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Stefano Zanardi

Topographica
UN RACCONTO
Topographica

Dicono le carte che sia esistita, e forse esiste tuttora, una terra
non molto distante, ma preclusa ai mortali. Ne disegnano i confini
un’invalicabile montagna, un oceano tempestoso, un’impenetrabile fo-
resta ed un deserto senza fine.
Navigatori che perdettero la rotta ed ebbero la ventura di osser-
vare di lontano quella terra la descrissero come altissima montagna, la
cui cima è sorella delle stelle. Adwen chiamarono quella montagna i
navigatori dell’oceano. Ma Adwen non era la montagna.
Adoratori del Sole abitarono quel monte. Due volte l’anno sali-
vano col solstizio al Tempio per adempiere le solennità rituali. Più
volte videro, o credettero di sapere, che là in basso, in fondo ai dirupi e
alle forre, cresceva nera ed antichissima la foresta. Eth’en fu il nome
che diedero alla foresta gli adoratori del Sole. Ma Eth’en non era la
foresta.
Esseri silvestri di insospettata intelligenza seppero senza vedere e
credettero senza conoscere che al di là dell’ultimo albero era terra sec-
cata dal sole e inaridita dal vento. Ežæn fu detto il deserto dalle
creature della foresta. Ma Ežæn non era il deserto.
Nomadi dalla pelle di cuoio i cui dromedari scelsero di seguire
piste fallaci sentirono improvvisamente nel naso e negli orecchi il sa-
pore dell’oceano. Nostalgia fu detta la malattia di petto che
contrassero. El-qdān fu il nome con cui onorarono la distesa d’acqua
quei nomadi. Ma El-qdān non era l’oceano.

Al centro di quella regione sorgeva una città immensa. Chi la


vide la scordò o pensò di averla sognata. Chi vi entrò scordò il mondo
o lo ricordò come un sogno.

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In quella città v’era una torre così alta che sembrava una monta-
gna, ma la montagna era altrove e la torre era ben più di una
montagna.
V’era poi in quella città un tempio con mille colonne. Le colonne
ricordavano una foresta, ma la foresta era altrove ed il tempio era ben
più di una foresta.
V’era ancora in quella città una piazza smisurata, estesa e
vuota come un deserto, ma il deserto era altrove e la piazza era ben
più di un deserto.
V’era infine in quella città un giardino con mille viali. E in
mezzo al giardino una fontana d’acque di cobalto e di zaffiro, come
iride d’occhio eternamente aperto ad osservare i giri di sole, attento a
seguire i passi di luna, vigile nel sorvegliare le rivoluzioni astrali. Il
piccolo bacino limpido catturava l’immenso cielo e lo restituiva come
fosse oceano. Ma l’oceano era altrove e la fontana era ben più di un
oceano.
Nel centro della fontana nuotava una tartaruga. Sul dorso ru-
goso le placche erano continenti coi loro monti e le loro valli, con
pianure e deserti sconfinati eppure tutti racchiusi e compresi nello spa-
zio di un carapace.
Uno di questi continenti, al colmo superiore della cupola cornea,
aveva per confini un’invalicabile montagna, un oceano tempestoso,
un’impenetrabile foresta ed un deserto senza fine...

La stampa riproduceva una carta topografica, antica


per aspetto e di difficile decifrazione. Racchiusa in una cor-
nice dozzinale stava appesa alla parete in fondo alla stanza,
un po’ scostata sulla destra. Per un istante venne tagliata di
netto da una lama di luce radente proveniente dalla finestra.
Era l’ultimo sole di una sera ottobrina che spingeva le sue
dita fin dentro le case per aggrapparsi al mondo prima di
scivolare dietro l’orizzonte.
La luce sulla mappa disegnava una linea diagonale poco
inclinata che intersecava coste, fiumi, monti, ciascuno col

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proprio nome sconosciuto ed esotico scritto con una grafia
primitiva, a tratti illeggibile. Nel centro esatto attraversò
quel simbolo che assomigliava ad una tartaruga: una piccola
forma oblunga circondata da cinque corti tratti disposti a
raggera come un piccolo sole ellittico.
Fu un attimo, e la linea d'ombra e di luce subito si dis-
solse e scomparve.
Pensai che l’indomani il sole sarebbe stato impercetti-
bilmente più basso e avrebbe segnato una diversa fugace
traccia sulla carta, mancando l’appuntamento con la tarta-
ruga. La configurazione appena intravista non si sarebbe
ripresentata che fra un anno esatto, ma non perfettamente
identica. Nel frattempo la Terra avrà percorso un giro at-
torno al Sole per osservare le costellazioni da altre
angolazioni e alla fine del ciclo sarà di nuovo ad un punto
che assomiglia a quello di partenza, ma più in là nella galas-
sia: spostata in avanti sulla scala dello spazio e su quella del
tempo.
La mappa sulla parete attenderà muta l’impossibile ri-
petersi della condizione appena sperimentata ed io
continuerò ad immaginare e sognare una terra che si dice
sia esistita, e forse esiste tuttora, una terra non molto di-
stante, ma preclusa ai mortali, che alcuni chiamano Eden.

Vigevano, 25 ottobre 2010

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