro dei sovrani negli stati italiani centrali era osteggiato dalle popolazioni.
2. Napoleone III avendo interrotto la guerra non poteva certo pretendere Nizza e Savoia.
La validità di Cavour emerse anche in questa situazione: offrì a Napoleone Nizza e Savoia in cambio degli stati
centrali dell'Italia (cosa che gli procurò dissensi da parte dei democratici). Ora lo stato sabaudo era formato da :
Piemonte, Liguria, Sardegna, Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana.
L'iniziativa democratica e popolare e la spedizione dei Mille.
La seconda guerra di indipendenza aveva acceso definitivamente gli animi dei futuri italiani avviando così il
processo di unificazione. Il governo sabaudo era però prudente poiché non voleva rischiare di rompere gli
equilibri internazionali. A sfruttare questa indecisione ci pensarono i democratici guidati da Mazzini che diedero
una spinta alla partecipazione popolare, innescando il processo di unificazione:
• Palermo 1860: scoppia una rivolta guidata da Francesco Crispi e Rosolino Pilo, il tumulto catalizzò
l'attenzione al mezzogiorno.
• Garibaldi arruola dei volontari per una spedizione al sud, ne Vittorio Emanuele II ne Cavour lo
fermarono, segretamente avevano dato il consenso anche perché lo stato sabaudo non sarebbe stato in
grado di fermarlo.
• Tra il 5 il 6 maggio Garibaldi salpò insieme a mille volontari da Quarto, sbarcando l'11 maggio a Marsala
dove si scontrarono subito con l'esercito borbonico, sconfiggendolo. Ai mille di Garibaldi si
aggiunsero molti altri giovani che vedevano in loro un esercito di liberazione.
• E così fu, poiché riuscirono a sgominare i Borbone il 6 agosto, liberando il Mezzogiorno.
• La vittoria di Garibaldi cominciava a preoccupare Cavour perché i democratici stavano riprendendo
speranze. Così intervenne insieme a Vittorio Emanuele II, scesero al sud passando per lo Stato Pontificio
e incontrarono Garibaldi a Teano. Garibaldi lasciò il potere nelle mani del re ritirandosi a Caprera.
• Dopo due plebisciti per annettere al regno di Sardegna Sud, Marche e Umbria, il 17 marzo 1861 nasce il
regno d'Italia, il cui re divenne Vittorio Emanuele II.

3. L'organizzazione e i caratteri dello stato unitario.


Una base elettorale ristretta.
Nel nuovo stato Italiano la legislazione elettorale era rimasta la stessa dello stato sabaudo, ovvero potevano
votare tutti gli uomini sopra i 25 anni, che pagavano 40 lire di tasse dirette annue e che sapessero leggere e
scrivere. La percentuale di popolazione che corrispondeva a questi parametri era del 2% (450 mila elettori su 22
milioni di cittadini). Bastava quindi qualche decina di voti per essere eletti; gli stessi elettori poi erano tutti
proprietari fondiari, ricchi imprenditori agricoli e borghesi. Per capire al meglio l'estrazione sociale della classe
dirigente basta scorrere l'elenco dei ministri dei primi tempi (vedi pagina 390 del libro). Ma lo stato non nasceva
in facili condizioni:
– Si faceva leva su una limitatissima base sociale non tenendo conto dei diritti della maggior parte della
popolazione.
– Nei primi anni del nuovo regno continuarono ad essere seguite le leggi e le procedure dello stato sabaudo,
gli stessi funzionari erano tutti piemontesi.
– Il sovrano del nuovo regno mantenne la stessa numerazione ereditaria (cioè rimase II) come se nulla
fosse cambiato dal precedente stato sabaudo.
– Anche la numerazione delle legislature rimase la stessa come se nulla fosse.
Si confermava in questo modo la continuità istituzionale.
L'egemonia del liberalismo conservatore: la Destra storica.
Allargare il suffragio a classi minori era troppo rischioso per la classe dirigente. Questa si divideva in due fazioni,
coloro che stavano seduti a destra nel parlamento erano i liberali conservatori seguaci di Cavour, chi invece
stava a sinistra apparteneva ai progressisti provenienti dai movimenti di Mazzini e Garibaldi. Alla Destra
storica (chiamata così per distinguerla dai successivi movimenti politici) venne affidato il comando dell'Italia per
il quindicennio successivo. Il compito era difficile e delicato, l'Italia infatti si presentava senza struttura
amministrativa, ordinamenti scolastici, militari e giuridici che fossero unitari. Senza poi contare le barriere fra le
varie zone italiane diversissime fra loro per usi costumi e dialetti.
La “piemontesizzazione” dell'Italia.
Davanti a questo compito gravoso si presentava un bivio:
– Accentrare tutti i poteri nelle mani del governo e allargare le leggi sabaude a tutta Italia.
– Attuare un cauto decentramento di potere (proposta del ministro degli interni Minghetti, 1860) e
prevedendo la formazione delle regioni, che sarebbero state un intermedio fra le province e lo stato.
La troppa incertezza e timore portarono ad optare per la prima scelta. Così il primo ministro Ricasoli nel 1861
estese a tutta l'Italia le leggi comunali e provinciali piemontesi, introducendo una nuova figura: il prefetto.
Il prefetto era il rappresentante dello stato per ogni provincia, e aveva pieni poteri. Ogni cosa era quindi gestita
dall'alto, e i prefetti erano per la maggior parte piemontesi. Inoltre venne allargata a tutto il regno la legge Casati,
che prevedeva quattro anni di scuola elementare, venne poi promulgato il nuovo codice civile e imposto in
tutto il regno il servizio militare obbligatorio.
La “questione meridionale”.
Tale accentramento di potere fece sì che migliaia di italiani del sud si ribellassero al governo piemontese, facendo
nascere il brigantaggio. Questo fenomeno era in realtà il sintomo di un problema ben più profondo: l'estraneità
delle masse contadine ai moti risorgimentali. Ciò aveva origine dal fatto che i programmi politici avevano
escluso del tutto le classi minori. Gli esponenti del Risorgimento (che erano perlopiù proprietari fondiari ostili alla
riforma agraria che avrebbe avvicinato le masse rurali allo stato) voltarono le spalle ai ceti minori, e i
democratici fecero altrettanto. Lo stesso esercito garibaldino aveva mostrato il proprio disinteresse per il
meridione, anzi quando i contadini si ribellarono furono fucilati. In questo contesto nacque la reazione
leggitimista, cioè propria di coloro che desideravano un ritorno al potere dei Borboni (per cui “tifava” anche lo
Stato Pontificio).
La sollevazione del Mezzogiorno rurale: il brigantaggio.
L'insieme di questi fenomeni fece nascere il BRIGANTAGGIO. Migliaia di braccianti armati di schioppo
andavano nelle città a depredare e uccidere. Il brigantaggio rappresentava perfettamente la frattura profonda
che c'era fra nord e sud, al meridione infatti lo stato era visto come nemico. E lo stato incapace di cogliere e di
occuparsi dei problemi del sud agì con la repressione militare: un corpo di spedizione guidato dal generale
Enrico Cialdini occupò il meridione reprimendo la guerriglia nel 1863 provocando migliaia di morti. Il sud era in
teoria “riappacificato”, ma il punto fondamentale che aveva scatenato questa guerriglia fu ignorato.

4. La difficile integrazione nazionale.


La necessità di creare un mercato unificato.
Il nuovo stato aveva degli obbiettivi:
• Costruire sull'intero territorio nazionale una rete ferroviaria, che arrivasse anche al sud visto che fino
al 1858 le ferrovie erano concentrate solo in Toscana Piemonte e nel Lombardo-Veneto.
• Abolire i dazi doganali di modo che i prodotti industriali del nord potessero arrivare al resto d'Italia
formando un mercato nazionale.
Però questo mercato era dominato dai prodotti del nord, e con la politica economica liberista scelta dalla Destra
storica l'esile sistema manifatturiero del sud fu messo in crisi.
La scomparsa della pluriattività contadina.
La crescita delle industrie portò alla lenta scomparsa dell'artigianato locale e del lavoro a domicilio,
sostentamento di moltissime famiglie rurali. A contrastare questa attività contadina nel settore tessile furono le
tecnologie e i bassi prezzi dei prodotti manifatturieri. Si sviluppò anche l'industria meccanica, siderurgica,
alimentare. Nonostante questa industrializzazione l'Italia rimase un paese decisamente agricolo, infatti i contadini
costituivano il 70% della popolazione; dato però da non prendere interamente alla lettera, poiché sotto la voce
“contadini” ci sono anche una serie di operai-contadini che formavano la maggior parte del meridione.
Una società rurale dominata dal bracciantato.
La distribuzione delle terre in Italia era molto squilibrata, queste erano in mano alle vecchie aristocrazie terriere e
alla nuova borghesia fondiaria che aveva investito nella terra i guadagni delle proprie attività commerciali. Chi
lavorava la terra erano però i contadini, che dunque non la possedevano, diventando così per la maggior parte
braccianti, ovvero salariati agricoli che lavorano alla giornata. I braccianti vivano in delle cascine o in dei
borghi sulle montagne, la mattina all'alba si mettevano in viaggio per raggiungere il podere in cui lavoravano. Poi
tornavano la sera tardi, o diverse volte si trattenevano lì a dormire. I braccianti se non erano stabilmente occupati
in un'azienda vivevano nel precariato senza fissa dimora, soggiornando dove trovavano occasionalmente lavoro.
La povertà della popolazione e la questione sanitaria.
La popolazione sia di campagna che di città era accomunata da una povertà considerevole, che rendeva le
condizioni di vita terribilmente precarie. Vi era un'elevata mortalità infantile e la speranza di vita non
superava i 35-40 anni. Un fattore molto importante alla base di questa drammatica situazione era la scarsa
alimentazione, del tutto squilibrata e basata su farinacei di bassa qualità e l'assenza di carne e frutta. I corpi umani
indeboliti da tale alimentazione erano decisamente più esposti alle malattie. Ad aggravare la situazione c'era una
pessima legislazione sanitaria che non dava i vaccini gratuitamente. Molte malattie inoltre si diffondevano a
causa delle disastrose condizioni igieniche.
Fra le malattie le più diffuse erano al sud la malaria, causata dal non avvenuto bonifico delle paludi, e al nord la
pellagra, causata invece dall'alimentazione che non forniva al corpo le giuste vitamine.
5. Gli squilibri finanziari.
I costi dell'unificazione.
L'unificazione italiana comportò dei costi economici smisurati. Già il regno di Sardegna aveva un bilancio statale
che includeva 120 milioni di lire di spese annue, in seguito:
– Dovette sostenere le spese della guerra del 1848, che portarono il debito a 314 mln di lire.
– La costruzione della rete ferroviaria nel 1860 e la guerra del 1859 portarono il debito a 1482 mln di lire.
– I debiti del Piemonte, con l'unificazione, si sommarono a quelli delle altre zone italiane, arrivando così ad
un debito pubblico di 2439 mln di lire.
La voragine del debito pubblico.
L'abolizione delle dogane fra i vari stati comportò un abbassamento delle entrate (da 550 mln a 457). Ora si
creava dunque un debito pubblico unitario, e questo da un lato rassicurava i creditori degli stati preunitari perché
avrebbero continuato a riscuotere i propri interessi, dall'altro creava un legame fra i creditori che portava
avanti l'unificazione reale del paese. Il censimento del 1861 decretò che su 22 milioni di abitanti il 50% del
debito pubblico veniva dal Piemonte, vero era anche che però era quest'ultimo ad essersi addossato la maggior
parte dei costi dell'unità. Tale deficit aumentò ulteriormente in seguito alle spese per le opere pubbliche
(nonostante l'Italia rimanesse arretrata rispetto al resto d'Europa).
La nuova politica fiscale.
I bilanci del 61 e 62 implicavano un ammanco di 450 milioni, tre anni dopo il debito pubblico era già cresciuto
fino a 5500 milioni e le spese degli interessi erano di 300 milioni. Lo stato riusciva a far fronte ai suoi impegni
finanziari solo con i prestiti da parte di banche e privati; ma gli impegni a cui i prestiti venivano concessi erano
sempre più pesanti e il sistema dei prestiti rischiava di mandare in bancarotta d'Italia. Dunque si optò per
aumentare le imposte:
– Fu aggiunta la tassa detta di “ricchezza mobile”, andava a colpire i redditi derivanti attività industriali e
commerciali.
– Venne introdotta la tassa sul macinato voluta dal ministro delle Finanze, che però era meno redditizia
delle imposte sui sali e tabacchi.
La tassa sul macinato però scatenò una protesta popolare perché andava a colpire proprio i contadini più poveri.

6. La questione romana.
Stato e chiesa:l'intransigenza di Pio IX.
La Destra dovette affrontare altre due questioni:
– L'annessione del Veneto, che però era stato incluso nel 1866 in una terza guerra austro-piemontese.
– L'annessione dello Stato pontificio.
Quest'ultimo era un argomento delicato; Cavour aveva affermato, tramite il principio di “libera chiesa in libero
stato” la rinuncia da parte della Chiesa al potere temporale così da potersi dedicare al solo potere spirituale. Ma il
papa Pio IX era inflessibile e non ne voleva sapere di queste trattative. Il tutto era complicato dall'opposizione
di alcuni democratici fra cui Mazzini e Garibaldi, il quale nel 1862 tentò di marciare su Roma. Questo tentativo
fu bloccato dalle truppe inviate dall'allora primo ministro Rattazzi.
La convenzione di settembre e il Sillabo.
L'Italia cercò allora di allearsi con Napoleone III, sostenitore del pontefice, e il 15 settembre 1864 (convenzione
di settembre) la Francia si impegnava a ritirare le proprie truppe da Roma entro due anni e l'Italia a non aggredire
lo Stato pontificio. Inoltre l'Italia nel 1865 spostò la capitale da Torino a Firenze. Papa Pio IX però restava sempre
sulle sue posizioni, tanto che fece pubblicare un Sillabo, una raccolta di ottanta proposizioni che la chiesa cattolica
condannava, fra cui c'erano anche la libertà di coscienza, di religione e di stampa.
La disfatta di Napoleone e la proclamazione di Roma capitale.
Garibaldi tentò ancora una marcia su Roma qualche anno più tardi, ma fu fermato anche questa volta. L'Italia
riuscì ad accedere a Roma solo dopo la sconfitta di Napoleone III da parte della Prussia a Sedan:
• Venne inviato un corpo di bersaglieri che abbatterono Porta Pia per entrare a Roma, futura capitale.
• Il governo italiano approvò in seguito una serie di norme (legge delle Guarentigie) che garantivano alla
chiesa totale libertà di culto e sovranità sul Vaticano.
• Il papa però rispose dicendo di sentirsi prigioniero nello stato italiano e vietando allora a tutti i cattolici
qualsiasi forma di partecipazione alla vita politica (non expedit).

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