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Una testimonianza importante

La voce degli operai e quei “loschi personaggi”


14/1/2011 - Il presidio alla Novaceta? Un avamposto di civiltà. Un luogo in cui la
gente si incontra, si aiuta, si incazza. Un campo di battaglia (si combatte per il lavoro
e per la dignità) che in troppi hanno fatto finta di non vedere. Uno spazio vivo, nella
desolazione di un’azienda abbandonata e di una vicenda oscura, finita malissimo.
“Novaceta: cronache di resistenza” racconta tutto questo. E’ malinconico e
combattivo. E’ platealmente schierato con i lavoratori, perché qui non ci sono
mediazioni possibili o verità da mettere a confronto.
Testimonianza, inchiesta, memoria: il documentario del giovane Manuel Vulcano è
molte cose insieme. E’ un’incursione proibita tra i corridoi vuoti e le macchine
abbandonate dentro i capannoni della Novaceta, lasciati morire senza un vero perché.
E’ un uomo seduto sul tetto, che guarda il cielo di fronte a sé e una ciminiera che
svetta lì accanto, mentre racconta la vergogna e la nostalgia, la rabbia e l’orgoglio. E’
una mangiata collettiva insieme ai compagni che lottano, una notte in tenda, uno
striscione che dice «Cercasi imprenditori» (la sostanza del discorso è quella).
Nel prologo il video è segnato, “invecchiato”, sembra uno squarcio di repertorio:
queste lotte diventeranno presto il passato? Il retaggio di vecchie battaglie sindacali
(quando i diritti valevano almeno quanto i profitti)? Come mai oggi, in Italia, anche
solo le parole “lotta”, “sciopero”, “presidio”, sembrano diventate obsolete? Un giorno
avremo la lucidità necessaria per riconoscere le colpe di chi ne ha abusato, ma questo
non giustifica il fatto che il lavoro sia diventato una semplice variabile economica
dentro bilanci, statistiche, grafici sull’andamento del Pil.
Manuel Vulcano entra nel merito della vicenda e la riassume senza mezze parole,
parlando di «speculazione edilizia» e di «loschi personaggi senza scrupoli». La voce
fuori campo racconta un’azienda che faceva profitti (con il filato di acetato di
cellulosa), ma che ha approfittato della crisi mondiale per vendere. Rievoca l’arrivo
dell’immobiliarista Cimatti, l’area dell’azienda che fa gola (c’è l’Expo alle porte), i
passaggi attraverso BembergCell ed EnerCell, infine il gruppo Lettieri, con gli ultimi
proclami sul rilancio e il definitivo fallimento (certificato il 23 luglio del 2010). Date,
nomi, sospetti, con una condanna senza appello nei confronti di chi «ha voluto il
fallimento dell’azienda». «All’inizio al presidio eravamo quattro gatti. Ci veniva da
piangere», dice un lavoratore. Poi qualcosa è cambiato. Ma non abbastanza per
cambiare la realtà, e la sensibilità politica e collettiva.
Manuel si fa prendere la mano, e rende «omaggio a questi eroi».
Ma l’affetto e la solidarietà sono condivisibili e contagiosi. Il suo «grazie ragazzi»
diventa anche il nostro.
Un documentario battagliero , con momenti poetici, chiaro nei contenuti e non banale
nella sua estetica ibrida, che usa molto il camera a mano, stando addosso ai volti, alle
persone, ma anche l’immagine-inquadratura fissa che si lascia attraversare dalla
realtà, oltre a spezzoni tipo-reportage. Un lavoro interessante, ma soprattutto un
documento importante: per riaprire la questione Novaceta, e ricordarla quando la
vorranno cancellare dalla memoria.

Fabrizio Tassi
MAGENTA • Un docu-film sulla Novaceta e quelli che resistono
«La realtà senza filtri»
Intervista a Manuel Vulcano, giovane regista che ha ricostruito la vicenda
dell’azienda fallita e ha raccontato i lavoratori in presidio permanente per
difendere la loro dignità, oltre al lavoro

14/1/2011 - C’è il cinema pensato “a tavolino”, che nasce da un progetto formale e/o
commerciale, e il cinema figlio di un’urgenza, di un bisogno di testimoniare. Il tuo film
appartiene certamente alla seconda categoria. Come è nato?
«Un documentario nasce dall’esigenza radicale di mostrare la realtà che ci circonda
senza filtri o imposizioni di alcun tipo. E un documentario sociale, come quello sulla
Novaceta, ha origini ancora più profonde: è una sorta di rivolta interiore; affonda le
sue radici nel mio percorso esistenziale, nella mia personale sensibilità, che ripudia
ogni forma di ingiustizia. La rivolta interiore “viene al mondo” attraverso la
realizzazione del documentario, che altro non è se non l’arma del regista per
combattere attivamente, per generare una conoscenza universale e in grado di
resistere nel tempo, per far sì che le informazioni, le azioni e i fatti rimangano per
sempre nella storia e nella memoria collettiva».
Raccontaci il tuo rapporto con i lavoratori della Novaceta. Si respira un’atmosfera di
complicità, condivisione. Si direbbe una comunità (operai, simpatizzanti, cineasti).
Non è certo un’analisi distaccata della situazione...
«Il rapporto con gli operai e i simpatizzanti del presidio è meraviglioso. Sicuramente
senza una reciproca fiducia non sarebbe stato possibile realizzare alcuna ripresa.
Abbiamo avuto la fortuna di vivere e parlare con loro per molto tempo, e sono stati i
momenti più conviviali quelli in cui siamo riusciti a penetrare a fondo il dramma di
queste persone.
Un documentario deve imporsi l’obiettivo supremo di mostrare anche quelle che sono
le emozioni e i sentimenti più intimi.
Il momento più emozionante, per quanto mi riguarda, è stato dopo la proiezione
magentina, in cui ho incontrato gli operai con le lacrime agli occhi, che si
congratulavano e mi chiedevano l’autografo sul loro dvd. Un’emozione indescrivibile».
Aneddoti sulla lavorazione del film?
«Il documentario è stato girato in estate, con un caldo torrido indescrivibile, che ci ha
fatto sudare parecchio. Per alcune riprese dentro la fabbrica, ci siamo dovuti
cimentare in azioni articolate e rocambolesche, che non posso raccontare per ovvie
ragioni, ma sulle quali si sarebbe potuto girare un documentario a parte.
Il montaggio è durato circa un mese: è stato realizzato a Torino, dove lavoravamo
circa dodici ore al giorno, fermandoci solo per i pasti e per dormire. Avevamo dieci ore
totali di riprese da analizzare e montare, e dormivamo nella casa in cui avevamo
installato la postazione di montaggio.
Quando si lavora giorno e notte insieme ad una persona è facile che qualche volta
saltino i nervi, però devo dire che con il montatore Riccardo Pasio, grandissimo amico,
c’è stata una grande intesa ed enorme pazienza».
Parli esplicitamente di «loschi personaggi senza scrupoli» che hanno causato la
chiusura dell’azienda. Ti aspetti problemi legali?
«Parlo di interessi speculativi e faccio nomi e cognomi senza problemi, perché tutto
ciò che dico è mostrato negli atti giudiziari e negli articoli che ho fotografato e
provveduto a inserire nel documentario. Non c’è nulla che sia frutto della mia
invenzione. Se ci saranno problemi legali mi cercherò un buon avvocato!».
Il sindaco e la sua giunta non vengono quasi mai nominati. Hanno delle colpe,
secondo te? La città di Magenta è stata un po’ a guardare questa lotta. Sarebbe
servita una partecipazione più massiccia.
«Non ho parlato del sindaco o dei politici in generale perché non mi piacciono le sfilate
di persone che raccontano ciò che vogliono e sono poi inconcludenti nei fatti. Fino ad
ora la maggior parte dei cittadini è rimasta a guardare, e la solidarietà agli operai è
arrivata solo in minima parte dai magentini più sensibili. Sarebbe bello vedere più
partecipazione della città in questa battaglia. Sarebbe bello vedere un gesto di
solidarietà dei magentini nei confronti del presidio e di queste persone. Il
documentario nasce anche dall’esigenza di far conoscere meglio questa epopea, con
l’obiettivo di allargare la diffusione delle notizie e degli eventi».
Dicci qualcosa anche sul progetto estetico: si parte da immagini sgranate e de-
colorate che sembrano provenire dalla notte dei tempi (quelli della lotta operaia di 30
anni fa), poi ci sono pezzi di inchiesta tipo Report e altri momenti più lirici e intimi.
«Il documentario ha avuto un’evoluzione naturale in cui, per divenire “prodotto
artistico”, è cresciuto in capitoli diversi. L’incipit è presentato con l’effetto super 8, che
produce nello spettatore un senso di “sacralità”: sembrano immagini di altre epoche,
appositamente rallentate. Ma i capitoli seguenti ci mostrano che in realtà si tratta
dell’amaro presente. Il titolo “Cronache di resistenza” è appunto un chiaro richiamo
alla resistenza partigiana, e quindi alla resistenza di ogni essere umano che lotta per i
suoi diritti e per la sua dignità, come oggi fanno queste persone. Il capitolo in cui
viene riassunta la storia della speculazione è marcatamente “reportagistico”, perché
tutto deve essere raccontato nei dettagli senza tralasciare o aggiungere nulla. Il finale
è volutamente intimistico e a tratti lirico per spiegare ed esaltare il significato della
protesta, e soprattutto il dramma interiore degli operai, che ha portato al gesto eroico
del presidio».
Come si può reperire il film? Pensate a una diffusione, anche via internet?
«Attualmente il film si può prenotare presso il presidio della Novaceta, lasciando una
sottoscrizione volontaria. A breve verrà donata una copia alla biblioteca comunale di
Magenta e molto presto sarà caricato in internet. Ci sono proposte per presentare il
film ad alcuni canali televisivi: stiamo verificando i contatti».
Due parole su di te. Tu insegni, ma il sogno ovviamente è il cinema. Progetti?
«Ho appena compiuto 26 anni e sono laureato in cinema al DAMS di Torino.
Attualmente insegno cinema, teatro, radio e tv al liceo della comunicazione Leonardo
Da Vinci di Milano, e produzione visiva all’accademia di spettacolo A.C.M.E., sempre a
Milano. Mi piacerebbe continuare a fare documentari di carattere sociale, e per il
momento ho in cantiere due progetti interessanti sul Risorgimento e sull’Opus Dei.
Non nego che mi piacerebbe provare a cimentarmi in qualche mediometraggio di
finzione, in futuro, ma purtroppo bisogna scontrarsi con quella che è la triste realtà
dei finanziamenti per la cultura, l’arte e il cinema in Italia».

Fabrizio Tassi

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