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Capitolo 8: L'evoluzione delle strutture statali

1. Gli stati regionali in Italia

Signorie e principati in Italia


All'inizio del XIV secolo, nei comuni italiano dell'area padana, ricomparve la
tendenza alla formazione di signorie personali, che portarono alla costruzione
di più ampi stati regionali intorno a una città principale. Nell'area nord-
occidentale l'autorità feudale non era stata messa in crisi dal limitato sviluppo
dell'urbanesimo, e l'iniziativa della costituzione di poteri regionali fu avviata dai
conti di Savoia, che possedevano il territorio a cavallo delle Alpi, la maggior
parte del territorio piemontese e, dal 1388, ottennero la città di Nizza, che
rappresentava uno sbocco al mare. Nel 1416 la Savoia fu elevata al rango di
ducato. Lo stesso accadeva in altre quattro città:
➢ A Verona la signoria degli Scaglieri costruì al principio del Trecento una
potenza regionale, che includeva Padova e gran parte del Veneto, ma che poi si
ridusse al solo controllo di Verona e Vicenza. Dal disfacimento di tale potenza,
sorse su Padova la signoria della famiglia feudale dei Carraresi; tale passaggio
a una dinastia stabile, comunque, fu reso impossibile dall'espansionismo di
Milano e Venezia.
➢ A Ferrara l'antica famiglia feudale degli Estensi prese stabilmente la
signoria alla fine del XIII secolo, ottenendo dall'imperatore anche un doppio
titolo ducale per Modena, Reggio Emilia e Ferrara.
➢ Dal 1328, invece, la signoria di Mantova, era in mano ai Gonzaga, ai
quali, nel 1400, fu conferito il titolo di marchesi.

Milano e i Visconti nel Trecento


L'avvio alla costituzione di uno stato regionale partì da Milano in cui, dopo molti
decenni di alternanza tra la famiglia Della Torre e la famiglia Visconti,
prevalsero questi ultimi, che mantennero la signoria dal 1277 al 1447;
l'affermazione dei Visconti su Milano, dopo il 1311, coincide con l'affermazione
di Milano su tutta la Lombardia e, successivamente, in altri territori. Nel 1378
divenne signore di Milano Gian Galeazzo Visconti che praticò una politica di
espansione territoriale tentando di unificare il centro- nord dell'Italia, e che
conquistò Pisa, Siena, Perugia e la regione Appenninica della Lunigiana. Nel
1395 Gian Galeazzo comprò il titolo ereditario di duca di Milano e si inserì nella
guerra tra la famiglia dei Carraresi e quella degli Scaglieri, facendo prevalere la
propria autorità su Padova e Verona; con il tentativo di imporre la signoria
viscontea su Bologna, venne contrastato da Firenze e dal papa, fino a che, nel
1402, riuscì a sconfiggerli entrambi e ad impadronirsi di Bologna. Con la sua
morte, avvenuta nel settembre dello stesso anno a causa della peste, finì
anche il suo tentativo egemonico. Gian Galeazzo è passato alla storia per la
propria mania di grandezza: infatti spese ingenti somme di denaro per la
costruzione di gigantesche opere di arginatura. Alla sua morte, gli succedette
prima il figlio tredicenne Giovanni Maria Visconti, che fu assassinato, e poi il
figlio minore Filippo Maria Visconti che proseguì la politica espansionistica del
padre e si scontrò con Venezia e Firenze. Con Filippo Maria Visconti si estinse la
dinastia dei Visconti, e il potere passò in mano di Francesco Sforza, che aveva
sposato Bianca Maria Visconti.
L'espansione veneziana in terraferma e il declino della potenza
coloniale genovese
Un profondo mutamento negli equilibri territoriali dell'Italia del nord fu
rappresentato dalla nuova politica di Venezia. Per secoli la città si era
interessata solamente al suo possesso di basi strategiche, militari e
commerciali, e al suo impero marittimo. Tale svolta partì nel 1405, con una
robusta spinta al controllo dell'entroterra veneto e con la conquista di Padova,
Vicenza, Verona, Brescia e Bergamo. Questa svolta nasce dalla volontà di
contrastare l'espansionismo visconteo nella regione veneta. Il Veneto era molto
importante sia per le strade che portavano direttamente in Germania e in
Austria, sia per la necessità di creare uno “stato di terra” da aggiungere allo
“stato di mare” in vista della caduta di Costantinopoli. Fra le grandi potenze
cittadine, Genova fu quella che ebbe una vita politica più agitata. Nel 1350 la
città accettò la signoria dei Visconti ma, a causa di continui rovesciamenti di
potere, non ebbe alcun miglioramento. Nel secolo successivo, di fronte
all'espansione turca, Genova vide cadere tutti i suoi possedimenti nel
Mediterraneo e, nel 1453, fu completamente annientata dagli ottomani, guidati
da Maometto II.

Firenze: dalla repubblica oligarchica alla signoria dei Medici


Al termine del XII secolo, a Firenze si stabilì un regime politico antiaristocratico
molto avanzato, che si basava sulla partecipazione al governo delle
corporazioni dei mercanti e degli artigiani. Sebbene le istituzioni popolari di
Firenze sembravano più forti di qualsiasi altra regione, esse decaddero molte
volte sotto un regime signorile, testimoniando che le lotte di fazione non erano
terminate. Nel 1433 i conflitti interni alla classe dominante si inasprirono,
permettendo alla famiglia dei Medici di scalzare dal potere il vecchio gruppo
dirigente capeggiato dalla famiglia degli Albizzi. Nel 1434 Cosimo de Medici
tornò a Firenze dopo un anno di esilio e, a sua volta, esiliò i suoi avversari. Dal
1434 al 1464, Cosimo mantenne la signoria dello stato di Firenze senza
apportare profondi cambiamenti istituzionali e senza abbandonare i propri
interessi commerciali. La costruzione di uno stato regionale a Firenze andò
avanti: verso il 1420 lo stato di Firenze comprendeva circa i due terzi
dell'attuale Toscana.

Il ritorno del papa a Roma e la formazione dello Stato della


chiesa
Intorno alla metà del Trecento sembrò che a Roma dovesse sorgere una forma
originale di comune su iniziativa di Cola di Rienzo, capace non solo di
trascinare a se le folle, ma anche di coinvolgere nei suoi sogni un letterato
come Francesco Petrarca, il papa e l’imperatore. In realtà il papa sperava di
servirsi di Cola per abbattere il potere della nobiltà romana. Ma i duri metodi di
governo attuati da Cola gli inimicarono la plebe che, nel 1354, lo uccise
durante una sommossa. Il papa, tornato da Avignone a Roma nel 1377,
possedeva ormai solo il Lazio, mentre gli altri territori pontefici erano soggetti
all'alternanza di regimi signorili instabili e tirannici. Approfittando della
debolezza e delle anarchie delle altre città, i papi cominciarono a fondare il loro
stato: alla fine del XV secolo lo Stato della Chiesa era quasi costituito.
Il regno di Napoli e la dinastia aragonese
Accanto ai quattro stati principali (Milano, Venezia, Firenze, Roma), ne esisteva,
nella penisola italiana, un quinto territorialmente più esteso: il regno di Napoli e
Sicilia. Esso era stato costituito nel 1266 dalla famiglia degli Angioini che, però,
non seppero garantire stabilità al regno in cui si alternarono periodi di completa
decadenza a periodi di espansionismo. Alla fine, nel 1422, la dinastia
d’Aragona, con Alfonso V detto il Magnanimo, mise piede a Napoli, conquistò la
Sicilia e anche la Sardegna.

Il moderno sistema della finanza pubblica negli stati italiani


Gli stati italiani si dotarono con grande anticipo (XIII-XIV secolo) rispetto alle
monarchie europee, di istituzioni politiche, giuridiche e amministrative
moderne; ciò accadde particolarmente nel settore della finanza pubblica e del
fisco. Molti sovrani europei, per far fronte alle spese extra, ovvero per coprire il
deficit dello stato (deficit: l'ammontare della spesa pubblica che non si riesce a
coprire con le entrate poiché queste ultime sono superate dalle uscite),
contraevano prestiti a breve termine e ad altissimi tassi d’interesse presso i
banchieri italiani, potendo da un momento all’altro dichiarare bancarotta e,
quindi, mandare in rovina i propri creditori. Al contrario gli stati italiani
preferivano il debito pubblico: prestiti da un mercato molto ampio, che
dovevano esser restituiti con gli interessi. Questo sistema del debito pubblico si
differenziava dai debiti che affliggevano i sovrani europei: esso, infatti, divenne
una forma di investimento con una remunerazione del capitale non molto alta,
ma ben più sicura di ogni altra forma d’affare. Una seconda istituzione tipica
degli stati italiani fu l’estimo, ovvero il complessivo equivalente in moneta dei
beni appartenenti ad una famiglia, che costituivano il reddito sul quale veniva
calcolata l'imposta diretta da pagare in una certa percentuale: l'aliquota
d’imposta.

2. Dalle guerre di egemonia all'equilibrio italiano

Compagnie mercenarie e innovazioni militari


Dalla fine del XIV secolo esistevano in Italia 5 grandi stati (Milano, Venezia,
Firenze, Roma e Napoli e Sicilia) continuamente impegnati in guerre
d’espansione. Queste guerre erano caratterizzate da alleanze instabili che
potevano rompersi all’improvviso, e dalla presenza di truppe mercenarie di
cavalieri tedeschi ed inglesi che percorrevano la penisola offrendo il loro
servizio a chi li pagava di più, e procurando molti problemi alle popolazioni civili
quando restavano disoccupati. Le compagnie straniere introdussero in Italia
importanti innovazioni militari: la combinazione tattica di fanteria e cavalleria,
e l’uso della balestra; esse seguivano efficaci principi di professionalità e
disciplina. Da allora gli stati italiani cominciarono a preferire compagnie con il
singolo “condottiere”. Questo termine deriva da “condotta”, parola con cui si
indicava il contratto di assunzione a un pubblico impiego. Il condottiere, oltre
ad avere il ruolo di “imprenditore della guerra” e di unico capo dei contingenti
militari, provvedeva ad arruolare e a pagare i soldati. Grazie a queste
compagnie inquadrate sotto l’autorità di comandanti esperti e capaci di farsi
obbedire, diminuirono i saccheggi nei villaggi, e i tradimenti per passare dalla
parte di chi pagava meglio; in ogni caso, alla scadenza del contratto, le
compagnie erano libere di scegliersi un altro datore di lavoro. La nascita di
queste compagnie di ventura comandate da un singolo condottiere furono
considerate dagli scrittori politici di quel tempo come un segno della decadenza
dello spirito civico negli stati italiani. L'uso di assumere condottieri di
professione si diffuse solo in Italia, mentre negli altri paesi si mantenne la
cavalleria tradizionale che, nel corso del XIV secolo, contò parecchie sconfitte;
l’Italia era quindi superiore. I capitani di ventura italiani provenivano da
famiglie della piccola nobiltà, e si procurarono la fama di uomini infidi per la
loro tendenza a tradire in favore di chi li pagava di più. Gli stati italiani furono
molto riconoscenti a questi condottieri al punto di far erigere in loro onore state
equestri da grandi artisti.

Le guerre di predominio e l'età dell'equilibrio in Italia con la pace


di Lodi
I condottieri assunsero un ruolo determinante nelle fasi più acute delle guerre
di egemonia tra gli stati italiani, come quella suscitata dall’espansionismo di
Gian Galeazzo Visconti e quella tra Angioini e Aragonesi per il controllo del
regno di Napoli. Nel 1454 fu ristabilito l’equilibrio con la pace di Lodi che venne
formalmente rispettata per quarant’anni, anche se, in realtà, dietro l'equilibrio
proseguiva la rivalità tra i diversi stati italiani. I vari stati italiani, dopo decenni
di guerre in cui cercano di prevalere gli uni sugli altri, si rendono conto del fatto
che nessuno di loro è sufficientemente forte, economicamente e militarmente,
da riuscire a sconfiggere tutti gli altri coalizzati insieme; quindi tutte le guerre
cessano. La pace di Lodi segnò una fase di equilibrio pacifico che verrà
interrotto poco dopo poiché i principi italiani riprenderanno a complottare e
combattere tutti contro tutti. Questo loro atteggiamento poco intelligente, e il
sorgere di nuove dinastie nazionali impegnate nella costruzione di entità statali
più solide di quelle degli stati italiani, porterà alla totale distruzione di questi
ultimi e alla perdita dell'indipendenza.

3. Le dinastie moderne nell'Europa occidentale

La Borgogna di Carlo il Temerario e i suoi conflitti con Luigi XI


Dopo la riconciliazione con Carlo VII di Francia, avvenuta nel 1435, Filippo il
Buono di Borgogna ottenne diversi territori che lasciò in eredità al figlio Carlo il
Temerario. Carlo il Temerario, per trasformare questo grande complesso politico
ed economico che aveva ereditato in una grande potenza statale, mirò al
superamento dei suoi principali elementi di debolezza, ovvero mirò ad
aumentare l’unità amministrativa esistente, servendosi dell’arma del terrore e
sottomettendo, nel 1468, la ribelle Liegi, e a risolvere la discontinuità
territoriale, conquistando le città rimaste autonome dei Paesi Bassi e il ducato
di Lorena. La politica espansiva di Carlo riaprì il conflitto con Luigi XI. I due
combatterono l'uno contro l'altro, direttamente o indirettamente, in diverse
battaglie, fino al 1477 quando Carlo fu sconfitto a Nancy e morì; così Luigi XI
annesse la Borgogna e altri feudi al territorio francese. Tuttavia in quell’anno il
matrimonio tra Maria di Borgogna, figlia di Carlo, e Massimiliano d’Asburgo,
erede del ducato d'Austria, fermò l'azione francese: infatti le Fiandre e i Paesi
Bassi furono portati in dote alla giovane e di conseguenza passarono nelle mani
della dinastia borgognona.

La guerra delle Due Rose e l'avvento dei Tudor in Inghilterra


In Inghilterra, dopo la Guerra dei Cento Anni, si ebbe un periodo di crisi
dinastica e di violente guerre civili. Nel 1453 Enrico VI di Lancaster cominciò a
dare segni di squilibrio mentale e fu deposto da un altro ramo della famiglia
reale, gli York, anch'essi, come i Lancaster, discendenti dei figli cadetti del Re
Edoardo III. Tra le due fazioni nacque una guerra civile, denominata “guerra
delle Due rose”, in quanto, i Lancaster e gli York, usarono come emblema
rispettivamente le rose rossa e bianca. Questa guerra civile si concluse nel
1485 con l’affermazione della dinastia dei Tudor, con Enrico VII. Enrico VII
procedette alla ricostruzione di un apparato statale che fosse in grado di
competere con gli altri stati; ristabilì buoni rapporti con gli altri stati europei,
inaugurò una politica aperta nei confronti della nuova classe borghese e riportò
l'Inghilterra nei circuiti commerciali europei.

4. Le forme dello stato moderno

Dalle monarchie medievali allo stato moderno


A seguito del Portogallo, in Aragona, Castiglia, Francia ed Inghilterra, tra il 1474
e il 1485, si avviò la costruzione dello stato, un opera che impiegò secoli per
definirsi, e che vide nei decenni intorno al 1500 il decisivo passaggio dalle
monarchie medievali allo stato moderno. La nuova idea della politica che
permise il passaggio allo stato moderno, e i mezzi di cui i principi si servivano
per acquisire il potere, quali astuzia, inganno e violenza, furono delineati da
scrittori e pensatori politici, tra cui Machiavelli (nella sua opera più nota “il
Principe”). Il nuovo modo di pensare e praticare la politica, portò i principi a
costruire strutture stabili, che erano alla base del loro successo.

Il monopolio statale della giustizia


I principi del XV secolo non avevano alcun diritto nel campo canonico che
regolava la materia matrimoniale e familiare, in quanto esso era in mano della
chiesa. Loro pretendevano, però, il pieno monopolio sul diritto penale, sul
tradimento, e su tutto ciò che turbava la pace sociale. Cominciarono pian piano
a spodestare le autorità feudali, ottennero il monopolio pieno sull’ “alta
giustizia”, ovvero sui delitti e sulla pena di morte, mentre, per ottenere il
potere della “bassa giustizia”, ovvero il diritto di applicare multe e pene
corporali, occorse più tempo.

Il sistema delle finanze pubbliche


Alle risorse dei grandi patrimoni conquistati o ereditati, i re feudali poteva
aggiungere i redditi provenienti dalle imposte indirette fatte pagare ai mercanti
nei dazi. Fino a quando l'esercito aveva potuto contare sui servizi dovuti ai
vassalli, i bisogni finanziari del sovrano non erano stati elevati, ma dal XIV
secolo l'impiego di truppe mercenarie aveva reso molto più costose le guerre.
Per aumentare le proprie risorse i re avevano a disposizione tre vie:
➢ La manipolazione monetaria, ovvero la coniazione fraudolenta di monete
più leggere e con una lega scadente, con le quali saldare i debiti e compiere
pagamenti;
➢ L'introduzione di nuove imposte;
➢ La richiesta di prestiti ai mercanti, come avevano fatto i re inglesi con le
banche fiorentine.
Fra le imposizioni fiscali la più efficace era quella indiretta, che colpiva tutte le
famiglie del regno e colpiva i beni di prima necessità (gabella del sale,
pedaggi), e veniva scaricata dai mercanti sui sudditi, i quali dovettero
sopportare l’aumento dei prezzi. Nel XIV secolo i re poterono tentare di imporre
delle autentiche e regolari imposte dirette: le taglie. Le taglie colpivano tutte le
famiglie del regno; una taglia copriva un fuoco, ovvero una famiglia. Tuttavia,
far pagare le taglie era molto difficile, in quanto i sovrani non erano in grado di
farsi un'idea dell'effettiva ricchezza dei loro sudditi, soprattutto quando si
trattava di possedimenti di terre. Ma grazie ai metodi d'avanguardia italiani, gli
stati crearono il catasto, ovvero un registro nel quale si elencavano e si
descrivevano i possedimenti di terre, i luoghi e i confini, i nomi dei proprietari e
le relative rendite su cui si calcolavano le tasse e le imposte.

Il rinnovamento dei sistemi militari


Fino XIII secolo, le guerre erano state caratterizzate dalla discontinuità e dalla
tregua. Ad esse prendevano parte eserciti formati da pochi cavalieri, fanti e
contadini, che venivano strappati con la forza dalle campagne e venivano
mandati in campo ad azzuffarsi senza un piano di battaglia preciso e con armi
primitive; in una più alta collocazione, vi erano i “signori della guerra”, ovvero
gli aristocratici che andavano in guerra per soddisfare i propri doveri d'onore e
il proprio gusto per la violenza. Dopo un secolo, i re iniziarono a preferire altri
tipi di eserciti composti da mercenari o coscritti. Poiché erano i re gli unici a
possedere le risorse finanziare per sostentare un esercito, l’anarchia nobiliare,
che in vari stati stava dilagando, sarebbe dovuta diventare sempre meno
significativa: tutto ciò si concretizzò maggiormente a partire dalla metà del XIII
secolo, quando, accanto alle truppe mercenarie, comparvero le armi da fuoco e
di conseguenza la polvere da sparo, invenzione cinese risalente al XI secolo. I
cannoni vennero introdotti solo nel XIV secolo e furono presenti nelle battaglie
della guerra dei Cento anni. Sorsero dei problemi sui metodi di costruzione dei
cannoni, poiché, per diminuire i tempi di produzione, era necessario fondere il
bronzo, un'operazione molto costosa; sorsero dei problemi anche per quanto
riguarda i metodi di trasporto: i cannoni richiedevano traini potenti, decine di
cavalli per ognuno di essi, senza contare il trasporto delle munizioni. Tra il 1300
e il 1400 i cannoni erano usati, più che come armi per uccidere, come armi per
incutere paura agli avversari. Nel XIV secolo, però, l’artiglieria si divise in:
• artiglieria da campo: mirava a falciare le file del nemico. Questo tipo di
artiglieria aprì le porte allo sviluppo di armi sempre più piccole, fino allo
sviluppo delle armi portatili, ovvero gli archibugi;
• artiglieria d'assedio: mirava ad abbattere le difese murarie e mantenne
grandi dimensioni.
Il ridimensionamento del ruolo della cavalleria, oltre che dalle armi da fuoco,
dipese anche dalla scelta di una nuova tattica della fanteria. Infatti, di fronte a
un folto quadrato di fanti armati di lunghe picche e alabarde, la cavalleria era
destinata ad essere sconfitta, come accadde infatti alla cavalleria di Carlo il
Temerario durante la guerra conto i cantoni svizzeri.
Il ceto degli ufficiali del re
Gli “ufficiali” del re erano dei funzionari pubblici che rendevano possibile il
funzionamento della macchina statale. Un esempio del ceto sociale degli
ufficiali è rappresentato dai membri del parlamento di Parigi, il più importante
organo giudiziario francese, con funzioni di corte giudicante per reati gravi, e di
corte d’appello per reati inferiori. Ma soprattutto, il parlamento di Parigi, aveva
il compito di registrare gli atti del re, e dichiarare la loro legittimità, ovvero la
conformità alle leggi supreme del regno, che neanche il re poteva mutare (per
esempio le leggi che regolavano la successione della corona); furono, infine, i
difensori del potere assoluto del sovrano. E' proprio nell'ambito di questo ceto
di giuristi al servizio dello stato che viene elaborato il concetto di sovranità. I re
venivano chiamati abitualmente “sovrano”, e costituiva il vertice supremo nella
gerarchia dei rapporti di subordinazione e fedeltà. L’idea di sovranità, invece,
indicava un potere che non riconosce nessun altro potere autonomo né tanto
meno superiore: un potere derivato solo da se stesso e che non ha bisogno di
alcuna legittimazione da parte di altri poteri (impero e papato). Della stessa
importanza erano le conseguenze dell'idea di sovranità all'interno del regno. Un
regno medievale era composto da ceti, corpi, ordini e “stati”, che
rivendicavano ognuno precisi privilegi ed autonomie. Attraverso le
rappresentazioni nei parlamento, gli “stati”, ottenevano che i re ascoltassero il
loro consiglio, e sollecitassero la loro approvazione.

L'ufficio pubblico come possesso personale


Lo stato, nel XV secolo, aveva compiuto grandi progressi ma, tuttavia, per
quanto riguarda certi aspetti era ancora a metà strada. Per esempio, le cariche
dei funzionari della giurisdizione o della finanza, ormai diventati un corpo
qualificato con competenze tecniche nel campo del diritto e
dell'amministrazione, tendevano a diventare veri e propri possessi di famiglia,
trasmissibili ereditariamente; inoltre, specialmente in Francia, esse venivano
comprate e vendute come un qualsiasi altro bene. Da esse ci si aspettava un
reddito alto, e per ciò venivano comprate a caro prezzo: la distinzione tra
stipendio e corruzione non esisteva ancora.

4. Gli stati europei alla fine del XV secolo

La Francia: la formazione della struttura statale


Alla fine del XV secolo lo stato più esteso, popolato e forte d'Europa era la
Francia. La dinastia dei Valois aveva trionfato sui Borgognoni, e nel 1491 il
sovrano Carlo VIII aveva sposato Anna di Bretagna, creando un forte rapporto
con questo ducato. La Francia, in questo periodo, era lo stato organizzato
meglio, in cui i poteri erano accentrati nelle mani della monarchia.
L’amministrazione della giustizia era stata sottratta quasi del tutto alla nobiltà,
e i giudici erano di nomina statale e facevano capo ai parlamenti. Le risorse
finanziare dello stato non dipendevano più dagli Stati Generali, ma dal consiglio
del re. Gli alti funzionari di stato entrarono a far parte della classe dirigente
francese, e costituirono un secondo corpo di nobiltà: la “nobiltà di toga”,
contrapposta alla “nobiltà di spada”, ovvero la formazione militare. La
posizione della monarchia era forte anche nei confronti della chiesa: infatti, in
base alla Prammatica sanzione, al re spettava la parola decisiva nella scelta dei
vescovi e nell'assegnazione delle cariche ecclesiastiche che possedevano i
maggiori patrimoni terrieri. Nel 1516 si fece un concordato in cui si dichiarava
che il re avrebbe conservato il potere di designazione dei vescovi, ma avrebbe
rinunciato a far proprie le dottrine conciliariste approvate dai padri di Basilea.

L'Inghilterra: il potere dai nobili al re


La guerra delle Due rose aveva aperto in Inghilterra larghi vuoti tra le fazioni
nobiliari. Questo favorì la costruzione, da parte della monarchia, di un potere
centrale forte, sia perché il sovrano poté creare una nuova aristocrazia a lui
fedele, sia perché, dopo una lunga guerra civile, il paese apprezzava i vantaggi
della pace e dell'ordine offerti da un forte potere centrale; persino il
parlamento cessò di essere un oppositore sistematico del re. Le tendenze
accentratrici della monarchia trovarono il loro massimo strumento nella
Camera Stellata (1487): un vero e proprio tribunale politico che aveva il
compito di reprimere ogni tentativo di opposizione.

La Spagna verso la difficile unificazione


Il matrimonio tra Isabella Di Castiglia e Ferdinando D’Aragona, sebbene fosse
riuscito a unire le due corone spagnole, non era riuscito a creare uno stato
unitario: i due regni continuavano ad essere due unità distinte amministrate
differentemente. Le divisioni tra Castiglia e Aragona erano molte, già a partire
dalle loro lingue: castigliano e catalano, molto diverse tra loro. La Castiglia si
era dedicata alla riconquista dei territori occupati dai Mori, e all'interno del suo
stato accentrato, aveva una grande importanza la piccola nobiltà militare e
cavalleresca degli Hidalgos. Questi ultimi, dopo il XV secolo, erano divenuti solo
un elemento di disordine in quanto non riuscivano a trovare un ruolo sociale o
una collocazione al di fuori dello spirito di crociata. Il regno d’Aragona era
formato da tre unità distinte: Aragona, Catalogna e Valencia. Il regno
d'Aragona, a differenza della Castiglia, aveva una forte tradizione di autonomie
cittadine, e una solida classe mercantile e borghese.

Il problema delle minoranze


Gli ostacoli all'unificazione spagnola non stavano solo nella diversità tra i due
regni, ma anche nella presenza, soprattutto in Castiglia, di due minoranze
etniche e religiose: i Mori, discendenti della popolazione musulmana, e gli Ebrei
(che si occupavano delle finanze e del commercio, compresa l'usura).
Entrambe la minoranze erano poco disposte a farsi assimilare dalla società
cristiana, la quale era poco disposta ad accettare la loro presenza e a tollerare
le loro diversità. La svolta avvenne alla metà del XIV secolo, e colpì soprattutto
gli ebrei. Questi ultimi, soggetti a continue umiliazioni e violenze da parte del
popolo, accettarono di farsi battezzare; tuttavia i Conversos, o Marrani, erano
accusati di continuare a praticare i loro vecchi riti in segreto. Perciò, contro di
loro, venne istituito nel 1480 il Tribunale di inquisizione, che divenne l’unico
potere con giurisdizione in tutta la Spagna. Il Tribunale di inquisizione fu
utilizzato dallo stato per rafforzare il suo controllo sul popolo, sfruttando la
minaccia di condanne per eresia o bestemmia.

La conclusione della “riconquista” e l'espulsione degli ebrei


Mentre l’inquisizione terrorizzava il popolo, avvenne l’ultimo atto della guerra di
riconquista: l'attacco contro il regno di Granada cominciò nel 1482 e si
concluse nel 1492 con la resa della città assediata ormai da otto mesi. Ai mori
che non riuscirono a fuggire, Isabella di Castiglia concesse la libertà di culto e il
diritto di mantenere i loro costumi. Questa tolleranza, però, durò poco tempo:
nel 1502 iniziò una campagna di conversioni forzate che fece scomparire ogni
traccia dei musulmani in Spagna. Contro gli Ebrei, invece, Isabella e
Ferdinando, firmarono, nel 1492, il decreto che li espelleva dai regni e che li
dava 4 mesi di tempo per vendere tutti i beni; era vietata, comunque, la
possibilità di portare con sé oro o argento. Gli ebrei spagnoli che lasciarono la
Spagna, si diressero per lo più verso il Portogallo. Ma la tolleranza portoghese
durò solo fino al 1496, quando, dopo essere stati costretti alla conversione, gli
ebrei furono soggetti a pesantissime discriminazioni. Così, infine, questi Ebrei si
ritirarono nell’impero Ottomano, in Italia e nei Paesi Bassi.

I paesi dell'area tedesca e il Sacro Romano Impero


La Francia, l'Inghilterra e la Spagna, si erano avviate all'unità nazionale e alla
costituzione di uno stato territoriale retto da una monarchia ereditaria, mentre,
nell'Europa orientale la situazione era diversa. Infatti, negli stati orientali, la
monarchia era elettiva e dipendeva da una nobiltà particolarmente numerosa e
forte. Anche nell’Europa centrale, occupata dall’impero germanico, era
presente una monarchia elettiva, anche se tre elezione (1438, 1440 e 1493)
avevano favorito un esponete della dinastia degli Asburgo. L’impero continuava
a richiamarsi all’universalismo medievale e alle sue antiche origini romane e,
dal XV secolo, assunse la denominazione di “Sacro romano impero nella
nazione tedesca”, in quanto, Federico III di Asburgo, ricevette la corona dalle
mani del papa. L’impero, tuttavia, non era uno stato unitario, ma bensì un
mosaico di elemento eterogenei: era costituito, infatti, da un regno, da alcuni
stati regionali maggiori, dai possessi della casa d'Austria, da un gran numero di
principati laici ed ecclesiastici di piccole dimensioni, e dalle cosiddette libere
città dell'impero; l'impero comprendeva anche i membri della Confederazione
svizzera e i Paesi Bassi. L’unità dell’impero era assicurata solo dai componenti
della Dieta (sette principi elettori, principi laici ed ecclesiastici), che raramente
riuscivano a prendere decisioni vincolanti per tutti. Questi stati regionali e
cittadini conservavano strutture politiche di impronta medievale.

La politica di potenza degli Asburgo


L’autorità dell’imperatore sugli stati e le città che formavano l’impero tedesco
era solo formale, pertanto gli Asburgo si interessavano ai loro possessi diretti e
a una politica matrimoniale nei confronti dei regni di Ungheria e Boemia. La
svolta in famiglia avvenne nel 1477, quando Massimiliano, figlio
dell’imperatore, si sposò con Maria di Borgogna. I territori della Borgogna,
tuttavia, rimasero autonomi, ma alla morte di Maria, avvenuta nel 1482,
passarono al figlio Filippo; in questo modo accrebbe la potenza degli Asburgo.
Di fronte alla pretese di Carlo VIII, re di Francia, nei confronti della contea di
Fiandra, si schierò con gli Asburgo il patriziato delle città fiamminghe e, nel
1493, Carlo dovette rinunciare a ogni diritto su questa. Tre anni dopo, infine, vi
fu una nuova importante mossa matrimoniale degli Asburgo: nel 1496, Filippo,
figlio di Massimiliano ormai divenuto imperatore, si sposò con Giovanna, la
figlia dei re di Spagna. Da questo matrimonio nacque nel 1500 Carlo di Gand,
futuro Carlo V, imperatore e re di Castiglia e Aragona.
7. Le guerre d'Italia

L'Italia nel 1949 e la discesa di Carlo VIII


Alla fine del Quattrocento in Italia esistevano cinque stati principali, ovvero il
ducato di Milano, la repubblica di Venezia, la signoria di Firenze, lo Stato della
chiesa e il regno di Napoli, a cui si affiancavano innumerevoli stati minori. Fino
al 1454, anno della stipulazione della pace di Lodi, i principi italiani erano
occupati a lottare tra loro e a cercare di prevalere l'uno sull’altro, ma nessuno
riuscì mai in questo intento perché, ogni qualvolta che uno si avvantaggiava,
gli altri si coalizzavano contro di lui. Gli stati italiani possedevano ottime
strutture amministrative, ma, a causa delle loro dimensioni, non possedevano
grandi risorse finanziare. Pertanto, in un’epoca nel quale la potenza degli
eserciti dipendeva dalle risorse finanziare, la divisione politica italiana
rappresentava un vantaggio in partenza per le vicine monarchie nazionali. Ma
la vera fragilità del sistema politico italiano non era l'elemento finanziario-
militare, bensì il fatto che i principi credevano di poter usare a proprio
vantaggio le alleanze con i sovrani europei, i quali, invece, avevano una politica
che rispondeva a regole di tutt'altro genere. La fragilità italiana emerse
pienamente quando il re di Francia Carlo VIII decise di scendere in Italia per
rivendica il possesso del regno di Napoli. Nel 1494, finanziato dai banchieri
lionesi e italiani, Carlo scese in Italia con un grande esercito e, dopo aver
attraversato in cinque mesi tutta la penisola, nel 1495 entrò a Napoli senza
praticamente aver affrontato alcuna battaglia. Nessuno degli stati italiani,
infatti, aveva osato attaccare Carlo, anzi, avevano creduto di poterlo sfruttare a
proprio vantaggio nelle guerre tra di loro; ma, invece, successe tutto il
contrario: il re di Francia aveva usato le divisioni tra i principi italiani per
impadronirsi del più vasto stato della penisola italiana. A questo punto si formò
una lega antifrancese formata da Milano, dallo Stato Pontificio, da Venezia e da
Firenze. Mentre Carlo VIII si trovava sulla strada di ritorno verso la Francia,
dovette scontrarsi, a Fornovo sul Taro, contro la lega italiana, la quale,
nonostante la schiacciante superiorità numerica, a causa della presunzione dei
suoi soldati, non riuscì nella vittoria.

La spedizione milanese di Luigi XII e la guerra per Napoli


Quattro anni dopo tentò la stessa impresa il nuovo re di Francia, Luigi XII
d’Orleans, che, alle rivendicazioni su Napoli, aggiunse quelle su Milano. La
spedizione fu resa possibile dall’alleanza con due stati italiani: con Venezia e
con il papa Alessandro VI. Quest'ultimo, simoniaco e assassino, fu soggetto
delle maledizioni del frate domenicano Girolamo Savonarola, il quale, nel 1497,
fu scomunicato e mandato al rogo per eresia dallo stesso Alessandro VI. Dopo
la conquista dello stato di Milano, a Venezia fu ceduta Cremona, e il papa
ottenne il sostegno della Francia nei confronti del figlio Cesare Borgia, il quale
voleva costruirsi un domino personale in Emilia Romagna e Marche. Luigi XII
occupò Milano nel 1499, e l’anno successivo si accordò con i sovrani spagnoli
per cacciare gli Aragonesi di Napoli e spartirsi il regno. La loro alleanza, però,
durò poco: fra loro si accese un conflitto che, nel 1504, terminò con il
passaggio del regno di Napoli a Ferdinando d’Aragona.
Le leghe di Giulio II contro Venezia e la Francia
Nel 1503 fu eletto papa Giulio II, il cui primo obbiettivo fu quello di rafforzare
politicamente e militarmente lo Stato pontificio. Il suo primo impegno fu lo
smantellamento del dominio di Cesare Borgia; il suo successivo avversario fu
Venezia, contro cui Giulio II creò, nel 1508, la lega di Cambrai, alla quale
aderirono Ferdinando d’Aragona, Massimiliano d’Asburgo e Luigi XII. Venezia,
nel 1509, subì una dura sconfitta, e dovette rinunciare alle conquiste territoriali
fatte negli ultimi anni. La lega di Cambrai ruppe l’equilibrio italiano in favore
della Francia, contro cui Giulio II organizzò la “Lega Santa”, alla quale aderirono
Venezia, la Confederazione svizzera, la Spagna e l’imperato germanico. Nel
1512 Luigi XII dovette abbandonare Milano che fu riconsegnata dagli svizzeri
agli Sforza. L’indebolimento dei francesi permise agli spagnoli, nel 1513, di
entrare in Toscana, e di ridare il potere alla famiglia De Medici. Lo stesso anno
morì Giulio II, e fu eletto papa Leone X.

Il ritorno dei francesi a Milano


Nel 1515, dopo la morte di Luigi XII, salì al trono di Francia Francesco I.
Quest'ultimo, dopo essersi alleato con Venezia, tornò in Italia e, nel 1515,
sconfisse gli svizzeri a Marignano. Per la quarta volta in quindici anni Milano
cambiò padrone e tornò ai francesi. In tutti questi anni (nel 1494-1495, e dal
1499 al 1516) l’Italia fu teatro di grandi battaglie in cui furono sperimentate
nuove tecniche di guerra: assedi con cannoni, battaglie con una fitta artiglieria
da campo, l'uso di reparti dotati di archibugi a miccia; ma la grande novità fu la
vittoria schiacciante dei picchieri sulla cavalleria.

Angioni Federica, III F. Anno scolastico 2010-2011

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