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[Irene Gobbi - Numero di matricola: 185492]

Tesina di Metodologia della ricerca storica


Argomento: Microstoria

Tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, principalmente sulla scia
della storia della mentalità inaugurata dalle Annales e dell'antropologia
economica di Karl Polanyi, una nuova tendenza si affermò nell'ambito della
storiografia sociale italiana: si trattava della cosiddetta microstoria, termine
che darà peraltro il nome ad una collana di ventun saggi (Microstorie)
pubblicata da Einaudi a partire dal 1981.
Protagonisti di questo progetto furono i ricercatori già riuniti intorno al
periodico Quaderni storici, fra cui spiccavano Giovanni Levi, Edoardo
Grendi e soprattutto Carlo Ginzburg, vero teorico del neonato indirizzo
storiografico. Proprio Ginzburg fornì un inventario delle apparizioni della
parola microstoria precedenti all'uso – e, come si vedrà, al rinnovamento
semantico – da parte degli storici italiani.1

Il termine sembra essere stato adoperato per la prima volta dallo studioso
americano George R. Stewart, appassionato, oltre che di letteratura e
naturalmente di storia, di toponomastica; proprio quest'ultima area di studi
e l'interesse per il particolare microscopico ispirarono il suo saggio
riguardo la battaglia decisiva della Guerra Civile Americana (Pickett's
Charge. A Microhistory of the Final Charge at Gettysburg, July 3, 1863,
pubblicato nel 1959), dove analizzò nei dettagli l'episodio culminante dello
scontro: la carica sudista guidata dal generale maggiore Pickett, durata in
tutto una ventina di minuti, ma considerata da Stewart momento centrale
della storia americana e, in quanto tale, parte della storia universale.
A pochi anni di distanza, quella stessa parola fece capolino nel sottotitolo
di un'opera dello storico González y González, che indagava la storia
plurisecolare di un villaggio dell'entroterra messicano; in questo caso,
microstoria equivaleva a storia locale, da un punto di vista prettamente
qualitativo. Il successo del libro spinse l'autore a teorizzarne l'impianto in

1 Carlo Ginzburg, Il filo e le tracce. Vero, falso e finto, Milano, Feltrinelli, 2006
due saggi, dove, pur rivendicando la sostanziale paternità della parola,
ricordava che la paternità formale apparteneva senz'altro a Fernand
Braudel.
Il grande storico francese tuttavia l'aveva sempre utilizzata in senso
negativo, equiparandola all'odiata histoire événementielle, la storia
tradizionale e politica da lui osteggiata fin dai tempi di Civiltà e imperi del
Mediterraneo nell'età di Filippo II (1949); anche a causa dell'autorità
accademica di Braudel, il termine rimase circondato da un alone
tecnicistico, tanto che in un passo tratto da I fiori blu di Queneau (1965), la
microstoria – citata quasi per sbaglio dal cappellano del duca d'Ange
durante una discussione – è considerata un vocabolo incomprensibile, quasi
sofistico.
Eppure proprio questo romanzo è il filo rosso che collega la ben poco
apprezzata microhistoire alla genesi della microstoria italiana così come è
intesa tutt'oggi. Infatti fu Italo Calvino a tradurre il libro di Queneau, che
Primo Levi, in virtù degli stretti rapporti che li legavano, certamente lesse.
E non è un caso che proprio in un romanzo di Levi, Il sistema periodico
(1975), la microstoria compaia per la prima volta in modo autonomo (in
riferimento alla «storia di un mestiere e delle sue sconfitte, vittorie e
miserie»2 e, quindi, all'indagine microscopica di una realtà particolare e
limitata).
Tramite lo storico Giovanni Levi, cugino alla lontana di Primo, la parola
entrò definitivamente nel lessico storiografico italiano, perdendo la sua
connotazione negativa originaria e sostituendo la microanalisi, che fino a
quel momento era stata adoperata da Grendi con significato pressoché
identico. È questo l'atto di nascita ufficiale di un gruppo eterogeneo di
storici «unito da un forte collante antirelativistico»3 e dal rifiuto
dell'etnocentrismo della storiografia del diciannovesimo secolo.

Nonostante non siano mai stati redatti manifesti del nuovo indirizzo della
microstoria, fu chiaro già dall'inizio che uno dei principali obiettivi degli
storici era l'opposizione radicale alla storiografia conservatrice, che
considerava i processi storici governati da leggi impersonali e finalizzate,
quindi, al raggiungimento del supremo progresso sociale; questo
significava scartare l'immagine di un'Europa che dall'antica Grecia al
Cristianesimo, fino all'Illuminismo e alla Rivoluzione industriale, era
descritta nei termini di un costante e inarrestabile sviluppo.
Per far ciò, occorrevano degli strumenti analitici capaci di mostrare i
2 Primo Levi, Il sistema periodico, in Opere, vol. I, Torino, Einaudi, 1987, p. 641
3 Ida Fazio, voce Microstoria in R Coglitore, F. Mazzara (a cura di), Dizionario di studi culturali,
Meltemi, Roma, 2003
tentennamenti dei percorsi sociali, individuali e collettivi.
Innanzitutto, si diede vita ad una revisione radicale dei metodi
quantitativi della storia economica, per liberarsi dal determinismo che ne
caratterizzava le ricerche; giocarono un ruolo fondamentale in questo senso
le radici marxiste ed empiriste della maggioranza del gruppo. Ad un vivo
interesse per l'esplicitazione e la verifica delle procedure d'analisi si unì il
rifiuto della storia vista come pura ermeneutica, come attività retorica tesa
soltanto all'interpretazione di testi e non di avvenimenti.
Un'altra grande ambizione della microstoria fu quella di evitare
l'anacronismo. È per questo motivo che la nozione di contesto assunse un
valore imprescindibile ed fu al centro delle ricerche degli storici, che
tentarono di costruire contesti pertinenti, adattati ai fenomeni presi in
considerazione.4 Il contesto si identificava non solo all'interno di elementi
che condividevano un carattere comune, ma anche in una similarità di
relazioni fra elementi notevolmente diversi. Ogni attore storico apparteneva
quindi a contesti di dimensioni e piani differenti, a partire da quello globale
fino ad arrivare a quello locale, senza opposizione fra le rispettive storie.
Basandosi su indagini induttive e sulla ricerca di «anomalie» (tracce,
indizi, sintomi), ci si tenne parimenti alla larga dall'histoire sérielle, che
prendeva invece in considerazione solo argomenti fondati sulla conformità
e sulle affinità comparabili.
Dal punto di vista lessicale, la microstoria rinvia non solo alla
dimensione dell'oggetto della ricerca, ma anche al mutamento della scala
d'osservazione. E non si parla solo di una scala riferita alla grandezza,
perché i contesti sono molto più ampi e non sono definiti a priori. Certo è
che la scelta di una precisa scala d'osservazione può essere messa al
servizio della conoscenza, e che quindi una sua riduzione è in grado di
mettere a fuoco soggetti tradizionalmente posti ai margini della
storiografia.
Tutto ciò portò gli storici, nel bene e nel male, a mettere in discussione
gli approcci tradizionali della ricerca, incoraggiando la formulazione di
nuove domande e la scoperta di diversi campi di indagine. La scala ridotta
consentì anche di costruire le scelte possibili di individui e gruppi sociali in
uno scenario specifico, insieme ai meccanismi e agli sviluppi del
mutamento sociale.
L'attenzione si rivolse dunque a gruppi minoritari all'interno di civiltà
avanzate (donne, bambini, schiavi, eretici, contadini od operai), con un
interesse crescente per le forme intellettuali delle classi subalterne (cultura
di massa, folklore, tradizione orale, aspetti simbolici della vita associata e

4 Maurizio Gribaudi, La lunga marcia della microstoria. Dalla politica all'estetica?, in Paola Lanaro (a
cura di), Microstoria. A venticinque anni da “L'eredità immateriale”, FrancoAngeli, Milano, 2012
della vita familiare), nel desiderio di raggiungere la comprensione assoluta
di una società in uno spazio e in un tempo determinato. Si avvertiva inoltre
un legame sempre più forte fra storia, sociologia e antropologia, legame
che venne recepito con una certa ostilità dal mondo accademico italiano,
nel quale storia significava sostanzialmente storia politica o al massimo
economica.
Fu, in qualche modo, la rivincita di tutti quegli avvenimenti, personaggi e
mentalità che inevitabilmente erano sfuggiti alla storia di vasta scala,
interessata più che altro a grandi processi storici (Stato, ordini sociali,
sistemi economici) inquadrati entro periodizzazioni convenzionali
(Antichità, Età medievale, moderna e contemporanea).5
Tutti questi temi e metodi varcarono ben presto i confini italiani ed
europei, se è vero che la già citata collana Microstorie comprende volumi
scritti da studiosi sia italiani che stranieri. A monte di un tale successo
troviamo senz'altro L'eredità immateriale (1985) di Levi e soprattutto Il
formaggio e i vermi (1976) di Ginzburg, considerato, oltre che un classico
della microstoria, un manifesto involontario del nuovo indirizzo di studio.
In polemica con un saggio di Furet apparso su Annales, dove si giudicava
impossibile analizzare le classi subalterne di epoca preindustriale al di fuori
di una prospettiva prettamente statistica, Ginzburg si sforzò di ricostruire la
vicenda personale e la mentalità di Domenico Scandella, contadino friulano
processato e giustiziato per eresia dall'Inquisizione: un'analisi certosina e
ravvicinata di una documentazione circoscritta, legata ad un personaggio
altrimenti ignoto. Ginzburg in seguito avrà modo di confessare l'ispiratore
di questa scelta: “La spinta a questo tipo di narrazione […] mi veniva […]
da Guerra e pace, dalla convinzione espressa da Tolstoj che un fenomeno
storico può diventare comprensibile soltanto attraverso la ricostruzione
dell'attività di tutte le persone che vi hanno preso parte”.6
Un obiettivo senza dubbio irrealizzabile, ma che Ginzburg cercò di
perseguire integrando le lacune della documentazione e gli ostacoli
incontrati durante le ricerche alla narrazione in senso stretto. Ed è proprio
questa narrazione a segnare il distacco completo dalla tradizione delle
Annales, poiché Ginzburg non si limitò a ricostruire la storia del
personaggio, ma a raccontarla, riprendendo in qualche modo le strategie
narrative dell'histoire événementielle ma ribaltandone il significato: è in
quella stessa narrazione, ora, che emerge la parzialità e la frammentarietà
del punto di vista dello storico.
Da qui scaturì anche un'idea che ricorrerà spesso nella pratica
microstorica: quella della verifica empirica, collegata al concetto di genesi
5 Osvaldo Raggio, Microstoria e microstorie, in Il contributo italiano alla storia del pensiero – Storia e
Politica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 2013
6 C. Ginzburg, Il filo e le tracce, cit.
della documentazione. Ginzburg, così come tanti altri storici del gruppo,
cercò di affrontare il problema della costruzione sociale della
documentazione e della produzione di documenti in quanto trascrizioni e
certificazioni di azioni o pratiche sociali. Argomenti che misero in luce le
relazioni, prima sottovalutate, fra mondo materiale e forme culturali. In
questo senso, le procedure d'analisi si fondano sull'idea di un accesso
diretto dello storico alla cultura: nelle testimonianze (in questo caso
specifico, i documenti del processo inquisitoriale) si ritrovano le tracce di
modelli culturali e sociali profondi che devono essere individuati e
analizzati singolarmente.7
Questa ed altre novità introdotte dalla microstoria subirono diverse
critiche, per lo più pretestuose: critiche che rivendicavano l'alta cultura
come l'unica degna di questo nome o che denunciavano presunte vene
populiste nell'operazione microstorica, ritenendo irrilevanti i casi di studio
presi in esame. Solamente una di esse fu a ben vedere sensata e
ragionevole: la microstoria non era stata in grado di affrontare e di risolvere
il delicato problema del rapporto fra micro e macro, fra particolare e
generale.8 In effetti lo stesso Ginzburg dovette ammettere, nelle pagine
conclusive di Spie. Radici di un paradigma indiziario, di trovarsi di fronte
ad un dilemma spiacevole: bisognava “assumere uno statuto scientifico
debole per arrivare a risultati rilevanti” (ovvero ciò di cui il mondo
accademico accusava la microstoria) o “assumere uno statuto scientifico
forte per arrivare a risultati di scarso rilievo”?9
Una cosa è indiscutibile: la riduzione di scala ha comportato un notevole
affinamento e rinnovamento sia delle tecniche che degli strumenti d'analisi,
presi in prestito da una grande varietà di ambiti disciplinari, senza contare
che la microstoria italiana è riuscita molto spesso a dimostrare la fragilità
delle generalizzazioni storiche, e soprattutto di quelle dell'analisi macro.
Nonostante questi risultati e il successo riscontrato nel grande pubblico, i
percorsi individuali di ricerca degli storici e la crisi della direzione di
Quaderni Storici portarono alla dissoluzione della microstoria italiana dopo
poco più che un decennio; la stessa collana Microstorie venne assorbita
nella collana Paperbacks all'inizio degli anni Novanta e poi soppressa.
Tuttavia la microstoria aveva già gettato i suoi semi altrove, tant'è che
all'interno della microstoria internazionale apparvero due proposte di
contestualizzazione diverse, una sociale e l'altra culturale, su influsso della
ricezione americana di questa pratica storiografica.
7 Angelo Torre, Comunità e località, in Paola Lanaro (a cura di), Microstoria. A venticinque anni da
“L'eredità immateriale”, FrancoAngeli, Milano, 2012
8 Luciano Allegra, Ancora a proposito di micro-macro, in Paola Lanaro (a cura di), Microstoria. A
venticinque anni da “L'eredità immateriale”, FrancoAngeli, Milano, 2012
9 Carlo Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma indiziario, in Aldo Gargani (a cura di), Crisi della
ragione, Einaudi, Milano, 1979, pp- 57-106
La cartografia delle relazioni sociali e lo studio sistematico delle fonti
notarili, demografiche e fiscali lasciarono il posto allo studio della cronaca
e delle fonti narrative e giudiziarie. Sul piano metodologico si produssero
indagini di lunga durata concentrate perlopiù su aree geografiche molto
circoscritte, per offrire una ricostruzione minuziosa e analitica della storia
delle piccole comunità locali. In quegli stessi anni Edoardo Grendi si
troverà a scrivere che la microstoria “ha rappresentato una sorta di via
italiana verso la storiografia sociale più avanzata […], in una situazione
relativamente bloccata in termini di ortodossia gerarchica delle rilevanze
storiche e di chiusura delle scienze sociali”.10
La microstoria a suo tempo rappresentò una vera e propria rivoluzione
sul piano storiografico, e non poté che lasciare molto in eredità: in primo
luogo, la difesa analitica della realtà; la capacità di cogliere elementi di
continuità e trasformazione celati dietro i modelli sociali tradizionali;
l'introduzione di fonti e metodi nuovi (la quotidianità, i piccoli dettagli di
biografie minori, i comportamenti, le strategie, la memoria, le credenze, le
paure e i dubbi collettivi); l'associazione fra lavoro concreto e
consapevolezza teorica; il confronto con le procedure di altre discipline,
che ha creato un terreno fertile per la creazione di nuovi percorsi di ricerca:
metodi e innovazioni che segnano ancora la storiografia di oggi e
segneranno quella di domani.
Non è quindi un caso che recentemente si sia avanzata la proposta di
rendere la microstoria un autonomo genere storiografico, e che nel 2009, in
un incontro fra storici per commemorare L'eredità immateriale di Levi, si
sia sentito dire che “la microstoria è un po' come il Talmud: un corpus di
testi ricco e variegato, dove si può leggere tutto o quasi tutto. Dove tutti
hanno letto, leggono e leggeranno ancora quasi tutto”.11

10 Edoardo Grendi, Ripensare la microstoria?, “Quaderni Storici”, 86, 1994, p. 544


11 Maurizio Gribaudi, La lunga marcia della microstoria. Dalla politica all'estetica?, cit.
Bibliografia:

Luciano ALLEGRA, Ancora a proposito di micro-macro, in Paola Lanaro (a cura di),


Microstoria. A venticinque anni da “L'eredità immateriale”, FrancoAngeli, Milano,
2012
Ida FAZIO, voce Microstoria in R Coglitore, F. Mazzara (a cura di), Dizionario di studi
culturali, Meltemi, Roma, 2003
Carlo GINZBURG, Spie. Radici di un paradigma indiziario, in Aldo Gargani (a cura di),
Crisi della ragione, Einaudi, Milano, 1979, pp- 57-106
Carlo GINZBURG, Il filo e le tracce. Vero, falso e finto, Milano, Feltrinelli, 2006
Edoardo GRENDI, Ripensare la microstoria?, “Quaderni Storici”, 86, 1994, p. 544
Maurizio GRIBAUDI, La lunga marcia della microstoria. Dalla politica all'estetica?, in
Paola Lanaro (a cura di), Microstoria. A venticinque anni da “L'eredità
immateriale”, FrancoAngeli, Milano, 2012
Primo LEVI, Il sistema periodico, in Opere, vol. I, Torino, Einaudi, 1987, p. 641
Angelo TORRE, Comunità e località, in Paola Lanaro (a cura di), Microstoria. A
venticinque anni da “L'eredità immateriale”, FrancoAngeli, Milano, 2012

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