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Jodorowsky: lʼimbroglione sacro 16/04/19, 15*19

Jodorowsky: l’imbroglione sacro


carmillaonline.com/2003/05/28/jodorowsky-limbroglione-sacro/

May 28, 2003

di Walter Catalano

Dopo l’intervento su Julio Cortàzar, Walter Catalano, autore di Applausi


per mano sola, ci ha inviato uno splendido ritratto del genio surrealista
Alejandro Jodorowsky, regista scrittore e sciamano. Lo pubblichiamo
entusiasti… [gg]

Le notizie biografiche sull’uomo Jodorowsky sono


scarse.

Nasce in Cile, in un villaggio ai confini con la Bolivia,


da genitori ebrei-russi, nel 1929. Passa la gioventù
a Santiago ed in seguito si trasferisce in Messico
dove fa il clown nei circhi, organizza un teatro di marionette, diventa
campione di karate e dirige un gruppo di musica pop. Poi l’attività teatrale
come attore, regista e scenografo: pare abbia messo in scena, ma la
notizia non è confermata, 347 opere teatrali più 27 effimeri panici (sorta di
happening-celebrazioni).

Alla fine di un lungo peregrinare dal Messico, agli Stati Uniti, all’Europa,
Jodorowsky approda a Parigi dove, mentre frequenta i corsi di mimo tenuti
da Marcel Marceau, incontra nel 1960 due spiriti anarchici e geniali affini al
suo: lo spagnolo Fernando Arrabal e il franco-polacco Roland Topor. Si
riuniscono regolarmente al Cafè de la Paix, in piazza
dell’Opera, lo stesso in cui Gurdjieff scriveva i suoi
libri, dove, per loro ammissione, discutevano «di
tutto e di niente e anche di arte, di filosofia, delle
nuove tendenze». Un anno più tardi adottano fra loro
il nome di burlesque, in omaggio a Gongora ed ai
locali di strip-tease americani. Da questo iniziale sodalizio sorge nel 1962 il
movimento di ispirazione post-surrealista che chiameranno Movimento
Panico.

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«La nostra generazione attuale – scrive Jodorowsky nel suo “manifesto” del
1965, Verso l’effimero panico o trarre il teatro fuori dal teatro – è un
circo in cui i personaggi si dividono in ‘augusti’, clown e pubblico.

L’uomo panico è il clown; il cittadino che afferma una sola idea alla volta,
cerca una sola soluzione per ogni problema e crede di ‘essere’, è l’augusto;
l’immensa massa di sfaccendati inerti è il pubblico. Tuttavia ogni pubblico è
un ‘augusto’ in potenza e ogni ‘augusto’ può evolversi in clown perché il
mondo è panico.»

«La distinzione fondamentale che il panico stabilisce nell’uomo è la dualità


tra persona e personaggio – prosegue in Panico e pollo arrosto del 1964
-. […] L’augusto è un uomo vestito come tutti, fa da spalla al clown, non è
certo buffo, rappresenta l’uomo medio “non stravagante”, non vive nel
presente ma nel passato e tuttavia soffre perché, nonostante non viva
nell’oggi, si preoccupa del domani. […] I clown, proprio come le logiche
non-aristoteliche, come i quadrati di carta, hanno la possibilità di mutare,
sono capaci di deformarsi, di far da struttura, di avere un pensiero multiplo.
[…] Gran parte del terrore moderno nei quadri e nei film dell’orrore è
rappresentato con immagini di cose informali. Il magma, la putredine, il
misterioso non hanno forma. E per gli augusti il non aver forma è simbolo
dell’orrido, della perdita di se stessi. Viceversa l’uomo panico […] tenta di
liberarsi da tale educazione condizionata e cerca l’euforia come un mezzo
per uscire dalla prigione dove lo hanno chiuso i suoi genitori […].»

Nello stesso 1962, André Breton, il Papa del surrealismo,


pubblica sulla sua rivista La Brèche, le Cinq récit
paniques di Arrabal. Da quel momento in poi seguono
una serie di opere prevalentemente letterarie e teatrali
che fanno conoscere il movimento Panico in Europa e
nel mondo: l’Opéra de l’ordre di Jodorowsky che gli
frutta nel 1963 la temporanea espulsione dal Messico per
aver «attaccato le istituzioni nazionali»; La Pierre de la
folie di Arrabal; Les Nouvelles paniques ancora di Jodorowsky; Le
locataire chimerique di Topor, romanzo inquietante del 1964, da cui
Roman Polansky trarrà diversi anni dopo il film L’inquilino del terzo piano;
il Teatro Panico di Jodorowsky; i film di Arrabal Viva la muerte, J’irai
comme un cheval fou, L’arbre de Guernica, tutti ormai degli anni
Settanta; le innumerevoli mostre di disegni ed illustrazioni di Topor.

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Il National Theatre di Londra, diretto da Lawrence Olivier, mette in scena


nel 1965 L’Architetto e L’Imperatore d’Assiria di Arrabal e personaggi
pubblici come il regista spagnolo Luis Buñuel o lo scrittore francese André
Pieyre de Mandiargues simpatizzano ormai apertamente con il Panico.

È a questo punto che Jodorowsky, rientrato in Messico, fonda la società di


produzione cinematografica Producciones Panicas grazie alla quale
realizza nel 1968 il suo primo film: Fando y Lis (noto in Italia come Il paese
incantato), tratto dall’omonimo dramma teatrale di Arrabal. È la storia del
viaggio e degli incontri che Fando e la sua ragazza Lis compiono per
raggiungere Tar, il paese della felicità e dell’amore, il paese incantato. Il
tema è l’impossibilità dell’amore e della felicità, insidiati e distrutti dal «male
che è nel mondo e nel cuore di ogni uomo».

Il Festival di Cannes del 1971 si conclude con la


proiezione del secondo film di Jodorowsky: El Topo,
grande successo negli Stati Uniti, ma distribuito in
Italia in versione mutila, ridotta a due ore. Si tratta di
una sorta di western mistico e surreale, in cui lo
stesso Jodorowsky incarna il protagonista, cavaliere
errante in cerca del Graal, che deve liberare un
villaggio da quattro pistoleros. Mescolando in modo
singolare atmosfere alla Buñuel ed altre alla Leone, la
pellicola si snoda fra allucinazioni, esaltazioni orgiastiche, impennate
violente, in una serie interminabile di episodi dove si avvicenda una fauna
umana cenciosa e ripugnante da corte dei miracoli. Una didascalia spiega
che “topo” in spagnolo significa talpa, un animale che scava le sue gallerie
nel buio e quando arriva alla luce diventa cieco.

Il capolavoro, la summa della ideologia e della


concezione figurativa del cinema di Jodorowsky
giunge però nel 1973 con Subida al Monte Carmelo,
nella versione spagnola, The Holy Mountain in quella
americana, La Montagna Sacra in quella italiana.
Un’allegoria, talvolta ispirata, più spesso iconoclasta
del cammino verso la Montagna Sacra, la Grande
Opera, la realizzazione ermetica, l’immortalità.
Traendo ispirazione, più nello spirito che nella lettera, dai due romanzi (La

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gran bevuta e Il Monte Analogo) di un altro grande eretico del


surrealismo, René Daumal -seguace di Gurdjieff e fondatore, negli anni ’30,
del Grand Jeu, gruppo per certi versi affine al Panico -, Jodorowsky riesce
a coniugare un notevole rigore formale ed “ideologico” con l’uso
dissacrante e spesso sconvolgente (almeno per quegli anni) del nudo e del
sesso, che gli frutta il sequestro e vari processi per oscenità e vilipendio
alla religione.

Il film resta comunque notevole ed ancora oggi niente affatto datato, molte
scene sono geniali: la pantomima della Conquista del Messico inscenata da
rospi (i Conquistadores) ed iguana (gli Aztechi); l’accampamento dei falsi
guru in un cimitero alle pendici della Montagna Sacra, con il profeta delle
droghe (allusione esplicita all’allora famoso Timothy Leary) convinto che il
segreto sia tutto lì, o il ‘maestro’ capace di percorrere la Montagna, ma
“solo in senso orizzontale”; il finale estraniante e brechtiano in cui i nove
immortali in cima alla Montagna vengono smascherati rivelando solo dei
fantocci, l’Alchimista (impersonato da Jodorowsky stesso), guida della
spedizione, si fa beffe dei suoi discepoli:

«Siamo tutti ancora più mortali che mai e questo è solo un film. Macchina
indietro!».

Dopo lo scandalo ed il grande successo de La Montagna Sacra


Jodorowsky viene coinvolto, nel 1975, in un progetto milionario: deve
portare sullo schermo il romanzo di fantascienza di Frank Herbert Dune.

Il film, girato in 70 mm., dovrebbe durare tre ore: tra gli attori protagonisti,
addirittura Salvador Dalì (pagato 100.000 dollari l’ora!); tra gli scenografi e
costumisti, Moebius, il più grande disegnatore di fumetti fantascientifici di
Francia e H. R. Giger, l’artista svizzero, visionario e “demoniaco”, più tardi
inventore del mostro del film di Ridley Scott Alien.

A Giger si dovrebbe affidare la creazione del mondo degli “Harkonnen”, un


pianeta dominato dal male, dove si pratica la magia nera ed ogni
perversione e violenza è incoraggiata.

«Dai miei disegni sarebbero stati realizzati dei modelli tridimensionali –


ricorda Giger – […] avrei avuto anche la possibilità di ideare costumi,
maschere e così via. […] Solo il sesso non poteva essere mostrato, dovevo
progettare il film come se fosse ideato per bambini. Jodorowsky era stufo di

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vedere i suoi film censurati. […] Discutendo il mio onorario mi disse: “Puoi
anche essere un genio, ma non possiamo pagarti come un genio.” […]
4.000 franchi al mese. In verità un misero onorario per gli ideatori di un
progetto da 20 milioni. Mi spiegò per ore che buona pubblicità avrebbe
rappresentato per me, ecc.»

Nonostante i risparmi sul cachet del povero Giger, il progetto oltrepassa


ogni ragionevole limite di costo ed il produttore si ritira. Solo molti anni più
tardi il film sarà realizzato da David Lynch in versione relativamente più
“economica”.

Reduce da quell’insuccesso e marchiato dall’ignominia di essere un


dilapidatore di budget, un sardanapalo della celluloide (non a caso si era
proposto all’inizio della sua carriera come “il Cecil B. De Mille
dell’underground”), Jodorowsky viene messo in quarantena: nessuno lo
farà più lavorare nel cinema per anni. Per vivere si arrangia come può:
inventa “film” a fumetti. Il primo è la saga de L’Incal.

«Moebius ed io – scrive – abbiamo lavorato otto ore al


giorno, per un anno, all’adattamento di Dune per il
cinema. Il progetto è fallito e il fallimento ci ha lasciato
frustrati. Tutto quello che avevo inventato per lo script di
Dune, l’ho recuperato per l’Incal. Quello che è
importante è che Moebius ed io siamo arrivati a vibrare
all’unisono. […] Quel che ho cercato di fare con l’Incal,
è di costruire una storia di fantascienza a partire da un
atto apparentemente insignificante che prenderà in seguito proporzioni
enormi […], un intrigo poliziesco dallo scioglimento cosmico (e comico), alla
Philip K. Dick, spinto alle sue ultime conseguenze: la scomparsa e la
completa metamorfosi dell’universo […].»

La collaborazione fra Jodorowsky e Moebius continua


fino a tutta la prima metà degli anni ’80 e produce alcuni
fra i più bei fumetti del periodo, pubblicati
prevalentemente sulla rivista francese Metal Hurlant. Nel
1979 intanto, il regista rompe temporaneamente
l’isolamento cinematografico e gira Tusk (Zanna), tratto
dal romanzo dello spagnolo Abellio. Il film recupera

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memorie circensi dello stesso Jodorowsky, raccontando la storia di un


elefante: il risultato è discutibile e sa di déja vu; il successo è minimo.

Jodorowsky ripiomba nel silenzio per altri dieci anni. Solo nel 1989
finalmente, il produttore italiano Claudio Argento, fratello di Dario, gli
finanzia il film Santa Sangre. Per quanto sempre interessante, quest’ultima
fatica reca a tratti certe goffaggini da film di genere: l’invenzione visionaria
resta valida e multiforme, ma l’autentica ispirazione non sempre trionfa; si
ripetono con qualche stanchezza le ossessioni abituali dell’autore: il circo;
gli handicappati e i freaks; le metafore cristiche più o meno blasfeme; le
sette e le congreghe religiose o esoteriche. Ma dove un tempo vi era
genuina provocazione visiva ed intellettuale, ora sembra prevalere un
onesto artigianato da manierista del kitsch, da scrupoloso confezionatore di
horror con relativa, abbondante, esposizione di sanguinacci e macellerie
varie.

Questa volta il nuovo tentativo di Jodorowsky, con tutti i limiti e le più o


meno astute concessioni alla cassetta, si rivela fortunato. Negli anni
successivi gira ancora The Rainbow Thief (Il ladro dell’arcobaleno),
sorta di fiaba ambientata fra i clochard parigini, con un cast d’eccezione:
Peter O’Toole, Omar Sharif, Christopher Lee. Mentre è annunciato come
imminente The Sons of El Topo (I figli di El Topo), seguito del suo
western del 1971.

Nel frattempo continua con successo l’attività di autore di fumetti e di


romanziere: nel 1996 è stato tradotto in italiano, per Feltrinelli, Quando
Teresa si arrabbiò con Dio, sorta di biografia/epopea mitica che segue la
famiglia Jodorowsky dalle steppe del Dnepr alle pampas sudamericane, fra
stregoni, incantatori di serpenti ed attentatori anarchici, cappelle incantate e
bordelli, scioperi di minatori e cariche della polizia. Da poche settimane poi
Mondadori ha finalmente tradotto addirittura una sua esposizione e
reinterpretazione mitica dei Vangeli.

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Se l’artista è poliedrico e affascinante però, non è da meno

lo Jodorowsky uomo. Figura straordinaria che emerge prepotentemente


dall’interessante volume Psicomagia: una terapia panica, edito sempre
da Feltrinelli nel 1997: una lunga conversazione con l’amico Gilles Farcet.
Capitolo dopo capitolo vengono passate in rassegna le molteplici
esperienze dell’autore – la poesia, il teatro, il sogno, la magia ed infine la
psicomagia -, viste come un percorso personale unitario volto ad un fine:
l’elaborazione di questo nuovo metodo – un po’ magia laica, un po’
psicoterapia aperta al sovrannaturale – capace per mezzo di un atto
paradossale, catartico e simbolico, di liberare il “paziente” da problemi
psichici o fisici anche gravi. La terapia, che sembra molto efficace, metterà
in crisi sia gli psicanalisti che i fattucchieri, essendo completamente
disinteressata e gratuita; Jodorowsky puntualizza di guadagnare già
abbastanza con il suo lavoro e di non aver bisogno di denaro anche dai
suoi pazienti: l’unica retribuzione richiesta è una lettera in cui questi
riassumono precedenti e risultati del loro caso,

«nell’essere costretta a scrivermi un resoconto dettagliato, la persona paga


un prezzo e io lo ricevo».

Il metodo rielabora vari esperimenti condotti da Jodorowsky durante le


sessioni del Cabaret Mystique, sorta di conferenza-happening, tuttora
animata da lui (e ultimamente più spesso dai suoi figli) a Parigi tutti i
mercoledì. L’ingresso è gratuito e vi assistono cinquecento spettatori ogni
settimana. Al termine dei volontari tra il pubblico fanno una colletta per
pagare l’affitto della sala. Poco prima della sessione, e sempre gratis,
Jodorowsky legge i tarocchi (il suo criterio è esclusivamente psicologico e
non divinatorio – precisa) ad una trentina di persone: queste, come
pagamento, dovranno, al termine della lettura, tracciare con l’indice la
parola ‘grazie’ sul palmo della sua mano.

Come si può intuire anche solo da questi brevi accenni, il personaggio e la


“filosofia” che emergono da questo libro, sono assolutamente irresistibili ed
eccentrici rispetto a tutte le etichette note, siano le più astruse terapie

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psicologiche ed analitiche, l’occultismo o il supermarket new age. Non c’è


spazio per soffermarci sulle molte pagine che restano indelebili nella
memoria: le notevoli esperienze di “sogno lucido” e di controllo del sogno;
l’incontro fantomatico con Carlos Castaneda; il lungo apprendistato come
assistente della bruja messicana Pachita, così simile ad un personaggio dei
suoi film; gli incredibili ‘atti psicomagici’ che risolvono (o talvolta non
risolvono) numerosi casi “clinici”. Una lettura, crediamo, assai utile, in cui si
può trovare molta saggezza e molta follia, in cui – come dice l’autore
parlando di Castaneda – “se c’è imbroglio, è imbroglio sacro…”.

E proprio questo “clown mistico”, “ciarlatano trascendentale”, “professore di


immaginazione”, “imbroglione sacro”, pensa bene di ricordarci con sano
realismo, alla fine del libro, che

«Qualsiasi terapia è solo parziale […] esiste solo una cura globale:
incontrare Dio».

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