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L’arte del ritmo

Chi possiede la musica controlla il potere (Platone)


Antonella Filippi

L’altro elemento fondamentale della poesia e delle arti in genere è il ritmo.


C’è un ritmo anche nella pittura, nella scultura, nella musica, che viene definito “sezione aurea” o
“proporzione aurea”, simbolo dell’armonia, dell’equilibrio armonico.
Se ne trovano esempi, inoltre, nella botanica, biologia, fisica, astronomia, aritmetica, geometria,
architettura.
Il ritmo è l'elemento che nel modo più intenso e immediato influisce su chi guarda, sul lettore e
sull’ascoltatore, perché ha un’azione diretta sia emotiva sia fisica.
La poesia (e l’arte in genere) è vita organica stessa, perché è basata su vari ritmi: il ritmo della
respirazione, delle pulsazioni, dei movimenti muscolari; il ritmo dell'attività e del riposo, delle
diverse funzioni fisiologiche, fino ad arrivare a livello sottile all’energia di cellule, molecole e
atomi.
"Voi distinguerete il ritmo nel volo di un uccello, nelle pulsazioni delle arterie, nei passi di un
ballerino, nei periodi di un discorso" (Platone)
Il ritmo svolge un ruolo molto importante nella vita quotidiana.
È di qualche anno fa il risultato di una ricerca che ha indagato sulle zone cerebrali deputate alla
percezione del tempo e del suo trascorrere: nella nostra mente esiste una rete di “metronomi” in
grado di confrontare gli intervalli di tempo con cui si svolgono gli eventi che osserviamo o
provochiamo, dandoci la percezione e l’esatta cognizione della loro durata. Uno di questi
metronomi cerebrali interviene per scandire gli intervalli di tempo più corti quando l’informazione
relativa a un’azione deve essere elaborata velocemente e con precisione, consentendo di coordinare
attività complesse, quali l’esecuzione musicale, la danza e il linguaggio.
Il ritmo pertanto fa parte del nostro essere fino dal primo respiro, è la nostra ossatura numerica, è un
principio attraverso il quale una parte è messa in relazione con il tutto
La parola ritmo deriva dal verbo greco rheo che significa, principalmente, scorrere. Il ritmo è la
forma del divenire, la forma del mondo dei fenomeni, sosteneva Nietzsche, secondo la quale
si rivelano vissuti psichici, eventi naturali, manifestazioni culturali.
Nei suoi aspetti biologici il ritmo si manifesta nelle funzioni organiche che passano regolarmente
nel corso delle 24 ore attraverso un massimo e un minimo (ritmo circadiano); nel battito del
cuore e del polso, nel sonno e nella veglia, in tutta la periodicità naturale, 1'alternarsi dei
giorni, dei mesi, delle stagioni, della luce e del buio.
Nei suoi aspetti culturali e mitici si manifesta nel canto, nella danza e nella parola poetica.
Nella vita organica l’accordo tra ritmo soggettivo e oggettivo, interiore ed esteriore, definisce uno
stato di armonia che viene definito “salute”: il ritmo è carente o assente nella malattia, anzi,
la sua assenza rileva la malattia stessa.
Il ritmo nasce dal respiro e questo forse fa comprendere l’importanza della respirazione negli aspetti
salutistici ed energetici cui fanno riferimento le medicine più articolate del mondo, come quella
cinese e indiana.
La respirazione della meditazione induce la percezione del “qui-ora”, dello spazio e del tempo
legati al ritmo immanente, ma anche il camminare e ogni altra azione in cui il respiro in modo non
forzato percepisca e si colleghi al ritmo.
La respirazione è un processo di scambio con l’ambiente esterno dove viene sperimentata la polarità
tra prendere e dare. La parola “inspirare” ovvero introdurre aria nei polmoni, ha la medesima radice
della parola “ispirazione” (che in latino significa “soffiare dentro”), che simboleggia la creatività
artistica. Il polmone è il nostro maggior organo di contatto, ancor più dell’epidermide. Infatti, se
disteso, la sua superficie piana interna è di circa 70 metri quadrati. Il respiro evita che l’uomo si
isoli, si chiuda, il respiro lo costringe a mantenere il contatto con l’ambiente, con gli altri. Il respiro
ci porta continuamente a contatto con il tutto, con l’universo. Noi respiriamo l’aria del nostro
partner, dei nostri vicini di casa, dei nostri amici e dei nostri nemici. Il respiro ha quindi a che fare
con il contatto, con la relazione; è, psicologicamente, l’assimilazione della vita.
Un recente studio sul genoma (cioè sul patrimonio genetico, l’insieme di geni che ognuno di noi ha)
ha scoperto che se è vero che ogni essere umano ha un genoma composto all’incirca da 30.000 geni,
è vero anche che ogni persona ha un numero totale di geni diverso. Inoltre, in ognuno la sequenza di
geni è diversa, creando così “musiche” radicalmente diverse tra loro.
Se il ritmo dipende da respiro, magari un giorno si potrà capire la malattia dal ritmo della lettura o
della scrittura e magari curare insegnando un nuovo ritmo o anche facendo vibrare un suono, cioè
un ritmo, simile a quello personale o un insieme di suoni, una vera e propria sinfonia genica.
Anche il linguaggio, ciò che ci consente di comunicare con gli altri, è una questione di ritmo.
Esiste un ritmo biologico, una sorta di ritmo della comunicazione universale, intorno al quale gli
uomini hanno imparato a costruire i diversi linguaggi. Ogni popolo ha la sua lingua: un insieme di
suoni legati fra di loro secondo un ritmo che è loro proprio. Le lingue sono tutte diverse tra di loro
nel modo in cui i differenti suoni vengono legati. Da questo si deduce che il ritmo, cioè l'alternanza
tra pause (attimi di silenzio) e suoni, è l'elemento distintivo delle differenti lingue. Se ascoltiamo
una registrazione del parlato di una lingua che non conosciamo pare di ascoltare un flusso continuo
di suoni indefiniti privi di senso. Il mistero dei meccanismi cerebrali che permettono di capire i
segreti del ritmo che caratterizza una lingua hanno affascinato i linguisti, gli psicologi e gli
scienziati cognitivi.
Una ricerca di alcuni anni fa ha dimostrato che gli adulti sono molto abili ad estrarre,
inconsciamente, questo tipo di regolarità statistica. Ma il risultato più straordinario è stata la
scoperta che un bambino di otto mesi ha già sviluppato la capacità di decifrare il ritmo che
caratterizza una lingua, quindi di poterla imparare. L’esperimento aveva usato una lingua inventata.
Il fatto che gli adulti sottoposti a questi test fossero in grado dopo pochi minuti di districare i ritmi
delle differenti sequenze dimostra che l'uomo ha una capacità molto sviluppata e inconscia di fare
dei calcoli mentali, e di poter passare da un calcolo mentale all'altro quando si trova dinanzi a una
lingua che non conosce. Ecco spiegato perché, se un individuo conosce più di una lingua, ha
maggior facilità nell'apprendere un nuovo idioma: la mente è allenata a percepire e assimilare il
ritmo che creano la musicalità e l'andamento delle differenti lingue. Il fatto che un bambino di otto
mesi sia in grado, pur con una maggior difficoltà di un adulto, di districare i ritmi di una lingua
inventata, prova che l'uomo ha la capacità innata di apprendere qualunque tipo di lingua che abbia
una struttura ritmica ben determinata.
Ma il ritmo della comunicazione universale non riguarda solo il linguaggio vocale e può essere
appreso anche attraverso l'imitazione del linguaggio gestuale. Una ricerca ha analizzato il
comportamento di due gruppi di bambini, di età compresa tra sei mesi e un anno, uno dei quali
costituito da bambini con ottimo udito, figli di genitori normalmente parlanti, l'altro da bambini con
un ottimo udito, ma figli di genitori sordomuti. Questo secondo gruppo, dunque, aveva ricevuto in
famiglia solo stimoli comunicativi fatti di gesti. I figli di genitori sordomuti hanno dimostrato di
aver acquisito due tipi di gestualità, uno spontaneo e casuale, comune a tutti i bambini, l'altro molto
speciale, fatto di movimenti ben scanditi, coordinati e armonici, una sorta di “melodia” dei gesti. I
tempi e il ritmo di questa melodia dei gesti erano analoghi ai tempi e al ritmo della melodia dei
suoni proposta dai bambini che acquisiscono il linguaggio verbale. L'importanza di questa ricerca
non è tanto pedagogica, ma soprattutto culturale, perché aiuta a capire l'origine di un carattere che
consideriamo specifico dell'uomo: il linguaggio. Questa ricerca sembra dimostrare che esiste un
ritmo universale della comunicazione, comune a tutti i linguaggi, verbali e non. Se è comune a tutti
i linguaggi, vuol dire che il ritmo preesiste al linguaggio verbale.
Anche lo spazio tra le parole è ritmo, che dipende sia dal tempo sia dalla respirazione.
Sentire la pulsazione interiore di una poesia o di un brano di prosa, l’ascolto interiore del ritmo, è
fondamentale per ogni espressione artistica.
La poesia nasce come voce, e solo successivamente diventa voce scritta. Ogni poesia, anche la più
"intimista", andrebbe immaginata come detta a voce. E leggere ad alta voce le poesie e i brani di
prosa è un esercizio importante.
Il ritmo delle parole non è un accompagnamento musicale del contenuto, ma ne fa parte. Lo studio
di questi ritmi, in sostanza la metrica, può dare l'idea che scrivere poesia sia un esercizio certosino
di conteggi di sillabe e di accenti, poco compatibile con l'ispirazione. Questo è un errore di
valutazione che deriva dal dimenticare che la metrica è una grammatica che non prescrive, ma
descrive (come del resto ogni altra grammatica: anche la grammatica della lingua italiana non è una
legge caduta dal cielo a indicare come si deve parlare, ma una descrizione di come si è parlato
finora). La metrica di un haiku non è dunque una legge che impone di scrivere in un certo modo, ma
la descrizione del ritmo adottato da numerosi poeti. Se un poeta decide di scrivere haiku è perché
sente dentro di sé, come musica assorbita o come coscienza verbale, questo ritmo. Nessun poeta
conta le sillabe sulla punta delle dita (se non forse dopo), ma è possibile che se un poeta ha scritto
un haiku in cui il terzo verso ha sei sillabe invece di cinque, quel terzo verso gli stoni, come una
nota fuori posto in una musica.
Anche i versi più "liberi" hanno il loro ritmo: non esiste poesia senza ritmo.
L'orecchio si accorge di tutto: di errori e refusi, ma soprattutto dei più sottili squilibri di ritmo, di
parole fuori posto, di frasi troppo lunghe, di ripetizioni fastidiose, di disagi nella lettura. Quando si
rilegge ad alta voce, se il ritmo non funziona ci si ferma, si cancellano o si aggiungono parole, ma
soprattutto si spostano finché la nostra voce finalmente scivola via senza incontrare più ostacoli.
Ce lo dice l'orecchio: la parola è "giusta" quando suona bene. Quel perfetto adeguamento tra forma
e materia, tra parola e idea, si traduce in armonia musicale.
“Lo stile è una cosa molto semplice, è tutto ritmo. Una volta che ce l'hai, non puoi usare parole
sbagliate. D'altronde eccomi seduta qui dopo una mezza mattinata, traboccante di idee, di visioni,
e così via, che non riesco a sloggiare in mancanza del ritmo giusto. Ora, è una cosa molto intensa,
questa del ritmo, e va molto più in profondità delle parole. Uno spettacolo, un'emozione, creano
quest'onda nella mente, molto prima delle parole giuste per esprimerla; e nella scrittura (così
credo adesso) bisogna ricatturarla e farla operare (il che non ha niente a che fare con le parole,
ovviamente) e poi, mentre si infrange e precipita nella mente, crea le parole giuste.” (Virginia
Woolf).
Le lingue sillabiche, come l’italiano e il giapponese (anche se la prima è una lingua alfabetica e non
agglutinante e la seconda è ideografica e agglutinante, cioè ricorre maggiormente a suffissi e
declinazioni, anziché a preposizioni o posposizioni distinte dal vocabolo base), hanno il singolare
vantaggio, rispetto alle lingue non sillabiche, di permettere una maggiore facilità compositiva e una
ritmica più accentuata (la sillabazione inglese, lingua alfabetica, in cui, cioè, la pronuncia di una
parola è indipendente dal significato della parola, è piuttosto diversa, ad es. il vocabolo “logical”
non è composto, come sembrerebbe in italiano, da tre sillabe, ma da due: logic-al; il vocabolo
“iconography” non conta cinque sillabe, ma tre: icon-og-raphy). Credo sia anche per questo che la
poesia haiku trovi attualmente un terreno particolarmente fertile in Italia a livello del grande
pubblico.
Inoltre, nella filosofia pitagorica il numero è la radice dell’equilibrio cosmico, in cui, per es., la
perfezione è rappresentata dai numeri dispari. È probabile che questo sia uno dei motivi per cui i
numeri dispari vengono percepiti come più armonici (a dispetto del sistema metrico decimale) e,
nella fattispecie, l’endecasillabo, che per la sua duttilità è stato a lungo il verso prediletto dei poeti
italiani, nonché il più utilizzato, e l’haiku sono due esempi di un genere poetico che possiede l’arte
del ritmo. I versi parisillabi hanno molta meno mobilità, una ritmica che rallenta il fluire del respiro.

Un ultimo spunto, che potrà essere spunto di discussione: una lingua ideografica, che esprime tutto
con le immagini, è limitata o è maggiormente in grado di esprimere ciò che non ha immagine?
Una lingua alfabetica è meno o più diretta nel descrivere realtà materiali?
In una lingua alfabetica è possibile inventare parole, in quelle non alfabetiche anche, ma non c’è il
segno corrispondente, che può, sì, essere inventato, ma non compreso.
È dal contesto, oltre che da chi usa il suono, che deriva che il suono corrisponda a un certo carattere,
perciò a un significato. In una lingua alfabetica, invece, anche quando non si comprende, si può
usare l’intuizione. Non nelle lingue non alfabetiche: sono forse lingue che imbrigliano il pensiero
non autorizzato?
È solo il pensiero politico o satirico, che incita a una ridefinizione della visione e perciò alla
modificazione del “contratto sociale”, alla creazione di parole nuove e di segni a significarle, a non
essere “autorizzato” per un poeta, uno scrittore, un artista? E le lingue alfabetiche davvero
permettono ogni pensiero e poi ne bloccano la trasformazione in azione?

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