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I muri e le barriere Il disagio abitativo tra crisi del welfare, crisi del mercato e trasformazioni della famiglia

di MANUELA OLAGNERO

1. Introduzione Dopo anni di silenzio il disagio abitativo tornato nuovamente ad essere un punto dolente della politica urbana e delle politiche sociali. In parte si sono sommate alle vecchie nuove fenomenologie di disagio, che non soltanto rendono il problema pi acuto, ma richiedono anche soluzioni pi impegnative e innovative che nel passato. In parte aumentata la consapevolezza del significato sistemico del disagio: un crocevia di tensioni e processi che coinvolgono popolazioni e famiglie ben al di l dellesperienza di pi o meno comfort dellalloggio. Di qui sorgono nuovi problemi sia di adeguatezza conoscitiva ad un oggetto tanto ampio quanto dai contorni sfumati, sia di responsabilit delle politiche nei confronti di soggetti che premono sullamministrazione per motivi e in circostanze diverse: perch appena arrivati o perch da molto tempo in scena, giovani e vecchi, soli o con pesanti carichi familiari, ecc. Prover qui a mostrare in che senso e (quando possibile), con che intensit il disagio abitativo ha ripreso un suo importante posto nellagenda dei problemi urbani e delle politiche rivolte al territorio, agli individui e alle famiglie. Prover anche a utilizzare le riflessioni sul disagio abitativo per incominciare a mettere sotto osservazione analitica, oltre che empirica, quei corsi di azione che, pur ricchi di risorse e di possibilit di scelta, non appaiono, nel loro evolversi in carriere abitative, del tutto al riparo da discontinuit, insuccessi, rischi. Utilizzer alcuni dati relativi alla situazione piemontese e torinese a scopo pi che altro esemplificativo (anche se proprio i casi torinese e piemontese mostrano non solo ovvie specificit ma anche alcune interessanti anomalie rispetto ad altre formazioni territoriali). In questa sede, dunque, le categorie
RASSEGNA ITALIANA DI SOCIOLOGIA / a. XXXIX, n. 1, gennaio-marzo 1998

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utilizzate nel commentare questi dati non scenderanno mai sotto un certo livello di astrazione. Il concetto di disagio abitativo un concetto apparentemente semplice. Fa parte dellesperienza e del senso comuni lidea del malessere e anche del rischio che provengono da assenza di condizioni minime di comfort e di sicurezza dellabitare. E fa ormai parte anche della cultura sociale diffusa lidea che una casa confortevole e dignitosa costituisca un diritto fondamentale di individui e famiglie, che va garantito e protetto anche in sede istituzionale. Il disagio abitativo dunque un valore negativo sia della qualit della vita individuale, sia dellintegrazione sociale. La questione diventa pi complicata quando si tratta, in sede sia conoscitiva che operativa: a) di fissare standard condivisi di qualit abitativa e residenziale, adeguata al contesto socioterritoriale e per rispondente a requisiti transnazionali ritenuti ormai irrinunciabili; b) di interpretare il significato del disagio in termini di nessi economici e sociali, di conseguenze a livello di sistema e a livello di comportamenti individuali. Mostrer ora la complessit di questa operazione sul duplice fronte: della diagnostica sociale del disagio abitativo e della valutazione delle politiche antidisagio. Le difficolt a questo primo livello analitico sono sostanzialmente due: una prima difficolt riguarda il carattere non assoluto, ma relativo dello standard abitativo. I diversi standard sono suscettibili di modifiche mano a mano che migliora la qualit dellabitare: oggi lelevazione dello standard mette inevitabilmente sotto pressione, anche in Italia, i tradizionali criteri troppo generici e le soglie troppo basse di qualit dellabitare che invece funzionavano bene per lItalia agricola degli anni 50. Gli standard variano anche da un contesto nazionale allaltro. Gli standard usati ad esempio dallOlanda prevedono come componenti principali il criterio della presenza e quello del sesso dei figli, mentre gli standard americani, secondo un metro notoriamente pi selettivo, utilizzano come base di calcolo dello spazio abitativo la superficie, anzich il numero di vani. Lo standard residenziale previsto dal Ministero dei Lavori Pubblici italiano negli anni 60, poi modificato negli anni 80, e in via di revisione per lanno Duemila1 ancora
1 Nel futuro sara adottato il pi selettivo metro americano basato sul rapporto persone/ superficie.

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prevede, riguardo allaffollamento, lo standard dato dalla misura di 1 abitante per 1 vano (tranne aggiustamenti per i singles e per le famiglie numerose) senza distinzioni di tipi di stanze e di tipi di componenti. Siamo quindi nella situazione di sovrastimare sistematicamente la buona qualit dellabitare 2. Il secondo motivo di difficolt di tipo diagnostico e interpretativo e sta nella peculiarit della situazione italiana. Nel nostro paese, infatti, in primo luogo lelevazione degli standard medi dellabitare (oggi si consuma pi spazio abitativo e si richiedono soglie di igiene e comfort pi alte che trentanni fa), convive con processi di segno opposto e la diffusione della seconda casa coesiste con lesclusione abitativa3. In secondo luogo, nella permanenza di situazioni sottostandard si intrecciano disagi di vecchio tipo, da residuo di precedenti arretratezze, dovuti soprattutto alla vetust della casa, con disagi nuovi, prodotti e alimentati dai diversi mercati urbani: mercato abitativo, mercato del lavoro, ecc. Inoltre, trasversalmente a benessere e disagio abitativo, va emergendo un malessere da-problema-casa tanto diffuso quanto difficile da intercettare e che non passa quasi mai attraverso i convenzionali indicatori fisico-tecnici del disagio: il malessere che deriva dal dover impegnare molte risorse sia economiche che organizzative e progettuali per abitare in modo adeguato ai propri bisogni e alle proprie disponibilit di quel momento. Questi diversi aspetti movimentano il paesaggio del disagio abitativo fino a dilatarne i confini ben oltre lorizzonte stabilito dai noti parametri di vetust, degrado, inigienicit, ecc. Il disagio abitativo fatto di molte cose: di sofferenza, di tensioni, di conflitti: questi derivano dal fatto che sulla casa si scaricano aspettative

2 Secondo lIstat viene considerato affollato un alloggio che registri un rapporto persone/vani di 1,6. Laffollamento medio degli alloggi piemontesi si situa parecchio al di sotto della soglia definita critica secondo lo standard italiano attualmente in vigore: 0,64. A Torino la cifra 0,7. Se ad esempio adottassimo lo standard olandese, il 37% delle famiglie abitanti a Torino risulterebbe vivere in alloggi sottostandard e lo standard americano farebbe scattare la soglia del disagio abitativo a ben il 51% del totale delle famiglie, quando le nostre misure ci danno un sempre alto, ma meno drammatico, 23% (Ires 1991, 120). La buona situazione del Piemonte (attorno al 15% delle famiglie in alloggi sottostandard), salirebbe a 26% e a 42% secondo i due metri selettivi prima richiamati. Per un confronto sistematico tra i diversi criteri di calcolo della standard abitativo cfr. ibidem, 44 e ss. 3 Dallindagine svolta dallIres sul disagio abitativo nelle province del Piemonte si riscontrato che sono pi numerose le situazioni di deficit abitativo e di eccedenza o di surplus che le situazioni di equilibrio (cio situazioni in cui gli indicatori di disagio si attestano attorno alla media regionale; cfr. Ires 1991).

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calcoli e progetti che fanno capo a razionalit diverse: la razionalit della grande speculazione immobiliare, la razionalit del piccolo risparmio di famiglia, la razionalit infine della necessit improcrastinabile di un tetto. Dal contatto e dalla frizione non regolata o mal sorvegliata di queste diverse razionalit scaturiscono motivi di stress per una fetta assai ampia di popolazioni e famiglie anche per quelle non povere in senso stretto, e anche per quelle economicamente al sicuro (Harlow 1995). Si pu quindi dire che il disagio abitativo non solo un problema in s, ma anche la misura di problemi familiari e sociali, economici e istituzionali, che possono collocarsi a grande distanza dallindicatore che li intercetta e possono avere origine e sviluppo in diversi luoghi e in diversi tempi: il disagio abitativo di oggi pu affondare le sue radici in assetti legislativi e di mercato di molto precedenti, cos come la situazione edilizia attuale pu compromettere la qualit abitativa, o modificare il modo di abitare, delle nuove generazioni. In proposito bene chiarire che qui non ci si riferisce alla esclusione abitativa, quella che corrisponde alla intensit pi alta, estrema, di disagio abitativo e che pu coinvolgere sia a chi privo di un tetto in assoluto (e vive in auto, o in strada), sia a chi vive in alloggi cosiddetti impropri, (come le roulotte), e infine a chi ha s un tetto, ma di cui usufruisce grazie allaiuto di parenti, amici, o del comune (sistemazioni di prima accoglienza, ecc.; cfr. Tosi 1994; Negri e Saraceno 1996). Questo fenomeno sar lasciato sullo sfondo dovendo essere affrontato con categorie e intenzioni operative che non sono facilmente scambiabili con quelle utilizzate per parlare dei problemi dellabitare. Il mio obiettivo in questa sede infatti raggiungere individui e famiglie che in qualche modo si situano, anche se con malessere e sofferenza, allinterno del sistema abitativo. 2. Gli indicatori del disagio Lottimismo delle cifre ufficiali che danno come tecnicamente superato (o quasi), il disagio abitativo nel nostro paese, statisticamente fondato, ma vale la pena di riflettere sopra la sua plausibilit e significativit sociologiche. Un primo importante passo in questa direzione pu avvenire gi a livello metodologico, riflettendo sulla validit degli indicatori in campo, ovvero su quella nota divaricazione che sempre esiste

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tra definizione concettuale, definizione operativa e ambito di effettiva osservabilit empirica di un fenomeno: una rete, quella degli indicatori di disagio, che tira su pesci anche molto grosssi, ma che altrettanti ne lascia in mare. Basta in primo luogo definire soglie pi severe, o spingere pi avanti nel tempo il bilancio dellattuale situazione di disagio abitativo, ampliare il raggio dosservazione, o diversificare le unit sotto esame, per trovarsi di fronte a cifre o a segnali di malessere (presente e futuro), piuttosto preoccupanti. Tenuto conto di quanto si detto finora si possono individuare tre diversi livelli, o tre diversi modi per avvicinarsi al disagio abitativo e comprenderne presupposti, forme ed effetti. Essi possono essere ordinati analiticamente lungo una scala a complessit crescente (per la quantit e la variet dei nessi che vi si possono riscontrare e per la difficolt di prevederne gli sviluppi), e a visibilit decrescente (per la lontananza rispetto ai convenzionali punti osservativi disposti dai sociologi e da altri analisti per cogliere e misurare il disagio abitativo). Il primo livello definisce il disagio abitativo come risultato del deficit di qualit (di comfort, di spazio, ecc.) di un alloggio. Spazio e servizi rappresentano, pur nella differenza di soglie standard prima richiamate, i criteri base per decidere della qualit dellabitare. Lo spazio necessario rappresenta senza dubbio la componente pi problematica della qualit abitativa, non solo perch possono essere diversi i criteri con cui lo si misura, ma anche perch la sua capacit indicante viene costruita su una doppio oggetto: la casa (superficie, vani, ecc) e la famiglia (numero dei componenti, tipo dei componenti, ecc). Cos come accade per il fabbisogno di case (che si definisce come un rapporto, le case rispetto alle famiglie) anche laffollamento ha dunque un numeratore e un denominatore. Il disagio pu quindi ridursi o addirittura scomparire se si modificano le grandezze sia al numeratore (meno famiglie, meno componenti per famiglia, meno figli), sia al denominatore (pi case, pi metri quadrati per alloggio). Questo un punto problematico, in particolare della situazione italiana. Come vedremo, le trasformazioni demografiche e landamento dellattivit edilizia hanno per certi aspetti abbassato la pressione sullabitazione, ma per altri aspetti lhanno aumentata. Un secondo modo, pi impegnativo, di guardare al disagio abitativo, quello di considerarlo indicatore e misura di altri disagi e squilibri sociali, in particolare del deficit di risorse economiche e di cittadinanza che si crea nel sistema

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economico e sociale e che trova visibilit anche, ma non solo, nel disagio abitativo. Si guarda quindi al disagio abitativo come a un segnale di altri disagi dislocati in diverse parti della societ e insieme dellalta probabilit che persone socialmente deboli incontrino case fisicamente e tecnicamente fragili. Infine un terzo e ultimo modo di parlare di disagio abitativo quello di riferirsi a difficolt che individui e famiglie provano a causa della quantit di risorse assorbite e bruciate dal problema della casa. Il disagio in questo caso dato dalla riduzione delle possibilit di scelta che riguardano sia direttamente labitazione, sia indirettamente la vita familiare e individuale. Procedendo dal primo al terzo livello cambiano le unit osservative del disagio abitativo, cambiano i modi di misurarlo e i modi di farci i conti sia in termini conoscitivi, sia in termini di politiche. 2.1. Il disagio abitativo come misura localizzata di carenze Al primo livello (il deficit abitativo come deficit dellalloggio) lopportunit e lurgenza di un intervento di risanamento e ristrutturazione abitativa appaiono indiscutibili e la loro priorit nellagenda politica va di pari passo con la scontata consapevolezza, rafforzata peraltro da qualche recente ricerca, della quantit e intensit del rischio salute prodotto da condizioni inigieniche dellalloggio4. Pu essere ancora ricondotta a questo primo livello tematico (per cui il benessere dipende da ci che sta attorno agli individui e alle famiglie in termini di strutture, servizi, funzioni di ausilio alla riproduzione sociale), lidea che la qualit della vita dipenda anche dalla dotazione ambientale: di servizi, di sicurezza, di accessibilit, di reale vivibilit che il quartiere in cui abita quella determinata famiglia ed situato quel particolare alloggio, in grado di offrire 5. Vediamo qualche cifra.
4 Le conseguenze epidemiologiche e cliniche del permanere di questo disagio, ad esempio, sono state recentemente richiamate da uno studio condotto in un comune dellarea metropolitana torinese a proposito delle relazioni tra salute e abitazione. Esso ha dimostrato (sulla base degli archivi sanitari dellUSL e dei dati del Censimento 1991), che un alto grado di affollamento correlato con una mortalit dei suoi abitanti superiore alla media (Cardano 1995). 5 Secondo lindagine Istat sulla percezione del disagio abitativo pi del 57% delle

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Dal punto di vista del fabbisogno abitativo, non c dubbio che in Italia il problema della casa potrebbe dirsi pressoch superato. Grazie soprattutto alla costruzione di nuovi alloggi (e solo secondariamente, come ormai noto, a causa della riduzione della popolazione), siamo addirittura entrati in una fase di eccedenza di abitazioni rispetto alle famiglie (una differenza che oggi si aggira attorno ai 5 milioni a livello nazionale). Se si contano le abitazioni non occupate e se ne calcola la frazione recuperabile ci si convince facilmente che il rischio-casa oggi in Italia, in Piemonte, a Torino, non certamente quello di rimanerne fuori 6. Anche rispetto alla qualit abitativa dellalloggio lemergenza sembra lontana e, comunque secondo i nostri metri, il problema si trova ormai al di sotto di soglie dallarme. Confortati, dunque? In realt il conforto sta pi che altro nella constatazione di quanto distanti oggi siamo rispetto a come eravamo7. Nel volgere di una ventina danni, la situazione edilizia in Italia si infatti profondamente trasformata sotto il profilo delle condizioni di igiene, sicurezza e comfort dellalloggio. Anche se dalla fine degli anni 70 in poi laccelerazione impressa dalla ricostruzione e dal boom si ridotta, appare enormemente lontano il periodo in cui, a Milano, il 60% delle abitazioni fu giudicato improprio per carenze di struttura o per affollamento eccessivo8. In definitiva, tenuto conto di possibili sovrapposizoni tra i diversi stati di disagio a causa di carenza di servizi, degrado materiale e affollamento, stato calcolato che non pi di un 5% di famiglie italiane si trovi ancora comunque in condizione di forte disagio abitativo9. Queste misure, per un verso tranquillizzanti, andrebbero

famiglie intervistate in Piemonte ritiene di avere difficile accesso a posti di pronto soccorso e pi del 24% a farmacie (Istat 1995, cap. 4). 6 Secondo lultimo Censimento, in Piemonte, ad esempio, nel 1991, a fronte di 1.713.094 famiglie si contavano 1.696.506 alloggi occupati. Calcolando la presenza di pi di 400.000 alloggi non occupati di cui circa 50.000 disponibili per vendita o affitto si supera la soglia convenzionale del fabbisogno (una casa, una famiglia). A Torino ammonta a quasi l8% la quota di abitazioni non occupate che si calcola siano almeno in parte recuperabili per la vendita o laffitto. 7 Nel giro di una ventina danni, lo standard minimo di abitabilit (persone per vano) stato addirittura doppiato, passando da 1 a 2 stanze per abitante (Signorelli 1996). 8 Pi o meno in quegli anni secondo una ricerca pubblicata dalla Cisl milanese nel 1969 (e basata sulle cifre del Censimento del 1961), il 33% delle case milanesi risultava privo di bagno. 9 Su questo si veda la ricerca svolta dalla Caritas di Milano (Tosi 1994, cap. 2).

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meglio valutate sotto laspetto che i metodologi chiamano la validit di un indicatore: cio la capacit di una misura di raccordarsi al concetto di riferimento. Ad esempio affollamento e carenza di servizi che costituiscono due misure del disagio hanno andamenti diversi nel tempo perch si riferiscono a fenomeni diversi e in controfase: la carenza di servizi diminuisce, come effetto del superamento di arretratezze del comparto, laffollamento aumenta come effetto di una nuova trasformazione demografica e degli stili abitativi10. Queste cifre sono poi ancora suscettibili di ulteriori variazioni non appena si aumentino o si cambino i punti di osservazione, ad esempio si utilizzino indicatori soggettivi11. Ma al netto di disagi immediatamente apprezzabili dal punto di vista delle quantit assolute e relative12, la situazione appare preoccupante per la ricorrenza e la chiusura di combinazioni tipo tra famiglia e abitazione. Se allanalisi dei dati di censimento circa quantit, tipo, ampiezza delle abitazioni esistenti e disponibili affianchiamo lanalisi di qualche incrocio di analisi campionarie tra tipo di abitazione e tipo sociodemografico di famiglia, la presenza di una distribuzione non casuale del disagio risulta evidente. Per particolari gruppi di popolazione, per esempio gli anziani, o le categorie operaie, il disagio abitativo dovuto sia ad affollamento, sia, anche, a carenza di servizi risultato molto pi alto della media13. Segno che il disagio abitativo estremamente sensibile alle variazioni di reddito, e di et, anche se queste avvengono allinterno dei circuiti protetti della cittadinanza sociale tradizionale. Non deve quindi stupire che in Piemonte, ad esempio, persistano differenze di standard abitativi tra le diverse classi anche se la distanza tra operai e impiegati, ad esempio, andata diminuendo.
10 Oggi la carenza di servizi ormai caso piuttosto raro (ne soffre circa il 3% delle famiglie italiane); laffollamento invece ancora abbastanza frequente (circa il 10%: Tosi 1994). 11 Ad esempio, la valutazione soggettiva del disagio abitativo porta a quasi il 17% la quota di famiglie piemontesi che dichiarano di vivere in abitazioni inadeguate; la valutazione soggettiva del disagio residenziale eleva la quota del malessere fino a 25, 30, anche 50% delle famiglie che accusano carenze e disfunzioni nellabitare. 12 Per un confronto tra regioni si vedano i risultati dellindagine riportata nel Rapporto annuale dellIstat (Istat 1995, 215-220). 13 DallIndagine Multiscopo dellIstat sulla condizione degli anziani risulta che in Piemonte il 9% delle abitazioni in cui vivono anziani ha spazio in eccedenza, che il 13% senza telefono, che un totale di 46% risulta insufficientemente protetta da umidit, rumore, traffico, ecc. (Istat 1988, 77).

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Ci sono qui gli elementi per una prima diagnosi del fenomeno del disagio come deficit di risorse. Se come diagnosi intendiamo latto di circoscrivere i confini del problema pesando mutamenti e tendenze e individuando la presenza di elementi differenziali nei gruppi indagati14, allora i dati finora disponibili sono sufficienti a fornire un primo frame del fenomeno: disagio abitativo in via di sparizione in termini di volume, e per persistenza e concentrazione di disagio abitativo e sociale in zone a rischio. 2.2. Il deficit abitativo come misura trasversale del deficit di risorse sociali a questo punto che arriviamo al passaggio cruciale tra il primo e il secondo livello di discorso che comporta la necessit di transitare da modelli diagnostici settoriali a modelli sistemici. Esso mostra lalta probabilit che nella attuale configurazione dei mercati urbani, non solo di quello abitativo, il disagio colpisca in maniera acuta, e si insedi stabilmente in particolari gruppi di famiglie se queste non sono adeguatamente sostenute, nel corso del loro sviluppo, nella loro carriera sociale e abitativa. Il disagio diventa cos un attributo combinato delle persone/situazioni. Si assume inoltre che il disagio concentrato produca effetti di agglutinamento e di risonanza che crescono su se stessi in maniera esponenziale. In tutti questi casi il disagio abitativo misura lesistenza di un rischio sociale che pu venire anche da lontano: un rischio che individui e famiglie corrono in quanto non solo occupanti di un alloggio o residenti in un quartiere, ma in quanto individui gi socialmente esclusi (per uscita o per mancato ingresso) dalle cerchie sociali che presidiano lentrata e la permanenza nel sistema. Vi inoltre motivo di credere che esso non sia pi, almeno per una sua parte, residuo ereditato da precedenti assetti sociali ed economici essi stessi in via di sparizione, ma venga prodotto e riprodotto dagli attuali assetti che producono insieme elevati standard di qualit, e deficit abitativi, diffuse possibilit di acquisto e diffusi rischi di povert abitativa, seconde case ed esclusioni dalla prima. Per comprendere questa caratteristica autoriproduttiva del
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La definizione di Merton (1981, 143).

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disagio nelle pieghe del benessere occorre spostare il fuoco dellosservazione a comprendere anche il complemento del disagio abitativo che nei sistemi urbani la ricchezza immobiliare e dunque sono anche le diverse razionalit che si scontrano e si alleano nel fare della casa una risorsa di scambio economico. Lo sviluppo urbano avvenuto sostenendo, in tempi diversi e a ondate diverse, lacquisto privato della casa. Le congiunture legislative e di mercato pi recenti e lincertezza legata ai rendimenti decrescenti dellaffitto dellalloggio di propriet, cui fanno ormai concorrenza titoli bancari e finanziari, hanno favorito la riduzione dellofferta di alloggi a prezzi accessibili (molti proprietari se ne sono riappropriati, molti hanno lasciato sfitti gli alloggi): hanno prodotto fenomeni di erosione (cio di ridestinazioni e riaccorpamenti di alloggi prima destinati a utenza familiare), hanno alimentato processi di filtering per cui le case pi fatiscenti e in degrado vengono lasciate dai vecchi proprietari abbienti ai nuovi, pi poveri (Sands e Bower 1976). Recenti elaborazioni del modello teorico del filtering indicano che, mano a mano che lalloggio va gi, incontra lungo la sua discesa in direzione di un sempre maggiore degrado individui e famiglie che, partiti dal basso stanno faticosamente salendo verso redditi pi alti e alloggi migliori. Lincontro avverrebbe dunque come un temporaneo incrocio di movimenti luno discendente laltro ascendente (Myers 1990b). Alla fine lalloggio trova sempre un acquirente abbastanza povero da sopportare il degrado e il disagio in cambio di un tetto. Non diversamente da quanto si scoperto accadere nello sviluppo delle carriere professionali, dove il successo o linsuccesso sono il risultato dellincrocio di due movimenti sincroni e convergenti (quello dei posti e quello delle persone: Stewman e Konda 1983), anche la qualit dellabitare o il disagio abitativo si situano allincrocio tra movimenti degli alloggi e movimenti di popolazioni e famiglie, gli uni e gli altri in cerca del loro specchio, del loro complemento e del loro destino segnato sul territorio (Kendig 1990). Ad alloggi malsani o carenti di servizi arrivano sia coloro che hanno problemi di integrazione nel mercato e nella societ urbani (immigrati, disoccupati giovani, madri sole di figli piccoli), sia coloro che come gli anziani poveri, ne sono usciti o ne rimangono ai margini15. Spesso queste due frazioni a rischio
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Secondo la citata Indagine Multiscopo dellIstat sulla condizione degli anziani, il

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si trovano a convivere nello stesso quartiere. E non a caso spesso, sul lungo periodo, il degrado edilizio, mentre mette in fuga i gruppi sociali relativamente pi forti dalle zone pi degradate, diventa il punto di approdo e di concentrazione di altro disagio (immigrati extracomunitari, ecc.). Il disagio abitativo che coinvolge case e famiglie lasciate ai margini dello sviluppo urbano della propriet della casa si cumula quindi con il disagio residenziale dovuto alle caratteristiche di scarsa qualit abitativa e sociale di certi quartieri e crea un nuovo prodotto, non disaggregabile, non trattabile per somme e sottrazioni. In una situazione del genere, comune alle grandi citt, che sono divenute meta di processi di immigrazione extracomunitaria, il disagio abitativo intercetta il disagio sociale dovuto ai processi di selezione e segregazione urbana legati alla trasformazione economica. Negli alloggi sottostandard (troppo piccoli, fatiscenti, malsani), capitano coloro che hanno difficolt di accesso al mercato standard. Poveri, disoccupati, immigrati. un dato ormai diffusamente accertato: dove c deficit abitativo c deficit di risorse che fanno comunit e societ: quali lavoro, istruzione, salute, cittadinanza. Ecco perch risulta molto forte la correlazione ecologica tra elevato disagio sociale e elevato disagio abitativo. A essere carenti di servizi sono soprattutto le case e i quartieri dove in maggior misura vive chi non ha lavoro, chi privo di istruzione, chi relativamente pi povero, immigrati e, ancora una volta, anziani16.
38,4% degli anziani che abitano nel Nord registra spese troppo alte per labitazione e il 21,6% vive in abitazioni con insufficiente protezione da umidit, rumore, traffico. 16 Uno sguardo (a puro titolo di esempio) agli indicatori che caratterizzano le circoscrizioni amministrative in cui si pu suddividere il territorio comunale di Torino, basta per individuare significative correlazioni tra indicatori di disagio abitativo, residenziale e sociale. A Torino, nel 1991, le circoscrizioni 5, 6 e 10, che corrispondono a quartieri a rischio, come Vallette, Falchera e Mirafiori Sud, fanno sistematicamente registrare indici pi elevati di disagio abitativo, residenziale e sociale, di disoccupazione, di carenza residenziale, e non a caso alti indici di case in affitto. Ecco alcune cifre: tasso di disoccupazione: 16,8, 18,3 e 17% contro il 14,1 della media cittadina; tasso di disoccupazione giovanile dal 20 al 23%, contro la media del 18% della citt; abitazioni piccole: da 68, e meno di 70 metri quadri contro una media cittadina di circa 77; alloggi in affitto: da 44% a 45% contro una media cittadina del 42,1; una popolazione a composizione prevalentemente operaia che sta sempre sopra il 50% quando la media cittadina non arriva al 40%; un tasso di scolarit giovanile (scuola media superiore o universit sui ragazzi dai 14 ai 29 anni) che supera di poco il 25%, contro una media cittadina di quasi 34%; famiglie numerose che superano il 5% quando la media cittadina 3,9%; e ancora una maggior frequenza di due o pi nuclei coabitanti (fino a 0,6 %) quando la media cittadina 0,4. Sono i quartieri dove pi incide ledilizia pubblica (dal 13 al 15% delle abitazioni sono

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3. Informazioni e intrecci di politiche di fronte al disagio Questultimo passaggio e le questioni ad esso relative (attraverso quali meccanismi-ponte si pu riconoscere e interrompere il circuito perverso che collega disagio abitativo e disagio sociale), impegnano ricercatori ad una conversione verso nuovi strumenti conoscitivi: da un approccio statistico-quantitativo a un approccio osservativo-qualitativo che consente un maggior controllo sulla intensit e la direzione dei legami tra fenomeni. Un primo passo quello dellincrocio tra variabili macro e variabili micro, tra variabili strutturali e variabili culturali: proiezione metodologica, questa, di una complicazione che avviene prima di tutto a livello concettuale. Ad esempio: il disagio abitativo e il disagio residenziale possono essere ulteriormente aggravati o, viceversa, neutralizzati a seconda del valore assunto da altre variabili in campo, di tipo sia individuale che di contesto. Unoperazione del genere quella suggerita dallo studioso francese Dubet (1995), il quale, sullincrocio tra disorganizzazione territoriale ed esclusione (non partecipazione) sociale costruisce una tipologia di forme di sociabilit. La presenza o lassenza di forme di sociabilit, cio di forme che derivano dalla combinazione tra processi di identificazione territoriale e presenza e articolazione sul territorio di qualche struttura antiesclusione (servizi, presidi sanitari e culturali, ecc.) possono articolare e complicare la generica situazione di disagio fotografata a distanza17. Senza lancoraggio di appartenenze, legami, riconoscimenti e conferme di identit (Dahrendorf 1994) il disagio fisico diventa profondo malessere sociale. A portare le persone in

di propriet di stato, regione, Iacp, cooperative edilizie, ecc). In quelle stesse zone si registra il pi alto consumo di tempo per movimenti interni alla circoscrizione: una media del 25% degli occupati spende da mezzora a 1 ora e oltre per spostarsi allinterno della circoscrizione (Istat 1995). 17 Una scarsa identificazione territoriale sommata ad esclusione produce effetti che sono stati definiti di disaffiliazione, di vero e proprio allontanamento e sradicamento individuale e familiare dalla comunit e allinterno della comunit. Basso grado di attaccamento al territorio, in zone che tuttavia godono di una qualche forma di organizzazione, di servizi, di intervento pubblico producono forme di partecipazione dipendente e clientelare. Identificazione e attaccamento territoriali danno a loro volta esiti diversi, a seconda che si coniughino con situazioni di abbandono ed esclusione (laddove pu avvenire una vera e propria riorganizzazione e difesa, spesso anche violenta del territorio) o che si ritrovino in zone incluse nel raggio di intervento socioterritoriale, il che favorisce lo sviluppo di un tessuto comunitario.

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situazioni di disaffiliazione e sradicamento abitativo e territoriale stato raramente il caso, qualche volta, incidenti e fatalit, il pi delle volte percorsi cogenti e irreversibili di povert e emarginazione. A questo punto si pu fare ancora un ultimo passaggio: dallincrocio tra variabili sincroniche alla sequenza cronologica di eventi cruciali. N le correlazioni ecologiche, costruite a distanza, sulla covariazione tra diversi tipi di deficit (abitativo sociale, ecc.), n le tipologie, costruite pi da vicino sullincontro tra risorse e identit, soddisfano il bisogno conoscitivo che riguarda il quando, il come, e con quale sequenza quel disagio, che ha aspettato via via i nuovi occupanti di un alloggio degradato, che ha inseguito spesso i vecchi occupanti nel loro pellegrinaggio urbano diventato un compagno di vita, stabile e molesto. Che cosa successo, come accaduto? Da quando cos? Ecco un repertorio di interrogativi a cui si pu rispondere ponendosi nellottica che Elster definisce di individuazione dei meccanismi (Elster 1993, 11 s.). I meccanismi, gli snodi e i legami tra eventi e corsi di azione complicano con una intricata nervatura di elementi soggettivi e oggettivi, di concatenazioni temporali, di sequenze di progetti, adattamenti, reazioni e ridefinizioni della situazione, quella forma ipersemplificata18, della relazione statistica tra disagio abitativo, disagio territoriale e disagio sociale. Questo secondo livello, a pi passaggi e a scala micro, si interroga sulla forma e la sequenza delle relazioni temporali tra differenti forme di disagio sociale, che spesso sono complesse, circolari, indirette. Essere ammalato in una casa fatiscente potr voler dire che questa provoca la malattia perch malsana, oppure che la malattia e il degrado sono figli della stessa madre: la povert di risorse, di informazioni, di capacit, di fiducia, di reti, di chi la abita. Si pu facilmente pensare inoltre ai rischi circolari e cumulativi che in alloggi affollati o fatiscenti corre la vita di relazione, il rispetto per lautonomia, la cooperazione sociale. Il disagio abitativo riflette e accompagna il disagio sociale, essendone in qualche modo un risultato, ma spesso, generando stigma, malessere, impedendo condizioni dignitose di riproduzione, lo amplifica e lo rende cronico. Per contro la saldatura tra disagio abitativo e sociale pu lasciare lo spiraglio a uno scatto dellazione
18 Per una recente discussione critica dei presupposti teorici e ideologici con cui la scuola ecologica fonda in origine tale relazione, e di quelli che animano successivamente la polemica nature-nurture cfr. Micheli (1991, 92-95).

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individuale, che opportunamente sostenuta pu interrompere il circolo vizioso. 4. Fuochi incrociati e oggetti mancanti Il passaggio dal secondo al terzo livello di discorso (dal disagio manifesto al disagio latente), richiede una vera e propria conversione del modo di pensare il disagio abitativo e residenziale come fenomeno urbano. Si tratta infatti sia di processare lo spazio della citt e i movimenti che avvengono su di esso, sia di intercettare il corso di vita delle persone e le loro esperienze riguardo allaccesso e alluso della casa. Le categorie di processo e intercettazione, al di l della apparenza minacciosa che esse potrebbero assumere in particolari contesti linguistici, significano in questa sede non altro che un rafforzamento dellosservazione lungo la dimensione del tempo, e, inoltre, un dislocamento dellattenzione per seguire le diverse piste temporali: il ciclo biografico, la dinamica di coorte, levoluzione storica. In questa prospettiva il disagio si colora diversamente. Esso non appare pi soltanto come il frutto di visibili coazioni che premono in maniera continua e omogenea su una popolazione a rischio, ma si configura come il risultato ramificato e intricato di invisibili discontinuit, mancate connessioni o connessioni troppo deboli, allinterno del sistema. Nel campo abitativo come in altri campi, dal lavoro alla formazione, insicurezze e rischi raggiungono anche persone strategicamente e socialmente dotate (Heinz 1991). Esse sono insieme forti e poco prevedibili, toccano, o potrebbero in prospettiva toccare, i corsi di vita delle persone mediamente dotate di risorse, dirottandoli, interrompendoli, bloccandoli (de Coninck e Godard 1989). Destino abitativo e provenienza sociale non sono pi deducibili luno dallaltra e viceversa. Si sono finora sottolineati vantaggi e svantaggi della reciproca deducibilit tra indicatori di disagio abitativo e indicatori di disagio sociale in una societ come quella attuale. Quando il concetto di disagio abitativo venga forzato ed esteso a ricomprendere una gamma di atteggiamenti e comportamenti che non sono necessariamente in presa diretta con le condizioni osservabili di un alloggio o di un quartiere, tali limiti diventano critici. Talora difficolt e sofferenze che riguardano la casa non si traducono immediatamente in deficit osservabili dellalloggio o del quartiere e neppure in

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deficit ricostruibili delle carriere sociali delle persone. Parler di questa sofferenza usando il termine di stress19 perch vorrei rimarcare la dimensione della sollecitazione generata dai bisogni individuali e familiari a prendere decisioni sulla casa, e, insieme, della resistenza esercitata da vincoli esterni che impediscono o interrompono quellazione, ovvero la rendono improcrastinabile, irreversibile, fatale. Queste sfide riguardano infatti il terreno che sta prima e dopo loccupazione di un qualsiasi alloggio. il terreno del difficile matching tra domanda e offerta prima di entrarvi, degli altissimi costi di manutenzione e gestione economica e familiare di un alloggio, che assediano il suo occupante non appena ha messo piede in casa. La dimensione dello stress qui data dalla condizione di crescente dipendenza e ansia che raggiunge individui e famiglie ad ogni svolta legislativa, e ad ogni impennata monetaria o fiscale subita dal mercato dellaffitto o della propriet della casa. 4.1. Lo stress abitativo come risultato di pressioni economiche e di vincoli allo sviluppo di strategie abitative adeguate In misura assai pi sensibile di quanto sia mai avvenuto in altri campi cruciali della riproduzione sociale (listruzione, la salute) la casa ha posto le famiglie italiane e i loro problemi di riproduzione quotidiana, di fronte ad aut aut economicamente cos impegnativi da comprometterne bilanci presenti e progetti futuri. Questa pressione economica spesso si aggiunge, amplificandola, alla pressione demografica esercitata da forme e strategie familiari che sono sempre pi incompatibili con soluzioni rigide e irreversibili del problema casa. Lonere esercitato dalla casa si esprime dunque non solo come impoverimento, ma anche come riduzione relativa delle possibilit di scelta, il che spesso comporta cambiamenti artificiosi del ritmo di sviluppo della vita individuale e familiare: si rimanda il matrimonio, si dilaziona il progetto di spostarsi in un alloggio pi grande dopo che la famiglia cresciuta, si accetta di protrarre una convivenza difficile, ecc.

19 Qualche anno fa Danilo Giori suggeriva il termine di squeeze per identificare la pressione economica cui erano sottoposte le famiglie in un certo momento del loro corso di vita (Giori 1983).

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Le fenomenologie di questo disagio sono varie e articolate: di precariet, di insolvibilit, di processi forzosi di mobilit o stallo abitativi. Possono avere un profilo alto (si pensi a quanto costa, dal punto di vista del solo alloggio, far studiare un figlio in una citt che non quella della famiglia di origine), o un profilo basso (si pensi alle conseguenze economiche e sociali di un affitto esoso che incide sulle capacit di risparmio e di consumo di una famiglia operaia monoreddito). Tutte queste fenomenologie potrebbero essere ricondotte alla metafora del traffico che scorre attraverso un incrocio pericoloso senza semaforo. Un altro fatto certo che in tutti questi casi lelemento comune del disagio non la scarsit di risorse tout court, ma la difficolt di usarle e finalizzarle in termini di scelte e progetti abitativi adeguati. Di qui, la facilit con cui si possono commettere errori nel prendere decisioni relative alla casa (si pensi com opaco il mercato della casa e come sono alti i costi di accesso allinformazione), la difficolt di tornare indietro, lalta probabilit di asincronie tra carriere abitative che richiedono lunghi avvii e si sviluppano su lunghe durate e altre carriere biografiche e professionali che possono avere articolazioni e complicazioni che le rendono complessivamente pi corte. Si detto che lo stress pu derivare dallesperienza di rotture o interruzioni, o blocchi che attraversano i percorsi decisionali delle persone. Ci tipicamente accade in momenti cruciali di transizione da una fase allaltra della vita. Il passaggio dallo studio al lavoro, o il proseguimento degli studi allUniversit quando essi comportino trasferimenti o lunghi soggiorni fuori casa; il passaggio dal lavoro alla pensione quando si prospettino alternative duso alla liquidazione, il passaggio dalla famiglia dorigine a una nuova famiglia quando ci comporti la decisione se affrontare affitti molto alti o comprare un alloggio in cui abitare; il passaggio da una situazione di singleness a una coabitazione quando questa ponga problemi di abbandono e di ricombinazione di spazi abitativi. E ancora: trovare una casa in affitto a costi accessibili a chi lavora da poco e non dispone di reti familiari di aiuto economico; riuscire a mantenere la propria in casa in propriet per chi ha redditi modesti, anche se sicuri; trovare una sistemazione abitativa dignitosa per una persona anziana, abitare per qualche anno in un altra citt, come studente, lavoratore, ecc. Losservatorio demografico, gi ovvio, anche se non unico riferimento per le risoluzioni statistiche del problema di quanti-

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ficare il disagio abitativo, diventa osservatorio prezioso delle potenziali occasioni e fonti di stress abitativo. Le profonde trasformazioni subite dalla famiglia italiana in questi anni sono note20. Varrebbe qui comunque la pena di sottolineare che le trasformazioni demografiche della popolazione e delle famiglie italiane hanno solo in apparenza risolto il problema del fabbisogno di case. Se da un lato la popolazione si numericamente ridotta, dallaltra si frazionata in pi nuclei di piccole dimensioni rinnovando il bisogno di case. Basti qui ricordare il significato che esse assumono nel configurare in maniera assai pi articolata e imprevedibile il binomio casafamiglia. Mentre il bisogno di qualit dellabitare, ancora elastico, fino agli anni 50-60, diventato rigido, sono cresciute le esigenze di flessibilit e di reversibilit dei modelli abitativi. Non c pi la casa di famiglia della societ contadina, non c neanche pi la casa di coppia e poi di genitori e figli degli anni 60, quando la disponibilit generalizzata per lungo tempo di case anche in regime di affitto, e insieme la struttura relativamente semplice e duratura della famiglia nucleare, consentivano di legare scelte abitative e scelte familiari, in maniera relativamente prevedibile senza grossi problemi e rinunce ed anzi secondo un modello di continua, graduale mobilit verso lalto. Sono da allora straordinariamente cresciute le contingenze che portano individui e famiglie a entrare in un rapporto mobile e strumentale con la casa (famiglie con figli che a seguito di separazioni e divorzi o vedovanze diventano monogenitore, famiglie ricostituite, ecc.). Oggi il problema della casa pu dunque ripresentarsi pi volte e talora in maniera imprevedibile nel corso della vita e non sempre al sicuro da cadute e ricadute in situazioni peggiori. Di certo si presenta in maniera che vede sempre pi spesso le sorti abitative dei giovani dipendere da quelle degli anziani e viceversa (giovani che a motivo di studio o di lavoro abitano in altre citt con parenti anziani; anziani che passano gran parte del tempo presso la famiglia dei
20 Esse riguardano non solo la struttura, divenuta pi complicata, ma anche lampiezza, sempre pi ridotta, della famiglia, e inoltre la durata del nucleo, dal momento che il corso di vita individuale si allungato nel tempo; la famiglia diventata inoltre pi vulnerabile, pi facile alla rottura (allinterno della coppia) e anche pi variabile nel tempo (adulti e anziani che fanno parte o ruotano attorno al nucleo familiare e che ne escono o vi entrano periodicamente per vari motivi). Su queste e altre dinamiche demografiche e familiari relative al Piemonte dellinizio degli anni 90 cfr. Migliore e Saraceno (1995).

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figli, ecc). Nonostante le apparenze di un conflitto generazionale tra la fame di case dei giovani e la resistenza a cederle degli anziani, e i relativi bisogni di autonomia ovvero di protezione, nessuna generazione sembra poter essere definitivamente estromessa dalla decisione che riguarda i modi, i luoghi e i tempi dellabitare del nucleo adulto21. Di fronte a queste dinamiche e alle connesse esigenze di qualit oltre che di quantit, dellabitare, il patrimonio edilizio sia pubblico che privato mostra una straordinaria inadeguatezza: per la dimensione degli alloggi, per il loro costo di accesso, per la rigidit che essi richiedono alle famiglie proprietarie o affittuarie, per la scarsa flessibilit dei modelli abitativi: case mediamente troppo grandi per i giovani e gli anziani (3-4 stanze) e troppo piccole per famiglie con figli. Case fatte per non essere n modulate, n ridimensionate, n ampliate, case il cui costo di accesso obbliga a prolungati periodi di risparmio forzoso in vista di un acquisto. Un altro osservatorio importante dei bacini potenziali di sofferenza abitativa fa riferimento alle condizioni occupazionali. Losservatorio sul lavoro prezioso anche per conoscere le soglie di solvibilit economica degli abitanti di un territorio, le loro possibilit di risparmio e consumo, i loro modelli abitativi. Anche in questo caso le cifre sono note e le letture abbastanza concordi. Meno lavoro per tutti, moratorie lunghe e forzose per i giovani, alta mortalit per le piccole imprese, maggiori rischi per il lavoro autonomo in generale. Ecco uno scenario di stasi e di crisi che rende credibile lipotesi di una minor solvibilit in generale delle famiglie. Le famiglie diventano economicamente pi vulnerabili, dovendo mantenere pi a lungo pi adulti, presumibilmente non tutti attivi; il reddito dal lavoro diventa pi incerto, e per la prima volta si prospetta uno scenario di incertezza anche per quanto

21 Prendiamo il caso piemontese, per trovare esemplificate, e forse anche accentuate, tendenze che interessano da qualche tempo lintero territorio nazionale. La nuova configurazione familiare della popolazione in Piemonte vede la presenza di un maggior numero di famiglie, di famiglie meno numerose (2,5 componenti in media; il 26% delle famiglie fatte da nuclei unipersonali), di famiglie fatte di adulti che convivono per pi tempo. Tra il 1981 e il 1991 si conta che lincidenza dei giovani che vivono nella famiglia di origine sia cresciuta, in Piemonte, dal 63 al 79%, nella fascia dai 20 ai 24 anni e del 24% nella fascia dai 25 ai 29 (oggi ammontano a circa il 40%). Si inoltre scoperto che nel 1991 non era ancora entrato nello statuto di genitore pi del 30% delle donne tra i 30 e i 34 anni. La probabilit che in Piemonte un anziano viva solo raggiunge il 30%, cifra assai superiore a quella riscontrata in altre regioni (cfr. Migliore e Saraceno 1996).

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riguarda le pensioni. Siamo di fronte a esigenze e problemi (di autonomia, di protezione, di flessibilit) che tuttavia non sempre si articolano in domanda e che comunque quasi mai vengono stimati come fabbisogno. Ma in questo scenario si pu vedere dellaltro: non solo la contrazione della ricchezza ottenuta tramite lavoro, ma anche la alta posta in gioco rappresentata dalla casa, spesso sostituto economico del lavoro, ridiventata una componente se non centrale come nella societ contadina (Pitkin 1992), certo assai importante nelle strategie di costruzione familiare del futuro dei figli nella societ urbana. In una situazione fortemente esposta a rischi di instabilit e stagnazione (disoccupazione giovanile, Cassa Integrazione, ritiro dal lavoro), lusufruire di una casa diventa una preziosissima fonte di sicurezza economica e familiare, ma anche una risorsa-contenitore multiuso per la famiglia, il lavoro, lo studio, le attivit dei non attivi, la presenza dei non familiari, ecc. Losservatorio del mercato abitativo, ancora poco sfruttato offre un ricchissimo repertorio informativo per analisi multilivello: dallanalisi degli stock comprati e venduti, dei loro prezzi, delle loro tipologie, dei loro insediamenti territoriali, allanalisi delle caratteristiche di compratori e venditori, di chi affitta e di chi affittuario. Le sue significative oscillazioni temporali (oltre che territoriali), ci consentono di ricostruire meccanismi e congiunture con cui si creano diseguaglianze sociali attraverso il sistema dei prezzi e permangono e si accentuano differenze di opportunit e di destini per il solo fatto di aver incontrato una certa congiuntura economica o legislativa in un certo periodo della propria vita. 5. Leffetto generazione e leffetto corso della vita su povert e ricchezza a proposito della casa Dal momento che limpatto del mercato cambia in relazione alla posizione delle persone lungo il corso della vita, e luno e laltra riflettono le opportunit espresse da una determinata congiuntura temporale, lo sguardo storico diventa una risorsa cruciale per ancorare e ambientare, oltre lorizzonte meramente individuale, le osservazioni di flusso. La propriet della casa convenzionalmente un indice di ricchezza e di benessere, ma lacquisto di un alloggio, specie in Italia, non sempre stato frutto di una scelta. Negli anni 70-80, frazioni di classe medio-impiegatizia, pur non avendo completa-

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mente maturato i livelli di risparmio necessari per essere solvibile, (visti gli aumenti dei prezzi delle abitazioni che a quel tempo erano superiori a quelli dei redditi e del costo stesso della vita), sono entrate anticipatamente sul mercato per non restarne definitivamente escluse22. Questo spiega lalto tasso di propriet abitativa che caratterizza gli attuali anziani: essi sono oggi in possesso di una casa soprattutto grazie a quell effetto periodo-coorte che ha consentito loro di avere un sufficiente risparmio da investire, in condizioni di basso rischio, e per di pi nel momento di decollo del mercato dellacquisto23. Se vogliamo proseguire scrutinando lasse degli eventi che modificano corsi di vita e intrecciati a questi, vincoli e risorse, dobbiamo ricordare brevemente unaltra svolta cruciale per lapparizione e la diffusione della propriet forzosa: quella che si avuta allinizio degli anni 90. Con la liberalizzazione dei canoni (la legge del 13 agosto 1992 consentiva per gli immobili nuovi e per il rinnovo dei contratti in scadenza lapplicazione dei canoni stabiliti tra proprietari e inquilini), non si avverato il sogno di vedere immessi sul mercato pi alloggi, poich questi sono restati inaccessibili alla maggior parte delle famiglie di reddito medio e medio-basso24. La liberalizzazione ha invece realizzato come suo sottoprodotto sia una rarefazione dellofferta di alloggi, sia uno strato di proprietari forzosi (gli ex affittuari quasi obbligati a comprare). In connessione a questo secondo effetto, si raggiunto un livello di indebitamento preoccupante25. Insomma: la propriet facile ormai esperienza molto lontana, mentre sono ben presenti gli effetti negativi della propriet forzosa. Oggi il momento (apparentemente non nuovo) della propriet come affare di famiglia (Segalen 1993). Ma il senso nuovo che lacquisto di una
22 Su questi e altri aspetti del mercato abitativo torinese dagli anni 50 agli anni 80 cfr. Curto e Ferrero (1988). 23 Oggi tra gli anziani comprano quasi soltanto quelli che hanno gi qualche propriet immobiliare da vendere. Secondo i dati dellultimo Censimento la chance di possedere una casa massima se si una coppia anziana senza figli (84% circa), minima (63,2%) se si una persona sola di meno di 35 anni (Istat 1995). 24 stato calcolato che questo riassetto del regime proprietario abbia allora determinato la scomparsa di 2 milioni circa di alloggi in affitto ricomparsi poi sul mercato come alloggi in vendita. A essere messi sul mercato e venduti sono stati, tra laltro, soprattutto alloggi di scarsa qualit fisica ed edilizia (Curto e Ferrero 1988). 25 Da una recente indagine Bankitalia emerge che il debito delle famiglie con le banche riguardo alla abitazione ammonta a 67mila miliardi e oltre di lire, al marzo 1995. Il comune di Torino si colloca a quota 4.057 milioni di lire di debito in media per ciascuna famiglia.

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casa richiede la mobilitazione di risorse che spesso vengono da genitori e nonni. Il dato, apparentemente sorprendente, per cui oggi i giovani accedono alla casa prima di quanto non siano riusciti a fare i loro genitori, non infatti dovuto ad un effetto di accelerazione delle possibilit economiche nel corso di vita (secondo il classico modello dellupgrading che premia i pi giovani), ma semmai al contrario: alla casa dei giovani adulti, spesso ancora senza reddito e in attesa di lavoro, devono pensare i genitori26. Il mobilitarsi di intere catene generazionali per far fronte al bisogno abitativo sorprendente a fronte del fatto che le famiglie italiane, tradizionalmente risparmiatrici, hanno, come noto, visto diminuire drasticamente negli ultimi anni la loro propensione al risparmio27. Come e forse pi che gli altri osservatori appena richiamati, losservatorio sui consumi delle famiglie per voci di spesa consente di ricostruire la pressione economica crescente che la casa, sia essa o non di propriet, quotidianamente esercita sulle famiglie28. parso pienamente legittimo, in questa prospettiva, sostenere che il costo generale di manutenzione dellalloggio (cos come la malattia cronica, lhandicap, ecc.) costituisce fattore di povert per nuclei familiari il cui reddito risulta per altri aspetti adeguato29. La visibilit statistica di questo disagio massima per coloro che

26 Per una descrizione e una dimostrazione del modello dellupgrading in merito allacquisto della casa, osservato sulle generazioni dei figli rispetto a quelle dei genitori (Hill 1976). 27 Secondo lultimo rapporto annuale Istat (1995) dal 1990 al 1995 la propensione media al risparmio familiare si ridotta dal 21% circa al 16,7, mentre cresciuta la pressione fiscale e parafiscale (siamo attorno al 25% del reddito). 28 Secondo le stime Istat relative agli ultimi quindici anni la spesa per labitazione, che include anche le spese per riscaldarla, incide oggi per un quarto sul reddito familiare, mentre nel 1980 non superava il 10%, 29 Possiamo qui definire come povert abitativa la situazione di chi, pur non essendo del tutto privo di reddito, trova difficolt ad accedere al mercato abitativo o a sostenere i nuovi canoni o, ancora, a mantenere ai correnti alti costi di manutenzione, la casa in propriet (Garonna 1984, cit. in Negri e Saraceno 1996, 164). Secondo alcuni il peso dellaffitto sul reddito delle famiglie pi povere di circa il 20%, ma per molti contratti il costo dellaffitto arriva a pesare per il 40% del reddito (Tosi 1994). A spendere di pi, secondo quanto ci dato di sapere dallindagine Multiscopo, sono gli anziani per i quali spesso labitazione assorbe quasi met del reddito annuo disponibile. Si tenga inoltre conto che il mercato dellaffitto spesso un mercato sommerso, e che contratti irregolari o assenza di contratti, molto frequenti nei confronti degli immigrati, consentono al proprietario di ottenere cifre elevatissime, anche per alloggi fatiscenti, di poco pi di venti-venticinque metri quadrati, come stato documentato da recenti ricerche in quartieri degradati di Torino (Cicsene 1996).

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si muovono attorno alla soglia della povert30, nulla per coloro che ne sono appena fuori: lo stress abitativo di chi si indebitato per comprarsi una casa o di chi vorrebbe venderla e non riesce, o ha difficolt a mantenerla comunque, non pu essere colto se non da indagini ad hoc: il fenomeno infatti soggetto a forti oscillazioni a seconda delle congiunture legislative; vive qualche volta ai margini della legalit, e spessissimo vi si sottrae e si camuffa per aggirare la mano pesante del fisco sulla casa31. Ci che per pi rileva ai fini di unanalisi processuale che il percorso di chi affitta ha avuto per lo pi, e ha sempre di pi, le caratteristiche irreversibili di una carriera. Cio esistono poche probabilit di uscire dalla condizione di affittuario una volta che si siano mancati i due o tre appuntamenti cruciali con il deprezzamento o linnalzamento del prezzo degli alloggi che possono interessare una generazione adulta, allo stesso modo di quanto accade nelle carriere lavorative, dove le occasioni di scalata non possono essere lasciate cadere a cuor leggero, pena la definitiva permanenza nei ranghi pi bassi dellorganizzazione. questa una regola di demografia dellabitare, pi volte verificata da analisi e ricerche svolte in Inghilterra, in Australia, negli Stati Uniti (Myers 1990; Kendig 1984; 1990). Nello scrutinio degli osservatori che rendono visibile lo stress abitativo non pu mancare quello che si costituisce attorno allo sfratto. Lo sfratto la forma pi visibile di stress abitativo e deriva dal fatto che la casa da tempo al centro di flussi e attese di investimento economico e di uso familiare di breve periodo. Lalloggio diventa cos un bene critico, cio occasione di contesa tra aspiranti al suo puro e semplice valore duso e aspiranti al suo valore di scambio. Lo sfratto dunque segnala, a livello macro, la crescente polarizzazione tra mercati abitativi, che si esprime attraverso la radicalizzazione del conflitto tra inquilini e proprietari, ma indica anche, a livello micro, nuove strategie di riappropriazione della casa data in affitto da parte di molte famiglie, strette nella forbice economica della diminuzione del risparmio, dellau30 stato stimato che circa 900.000 famiglie, pari a 2.500.000 persone, in Italia si trovino in questa condizione. 31 Secondo i dati aggiornati, forniti dallIstat e dallOsservatorio sugli sfratti del Ministero dellInterno, il totale degli immobili in affitto nel nostro paese pari a 4.717.808, mentre i contratti nel periodo 1992-1995 sono stati 3.281391: anche al netto di contratti che si riferiscono ad affitti per uso diverso da quello abitativo, permane unarea di evasione che si pu stimare attorno a 1.162.712 abitazioni (da La Stampa, 28.9.1996).

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mento delle spese per la casa, e sotto la pressione demografica dei figli a casa e dellanziano genitore spesso ospite. Allinizio degli anni 80, lo sfratto ha registrato in Italia e in citt del Nord come Torino, picchi altissimi32. A ormai ventanni dal superamento del blocco dei fitti e della prima applicazione della legge dellequo canone33, si creano nuove occasioni di allarme. Stanno infatti venendo a scadenza i contratti legati a quella legge ed prevedibile che i soggetti economicamente pi deboli o quelli soggetti a regimi di lavoro dipendente34, non saranno in grado di accogliere le richieste di aumento del canone (secondo i criteri previsti dai cosiddetti patti in deroga). Molto variabile nel tempo e sul territorio35, esperienza che mentre espelle da un sistema introduce in un altro, quello assistenziale36, lo sfratto diventa il segno ambivalente dello stress abitativo in Italia: percepire un pericolo e insieme intravedere la possibilit di farne una risorsa per riacciuffare, attraverso la mano pubblica, sicurezza economica e cittadinanza sociale perse attraverso la mano invisibile del mercato. Lo sfratto pu essere considerato anche sotto un altro punto di vista: quello dellessere

32 Peraltro la gravit della situazione era compensata dal fatto che lente pubblico preposto alledilizia sovvenzionata premiava in modo consistente lo sfratto. Laver subito uno sfratto esecutivo da luogo a un punteggio pi alto di qualsiasi altra condizione anagrafica o economica (per Torino, sui 16 punti disponibili, quelli cui d luogo lo sfratto con monitoria di sgombero 4 punti). 33 La legge la numero 32 del 1978. 34 Dall81 al 91 il prezzo della casa cresciuto dell80% circa contro una crescita delle retribuzioni di meno del 40% (Negri e Saraceno 1996). 35 A Torino in questo decennio si sono contate mediamente oltre 4.000 sentenze esecutive annue. Nel solo 1994 hanno raggiunto le 6.440. Sappiamo anche, secondo recenti stime del Censis, che la maggior parte dei nuclei sfrattati si trova nelle province metropolitane; a Torino sono 6.400 nel 1993, a Roma quasi il doppio, a Milano pi di 10.000, ecc. Peraltro proprio a Torino c la quota relativamente minore di sentenze esecutive sulle sentenze emesse rispetto ad altri capoluoghi come Milano, Roma, ecc. stato calcolato che gli alloggi sotto sfratto a Torino pesano attualmente (dati 1994) per pi del 15% sul patrimonio in affitto (superiori a quelli di Milano, Roma, Genova, Napoli: cfr. Comune di Venezia 1996, 33). Come si gi accennato, in Italia la condizione di sfrattato stata, almeno nel passato, un titolo privilegiato per laccesso alledilizia pubblica, tanto da motivare talvolta gli inquilini che sono in difficolt con laffitto, a concordare lo sfratto con il proprietario, nella quasi sicurezza dellassegnazione. 36 C una contabilit nazionale delle sentenze di sfratto (e delle loro motivazioni formali) da parte del Ministero degli Interni disponibile a livello di singola provincia e c una contabilit locale, sia pure indiretta e parziale, degli sfratti attraverso le domande ai bandi di concorso per lassegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (per cui lo sfratto costituisce titolo preferenziale). N nelluno n nellaltro caso compare traccia dei profili sociali degli inquilini sfrattati e dei proprietari. Di essi nota la sola anagrafe.

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una manifestazione estrema di mobilit involontaria. Recenti indagini sulla mobilit abitativa hanno dimostrato che in Italia ci si muove poco e in relazione a vincoli di carattere economico pi spesso che non in risposta a inadeguatezze dellabitazione rispetto a esigenze personali o familiari. Le due principali ragioni per cui si cambia casa in Italia sono: lacquisto di un (altro) alloggio, o, appunto, lo sfratto (Istat 1993)37. Cambiare casa assume quindi unimportanza concorrenziale con altre scelte economiche della famiglia38. Infine, e specularmente rispetto alla situazione precedente, vi lo stress di chi si trova in una situazione di stallo abitativo: linerzia forzata di chi n riesce a trovare una casa che consenta di avviare un progetto autonomo di vita familiare, n pu muoversi da una situazione inadeguata, non essendo in grado di affrontare i costi del trasferimento e di un nuovo contratto (Toniolo Trivellato 1992)39. 6. Esposizione al rischio e risposte allo stress abitativo Il rischio di incorrere in una situazione di stress abitativo risulta in definitiva assai pi elevato di quello di imbattersi in un alloggio inigienico o fatiscente. Abbiamo visto, ad esempio, che lappartenenza di coorte, cio linsieme di persone che hanno vissuto un certo evento durante uno stesso periodo di tempo (e che possono aver visto di conseguenza modificato il loro iter di vita: Santini 1992; Ryder 1965), potrebbe essere un buon criterio per una prima ricognizione di condizioni potenziali di esposizione a stress abitativo per gruppi quantitativamente rilevanti di popolazione.
37 LIndagine Multiscopo sulle famiglie e le abitazioni prevedeva tra le altre una serie di domande relative a eventuali cambiamenti di abitazione avvenuti nei cinque anni precedenti lintervista, e ai relativi motivi addotti. 38 Lunica analisi disponibile in merito alle strategie abitative della popolazione piemontese mostra, significativamente, che a volersi muovere sono soprattutto adulti con famiglia, piuttosto istruiti, con redditi superiori alla media, con pochi componenti rispetto ai percettori di reddito (Occelli 1993; Occelli e Prizzon 1995). 39 In realt, come risultato dalla analisi delle caratteristiche di chi ha intenzione di cambiare casa, confrontate con quelle di chi invece non ha tale progetto, il profilo dei non mobili rimanda s a una situazione di soddisfazione (standard abitativi migliori), ma anche a inerzia, rigidit e rinuncia: chi non si muove pi anziano, ha meno risorse, sta da pi tempo in quella casa (una media di 32 anni, contro i 26 di chi dichiara di volersi trasferire).

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Opportunamente integrati con informazioni di contesto e di periodo gli osservatori demografici ci possono fornire una prima stima della probabilit di coinvolgimento di consistenti gruppi di popolazioni in specifiche congiunture socioeconomiche, o dellarruolamento forzato in particolari comunit dansia (Beck 1992). Questo consente un primo grossolano taglio nella popolazione che a priori esposta a rischi. Ma in un contesto in cui una demarcazione a priori tra individui esposti e individui non esposti a rischio sempre pi debole, il ricercatore dovr far pesare di pi le differenze tra individui allinterno di ciascun gruppo40. Di qui lesigenza di analisi che consentano livelli di disaggregazione e riaggregazione maggiori delle consuete analisi a distanza41 e interventi diagnostici il pi possibile vicini allevoluzione della situazione, o capaci di aderire fedelmente alla sua ricostruzione retrospettiva42. Unaltra buona ragione per lavorare a distanza ravvicinata risiede nel carattere poco prevedibile dei modelli di adattamento risposta allo stress abitativo. Le risposte individuali e familiari allo stress possono dislocarsi e dipanarsi lungo una gamma molto variegata di strategie pi o meno innovative o conservative, cooperative o opportunistiche, che dipendono in gran misura dal carattere contingente e imprevedibile dellemergere del rischio. Non sarebbe esagerato evocare la categoria di familismo generazionale per descrivere quei processi che di fronte al rischio reale, o percepito, di venir privati o allontanati dal bene casa vedono mobilitarsi risorse familiari, di parentela, di rete. Si pensi alle strategie di acquisto, di ospitalit, di scambio e di trasmissione di ricchezza abitativa (la casa vera e propria, i soldi per la casa, luso della casa, la promessa di una casa), che coinvolgono due o pi generazioni. Il fatto che, a differenza del disagio convenzionalmente inteso, che ha canali per rendersi materialmente visibile, lo stress abitativo viaggia spesso al di sotto dei sensori e degli intercettatori di disagio utilizzati solitamente dalle amministrazioni. Questo disagio quindi
40 Sui problemi metodologici, diagnostici e analitici dellesposizione al rischio cfr. Vineis (1990). 41 Occorre comunque dire che il filone quantitativo della housing demography (per cui Myers 1990a) ha fatto grandi passi in avanti nel riempire i vuoti informativi ed esplicativi esistenti tra ciclo familiare e carriera abitativa. 42 Una recente rivisitazione in chiave storico-sociologica deI filone delle storie dei vissuti abitativi quella proposta da Isabelle Bertaux Wiaime e Paul Thompson (1997).

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pi facilmente sottostimabile, esprimendosi pi spesso in exit (quante decisioni di andare a stare nella prima o seconda cintura sono obbligate?) che in voice (ma forse le recenti proteste a proposito della tassazione sulla casa danno segnali nuovi in questo senso), e accompagnandosi per lo pi a un repertorio di non azioni (rinunce, scelte rinviate, mobilit rallentata, ecc.). Esistono dunque sfide che impegnano il governo della citt a intervenire sul problema dello stress abitativo considerando non solo la inadeguatezza tecnica dellofferta (sotto il profilo della rigidit e dei costi di accesso e manutenzione del bene casa), ma anche lintreccio di tensioni sociali e generazionali da cui si origina la domanda di case adeguate. Vi infatti un problema di surriscaldamento culturale ed economico del bene casa che, in assenza di altre credibili fonti di identificazione sociale, spinge individui e famiglie a impegnare intere catene generazionali per laccesso alla sicurezza economica fornita dalla casa: in un intreccio di scambio e risarcimento tra una generazione e laltra che non sempre sortisce gli effetti desiderati (Olagnero 1996). Sembra a questo punto scontato che a tale complessit debba corrispondere una politica altrettanto ricca di articolazioni e connessioni. Una politica che in situazione di crisi del modello di welfare caratterizzato da uniformit e quantit dovrebbe procedere secondo qualit, differenziazione e consapevolezza dei vincoli di bilancio. Una decina danni fa questa nuova (obbligata) attitudine ad amministrare bisogni nuovi, di qualit, facendo attenzione al bilancio era stata definita attraverso la categoria dello stato modesto (Crozier 1988). Fino ad oggi, tuttavia, in Italia la ormai radicata consapevolezza dei vincoli di bilancio non si che raramente e lentamente convertita in opzione per la qualit e la differenziazione degli interventi. Il che significa che fino ad oggi non esistita una politica specifica (non assistenziale), contro quella forma di sofferenza senza disagio che attraversa la vita di molti adulti giovani e anziani. Oggi si intravvede qualche tentativo di soluzione, quasi sempre di tipo normativo inclusivo43. Ma occorre
43 Si provveduto ad esempio con lincludere nuovi bisogni (e connessi nuovi diritti) dentro la sfera tradizionale dellassistenza. Fino a qualche tempo fa esistevano invece poche alternative alla domanda di case in assegnazione per chi aveva problemi di solvibilit di adeguatezza, ma non di vera e propria povert. Nel nuovo bando del 1995, emesso a Torino dopo ben 15 anni, ora compare, quale titolo di ammissione alla graduatoria il fatto di far parte di una coppia di giovani coniugi; si prevede inoltre lelevamento della soglia di reddito necessaria per aver titolo allammissione (che viene tarata sullampiezza della famiglia

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pensare anche a politiche regolative che riducano i margini di incertezza e il livello darbitrio dei movimenti generati dal mercato. In contesti opachi e a evoluzione incerta, un deciso aumento della pressione pubblica in termini di controllo e monitoraggio della trasparenza e della correttezza del mercato, accompagnato dalla diffusione di strumenti e occasioni di informazione, controllo e accompagnamento nel costoso e periglioso accesso alla casa, potrebbero essere finalmente considerate politiche per tutti (le politiche di informazione e accompagnamento sono state originariamente pensate soltanto per gruppi sociali e individui altamente disagiati o esclusi: Tosi 1994). Politiche di questo tipo richiedono per informazioni adeguate, cio tempestive (a ridosso dellevento), flessibili (aggiornabili e modificabili), strategiche (mirate a predisporre o a valutare i risultati di un intervento, tenuto conto di mutamenti intercorsi, di comportamenti e atteggiamenti, di risorse e uso delle risorse). 7. Conclusioni La prima direzione da prendere quella del superare gli approcci monografici, per raccordare fonti e iniziative di analisi e ricerca gi esistenti, ma che spesso vengono condotte separatamente: da sociologi della famiglia e demografi, da macro e microeconomisti, dai sociologi dellabitazione, dagli analisti delle politiche sociali, e naturalmente, senza particolari tagli interpretativi, da enti e agenzie pubbliche. In altri termini, occorre pensare in termini di triangolazione cio di connessione di pi punti di vista e di pi osservatori, in vista di progetti di ricerca integrati e orientati da ipotesi specifiche44.
e sulla presenza di figli), si norma listituto della successione sia da parte di ascendenti e discendenti, che da parte di conviventi. Il progetto abitativo, cos come i bisogni di aiuto o di ritardo nellautonomia, entrano nel raggio di attenzione della politica abitativa riformata (Comune di Torino 1996; Regione Piemonte 1996). Da qualche tempo si usa anche la leva del mercato. In vista tanto del rilancio del mercato edilizio quanto con lesigenza di efficienza e di compatibilit finanziaria della macchina amministrativa, si sono avviate politiche di sostegno allacquisto, ovvero di incentivo (per i proprietari) allaffitto della casa: interventi questi che costituiscono una soluzione transitoria ma efficace per una parte importante di popolazione non povera (ma ben lontana dallo star bene). 44 Lanalisi dellhabitat nel quartiere di San Salvario a Torino stata ad esempio condotta dal Cicsene (Problematiche di un quartiere latino, cit.), con riferimento a questa filosofia di ricerca integrata, che ha utilizzato diverse fonti (dai borsini immobiliari sui prezzi degli alloggi per tipologia e zona, alle interviste agli abitanti, ecc.).

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Allungare il tempo e allargare lo spazio per individuare i confini del vasto campo di azioni familiari e abitative che ruotano attorno al tema della casa e per ritrovare le connessioni funzionali, relazionali e simboliche che la mano del mercato e lo sguardo che la ha spesso accompagnata hanno ignorato o fatto saltare. Occorre inoltre cominciare a pensare a una ricerca a grana pi fine (quale consentita da inchiesta, osservazione, storia di vita, ecc.) e orientata in senso longitudinale, non solo per seguire retrospettivamente e anche prospetticamente il nascere e il crescere del disagio e dello stress abitativo45, ma anche per giudicare le politiche che affermano di combatterli. Questa consentirebbe tra laltro di impostare serie indagini di tipo valutativo. LItalia sta appena iniziando a fare ricerca valutativa, cio a far seguire o accompagnare la realizzazione delle politiche, dallindagine che ne registra (in corso dopera o alla fine) i risultati in relazione agli obiettivi quello che viene definito convenzionalmente output , e quando possibile lefficacia finale (cio limpatto in relazione alle condizioni di contorno46 (Palumbo 1995). Pi in generale si dovr imparare a costruire una politica del dato, cio un modo di pensare allinformazione in termini oltre che coordinati, anche effettivamente compatibili, dunque cumulativi (Martinotti 1991). Infine occorre anche pensare alla costituzione di nuovi oggetti di ricerca, di nuovi indicatori e fonti, attraverso cui ricercatori, legislatori e amministratori locali possano dialogare con pi margini di autonomia, sollevando, definendo e ridefinendo in maniera mirata, ma integrabile, i problemi dellabitare come problemi vuoi del corso di vita, vuoi del sistema sociale, vuoi del mercato urbano, vuoi della dinamica territoriale (Godard 1995). Ecco unaltra importante sfida: pensare alla predisposizione e alla cooperazione di diversi punti di vista, dislocati sulla citt. Il che significa: sguardi vigili sui processi amministrativi e antenne mobili sul territorio, rilevazione a distanza ravvicinata dei problemi
45 Lanalisi a livello longitudinale consentirebbe di evitare le distorsioni collegate ad approcci statici nei confronti dei problemi che, come quello abitativo, sono per definizione di carattere dinamico (Davies e Pickels 1985). 46 Con riferimento alle attuali politiche di riqualificazione urbana, che prevedono spostamenti di popolazione, vendita di alloggi, riorganizzazione funzionale di quartieri, molto importante sarebbe controllare in itinere il processo di insediamento e di adattamento residenziale per sapere se, come, in quanto tempo, con quali mediazioni culturali e sociali gli attuali progetti possano dare gli attesi effetti di integrazione, benessere, sicurezza sociale.

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dellorganizzazione sociale dellabitare e dellintegrazione culturale degli abitanti, e sguardo al passato per ricostruire, a livello di individui e famiglie, di coorti, di quartieri, il verificarsi di eventifaglia responsabili del divaricarsi e del polarizzarsi di risorse e destini riguardo alla casa. Da vicino, da lontano: calcolare la giusta distanza una volta per tutte impossibile e forse privo di senso: visti da vicino gli oggetti hanno maggior dettagli e le parole maggior profondit, ma lo sfondo, i nessi con altri fenomeni, il senso storico di un evento, tutto ci si guadagna facendo un passo indietro.
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