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25 gennaio 2010
1
Abstract
INFORMAZIONI GENERALI:
La presente dispensa, scritta per il corso di impianti tecnici / termotecnici, tratta i seguenti
argomenti:
Primo modulo:
• Potenze disperse
• Impianti di riscaldamento
• Fabbisogni di energia
• Verifiche termoigrometriche
Secondo modulo:
• Benessere termoigrometrico
• Carichi termici estivi
• Impianti di raffrescamento estivi
• Elementi di illuminotecnica
• Normativa sugli impianti elettrici di corredo.
TESTO CONSIGLIATO:
Progettazione di impianti tecnici G. Moncada Lo Giudice - L. De Santoli Masson Editore
Milano ALTRI TESTI:
RIVISTE:
• La termotecnica
• —— altri
Si sottolinea che a causa del carattere della pubblicazione numerosi possono essere gli errori e le
imprecisioni nelle citazioni di Leggi e di Norme alle quali si rimanda per una lettura autentica. La
simbologia adottata nella presente dispensa é quella utilizzata nelle più recenti norme tecniche UNI ed
EN anche se alcuni parametri sono calcolati con riferimento a norme precedenti che adottano spesso
una simbologia diversa.
Capitolo 1
POTENZE DISPERSE
Un individuo standard (70 kg di massa e 1,70 m di altezza) ha una superficie corporea di 1,8
2
m , seduto produce dunque circa 100 W.2 La progettazione dell’ambiente termico interno dovrebbe
1
Se nell’ambiente si svolge una attività lavorativa, in tali condizioni anche la produttività diventa massima.
2
La superficie corporea Ab può essere calcolata con la legge di Du Bois per la quale si rimanda al Capitolo 5.
3
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 4
basarsi sulla EN ISO 7730, dove la qualità dell’ambiente termico è espressa dal voto medio previsto
PMV (predcted mean vote) e dalla percentuale prevista di insoddisfatti PPD (predicted percentage of
disatisfied)3 . Il tipo di abbigliamento indossato dalle persone viene caratterizzato mediante l’indice
di resistenza termica degli abiti che viene espresso di solito mediante una unità di misura incoerente:
il “clo” che corrisponde alla resistenza termica di un abito maschile invernale; si ha 1 clo = 0,155
m2 K/W, mentre un abito maschile estivo ha un indice di resistenza termica di 0,5 clo. Gli scam-
bi termici tra gli individui e l’ambiente avvengono prevalentemente per convezione con l’aria alla
temperatura θa e per irraggiamento con le k superfici dell’ambiente alle temperature θk .
Lo scambio termico per irraggiamento tra individuo e ambiente, è espresso nel modo seguente:
!
X X X
Φr = Ap εp σFpk Tp4 − Tk4 = Ap εp σ Tp4 Fpk − Fpk Tk4
k k k
P
siccome k Fpk = 1 per la definizione dei fattori di vista, si ha:
!
X
Φr = Ap εp σ Tp4 − Fpk Tk4
k
dove sX
Tmr = 4 Fpk Tk4
k
hr ≃ 4εp σTm3
con
Tp + Tmr
Tm =
2
si può scrivere:
Φr = hr Ap (θp − θmr )
3
Per i dettagli si rimanda al Capitolo 5.
4
É sufficiente che |Tk − Tj | < 0, 2 min {Tk } (cioè che la massima differenza tra le temperature superficiali sia
inferiore al 20% della minima temperatura assoluta) affinché l’errore sia inferiore al 5%.
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 5
Φc = hc Ap (θp − θa )
Globalmente il flusso scambiato da una persona può essere espresso come segue:
Φp = Φc + Φr = (hc + hr )Ap (θ p − θo )
dove θo è la temperatura operante che è una media pesata della temperatura dell’aria e della tempera-
tura media radiante; cioè
θo = Bθa + (1 − B)θmr
Per basse velocità dell’aria ambiente, come in assenza di impianti ad aria, va ≤ 0, 2 → B = 0, 5 ed in
tal caso la temperatura operante θo è la media aritmetica tra la temperatura dell’aria e la temperatura
media radiante. La ”temperatura operante” è cosı̀ il parametro che caratterizza l’ambiente dal punto
di vista termico per quanto riguarda le condizioni di benessere delle persone. Per una percentuale di
insoddisfatti PPD< 10%5 le condizioni ottimali di temperatura operante al variare dell’abbigliamento
e dell’attività svolta sono rappresentate in Figura 1.1, per altre percentuali di insoddisfatti .
Figura 1.1: Andamenti della temperatura operante ottimale (isoterme di neutralità)in funzione del-
l’abbigliamento e dell’attività, curve A; sono riportate le fasce ammissibili di variazione B
in cui valgono gli scostamenti ammissibili (riportati negli ovali) della temperatura operan-
te dell’ambiente rispetto a quella ottimale per mantenere la percentuale di insoddisfatti al
di sotto del 10%. X e K rappresentano la resistenza termica degli abiti espressa rispettiva-
mente in “clo” e in m2K/W; Y e Z rappresentano il metabolismo espresso rispettivamente
in “met” e in W/m2 .
La conoscenza degli scambi termici tra l’edificio e l’ambiente esterno é fondamentale per il calco-
lo delle potenze massime necessarie a garantire il benessere interno al variare delle condizioni clima-
tiche e per il calcolo del fabbisogno di energia per la climatizzazione sia nella stagione invernale che
5
Dalle indagini statistiche si rileva che la percentuale di insoddisfatti non scende mai sotto il 5%.
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 6
in quella estiva. Un edificio scambia calore con l’esterno attraverso le strutture che costituiscono l’in-
volucro e mediante i flussi d’aria dovuti a infiltrazioni e rinnovi controllati. Nel calcolo degli scambi
attraverso le strutture si deve tener conto dell’effetto dell’irraggiamento solare entrante attraverso le
strutture finestrate e nel calcolo dei flussi d’aria si deve tener conto dell’azione del vento.
dove:
HT,ie coefficiente di dispersione termica per trasmissione dallo spazio riscaldato (i) verso l’esterno
(e) attraverso l’involucro dell’edificio;
HT,iue coefficiente di dispersione termica per trasmissione dallo spazio riscaldato (i) verso l’ester-
no (e) attraverso lo spazio non riscaldato (u);
HT,ig coefficiente di dispersione termica per trasmissione verso il terreno, in condizioni di regime
permanente, dallo spazio riscaldato (i) verso il terreno (g);
6
La Norma UNI EN 12831 IMPIANTI DI RISCALDAMENTO NEGLI EDIFICI METODO DI CALCOLO DEL
CARICO TERMICO DI PROGETTO prevede il calcolo per singolo vano e solo successivamente il calcolo per l’intero
edificio o unità immobiliare come somma degli scambi termici dei singoli vani al netto degli scambi interni tra vani
riscaldati a temperature diverse.
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 7
HT,ij coefficiente di dispersione termica per trasmissione dallo spazio riscaldato (i) a uno spazio
adiacente (j) riscaldato ad una temperatura significativamente diversa, per esempio uno spa-
zio riscaldato adiacente all’interno della porzione entità di edificio o uno spazio riscaldato di
una porzione entità di edificio adiacente;
θint,i temperatura interna di progetto dello spazio riscaldato (i);
θe temperatura esterna di progetto.
I valori della temperatura esterna di progetto θe sono fissati dalla Legge (D.M.10/03/1977 e succes-
sive modifiche), in funzione della provincia e del comune di appartenenza dell’edificio; tali valori
sono riportati in una tabella nell’allegato NA della Norma UNI EN 12831 e vanno corretti secondo
modalità fissate nello stesso decreto e nella Norma UNI 10349 per tener conto della variazione della
∆θ 1
temperatura con la quota secondo un gradiente di ∆z ≃ − 200 K/m, dell’esposizione ai venti che vale
-0,5÷ -1 K per edifici in piccoli agglomerati e −1 ÷ −2 K per edifici isolati; ulteriore correzione di
−1 ÷ −2 K è prevista per edifici più alti di quelli adiacenti (solo per i piani sporgenti).
dove:
Il primo termine della (1.3) rappresenta lo scambio termico tra l’ambiente interno e l’ambiente
esterno, per unità di salto termico, nell’ipotesi di flusso termico monodimensionale e regime stazio-
nario. La seconda sommatoria della (1.3) tiene conto delle disomogeneità presenti nelle pareti, e della
NON monodimensionalità del flusso termico introducendo i ponti termici: percorsi preferenziali per
7
Per il calcolo delle trasmittanze fare riferimento alla Norma UNI EN 6946
8
Per il calcolo semplificato delle trasmittanze lineiche fare riferimento alla Norma UNI EN ISO 14683 mentre per il
calcolo dettagliato mediante metodi numerici fare riferimento alla Norma UNI EN ISO 10211
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 8
il flusso termico. Il coefficiente ΨL viene detto anche trasmittanza lineica, e si misura in W/(m K).
Per il calcolo dei ponti termici si rimanda al paragrafo 1.2.4.
I coefficienti di esposizione ej ed ek per la norma europea EN 12831 sono pari all’unità mentre
nella versione italiana UNI EN 12831:2006 in cui è aggiunto un allegato nazionale NA sono maggiori
dell’unità, come retaggio della vecchia normativa 9 .
N 1,20
1,15 1,20
1,10 1,15
1,05 1,10
1,00
dove:
Rsi Resistenza termica superficiale interna pari al reciproco di hi coefficiente di scambio superfi-
ciale (coefficiente o adduttanza liminare) interno;
si spessore dello strato generico [m]
λj conduttività termica dello strato [W/(m K)] , è specificata nella norma UNI 10351, oppure
certificato dal produttore del materiale assume valori compresi tra 3 e 0,03 W/(m K) per la
pietra e per isolanti asciutti, rispettivamente.
Rk resistenza termica per unità di superficie degli strati non omogenei [m2 K / W], è specificata
nella norma UNI 10355 per i diversi tipi di materiale da costruzione non omogeneo (es. strati
di parete in laterizi e malta).
Rse Resistenza termica superficiale esterna pari al reciproco di he coefficiente di scambio super-
ficiale (coefficiente o adduttanza liminare) esterno;
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 9
hi he
Nella tabella 1.2 sono riportati i valori della resistenza superficiale interna Rsi = h1i ed esterna
Rse = h1e come fissati nella Norma UNI EN ISO 6946. I coefficienti superficiali sono la somma del
coefficiente convettivo hc e del coefficiente radiativo hr . Quello interno dipende dalla direzione del
flusso termico che influenza la componente dello scambio termico dovuta alla convezione naturale
che in presenza di flusso termico discendente produce stratificazione e quindi coefficienti di scambio
minori. D’altro canto, la componente convettiva sulle superfici esterne è dovuta prevalentemente al
vento e quindi corrisponde ad una convezione forzata che è indipendente dalla direzione del flusso.
Si può definire la trasmittanza anche per pareti con strati non omogenei, non piane e anche a spessori
variabili; per un calcolo dettagliato delle trasmittanze di elementi opachi si rimanda alla UNI EN
694610 .
Nelle pareti sono abbastanza comuni le intercapedini d’aria che sono strati dal comportamento
particolare per la presenza dell’irraggiamento tra le superfici affacciate, la conduzione termica nello
strato d’aria e la componente convettiva che aumenta all’aumentare dello spessore. Nella tabella 1.3
ripresa dalla Norma UNI EN ISO 6946 sono riportati i valori della resistenza termica di intercapedini
d’aria le cui superfici sono ad elevata emissivitá.
Si ricorda che, nelle ristrutturazioni di edifici esistenti con superficie utile non superiore a 1000
m2 i valori della trasmittanza degli elementi costituenti l’involucro sono limitati per legge; si fac-
cia riferimento al al D.P.R. n.59/2009, art. 4 ed al Decreto Legislativo 311/2006 (modifica del D.l.
192/2005), in particolare all’Articolo 3 per individuare il caso in cui si ricade ed all’Allegato C per
i valori di riferimento ai quali rimanda il già citato D.P.R. 59/2009. Allo scopo di facilitare la scelta
9
Secondo l’allegato NA alla UNI EN 12831 i coefficienti per le diverse esposizioni prevedono aumenti delle dispersioni
che ‘’tengono conto dell’insolazione normale, del diverso grado di umidità delle pareti, della diversa velocità e temperatura
dei venti”. Valori limite: e = 1 per parete esposta a SUD, e = 1, 2 per parete esposta a NORD o a NORD-EST mentre
non è previsto nessun aumento delle dispersioni per le coperture che nella realtà sono tra le pareti più esposte, soprattutto
a causa dell’elevato reirraggiamento verso la volta celeste nelle notti con cielo limpido.
10
Nel rispetto di questa Norma, nei calcoli bisogna utilizzare valori di trasmittanza e di resistenza termica con tre cifre
significative ed i risultati vanno presentati con due cifre decimali in (W/m2 K) per le trasmittanze ed in (m2 K/W) per le
resistenze termiche
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 10
Tabella 1.3: Resistenze termiche (in m2 K/W) di intercapedini d’aria non ventilate con superfici ad
alta emissivitá
Spessore Direzione del flusso termico
dell’intercapedine
mm Ascendente Orizzontale Discendente
0 0,00 0,00 0,00
5 0,11 0,11 0,11
7 0,13 0,13 0,13
10 0,15 0,15 0,15
15 0,16 0,17 0,17
25 0,16 0,18 0,19
50 0,16 0,18 0,21
100 0,16 0,18 0,22
300 0,16 0,18 0,23
delle pareti, per i casi più comuni, si riportano le tabelle di trasmittanze limite dell’Allegato C del D.L.
311/200611. Inoltre, per tutti gli edifici nelle zone climatiche C, D, E ed F, (nuovi o in ristrutturazione)
non industriali, le trasmittanze delle strutture di separazione da altri edifici o altre unità abitative sono
limitate per legge a 0,8 W/(m2 K). Il medesimo limite deve essere rispettato per le strutture opache
(verticali, orizzontali o inclinate) che delimitano verso l’esterno gli ambienti non dotati di impianto
di riscaldamento.
Tabella 1.4: Valori limite della trasmittanza termica U in W/(m2 K) per le strutture opache rivolte all’e-
sterno o verso vani non riscaldati, di ampliamenti inferiori al 20% e per la ristrutturazione
integrale degli elementi edilizi costituenti l’involucro di edifici esistenti di superficie utile
non superiore a 1000 m2
Valori limite della trasmittanza termica U delle strutture opache verticali
Zona climatica pareti verticali coperture pavimenti
verso l’esterno orizzontali verso l’esterno
o verso vani non riscaldati o inclinate o verso vani non riscaldati
A 0,62 0,38 0,65
B 0,48 0,38 0,49
C 0,40 0,38 0,42
D 0,36 0,32 0,36
E 0,34 0,30 0,33
F 0,33 0,29 0,32
Per gli edifici pubblici i valori di trasmittanza limite sono diminuiti del 10% rispetto a quelli
presenti in Tabella 1.4.
Φw = Uw Aw ∆θ
dove Uw rappresenta la trasmittanza dell’elemento ed Aw l’area lorda del foro che contiene l’elemento
finestrato.
Un metodo per il calcolo dettagliato della trasmittanza delle strutture finestrate è presentato nella
norma UNI EN ISO 10077, dove, nel caso di serramento semplice, la trasmittanza risulta essere una
media pesata della trasmittanza del vetro, del telaio e del ponte termico tra di essi come segue:
Ag Ug + Af Uf + Ψlg Lg
Uw =
Ag + Af
dove:
Ag area netta della parte vetrata,
Ug trasmittanza della parte vetrata,
Af proiezione sul piano della finestra della superficie del telaio,
Uf trasmittanza del telaio della finestra,
Ψlg trasmittanza lineica del ponte termico tra le lastre di vetro ed il telaio,
Lg lunghezza del ponte termico tra le lastre di vetro ed il telaio.
Nel calcolo della trasmittanza Ug della parte trasparente, in assenza di informazioni, si assume per
il vetro una conduttività termica λg = 1, 0 W/(m K).
Nel caso di serramenti con pannelli opachi (di solito le porte) la trasmittanza si calcola, in modo
analogo, come media pesata della parte trasparente, dei pannelli opachi e del telaio. Indicando con
UD la trasmittanza di questi elementi, si ricava:
Ag Ug + Ap Up + Af Uf + Ψlg Lg + Ψlp Lp
UD =
Ag + Ap + Af
dove, in aggiunta alle definizioni precedenti:
Ap area netta dei pannelli opachi,
Up trasmittanza dei pannelli opachi,
Ψlp trasmittanza lineica del ponte termico tra i pannelli opachi ed il telaio,
Lp lunghezza del ponte termico tra i pannelli opachi ed il telaio.
Nella Tabella 1.5 sono riportati i valori di trasmittanza della parte vetrata per finestre a doppio
vetro, mentre nella Tabella 1.6 sono riportati i valori di trasmittanza della parte vetrata per finestre a
triplo vetro. Le trasmittanze riportate nelle tabelle 1.5 e 1.6 sono state calcolate secondo la Norma
EN 673 con riferimento ai dati di emissività, spessori e concentrazioni di gas come indicato. Le inter-
capedini sono ermetiche e riempite con aria o gas senza vapore acqueo che altrimenti condenserebbe
nelle giornate fredde. Si ricordi che l’emissività e le concentrazioni di gas nelle intercapedini possono
cambiare nel tempo, inoltre può penetrare vapore acqueo. A tale riguardo esistono Norme europee
che consentono di valutare l’effetto dell’invecchiamento sulle proprietà termiche dei sistemi vetrati
(PrEN 1279-1 ed EN 1279-3). Nella Figura 1.4 sono riportati gli andamenti delle trasmittanze di telai
in legno al variare dello spessore del telaio.
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 12
Tabella 1.5: Trasmittanza termica Ug in W/(m2 K) per sistemi a doppi vetri riempiti con gas diversi
Sistema vetrato Tipo di gas nelle intercapedini
Concentrazione del gas ≥ 90%
tipo emissività in spessori Aria Argon Krypton SF6
vetro direzione normale (mm)
Uncoated 4-6-4 3,3 3,0 2,8 3,0
glass 4-9-4 3,0 2,8 2,6 3,1
(normal 0,89 4-12-4 2,9 2,7 2,6 3,1
glass) 4-15-4 2,7 2,6 2,6 3,1
4-20-4 2,7 2,6 2,6 3,1
One pane 4-6-4 2,9 2,6 2,2 2,6
coated 4-9-4 2,6 2,3 2,0 2,7
glass ≤ 0,4 4-12-4 2,4 2,1 2,0 2,7
4-15-4 2,2 2,0 2,0 2,7
4-20-4 2,2 2,0 2,0 2,7
One pane 4-6-4 2,7 2,3 1,9 2,3
coated 4-9-4 2,3 2,0 1,6 2,4
glass ≤0,2 4-12-4 1,9 1,7 1,5 2,4
4-15-4 1,8 1,6 1,6 2,5
4-20-4 1,8 1,7 1,6 2,5
One pane 4-6-4 2,6 2,2 1,7 2,1
coated 4-9-4 2,1 1,7 1,3 2,2
glass ≤0,1 4-12-4 1,8 1,5 1,3 2,3
4-15-4 1,6 1,4 1,3 2,3
4-20-4 1,6 1,4 1,3 2,3
One pane 4-6-4 2,5 2,1 1,5 2,0
coated 4-9-4 2,0 1,6 1,3 2,1
glass ≤0,05 4-12-4 1,7 1,3 1,1 2,2
4-15-4 1,5 1,2 1,1 2,2
4-20-4 1,5 1,2 1,2 2,2
Nella Tabella 1.7 sono riportati i valori da adottare per le trasmittanze lineari dei ponti termici, che
si hanno nel caso di doppi o tripli vetri, in corrispondenza del collegamento sistema vetrato–telaio.
Per disporre di valori di Trasmittanza termica di finestre per un utilizzo immediato si può fare
riferimento alla Tabella 1.8 per finestre a vetro singolo ed alla tabella 1.9 per finestre a doppi e tripli
vetri.
Si rimanda al testo della norma per i dati di dettaglio: trasmittanze della parte vetrata con lastre
di spessori diversi, trasmittanze di telai metallici con e senza taglio termico e per casi più complicati,
come i doppi serramenti o i serramenti composti, che sullo stesso telaio presentano due ante, una
apribile verso l’interno ed una verso l’esterno. Si ricorda che, come per le strutture opache, nelle
ristrutturazioni di edifici esistenti con superficie utile non superiore a 1000 m2 i valori della trasmit-
tanza delle strutture trasparenti, costituenti l’involucro sono limitati per legge; si faccia riferimento al
al D.P.R. n.59/2009, art. 4 ed al Decreto Legislativo 311/2006 (modifica del D.l. 192/2005), in parti-
colare all’Articolo 3 per individuare il caso in cui si ricade ed all’Allegato C per i valori di riferimento
ai quali rimanda il già citato D.P.R. 59/2009. Nella Tabella 1.10 sono riportati i valori limite della
trasmittanza delle strutture trasparenti ed è la copia della Tabella 4a dell’Allegato C al D.L. 311/2006.
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 13
Tabella 1.6: Trasmittanza termica Ug in W/(m2 K) per sistemi a tripli vetri riempiti con gas diversi
Sistema vetrato Tipo di gas nelle intercapedini
Concentrazione del gas ≥ 90%
tipo emissività in spessori Aria Argon Krypton SF6
vetro direzione normale (mm)
Uncoated 4-6-4-6-4 2,3 2,1 1,8 2,0
(normal) 0,89 4-9-4-9-4 2,0 1,9 1,7 2,0
glass 4-12-4-12-4 1,9 1,8 1,6 2,0
Two panes 4-6-4-6-4 2,0 1,7 1,4 1,6
coated ≤ 0,4 4-9-4-9-4 1,7 1,5 1,2 1,6
4-12-4-12-4 1,5 1,3 1,1 1,6
Two panes 4-6-4-6-4 1,8 1,5 1,1 1,3
coated ≤0,2 4-9-4-9-4 1,4 1,2 0,9 1,3
4-12-4-12-4 1,2 1,0 0,8 1,4
Two panes 4-6-4-6-4 1,7 1,3 1,0 1,2
coated ≤0,1 4-9-4-9-4 1,3 1,0 0,8 1,2
4-12-4-12-4 1,1 0,9 0,6 1,2
Two panes 4-6-4-6-4 1,6 1,3 0,9 1,1
coated ≤0,05 4-9-4-9-4 1,2 0,9 0,7 1,1
4-12-4-12-4 1,0 0,8 0,5 1,1
Tabella 1.7: Trasmittanza termica lineare Ψg in W/(m K) per distanziatori tra le lastre con prestazioni
termiche migliorate
Tipo di sistema vetrato
Tipo di telaio Doppio o triplo Doppio o triplo
vetro uncoated vetro bassoemissivo
con aria o gas una lastra trattata per i doppi vetri
due lastre trattate per i tripli vetri
con aria o gas
in legno o PVC 0,05 0,06
metallico con taglio termico 0,06 0,08
metallico senza taglio termico 0,01 0,04
Figura 1.4: Trasmittanza Uf di telai in legno ed in legno con protezione metallica in funzione dello
spessore del telaio valutato in direzione perpendicolare al piano della finestra, per legno
di tipo pesante e leggero (da ISO/DIS 10077-1).
Tabella 1.8: Trasmittanza termica Uw in W/(m2 K) per finestre a vetro singolo con una percentuale di
area frontale di telaio del 20% al variare della trasmittanza del telaio
Ug Uf
2
W/(m K) W/(m2 K)
con 20% di area di telaio
0,8 1,0 1,2 1,4 1,6 1,8 2,0 2,2 2,6 3,0 3,4 3,8 7,0
5,7 4,7 4,8 4,8 4,8 4,9 4,9 5,0 5,0 5,1 5,2 5,2 5,3 6,0
luppo lineare12 . Le dispersioni attraverso i ponti termici vengono calcolate mediante un coefficiente
che tiene conto delle disomogeneità presenti nelle pareti, e della NON monodimensionalità del flusso
termico attraverso di esse. Il coefficiente di ponte termico Ψl viene detto anche trasmittanza lineica,
e si misura in W/(m K). Nella norma UNI EN ISO 14683:2001 sono presentati valori di Ψl precal-
colati per le strutture più comuni13 , in alternativa, nella stessa norma si rimanda a calcoli semplificati
12
I ponti termici puntuali, che interessano zone limitate per i quali la zona più critica è individuabile da un punto sulla
superficie della parete, hanno una scarsa influenza sul flusso termico totale scambiato dalla parete, mentre hanno una
notevole importanza per i valori minimi di temperatura superficiale interna e rappresentano punti in cui aumenta molto il
rischio di condensa
13
Nella UNI EN ISO 14683 sono presenti tre valori di Ψl per ogni tipologia di ponte termico: Ψe sono per le dispersioni
della parete calcolate con riferimento alle superfici esterne, Ψi per le dispersioni riferite alle superfici interne e Ψoi sono
per le dispersioni riferite alle superfici interne lorde, cioè calcolate ignorando l’ingombro delle pareti interne. Inoltre, va
tenuto presente che i coefficienti Ψl presenti nella norma europea fanno riferimento al giunto nel suo complesso, pertanto
se si vuole riferire il ponte termico alla parete, nel caso di ponti termici d’angolo come quelli che si hanno tra due pareti
esterne o tra una parete esterna ed un solaio o una copertura, il coefficiente va conteggiato metà per una struttura e metà
per l’altra.
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 15
Tabella 1.9: Trasmittanza termica Uw in W/(m2 K) per finestre a vetro doppio e triplo, con distanziatori
tra le lastre con prestazioni termiche migliorate, con una percentuale di area frontale di
telaio del 20%, al variare della trasmittanza del telaio e del sistema vetrato
Ug Uf
W/(m2 K) W/(m2 K)
con 20% di area di telaio
0,8 1,0 1,2 1,4 1,6 1,8 2,0 2,2 2,6 3,0 3,4 3,8 7,0
3,3 2,9 3,0 3,0 3,1 3,1 3,1 3,2 3,2 3,3 3,4 3,5 3,6 4,1
3,2 2,9 2,9 2,9 3,0 3,0 3,1 3,1 3,2 3,2 3,3 3,4 3,5 4,0
3,1 2,8 2,8 2,9 2,9 2,9 3,0 3,0 3,1 3,2 3,2 3,3 3,4 3,9
3,0 2,7 2,7 2,8 2,8 2,9 2,9 2,9 3,0 3,1 3,2 3,2 3,3 3,8
2,9 2,6 2,7 2,7 2,7 2,8 2,8 2,9 2,9 3,0 3,1 3,2 3,2 3,7
2,8 2,5 2,6 2,6 2,7 2,7 2,7 2,8 2,8 2,9 3,0 3,1 3,2 3,7
2,7 2,5 2,5 2,5 2,6 2,6 2,7 2,7 2,8 2,8 2,9 3,0 3,1 3,6
2,6 2,4 2,4 2,5 2,5 2,5 2,6 2,6 2,7 2,6 2,8 2,9 3,0 3,5
2,5 2,3 2,3 2,4 2,4 2,5 2,5 2,5 2,6 2,5 2,8 2,8 2,9 3,4
2,4 2,2 2,3 2,3 2,3 2,4 2,4 2,5 2,5 2,4 2,7 2,8 2,8 3,3
2,3 2,1 2,2 2,2 2,3 2,3 2,3 2,4 2,4 2,4 2,6 2,7 2,8 3,3
2,2 2,1 2,1 2,1 2,2 2,2 2,3 2,3 2,4 2,3 2,5 2,6 2,7 3,2
2,1 2,0 2,0 2,1 2,1 2,1 2,2 2,2 2,3 2,2 2,4 2,5 2,6 3,1
2,0 1,9 2,0 2,0 2,0 2,1 2,1 2,2 2,3 2,3 2,4 2,5 2,6 3,1
1,9 1,8 1,9 1,9 2,0 2,0 2,0 2,1 2,2 2,3 2,3 2,5 2,5 3,0
1,8 1,8 1,8 1,8 1,9 1,9 2,0 2,0 2,1 2,2 2,3 2,3 2,4 2,9
1,7 1,7 1,7 1,8 1,8 1,8 1,9 1,9 2,0 2,1 2,2 2,3 2,3 2,9
1,6 1,6 1,6 1,7 1,7 1,8 1,8 1,8 1,9 2,0 2,1 2,2 2,3 2,8
1,5 1,5 1,6 1,6 1,6 1,7 1,7 1,8 1,9 1,9 2,0 2,1 2,2 2,7
1,4 1,4 1,5 1,5 1,6 1,6 1,6 1,7 1,8 1,9 1,9 2,0 2,1 2,6
1,3 1,4 1,4 1,4 1,5 1,5 1,6 1,6 1,7 1,8 1,9 1,9 2,0 2,5
1,2 1,3 1,3 1,4 1,4 1,4 1,5 1,5 1,6 1,7 1,8 1,9 1,9 2,5
1,1 1,2 1,2 1,3 1,3 1,4 1,4 1,4 1,5 1,6 1,7 1,8 1,9 2,4
1,0 1,1 1,2 1,2 1,2 1,3 1,3 1,4 1,5 1,5 1,6 1,7 1,8 2,3
0,9 1,0 1,1 1,1 1,2 1,2 1,2 1,3 1,4 1,5 1,5 1,6 1,7 2,2
0,8 1,0 1,0 1,0 1,1 1,1 1,2 1,2 1,3 1,4 1,5 1,5 1,6 2,1
0,7 0,9 0,9 1,0 1,0 1,0 1,1 1,1 1,2 1,3 1,4 1,5 1,5 2,1
0,6 0,8 0,8 0,9 0,9 1,0 1,0 1,0 1,1 1,2 1,3 1,4 1,5 2,0
0,5 0,7 0,8 0,8 0,8 0,9 0,9 1,0 1,1 1,1 1,2 1,3 1,4 1,9
Tabella 1.10: Valori limite della trasmittanza termica Uw in W/(m2 K), per le chiusure trasparenti com-
prensive degli infissi, per ampliamenti inferiori al 20% e per la ristrutturazione integrale
degli elementi edilizi costituenti l’involucro di edifici esistenti di superficie utile non
superiore a 1000 m2
Valori limite della trasmittanza termica U delle chiusure trasparenti
Zona climatica dall’1 gennaio 2008 dall’1 gennaio 2010
A 5,0 4,6
B 3,6 3,0
C 3,0 2,6
D 2,8 2,4
E 2,4 2,2
F 2,2 2,0
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 16
(mediante formule) 14 , ad altri abachi di ponti termici precalcolati oppure si rimanda alla la UNI EN
ISO 10211 (calcolo dettagliato dei ponti termici mediante simulazioni numeriche)15 .
L’influenza globale dei ponti termici sulle dispersioni si aggira attorno al 10 ÷ 15% e, ovviamen-
te, aumenta al diminuire delle altre dispersioni. L’importanza dei ponti termici è data dal prodotto
lunghezza · trasmittanza lineica pertanto i più importanti, per trasmittanza o per lunghezza, di solito
sono i giunti orizzontali tra solai e pareti, i giunti verticali tra pareti esterne portanti ed i giunti tra telai
delle finestre e pareti. I ponti termici sono dannosi anche perchè in corrispondenza ad essi si mani-
festa un abbassamento della temperatura superficiale interna con conseguente aumento del rischio di
condensa superficiale e della formazione di muffe (umidità relativa locale superiore all’80%); questo
avviene anche per ponti termici di estensione trascurabile (ad esempio la giunzione tra tre pareti: due
verticali ed una orizzontale). Pertanto, è consigliabile adottare delle tecniche costruttive tali da evita-
re i ponti termici, ad esempio con isolamenti aggiuntivi in corrispondenza dei giunti tra pareti ed in
corrispondenza di cordoli e pilastri.
Per quanto riguarda questo tipo di strutture la norma di riferimento è la UNI EN ISO 13370. In
essa il flusso termico è calcolato sommando tre contributi: quello stazionario, quello dovuto alla varia-
zione periodica della temperatura interna e quello dovuto alla variazione periodica della temperatura
esterna. In generale, quindi, il flusso attraverso il terreno, da intendersi come valore medio mensile,
si esprime come segue:
b m−τ +α b m−τ −β
ΦG = Hg (θ̄i − θ̄e ) + Hpiθ i cos 2π + Hpe θe cos 2π (1.4)
12 12
dove:
14
Nel foglio aggiuntivo 3 (FA3) della Norma UNI 7357:1976 erano presenti formule per il calcolo semplificato dei
ponti termici ma tale Norma ed il foglio aggiuntivo corrispondente sono stati ritirati e pertanto non sono più utilizzabili.
15
Esistono numerosi programmi per la simulazione numerica della conduzione del calore in 2D e 3D; tra questi si
segnala il software libero THERM specializzato per il calcolo 2D dei ponti termici, anche nei serramenti; THERM è
scaricabile, assieme ad altri programmi, dal sito http://windows.lbl.gov/ nella sezione software.
16
La profondità di penetrazione di un’onda termica è la profondità alla quale l’ampiezza dell’oscillazione di temperatura
è e−1 volte l’ampiezza in superficie; tale parametro è un indice di quanto l’onda termica si smorza all’interno del materiale
(nel nostro caso nel terreno).
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 17
Per la valutazione del flusso massimo nella 1.4 si può prescindere dal contributo dovuto alla
oscillazione della temperatura interna e pertanto si ha:
Per schematizzare il problema viene introdotta la dimensione caratteristica del pavimento definita
come B ′ = 2A/P dove P rappresenta il perimetro del pavimento ed A l’area. Inoltre, viene definito
uno spessore equivalente di terreno che rappresenta lo spessore di terreno che manifesta la stessa
resistenza termica delle resistenze che il flusso termico incontra in aggiunta rispetto al caso ideale in
17
Le temperature medie mensili si ricavano dalla UNI 10349.
18
Nella Norma UNI EN ISO 13370 questa trasmittanza equivalente è indicata col semplice simbolo U .
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 18
cui le temperature sono imposte sulle superfici e il pavimento è a contatto diretto con l’esterno Figura
1.5:
dt = w + λ(Rsi + Rf + Rse )
dove:
un alto valore di dt corrisponde a un’elevata resistenza termica tra interno ed esterno. Le formule da
applicare sono differenti per pavimenti non isolati o poco isolati (con dt < B ′ ) e quelli bene isolati
(con dt ≥ B ′ ). Per i valori della conducibilità termica λ e della capacità termica per unità di volume
del terreno ρc si possono assumere i valori riportati in tabella 1.11.
R se R si
Rw
111111111111
000000000000 Rf
000000000000
111111111111
000000000000
111111111111
Figura 1.5: Pavimento appoggiato sul terreno, resistenze termiche
Tabella 1.11: Proprietà termofisiche del terreno, valori della conducibilità termica λ e della capacità
termica ρc per unità di volume
Descrizione λ ρc
[W/(m · K)] [J/(m3· K)]
argilla o limo 1,5 3,0 ·106
sabbia o ghiaia 2,0 2,0 ·106
roccia omogenea 3,5 2,0 ·106
con il terreno su tutta la sua superficie, siano essi sostenuti o meno dal terreno su tutta la loro area,
situati allo stesso livello, o in prossimità, del livello della superficie del terreno esterno (Figura 1.6).
Tali pavimenti possono essere privi di isolamento o uniformemente isolati (sopra, sotto o internamente
alla soletta) su tutta la loro area.
est. int.
w Linee di
flusso
Figura 1.6: Schema di riferimento per i pavimenti a livello del terreno esterno
Nel caso di pavimenti non isolati o moderatamente isolati (con dt < B ′ ) si ha:
2λ π B′
Ueq = U0 = ln +1
π B ′ + dt dt
mentre nel caso di pavimenti bene isolati (con dt ≥ B ′ ) l’espressione della trasmittanza si semplifica
come segue:
λ
Ueq = U0 =
0, 457 B ′ + dt
In località dal clima particolarmente rigido talvolta si adottano isolamenti aggiuntivi perimetrali
in tal caso le espressioni precedenti diventano.
∆Ψ P ∆Ψ
Ueq = U0 + = U0 + 2 ′
A B
Dove ∆Ψ è il coefficiente che tiene conto dell’isolamento aggiuntivo sul perimetro (tipico di
edifici costruiti nei climi nordici). Notare che ∆Ψ è negativo perchè l’isolamento aggiuntivo riduce il
flusso termico disperso verso l’esterno. 19
19
Nel caso in cui l’isolamento aggiuntivo sia disposto orizzontalmente (Figura 1.7 a) si ha:
λ D D
∆Ψ = − ln + 1 − ln + 1
π dt dt + R′ λ
11
00
a)
11111
00000 b)
00
11
00
11
00
11
d is
D
D
00
11
00
11
Per il caso di pavimento a livello del terreno, ai fini del calcolo dei flussi, il coefficiente di
dispersione termica in regime stazionario è:
Uf è la trasmittanza termica della parte sospesa del pavimento, (tra l’ambiente interno e lo spazio
sottopavimento);
Ug è la trasmittanza attraverso il terreno per il fondo del vano aerato (analoga ad U0 nel caso di
pavimento a livello del terreno;
Ux è la trasmittanza termica equivalente che tiene conto dello scambio termico attraverso le pareti
dell’intercapedine e dell’effetto della ventilazione dello stesso spazio aerato.
2zUw fv
Ux = + 1450ǫ v ′
B ′ B
dove:
Uw trasmittanza delle pareti verticali
ǫ area delle aperture di ventilazione per metro lineare di perimetro [m2 /m]
z altezza del pavimento
v velocità media del vento alla quota di 10 m, da UNI 10349
fv coefficiente di protezione al vento (dalla norma): fv = 0, 02 in centri abitati, fv = 0, 05 in
periferia, fv = 0, 10 in zone rurali.
1450 fattore numerico che tiene conto della capacità termica dell’aria per unità di volume quando
la trasmittanza è espressa in W/(m2 K).
Per il calcolo dei flussi, il coefficiente di accoppiamento termico in regime stazionario si ricava
con la ?? :
Hg = AUeq + P Ψg
- profondità z del pavimento del piano interrato rispetto al livello del terreno;
- possibilità di diversi livelli di isolamento applicati alle pareti e al pavimento del piano interrato.
Se z varia lungo il perimetro dell’edificio, per il calcolo si deve assumere un valore medio. La
trasmittanza equivalente si calcola come:
AUbf + zP Ubw
Ueq =
A + zP
Il primo contributo per vani interrati con pavimenti non isolati o poco isolati (dt +z/2 < B ′ ) si calcola
come:
2λ π B′
Ubf = ln +1
π B ′ + dt + z/2 dt + z/2
mentre per pavimenti ben isolati (con dt + z/2 ≥ B ′ ) si ha
λ
Ubf =
0, 457 B′ + dt + z/2
di fatto sono le stesse formule viste in precedenza per il pavimento a livello del terreno in cui dt è
sostituito da dt + z/2.
Il secondo contributo, che tiene conto delle pareti verticali, è pari a:
2λ dt /2 z
Ubw = 1+ ln +1
πz dt + z dw
con dw = λ(Rsi + Rw + Rse ) spessore equivalente di terreno per le resistenze termiche corrispondenti
alle pareti verticali. Nella espressione di Ubw compaiono sia dt che dw e solitamente si ha dw ≥ dt .
Se tuttavia risulta dw < dt nella precedente formula si deve sostituire dt con dw .
1
0 00
11
0
1 00
11
0
1 00
11
0000000000
1 00
11
111111111
00
11
z
Per il calcolo dei flussi, il coefficiente di accoppiamento termico in regime stazionario è:
Hg = AUbf + zP Ubw
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 23
Si ricorda che le parti di pareti verticali sporgenti dal terreno si trattano come pareti rivolte
direttamente all’esterno.
Φt = Φe + Φm (1.7)
Ae è la superficie totale del pavimento dei vani in corrispondenza del perimetro dell’ edificio;
Am è la superficie totale del pavimento dei vani centrali dell edificio;
b è la larghezza media dei vani perimetrali dell’edificio;
B′ è la dimensione caratteristica dell’intero pavimento
Φm = Φt − Φe
pertanto
qe = Φe /Ae
qm = Φm /Am
dove:
qe è la densità del flusso termico per vani in corrispondenza del perimetro dell edificio;
qm è la densità di flusso termico per vani centrali dell edificio;
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 24
Φu = Hu ∆θ (1.8)
dove Hu è il coefficiente di dispersione tra interno ed esterno, attraverso il vano non riscaldato
(potenza per unità di salto termico), calcolata con l’analogia elettrica come presentato in figura 1.10.
Con riferimento alla figura ed all’analogia elettrica si può evidenziare il significato del coefficiente
di dispersione Hu , infatti:
Ru = Riu + Rue
dove il pedice iu si riferisce ai termini relativi agli scambi tra ambiente interno e vano non riscaldato
ed il pedice ue si riferisce ai termini relativi agli scambi tra vano non riscaldato e ambiente ester-
no. Pertanto, Riu è la resistenza tra interno e vano non riscaldato, Rue è la resistenza tra vano non
riscaldato ed esterno. La resistenza totale sarà Ru = Riu + Rue e quindi:
1
Hu =
Rie
1 1
Hiu = ; Hue =
Riu Rue
Hiu Hue
Hu =
Hiu + Hue
Separando i termini di trasmissione HT,iu e HT,ue da quelli di ventilazione HV,iu e HV,ue , si può
scrivere:
Hiu = HT,iu + HV,iu
Hue = HT,ue + HV,ue
Dal calcolo dei coefficienti di dispersione H, eguagliando il flusso che dall’interno viene ceduto al
vano non riscaldato e da questo all’esterno, si può anche determinare il valore della temperatura del
vano non riscaldato, che diviene:
111
000
000
111
000
111
Interno 000
111
000
111 Esterno
θu
θi 000
111 θe
R iu
000
111
000
111 R ue
000
111
000
111
000
111
000 Locale non
111
riscaldato
Figura 1.10: scambi termici con ambienti non riscaldati, rete resistiva equivalente
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 25
Hu
θu = θi − (θi − θe )
Hiu
È questo un modo mediante il quale si può valutare la frazione della dispersione attraverso il locale
non riscaldato che compete ad una parte dell’edificio (es. un appartamento che disperde verso un vano
scale condominiale), cosı̀ indicando col pedice aggiuntivo j la frazione che si vuole calcolare, si avrà:
dove ṁuj rappresenta la portata d’aria scambiata tra la j−esima porzione dell’edificio ed il vano non
riscaldato, cpa il calore specifico a pressione costante dell’aria mentre gli altri simboli hanno il solito
significato.
Nella fase di calcolo delle potenze disperse per il dimensionamento dei corpi scaldanti è bene
tener conto anche delle dispersioni verso ambienti appartenenti ad altre unità abitative o comunque
riscaldati ma non sotto il controllo della stessa utenza della quale si sta valutando la potenza. Questo è
necessario perché le altre utenze potrebbero essere spente (appartamenti sfitti, uffici vuoti, ecc.). Que-
sta situazione andrebbe affrontata considerando i locali adiacenti come vani non riscaldati, ma l’onere
di calcolo aumenta considerevolmente. La norma europea UNI EN 12831 consiglia di considerarli
come vani a temperatura fissa. Per i dettagli fare riferimento al paragrafo successivo.
ΦA = HA (θi − θA ) (1.9)
dove HA è il coefficiente di dispersione tra interno e vano a temperatura fissata, (potenza per unità di
salto termico), θi è la temperatura del vano di cui si sta calcolando il carico e θA è la temperatura del
vano adiacente.
Un caso comune di scambio termico tra vani a temperatura diversa e controllata è, ad esempio,
quello tra i bagni, le stanze adiacenti e viceversa (per i bagni si assume θi = 24◦ C). In fase progettuale
le potenze provenienti dai bagni si possono trascurare in quanto entranti, mentre nel dimensionamento
dei corpi scaldanti dei bagni è bene tener conto, almeno in modo approssimato, delle potenze disperse
verso i locali riscaldati ma a temperatura inferiore.
Un altro caso ricorrente di vano adiacente che, secondo la UNI EN 12831 può essere considerato a
temperatura fissata è quello di vani adiacenti appartenenti ad altra unità abitativa. L’approccio adottato
nella Norma è riassunto nella Tabella 1.13.
In pratica la temperatura del vano adiacente si ottiene da un calcolo solo nel caso in cui il vano di
riferimento ed il vano adiacente appartengano ad unità immobiliari diverse ma dello stesso edificio.
Per il calcolo si distinguono due casi:
Nel caso (a) si ipotizza che tutte le unità immobiliari dell’edificio siano riscaldate tranne quella in cui è
situato il vano adiacente. Nel caso (b) si ipotizza che l’unica unità immobiliare riscaldata dell’edificio
sia quella in cui è situato il vano riscaldato. In entrambi i casi si dovrebbe poi procedere come per gli
scambi attraverso vani non riscaldati ma escludendo il contributo della ventilazione (anche dai vani
non riscaldati verso l’esterno), determinando la temperatura del vano adiacente. Nel caso (a) si può
esprimere la temperatura del vano adiacente nel modo seguente:
θ A,a = θi − ba (θi − θe )
con P
e Se Ue
ba = P P
i Si Ui + e Se Ue
dove
Se sono le superfici del locale adiacente appartenente ad un’altra unità immobiliare, rivolte verso
l’esterno;
Ue sono le trasmittanze delle pareti di superficie Se ;
Si sono le superfici del locale adiacente appartenente ad un’altra unità immobiliare, rivolte verso
unità immobiliari riscaldate;
Ue sono le trasmittanze delle pareti divisorie di superficie Si .
Per gli edifici di cui al caso (b) l’ipotesi convenzionale ai fini del calcolo è che l’unità immobiliare
di cui si effettua il calcolo delle dispersioni sia l’unica riscaldata, per cui la temperatura delle unità
immobiliari adiacenti è:
θA,b = θi − bb (θi − θe )
con P
SE UE
E
bb = P P
AR SAR UAR + E SE UE
dove
SE sono le superfici della parte non riscaldata dell’edificio (escluse quindi quelle dell’unità
immobiliare riscaldata) rivolte verso l’esterno;
UE sono le trasmittanze delle pareti di superficie SE ;
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 27
SAR sono le superfici dell’unità immobiliare riscaldata, adiacenti ad altre unità immobiliari rite-
nute non riscaldate;
UAR sono le trasmittanze delle pareti divisorie di superficie SAR .
Il limite inferiore di θA,b , quindi nel caso di edifici destinati ad occupazione saltuaria, è la tempera-
tura antigelo di 4◦ C, che il progettista dovrà garantire, con sistemi automatici, nelle unità immobiliari
non riscaldate.
Fortunatamente, in alternativa a questa procedura onerosa, la Norma UNI EN 12831 non esclude
l’uso di un metodo semplificato per la determinazione dei coefficienti b, avvalendosi di un prospetto
presentato nella Norma e qui riportato in Tabella 1.14. Il prospetto fornisce i coefficienti ba in funzione
della percentuale di superficie dell’unità immobiliare adiacente rivolta verso l’esterno e del rapporto
fra le trasmittanze delle pareti interne ed esterne ed i coefficienti bb esclusivamente nella riga relativa
alla percentuale P pari all’80%.
con l’ipotesi di poter scrivere la differenza di entalpia specifica dell’aria come hi − he = cpa (θi − θe ).
La portata volumica V̇ si può esprimere come:
V̇ = n · V
con V volume netto del locale, ed n tasso di rinnovo dell’aria che esprime il numero di ricambi/ora,
cioè il numero di volte che in un’ora si rinnova l’aria del locale.
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 28
ΦV = HV (θi − θe )
Tabella 1.15: Tasso minimo di rinnovo d’aria esterna per edifici residenziali, nmin
Tipo di locale n (h−1 )
Locali di abitazione (default) 0,5
Cucine 1,5
Bagni 2,0
V̇ = V̇mec + V̇inf
dove V̇mec rappresenta la portata garantita dal sistema meccanico di ventilazione forzata e V̇inf è la
portata d’aria dovuta alle infiltrazioni che si sovrappone a quella forzata; quest’ultima può essere
spesso considerata nulla.
Per ridurre le potenze disperse, l’impianto di ventilazione forzata può essere dotato di un recupe-
ratore21 . I recuperatori per gli impianti di ventilazione sono, di solito, scambiatori di calore a flussi
20
Sono di solito edifici caratterizzati da grandi dimensioni in pianta con destinati ad uso uffici o ad uso commerciale.
21
Come si vedrà più avanti nel capitolo relativo ai consumi, in presenza di un sistema di ventilazione forzata con grosse
portate d’aria e per climi rigidi l’installazione del recuperatore è obbligatoria per legge.
CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE 29
incrociati. La capacità di recupero è rappresentata dalla efficienza ηV definita come rapporto tra il
calore recuperato Φr ed il massimo calore recuperabile Φr, max.
Con riferimento allo schema di Fig. 1.11, tenuto conto che la portata espulsa e quella introdotta
sono praticamente uguali, possiamo scrivere:
Φr θim − θ e
ηV = =
Φr,max θi − θe
. θim θi
m
• ΦV va diviso per i m3 di volume totale dell’edificio, ottenendo un indice volumico della potenza
scambiata per ventilazione.
Si ottiene
Si Vi
Φi = ΦT,i + ΦV,i = ΦT ( ) + ΦV ( )
Stot Vtot
A questo punto è possibile dimensionare in maniera opportuna i terminali.
Capitolo 2
IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
Dal calcolo delle dispersioni si è ottenuta la potenza necessaria per il riscaldamento dei singoli locali:
Φ = ΦT + ΦV
Tale potenza è ricavata in regime stazionario, senza tener conto del funzionamento dei corpi scaldanti
e delle modalità di controllo della temperatura ambiente. Ogni tipologia di terminale dell’impianto
trasferisce calore all’ambiente secondo modalità che, per mantenere la temperatura interna al valore
di progetto, richiedono una potenza maggiore di quella calcolata idealmente secondo l’espressione
precedente. Ad esempio, un radiatore posto in corrispondenza di una parete esterna scalda la parete
posteriore ad una temperatura maggiore di quella che si avrebbe se la parete scambiasse calore con
l’aria ambiente e per irraggiamento con le altre pareti; questo comporta una maggior dispersione
rispetto ai valori calcolati. Anche il sistema di regolazione e controllo della temperatura interna degli
ambienti può dare luogo a disuniformità di temperatura che comportano maggiori dispersioni. Le
inefficienze legate allo scambio termico tra i terminali e l’ambiente vengono valutate mediante un
coefficiente η e < 1 detto rendimento di emissione, le inefficienze dovute al sistema di regolazione
e controllo vengono valutate mediante un coefficiente η c < 1 detto rendimento di regolazione. A
queste considerazioni si deve aggiungere che i calcoli possono contenere errori o anche le condizioni
in opera possono non corrispondere a quelle di calcolo, ad esempio possono mancare parti di isolante
nelle pareti. Per ovviare a ciò si consiglia di aumentare ulteriormente la potenza con un coefficiente
di sicurezza Cs ≃ 1, 20. Inoltre, si deve prevedere che i locali possano essere riscaldati a partire da
condizioni di temperatura interna sensibilmente inferiore di quella di progetto, ad esempio a causa
della intermittenza o attenuazione del funzionamento durante la notte o i fine settimana. Affinché
la temperatura interna possa raggiungere il valore di progetto (di benessere)in tempi accettabili la
potenza da fornire deve essere superiore a quella calcolata tramite la 1.1, secondo la Norma UNI
EN 12831, alla potenza calcolata in regime stazionario rappresentata dalla 1.1 si somma una potenza
di ripresa ΦRH ottenuta da potenze specifiche fornite dalla Norma. In Tabella 2.1 sono riportati i
valori di fRH per gli edifici residenziali. La maggiorazione per il preriscaldamento deve essere tanto
più grande quanto più elevata è l’inerzia termica interna dell’ambiente e quanto minore è il tempo
richiesto per il raggiungimento della temperatura di progetto1 .
Perciò, la potenza che il corpo scaldante deve fornire al locale si può esprimere come:
Φ
Φcs = + ΦRH
ηe η c
1
Secondo la normativa UNI EN 12828:2005 (Impianti di riscaldamento negli edifici – Progettazione dei sistemi di
riscaldamento ad acqua), la maggiorazione si fa mediante un fattore di progetto per il carico termico fHL maggiore
dell’unità
30
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 31
dove:
Φcs potenza del corpo scaldante
Φ potenza ideale richiesta dall’ambiente
ηe rendimento di emissione
ηc rendimento di regolazione
Ci coefficiente di intermittenza
Cs coefficiente di sicurezza
ΦRH potenza di ripresa
La potenza di ripresa viene espressa come:
ΦRH = fRH · Ap
dove ncs è il numero di corpi scaldanti della zona. E’ possibile cosı̀ risalire alla potenza della caldaia
(del sistema di generazione) Φg .
Xnz
Φz,k
Φg ≥
η
k=1 d,k
dove
nz numero di zone servite dall’impianto;
Φz,k potenza termica della k−esima zona;
η d,k rendimento di distribuzione della k−esima zona.
La potenza del sistema di generazione calcolata in questo modo può risultare eccessivamente
sovrastimata soprattutto se si tratta di un impianto centralizzato con numerose utenze. Ad esempio,
una sovrastima può derivare dal calcolo delle dispersioni se si sono previste dispersioni tra i locali
di una utenza e quella di un’altra adiacente, supposta spenta; nel caso qualche utenza sia spenta,
la potenza non utilizzata da queste resta a disposizione per il riscaldamento delle utenze collegate
e attive, senza necessità di incrementi. Pertanto per il calcolo della potenza del generatore queste
dispersioni e tutte le altre tra vani riscaldati, serviti dallo stesso impianto, non sano da considerare.
Nel seguito si studiano i diversi tipi di terminali d’impianto e le differenze che comportano
sull’impianto. Per cominciare si studiano gli impianti a radiatori che rappresentano il caso più
comune.
2
I valori da utilizzare per i rendimenti di emissione, regolazione e distribuzione sono riportati nella Norma UNI/TS
11300-2.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 32
Tabella 2.1: Fattori di ripresa fRH per edifici residenziali - Abbassamento notturno massimo di 8 ore
Tempo di ripresa fRH (W/m2 )
(h) Caduta di temperatura impostata per l’attenuazione (K)1
1 2 3
massa dell’edificio massa dell’edificio massa dell’edificio
alta alta alta
1 11 22 45
2 6 11 22
3 4 9 16
4 2 7 13
1) Negli edifici ben isolati e a buona tenuta all’aria è molto improbabile che la temperatura
ambiente discenda durante l’abbassamento notturno di oltre 2 K o 3 K.
La discesa dipenderà comunque dalle condizioni climatiche e dalla massa termica dell’edificio.
Sezione
radiatore
Φ = C(∆θ)n
dove
C é un coefficiente caratteristico di ciascun radiatore;
n è un esponente che viene determinato durante le prove di laboratorio e che viene riportato nei
cataloghi;
∆θ é la differenza di temperatura tra il radiatore e l’ambiente (temperatura operante):
θm + θr
∆θ = − θa.
2
Applicando la relazione precedente anche alle condizioni di prova si può eliminare il coefficiente
C e ottenere:
n
∆θ
Φ = Φn
∆θ n
Nei cataloghi sono riportati i valori di Φn e dell’esponente n, oltre alle condizioni di temperatura
utilizzate per valutare la resa.
14
Soluzione 25 Soluzione
migliore peggiore:
32 piedi piu’
21 freddi.
15 32
18
14
Radiatore
000
111
0
1
000
111
1111111
0000000 0
1
000
111
0
1
0000000
1111111
000
111 000
111
0
1
000
111 0
1
000
111 0 Sconsigliabile:
1
000
111
000
111 0
1
000
111 0
1
000
111 0
1 il pannello blocca
000
111 0
1
0 il flusso radiativo
1
000
111
000
111 0
1
000
111 0
1
000
111 0
1
000
111
000
111
000
111000000000000
111111111111
000111111111111
111000000000000
• ventilconvettori: lo scambio termico è garantito da una ventilazione forzata dell’aria su una
batteria alettata in cui circola il fluido.
• termoconvettori: simili ai precedenti, ma senza ventilatore: lo scambio ternico è dovuto alla
convezione naturale su batterie alettate, collocate spesso “a zoccolo, ovvero a livello del bat-
tiscopa sul pavimento. Sono utilizzati negli USA, e da noi nelle ristrutturazioni o al disotto di
grandi vetrate. Presentano lo svantaggio di favorire il moto delle polveri.
la scelta delle pompe di circolazione. Le resistenze al moto si manifestano sia lungo le tubazioni e
sono proporzionali alla lunghezza del percorso e sia in corrispondenza a variazioni brusche di sezione
o deviazioni del flusso. Pertanto, le perdite di carico5 possono essere considerate di 2 tipi, distribuite
∆pd e localizzate o concentrate ∆pc . Di conseguenza, esprimiamo le perdite di carico complessive in
un ramo di un circuito idraulico nel seguente modo:
∆p = ∆pd + ∆pc
Con riferimento al Sistema Internazionale di unità di misura (SI) r si esprime in pascal (Pa) o suoi
multipli (kPa o bar). Dividendo l’espressione di r per la densità dell’acqua ρ e per l’accelerazione
di gravità g il salto di pressione viene espresso come altezza di colonna d’acqua, metri di colonna
d’acqua (m c.a.) o col suo sottomultiplo più utilizzato, il millimetro di colonna d’acqua (mm c.a.) e
la perdita di carico per unità di lunghezza sarà espressa rispettivamente in (m c.a./m) e (mm c.a./m).
Osservazione: Per la valutazione delle pressioni sono in uso numerose unità di misura di tipo tecnico.
In particolare, nei circuiti idraulici è diffusa la misura in termini di altezza di colonna d’acqua espressa
in millimetri (mm c.a.) o metri (m c.a.). Per passare facilmente da pascal a mm c.a. si consideri che
una colonna d’acqua alta un metro (1000 mm c.a.) produce alla base, a causa del suo peso, una
pressione:
ρgz 1000 · 9, 81 · 1 N
p= = = 9810 2 ≈ 10000Pa
A 1 m
Pertanto, in ambito tecnico si assume normalmente
Per le perdite di carico espresse in metri o millimetri di colonna d’acqua useremo nel seguito il
simbolo ∆z. Nella fase di progettazione si cerca di limitare le perdite di carico e le velocità del fluido
entro valori accettabili. Tipicamente, si fa in modo di restare entro i seguenti valori:
10000000000000000000
111111111111111111 1010
1010 Diametro 101010
10111111111111111111
000000000000000000
10111111111111111111
000000000000000000 10101010
10111111111111111111
000000000000000000 000000
111111 1010
10111111111111111111
000000000000000000 000000
111111 0
1
10111111111111111111
000000000000000000 000000
111111 101010
10111111111111111111 000000
111111
000000000000000000
10111111111111111111
000000000000000000 000000
111111 10101010 Portata
10111111111111111111000000
111111
000000000000000000000000
111111
10111111111111111111
000000000000000000 10101010
000000
111111
10111111111111111111
000000000000000000
000000
111111
10111111111111111111
000000000000000000 10101010
000000
111111
10111111111111111111
000000000000000000
1010 1010
10000000000000000000
111111111111111111 10
11111111111
00000000000
Perdite di carico specifiche
Ad esempio, per lo stesso materiale esistono 3 diversi diagrammi, a seconda della temperatura dell’ac-
qua: 10o /50o /80oC. Infatti al variare della temperatura la viscosita’ del fluido cambia sensibilmente
e di conseguenza anche le perdite, che sono maggiori alle temperature basse; a parità di portata un
impianto funzionante in raffrescamento con acqua ad una temperatura media di 10o C è caratterizzato
da perdite di carico maggiori di circa il 30% rispetto al funzionamento, in riscaldamento, con acqua
ad una temperatura media di 80oC.
Metodo diretto:
è il piú preciso dei due, e calcola direttamente la perdita in ogni discontinuitá:
w2
∆z = ξρ
2
con ξ coefficiente di perdita localizzata, che di solito viene fornito per ogni tipo di “disturbo” che puó
essere presente nel circuito. La perdita totale, per un tratto di tubo a diametro costante, risulta
w2 X
∆z = L r + ρ ξ
2
Una volta determinate le perdite di carico per ogni tratto, si deve operare il bilanciamento idraulico
dell’impianto.
• monotubo
• a 2 tubi
Terminali in serie
• difetti: se si chiude un radiatore si blocca il flusso anche agli altri, essendo posti in serie. Questo
problema viene risolto con un by-pass per ogni terminale. Inoltre il salto termico avviene non
in ogni terminale, che quindi scambia poco calore, ma in tutto l’anello, costringendo ad alzare
le portate e di conseguenza le perdite di carico.
Attualmente questo sistema viene utilizzato dove gli altri riultano troppo costosi,ad esempio per
riscaldare locali molto ampi.
• valvola a 4 vie: garantisce un rapporto costante tra la portata nel corpo scaldante e quella
nell’anello.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 40
Radiatore
Valvola
Mand.
Rit.
In pratica, è un dispositivo di regolazione con 4 bocche che realizzano 2 percorsi, uno attraverso
il radiatore e l’altro di by-pass.
• tubo venturi: il rapporto tra le portate non è più costante, dipende dalle condizioni di funzio-
namento.
• collegamento “normale” con detentore, ovvero valvola a perdita di carico variabile.
Per il dimensionamento, vengono date solo indicazioni di massima, per uno studio particolareggiato
si faccia riferimento ai manuali dei produttori. Indipendentemente dal numero di anelli, si procede
con un anello per volta, procedendo come segue:
1. Si calcola la potenza ΦA da fornire a tutto l’anello. Se ci sono n corpi scaldanti in un anello, la
ΦA è la somma delle potenze termiche ΦT di ogni terminale.
X
ΦA = ΦT
2. Si sceglie la ∆tA , salto termico nell’anello. Di solito si prende un valore compreso tra 10 e 15
K.
3. Si calcola la portata nell’anello, GA :
ΦA
GA =
c ∆tA
4. in base a tale portata ed alla perdita di carico unitaria desiderata, si trova il diametro del tubo
grazie agli appositi grafici.
Diametro
Portata
Velocita’
nei tubi
Bisogna tener presente che i tubi in acciaio zincato sono più costosi di quelli non zincati, ma
piu’ economici del rame. Il Cu però è flessibile (mentre l’acciaio costringe a fare solo curve a
gomito), ed a sua volta può essere ricotto, per migliorare ancora la flessibilità e diminuire dun-
que il raggio delle curve fattibili. il costo del Cu è circa una volta e mezza quello dell’acciaio,
ed è meglio tenersi al disotto di 18/20 mm di diametro, per evitare prezzi degli acessori troppo
alti. Se le portate risultassero in questo caso troppo elevate, la soluzione è quella di suddividere
l’anello in due.
Radiatore
Valvola
gi
Ga Ga−gi Ga
′ ∆PA,max
rA =
Leq
Una volta noto rA′
, dal diagramma delle perdite si ricava la nuova portata G′A , che comunque
deve soddisfare:
G′A − GA
< 10%
GA
ritorno semplice
, usato per gli impianti piccoli la distribuzione Ë presentata in figura 2.2 Si noti che le portate sono
diverse nelle diverse zone di distribuzione, infatti ad ogni uscita verso un terminale la portata cala nel
tubo di mandata, che verrà quindi dimensionato con diametri decrescenti, per avere perdita di carico
costante per unità di lunghezza.
Diametro
inferiore
Mand.
Rit.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 43
Caldaia
Ritorno semplice
Ritorno inverso
Per quanto riguarda le perdite di carico, l’ultimo terminale servito sarà soggetto a perdite molto più
alte del primo, per la maggior lunghezza dei tubi di mandata e ritorno. Per mantenere le portate
di progetto, si agisce sulle valvole dei diversi terminali. Se però l’impianto è molto lungo, occorre
pessare all’altra disposizione:
ritorno inverso
, in questo caso tutti i terminali sono soggetti a perdite simili figura 2.3, anche se si deve utilizzare un
tubo di ritorno più lungo: Per il dimensionamento delle reti a 2 tubi, si parte scegliendo una perdita
unitaria (e dunque il diametro adatto alla nostra portata iniziale), e si dimensionano i vari tratti dei
tubi cercando di mantenere costante tale perdita, pur con variazioni di portata. Per determinare le
portate, si parte dalla potenza dei vari terminali:
Φi
gi =
c∆t
con ∆t = 10K, valore tipico, uguale per tutti i terminali. L aportata globale sarà
X
G= gi
Per mantenere costanti le perdite di carico unitarie nei 2 tubi, ogni terminale dovrà avere un suo
diametro di mandata e di ritorno.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 44
Caldaia
Pianta edificio
La disposizione a 2 tubi si presta all’utilizzo di tubi in acciaio, poichel̀e curve sono di solito solo a
gomito. attualmente però si preferisce il rame, che consente collegamenti a freddo e senza filettatura,
grazie alla tecnologia “ a pressare”, o “press fitting”. Ad esempio, per il collegamento di 2 tubi in Cu
di diverso diametro,
Azione pinze
a freddo
si usa, come raffigurato in fig 2.3.3, un raccordo con due anelli di tenuta in gomma e pinze che
garantiscono la tenuta, pur operando a freddo e senza filettature.
1. Pannelli ad elevata temperatura, θs > 680o C, destinati ad ambienti industriali, sono appli-
cati sospesi per non essere raggiungibili dalle persone e staccati dalle strutture, date le alte
temperature. Alcune tipologie realizzano la combustione sul supporto ceramico che costituisce
l’elemento radiante, in tal caso, siccome i prodotti della combustione vengono immessi nei lo-
cali da riscaldare il loro uso è limitato a locali aperti o semi aperti. In altre tipologie il fluido
termovettore è costituito da acqua calda pressurizzata, vapore o gas di scarico di un sistema di
combustione.
2. Pannelli a media temperatura, 80÷200oC, anche questi sono destinati ad ambienti industriali,
magazzini, ecc. e sono applicati sospesi e staccati dalle strutture. Il fluido termovettore è acqua
calda o gas di scarico di un sistema di combustione. Questo tipo ed i precedenti si usano
in particolare quando la zona da riscaldare è relativamente piccola rispetto all’intero locale.
Presentano comunque degli scambi termici per convezione che scaldando l’aria al di sopra
delle zone occupate sono da considerarsi come perdite.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 46
Zona di lavoro
3. Pannelli a bassa temperatura, 25÷45o C, sono usati per impianti di riscaldamento, ma ultima-
mente anche per il raffrescamento estivo, facendo circolare nello stesso impianto acqua fredda
(a temperature di circa 18o C). Questi ultimi possono essere:
• a pavimento: buone prestazioni sia per riscaldamento che per il raffrescamento. Sono i
più utilizzati.
• a parete: efficienti per riscaldamento e raffrescamento.
• a soffitto: efficienti soprattutto per il raffrescamento
Lo scambio termico si realizza per convezione naturale con l’aria ambiente e in modo signi-
ficativo anche per irraggiamento. Per i pannelli orizzontali, lo scambio termico è più efficace
con flusso termico ascendente. Perciò, per il riscaldamento sono migliori i pannelli a pavimen-
to, mentre per il raffrescamento estivo la resa migliore si ha con i pannelli a soffitto, che però
sono meno efficienti nella stagione invernale perchè producono stratificazione dell’aria. Lo
stesso varrebbe per il raffrescamento a pavimento, se non ci fosse una condizione favorevole:
la radiazione solare di solito entra dall’alto verso il basso e colpisce il pavimento freddo che
raccoglie cosı̀ subito una parte del carico termico da asportare. Rimane comunque la limitazio-
ne sulla convezione. Da notare che la presenza di mobili sul pavimento di solito limita poco
la diffusione del calore, mentre bisogna tener conto dei carichi che devono essere sopportati.
l’impianto deve quindi essere robusto, di solito si hanno tubi annegati in profondità nel masset-
to di calcestruzzo che deve avere spessore maggiore di 45 mm. Questo problema non si pone
per i pannelli a parete o a soffitto, che quindi possono essere molto più prossimi alla superficie,
ricoperti dall’intonaco o solo dalla tinteggiatura.
energetici soprattutto in abbinamento con caldaie a condensazione. Viene trattato nella norma UNI
EN 1264 (suddivisa in 4 parti). La prima parte è riservata a definizioni e simbologia, la seconda
alla determinazione della potenza emessa (utile ai produttori), la terza al dimensionamento (utile ai
progettisti) e la quarta riguarda prescrizioni per l’installazione (utile ai progettisti, direttori dei lavori
e installatori).
Finitura
Irraggiamento e convezione
I pannelli sono realizzati disponendo nel massetto del pavimento, prima del getto, un tubo a spirale
o a serpentina. È consigliabile per il massetto l’utilizzo di materiali con buona resistenza meccanica
ed alta conduttività termica, come ad esempio il calcestruzzo (cls). L’obiettivo, nella realizzazione
del pavimento contenente i pannelli, è quello di favorire lo scambio termico verso l’alto e di limitarlo
verso il basso, utilizzando uno strato compatto di isolante (va bene il polistirolo o il poliuretano
espanso, non la lana di vetro o simili).
Finitura
con un foglio di polietilene o equivalente. Al di sopra si posa solitamente una rete metallica che serve
sia a evitare crepe nel massetto che per l’ancoraggio dei tubi mediante ganci. I tubi sono raramente di
rame, di solito sono di materiale plastico quale polietilene (PE) o polipropilene (PP) con una guaina
per bloccare la diffusione dell’ossigeno che trasportato poi dall’acqua andrebbe ad intaccare le parti
ossidabili dell’impianto. I tubi vengono posati sopra la rete metallica con un passo stabilito in fase di
progettazione 9 .
Tabella 2.2: Resistenza termica minima degli strati di isolamento sottostanti l’impianto di
riscaldamento a pavimento
Resistenza termica minima (m2 K/W)
Pavimento verso
Ambiente sottostante Ambiente sottostante
riscaldato non riscaldato o Ambiente esterno
riscaldato in modo
non continuativo o Temperatura esterna di progetto
direttamente sul terreno (*) θe ≥ 0o C −5 ≤ θe ≤ 0o C −15 ≤ θe ≤ −5o C
0,75 1,25 1,25 1,50 2,00
(*) Con un livello di falda freatica ≤ 5m il valore dovrebbe essere aumentato
Tubo
Pianta Sezione
Esempi di posa:
9
Una soluzione alternativa alla rete metallica è costituita da pannelli isolanti con delle sporgenze cilindriche che hanno
lo scopo di trattenere i tubi in modo da rispettare il passo previsto. In questo caso il passo tra i tubi può variare solamente
ad intervalli discreti corrispondenti al passo tra le sporgenze.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 49
Per riscaldare un edificio si hanno più circuiti che fanno capo ad un unico collettore, posto di solito
in una nicchia in una parete verticale non necessariamente in posizione baricentrica in quanto la
lunghezza dei tubi dipende meno dalla posizione dei collettori. I tubi di norma hanno tutti lo stesso
diametro, e le perdite dei diversi circuiti dipendono quindi solo dalle diverse lunghezze. Essendo i
circuiti in parallelo nel collettore, per avere le portate di progetto si deve procedere al bilanciamento
idraulico dell’impianto, tramite opportune valvole regolabili posizionate sul collettore. I collettori
di mandata e ritorno per i pannelli radianti non sono complanari e neppure collegati rigidamente
e solitamente sono più ingombranti di quelli per impianti a collettori, anche per la presenza delle
valvole di regolazione.
Le norme prendono in considerazione diverse configurazioni (tipi) di pannelli:
Tipo A
Finitura superficiale
Massetto
Isolante
con tubi
Protezione Struttura
isolante portante
Tipo B
Finitura
Tubi disposti
nell'isolante
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 50
I tubi sono disposti sullo strato più superficiale dell’isolante con delle sottili lamelle che permettono
miglior distribuzione orizzontale del flusso termico.
Tipo C
si ha un pannello prefabbricato contenente al suo interno tubi già predisposti, collocati sopre l’isolan-
te.
Poichè lo scambio termico avviene principalmente per irraggiamento, oltre alla temperatura del-
l’aria, assume particolare importanza la temperatura delle superfici interne delle pareti. E’ opportuno
perciò fare riferimento alla temperatura operante θo dell’ambiente che è una media pesata tra la
temperatura dell’aria θa e la temperatura media radiante θmr delle superfici interne:
θo = Aθa + (1 − A)θmr
dove A è il coefficiente di pesata (ovviamente A < 1). Per velocità dell’aria basse si può assumere
A = 0, 5 e pertanto:
θa + θmr
θo =
2
La temperatura media radiante delle pareti θmr è la temperatura uniforme che le pareti dovrebbero
avere per scambiare per irraggiamento lo stesso calore, l’esatto valore di θmr si ottiene pesando con i
fattori di vista e con l’area il valore della temperatura assoluta delle diverse pareti:
dove v
uX
u n
4 t
Tmr = (θsj + 273)Fj
j=1
ed inoltre
n numero di pareti
θsj temperatura della j-esima parete
Fj fattore di vista della j-esima parete
Quando le pareti hanno temperature superficiali poco diverse tra loro (∆θ < 5K si può assumere:
Pn
j=1 θ sj Aj
θmr ≈ Pn
j=1 Aj
dove
Ci sono diversi fattori che influenzano la potenza scambiata e di cui si tiene conto mediante i
termini am i
i :
• Il diametro esterno dei tubi, D, che solitamente sono rivestiti da una barriera alla migrazione
di O2 :
q = f (∆θnH )
qG = BG (∆θ H )nG
10
Le curve limite inferiore e superiore valgono per differenze tra la massima temperatura del pavimento e l’ambiente
di 9 K e 15 K rispettivamente. In particolare la curva limite inferiore si può utilizzare anche per i bagni dove è prevista
una temperatura superficiale massima di 33o C per una temperatura ambiente di 24o C, associate a Rλ,B = 0, 0.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 52
mentre l’emissione massima qG per per un salto termico θF,max − θi = 15 K (curva limite superiore
si ottiene dalla analoga relazione:
1,1(1−nG )
15
qG = BG (∆θH )nG
9
dove BG ed nG sono riportati in prospetti nella Norma UNI EN 1264-2 in funzione del passo tra i
tubi T e dello spessore su e conduttività termica λE dello strato di supporto. Dalla uguaglianza tra
queste espressioni di qG e la resa del pannello fornita dalla 2.1 si ottiene il valore di ∆θH,G salto di
temperatura medio logaritmico in corrispondenza della intersezione tra le curve caratteristiche e le
curve limite11.
Per i limiti sulla temperatura massima del pavimento a 29o C nella zona calpestabile un pannello
ha una emissione massima di circa 100 W/m2 in tale zona. Mentre ai bordi dei locali, dove si ha
maggiore dispersione e dove è concessa una temperatura massima di 35o C il limite di emissione
raggiunge dirca 175 W/m2 . Valori tipici di emissione in fase di progetto per la zona calpestabile sono
q = 80/90 W/m2 .
q''
Grafico
bilogaritmico
θ ι − θ fm
Rλ,B vedi figura 2.5.
Per il dimensionamento dell’impianto il punto di partenza è sempre la potenza da fornire ad
ogni singolo locale, indicata nella Norma come QN,f che deve essere depurata della dispersione dal
pavimento verso il basso12 in quanto questa viene compensata da una maggior portata d’acqua, senza
influire sulla temperatura della superficie superiore.
Si valuta poi, per ogni stanza, la richiesta di potenza per unità di superficie utile di pavimento:
QN,f,j
qj = (2.2)
AF,j
dove AF,j rappresenta l’area utilizzabile per disporre i tubi del pannello nella j-esima stanza. Si
individua la stanza più sfavorita, che è quella che richiede la massima emissione:
qmax = max {qj }
11
Per i dettagli vedere la Norma UNI EN 1264-2.
12
Nella determinazione delle curve caratteristiche, quando si valuta la prestazione del pannello, la dispersione verso il
basso viene assunta pari al 10% di quella verso l’alto.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 53
R
q''
175
Limite alto
θpavim.
100
Limite basso
θpavim.
∆θ h
da questo calcolo sono esclusi i bagni, che vengono considerati con θi = 24oC e quindi con un
Area
perimetrale
Area <1m
calpestabile
∆θ H = 9o C
Si passa cosı̀ alla scelta del passo tra i tubi da utilizzare nella stanza più sfavorita mediante l’uso
delle curve caratteristiche dei pannelli per i diversi valori del passo tra i tubi.
Per la scelta del passo tra i tubi e della temperatura di mandata dell’acqua la norma prevede
l’utilizzo delle curve caratteristiche valutate con Rλ,B = 0, 1 m2 K/W13 . Si notino sul grafico le due
curve limite, la più bassa per la zona calpestabile e i bagni, con θ F,max − θi = 9K, e la più alta
13
Se la resistenza del rivestimento è Rλ,B,j > 0, 1 bisogna utilizzare le curve caratteristiche valutate per la resistenza
effettiva del rivestimento.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 54
R λB
q''
R λB = 0
∆θ h
Figura 2.7: Curve caratteristiche di un pannello a pavimento per diversi valori della resistenza del
rivestimento
per le zone perimetrali, con θF,max − θi = 15K. si tratta dunque di trovare sul diagramma, in
funzione della qmax , il passo dei tubi e la resistenza del pavimento (anche se la finitura è scelta a
priori dal committente). Naturalmente, minore è il passo, maggiore è l’emissione a parità di massima
temperatura del pavimento in quanto si ha maggiore uniformità della temperatura superficiale.
Praticamente, si entra nel diagramma sulle ordinate col valore di qmax e muovendosi in orizzontale
si individuano le intersezioni tra il valore di qmax e le curve caratteristiche per i diversi passi. Le
intersezioni al di sotto della curva limite inferiore individuano tutte dei passi utilizzabili. Se non ci
sono intersezioni al di sotto della curva limite inferiore si procede a suddividere il pavimento in zona
perimetrale e zona calpestabile14 . Individuata la fascia che si vuole utilizzare come perimetrale, con
larghezza massima di 1 metro, se ne calcola l’area AR alla quale competerà un flusso specifico qR
scelto tra quelli ottenibili dal pannello al di sotto della curva limite superiore. Scelto il passo TR , che
fornisce qR , si calcola la potenza termica residua da soddisfare con il pannello nella zona occupata
(calpestabile) di area AA = AF − AR come:
QA = QN,f − qR AR
L’acqua subisce dunque un salto termico tra la temperatura di mandata θV e quella di ritorno θR :
σ = θV − θR (2.4)
θ V è la stessa per tutti i circuiti che confluiscono allo stesso collettore di zona. Per gli impianti
semplici è preferibile che θV sia la stessa per tutti i circuiti anche per un impianto con più zone
controllate separatamente. Oltre al passo tra i tubi, la temperatura di mandata dell’acqua rappresenta
l’altra incognita da determinare nella fase di progettazione. Si definisce temperatura di mandata
di progetto θV,des , quella calcolata partendo dal locale più sfavorito, cioè quello con flusso termico
specifico più alto. La differenza tra questo valore e la temperatura dell’ambiente viene definita come:
∆θ V,des = θV,des − θi
La stessa equazione 2.5 si può usare per il valore di progetto ∆θV,des , è sufficiente sostituire ∆θ H con
∆θ H,des . In alternativa alla 2.5, la norma propone due espressioni approssimate per ∆θV a seconda
del valore del rapportoσ/∆θH , i due casi sono:
σ/∆θH ≤ 0, 5
oppure
σ/∆θH > 0, 5
Nel primo caso, se si assume σ = 5 K allora ∆θH ≥ 10 K e si ha:
σ
∆θ V,des ≤ ∆θ H,des +
2
15
il pedice des indica il valore assunto in condizioni progetto
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 56
σ σ2
∆θV,des ≤ ∆θ H,des + +
2 12∆θH,des
Nelle precedenti equazioni la norma permette di utilizzare al posto della differenza ∆θ H,des cor-
rispondente alla emissione in condizioni di progetto qdes la differenza ∆θH,G corrispondente alla
emissione limite qG per lo stesso passo, con la limitazione:
σ
∆θV,des ≤ ∆θ H,G +
2
con σ ≤ 5 K. Dal diagramma si ottengono la ∆θ H,des a partire da qmax e dalla curva caratteristica
del pannello scelto per il locale e la ∆θH,G in corrispondenza della intersezione tra la stessa curva
caratteristica e la curva limite inferiore, come rappresentato nella figura 2.8 Se l’ambiente è previsto
Figura 2.8: Uso del diagramma per la scelta della temperatura di mandata dell’acqua
con la zona periferica a temperatura più elevata la scelta della temperatura di mandata acqua può
essere fatta con riferimento alla curva limite superiore se il circuito della zona periferica è separato
da quello della zona occupata ed è alimentato con un controllo separato della temperatura dell’acqua,
oppure anche nel caso in cui il circuito sia in serie, a monte di quello della zona calpestabile, purché
il salto termico sul circuito della zona periferica sia calcolato in modo che la temperatura dell’acqua
all’ingresso della zona occupata non violi il limite imposto dalla curva limite inferiore, per la curva
caratteristica corrispondente al passo scelto per la zona occupata.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 57
R finitura R finitura
q'' scelta scelta
q''
q max.
σ/2
q max.
∆θ h
∆θ
h, G
∆θ h, des ∆θ h ∆θh, des ∆θ v, des
σ j = 2(∆θV,des − ∆θH,j )
tale valore è accettabile se soddisfa la limitazione (σ j /∆θH,j ) < 0, 5 altrimenti deve essere calcolato
con la seguente formula:
" 1 #
3 ∆θV,des − ∆θH,j 2
σ j = 3∆θH,j 1+ −1
4 ∆θH,j
dove:
Con riferimento alla unità di superficie di pannello, la potenza che l’acqua deve fornire può essere
espressa come:
Qw,j
= qJ + qu,j
AF,j
dove:
Tralasciando per brevità il pedice j, con riferimento alla figura 2.9, indicando con qo = qj il flusso
termico da fornire verso l’alto e con θw la temperatura dell’acqua in un generico punto del circuito, si
possono fare le seguenti considerazioni:
Finitura superficiale Ti
Ro
Tw
Isolante
Ru
Supporto
Tu
dove con Ro si è indicata la resistenza termica per unità di superficie tra i tubi e l’ambiente inferiore,
ottenuta come somma delle resistenze dei singoli strati di materiale e della resistenza superficiale
inferiore:
1
Ru = Rλ,ins + Rλ,sol + Rλ,int +
hu
dove:
Nel caso in cui si abbia θu = θi , ovvero l’ambiente sottostante sia riscaldato, la formula si
semplifica come segue:
AF,j qj Ro
ṁH,j == 1+
cw σ j Ru
Il qu (calore ceduto verso il basso) è equivalente al calore di un pannello radiante a soffitto per il vano
inferiore, e bisogna tenerne conto.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 60
Stanza 1 Stanza 2
Nella posa in opera ci sono dei locali (di solito i corridoi) in cui passano i tubi di diversi circuiti ed il
passo può essere troppo stretto per il rispetto della temperatura massima del pavimento, in tal caso si
provvede ad isolare alcuni tratti di tubo per evitare surriscaldamento. Tale isolamento protegge anche
dalla formazione di condensa superficiale nel caso i pannelli vengano usati anche per il raffrescamento
estivo.
Per concludere, si sottolinea che gli impianti di riscaldamento in cui il fluido termovettore è a
bassa temperatura come per i pannelli radianti e spesso per i ventilconvettori si possono utilizzare
efficacemente le caldaie a condensazione che in questi casi funzionano in condizioni ottimali.
modo da tollerare la condensazione del vapor d’acqua presente nei fumi e di sfruttarne cosı̀ il calore
di cambiamento di fase r che per i livelli di temperatura in gioco vale circa 2500 kJ/kg. Il metano
(CH4 ), combustibile utilizzato in queste caldaie, tra gli idrocarburi è quello che presenta il maggior
rapporto H/C, che si traduce nella maggior in una maggior quantità di acqua nei fumi ed una maggior
differenza tra il potere calorifico inferiore e quello superiore (circa il 10%).
Da qui la convenienza nel far condensare il vapore presente nei fumi, che normalmente contengo-
no acqua CO2 , N2 e tracce di altri composti trascurabili dal punto di vista energetico. La temperatura
di rugiada del vapore contenuto nei fumi di una combustione stechiometrica di metano è di circa
59o C 16 . Raffreddando i fumi sotto tale vapore si ha dunque formazione di condensa. Più fredda è
l’acqua di ritorno dall’impianto, più bassa può essere la temperatura dei fumi in uscita, maggiore sarà
la quantità di vapore condensato, e dunque il calore latente recuperato. Le caldaie a condensazione
si accoppiano quindi perfettamente con gli impianti a pannelli radianti a pavimento, che hanno tem-
perature del fluido circolante molto più basse di quelle dei radiatori. La temperatura superficiale del
pavimento deve infatti restare al disotto dei 29o C, che corrisponde ad una temp. di mandata attorno
a 40 ÷ 50oC. Altro buon accoppiamento è quello con i ventilconvettori, che per evitare un eccessi-
vo riscaldamento dell’aria vengono fatti funzionare con una termperatura dell’acqua dell’ordine di
45 ÷ 50o C. Si noti che le temperature di ritorno sono minori, tipicamente di 10K, rispetto a quelle di
mandata, e risulta quindi molto semplice far condensare il vapore nei fumi. Comunque, non si realiz-
za mai la condensazione di tutto il vapore presente nei fumi in quanto man mano che questi si seccano
diminuisce la pressione di vapore e la temperatura di rugiada. Per aumentare le prestazioni di queste
caldaie esse sono di solito accoppiate ad una sonda climatica esterna17 e ad una centralina elettronica
che regola la temperatura di mandata dell’acqua all’impianto facendola diminuire all’aumentare della
temperatura esterna18 . Una caldaia a condensazione provvista di sonda climatica esterna e centralina
di controllo può risultare vantaggiosa anche su un impianto a radiatori, in quanto ai carichi parziali le
temperature di ritorno possono scendere al disotto del valore critico. Una caldaia a condensazione che
lavori a temperature sufficientemente basse arriva ad avere rendimenti superiori del 10/15% rispetto
ad una tradizionale.
• caldaia tradizionale a CH4 ad alto rendimento ha:
Φu
η t100 = ≈ 91%
ṁc Hi + R
16
La combustione avviene sempre con un eccesso d’aria ed il valore della temperatura di rugiada diminuisce all’aumen-
tare dell’eccesso d’aria nella combustione a causa della diluizione dei fumi ed una minore pressione parziale del vapor
d’acqua.
17
Sonda che misura la temperatura dell’aria esterna
18
La regolazione si basa sulla dipendenza quasi lineare tra il carico sull’impianto e la differenza di temperatura tra gli
ambienti riscaldati e l’esterno
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 62
dove
η t100 = rendimento a massimo carico riferito ad Hi
Hi = potere calorifico inferiore
R = potenza del ventilatore del bruciatore (trascurabile)
Si vede che la massima potenza ottenibile è forzatamente legata all’Hi, non avendosi conden-
sazione.
Acqua di ritorno
Condensa
Φu, cond
η= ≈ 90/92%
ṁc Hs
η t100 = 98/102%
dove
Si noti che il valore di η t100 può superare l’unità in quanto è riferito al potere calorifico inferiore.
Come si può notare, il rendimento effettivo di una caldaia a condensazione può essere nettamen-
te superiore, anche se bisogna controllare con continuità la temperatura dell’acqua per garantire la
condensazione in tutte le situazioni in cui è possibile.
In definitiva, una caldaia a condensazione rispetto ad una normale comporta:
MANOMETRO
POMPA
SFIATO MANDATA
VASO
ESPANSIONE TRM RM
VS(RM)
TRM
REG TRM RITORNO
CD
PRST
RM
VAC
• TRM RM= termostato di sicurezza a riarmo manuale: si interviene manualmente per riattivare
il sistema. Scatta quando la temperatura supera quella di regolazione.
• TRM REG= termostato di regolazione, spegne la caldaia quando si raggiunge la temperatura
dell’acqua voluta.
• VAC= valvola di controllo del combustibile, che può essere chiusa da un dispositivo di sicurezza
attiva quando si raggiungono temperature troppo elevate.
• TRM CAL= tremometro caldaia, senza funzioni di sicurezza.
• TRM MA= termometro sulla tubazione di mandata
• MAN= manometro per controllare la pressione
• PRS RM= pressostato a riarmo manuale, scatta al superamento di una pressione ritenuta peri-
colosa
• SFT= sfiato, che sfiata i gas presenti nella caldaia
• VS RM= valvola di sicurezza, la cui apertura è controllata da una molla, quando scatta si ha
uno scarico di parte del fluido contenuto nel generatore. anche questa è a riarmo manuale, ed è
sensibile alla pressione nel fluido.
• VE= vaso di espansione, che compensa le dilatazioni del fluido alle diverse temperature.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 64
E = Vl α(θ)(θmax − θmin )
con:
E variazione di volume del liquido dell’impianto;
Vl volume di liquido contenuto nell’impianto;
α(θ) coefficiente di dilatazione volumica del liquido20;
θmax massima temperatura prevista per il funzionamento normale dell’impianto;
θmin minima temperatura prevista per il liquido dell’impianto.
Per gli impianti di riscaldamento ad acqua, assumendo normalmente:
θmax = 80o C
θmin = 10o C
tenuto conto della dipendenza di α dalla temperatura si può assumere:
In pratica la variazione di volume del liquido risulta pari al 3% del volume iniziale. Per gli impianti
a radiatori il volume d’acqua Vl contenuto nell’impianto è proporzionale alla potenza dell’impianto e
vale circa 15÷20 l/kW. La variazione di volume del fluido, durante l’esercizio normale dell’impianto,
è compensata mediante dei dispositivi detti vasi di espansione21 . I vasi di espansione sono collegati
al generatore mediante dei tubi detti tubi di sicurezza che devono rispettare particolari disposizioni
dimensionali e di collegamento riportate nella Norma già citata UNI 10412.
I vasi di espansione possono essere di due tipi, aperti o chiusi.
Vasi aperti:
Presenti solo nei vecchi impianti e negli impianti con generatore di calore a combustibile solido non
polverizzato, sono posti al di sopra del punto più alto dell’impianto e sono collegati a questo punto
mediante un tubo detto tubo di sicurezza. Sono costituiti da una vaschetta con coperchio e di solito
sono muniti di galleggiante per il controllo del livello minimo. All’interno della vaschetta il liquido
può oscillare tra il livello minimo, controllato dal galleggiante, ed un livello massimo, determinato
da un tubo di troppo pieno che scarica il liquido in eccesso in una tubazione o canale di scarico. Le
oscillazioni del liquido all’interno del vaso devono compensare le variazioni di volume del liquido
19
Il progettista ha l’obbligo di dichiarare il volume di fluido contenuto nell’impianto
20
Il coefficiente di dilatazione volumica è una proprietà che dipende sensibilmente dalla temperatura
21
La norma di riferimento per i vasi di espansione e gli altri dispositivi di sicurezza sugli impianti ad acqua calda è la
UNI 10412.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 65
nell’impianto che passando da impianto freddo a impianto caldo subisce una dilatazione. Pertanto
il volume compreso tra il livello dell’acqua a impianto inattivo (punto di chiusura del galleggiante)
ed il livello dell’acqua in corrispondenza al bordo inferiore del tubo di troppo pieno deve essere non
inferiore all’espansione E del fluido. Oltre al troppo pieno il vaso aperto deve essere dotato di un
tubo di sfogo comunicante con l’atmosfera. Il tubo di troppo pieno e quello di sfogo devono essere
indipendenti e senza valvole di intercettazione. I vasi di espansione, i tubi di sicurezza e i tubi di
troppo pieno devono essere protetti dal gelo.
canale di sfogo
troppo pieno
E
tubo di sicurezza
Vasi chiusi:
Si possono classificare nel modo seguente:
Vengono collegati alla tubazione di mandata, al di sotto della flangia oppure al ritorno in prossi-
mità della caldaia; i primi due tipi si evita di collegarli a valle della pompa di circolazione per non
assoggettarli alla prevalenza della pompa. I vasi di espansione chiusi senza membrana, vedi Figura
2.12, quando vengono collegati all’impianto sono pieni di gas (solitamente aria o azoto), a pressione
atmosferica po se auto pressurizzati o alla pressione di precarica pp se prepressurizzati. Il collegamen-
to è fatto in modo che l’ingresso dell’acqua sia rivolto verso il basso in modo da non lasciare uscire
l’aria o il gas.
Durante il caricamento dell’acqua nell’impianto il vaso si riempie parzialmente d’acqua e la pres-
sione interna si porta alla pressione dell’impianto spento pi o di inizio esercizio (pressione idrostatica
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 66
Schema di impianto con tubo di sicurezza e tubo di carico
Legenda
1 Tubo di sfiato
2 Tubo di troppo pieno
3 Tubo di caricamento
4 Andata
5 Ritorno
6 Generatore di calore
7 Tubo di sicurezza
8 Vaso d’espansione aperto
in corrispondenza del vaso)22 . Nei vasi autopressurizzati la pressione di inizio carica è pari alla
pressione atmosferica po . Durante l’esercizio, a causa della dilatazione dell’acqua contenuta nell’im-
pianto, dell’acqua entra nel vaso, ne occupa una parte e comprime il gas contenuto in esso. Alla
temperatura massima di esercizio la pressione pf all’interno del vaso non deve determinare in altre
parti dell’impianto il superamento del valore della pressione massima di esercizio dei componenti
dell’impianto alla quale sono tarati i dispositivi di sicurezza quali ad es. le valvole di sicurezza. La
pressione assoluta massima pf viene posta pari alla pressione di taratura della valvola di sicurezza
diminuita di una quantità corrispondente al dislivello di quota esistente tra il vaso di espansione se
quest’ultima è posta più in basso ovvero aumentata se posta più in alto. Per calcolare il volume del
vaso Vv si ipotizza che le trasformazioni, prima descritte, di compressione del gas all’interno del vaso
siano isoterme e che il gas abbia comportamento ideale. Pertanto, l’espansione del liquido E è com-
pensata dalla diminuzione di volume del gas contenuto nel vaso compresso dalla pressione assoluta
iniziale d’esercizio pi alla pressione assoluta massima d’esercizio pf 23 . Cosı̀ si può scrivere:
E = Vi − Vf (2.7)
con:
Vf pf
Vi
E
pi
po V o = pi V i = pf V f
pp V v = pf V f
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 68
membrana
acqua
Vi
pi
gas Vf
gas
pf
E
Vv = (2.9)
1 − ppfp
I diaframmi o membrane di separazione dei vasi chiusi devono essere fabbricati con materiali resi-
stenti alla massima pressione e temperatura di esercizio prevista per l’impianto.
Per i vasi prepressurizzati senza membrana si potrebbe utilizzare l’equazione 2.8 usando la pres-
sione di precarica pp al posto della pressione atmosferica po . La Norma UNI 10412, invece, impone di
utilizzare l’equazione 2.9 per calcolare Vi e poi di aggiungere a questo il volume di liquido presente
nel vaso a impianto freddo24 . A parità di variazioni di volume da compensare e di pressioni mini-
ma e massima d’esercizio, i vasi d’espansione chiusi prepressurizzati senza membrana risultano più
piccoli di quelli autopressurizzati e quelli con membrana risultano minori di quelli senza membrana
prepressurizzati.
I vasi di espansione privi di diaframma o membrana di separazione tra l’acqua e il gas in pressione
devono essere muniti di un mezzo per accertare il livello dell’acqua all’interno del vaso stesso 25 .
I vasi di espansione a pressione costante sono dei serbatoi chiusi, all’interno dei quali viene man-
tenuta la pressione minima possibile nell’impianto, pari a quella idrostatica di carica dell’impianto,
grazie ad un cuscino d’aria, vedi la figura 2.14. Il livello di liquido nel vaso deve poter variare per una
variazione di volume pari alla espansione E. In pratica il vaso a pressione costante è come un vaso
aperto che invece di lavorare a pressione atmosferica lavora alla pressione pi . La pressione nel vaso
viene mantenuta costante mediante una valvola che scarica aria all’esterno quando nel vaso entra del
liquido a causa dell’aumento di temperatura nell’impianto e mediante un compressore che introdu-
24
Questo è probabilmente voluto per cautelarsi dalla incertezza che ci può essere sul valore di pp per i vasi senza
membrana.
25
Ad esempio un tubicino che collega la parte inferiore del vaso, in cui c’è il liquido, con la parte superiore, in cui c’è
il gas, ed avente un tratto trasparente in corrispondenza della variazione di livello prevista.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 69
ce aria nel vaso quando questo si svuota di liquido durante le fasi di raffreddamento dell’impianto.
Questo tipo di vaso ha i seguenti vantaggi:
• ha le dimensioni minime possibili, infatti il suo volume è di poco maggiore dell’espansione E;
• non produrre aumenti di pressione nell’impianto per compensare le dilazioni del liquido
è quindi adatto per i grandi impianti e per quegli impianti che sono già soggetti a impianto freddo a
pressioni prossime a quelle massime accettabili per qualche componente dell’impianto. Ovviamen-
te la presenza del compressore aumento sensibilmente il costo del sistema di compensazione delle
dilatazioni del liquido.
Vf
pi
E
Vi
Per i grossi impianti in cui il contenuto di liquido è elevato anche il volume dell’espansione E è
grande. Per non utilizzare un serbatoio di grande diametro a elevata pressione 26 può essere conve-
niente adottare vasi di espansione a pressione e volume costanti. Essi sono costituiti da due serbatoi:
uno di dimensioni minori operante alla pressione pi ed uno di dimensioni maggiori operante alla pres-
sione atmosferica po , vedi la figura 2.15. Il serbatoio di piccole dimensioni deve consentire le minime
oscillazioni di livello del liquido che gli strumenti devono percepire per far intervenire i dispositi-
vi di carica o svuotamento mentre il serbatoio di elevate dimensioni serve alla compensazione della
dilatazione. A impianto freddo il liquido nel serbatoio più grande è al livello minimo; durante il ri-
scaldamento, mentre il liquido nell’impianto si dilata, il livello nel serbatoio piccolo si alza, i sensori
percepiscono la variazione di livello e fanno aprire la valvola di scarico verso il serbatoio di dimensio-
ni maggiori, questo fino al raggiungimento della temperatura di esercizio. Durante il raffreddamento
dell’impianto il liquido nell’impianto si contrae e richiama liquido dal serbatoio più piccolo nel quale
il livello diminuisce e gli strumenti fanno intervenire la pompa per trasferire liquido dal serbatoio
maggiore, alla pressione po a quello minore, alla pressione pi .
Evidentemente il serbatoio va dimensionato per un volume maggiore di E, mentre il serbatoio
minore va dimensionato per le oscillazioni consentite dagli strumenti di controllo.
26
A parità di pressione e di materiale per la resistenza meccanica lo spessore della lamiera di cui è costituito il serbatoio
aumenta proporzionalmente al diametro del serbatoio.
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 70
Vf
po
E
pi
Vi
Figura 2.15: Schema del sistema a pressione e volume costanti per la compensazione dell’espansione
Se si vuol fare una modifica sostanziale all’impianto (es. ristrutturazioni) inserendo un nuovo
circuito, si deve cambiare il vaso di espansione. Talvolta si inseriscono vasi di espansione anche sui
circuiti secondari.
V̇ wmax
Φu = ṁv r = r= Ar
vv vv
dove
Aria CH 4
Aria GPL
si può tracciare un andamento delle pressioni nelle caldaie atmosferiche (ovvero senza ventilatore)
e pressurizzate:
• Caldaia atmosferica:
Entra aria
a P atmosferica
H
Patm Sbocco
∆P
tiraggio
∆P = gH(ρA − ρF )
con H altezza del camino, ρA densita’ dell’aria fredda in ingresso, ρF densita’ dei fumi. Si ha
che
ρA > ρF
• Caldaia pressurizzata:
Ventilatore
Sbocco
Patm
∆P
tiraggio
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 73
Per il dimensionamento dei camini le norme di riferimento sono le UNI 7129 e la UNI10641, che rego-
lano anche lo sbocco: esso deve essere piu’ alto del tetto, in modo da evitare la zona di ricircolazione
ed arresto.
Zone di ricircolazione
e di arresto causa del vento
Tetto
Collettore Radiatori
freddo
La regolazione avviene attraverso il termostato ambiente che interviene sulla pompa e sul bruciatore,
regola anche gli orari di accensione. Si possono installare anche delle valvole termostatiche, collo-
cate nei terminali, che regolano la differenza di temperatura acqua-ambiente, e sono regolate dalla
temperatura ambiente stessa. Queste non vanno poste nello stesso locale del termostato ambiente.
Zona 1 Zona 2
Secondari
Caldaia
Primario
Collettori
Si noti che la soluzione prevede secondari senza pompe, e regolazione trmite valvole a ter vie ,
A+B
che regolano la temperatura dell’acqua di mandata e sono controllate dai termostati ambiente delle
rispettive zone. La valvola funziona con A chiuso e B aperto, o viceversa, ma senza posizioni inter-
medie, e sono attuate da motori elettrici od elettrocalamite. Gli impianti visti finora presentano una
sola pompa di circolazione sul primario. In realta’ si possono avere anche varie pompe sui circuiti
secondari, ed in questo caso non si fanno distinzioni tra impianti piccoli e grandi.
ms
ms−mp
Zona 2
Caldaia
mp
Primario
ms
ms−mp
Zona 2
Caldaia
mp
Primario
hh
In questa tipologia di impianto è assente la pompa sul primario, e non c’è collegamento tra i due
collettori. se l’impianto è molto grande è prevista una piccola pompa di ricircolo presso la caldaia,
per mantenere la temperatura di ritorno ad un valore abbastanza elevato da evitare la formazione di
condensa all’interno della caldaia stessa. Questo perche’ il contatto tra i fumi caldi ed un tubo troppo
freddo (sotto la temperatura di rugiada dei fumi stessi) porta alla formazione di conensa che può
corrodere gli scambiatori. Questo tipo di impianto può essere utilizzato anche con sistemi a bassa
temperatura (pannelli a pavimento), come nello schema seguente:
Carico zona 1
ms
Zona 2
Caldaia
mp
Primario
viene garantita una portata di ricircolo che limita la temperatura di mandata del secondario al valore
massimo previsto per non avere pavimenti troppo caldi.
ms-mp
trs Zona 2
Caldaia
mp
Primario
hh
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 76
A+B
q ṁp
= [(θmp − θamb ) − (θrs − θamb )]
ṁs cw ṁs
inoltre
q ṁp q
(θms − θrs )max = [(θmp − θ amb ) − (θ rs − θamb )max ]
qmax ṁs qmax
da cui, si ha:
q
ṁp (θms − θ rs )max qmax
= q
ṁs (θmp − θamb ) − (θrs − θ amb )max qmax
Un termostato sulla mandata del primario e uno sul secondario regolano il rapporto tra le portate.
ms-mc
Anche in questo caso si ha regolazione con valvola miscelatrice: entra ṁc a θc , esce ṁc a θrs . il
bilancio di entalpie è il seguente:
q = ṁc c (θc − θrs )
q = ṁs c (θ ms − θ rs )
ṁc θms − θrs
=
ṁs θc − θrs
Nelle condizioni di carico massimo qmax si avra’ il massimo salto di temperatura sul secondario:
da cui q
ṁc (θms − θrs )max qmax
= q
ṁs (θc − θamb ) − (θrs − θamb )max qmax
e si vede che il rapporto tra le portate è funzione delle temperature controllate θc e θamb .
ms
Secondari
mi ms−mi
mp−mi Zona 2
Caldaia mp
Primario
Collettori
Si vede che sono presenti due circuiti distinti, primario e secondario, ognuno con la propria pompa.
Le valvole di taratura garantiscono una portata costante, e si indicano come segue:
Oppure
In particolare, ṁi è la portata di iniezione, ṁs la portata sul secondario e ṁp quella sul primario. Il
by-pass permette un ricircolo parziale della portata del secondario. Da notare che:
- i collettori sono a pressioni diverse
le due pompe (sul primario e sul secondario) lavorano a portata costante, e lo si vede dal fatto
che il circuito che chiude la pompa non ha regolazioni.
- grazie alla valvola di taratura si ha portata sul secondario costante, pur variando la portata di
inezione d dunque la temperatura.
La regolazione serve a mantenere al secondario una opportuna temperatura per quegli impianti
che non possono funzionare alla temperatura massima della caldaia che circola nel primario. Tipico
utilizzo, per i pannelli radianti a pavimento). In definitiva, questo impianto lavora a portata costante al
secondario, e permette di variare la temperatura di mandata. Questo avviene grazie alla portata di inie-
zione, che ha la temperatura che arriva dalla caldaia, ed è regolata dalla valvola a tre vie. Diminuendo
la ṁi e grazie al ricircolo, la temperatura di mandata del secondario si mantiene sufficientemente
bassa.
q (fornitura calore)
ms, ms,
hms hrs
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 79
grazie al ricircolo si mantiene una differenza di temperatura tra i due circuiti di almeno 10 K. Da
notare infine che la pompa sul primario è necessaria per garantire la circolazione in questo circuito,
che non ci sarebbe con la sola pompa sul secondario per la presenza del by-pass.
Osservazione: le valvole a 3 vie possono essere utilizzate come miscelatrici, con 2 entrate ed 1
uscita, o come deviatrici, con 1 entrata e 2 uscite.
B AB
Funzionamento
A
a miscelazione
B AB
∆Pv
A
∆Pc
∆pv ≈ ∆pc
dove ∆pv sono le perdite della valvola, e ∆pc quelle del circuito. La valvola opera su di un circuito
in cui le perdite sono dovute anche alla valvola stessa: tale circuito funziona bene se la perdita dovuta
alla valvola è elevata, in quanto il comportamento risulta poco influenzato dalle variazioni di ∆pv
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 80
e∆pc introdote dalla regolazione. I costruttori caratterizzano le valvole con un coefficiente della
valvola KV :
V̇
KV = √
∆pv
In pratica KV è la portata volumetrica corrispondente ad un salto ∆pv = 1 bar, ossia una perdita di
carico unitaria. Ora, posta la condizione
∆pv = ∆pc
V̇
KV s = √
∆pc
da cui si sceglie la valvola dai cataloghi in modo da avere
KV < KV s
ed un diametro adeguato al diametro dei tubi. Da notare che il KV di una valvola è calcolato dal
produttore misurando la portata che provoca un ∆pv = 1 bar, mentre il KV s è ricavato dal progettista
in funzione dell’impianto, determinando la perdita di carico effettiva sulla valvola.
valvole termostatiche, si possono adottare vantaggiosamente pompe con curva caratteristica ripida,
per esempio impianti a panelli radianti o monotubo, o in tutti quei casi dove per ragione di sicurezza,
in fase di progetto, sono ipotizzate perdite di carico maggiori rispetto a quelle reali. L’esperienza
pratica insegna che spesso, le perdite di carico reali dell’impianto sono inferiori a quelle calcolate,
pertanto risulta che la curva caratteristica è più piatta. Nella circostanza la curva ripida della pompa
offre il vantaggio che il punto di lavoro, (punto d’intersezione fra curva dell’impianto e della pompa),
non si scosta troppo verso destra, provocando un aumento di portata inferiore a quello di una curva
piatta. Si evita l’instaurarsi di rumori fastidiosi, causati dall’eccessiva portata lungo le tubazioni.
H Curve di
(prevalenza) funzionamento
Velocita'
di rotazione
Q (portata)
Il calcolo sul circuito fornirà i due valori, corrispondenti ad un punto sul diagramma, che in genere
non appartiene ad una curva caratteristica di una pompa in commercio: la scelta di solito è quella di
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 83
una macchina con la caratteristica più vicina che passa al di sopra del punto stesso. In realtà anche
una pompa con curva caratteristica che incroci la caratteristica dell’impianto al di sotto del punto di
funzionamento nominale può essere una buona scelta. Infatti, soprattutto negli impianti a radiatori,
in quanto la resa dei radiatori in funzione della portata, a portate prossime a quella nominale, varia
poco al variare della portata. In pratica, per questi impianti si può tollerare una variazione sulla por-
tata dell’ordine del ±10% del valore nominale senza compromettere minimamente il funzionamento
dell’impianto.
curva dell'impianto
modificata
curva caratteristica
dell'impianto
.
V
CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO 84
2 pompe
gemellate
Q
Capitolo 3
85
CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO 86
• METODO MENSILE: semistazionario: l’energia necessaria risulta come somma dei contri-
buti mensili in ipotesi di stazionarietà delle condizioni nell’arco dei singoli mesi ⇒ regime
stazionario nel mese e variabile da mese a mese durante la stagione di riscaldamento.
Nel seguito si farà riferimento al metodo mensile che risulta più accurato soprattutto per i climi
temperati.
L’energia primaria Q per il riscaldamento è l’energia relativa a tutti i consumi di combustibile
necessari al riscaldamento nell’arco di un anno (medio dal punto di vista climatico):
Qaux
Q = Qc +
ηsen
dove
η sen rendimento del servizio elettrico nazionale, è il parametro per la conversione da energia
del combustibile ad energia elettrica; corrisponde a 0,40 in quanto il DL 311/06 fissa la
conversione da energia elettrica in energia primaria come 1 kWhe = 9 MJ.
Il rapporto Qη aux rappresenta l’energia primaria consumata per produrre l’energia elettrica utilizzata
sen
dagli ausiliari.
Qc é l’energia consumata in caldaia, e può essere ricavata effettuando un bilancio di energie sul
generatore di calore, infatti sequendo lo schema di figura 3.1 si ottiene:
Qc = Qu + Qf + Qd + Qf bs (3.3)
Qu = Qp − Qpo η po (3.4)
dove:
Qd dispersioni di energia attraverso il mantello della caldaia;
Qf perdite ai fumi (o al camino) a fiamma accesa;
Qf bs perdite ai fumi (o al camino) a bruciatore spento14;
Qpo energia elettrica fornita alla pompa;
η po frazione dell’energia elettrica della pompa trasferita al fluido;
Qu energia utile, fornita dalla caldaia;
Qp energia prodotta in base alle richieste dell’impianto, compreso il contributo della pompa15 .
Qf
Qd
Qpo
Qc
Qu Qp
Per risolvere il precedente bilancio è necessario determinare Qp . Tale termine si calcola, come illustra-
to di seguito, a partire dalle richieste di energia delle utenze (edificio) in condizioni di funzionamento
ideale dell’impianto, tenendo poi conto di tutte le inefficienze dell’impianto nel trasferire l’energia dal
generatore agli ambienti da riscaldare. Il fabbisogno ideale dell’edificio viene indicato col simbolo
Qh se valutato con riferimento a un funzionamento dell’impianto senza interruzione e con temperatu-
ra interna sempre pari a quella di riferimento, mentre viene indicato col simbolo Qhvs se valutato con
riferimento a un funzionamento dell’impianto con intermittenza (giornaliera e/o settimanale) oppure
con periodi di attenuazione della temperatura interna (di almeno 4 K). Per il calcolo dell’indice EP
la Legge prescrive il calcolo in regime di funzionamento continuo.
14
Durante il funzionamento dell’impianto il bruciatore della caldaia non è sempre acceso. Negli intervalli di tempo
in cui è spento ci sono delle perdite al camino dovute al tiraggio anche in assenza di fiamma, inoltre prima di ogni
riaccensione del bruciatore c’è una fase di lavaggio della camera di combustione durante la quale viene soffiata aria che
contribuisce a raffreddare la caldaia; Qf bs tiene conto di entrambi questi contributi.
15
Negli impianti ad acqua l’energia prodotta Qp solitamente è poco diversa da Qu in quanto Qpo è di solito inferiore
all’1% di Qu ed η po assume valori inferiori a 0,9. Negli impianti ad aria, invece, l’energia fornita dai ventilatori
CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO 89
• EDIFICIO: insieme di tutte le zone termiche da riscaldare con un unico impianto di riscal-
damento. Spesso l’edificio non corrisponde al FABBRICATO come nel caso frequente di un
appartamento riscaldato autonomamente in un condominio, oppure, meno frequentemente più
corpi di fabbrica serviti da una stessa centrale termica come nel teleriscaldamento.
1111
0000
0000
1111
0000
1111
Qsi Qhvs
0000
1111 QL
Qi
Qse
Locale
caldaia
L’equazione (3.5) è valida per regime di funzionamento continuo, tipicamente però gli impianti fun-
zionano con periodi di spegnimento temporaneo (intermittenza) oppure di attenuazione dell’impianto
(abbassamento di almeno 4 K della temperatura interna). Per la valutazione del fabbisogno in re-
gime non continuo la (3.5) viene pertanto modificata (nella UNI 10379) introducendo i coefficienti
k; Fil ; Fig , si ottiene quindi il fabbisogno energetico utile in regime non continuo Qhvs
dove:
tc costante di tempo dell’edificio, che serve anche nella determinazione di η u , in quanto anche
in questo caso sono influenti le caratteristiche dinamiche dell’edificio stesso;
nag numero di ore di spegnimento o attenuazione notturne (dalle 16,00 alle 8,00), nell’arco di una
giornata;
ndg numero di ore di spegnimento o attenuazione diurne (dalle 8,00 alle 16,00)17 ;
∆θsb differenza tra la temperatura interna prefissata e la temperatura limite di attenuazione;
∆θ = θi − θem differenza tra la temperatura interna e la temperatura esterna media del periodo.
non stazionarietà della temperatura interna. I due calcoli coincidono nella zona climatica E dove è
previsto il funzionamento continuo dell’impianto. Il calcolo in regime intermittente o attenuato era
previsto nelle procedure precedenti al DL 311/06 per la verifica del rendimento globale medio sta-
gionale ηg quale rapporto tra il fabbisogno di energia termica utile per la climatizzazione invernale
e l’energia primaria delle fonti energetiche, ivi compresa l’energia elettrica dei dispositivi ausiliari.
Questa verifica è prevista anche nel D.L. 311/2006 ma, mentre per il calcolo di EP il decreto fa rife-
rimento esplicito al calcolo in regime continuo, per il rendimento globale medio stagionale non viene
specificata la modalità di calcolo delle energie. La Norma UNI 10379:2500 per la determinazione di
η g prevede il calcolo in regime intermittente o attenuato che fornisce fabbisogni inferiori e valori di η g
migliori (più alti). Pertanto, possiamo definire il rendimento globale medio stagionale con riferimento
al regime continuo nel modo seguente:
Qh
ηg = (3.7)
Q
oppure con riferimento al regime non continuo:
Qhvs
ηg = (3.8)
QR
nella equazione 3.8 il fabbisogno di energia primaria Q ed il fabbisogno di energia termica utile Qhvs
sono da calcolare come somme dei corrispondenti valori mensili, ovviamente i valori mensili di QR 18
devono essere calcolati a partire dai valori mensili di Qhvs e non di Qh .
∆τ = 86400 · N (3.9)
dove 86400 = 24 · 3600 sono i secondi in un giorno ed N rappresenta il numero di giorni corrispon-
denti al periodo considerato.
QL = (QT + QG + QU + QA ) + QV (3.10)
QA energia trasmessa attraverso i vani a temperatura costante diversa da quella interna (es. cella
frigorifera)
QV energia scambiata per ventilazione.
Nel seguito si analizzerà ogni singolo termine che compare nella (3.10)
QT = HT ∆θ ∆τ
HT coefficiente di dispersione (potenza dispersa per unità di salto termico) vedi (1.3) a pg. 7
∆θ salto termico ∆θ = θi − θem
θem temperatura esterna media nel periodo considerato
QG = HG ∆θ ∆τ
HG coefficiente di dispersione attraverso il terreno (potenza dispersa per unità di salto termico),
trattato nella UNI EN 13370, vedi (1.6) a pag. 17;
∆θ salto termico ∆θ = θi − θem
θem temperatura esterna media nel periodo considerato;
QU = Hu ∆θ ∆τ
Hu coefficiente di dispersione tra interno ed esterno (potenza per unità di salto termico) calcolata
con analogia elettrica, vedi (1.8) a pag. 24;
∆θ salto termico ∆θ = θi − θem
θem temperatura esterna media nel periodo considerato;
QA = HA ∆θ A ∆τ
QV = HV ∆θ ∆τ
In pratica si ha:
HV = 0, 34nV
espresso in [W/K] con:
n numero di ricambi d’aria orari19 fissato convenzionalmente pari a 0,5 per gli edifici di civile
abitazione20 ;
V volume netto della zona termica;
3.2.2 Calcolo dei termini relativi agli apporti dovuti alla radiazione solare
Gli apporti gratuiti dovuti alla radiazione solare sono di due tipi e sono dovuti rispettivamente alla
radiazione solare incidente sulle superfici opache esterne Qse e parzialmente assorbita, ed alla ra-
diazione solare incidente su superfici trasparenti Qsi , parzialmente trasmessa all’interno dove viene
assorbita. I due contributi hanno un effetto diverso: mentre Qse riduce le dispersioni aumentando
la temperatura superficiale esterna delle pareti, il termine Qsi aumenta la temperatura delle superfici
interne.
In ogni caso, con riferimento al contributo mensile, si può scrivere:
e v
!
X X
Qs = ∆τ Is,j · Aei (3.11)
j=1 i=1
Tenuto conto che l’irradianza Is è riportata nella UNI 10349 (col simbolo H) in MJ/(m2 giorno) è
conveniente esprime l’intervallo di tempo come numero di giorni nel mese N per avere Qs in MJ al
mese.
I contributi dovuti alla radiazione solare su superficie opaca o trasparente si differenziano consi-
derando diverse metodologie di calcolo per l’area equivalente Ae
19
Per i valori da utilizzare ai fini delle verifiche di legge fare riferimento alla UNI 10379:2005
20
Categoria E.1(1) del D.P.R. 412/93
CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO 94
11
00
00
11 qs
parete
int.
qs α U / he
est.
R"
R"e = 1/ he R"i = 1/ hi
Superfici opache
In questo caso l’area equivalente viene calcolata come:
U
Ae = Fs Fer A α
he
può accadere che le pareti esterne opache siano ombreggiate da ostacoli (alberi, altri edifici, etc. . .): si
introduce quindi il fattore di schermatura, Fs . Inoltre si corregge l’apporto radiativo solare per tener
conto dello scambio per re-irraggiamento verso la volta celeste mediante il coefficiente Fer . Il termine
α U / he rappresenta invece la frazione della radiazione solare che, assorbita, attraversa la parete verso
l’interno, infatti una parte della radiazione incidente viene riflessa, (1 − α) · Is , mentre della quantità
assorbita α · Is solo una parte attraversa la parete mentre la restante viene ceduta all’ambiente esterno,
come rappresentato in figura 3.3. Il flusso termico dovuto all’assorbimento della radiazione solare si
ripartisce, tra interno ed esterno secondo la regola della leva, con le resistenze termiche al posto delle
distanze.
Il termine hUe è in relazione con le resistenze termiche della parete, infatti:
U Re′′
= ′′
he Rtot
si vede quindi che l’importanza dei contributi Qse diminuisce all’aumentare dell’isolamento termico
delle pareti e viceversa come succede nei climi più temperati dove gli edifici di solito sono meno
coibentati e, inoltre, la radiazione solare è più intensa.
CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO 95
Superfici finestrate
L’area equivalente viene espressa come:
dove
Fsj fattore di riduzione per gli schermi esterni non appartenenti all’edificio
Fcj fattore di riduzione per gli schermi esterni (aggetti, terrazze) ed interni (tende)
Ffj fattore per la riduzione dell’area trasparente dovuta al telaio
g trasmittanza solare totale dell’elemento.
A area del foro della finestra;
Finestra
qs
parte parte
riflessa efficace
nei climi settentrionali, Qse < 10% di Qsi . Qsi rimane comunque elevato, ed il contributo è tanto più
importante quanto più isolate sono le pareti dell’edificio, cioè quanto più piccolo è il termine QL .
Se il valore non é quantificabile, la norma impone di assumere valori convenzionali limite, per esem-
pio per edifici adibiti a residenza (E.1)(1) si può assumere un apporto gratuito pari a 4 Apavimento [W].
tc
τ =1+
16
tc costante di tempo del’edificio espressa in ore, ovvero prodotto della costante termica dell’e-
dificio per la resistenza termica.
C
tc =
HK 3600
C capacità termica dell’edificio; X
C= Aj mj cj
j=1
La sommatoria interna
P della equazione 3.12 va effettuata per gli strati interni allo strato di isolante
oppure fino a che k sk ≤ δ in cui δ rappresenta la profondità di penetrazione dell’onda termica
CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO 97
all’interno delle pareti. La profondità di penetrazione è definita come la profondità alla quale l’am-
piezza dell’onda termica è pari a e− 1 volte l’ampiezza in superficie21 . Dalla trattazione teorica della
conduzione termica si ottiene: s
τo λ
δ=
π ρc
con
Se il lato interno dello strato di isolante cade all’interno di δ valutata secondo la precedente formula,
δ viene posta pari alla posizione dello strato di isolante a causa della elevata attenuazione introdotta
da questo.
Il rendimento di emissione η e , tiene conto delle inefficienze nel trasferimento dell’energia dal
terminale d’impianto all’ambiente (es. aumento delle dispersioni a causa dell’innalzamento della
temperatura della parete posteriore dei radiatori, irraggiamento diretto da un radiatore verso una fi-
nestra ad esso affacciata, ecc.). Il valore di η e varia da 0,95 (per pannelli radianti in strutture poco
isolate) a 0,99 (per i termoconvettori). Il rendimento di regolazione o controllo, ηc , tiene conto delle
caratteristiche del sistema di regolazione, anche in dipendenza della tipologia dei terminali di impian-
to, che possono portare la temperatura interna a valori superiori a quelli di riferimento nel calcolo con
conseguenti maggiori dispersioni (es. isteresi del termostato ed anche disuniformità di temperatura
tra i locali termostatati e gli altri, oppure assenza del termostato come nei vecchi impianti centralizzati
dotati solamente di sonda climatica esterna, inerzia termica dell’impianto, ecc.). Il valore di questo
rendimento varia in funzione del sistema di regolazione e del tipo di impianto, ad es. per i radiatori e
ventilconvettori non è mai inferiore a 0,93.
21
Per i dettagli si consiglia di consultare un teso di Trasmissione del calore nella parte che tratta la conduzione
monodimensionale in regime periodico.
CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO 98
Come secondo passo si tiene conto delle perdite lungo la rete di distribuzione dalla centrale termi-
ca fino alle singole zone termiche e si calcola l’energia prodotta (uscente dalla centrale) come somma
dei contributi delle diverse nz zone termiche servite, divisa per l’efficienza della rete di distribuzione:
nz
X
Qr,j
j=1
Qp =
ηd
con ηd , rendimento di distribuzione, funzione delle dispersioni dovute alla distribuzione, si attesta
attorno a 0,9.
I metodi di calcolo ed i valori consigliati dei rendimenti di regolazione, emissione e distribuzione
sono riportati nella Norma UNI 10348.22
Dall’energia prodotta Qp si risale all’energia utile Qu , al netto del contributo della pompa (figura
3.1):
Qu = Qp − Qpo η po
η po rendimento della pompa, indica la frazione di energia che dalla pompa viene trasferita al fluido.
La differenza tra Qp e Qu risulta di solito molto piccola, dell’ordine del 1% . Dall’energia utile Qu si
ricava infine l’energia primaria consumata, Qc :
Qu Qhvs
Qc = ≈
ηtu ηtu η e ηc η d
con ηtu , rendimento termico utile della caldaia, rappresenta il rendimento medio del generatore nel
periodo considerato (mese o stagione), esso dipende dalla tipologia della caldaia stessa, in particolare
dalle perdite al mantello Qd e ai fumi Qf e Qf bs , e da come essa viene utilizzata, cioè dal livello di
potenza richiesta rispetto alla potenza nominale del generatore.23 . Infine , noto il valore di Qc , si ricava
il fabbisogno di energia primaria necessaria al riscaldamento Q durante il periodo di riferimento:
Qaux Qpo + Qbruc
Q = Qc + = Qc +
η sen η sen
Se il periodo di riferimento è mensile, i valori stagionali di Qhvs e di Q si ricavano banalmente
come somma dei valori calcolati mensilmente.
η tu = 1 + Fbr − (3.13)
100
dove:
22
Si fa notare che a questo punto del calcolo, per poter scegliere correttamente questi rendimenti bisogna aver scelto la
tipologia dei terminali di impianto e le caratteristiche del sistema di regolazione.
23
La norma UNI 10348 prende in considerazione come generatori di calore le pompe di calore oltre alle caldaie. Questi
sistemi, che trasferiscono energia termica da un ambiente più freddo a un fluido o ambiente più caldo grazie alla spesa di
lavoro meccanico di un motore elettrico, vanno considerati separatamente e le loro prestazioni vengono tenute in conto
attraverso il coefficiente di effetto utile o COP (coefficient of performance).
CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO 99
Qc + η br Qbr = Qu + Qd + Qf + Qf bs (3.17)
Si dividano i termini dell’equazione 3.17 per Qcn , energia prodotta dalla combustione in condizioni
nominali:
Qc η Qbr Qu Qf Qd
+ br = + +
Qcn Qcn Qcn Qcn Qcn
in questa equazione si possono riconoscere i seguenti termini:
Qc
Qcn
= F C vedi definizione precedente;
ηbr Qbr
Qcn
= Fbr F C in quanto il bruciatore è acceso per una frazione F C del tempo totale;
Qf
Qcn
= Pf F C per la stessa ragione del caso precedente;
Qf bs
Qcn
= Pf bs (1 − F C) in quanto il bruciatore è spento per una frazione (1 − F C) del tempo
totale;
Qd
Qcn
= Pd in quanto la caldaia è a temperatura pari a quella a pieno carico;
Il termine QQcn
u
può essere trattato nel modo seguente:
Qu Qu Qun Qun
= = CP
Qcn Qcn Qun Qcn
dove CP = QQun u
è detto fattore di carico utile e rappresenta il rapporto tra l’energia richiesta dall’im-
pianto e l’energia che il generatore darebbe all’impianto se funzionasse sempre a pieno carico. In
particolare si ha:
Qun = Φun ta
dove con Φun si è indicata la potenza utile nominale della caldaia (ricavabile da catalogo) e con ta si
è indicato il tempo di disponibilità del generatore nel periodo di riferimento; cioè, ad esempio, nel
caso di funzionamento continuo o attenuato (disponibilità 24 ore su 24) ta = N · 24 · 3600 secondi,
mentre nel caso di funzionamento intermittente con disponibilità di 14 ore al giorno (zona climatica
E) si ha ta = N · 14 · 3600 secondi. Il fattore di carico utile CP è sempre minore del fattore di
carico al focolare F C perché il bruciatore funziona non solo per fornire Qu all’impianto, ma anche
per mantenere l’acqua in caldaia alla temperatura di funzionamento. Si sottolinea che il fattore di
carico utile CP è un parametro calcolabile quando è nota l’energia Qu richiesta dall’impianto nel
periodo, la potenza nominale della caldaia Φn ed il tempo di attivazione ta 24 mentre il fattore di carico
al focolare è calcolato come specificato di seguito. Si sostituiscano i vari termini come ora definiti
nell’equazione precedente, si raccolgano F C e CP , si ottiene:
F C(1 + Fbr − Pf + Pf bs ) = CP (1 + Fbr − Pd − Pf ) + Pd + Pf bs
24
I tempi di attivazione massimi sono fissati per le diverse zone climatiche dall’art.9 del D.P.R.412/93.
CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO 101
Pd + Pf bs + CP (1 + Fbr − Pf − Pd )
FC = (3.18)
1 + Fbr − Pf + Pf bs
Qu = Qc + η br Qbr − Qd − Qf − Qf bs
η br Qbr (η Qbr )n
= br = Fbr
Qc Qcn
in quanto il contributo del bruciatore si ha quando il bruciatore è acceso e quindi proporzionalmente
all’energia consumata Qc ;
Qd Qd Qc Pd
= =
Qc Qcn Qcn FC
Qf Qf n
= = Pf
Qc Qcn
Qf bs Qf bs Qcn 1 1 − FC
= = (1 − F C)Pf bs = Ppf bs
Qc Qcn Qc FC FC
Infine si ottiene:
Pd (1 − F C)
η tu = 1 + Fbr − Pf − − Pf bs (3.19)
FC FC
L’equazione 3.19 è analoga alla 3.13 a parte le perite che sono unitarie invece che percentuali.
Tenuto conto che i produttori di generatori di calore sono tenuti a fornire nei cataloghi diversi
parametri tra cui:
η100 = Q un
Qcn
rendimento termico a pieno carico;
η30 = Q un
Qcn
rendimento termico al 30% del carico (CP = 0, 30);
Φcn =ṁc Hi potenza termica al focolare, detta anche portata termica;
Φf c =Φcn (1 − Pf ) = Φcn · (η 100 + Pd ) potenza termica convenzionale;
Φun =Φcn (1 − Pd − Pf ) = Φcn · η 100 potenza utile nominale;
Se i termini Pf , Pd e Pf bs non sono forniti dalla documentazione del generatore di calore possono
essere ricavati dalle potenze prima elencate Φcn , Φf c e Φun nel modo seguente: Per le perdite al
camino Pf :
Φf c Φcn − Φf n
= = 1 − Pf
Φcn Φcn
dove Φf n rappresenta la potenza persa ai fumi in condizioni di pieno carico, quando la caldaia lavora
in condizioni nominali; pertanto:
Φf c
Pf = 1 −
Φcn
Per le perdite al mantello:
Φun
= η100 = 1 − Pf − Pd
Φcn
e quindi:
Pd = 1 − Pf − η 100
Il termine di perdite al camino a bruciatore spento Pf bs se non disponibile può essere ricavato
dalla tabella 3.1.
In alternativa all’uso della tabella 3.1 le perdite a bruciatore spento Pf bs si possono ricavare, con
una buona approssimazione25, ponendo CP = 0, 30 e calcolando il valore corrispondente di F C, nel
modo seguente: Si consideri:
η 100 = η tu (CP = 1)
ed
η 30 = η tu (0, 30)
dalla equazione 3.20 si ottiene:
0, 30
η 30 = η
F C(0, 30) 100
dalla equazione 3.16
Qun
η 100 = = 1 + Fbr − Pf − Pd
Qcn
25
L’approssimazione consiste nel fatto che η 30 è ottenuto in laboratorio con temperatura media dell’acqua in caldaia di
50 C e non di 70o C come viene fatto per η 100
o
cosı̀ si ottiene:
η100
F C(0, 30) = 0, 30
η 30
ed anche, manipolando algebricamente l’equazione 3.18:
F C − 0, 30
Pf bs = η 100 − Pd
1 − FC
Nella figura 3.4 viene riportato l’andamento qualitativo del rendimento termico utile ηtu ricavato
con l’equazione 3.13 al variare del fattore di carico utile CP . Si fa notare che molte caldaie moder-
ne, con bruciatore modulante, hanno un comportamento che non è correttamente rappresentato dalla
(3.13), infatti in questo caso si nota che il rendimento ha un andamento decisamente più favorevole al
diminuire di CP .
η tu
1
Pd+Pf
η 100
η 30
caldaia modulante
caldaia tradizionale
0 0,3 1 CP
Figura 3.4: Andamento del rendimento ηtu di una caldaia al variare del fattore di carico utile CP .
Qualora la differenza di temperatura ∆θ tra acqua e aria sia diversa da ∆θn , la Norma UNI 10348
prevede che nelle precedenti formule le perdite Pd , Pf e Pf bs vengano sostituite con le perdite corrette
nel modo seguente:
0,02
′ ∆θ
Pf = Pf
∆θ n
′ ∆θ
Pd = Pd
∆θ n
′ ∆θ
Pf bs = Pf bs
∆θ n
CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO 104
FEP
lim
GG
Figura 3.5: andamento del EPlim al variare del rapporto S/V e dei gradi giorno
Tabella 3.2: Valori limite dell’indice di prestazione energetica per la climatizzazione invernale
espresso in kWh/m2 anno.
valori da rispettare fino al 31/12/2007
Rapporto Zona climatica
di forma A B C D E F
S/V 600 601 900 901 1400 1401 2100 2101 3000 3000
≤ 0,2 10 10 15 15 25 25 40 40 55 55
≥ 0,9 45 45 60 60 85 85 110 110 145 145
FEP lim
FEPlim
Figura 3.6: doppia interpolazione per ottenere il EPlim in funzione della zona climatica e del rapporto
S/V
globale medio stagionale definito come nella equazione 3.7 o nella 3.8 qui ripetuta:
Qhvs
ηg =
QR
ηg ≥ η g,min
Nelle norme transitorie del D.L. 311/2006 il rendimento minimo, espresso in percentuale, per le
caldaie con potenza nominale fino a 1000kW è posto pari a:
η g,min = 65 + 3 log(Pn )
con log logaritmo in base 10 e Pn = Φun potenza utile nominale del sistema di generazione espressa
in kW. Per potenze nominali superiori a 1000kW il limite resta pari a 74% . Nel caso di interventi
solo sugli impianti o sul generatore, invece, il valore minimo è stato elevato di 10 punti percentuali
come segue29 :
η g,min = 75 + 3 log(Pn )
29
Vedi Allegato I comma 3.
CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO 106
Si può notare che al crescere della potenza cresce anche il rendimento minimo ammissibile: ad esem-
pio, con riferimento al valore previsto per i nuovi edifici, se per una caldaia da 10 kW η g,min = 68%,
per una da 100 kW η g,min = 71%.
Capitolo 4
VERIFICA TERMOIGROMETRICA
La diffusione dell’acqua sia liquida che allo stato di vapore nei componenti edilizi è un fenomeno
particolarmente complesso e la conoscenza dei suoi meccanismi, delle proprietá dei materiali, delle
condizioni iniziali e al contorno é spesso insufficiente, inadeguata e ancora in via di sviluppo. Il
problema viene qui affrontato secondo le procedure semplificate presenti nella norma UNI EN ISO
13788:20031.
La norma prende in considerazione due fenomeni che si possonoo verificare in corrispondenza
delle pareti rivolte verso l’esterno:
• la condensa superficiale sulle superfici interne
• la condensa interstiziale all’interno delle pareti esterne.
Le verifiche vengono condotte mese per mese, con ipotesi di stazionarietà delle condizioni di tem-
peratura e di pressione del vapore nel mese considerato; le condizioni al contorno corrispondono ai
valori medi mensili. La standardizzazione di questi metodi di calcolo non esclude l’uso di metodi più
avanzati. I metodi di calcolo utilizzati forniscono in genere risultati cautelativi e quindi, se una strut-
tura non risulta idonea secondo questi, possono essere utilizzati metodi più accurati che ne dimostrino
l’idoneità.
107
CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA 108
dell’aria esterna, rappresentativi della località in cui è collocato l’edificio, ottenuti dalla norma UNI
10349. Per elementi a contatto col terreno, la temperatura del terreno va assunta pari al valor medio
annuale della temperatura dell’aria esterna ed una umidità pari a quella di saturazione. Per il calcolo
del rischio di condensazione superficiale su elementi a bassa inerzia termica, come ad esempio finestre
e telai, deve essere utilizzata la temperatura minima di progetto e una umidità relativa del 95%.
dove
Tint, Pvi
Parete
Tsi
Tse
Test, Pve
Per la valutazione del contenuto di vapore nell’aria oltre che alla pressione parziale di vapore nella
Norma si fa riferimento al contenuto di vapore per unità di volume ν (umidità volumica)2 che permette
una facile correlazione tra le condizioni igrometriche esterne e quelle interne. Infatti, in assenza di
produzione di vapore, il contenuto di vapore nell’aria interna si mantiene uguale al contenuto di vapore
dell’aria esterna. Una produzione di vapore G negli ambienti comporta un aumento del contenuto di
vapore legato al rinnovo d’aria come segue:
G
ν i − ν e = ∆ν =
nV
dove
Il tasso di ventilazione n viene assunto variabile in funzione della temperatura esterna secondo la
seguente relazione:
n = 0, 2
per θe ≤ 0◦ C
n = 0, 2 + 0, 04θe
per θe > 0◦ C
Possiamo mettere in relazione la pressione parziale di vapore pv con l’umidità volumica ν consi-
derando il vapor d’acqua come aeriforme a comportamento ideale, tenuto conto del valore basso della
pressione parziale del vapore in aria:
R0
pv V = mv Rv T = mv T
Mv
mv R0 R0
pv = T =ν T
V Mv Mv
dove
mv massa di vapore
V volume d’aria che contiene la massa di vapore mv ;
2
In pratica si tratta della densità che avrebbe il vapore se avesse a disposizione tutto il volume occupato dalla miscela
aria-umida
CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA 110
pv pressione di vapore;
Mv massa molare dell’acqua;
R0 = 8, 314 kJ/(kmolK) costante universale dei gas;
T temperatura assoluta dell’aria umida.
L’aumento di umidità può essere espresso anche in funzione della pressione di vapore:
R0 Ti + Te R0 R0
pvi − pve = ∆ pv = (ν i Ti − ν e Te ) ≃ (ν i − ν e ) = ∆ν Tm
Mv 2 Mv Mv
La normativa prevede che le condizioni interne da utilizzare nei calcoli vengano maggiorate
mediante un coefficiente di sicurezza per cautelarsi dalle approssimazioni insite nel metodo.
pvi = pve + Cs ∆ pv
Diff. di
Pv (Pa)
1080
Produzione
810
di vapore
540
270
0
0 20 Test
Figura 4.1: differenza di pressione di vapore in funzione della temperatura e della destinazione d’uso
CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA 111
n = 0, 2 + 0, 04 θe
per θe > 0◦ C.
Resta l’incognita della temperatura superficiale interna. La sua determinazione non è difficile nel
caso di regime monodimensionale stazionario, però il calcolo si complica per la presenza di ponti ter-
mici. Si definisce quindi un fattore di temperatura sulla superficie interna o fattore di resistenza
interna, fRsi :
θ si − θe Rsi/e
fRsi = =
θi − θe Ri/e
dove Rsi/e ed Ri/e rappresentano, rispettivamente, la resistenza termica tra la superficie interna e
l’ambiente esterno e la resistenza termica tra l’ambiente interno e l’ambiente esterno. In assenza di
altre indicazioni, nel calcolo di Ri/e si possono adottare i seguenti valori di hi :
hi = 4 W/(m2 K) per parete piana senza schermatura
hi = 2 W/(m2 K) nel caso in cui sia prevista o sia probabile la presenza di una schermatura termica
(mobili, quadri, ecc.).
Quanto minore è fRsi = h1i tanto minore sarà θsi e di conseguenza ps (θsi ). I valori minimi del
fattore di resistenza si hanno in corrispondenza dei ponti termici, per il calcolo dettagliato del ponte
termico si veda la UNI EN 10211-1, per quello semplificato la UNI EN 10211-2 oppure le tabelle dei
fattori di temperatura presenti nell’atlante delle strutture.
psat
θ1
+ p1 = p1
θ2
p2 p2
Figura 4.2: a) Andamento della temperatura, b) andamento della pressione di vapore c) andamento
della pressione di saturazione
φ′′ é il flusso termico per unità di superficie, con ∆θ = θ1 − θ2 salto di temperatura tra due strati di
conduttivit λ e distanza ∆x. In analogia a questa formula, si può scrivere il flusso di vapore g:
dp ∆p
g = −δ p = −δ p [kg/m2 s]
dx ∆x
con δ p permeabilità al vapore, ∆p = p1 − p2 differenza di pressione di vapore tra due superfici.
∆x
p1
p2
Accanto all’andamento della pressione parziale di vapore pv può essere riportato anche l’andamento
della pressione di saturazione psat funzione questa solo della distribuzione di temperatura all’interno
della parete θ(x) come riportato in figura 4.2. La condensazione inizia quando la pressione di vapore
raggiunge quella di saturazione.
La condensa inizia quando la retta delle pv interseca la curva di saturazione psat , funzione questa
delle temperature θ1 e θ 2 .
psat
p1
p2
zona di condensa
CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA 113
Nelle pareti multistrato l’analisi pu essere svolta tracciando le psat in funzione della temperatura
e confrontandole con l’andamento lineare a tratti della pv :
Tint
Tsi
Psat(T)
Tse
Test
Parete
La normativa, per semplificare il calcolo, introduce un materiale fittizio, con permeabilità al uguale
a quella vapore dell’aria: cosı̀ per ogni strato di spessore ∆xj è possibile determinare uno spessore
d’aria equivalente Sdj avente la stessa resistenza al vapore.3
∀ strato ∆xj → Sdj
∆xj Sdj
= aria
δ pj δp
da cui
δ aria
p
Sdj = ∆xj
δ pj
in questo modo tutta la parete risulta costituita dello stesso materiale, eliminando gli spigoli ed
ottenendo un andamento lineare di pv . Assumendo che:
δ 0 = δ aria
p = 2 · 10−10 [kg/(m · sPa)]
si definisce per il materiale j−esimo un fattore di resistenza al vapore:
δ aria
p
µj =
δ pj
ottenendo quindi
Sdj = µj ∆xj
Gli elementi ad alta resistenza termica, come gli isolanti, si suddividono in un numero di strati ca-
ratterizzati ciascuno da una resistenza termica non superiore a 0,25 m2K/W; ciascuno di questi viene
considerato come singolo strato di materiale in tutti i calcoli e pure la distribuzione della pressione di
saturazione psat viene assunta lineare a tratti. 4
Nel caso ci sia interferenza tra andamento della pressione di vapore e della pressione di saturazione
è necessario calcolare l’accumulo di acqua, verificando che sia inferiore al limite consentito e che
comunque evapori tutta nei mesi più caldi. Ipotizzando la parete asciutta all’inizio del calcolo, si
procede mese per mese come segue:
3
I valori di permeabilità al vapore dei materiali sono riportati sulla norma UNI 10351.
4
in realtà l’andamento non Ë lineare come si può vedere considerando le eqns (4.1) e (4.2), ma la suddivisione degli
strati con elevata resistenza termica riduce l’errore semplificando comunque il calcolo
CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA 114
• a ciascuno strato si fa corrispondere uno strato d’aria equivalente. Gli spessori equivalenti
sono di solito maggiori di quelli reali perché ogni materiale ha permeabilità minore di quella
dell’aria.
• sulla parete fittizia si traccia l’andamento di psat e delle pv , il cui andamento ora è lineare su
tutto lo spessore, essendo il materiale omogeneo.
• Si verifica che non ci sia intersezione, come in figura 4.3, in caso contrario si deve calcolare la
quantità di acqua accumulata nella stagione.
Parete
fittizia
Pint
Psat
Pest
psat
pint psat pint
a) b)
pv
pest pest
s’d,c1
s’d,c
s’d,c2
s’d,T
s’d,T
Il flusso di vapore condensato g si ottiene da un bilancio tra il vapore che entra dalla faccia interna
e quello che esce dalla parete esterna nel periodo considerato. Nel caso di accumulo su un solo piano
di interfaccia, e facendo riferimento alla figura 4.4a si ottiene:
pi − pc pc − pe
gc = δ 0 − (4.3)
sd,T − sd,c sd,c
dove pc è la pressione del vapore all’interfaccia di condensazione, pc = psat (θc ) pari alla pressione di
saturazione alla temperatura dell’interfaccia dove avviene la condensazione θc .
Se la condensazione avviene su più interfacce, facendo riferimento alla figura 4.4b si possono
calcolare i flussi di condensazione nelle due interfaccie gc1 e gc2 :
pc2 − pc1 pc1 − pe
gc1 = δ0 − (4.4)
sd,c2 − sd,1 sd,c1
pi − pc2 pc2 − pc1
gc2 = δ0 − (4.5)
sd,T − sd,c2 sd,c2 − sd,c1
Gm = gcond ∆τ m
[kg/m2 ] con ∆τ m tempo (in secondi) del mese considerato. Questo valore va aggiunto alla quantit‡
eventualmente accumulato nei mesi precedenti. In presenza di condensazione la pressione di vapore
si assume quindi sempre pari alla pressione di saturazione alla temperatura dell’interfaccia anche nei
mesi sucessivi. Passando al mese sucessivo si ha quindi:
p = ps (θmese successivo)
pi = pi (m + 1)
pe = pe (m + 1)
con le nuove distribuzioni di pressione e temperatura si può avere ancora condensazione oppure
evaporazione
psat (θm+1 ) < pi → continua a condensare
ps (θ m+1 ) > pi → si ha evaporazione
Nel caso in cui l’accumulo continui, la quantità condensata va sommata a quella accumulata nei mesi
precedenti; se la condensa finale supera i 0,5 kg/m2 , la parete risulta inaccettabile. Se invece non
si supera tale valore si deve comunque verificare che tutta la condensa evapori nel corso dell’anno,
per avere ad ottobre la parete sempre asciutta. Per il calcolo dell’acqua evaporata si possono ancora
utilizzare le (4.3), e (4.5), in questo caso l’andamento delle pressioni Ë riportato nella figura 4.5
ottienendo di g ≤ 0. La quantit‡ evaporata nel periodo risulta quindi pari a
Em = gev ∆τ
valore che va sottratto alla quantit‡ precedentemente accumulata, se tale quantit‡ assume valori
negativi siglifica che tutta l’acqua Ë evaporata e pertanto l’interfaccia Ë asciutta.
CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA 116
psat
psat
pint
pint
a) b)
pest pv
pest
s’d,c1
s’d,c
s’d,c2
s’d,T
s’d,T
• esterna: soluzione recente (ultimi decenni), presenta costi alti, difficolt di attuazione e meno
durevole delle altre.
• centrale: piuttosto rara, esistono comunque delle soluzioni inermedie che si avvicinano al
centro della parete.
• interna: tra le soluzioni possibili é la piu’ utilizzata, ha costi bassi, é semplice da effettuare, e
l’isolante ha limitati problemi di sostegno
pv > ps (θ)
• Isolamento interno:
CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA 117
Tint
Parete con
isolamento
Isolante interno
Test
Andamento
della Psat
Isolante
Psat
Pi
Andamento
della P
Isolante
Pe
Con l’solamento interno la ps ha un valore basso nella maggior parte della parete, favorendo la
condizione di condensa pv > ps .
• Isolamento esterno:
CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA 118
Tint
Parete con
isolamento
Isolante esterno
Test
Psat
Andamento
della Psat
Isolante
Pi
Andamento
della P
Isolante
Pe
Con ps elevata nella maggior perte della parete, la condizione di saturazione si raggiunge piu’
difficilmente, in regime stazionario.
In regime periodico invece si ha andamento di tipo ondulatorio della temperatura e del flusso termico
(con periodo di oscillazione di 24 ore). L’irraggiamento solare é caratterizzato da piccole lunghezze
d’onda λ, con un picco di radiazione fino a 1 µm, secondo la legge di Wien λmax T = cost = 2898µK,
dove T nel caso del Sole vale 5700 K.
CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA 119
Interno Esterno
Nei periodi in cui manca il flusso si ha dispersione, mentre quando c’é irraggiamento si ha riscalda-
mento. La radiazione entra in gran parte dai vetri, che sono trasparenti alle basse lunghezze d’onda
del Sole, ma opachi alle alte λ corrispondenti ai 300 K degli oggetti interni all’edificio: si ha dunque
un ’effetto serra.
Emiss.
Temperatura
Lungh. d'onda
Interno Esterno
r r
ω ω
γ= =
2a 2λ/ρc
mettendo uno strato di isolante, con λ molto bassa (<< λ parete), aumenta il valore di γ. Valori tipici:
CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA 120
Strato isolante
Andamento
Interno con isolante
Andamento
senza isolante
q
Esterno
Con isolante interno la temperatura si smorza piu’ rapidamente verso l’esterno, e la quantit di calore
risulta essere minore, infatti: Z π
Q= q
0
l’isolante ha ρ bassa, ρisol << ρc Inoltre l’ambiente é piu’ soggetto a surriscaldamento: θsup ha
escursione piu’ elevate:
(δθe )isol > (δθe )c
Tutto questo farebbe propendere verso un isolamento esterno, magari con cappotto, che per presenta
gli svantaggi visti. L’isolamento interno invece da questa analisi risulta adatto solo a stanze poco abi-
tate (ad es case di vacanza), ma in realt viene comunque preferito quasi sempre. Come soluzione otti-
male si pone l’isolante dalla parte interna , sorretto da uno strato di mattoni forati, con intercapedine
d’aria e schermature alla radiazione (fogli di alluminio).
Int.
Sezione
parete
Est.
Isolante Intercapedine
d'aria
Barriera Schermatura Laterizio
al vapore alla radiazione
Questi fogli possono fare anche da barriera al vapore, producendo un salto nell’andamento della
pressione di vapore, come raffrigurato nella figura seguente:
CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA 121
Parete
Pi
reale
Pe
Pi
Parete
fittizia
Pe
La barriera va posta preferibilmente dal lato caldo dell’isolante, in modo che il salto di pv avvenga
prima di quello di ps . Tale barriera va applicata molto accuratamente ovunque, onde evitare che
ci siano delle lacune che porterebbero ad un passaggio preferenziale del vapore con formazione di
condensa. Altre soluzioni efficaci sono rappresentate nelle figure seguenti.
Int.
Sezione
parete
Est.
Intercapedine Isolante
d'aria
Laterizio Barriera
Schermatura
alla radiazione al vapore
Int. Est.
Solaio
Solaio +
cordolo
Isolante
qc′′ = h(θ1 − θ 2 )
σ(T14 − T24 )
qr′′ = 1
ǫ1
+ ǫ12 − 1
dove:
CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA 123
e dunque
σ4Tm3 (θ1 − θ2 )
qr′′ = 1
ǫ1
+ ǫ12 − 1
il flusso specifico finale risulta
′′
qtot = qk′′ + qc′′ + qr′′
Osservazione:
λaria ≈ 0, 026W/mK, h ≈ 1 ÷ 2W/m2 K,
Tm ≈ 280K, ǫ1 ≈ ǫ2 ≈ ǫ =≈ 0, 9
allora:
W
qr′′ = σǫ4Tm3 (θ1 − θ2 ) ≈ 4, 1 (θ 1 − θ2 )
m2 K
e dunque
′′ λ
qtot = qk′′ + qc′′ + qr′′ = ( + h + hr )(θ1 − θ2 )
s
ad esempio, per una intercapedine da 2 cm si ha:
0, 026
=( + 2 + 4, 1)(θ1 − θ 2 )
0, 02
(θ1 − θ2 )
=
R′′
con R′′ = 0, 14 m2 K/W . Il termine preponderante é quello dovuto allo scambio termico per irrag-
giamento (almeno pari a quello per convezione) e che aumenta sensibilmente all’aumentare di Tm .
Per limitarlo si potrebbero adottare trattamenti superficiali che abbiano bassa emissivit per elevate
lunghezze d’onda, ad esempio fogli d’alluminio.