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I DISCEPOLI DI CRISTO
IL MISTERO DEI DODICI APOSTOLI
Contributi alla comprensione dell’evento del Cristo – Volume X
Presentazione………………………………………………………………………………………....4
Considerazioni introduttive………………………………………………………………………..11
Il punto di svolta dell’evoluzione umana: i dodici apostoli come progenitori del nostro
Le forze dello Zodiaco e il significato dei dodici troni nel primo Goetheanum………….….63
Il rivelarsi del Tredicesimo tra i Dodici e il mistero della lavanda dei piedi…………….….76
Oggi molte persone hanno esperienze spirituali (si sente dire spesso che
queste capacità sono in aumento) per esempio a livello eterico o astrale. Ma
queste esperienze sono inutili, e non di rado perfino causa di grande confusione,
se il loro vero contesto resta celato alla persona. Qualcuno potrà per esempio
avere esperienze del mondo eterico per il fatto di immergersi nella regione delle
essenze elementari. Purtuttavia affermazioni relative al regno elementare possono
resistere al tempo, e valere davvero come oggettive, soltanto quando la persona si
eleva al di sopra di quel piano; cioè quando essa non è partecipe esclusivamente
del piano di conoscenza delle essenze elementari, ma si eleva un gradino al di
sopra a un punto di osservazione dal quale possa non soltanto descrivere la natura
del mondo elementare, ma possa conoscere il mondo elementare. E’ come un
uomo che nuota in un grosso corso d’acqua e può per questo asserire che l’acqua
è fredda e profonda. Ma è soltanto quando si solleva in’aria come un uccello che
può giudicare se si tratti di un grosso lago o magari addirittura di un mare, solo
allora può capire se e dove le acque siano delimitate dalla terraferma, in quale
continente si trovi ecc. Le proprie esperienze devono quindi essere costantemente
guardate da un punto di osservazione più alto per poter giudicare il contesto
generale, se il fine è quello di stabilire delle correlazioni vincolanti.
E’ una conquista della Scienza dello Spirito di Rudolf Steiner il fatto che
oggi sia a noi possibile trasformare le nostre esperienze, per mezzo di un pensare
chiaro e addestrato, in conoscenze conformi al vero.
Tutte quelle asserzioni che nella trattazione che segue non hanno per
contenuto gli eventi sensibili della Svolta dei tempi sono tratte dalla fonte
conoscitiva appena descritta. Esse sono pronunciate con cautela e con la
necessaria serietà e non sono in nessun caso «frutto di speculazione». Per questo
motivo appariranno più oggettive e impersonali delle altre enunciazioni. Il
motivo di ciò riposa nella suddescritta impersonalità e oggettività al di là della
Soglia. Esse sono tuttavia nozioni spirituali autentiche e indipendenti e quando
nella trattazione vengono riportate non le mie conoscenze, ma quelle di Rudolf
Steiner, in quel caso verrà fatto un esplicito riferimento.
Sollevata è la pietra -
l’umanità è risorta -
risuoni in lontananza,
e ci chiamino le stelle
(…)
Consolata, la vita avanza
Uomini 6x12=72
Donne 1x12=12
Il tema di questa analisi sarà dunque il mistero che giace alla base di dodici
particolari discepoli del Cristo, gli Apostoli.
Come vedremo più avanti, proprio volgendo lo sguardo alla cerchia dei
discepoli ci apparirà chiara la svolta che ebbe luogo con l’evento-Cristo. A
partire dal compimento storico del Mistero del Golgota inizia un’era totalmente
nuova per l’evoluzione della Terra e dell’uomo. E sebbene questo futuro sia
iniziato già al primo mattino di Pasqua della Svolta dei tempi, esso inizia in fin
dei conti anche oggi e nel futuro sempre di nuovo e in maniera unica, in ogni
istante in cui un’anima individuale, con un atto indipendente del pensiero,
diviene consapevole che il mattino di Pasqua della Svolta dei tempi sia stato la
«festa di rinnovamento del mondo», come la chiamava Novalis, cioè il giorno di
Risurrezione della propria personale natura. Anche l’Essere del Cristo sperimenta
la Risurrezione oggi e nel futuro, im maniera sempre nuova, divenendo vitale
nella coscienza di ciascun uomo come sua festa di Risurrezione.
In questo senso ciò che apparve nel mondo con l’attuarsi «storico» del
Mistero del Golgota resterà un elemento a venire anche nel futuro più lontano,
perché fintanto che l’uomo non sarà tornato ad essere un’entità perfettamente
cosmica e spirituale il Mistero del Golgota resterà per lui un enigma, la cui
soluzione tuttavia preparerà la strada alla sua evoluzione spirituale. Chi
nell’epoca del ritorno eterico del Cristo non tralascerà di lottare per la
conoscenza del Mistero del Golgota, comprendendo che così facendo non si
distoglie dal futuro per volgersi al passato, ma è invece proprio al futuro che egli
si volge, a costui risulterà più agevole influenzare in modo consapevole e
formativo la sua evoluzione animica e spirituale.
I misteri dell’uomo nuovo sono quelli della nostra entità spirituale umana
sempre perfezionantesi per mezzo dell’applicazione delle nostre forze coscienti.
Essi hanno principio all’epoca della Svolta dei tempi – e hanno principio con il
mistero dei dodici Apostoli che si dispongono intorno al Tredicesimo, nel quale
la loro molteplicità di dodici si riflette in un’unità perfetta e giunge a pieno
compimento.
Si è verificato di rado nella vita del Cristo Gesù che un Fariseo come
Nicodemo o che un Iniziato nel senso del passato come Natanaele si fosse
avvicinato al gruppo dei discepoli. E’ per questo che tali rare eccezioni vengono
poste specialmente in rilievo nei Vangeli. Occorre solo fare caso ad esse e
saperle interpretare bene. Rudolf Steiner ha indicato una situazione simile
nell’esempio di Natanaele, che il Cristo aveva visto «quando era seduto sotto il
fico»2.
2 V. per es.: Rudolf Steiner, Evoluzione dell’umanità e conoscenza del Cristo. Il Vangelo
di Giovanni. Conferenza del 20 Novembre 1907, GA 100, Ed. Antroposofica, Milano
2013.
Coloro che si unirono a Yehoshua di Nazareth erano di regola persone
semplici che praticavano professioni tradizionali, spesso artigianali. Non si creda
tuttavia che questa semplicità si riferisca ai singoli individui; essa si riferisce
soltanto al contesto sociale nel quale i discepoli si muovevano all’epoca della
loro incarnazione nella Svolta dei tempi e al quale appartenevano per nascita. Era
sicuramente vantaggioso, e perfino necessario, che i discepoli di Cristo fossero in
qualche modo semplici, che essi non fossero esattamente i rappresentanti di
un’intelligenza mondana, così come essa era dominata a un certo grado di
perfezione dai Dottori della Legge della Svolta dei tempi, e che rivelò in maniera
inclemente come i Dottori della Legge avessero perduto la relazione vivente con
il mondo spirituale. I discepoli non erano Dottori della Legge, ma persone
semplici, che si poterono aprire molto più facilmente a una nuova comprensione
e a un’interpretazione davvero vivente delle antiche Scritture e delle antiche
Leggi, quale la propose il Cristo Gesù. Perché ciò che il Cristo doveva portare al
mondo non poteva essere compreso soltanto con l’intelletto, che i Dottori della
Legge avevano indubbiamente sviluppato. Il contegno dei Dottori della Legge
della Svolta dei tempi mostra in maniera evidente come l’intelligenza condotta a
pieno sviluppo rappresenti sì una grande capacità, ma non una forma di saggezza.
L’intelligenza dei Dottori della Legge era adatta a comprendere il mondo dei
sensi e le sue manifestazioni così come tutte quelle rappresentazioni che ci si
curava di formarsi di esso. Essa suscitò il fugace fenomeno del pensiero
discorsivo, ma non era in grado di portare gli uomini alla comprensione della
realtà spirituale.
Applicata agli antichi testi occulti, questa intelligenza divenne per i Dottori
della Legge un ostacolo alla comprensione del reale Mistero che si rivelava di
fronte a loro quale disvelamento delle antiche profezie con le quali loro si
confrontavano quotidianamente.
Le piaghe del Signore, segni della vittoria sulla morte, erano realmente
presenti sul corpo del Risorto. Da esse fluiva quella forza eterica che si eleva al
di sopra di ciò che è transitorio. Esse però non erano più reali perché potevano
4 Gv 20, 25.
5 Rudolf Steiner ha messo in rilievo come l’uomo abbia sviluppato nel senso del tatto, che
apparentemente è diretto solo verso l’esterno, uno dei sensi più adatti a sperimentare il
proprio Io, e quindi a percepire la sua natura puramente spirituale. Attraverso il contatto
con il corpo spirituale (sic!) del Cristo, Tommaso toccò la propria autentica natura
umana superiore. Un processo apparentemente diretto dall’interno all’esterno divenne un
processo diretto dall’interno all’interno della superiore percezione del sé.
6 Gv 20, 29.
essere toccate da Tommaso. Gli altri discepoli avevano percepito in esse la realtà
dello Spirito immortale anche senza contatto fisico. E’ grazie a questa esperienza
che i discepoli appresero – non in forma intellettuale, ma in forma vivente,
fondata nel cuore – che quell’essere divino, che aveva sofferto morte umana ed
era risorto come essere spirituale, intatto, rivestito di una nuova corporeità,
avrebbe elevato loro stessi a una vita superiore, se si fossero sforzati di
accoglierlo in se stessi – come è alla fine avvenuto all’umanità nel primo giorno
di Pentecoste.
La rinascita immediata del Cristo nei cuori e nelle menti dei discepoli –
un’esperienza che ebbe anche Paolo, il primo degli uomini che non aveva
conosciuto il Cristo come Gesù di Nazareth e che potè creare una teoria della
conoscenza conforme a verità sulla base di questa esperienza – divenne possibile
ai discepoli grazie alla loro semplicità. Allo stesso modo va compresa la
Beatitudine: «Beati i poveri in spirito, perché erediteranno il Regno dei Cieli»8.
Questa parola del Cristo tratta dal canone delle cosiddette Beatitudini
illustra chiaramente che non esistono ostacoli di natura intellettuale a che ci si
ponga in una relazione salutare con il mondo spirituale e con la Trinità (Questo
potrà essere di consolazione a tutti coloro tra noi che hanno sempre la sensazione
di «capirci» poco). A questa relazione si riferisce l’osservazione di Rudolf
Steiner: «Ciò che conta è l’esperienza immediata, non quella che si acquisisce
per mezzo del sapere e della logica, ma appunto in maniera immediata»9. Si
potrebbe aggiungere: solo grazie all’esperienza immediata l’uomo può ritornare a
essere davvero «sapiente». La sapienza non ci è più conferita «dall’alto» – come
nei tempi antichi precristiani; oggi la si deve ottenere, ed essa può essere
ottenuta, se non si limitano i frutti dell’evoluzione della consapevolezza allo
sviluppo o, peggio ancora, all’uso esclusivo della logica. La Nuova Alleanza è
fondata sulla riconquista dell’antica sapienza per mezzo dell’esperienza del reale
e della scienza che poggia su di essa. Al pensiero «terreno» è possibile ed è
consentito soltanto contribuire con l’intelletto e la ragione in quanto elementi di
avviamento all’esperienza conoscitiva. Il cammino della sapienza del presente e
del futuro è per così dire un cammino «goethianistico».
9 Rudolf Steiner, Die okkulten Wahrheiten alter Mythen und Sagen. Conferenza del 3
Dicembre 1905, in GA 92, Dornach 1999, p. 152.
all’uomo dell’epoca, necessaria a comprendere il messaggio dell’evento-Cristo: i
dodici discepoli disponevano di un ultimo residuo della chiaroveggenza
ereditaria che un tempo era presente nei loro antenati in misura molto maggiore e
che oggi designiamo come «atavica». Il grado in cui i discepoli disponevano
dell’antica chiaroveggenza può essere difficilmente messo a confronto con quella
dei loro avi. Di fronte alla chiaroveggenza dei padri, che congiungeva questi
ultimi con il mondo spirituale come mediante un possente cordone ombelicale,
essa si presentava in loro come un filo sottile come un capello e a malapena
visibile. Questo «filo» però era perlomeno presente e non invece spezzato come
per esempio nella maggior parte dei Dottori della Legge del tempo.
E’ così che Noè udì quella voce che Rudolf Steiner, nelle sue conferenze
sul quinto Vangelo, chiamò «Bath Kol»10, e mise in pratica ciò che essa gli
comunicava tramite ispirazione. In questo modo Noè e i suoi familiari più
prossimi sopravvissero al grande diluvio. Dai tre figli di Noè, Sem, Cam e Jafet,
discesero tutte le stirpi umane che oggi popolano la Terra, benché esse siano così
diverse tra loro. I discendenti di Sem, Cam e Jafet assoggettarono la Terra e la
10 Rudolf Steiner, Il quinto Vangelo. Ricerca dalla Cronoca dell’Akasha, Conferenza del 5
Ottobre 1913, in: GA 148, Ed. Antroposofica, Milano 2010.
popolarono, dapprima stabilendosi in diverse regioni e più tardi mescolandosi tra
loro.
11 I sacrifici umani, e tra questi spesso i sacrifici di infanti, non erano il tetro «privilegio» di
antiche culture centro e sudamericane, ma facevano parte di orribili pratiche religiose
pagane di numerose tribù dal Nordeuropa attraverso Babilonia fino all’Egitto.
e che in questo modo si erano imposti come potenti autorità morali, avevano
completamente campo libero, mentre quasi nessuno cercò più di risvegliare in
modo sano il vero elemento morale nella vita dell’uomo. Vennero infine tempi
nei quali anche i cultori di idoli scomparvero, dopo aver perso la ragione a causa
dei loro oscuri culti e della loro separazione interiore ed esteriore dal mondo
spirituale luminoso. Rudolf Steiner ha descritto in un modo che suscita
impressione lo svolgersi di una scena simile nella vita di Gesù di Nazareth prima
del battesimo sul fiume Giordano, quando questi, durante il suo viaggio in
Fenicia – l’odierno Libano – si imbatté in altari pagani desolati e nelle genti che
qui si aggiravano impaurite12.
12 Rudolf Steiner, Il quinto Vangelo. Ricerca dalla Cronoca dell’Akasha, Conferenza del 5
Ottobre 1913, in: GA 148, Ed. Antroposofica, Milano 2010.
loro discendenza allo stesso progenitore Abramo, e attraverso Set ad Adamo
(Com’è noto il Vangelo di Luca riconduce la genealogia del bambin Gesù
natanico fino ad Adamo).
Tra tutte queste Tribù, ceppi e famiglie si elevò in dignità ancora una volta
un solo ramo, ovvero la stirpe di Davide della Tribù di Giuda, e da questa ancora
soltano una famiglia, dalla quale si levò infine una donna, che è chiamata la
madre di Dio, la vergine Maria. Questa partorì un figlio che era così puro nella
sua corporeità, da poter divenire il vaso che accoglie lo Spirito di Dio.
Anche solo gettando uno sguardo veloce alla genealogia della stirpe umana
a partire dalla cacciata dal Paradiso, possiamo intuire come la formazione del
«corpo fisico» del Cristo attraverso questa mutiforme umanità sia stata un
processo straordinariamente complesso. La condizione necessaria al realizzarsi
dell’incarnazione del Cristo, accanto allo sviluppo dell’autocoscienza dell’uomo,
consisteva in epoca precristiana nel mantenere puro il sangue che non si era
mescolato con popoli, tribù e stirpi, che con il loro culto pagano, che talora si
degradava in magia nera, determinarono la degenerazione del corpo fisico.
La realtà è sempre stata la stessa nel passato, nel presente e nel futuro: la
vita spirituale e la cura della vita dell’anima avevano effetti immediati sulle
condizioni dell’evoluzione fisica. La differenza è che in epoca precristiana questa
evoluzione doveva essere in un certo qual modo trasmessa ereditariamente
attraverso il sangue, ragione per cui le più sagge guide spirituali dei popoli della
Terra vegliavano su di essa e stabilivano quali famiglie potevano unirsi alle altre
e quali no. Come oggi i giardinieri riproducono le piante e innestano i germogli,
così individualità sagge ed evolute organizzavano in epoca precristiana
l’evoluzione dei popoli ad esse affidati.
Presso il popolo ebraico simili alti inviati erano individualità come Mosé,
Salomone o Davide, ma anche i profeti e, in tempi antichi, la casta sacerdotale. Il
loro compito era vegliare affinché il popolo rimanesse fedele al suo patto con il
Dio unico, non cadesse nell’idolatria e non si mescolasse con i popoli pagani. Il
popolo ebraico perseguì questo obiettivo con serietà non comune, avendo sempre
presente la gioiosa profezia che un giorno tra i suoi figli sarebbe nato il
Salvatore. Ma anche all’interno di questo popolo scelto il Messia poteva nascere
soltanto da una Tribù particolare e all’interno di questa Tribù soltanto da un
particolare stirpe.
Non ci deve quindi stupire che i dodici apostoli fossero più o meno
strettamente imparentati tra loro e addirittura con Gesù di Nazareth. Per fare un
esempio, Simon Pietro e Andrea erano fratelli. Anche i figli di Zebedeo,
Giacomo Maggiore e Giovanni, erano fratelli13 ed non erano nemmeno parenti
troppo lontani di Gesù di Nazareth. La madre dei due figli di Zebedeo era Maria
Salome, figlia di Salomone e di Sobe, che era a sua volta sorella di Anna, la
nonna di Gesù da parte di madre.
Dobbiamo poi menzionare altri tre fratelli apostoli, cioè Simone, Giuda
Taddeo e Giacomo Minore, figli della Maria di Cleofa che era figlia di Cleofa e
di Maria Eli. Maria Eli era la figlia più anziana di Anna, e quindi sorella della
Madre di Gesù. Maria Eli era all’incirca vent’anni più anziana di sua sorella, la
Madre di Gesù, così che questa e sua nipote Maria Cleofa, che stette in piedi con
lei sotto la croce del Golgota, avevano la stessa età, come anche i loro figli. Il
marito di Maria Cleofa e padre dei tre fratelli Apostoli, Alfeo, aveva avuto dal
suo primo matrimonio un figlio di nome Levi. Questo era Levi il pubblicano, il
quale divenne anch’esso uno dei Dodici, e che è meglio conosciuto con il nome
di Matteo, nome che ricevette dal Signore. Levi era dunque fratello «acquisito»
degli apostoli Simone, Taddeo e Giacomo Minore.
Anche l’apostolo Filippo era parente acquisito dei fratelli Simon Pietro e
Andrea, e allo stesso tempo parente diretto dell’apostolo Bartolomeo, che io nella
mia trattazione sull’ultima cena ho chiamato Natanaele. Bartolomeo era per così
dire il cognome di Natanaele, perché Bartolomeo rende l’ebraico «bar
ptolemais», che significa «figlio dei Tolomei». Con questo non si intendeva però
un discendente dei Tolomei egizio-alessandrini; il padre di Natanaele era invece
un abitante di origini ebraiche della città di mare fenicia Tolemaide, la futura
Acri, distante circa un giorno di cammino da Nazareth14. Natanaele
Questi sono solo alcuni esempi del fitto intreccio di parentele all’interno
della cerchia dei discepoli, e anche se non tutti loro si erano conosciuti faccia a
faccia prima della loro chiamata, essi erano uniti tra loro nel sangue. Vediamo
così come grazie alla loro parentela fisica, grazie alla trasmissione del sangue, i
discepoli nascono nell’immediata prossimità di Gesù di Nazareth. Solo così si
dava in quel tempo la possibilità di entrare tanto strettamente in contatto con
l’Evento del Cristo. Si potrebbe dire: anche se i discepoli capivano ben poco di
ciò che il Cristo rivelava loro, tuttavia disponevano di una certa base, radicata
nella consanguineità, che permise loro di stabilire una relazione con Lui, nella
misura in cui il Cristo si confidava con loro attraverso la lingua e le idee di Gesù
di Nazareth.
Un’affermazione simile, che sarà potuta apparire non solo agli uomini del
tempo, ma anche a noi oggi, come un’ingiunzione categorica, forse addirittura
come una pretesa inaccettabile, non deve essere intesa in senso morale –
dopotutto le leggi mosaiche, e così anche il comandamento di onorare il padre e
la madre, non avevano perso valore nemmeno per il Cristo. Bisogna piuttosto
Come figli del nostro tempo, come appartenenti a un’umanità nel frattempo
plasmata sin nel profondo dall’Impulso del Cristo, che sebbene non ancora del
tutto consapevole del realizzarsi della libertà del singolo per mezzo dell’Evento
del Cristo, nel modo in cui essa si percepisce vive però in essa come un fatto
naturale, possiamo oggi avere, anche con una buone dose di sensibilità e
immaginazione, soltanto una vaga idea di ciò che il Cristo esigé dai discepoli con
questo suo atto e con queste sue parole! I discepoli avevano il compito, primi tra
tutti gli uomini, di abbandonare tutto ciò che era radicato non solo nei loro corpi
eterici ma, attraverso una millenaria tradizione legata alla discendenza, anche nei
loro corpi fisici, e che in questo modo compenetrava la loro coscienza di sé
quotidiana e anche religiosa, e di assumere, per mezzo di questo abbandono,
soltanto le parole del Signore a fondamento di una nuova comprensione di sé e di
un nuovo concetto di esistenza – e cioè in modo tale che questo nuovo pensiero
non rimanesse semplicemente un’astrazione, ma divenisse la prima pietra di ogni
singola azione concreta che la vita terrena, così ricca di prove, esigeva da loro.
17 Non il Cristianesimo!
per la storia dell’uomo. Questi dodici germogli che avvolgono il fiore, queste
dodici personalità che ci potranno talora apparire straordinariamente semplici,
divennero niente di meno che i fondatori di un nuovo genere umano – e più
esattamente di un genere umano essenzialmente spirituale.
La parabola del figliol prodigo19 mostra che quel figlio dato per perso e
finito sulla cattiva strada è giunto a comprendere il padre solo perché è stato del
tutto lontano da lui e solo così egli potè comprendere autonomamente, solo così
potè giungere alla consapevolezza vitale e veritiera che avrebbe trovato la vita
solo nell’unità con il padre. Nessuno avrebbe potuto comunicargli questa
conoscenza se non l’avesse sperimentata in prima persona attraverso le
privazioni causate dalla separazione dalla sua patria spirituale20.
Sappiamo che il dono della libertà, di cui siamo debitori all’Essere del
Cristo, non sarebbe altro che Maya se non si desse la possibilità di smarrire il
sentiero – se non si desse perfino la possibilità di non voler lasciare la cattiva
strada a causa di malafede e in contrasto con la propria coscienza. Rendersi in un
certo modo immuni dalla voce interiore della coscienza è perfino una tendenza
fondamentale del nostro tempo. Ma anche se l’evoluzione che sta prendendo
attualmente l’umanità può solo portare a ridurre al silenzio questa voce, essa
tuttavia risuona in ogni uomo. Non esiste un’anima nella quale essa non risuoni.
Per questo nessuno può dirsi esente dalla colpa di non aver potuto lavorare al suo
elemento animico inferiore. Come ci si possa educare a percepire in se stessi
19 Lc 15, 11-32.
20 Cfr. Judith von Halle, L’incontrare il Cristo oggi e lo Spirito del Goetheanum,
Cambiamenti, Bologna 2012.
sempre più chiaramente la voce della coscienza – detta anche la «parola
interiore» – è stato descritto tra gli altri nel volume di Rudolf Steiner
«L’iniziazione. Come si consegue la conoscenza dei mondi superiori?».
Ci si può ora immaginare l’albero della famiglia umana, del quale abbiamo
parlato in precedenza, in modo leggermente diverso o in maniera più completa,
se consideriamo non solo il suo sviluppo precristiano, ma anche quello cristiano:
21 Traduzione del Vangelo di Giovanni, 17, 9, di Rudolf Steiner. V. per es. in: Rudolf
Steiner, Ritualtexte für die Feiern des freien christlichen Religionsunterrichts. GA 269,
Dornach 1997, p. 89.
22 Op. cit., p. 83.
sulla Terra, l’autocoscienza, portò all’uomo la morte e lo condusse là dove egli,
come «figliol prodigo», soffrì fame e privazione di tutto ciò che un tempo era per
lui nutrimento spirituale e vita. La razza umana si ramificò ampiamente, ma i
rami dell’albero disseccarono, perché esso fu sempre meno vivificato dalla linfa
vitale, dal nutrimento spirituale – finché alla fine, all’epoca della Svolta dei
tempi, su un solo sottile ramo verde sbocciò il fiore della salvezza, che gettò
nuovi semi per una nuova vita dell’antico albero.
24 V. Rudolf Steiner, La scienza occulta nelle sue linee generali, GA 13, Ed.
Antroposofica, Milano 2015.
25 Rudolf Steiner, L’iniziazione. Come si conseguono conoscenze dei mondi superiori? GA
10, Ed. Antroposofica, Milano 2016.
26 Ibid.
27 Mc 11, 23.
colui che si abbandona ad essa, disconosce la ferrea verità occulta che è alla base
di questa frase: infatti potrà giungere alla certezza del sapere solo colui che riesce
a dare per possibile ciò di cui non può essere certo. Soltanto nel momento in cui,
al mattino di Pasqua, Maria Maddalena dà per possibile la presenza vivente del
suo Signore e Maestro, solo in quel momento ella lo riconosce.
Poichè tuttavia la via retta, la via della conoscenza, è sempre in primo luogo
anche una via costellata di dolore, essa sarà sempre meno scelta di proposito. In
un futuro lontano solo un piccolo gruppo di uomini ritroverà la via dell’albero
della vita e svilupperà esso stesso i frutti di quell’albero rinnovato. L’Apocalisse
di Giovanni afferma che questo piccolo gruppo consiste di quelle anime che
saranno rivestite di bianche vesti e si saranno lavate nel sangue dell’Agnello28;
saranno queste che edificheranno e abiteranno la Nuova Gerusalemme, che
ritorneranno cioè alle radici dell’albero nel mondo spirituale, perché hanno teso
in libertà alla ricongiunzione con il Padre con l’aiuto del sacrificio del Figlio di
Dio. Il tempio che sarà eretto in questa Nuova Gerusalemme è il tempio del
corpo umano spiritualizzato; la Nuova Gerusalemme sarà invece il nuovo stadio
evolutivo planetario della Terra.
28 Cfr. Ap 7, 9-17.
Il radicale trapasso dalla vecchia alla nuova umanità si compie in maniera
stupefacente nei dodici discepoli stessi. Essi poterono ergersi intorno al
Redentore come dodici petali intorno al fiore solo perché poterono nascere nella
sua più diretta vicinanza grazie ai vecchi legami di sangue. D’altra parte però essi
compiono, durante quella vita in cui si trovano con tutta la loro natura fisica ed
ereditaria, una rottura con la vecchia concezione dell’essere umano ritenuta fino
a quell’epoca naturale. Essi divengono discepoli del Cristo e abbandonano ogni
legame carnale – e cioè non per seguire il Gesù di Nazareth che è con loro
imparentato, ma il libero spirito divino che abita in lui! Si potrebbe allora dire:
come i rami trasversali della croce tendono verso il vecchio e il nuovo mondo,
così i discepoli stanno con un piede nel passato, per il fatto che hanno la loro
origine fisica e animica nel contesto dell’Antica Alleanza, e con l’altro nel
futuro, il cui genere umano, nuovo, indipendente da legami ereditari e puramente
spirituale, essi fondano e in un primo momento rappresentano; è questo il
contesto della Nuova Alleanza. Questo miracolo della Nuova Alleanza e del
nuovo genere umano apostolico diviene possibile perché la presenza senza tempo
del Cristo pervade i suoi fondatori.
L’unione dei dodici apostoli con la singola anima che oggi si sforza di
conseguire un’evoluzione spirituale superiore è più di un’unione semplicemente
immaginaria o di una semplice analogia. Tutti noi siamo figli di questo nuovo
libero patto che il Cristo ha stretto con la sua selezionata cerchia di discepoli.
Queste personalità selezionate, che ci si fanno incontro in discepoli all’apparenza
umili, rappresentano forze animico-spirituali ben particolari, con le quali ognuno
di noi è in relazione diretta, e più in particolare già dall’inizio della sua vita
terrena, senza che si sia affatto posto con il suo Io terreno in un rapporto
consapevole con una qualche potenza spirituale. I dodici apostoli sono i
rappresentanti dello Zodiaco.
Questo significa che anche soltanto grazie alla nostra nascita terrena
veniamo collocati in una relazione profonda con almeno uno o due rappresentanti
dello Zodiaco, fatto che si imprime nei nostri elementi animici inferiori e che il
nostro Io superiore naturalmente si era posto come obiettivo nel periodo
precedente alla nostra nascita. E’ questo il motivo per cui entriamo nell’esistenza
terrena con una particolare «disposizione» spirituale. L’uomo non sarebbe
tuttavia un essere libero se non potesse influenzare, o addirittura trasformare
completamente, questa disposizione spirituale fondamentale, con la quale egli
viene al mondo, mediante un’istruzione spirituale praticata consapevolmente
durante la sua vita sulla Terra, e se non fosse capace, così facendo, di entrare in
relazione anche con le altre potenze cosmiche apostoliche.
32 ...sulle quali non devono essere date in questa sede spiegazioni più approfondite, perché
vengono date per note.
Capricorno spiritualismo: ginocchia
Al centro, sul lato lungo della tavola e nel segmento centrale dei tre che la
costituivano, prese posto il Cristo. Alla sua destra si trovava il discepolo che il
Signore amava, Giovanni, e alla sua sinistra l’apostolo Pietro. Accanto a
Giovanni, nella porzione di tavolo esterna a destra, sedeva Giacomo Maggiore,
vicino a lui sedeva Giacomo Minore, e per finire Bartolomeo e Tommaso. Vicino
a Pietro, nella porzione di tavolo di sinistra, sedeva sua fratello Andrea, accanto a
lui Taddeo, seguito da Simone e Levi (Matteo). Di fronte a Pietro, nel segmento
di tavolo di mezzo, prese posto Filippo, e di fronte a Giovanni, sempre nel
segmento mediano, sedeva – sino quasi al termine della parte della cena pasquale
rinnovata e introdotta dal Cristo – Giuda (v. Illustrazione 5, p. 48).
35 Si può senz’altro dire che i dodici Apostoli, che si riunirono in questa configurazione per
la prima volta (e per l’ultima sul piano fisico-sensibile) nella sera del Giovedì Santo,
ricevettero durante questa santa cena l’iniziazione a membri del consiglio celeste. Ciò
che essi sperimentarono – nella suddetta configurazione – non ebbe luogo solo in
preparazione dell’imminente Mistero del Golgota, ma era davvero la loro designazione a
membri del consiglio celeste, ragione per cui si può senza dubbio parlare di una speciale
«configurazione»; questa doveva essere di importanza decisiva per il futuro compito
dell’umanità.
Il corpo cosmico inizia naturalmente dal capo o dalla fronte – rappresentati
da Giovanni – e prosegue con la gola – Giacomo Maggiore – verso il basso fino
ai piedi – Pietro. Al centro siede il Cristo, che osserva il Suo corpo cosmico, non
spezzandolo, ma prendendo posto esattamente tra il capo (Giovanni) e i piedi
(Pietro). Egli siede per così dire tra il principio, il capo, e la fine, i piedi. Se con
la mente poniamo il corpo cosmico in posizione eretta, dobbiamo affermare, in
riferimento alla “posizione” dell’Io di questo corpo, cioè del Cristo: il Cristo
circonda e ricopre l’intero corpo e ne costituisce così allo stesso tempo l’Alfa e
l’Omega. Otteniamo una rappresentazione veramente pertinente della visione
dell’ultima cena se suscitiamo in noi la sensazione che questo Alfa e Omega, che
conformemente alla sua natura si pone al di fuori della realtà fondata sui dodici
principi, pervade nell’ultima cena tutti i membri del corpo cosmico dei discepoli
(v. illustrazione n.6).
Va da sé che occorra indicare in questo luogo un altro motivo, rispetto a
quello da me già segnalato in altro contesto36, per il quale il Signore costituì su
Pietro la sua Chiesa – ovvero il Suo nuovo patto spirituale con gli uomini. Come
abbiamo visto, Pietro rappresenta per così dire i piedi sui quali si erge il corpo
cosmico degli Apostoli. Anche per questo motivo Pietro fu chiamato dal Cristo
Gesù “Cefa”, in italiano “roccia”. Il corpo cosmico apostolico si erge sui piedi di
Pietro come su una roccia sicura. I piedi sono una specie di prima pietra o di
fondamento sul quale poggia l’edificio costituito dalle altre undici parti del corpo
cosmico, e al di sopra del quale esso può elevarsi.
36 Cfr. Judith von Halle, Das Abendmahl, Dornach 2008, p.82 segg.
Se ora torniamo all’immagine dello Zodiaco con le corrispondenti parti del
corpo (v. illustrazione n. 4, p. 45) e mettiamo in evidenza la collocazione del
Cristo tra il capo, cioè l’Ariete (Giovanni), e i piedi, cioè i Pesci (Pietro),
constatiamo che è necessario soltanto ruotare leggermente la fascia dello Zodiaco
per ricavare la stessa visione del corpo cosmico che cinge la tavola dell’ultima
cena. In alto al centro non poniamo più il Cancro, ma il Sole-Cristo, l’Io del
corpo cosmico, e questo viene affiancato dall’Ariete e dai Pesci (v. illustrazione
n. 9 , p. 53).
Così non deve stupire che durante l’ultima cena quattro rappresentanti della
nostra natura umana elementare presero posto a ciascuna delle tre porzioni di
tavolo, perché in fin dei conti la natura umana nella sua interezza deve essere
afferrata dalla triplicità del Pensare, Sentire e Volere. Come è noto i quattro
elementi vengono attribuiti ai dodici segni zodiacali (ne risulta in questo modo
una triplice attribuzione degli elementi). Se inseriamo nella nostra figura questi
elementi di volta in volta corrispondenti ai segni, in modo che rispettino la
correlazione con la disposizione dei discepoli intorno alla tavola dell’ultima cena,
potremo constatare che in effetti i rappresentanti dei quattro elementi compaiono
in ciascuna delle tre porzioni della tavola. Se prendiamo in considerazione a mo’
di esempio il segmento della tavola collocato alla destra del Cristo, troviamo lì
nella forma di Giacomo Maggiore il rappresentante dell’elemento Terra, per via
del fatto che egli rappresenta il segno zodiacale del Toro; Giacomo Minore, in
quanto rappresentante del segno dei Gemelli, rappresenta l’elemento Aria;
Bartolomeo, rappresentante del segno del Cancro, rappresenta l’elemento Acqua,
e Tommaso, rappresentante del segno del Leone, rappresenta l’elemento Fuoco.
La distribuzione dei posti dei dodici Apostoli, che sappiamo ora essere i
rappresentanti dello Zodiaco e dunque membri del consiglio celeste, è – non lo si
potrà mai ripetere abbastanza – espressione essoterica, esatta sin nel più piccolo
dettaglio, di nessi esoterici. Un esempio molto chiaro di questo lo offre la
posizione dei rappresentanti del consiglio celeste Giovanni e Pietro: al momento
del mistero del Golgota e del Giovedì Santo della Svolta dei tempi il sole sorgeva
nel segno dell’Ariete. Il punto dell’Ariete in cui il sole sorge era stato però già
raggiunto a quell’epoca da circa 600-800 anni. Questo significa che il sole si era
già spostato un po’ dal centro del segno dell’Ariete vero il segno dei Pesci,
collocandosi per così dire tra l’Ariete e i Pesci, tuttavia non ancora esattamente
nel punto di mezzo tra i due, bensì più prossimo all’Ariete. Come espressione
fisico-sensibile di questa situazione cosmica importante dal punto di vista
spirituale, durante l’ultima cena Giovanni si appoggia al petto del Signore.
Giovanni – il rapprensentante del segno dell’Ariete – era il più vicino al Sole-
Cristo.
37 V. Rudolf Steiner, La direzione spirituale dell’uomo e dell’umanità, III cap, GA 15, Ed.
Antroposofica, Milano 2002.
38 V. nota 28.
La riflessione da noi intrapresa ci consente di avvicinarci un po’ alla
risposta alla domanda sul nostro legame con i progenitori apostolici. Che
significato ha l’«incrociarsi» del sette e del dodici, delle stelle fisse e delle stelle
erranti, delle disposizioni dell’anima e delle disposizioni dello spirito?
Grazie alle stelle mobili, o più esattamente grazie alle varie disposizioni
dell’anima da cui esse ricevono la loro specifica colorazione, abbiamo la
possibilità di compiere in noi una trasformazione rispetto per esempio alla
concezione del mondo che portiamo in noi dalla nascita. Passando
consapevolmente da una disposizione dell’anima all’altra possiamo elaborare a
fondo, passo dopo passo, la molteplicità delle concezioni del mondo, forse senza
neppure dover attendere di nascere sotto un nuova configurazione celeste.
Percorrendo con diverse disposizioni dell’anima le varie disposizioni dello spirito
che ci sono date in ciascuna incarnazione, o forse addirittura passando a una
disposizione dello spirito del tutto diversa (atto per il quale tuttavia è necessario
che si sia capaci di dominare a un grado superiore il proprio corpo eterico), ci
apriamo la strada attraverso le già descritte biforcazioni dei rami dell’albero
dell’umanità verso il regno in cui esso ha le sue radici. E’ possibile percorrere in
questo caso i sentieri più diversi. Si pensi a quante combinazioni ne risultano!
Sarà facile farsi un’idea, grazie a questo calcolo sicuramente un po’ astratto, di
quanto tempo sia necessario per ritornare alle radici dell’albero.
Si potrebbe ora pensare che questa sia per una persona una combinazione
molto sfavorevole. Ma supponiamo che egli provenga da un contesto vitale o da
una precedente incarnazione nella quale si trovava nella combinazione della
concezione materialistica, o razionalistica, con la disposizione volontaristica; in
confronto ad essa la combinazione di materialismo e occultismo, in relazione al
progresso spirituale, è forse perfino più vantaggiosa. Soprattutto la combinazione
di materialismo (o razionalismo) e volontarismo è attualmente molto diffusa tra
le persone. Se ci si abbandona ad essa in maniera irriflessa, essa annienta del
tutto ciò che vuole manifestarsi nella sfera spirituale. Se un potente impulso
(animico e inconscio) del volere pervade la concezione materialistica, diventa
difficile per una persona ammettere che sia possibile qualcosa che non
corrisponde alla ratio della sua visione del mondo. In un’epoca come quella
presente, in cui il contro-reggente del tempo Mammona si oppone così
radicalmente all’azione del vero reggente del tempo Michele, questa
combinazione di concezione del mondo e disposizione dell’anima rappresenta
un’ulteriore complicazione, in particolare per tutti coloro che non hanno pratica
nell’educazione spirituale. L’Io deve assumere il dominio degli elementi animici
inferiori se non si vuole che la concezione materialistica sia del tutto assorbita
dalla disposizione volontaristica. Una combinazione di materialismo e
occultismo al contrario potrebbe mettere una persona in condizione di scorgere lo
spirituale nella materia, e nel caso migliore perfino di avvicinarsi a un interesse
per il goetheanismo – grazie al quale, con un po’ di sforzo, riuscirebbe forse nella
vita successiva a sostituire la disposizione di spirito del materialismo con il
matematicismo o con il sensualismo e la disposizione dell’anima dell’occultismo
con l’empirismo.
Tutti questi giochi di abilità intellettuali non devono però farci dimenticare
una cosa: noi non possiamo, né vogliamo evitare combinazioni di concezioni e
disposizioni in apparenza sfavorevoli! Dobbiamo piuttosto sfruttarle come
occasione per imparare, perché solo aprendosi una via attraverso di esse si
matura l’esperienza di cui ha bisogno l’allievo dell’occultismo per poter
affrontare un vero sentiero iniziatico. Se evitassimo i sentieri spinosi rimarremmo
nella condizione di quell’uomo, che nella parabola del figliol prodigo è sempre
rimasto presso il padre e non ha ricevuto ricompensa alcuna, a differenza
dell’altro che invece ha fatto ritorno al padre dopo aver compreso la realtà e aver
tratto dal suo vissuto la decisione di tornare. Per far questo però abbiamo bisogno
della «buona volontà», che di certo non ha nulla a che fare con la cosiddetta
disposizione volontaristica, ma piuttosto con la volontà divina che l’Io fa propria.
Le forze dello Zodiaco e il significato dei dodici troni nel primo
Goetheanum
L’immagine che si è a noi palesata nel corpo cosmico dei discepoli, pieno
di splendore e forza dall’Io del Cristo, trovava un’espressione plastica
nell’edificio occulto del primo Goetheanum. Si è già accennato in altro luogo al
suo concetto fondante, vale a dire al sentiero iniziatico percorribile sul piano
animico-spirituale come sul piano fisico, perché reso manifesto ai sensi per
mezzo dell’arte, che si rivelava al visitatore del primo Goetheanum39.
Richiamiamo alla memoria, ai fini della presente considerazione, il fatto che
l’interno dell’edificio poteva essere osservato come diviso in tre sezioni.
Proveniendo da Ovest si accedeva alla Sala Grande, che comunicava al discepolo
iniziatico l’esperienza interiore del cerchio dei pianeti. Accompagnato da sette
possenti colonne da entrambi i lati, che sostenevano l’architrave e la grande
cupola, si procedeva verso Est attraverso la metamorfosi e l’evoluzione da
Saturno a Venere, fino al momento in cui non si rendeva in qualche modo
percepibile l’atmosfera del pianeta Vulcano, a motivo del fatto che l’anima
iniziava per così dire ad elevarsi dallo spazio planetario circostante ad un mondo
più remoto. Questo si manifestava al visitatore quando egli aveva attraversato il
cerchio dei pianeti nella sua interezza, facendone esperienza interiore, e si
arrestava infine di fronte a un’altra sala sorretta da dodici colonne.
Questa seconda sala era più piccola della prima, e tuttavia comunicava al
discepolo occulto la sensazione di uno spazio ben più vasto, ma ancora più
lontano, se confrontato con quello che aveva appena percorso. Come i pianeti di
notte splendono molto più grandi e più vicini degli astri dello Zodiaco, delicati,
scintillanti, e dall’estensione tanto vasta quanto l’intero universo, così apparivano
39 Cfr. per es. Judith von Halle, L’incontrare il Cristo oggi e lo Spirito del Goetheanum,
Cambiamenti, Bologna 2012.
le possenti colonne della sfera planetaria della Sala Grande in confonto alle ben
più lontane – la Sala Piccola non era accessibile al visitatore – fini, sottili dodici
colonne della sfera cosmica della Sala piccola.
Con la creazione della Sala Piccola e con la collocazione in quel luogo del
«gruppo» è stata senza dubbio riprodotta esattamente quella configurazione che
40 Questo possa dare un indizio di come tutte le scene rappresentate sul palco del primo
Goetheanum, cioè nella Sala Piccola, dagli euritmisti e dagli attori iniziati, dovevano
essere impregnate della chiara consapevolezza che la persona poteva muoversi in esso
con la sua sostanza terrena-corporea solo allorché essa era in grado di sottometterla
interamente, in modo da modellarla consapevolmente, alle potenze animico-spirituali che
agiscono in uno scenario animico puro. Che da un siffatto palco potessero essere irradiati
esclusivamente gesti divini, nella misura in cui la persona, con la consapevolezza e con
la percezione, diveniva uno con le potenze cosmiche che si riflettevano in quella sala,
questo fatto si realizzava per mezzo di colui che avesse anche solo un presentimento
dell’idea che sta alla base dell’architettura del primo Goetheanum.
abbiamo descritto come la cerchia dei dodici discepoli con il Redentore al centro
durante l’ultima cena. Questo risulta chiaramente anche solo dal fatto che lo
Zodiaco trova la sua rappresentazione artistica nelle dodici colonne, insieme al
fatto che i dodici Apostoli sono per l’appunto i rappresentanti dei dodici segni
zodiacali; ciò nonostante era senza dubbio intenzione di Rudolf Steiner rendere
possibile a tutti gli uomini in questo edificio occulto quella circostanza iniziatica
che si era creata archetipicamente per i dodici discepoli del Signore, cioè per i
nostri progenitori spirituali, nella notte del Giovedì Santo della Svolta dei tempi.
Così i discepoli nell’ultima cena si fecero avanti a coppie e grazie a ciò che
ricevettero dal Cristo restaurarono per così dire la loro completezza. Il modo in
cui le colonne nel Goetheanum erano poste l’una in relazione all’altra, cioè in sei
coppie formanti un cerchio per così dire leggermente aperto verso Ovest e verso
Est, esprime con gli strumenti dell’arte il corso evolutivo della natura umana tra
l’evento passato della sua divisione e l’evento a venire della sua ricongiunzione.
Se ci poniamo nella Sala Piccola a Occidente, guardando verso la prima coppia
di colonne, abbiamo l’esperienza della divisione dell’Adam Kadmon nella
dualità che nei testi biblici viene descritta come Adamo ed Eva dopo il peccato
originale. Queste due colonne sono ancora molto vicine l’una all’altra, ma se il
nostro sguardo si muove oltre attraverso la sala diveniamo testimoni dello
svolgimento successivo di questo processo di divisione: i due principi sorti dalla
divisione dell’uomo divino – in questo caso le coppie di colonne – sviluppano,
nella misura in cui procediamo verso il centro della sala, una distanza
progressivamente crescente l’uno dall’altro.
Dal momento però che fino a quel punto dell’evoluzione la stirpe umana si
era così ampiamente ramificata, alla maniera in cui ce la siamo rappresentata
nell’immagine della chioma dell’albero, questa rinnovata unione, che in principio
non è altro che una guarigione, deve da allora essere perseguita con grande
sforzo. Quanto siano divenuti numerosi e fragili i rami dell’albero dobbiamo
costantemente averlo presente allorché incontriamo delle persone, nelle quali la
nostra ancor troppo poco sviluppata umanità superiore nel suo corpo di carne non
vuole riconoscere o meglio, non vuole intuire, la presenza di un «vero» fratello.
Nel centro della Sala Piccola, dove le due colonne sono più lontane l’una
dall’altra, dobbiamo individuare il punto di svolta temporale dell’evoluzione
umana, nel quale da un lato divenne possibile tendere nuovamente al «Padre», e
dall’altro il dolore causato dalla nostra imperfezione fu avvertito più
intensamente. Esso non poteva fino a quel punto esser guarito neppure in minima
parte, non essendosi l’Io ancora risvegliato e non avendo dunque potuto iniziare
ad agire in maniera sufficiente.
42 Mt 18, 20.
Questi due principi, che devono di nuovo tendere l’uno verso l’altro al fine
di generare una natura umana risanata e risanatrice, possiamo intenderli come i
principi di attivo e di contemplativo, di dare e di ricevere o, in una forma per così
dire umanizzata, come i principi di «creazione» e di «consolidamento». Nei
discepoli seduti alla destra del Cristo possiamo riconoscere i cosiddetti
«iniziatori», in quelli seduti alla sua sinistra i «consolidatori». Entrambi sono
ugualmente importanti, nessun principio è da considerare inferiore o superiore
all’altro. Possiamo comprendere che laddove essi sono maggiormente separati
l’uno dall’altro, questi due principi debbano produrre qualcosa di infecondo, per
il fatto che essi non stanno di fianco, ma di fronte l’uno all’altro, e in fin dei conti
si combattono. Parimenti bisogna riconoscere che alla base della loro rinnovata
unità deve esserci un impulso proveniente dall’esterno, esattamente come deve
esserci alla base della loro passata separazione. Questo impulso è l’Impulso del
Cristo, e nell’ultima cena questo si espresse nell’unione di due discepoli,
appartenenti a principi diversi, nell’istante in cui essi ricevettero il Corpo e il
Sangue di Cristo - «Prendete il calice con il mio sangue e dividetelo tra voi»43. Se
il Corpo, il Sangue del Salvatore viene diviso tra fratelli divisi, esso li riconduce
all’unione divina- spirituale.
43 Lc 22, 17.
44 La divisione dell’Adam Kadmon sussiste sicuramente già dall’epoca lemurica. Tuttavia è
solo a partire dall’inizio della prima epoca di cultura postantlantica che l’umanità
sperimenta in maniera consapevole il dolore legato a questa divisione in una maniera
paragonabile a quella attuale.
lato occidentale – l’unità, la Trinità, della scultura del Cristo. Il principio del Sei
si compie nel Sette (v. Illustrazione. n. 12, p. 66).
Se ci confrontiamo anche solo un po’ con gli intenti, coerenti col pensiero
antroposofico, che stanno alla base dell’idea dell’edificio, ci apparirà facilmente
nella sua chiarezza il fatto che in un simile edificio misterico, che in fin dei conti
rappresentava per l’anima un percorso iniziatico, non dovevano essere
rappresentate semplici circostanze sensibili o soprasensibili, quali esistono prese
per sé – per così dire anche senza l’uomo; nel corso della pianificazione e della
45 Vi è un altro motivo alla base delle due per sette colonne della Sala Grande che deve
essere ricercato nel percorso di iniziazione del Goetheanum (come risulta chiaro anche
dalle vetrate colorate, non ci sono qui due percorsi identici solo perche ci sono due per
sette identiche colonne. Il discepolo iniziatico intraprendeva piuttosto il suo cammino
attravero la sfera delle stelle erranti della Sala Grande per due volte, ma in modo
radicalmente diverso: una volta percorrendolo in direzione dell’incontro con il Cristo e
l’altra volta – in maniera trasfigurata, illuminata – facendo ritorno da questo incontro nel
mondo, mondo che egli ora – dopo o per mezzo di quest’incontro – era in grado di
spiritualizzare).
progettazione dell’edificio piuttosto era costantemente presa in considerazione
l’evoluzione umana. Questo significa, nel caso della costruzione della Sala
Piccola: l’essere umano nel suo rapporto con la sfera cosmica delle stelle fisse.
Occorre trattare con la dovuta cautela e comprensione quello che con ciò si
deve intendere. In nessun caso si possono tirare conclusioni affrettate o prendere
per buone descrizioni artificiose in relazione a queste correlazioni legate alle
epoche di cultura. Non corrisponderebbe in nulla alla realtà se per esempio si
pensasse che le individualità di Giuda e Filippo si siano incarnate nella prima
epoca – l’indiana antica -, quelle di Tommaso e Matteo (Levi) nella seconda – la
persiana antica – e così via. Colui che si familiarizza con le entità individuali dei
discepoli dal punto di vista della Scienza dello Spirito può piuttosto scoprire un
che di essenziale che caratterizza le diverse coppie di discepoli nelle epoche di
cultura corrispondenti e qui indicate.
Nella natura e nella storia di Giuda giacciono per l’umanità del futuro tesori
di conoscenza finora rimasti nascosti. Sarebbe un errore condannare il fenomeno
complessivo di Giuda dipingendolo a tinte bianche e nere. Proprio riguardo a
Giuda molto dovrà in futuro essere svelato all’umanità, se essa desidera
procedere sulla giusta strada, e ad essa verrebbe negata la possibilità di sfuggire
alle vicissitudini che nel presente sta determinando, se al momento opportuno
non volgerà lo sguardo proprio a quel Giuda che compì il tradimento nella Svolta
dei tempi – chi attribuisce alle potenze asuriche solo volontà di annientamento
dal principio della loro esistenza sarebbe in imbarazzo se si confrontasse con
46 Che tra Giuda e Pietro vi sia una correlazione più stretta, per quanto riguarda il problema
della conoscenza e della coscienza, rispetto agli altri Apostoli è evidente anche dal
triplice rinnegamento di Pietro nella notte precedente il Venerdì Santo. Il tradimento di
Giuda si riflette qui dalla prima all’ultima epoca che precede il compimento finale, e si
riflette anche nel lato opposto – riconoscibile nella disposizione delle colonne
dell’architettura della Sala.
l’affermazione di Rudolf Steiner relativa al sacrificio degli Asura, i quali
nell’antico Saturno rimasero indietro a beneficio dell’evoluzione dell’uomo47.
47 Com’è noto i paragoni quasi sempre zoppicano. Così anche questo. In ogni caso non si
può presumere che qui si faccia un paragone tra la natura di Giuda e l’essenza degli
asura sul piano del grado della loro malvagità.
fisicamente. Stando a quanto dice Rudolf Steiner, nella seconda epoca, l’epoca
persiana antica, l’uomo per la prima volta volse lo sguardo alla Terra come corpo
planetario «fisico». Nella precedente epoca indiana egli si era in prevalenza
rivolto indietro verso quel mondo che aveva abbandonato. Egli non voleva
ancora appartenere veramente alla Terra. Le cose cambiarono nell’epoca
persiana. L’uomo iniziò a lavorare la terra e a sottometterla a sé. «Toccò» per la
prima volta la terra e nel contatto con l’elemento fisico-materiale scoprì il
rivelarsi dello Spirito. E’ questa, insieme ad altre, la ragione per cui l’apostolo
Tommaso viene attribuito alla seconda epoca postatlantica.
48 Cosa che sarà fatta in futuro con una pubblicazione dedicata al Cristianesimo giovanneo
della fratellanza templare. V. Judith von Halle, Die Templer, Verlag für Anthroposophie,
Dornach 2012.
con la quale il libro si chiude, ha almeno altrettanto spazio e peso della
narrazione relativa alle scene di dissoluzione. Giovanni è quel discepolo che in
virtù della speciale configurazione degli elementi costitutivi la sua entità, che egli
ricevette mediante la fusione dei corpi soprasensibili di Lazzaro e del Battista, è
in grado di vedere il compimento del ritorno del Cristo49. Per essersi appoggiato
al suo petto, egli è – come è già stato accennato prima – anche durante la cena il
più prossimo al Salvatore. La sesta epoca di cultura è molto vicina all’avverarsi
delle profezie cristiane, che si compiranno nella settima. La sesta epoca cela in sé
tutti quegli avvenimenti che Giovanni nella sua Apocalisse ci presenta, perché è
nella fase della sesta epoca che l’umanità dovrà soffrire la guerra di tutti contro
tutti. Tuttavia si lascerà condurre oltre questi sconvolgimenti e discordie colui
che percorre il cammino della rivelazione giovannea, volto all’imminente (nella
sesta epoca) compimento della Promessa. A partire da qui resta soltanto un breve
tratto fino al ricongiungimento con l’«albero della vita»50.
Il rivelarsi del Tredicesimo tra i Dodici e il mistero della lavanda dei piedi
«Ci sono diversità nella distribuzione dei doni della grazia, e tuttavia c’è
(solo) uno e uno stesso Spirito; ci sono diversità nella distribuzione degli uffici, e
(solo) uno e uno stesso Signore; ci sono diversità nella distribuzione delle
capacità, eppure (solo) uno e uno stesso Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno
51 Mt 19, 21.
però è data la rivelazione dello Spirito a beneficio (della comunità). A uno viene
data per mezzo dello Spirito la parola secondo sapienza, a un altro la scienza
secondo lo stesso Spirito, a un altro la fede nello stesso Spirito, a un altro il
dono di guarigione nell’u n i c o Spirito, a un altro grandi atti di potenza, a un
altro la parola per ispirazione, a un altro la capacità di distinguere gli spiriti (si
potrebbe tradurre: la chiaroveggenza), a un altro la conoscenza di diverse lingue,
a un altro l’interpretazione delle lingue. Uno e uno stesso Spirito opera tutto
questo, ed Esso dà a ciascuno quanto gli si addice.
52 Lettera di Paolo ai Corinzi, 1. Cor 12, 4-11 e 12, 13 come anche 24-27.
53 A questo riguardo vorrei segnalare in conclusione e per così dire tra parentesi un aspetto:
esso si riferisce al lavoro antroposofico all’interno di una comunità antroposofica. Come
già Paolo pose in chiaro, «doni» diversi vengono concessi a persone diverse. Che questi
originino tutte da «uno e un solo Spirito» o da «Dio» viene oggi talora rimosso se non
semplicemente dato per impossibile. Così oggi di frequente vengono messe in
contrapposizione per esempio le «esperienze soprasensoriali» e il «pensare puro». Così
facendo a mio parere si perde di vista il fatto, che non è affatto possibile fare un simile
paragone, perché ciò significa mischiare proverbialmente mele con pere. In fin dei conti
il «pensare puro» non è un mezzo per condurre la persona ad avere «esperienze
soprasensoriali» indipendenti?! Tutta l’istruzione occulta di Rudolf Steiner conduce a
sperimentare, conduce all’esperienza delle cose spirituali. Chi sia sorpreso del fatto che
Queste considerazioni ci debbono infondere coraggio nel continuare a
praticare con inalterabile pazienza gli esercizi che Rudolf Steiner ha dato per la
formazione degli organi spirituali, anche se i risultati sembrano essere scarsi. Sul
piano soprasensibile essi hanno grande importanza. Solo in questo modo
perveniamo a ciò che ci può congiungere con le diverse membra del nostro
organismo umano totale. Questo aspetto ci conduce al concetto che dovrà
concludere questa trattazione.
Con il sentiero che abbiamo illustrato nella seconda metà dell’albero del
genere umano, che riconduce al tronco o alla radice dell’albero (v. illustrazione
n. 2, p. 39), è rappresentato un sentiero che può essere in realtà percorso per
diverse vie alternative. I molti «doni della grazia» dati all’uomo sfociano alla
fine, nella loro diversità – se consapevolmente compresi e curati – sempre nel
medesimo sentiero che conduce alla radice dell’albero. I differenti sentieri
individuali risultano in ultima istanza dalla nostra parentela spirituale con i
progentori apostolici, poiché essendo questi i rappresentanti delle concezioni del
mondo, che tuttavia vengono superate nel loro essere dodici non appena il
principio superiore, il Tredicesimo, si eleva dall’invisibilità all’effettualità
visibile, proprio quelle caratteristiche dei progenitori devono da noi essere
gli esercizi, da lui svolti scrupolosamente, producano primo o poi anche dei risultati, si
pone in modo estraneo di fronte all’idea che ogni pensiero sia una realtà e che produca
nuove realtà. Rudolf Steiner in una conferenza del 1917 ha affermato chiaramente che
proprio l’umanità del presente è dipendente nella maniera più pressante dalle rivelazioni
dello Spirito: «Oggigiorno questo modo di pensare si affaccia in una forma che mira a
distruggere animicamente tutto ciò che appare al fine della riconquista dell’antica
sapienza. Questo non dovrebbe succedere. Quando oggi viene ripetutamente addotto
cosa sia possibile e cosa no: Sì, al tempo di Cristo, al tempo degli Apostoli esistevano
appunto rivelazioni; oggi queste non possono esistere. Oggi questo è peccato, è
impostura, è inganno. Quando oggi viene addotto ciò, questo è anticristiano, è contro il
Cristianesimo. Vederci con chiarezza in questo campo, anche per colui che ricerca la
verità, è già in un certo senso uno dei compiti del presente» (Rudolf Steiner,
Mysterienwahrheiten und Weihnachtsimpulse, GA 180, Dornach 1980. Conferenza del
29 Dicembre 1917 in Rivista antroposofica, Milano 2014, 2014/3/3.
elaborate in modo da renderle nostre in maniera perfetta, e così facendo poterle
per così dire annullare.
54 V. nota 1.