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Ciro Lo Muzio
Ciro Lo Muzio Ciro Lo Muzio
ARCHEOLOGIA DELL’ASIA
CENTRALE PREISLAMICA ARCHEOLOGIA
L’Asia centrale è un territorio vasto e malnoto ai non specialisti, oggi diviso tra le DELL’ASIA CENTRALE

ARCHEOLOGIA DELL’ASIA CENTRALE PREISLAMICA


repubbliche centroasiatiche dell’ex Unione Sovietica, ora indipendenti, e la provin-
cia autonoma del Xinjiang, in Cina. Culla di barbarie e perpetua fonte di minacce
nell’immaginario e nelle fonti storiche dell’Iran, dell’India e della Cina, l’Asia centrale
PREISLAMICA
è terreno di indagine archeologica sin dalla fine dell’Ottocento e, da qualche de-
cennio, con un crescente coinvolgimento della comunità scientifica internazionale. Dall’età del Bronzo al IX secolo d.C.
In questo volume si presentano i temi salienti della storia culturale della regione,
dalla protostoria alla vigilia della conquista araba: le culture dell’età del Bronzo e del
Ferro; le testimonianze materiali della presenza greca; l’impatto del nomadismo; le
tradizioni religiose locali e la diffusione del buddhismo; la fioritura delle arti figurative,
MONDADORI
in particolare della pittura murale, a Samarcanda e in altre città della regione, e nei
U N I V E R S I T À
monasteri buddhisti disseminati lungo la «via della seta», in Xinjiang.

Ciro Lo Muzio è professore associato di Archeologia e storia dell’arte dell’India e dell’Asia centra-
le all’Università di Roma, Sapienza. Dal 1995 al 2009 è stato membro della Missione archeologica
italo-uzbeca (Sapienza) nell’oasi di Bukhara, Uzbekistan. Gran parte dei suoi lavori scientifici è de-
dicata all’iconografia dell’Asia centrale preislamica e del Gandhāra, in particolare alla genesi della
pittura murale in queste regioni e alla diffusione di iconografie dal mondo greco-romano, dall’Iran
e dall’India nell’arte centroasiatica.

Prezzo al pubblico
Euro 44,00

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Archeologia
dell’Asia centrale preislamica

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Ciro Lo Muzio

Archeologia
dell’Asia centrale
preislamica
Dall’età del Bronzo al IX secolo d.C.

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© 2017 Mondadori Education S.p.A., Milano
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Coordinamento redazionale Alessandro Mongatti
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Impaginazione Oldoni Grafica Editoriale s.r.l.
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Progetto copertina Alfredo La Posta

Prima edizione Mondadori Università, aprile 2017


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2021 2020 2019 2018 2017

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riprodotti in questo volume, l’editore è a disposizione degli aventi diritto che non si sono
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non voluti errori e/o omissioni nei riferimenti relativi.

Lineagrafica s.r.l. – Città di Castello (PG)


Stampato in Italia – Printed in Italy – Aprile 2017

In copertina: Akchakhan Kala (Uzbekistan). Frammento di dipinto murale.

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Indice

Introduzione 1

Capitolo 1. L’età del Bronzo 9


1. Il Bronzo Antico 10
2. Il Bronzo Medio e Tardo: la civiltà dell’Oxus 14
2.1 Gonur 18
2.2 Togolok 20
2.3 Sapalli Tepe 22
2.4 Jarkutan 24
2.5 L’oasi di Dashli 26
2.6 I sigilli 29
2.7 Il Bronzo delle steppe 31
2.8 La fine della civiltà dell’Oxus 35
Bibliografia di approfondimento 36

Capitolo 2. L’età del Ferro 37


1. Ulug Depe 38
2. Koktepe e Afrasiab 40
3. Siti della Battriana 43
4. La Chorasmia: siti del «periodo achemenide» 46
5. Il delta del Sir Darya 49
6. Sulla presenza achemenide in Asia centrale. Il Tesoro dell’Oxus 54
Bibliografia di approfondimento 55

Capitolo 3. I greci in Asia centrale 56


1. Riscontri archeologici 57
2. Ai Khanum 60
3. Samarcanda 71
4. Takht-i Sangin 73
Bibliografia di approfondimento 77

Capitolo 4. Migrazioni etniche e potentati autoctoni 78


1. Nomadi e migranti in Transoxiana 80
1.1 Un’archeologia funeraria 83
1.2 Necropoli della Battriana: la valle di Bishkent e Tillia Tepe 85
1.3 Necropoli della Sogdiana: oasi di Bukhara, Koktepe, Orlat 90
2. Chorasmia, Parthyene e Margiana 93
2.1 Koy Krilgan Kala 96
2.2 Akchakhan Kala 101
2.3 Le ostoteche chorasmiane 104
2.4 La Parthyene: Nisa 106
2.5 La Margiana 114
Bibliografia di approfondimento 116

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VI Indice

Capitolo 5. I Kushana 117


1. Epigrafia, numismatica e politica religiosa 118
2. I siti 122
2.1 Khalchayan 122
2.2 Surkh Kotal 130
2.3 Termez 134
2.4 Dalverzin Tepe 138
2.5 Dilberjin 143
Bibliografia di approfondimento 149

Capitolo 6. L’Asia centrale occidentale tra il III e il V secolo 150


1. Il Tokharestan dalla conquista sasanide agli Eftaliti 150
2. La Chorasmia 155
2.1 Toprak Kala 156
3. Sogdiana (I): l’oasi di Bukhara 163
3.1 Bukhara 165
3.2 Uch Kulakh 167
4. Sogdiana (II): la regione del Kashka Darya 173
4.1 Erkurgan 173
4.2 Sangir Tepe 175
4.3 La coroplastica 181
Bibliografia di approfondimento 183

Capitolo 7. La diffusione del buddhismo 184


1. Battriana/Tokharestan 185
1.1 Kara Tepe 189
1.2 Fayaz Tepe 198
1.3 Dalverzin Tepe 204
1.4 Dilberjin 206
1.5 Il buddhismo nel Tokharestan altomedievale:
Kala-i Kafirnigan e Ajina Tepe 207
2. Margiana 215
3. Sogdiana, Semireč´e e Ferghana 221
Bibliografia di approfondimento 228

Capitolo 8. L’Asia centrale occidentale tra il VI e l’VIII/IX secolo 229


1. I Turchi 230
1.1 Testimonianze archeologiche in Asia centrale occidentale 231
2. Tokharestan 235
2.1 Balalik Tepe 235
2.2 Tavka 238
2.3 Dilberjin: il «complesso nord-orientale» 239
2.4 Fortezze del Wakhan 245
3. Sogdiana 247
3.1 L’oasi di Bukhara: Varakhsha, Paykend, Vardanze 247
3.2 Varakhsha 248
3.3 Paykend 251
3.4 Vardanze 252
3.5 Afrasiab 253
3.6 Penjikent 263
3.7 Kafir Kala 281

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Indice VII

3.8 Ustrushana 283


3.9 Le ostoteche sogdiane 287
4. Chorasmia 290
Bibliografia di approfondimento 293

Capitolo 9. Asia centrale orientale: generalità 294


1. Protostoria 294
1.1 Necropoli dell’età del Bronzo 299
1.2 Un sito fortificato dell’età del Ferro: Jumbulaq Qum 306
2. La «via della seta» 309
3. Il buddhismo nel Xinjiang 313
Bibliografia di approfondimento 316

Capitolo 10. Il bacino del Tarim: il settore meridionale 317


1. Da Loulan a Niya 317
1.1 Loulan 319
1.2 Miran 324
1.3 Endere 337
1.4 Niya 339
2. L’oasi di Khotan e il bacino del Keriya 342
2.1 Rawak 347
2.2 Dandan Oiliq 350
2.3 Altri siti dell’oasi di Khotan 357
2.4 Bacino del Keriya: Qaradong 360
Bibliografia di approfondimento 366

Capitolo 11. Il bacino del Tarim: il settore settentrionale 367


1. Kashgar 367
2. Tumshuq 372
3. L’oasi di Kucha 376
3.1 L’architettura rupestre 377
3.2 La pittura 383
3.3 Subashi e Duldur Aqur 390
4. Qarashahr 394
5. La regione di Turfan 399
5.1 Qocho 400
5.2 Yar 404
5.3 Bäzäklik 406
Bibliografia di approfondimento 407

Appendice cartografica 409


Bibliografia 417
Indice analitico 447
Fonti e crediti figure 461

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Introduzione

L’intento di questo manuale è quello di fornire uno strumento di stu­


dio nell’ambito dei corsi universitari, utile, tuttavia, anche a chiunque,
per interessi accademici o di altro genere, volesse avvicinarsi alle cultu­
re antiche di una regione poco nota e dai confini incerti, qual è l’Asia
centrale. L’assenza di testi di carattere generale sull’archeologia di que­
sta parte dell’Asia (non solo nella nostra lingua) incoraggia in chi scrive
la speranza che con la pubblicazione di questo volume la lacuna sia al­
meno provvisoriamente colmata.
Situata tra l’Iran, l’India, le steppe euroasiatiche e la Cina, l’Asia
centrale è un’area vastissima dai contorni geografici sfuggenti, e caratte­
rizzata, in tutta la sua storia, da dinamiche culturali atipiche, che per gli
studiosi del settore si traducono non di rado in vere sfide metodologiche.
Nei capitoli che seguono il lettore ne avrà numerosissimi esempi; a que­
sta introduzione spetta, invece, il compito di offrire alcune nozioni di
base, utili ad acquisire familiarità con la materia.
«Asia centrale», espressione eminentemente geografica, ha un’ac­ce­
zio­ne che nelle diverse tradizioni di studi, e in base alle diverse visioni
geo­po­li­ti­che che queste esprimono, può subire oscillazioni anche si­gni­
fi­ca­tive. Nel lessico degli autori russofoni, non solo in ambito ar­cheo­
logico, coesistono due espressioni che, sebbene apparentemente sinoni­
miche, designano due distinte porzioni del territorio centroasiatico.
Srednjaja Azija («Asia centrale» o «Asia media») indica quella parte
dell’Asia centrale che fu dominata dai russi e che, successivamente, en­
trò a far parte dell’Unione Sovietica; dunque le odierne repubbliche ex
sovietiche d’Asia centrale, con l’aggiunta della parte settentrionale
dell’Afghanistan. Central´naja Azija designa invece i territori a est dei
confini sovietici (o ex sovietici, visto che la distinzione è tuttora con­sue­
ta), dunque il Xinjiang Uyghur (o Asia centrale cinese), la Mongolia e,
più a est, la regione dell’Ordos. Della distinzione vigente nella lettera­
tura russofona ritroviamo due calchi nella lingua tedesca – anche se so­
lo, per motivi comprensibili, nella ex Germania orientale – nei termini
Mittel­a sien e Zentralasien.
Nella tradizione occidentale, con «Asia centrale» si intende general­
mente l’insieme dei territori designati dalle due espressioni russe (ma
anche qui con oscillazioni sulle quali soprassiederemo); ed è questa la
nozione cui si ispira questo manuale, e che ora descriveremo in maniera
più circostanziata.

L’Asia centrale è il territorio che si estende dal Mar Caspio, a ovest,


all’imbocco del corridoio del Gansu, in Cina, delimitato a nord dalla fa­
scia meridionale delle steppe euroasiatiche e, più a est, dalla catena del
Tian Shan; a sud, dai rilievi del Kopet Dag (che segna il confine tra Iran

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2 Introduzione

e Turkmenistan) e dell’Hindu Kush, in Afghanistan, dal Pamir, dal


Karakorum e, più a est, dalle catene del Kunlun e dell’Altin Tagh che
separano l’Asia centrale dal Tibet. Le propaggini occidentali del Tian
Shan e il Pamir creano una separazione naturale tra due grandi settori
geografici, Asia centrale occidentale e orientale. Il settore occidentale
corrisponde al territorio oggi diviso tra le Repubbliche ex sovietiche
d’Asia centrale (indipendenti dal 1991): da ovest, Turkmenistan, Uzbe­
kistan (con la Regione autonoma del Karakalpakstan), Tajikistan, Kir­
ghizstan e Kazakhstan; include, come si è già detto, anche la porzione
settentrionale dell’Afghanistan (a nord dell’Hindu Kush). Il settore
orientale coincide con la parte meridionale della Provincia autonoma
del Xinjiang-Uyghur (Repubblica Popolare Cinese), dunque con il ba­
cino del Tarim.
L’Asia centrale occidentale è solcata da due grandi fiumi, l’Amu Da­
rya e il Sir Darya, che sorgono rispettivamente nel Pamir e nelle propag­
gini occidentali del Tian Shan. L’Amu Darya nasce dalla confluenza di
due fiumi, il Vakhsh e il Panj, e scorre verso ovest, in un tracciato tortuo­
so, marcando il confine tra l’Afghanistan e le repubbliche dell’Uzbeki­
stan e del Tajikistan, quindi risale verso nord-ovest, attraversando steppe
e deserti in territorio turkmeno e uzbeco, per riversarsi nel lago d’Aral;
includendo il tratto iniziale (Panj), la sua lunghezza è di 2574 chilometri.
Nel suo medio corso l’Amu Darya è alimentato da affluenti, soprattutto
di destra (settentrionali): oltre al Vakhsh, il Kafirnigan, il Surkhan Da­
rya e lo Sherabad; da sud, cioè dall’Afghanistan settentrionale, solo due
fiumi – Kokcha e Surkhab – riversano ancora le loro acque nell’Amu Da­
rya, mentre gli altri (Kunduzab, Khulm, il Darya-i Safid e il Balkhab) si
disperdono nella lunga fascia desertica che lambisce la riva meridionale
dell’Amu Darya per una larghezza di un centinaio di chilometri.
Anche il Sir Darya trae origine dalla confluenza di due fiumi, il Na­
ryn e il Kara Darya; come l’Amu Darya, segue inizialmente una traiet­
toria est-ovest, quindi scorre in direzione nord-ovest, prevalentemente
in territorio kazaco, e si versa nel lago d’Aral. La sua lunghezza, dalla
confluenza tra il Naryn e il Kara Darya, è di 2337 km (2790 km, inclu­
dendo il Naryn).
Lo sfruttamento delle acque di entrambi i fiumi per l’irrigazione ar­
tificiale e per la creazione di riserve idriche ha una lunga storia (nel caso
dell’Amu Darya, ha inizio nell’età del Bronzo). È tuttavia a partire da
epoca sovietica che questa pratica diviene sistematica e intensiva, anche
per assecondare le esigenze della monocoltura del cotone, specie bota­
nica dalle esigenze idriche particolarmente elevate. Conseguenze, gra­
vissime, di una simile gestione delle risorse idriche e del territorio sono
l’inesorabile diminuzione della portata idrica dei due corsi d’acqua e,
soprattutto, la progressiva contrazione del lago d’Aral, la cui estensione
è ormai ridotta a meno del 10% di quella originaria. Tra l’Amu Darya e
il Sir Darya scorre un terzo fiume, lo Zaravshan (anche Zarafshan o Ze­
ravshan), di lunghezza assai inferiore, ma senz’altro degno di menzione
per l’importanza che ebbe nella storia della regione che attraversa, l’an­
tica Sogdiana. Lo Zaravshan nasce nel Pamir occidentale e, seguendo
una traiettoria est-ovest, attraversa il Tajikistan e l’Uzbekistan, dove

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Introduzione 3

lambisce la città di Samarcanda; dopo Navoi, devia il suo corso verso


sud-ovest e alimenta l’oasi di Bukhara. Originariamente uno degli af­
fluenti maggiori dell’Amu Darya, oggi lo Zaravshan si estingue nel de­
serto del Kizil Kum a circa 25 chilometri dalle sponde di quel fiume.
L’Asia centrale orientale, come si è detto, coincide con la parte meri­
dionale dell’odierno Xinjiang, delimitata dal Tian Shan, a nord, e dal
Karakorum, dal Kunlun e dall’Altin Tagh, a sud, e occupato, nella sua
parte centrale, dal Takla Makan, depressione desertica di forma ellitti­
ca, estesa per 1200 km, in direzione est-ovest, e 400 km, in direzione
nord-sud. Il corso d’acqua più importante dell’intera regione, il Tarim,
ha origine dalla confluenza dei fiumi Kashgar e Yarkand; scorre quindi
in direzione nord-est, tra la fascia pedemontana del Tian Shan e il Takla
Makan, ricevendo le acque di diversi affluenti sia di sinistra (l’Aqsu è il
più importante) sia di destra, in particolare il Khotan, che tuttavia rima­
ne in secca per buona parte dell’anno. Originariamente il Tarim rag­
giungeva il Lop Nor, un lago salato all’estremità orientale della regione,
ma per ragioni analoghe a quelle descritte a proposito dei grandi fiumi
della regione ex sovietica, già da qualche decennio il suo tratto inferiore
è prosciugato. A sud, alimentati dallo scioglimento dei ghiacci del Kun­
lun e dell’Altin Tagh, scorrono verso nord i fiumi Yarkand, Khotan, Ke­
riya, Niya e Cherchen.
Rimane invece esclusa da questa trattazione, per la netta specificità
della sua fisionomia culturale, la vasta regione delle steppe eurasiatiche,
che, a partire dall’età del Bronzo, furono territorio d’elezione per lo svi­
luppo delle culture di allevatori e, nell’età del Ferro, del nomadismo
(quindi il Kazakhstan e la parte settentrionale del Xinjiang), alle quali,
tuttavia, si farà di frequente riferimento.

Un scorcio sulle lingue può essere un primo passo per definire la fi­
sionomia culturale dell’Asia centrale antica e delle sue relazioni con il
mondo circostante. Il panorama linguistico attuale, in cui la parte del­
le lingue di ceppo turco (turkmeno, uzbeco, kazaco, kirghizo e uiguro,
per limitarsi alle lingue ufficiali) è di gran lunga preponderante rispet­
to a quelle di origine iranica (tagico, e altre lingue e dialetti del Pa­
mir), è radicalmente diverso da quello del periodo preislamico. Le lin­
gue antiche dell’Asia centrale occidentale, per lo meno quelle docu­
mentate da fonti scritte, quindi il battriano, il sogdiano e il
chorasmiano (o chorasmio), appartengono tutte al ramo orientale del­
le lingue medio-iraniche; al ramo occidentale è invece ricondotto il
partico, lingua ufficiale presso gli Arsacidi (o Parti) (III sec. a.C.-III
sec. d.C.), che, oltre all’Iran e alla Mesopotamia, dominarono la parte
sud-occidentale dell’Asia centrale (l’odierno Turkmenistan meridio­
nale); il partico fu anche una delle lingue veicolari del manicheismo,
credo religioso originatosi in Mesopotamia (III sec. d.C.) e diffusosi
anche in Asia centrale.
Chorasmiano, sogdiano e partico erano redatti in una scrittura deri­
vata dell’aramaico, lingua di cancelleria presso gli Achemenidi (VI-IV
sec. a.C.), che inglobarono nei loro domini alcune regioni dell’Asia cen­
trale; il battriano, invece, adottò l’alfabeto greco.

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4 Introduzione

Al ramo orientale delle lingue medio-iraniche appartenevano an­


che due delle lingue documentate nell’Asia centrale orientale, e tra lo­
ro imparentate (il khotanese, o saka-khotanese, e il tumshuqese); in
questa regione, tuttavia, erano diffuse anche le lingue tocarie, anche
queste di ceppo indoeuropeo ma costituenti un gruppo a se stante, e
forse presenti nella regione sin da epoca protostorica; tutte queste lin­
gue erano redatte in scritture derivate dalla brāhmī, alfabeto di origi­
ne indiana. Con il consolidamento del dominio politico turco nel terri­
torio dell’odierno Xinjiang, a partire dall’VIII secolo, si affermarono
in quest’area le lingue di ceppo turco, in particolare quella della dina­
stia egemone, l’uiguro.
A quelle autoctone si affiancarono, per lo meno in specifici contesti
culturali e sociali e in epoche diverse, lingue di altra origine. Sulla scia
della diffusione del buddhismo ebbero una certa diffusione le lingue in­
doarie: una varietà di pracrito importata dal nord-ovest del Subconti­
nente indiano (e per questo detta gāndhārī), insieme con la scrittura che
le era propria (la kharoṣṭhī), che attecchì, soprattutto nel sud del bacino
del Tarim, in contesti sia secolari sia religiosi, e il sanscrito, in cui era re­
datta una parte ingente dei testi buddhisti che circolarono in Asia cen­
trale, e che fu il veicolo della scrittura brāhmī in questa regione. Tra le
lingue «straniere» si annoverano anche il cinese e il tibetano, per lo me­
no nel bacino del Tarim, per via delle ingerenze politiche che questa re­
gione subì da parte della Cina (sin dal II-I sec. a.C.) e del Tibet (VII-
VIII secolo); a rimarcare l’importanza che queste due lingue ebbero
nella trasmissione della cultura buddhista in Asia centrale, ricordiamo
che una parte non irrilevante dei testi buddhisti centroasiatici in lingue
locali fu tradotta non da originali in lingua indiana, ma dalle loro ver­
sioni cinesi o tibetane.
Dopo un periodo di progressivo declino innescato dalla conquista
araba (tra il VII e il X secolo), le lingue autoctone dell’Asia centrale
(medio-iraniche e tocarie) si estinsero nel giro di alcuni secoli, con l’uni­
ca eccezione della lingua yaghnobī (parlata nella valle omonima, e in al­
cune zone limitrofe, nelle propaggini orientali del Pamir, in Tajikistan),
considerata una moderna sopravvivenza del sogdiano o di uno dei suoi
dialetti, ma oramai anch’essa a rischio di estinzione.
Furono i Samanidi, dinastia originaria del Khorasan orientale (IX-
XI sec.), a favorire la diffusione, in Asia centrale occidentale, del neo­
persiano, ossia della lingua allora parlata in Iran, di cui il tagico è l’o­
dierno erede, che, quindi, non ha alcun rapporto genetico con le antiche
lingue iraniche locali; nello stesso periodo, e nei secoli successivi, proce­
deva a ritmo incalzante la turcizzazione politica ed etnica di questa par­
te dell’Asia, dalla quale ha origine l’attuale mappatura linguistica
dell’intero territorio.

La forte componente iranica nella geografia linguistica dell’Asia


centrale, e in alcuni aspetti della sua cultura, ha alimentato in una par­
te degli studiosi del Novecento (ma non in quelli sovietici) la tendenza
a equiparare la regione a una periferia orientale dell’Iran; idea che
possiamo considerare archiviata grazie ai risultati della ricerca storica

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Introduzione 5

e, soprattutto, archeologica. La posizione geografica, in particolare la


contiguità con le steppe euroasiatiche, e le condizioni ambientali e cli­
matiche fanno dell’Asia centrale uno scenario sui generis, con forme
peculiari di organizzazione sociale e politica, che si definiscono sin da
età protostorica, e con una propria mentalità religiosa, che, seppur di
matrice iranica, sarebbe fuorviante assimilare al culto ufficiale dell’I­
ran, lo zoroastrismo.
A questo proposito vale la pena sottolineare come proprio in Iran
l’idea di una irriducibile diversità con le genti che abitavano i territori
al di là dell’Amu Darya sia una certezza antica. Se ne ha testimonianza
già nell’Avesta, il più importante corpus di testi sacri dello zoroastri­
smo, nell’opposizione tra due componenti antagoniste di una compagi­
ne etnica e linguistica relativamente omogenea (iranica), delle quali
tuttavia l’una, gli airya (da cui il nome «Iran» ha origine), incarna la
civiltà, e soprattutto la corretta etica religiosa (lo zoroastrismo), men­
tre l’altra, i tūirya (termine riferito a tribù centroasiatiche non meglio
identificabili, da cui sarebbe derivata l’espressione «Turan»), è
fatalmente contaminata dalla barbarie. Nelle epoche successive, in
particolare nell’epopea iranica, l’accezione sinistra di Turan è trasferi­
ta sui Turchi, che, a partire dal VI secolo, e con maggiore incisività dal
X secolo, modificarono lo scenario etnico, culturale e linguistico
dell’Asia centrale.
Al periodo in cui la turcizzazione dell’Asia centrale era ormai un fat­
to compiuto risale una delle denominazioni più comuni nelle fonti me­
dievali arabo-persiane, Turkestān (in persiano «terra dei Turchi»), nella
quale ancora ci si imbatte nella letteratura storica e archeologica, spesso
con la distinzione tra «Turkestan occidentale» (l’Asia centrale occiden­
tale o ex sovietica) e «Turkestan orientale» (il Xinjiang, detto anche
«Turkestan cinese»).
Altra espressione popolare, soprattutto nella letteratura anglofona, è
il termine Transoxiana, ossia «[i territori] al di là dell’Oxus», l’odierno
Amu Darya, che, con significato identico a quello dell’espressione araba
Mā warā’ al-nahr, riflette un punto di vista meridionale, e designa il ter­
ritorio compreso tra l’Amu Darya e il Sir Darya.
«Regioni Occidentali» (Xiyu) era, infine, la sommaria denomina­
zione che le fonti cinesi, tra il III sec. a.C. e l’VIII sec. d.C., riservava­
no all’Asia centrale, soprattutto alla sua parte più orientale (il bacino
del Tarim).

Fatta eccezione per quelle regioni che fecero più saldamente parte
dei domini greco-macedone, kushana, arsacide e sasanide, le cui vicen­
de politiche e storiche sono state ricostruite in maniera più o meno sod­
disfacente, la storia dell’Asia centrale preislamica presenta ancora lacu­
ne frustranti. Dei potentati che si divisero i suoi territori fino alla con­
quista araba spesso non conosciamo con precisione le origini, la durata
e l’estensione territoriale; non di rado ne ignoriamo il nome.
A ostacolare una ricostruzione storica accettabile, se non in aree re­
lativamente circoscritte, concorre l’assenza di fonti storiografiche autoc­
tone (se ve ne erano, non ci sono pervenute) e, in generale, la penuria di

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6 Introduzione

documenti dai quali si possano trarre informazioni storiche. Riferimen­


ti storici sulle diverse regioni dell’Asia centrale, assai variabili per affi­
dabilità e generosità di informazioni, sono forniti da fonti straniere
– greche, persiane, bizantine, cinesi, tibetane, armene, arabe, e altre –
mentre lo strumento principale per ridisegnare dall’interno, e spesso
solo nelle linee essenziali, le vicende politiche rimane la numismatica;
ma anche questo ambito di studi pone, in Asia centrale, seri problemi di
interpretazione (si pensi alle «imitazioni barbariche», serie monetali
tanto diffuse quanto sfuggenti sul piano dell’attribuzione dinastica e
della cronologia). Sebbene l’archeologia dell’Asia centrale sia ancora
uno scenario quantitativamente e qualitativamente eterogeneo, cioè in
termini sia di acquisizione ed elaborazione dei dati sia di qualità scienti­
fica dei metodi d’indagine, non è azzardato affermare che le nostre co­
noscenze su questa regione, soprattutto nel periodo preislamico, pog­
giano in gran parte sui risultati della ricerca sul terreno.

Per i motivi a cui si è appena fatto cenno, l’archeologia dell’Asia cen­


trale mal si presta a una trattazione scandita dall’avvicendarsi di dina­
stie, modalità mai esente da difetti, ma comoda, e per questo ampia­
mente utilizzata nelle panoramiche storiche e archeologiche sull’Iran,
sull’India e sulla Cina. Nel nostro caso, la trattazione della materia, e la
sua ripartizione in capitoli, è di volta in volta ispirata a criteri cronolo­
gici, geografici, politici o culturali, in senso lato. I lineamenti delle cul­
ture protostoriche dell’Asia centrale occidentale sono forniti nei primi
due capitoli, dedicati rispettivamente all’età del Bronzo (circa 3000-
1500 a.C. circa) e all’età del Ferro (1500 circa-IV secolo a.C.), la cui
parte finale («periodo achemenide», VI-IV sec. a.C.), segna, almeno se­
condo i parametri convenzionali, l’ingresso della regione nell’arena sto­
rica. L’impatto politico e culturale dei greci in Battriana e nelle aree li­
mitrofe è descritto nel Capitolo 3; nel Capitolo 4, si fornisce un quadro
archeologico delle regioni rimaste fuori dall’orbita greca e dei fenome­
ni migratori che ridisegnarono l’assetto politico dell’Asia centrale oc­
cidentale tra il III sec. a.C. e il I sec. d.C. Il Capitolo 5 è dedicato alle
testimonianze archeologiche databili al regno della dinastia Kushana
(I-III sec. d.C.); il Capitolo 6 prende in esame l’arco cronologico com­
preso tra il III e il V sec. d.C., uno dei più controversi sul piano dell’in­
terpretazione storico-politica. Il Capitolo 7 illustra i dati sulla diffusio­
ne del buddhismo (II-VIII secolo) in una trattazione unitaria, nell’in­
tento di porre in evidenza le sue dinamiche interne e la coerenza delle
forme architettoniche e artistiche che ne erano espressione. L’alto Me­
dioevo (VI-IX sec. d.C.), come viene convenzionalmente designato uno
dei periodi più brillanti della storia culturale dell’Asia centrale occi­
dentale, che tuttavia segna anche il progressivo avanzare della conqui­
sta araba, è il tema del Capitolo 8.
Gli ultimi tre capitoli sono dedicati all’Asia centrale orientale, dun­
que al Xinjiang meridionale: i recenti, notevoli progressi delle ricerche
sul periodo protostorico e la diffusione del buddhismo (Capitolo 9),
quindi i siti, monumenti e reperti notevoli dei settori meridionale (Capi­
tolo 10) e settentrionale (Capitolo 11) del bacino del Tarim.

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Introduzione 7

Com’è consueto in panoramiche così vaste, l’apparato bibliografico


pone l’autore di fronte a scelte imbarazzanti. La bibliografia che correda
questo manuale, benché corposa, rappresenta pur sempre una selezione
di titoli coerente con i criteri che hanno guidato la trattazione della ma­
teria stessa, ma che consente, a chi ne avesse interesse, di reperire ulte­
riori spunti bibliografici per per l’approfondimento di temi specifici.
Infine, una nota sulla trascrizione dei termini nelle lingue locali. I no­
mi comuni (in corsivo) e i nomi propri in lingue redatte in alfabeto diver­
so dal nostro (russo, persiano, sanscrito ecc.) sono resi secondo il criterio
di traslitterazione appropriato. Diverso è il caso della toponomastica ar­
cheologica, costituita per lo più da nomi di origine turca o iranica che,
tuttavia, nella letteratura archeologica sono noti in adattamenti russi, in­
glesi o di altre lingue; poiché una resa scientifica rigorosa, che dovrebbe
peraltro ricorrere a diversi sistemi di traslitterazione, potrebbe ostacola­
re l’identificazione dei siti o, comunque, segnare una cesura con la biblio­
grafia pregressa, si è scelto di applicare un criterio di trascrizione sempli­
ficato, ma, si spera, di sufficiente coerenza.

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